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ALFANO FU AVVERTITO DAGLI 007: “SUL MAROCCHINO SOLO

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ALFANO FU AVVERTITO DAGLI 007: “SUL MAROCCHINO SOLO
Caso Orlandi, ecco le lettere con le promesse di Andreotti a favore di “Renatino”
De Pedis, boss della Magliana. Anche da morto, il divo Giulionon tradisce mai
Sabato 23 maggio 2015 – Anno 7 – n° 140
y(7HC0D7*KSTKKQ( +,!z!,!?!%
e 1,40 – Arretrati: e 2,00
Redazione: via Valadier n° 42 – 00193 Roma
tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230
Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46)
Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009
ALFANO FU AVVERTITO DAGLI 007:
“SUL MAROCCHINO SOLO SOSPETTI”
Strage del Bardo, il giorno dell’arresto – il 19
maggio – Servizi italiani avvisarono il Viminale:
“Cautela sul caso Touil”. Ma 24 ore dopo pioggia
di tweet e di frasi di vanto per l’operazione.
Il premier disse: “Da psicanalista chi critica
il fermo”. Il ragazzo in carcere: “Sono innocente,
perché mi tenete qui?”
Milosa e Pacelli » pag. 3
» IL BUCO » Ora rischiamo nuove tasse sui carburanti
Il ministro
dell’Interno
Alfano non ha
dato notizie
sulle accuse
rivolte
al giovane
marocchino
durante
l’informativa
al Parlamento
LaPresse
» SOLDI E DEBITI » L’avvocatura muove sugli ex Ds
Così il governo Renzi
La Finanziaria
bocciata dall’Europa: punta al patrimonio
della vecchia “Ditta”
buco di 728 milioni
La misura per contrastare le frodi sull’Iva
“reverse charge” non è mai piaciuta a
Confindustria che l’ha denunciata a Bruxelles.
L’esecutivo comunitario l’ha dichiarata
incompatibile con le leggi europee. A cascata
nuove sanzioni potrebbero riguardare altre
norme fiscali: al Tesoro mancheranno 1,7
miliardi. Senza quei soldi a luglio salgono
le accise su benzina e gasolio Di Foggia » pag. 2
Udi Peter Gomez
Palazzo Chigi vuole accertare la consistenza del patrimonio messo al
sicuro dall’ex tesoriere Sposetti così da ripianare il buco dell’Unità
“storica”. Regionali, Matteo fa l’inchino a De Luca
Marra e Rodano » pag. 4 e 7
QUEL CHE RESTA DI B.
INCHIESTA
SEPARAZIONE
TRA POTERI,
UN LUSSO
NECESSARIO
n fantasma si aggira per
l’Italia. “In questi tempi
U
di crisi, anche la vecchia sepa-
razione tra i poteri è diventata
un lusso”, scrive Michele Ainis sul Corriere.
» pag. 18
100 ANNI FA
Lady Pascale,
il tatuaggio
del comando: ora
è lei la Caimana
Monte Paschi,
i tanti sciacalli
del crollo infinito
Caporale » pag. 6
Conti e Vecchi » pag. 10 - 11
CULTURA & SCANDALI
Udi Daniela Ranieri
La notte che l’Italia
finì nel massacro
della Grande guerra
di Elisabetta Reguitti
C
ent’anni fa, il 24
maggio 1915, l’Italia entrava nella Grande Guerra. I ricordi di
Angelo Del Boca, Pressburger e Pahor.
» pag . 14 - 15
BELLOLI,
L’ODIO OLTRE
LE 4 LESBICHE
» pag. 2
Udi Nuccio Ciconte
ROMERO BEATO,
IL PENTIMENTO
DELLA CHIESA
» pag. 13
Salone del Libro,
accuse a Picchioni:
“Peculato e falso”
Giambartolomei » pag. 16
LA CATTIVERIA
L’intelligence alza a 4 il livello di
rischio attentati negli aeroporti:
Formigoni sta per ripartire
» www.spinoza.it
Più pro che anti
di Marco Travaglio
cambiata così tante volte,
È
la legge Anticorruzione,
nei suoi 797 giorni di ti-
ra-e-molla parlamentare da
quando Piero Grasso la presentò a inizio legislatura a quando
l’altroieri la Camera l’ha licenziata definitivamente, che a
commentarla a botta calda si rischiava la labirintite. Perciò ci
siamo presi un giorno e ora siamo quasi pronti. Buona o cattiva legge? Buona e cattiva insieme. Buona anzitutto per il
fatto stesso che sia stata approvata una legge con quel nome,
“Anticorruzione”, che in un
Parlamento molto Pro, con oltre 100 fra condannati, imputati
e inquisiti, senza contare i loro
avvocati, è peggio dell’aglio per i
vampiri, del drappo rosso per i
tori e dell’acquasanta per i demòni. Buona, poi, perché allontana per un po’ i condannati dai
rapporti con la Pubblica amministrazione. Buona, infine, perché aumenta le pene sia massime sia minime – ora di poco,
ora di molto – per la corruzione,
il peculato e l’associazione mafiosa (non però per la concussione, la corruzione internazionale e l’autoriciclaggio); dunque sposta in avanti – ora di poco, ora di molto – la scadenza
della prescrizione, notoriamente calcolata sul massimo della
pena. Basta tutto ciò per cantare
vittoria, come fanno i tg e i giornaloni, o addirittura per dire
che “stiamo cambiando l’Italia”
e che “la prescrizione non sarà
più possibile” come fa Renzi?
No, non basta. Ci vuole ben altro per cambiare l’Italia (per
esempio, escludere gli impresentabili dalle proprie liste anziché imbarcarli a vagonate come fanno FI, Ncd e Pd), e anche
per rendere impossibile la prescrizione. Purtroppo, al di là
della propaganda, le note dolenti sono prevalenti.
1) La corruzione più grave,
quella per atto contrario ai doveri d’ufficio (cioè il delitto del
pubblico ufficiale che viola la
legge e abusa del proprio potere
in cambio di soldi o favori), oggi
punita fino a 8 anni, lo sarà fino
a 10. Prescrizione impossibile?
Macché: allungata di soli 2 anni,
troppo pochi per garantire la
conclusione del processo, specie nei tribunali più intasati.
Idem per le fattispecie di corruzione meno gravi, cioè quelle di
chi si fa pagare per un atto dovuto o comunque non illegale.
2) Il governo ha scriteriatamente stralciato la riforma generale
della prescrizione, che arriverà
solo dopo le elezioni: e lì l’Ncd,
in cambio del suo ok all’Anticorruzione, ha già ottenuto che
se ne riducano vieppiù i modici
effetti positivi. Cioè: con una
mano (Anticorruzione) il governo allunga la prescrizione, e
con l’altra (Riforma della prescrizione) si appresta ad accorciarla di nuovo. Roba da schizofrenici, o da delinquenti.
Segue a pagina 20
2
PRIMO PIANO
SABATO 23 MAGGIO 2015
W
hirlpool, operai
dal premier:
“Sciopero generale”
I METALMECCANICI di Caserta si fermano per otto
ore di sciopero generale per scongiurare la chiusura
dello stabilimento Whirlpool di Carinaro (Caserta);
annunciano lo sciopero di tutto il gruppo per il 12
giugno con manifestazione a Varese; una delegazione incontra il premier Matteo Renzi (a Salerno
per un’iniziativa elettorale del Pd) e, in serata, da
Fabriano, arriva l’affondo del ministro del Lavoro,
Giuliano Poletti che definisce "inaccettabile" il peso
sociale del piano di esuberi. Ieri i lavoratori di Carinaro, con quelli dell’indotto e delle aziende metalmeccaniche casertane (oltre tremila, secondo
Cgil, Cisl e Uil), hanno invaso Caserta. Dal corteo
slogan contro Confindustria, Whirlpool e il Pd; qualcuno ha portato le croci con scritte le date di assunzione e quella del 16 aprile, giorno in cui è co-
IVA, L’UE APRE UN ALTRO BUCO
A RENZI SERVONO 700 MILIONI
L’EUROPA BOCCIA IL REVERSE CHARGE. RISCHIO AUMENTO DEI CARBURANTI A LUGLIO
di Carlo
Di Foggia
N
eanche il tempo
di coprire al minimo una voragine da 18 miliardi, che a Matteo Renzi si
apre un altro buco da 700
milioni. Ieri, infatti, la Commissione europea ha bocciato l’estensione del reverse
charge dell'Iva (il meccanismo dell'inversione contabile che elimina la detrazione dell'Iva sugli acquisti) alla grande distribuzione.
Una misura contenuta
nell’ultima legge di Stabilità,
e coperta – in caso di bocciatura – con le solite clausole di salvaguardia: se il governo non interverrà, dal 30
giugno saliranno le accise
sui carburanti per un importo equivalente. Lo stop
di ieri non è un fulmine a
ciel sereno per il ministero
dell’Economia, visto che gli
uffici di via XX settembre
erano stati informati della
decisione. Il 6 maggio scorso, il ministro Pier Carlo Padoan si era già impegnato a
eliminare tutte le clausole di
salvaguardia e ieri il Tesoro
lo ha ribadito.
DOPO la sentenza della Con-
sulta sulle pensioni, su cui il
governo ci ha messo una toppa da 2,2 miliardi, stavolta
serviranno altri 728 milioni
per disinnescare la nuova
mina sui conti pubblici. Che
potrebbe non essere l'ultima,
visto che a breve è attesa anche la decisione sullo split payment, che permette alla
Pubblica amministrazione di
versare l’Iva direttamente
all’erario, saltando i fornito-
Un calcio al buon senso
Capo Lega dilettanti
Belloli, “lesbica”
non è un’offesa
Lo è la corruzione
orse l’appena sfiduciato presidente della Lega Dilettanti Felice Belloli non avrebbe fatto riferimento al mondo dei balF
lerini di danza classica dicendolo composto da “quattro froci” - o
DOPO lo stop di ieri, è ar-
rivato il plauso di Confindustria (la prima a ricorrere a
Bruxelles contro la norma):
“Esprimiamo profonda soddisfazione”. Stesso concetto
ribadito da Confcommercio.
Perché tanto astio? Il reverse
charge è un meccanismo di
Matteo Renzi e il ministro del Tesoro, Pier Carlo Padoan Ansa
inversione contabile che scarica l’obbligo di versare l'Iva
sull'acquirente, esonerando
il venditore, che quindi non
può più detrarla. Un sistema
anti-evasione voluto dall’Ue
che impedisce alle aziende –
una volta incassata l'imposta
– di non versarla nascondendo la vendita. Lo scopo è anche quello di evitare la detrazione di Iva applicata da
fornitori esteri e incassata,
quindi, da Stati esteri. Impedire, cioè, che chi compra
dalla Francia un prodotto in
Italia, paghi l'imposta in
minciata la vertenza. Dal palco toni duri. "Chi non
sta con i lavoratori sta con i camorristi; Renzi scelga", ha detto il segretario della Fim-Cisl Marco Bentivogli. Alcuni operai hanno urlato lo slogan: "Noi
votiamo 5 Stelle". Il blog di Grillo ha preso la palla al
balzo: "M5S è dalla vostra parte, dalla parte dei diritti dei lavoratori che non possono essere calpestati
e cancellati con il JobsAct".
di Daniela Ranieri
ri: un’altra misura anti-evasione che però sottrae liquidità alle imprese, soprattutto
quelle edili (il buco qui è di
988 milioni, coperto sempre
con le accise). In caso di bocciatura, il conto finale salirebbe così a 1,7 miliardi.
DOPO LA CONSULTA
Nuovi guai per i conti
pubblici. Confindustria
esulta. Il Tesoro:
“Eviteremo i rincari”
Ma rischia anche lo split
payment (988 milioni)
il Fatto Quotidiano
Francia. La gestione delle detrazioni Iva transnazionali
richiederebbe una stanza di
compensazione comunitaria, che però non è stata mai
realizzata. Negli ultimi anni
questo meccanismo è stato
utilizzato anche per contrastare le cosiddette “frodi carosello”. Di fatto, però, toglie
anche risorse alle imprese,
trasformandole in creditori
perenni dello Stato, che rimborsa l'Iva in tempi non certo
brevi.
FINORA il reverse charge si
applicava solo in alcuni settori (subappalti, materiale
informatico ecc.), come l'edilizia. Per estenderla a ipermercati e supermercati il governo aveva chiesto una deroga a Bruxelles, in quanto
violava la direttiva europea
sull'Iva. Ieri, in una nota inviata al Consiglio europeo, la
Commissione ha detto no:
“Non esistono prove sufficienti che la misura richiesta
contribuirebbe a contrastare
le frodi. La Commissione ritiene anzi che questa misura
implicherebbe seri rischi di
frode a scapito del settore
delle vendite al dettaglio e a
scapito di altri stati membri”.
LA PROSSIMA SETTIMANA
in una riunione al Tesoro si
inizieranno a studiare le
mosse per evitare l’aumento
di benzina e gasolio a partire
da luglio. Stando a quanto
filtra, la copertura potrebbe
arrivare da una razionalizzazione delle spese dei vari ministeri, evitando così di dover ricorrere a un decreto.
Questo, se nel frattempo da
Bruxelles non arrivasse la
bocciatura dello split payment, che aprirebbe un buco
pari al famoso “tesoretto”, su
cui Padoan puntava a inizio
maggio per tappare i vari buchi. Almeno su quest’ultima
decisione, al Tesoro conservano ancora qualche speranza. Confindustria, invece,
non vede l’ora.
forse sì, visto il personaggio. Ma gli va dato atto di aver portato alla
luce ciò che riposa nel buio di certe menti, e cioè non tanto l’associazione più grettamente genitale secondo la quale la donna che
s’azzuffa in aerea, si spezza i legamenti e si rotola nel fango debba
essere lesbica; quanto che l’eventuale esserlo equivalga a un disdicevole stato che squalifica la persona, tanto che è lecito impedirle finanziariamente di giocare al calcio, gioco “maschile” per
eccellenza e perciò dignitoso. Povero lui. Immaginiamo schiere
di lesbiche che pur di darsi all’amore saffico imparano la regola
del fuorigioco e vanno a battere cassa da Belloli. Il quale “Basta
soldi”, avrebbe detto (c’è il verbale ma lui nega), presumendo che
in quanto lesbica una donna il calcio lo faccia più per vizio che per
passione, e tra i vizi il più infamante si sa per un certo tipo di
uomini qual è. L’indole ossessiva del soggetto troverebbe poi ratifica in certe testimonianze che spuntano di presunte molestie a
suo carico: sotto le feste, avrebbe domandato ad alcune collaboratrici se volessero in dono “un uccello pasquale”, e vabbè.
L’ITALIA TUTTA si è indignata, indovinando nelle parole del di-
rigente l’ignoranza e l’offesa. E però un dubbio a queste latitudini
morali un po’ sorge: non sarà che “lesbica” sia per tutti, di per sé, un
insulto? Che a sentirla pronunciare, la parola, si stia un po’ tutti
sull’attenti, tutti col rilevatore del politicamente corretto attivato,
come se a venir pronunciata fosse una brutta malattia, un disturbo
della vista (si sa di vecchie signore che lo confondono con “presbite”, con relativi imbarazzi dall’ottico) o uno stato di minorità, sì
che l’infelice uscita di Felice è di fatto sovrapponibile a quella
dell’ineffabile suo predecessore Tavecchio, che chiamò (oltre che i
neri “mangiabanane”) le calciatrici “handicappate”?
Le giocatrici, pure loro, avrebbero dovuto offendersi più per quel
“quattro”, detto per sminuirne la rilevanza, che per l’illazione sessuale, invero non infamante per chi la riceve, lesbica o no, ma solo
per chi la pronuncia come fosse un insulto. Qualcuno di famiglia
spieghi a Belloli che le lesbiche amoreggiano tra loro e non giocano
a calcio, oppure – almeno finché lui continuerà a non comandare
niente come adesso - giocano a calcio come a scherma, a cricket, a
pallanuoto o anche a niente, alla faccia sua.
Intanto bene ha fatto quel galantuomo di Francesco Totti a rivendicare sul suo sito l’appartenenza delle calciatrici alla “grande
famiglia del calcio”, indipendentemente dall’orientamento sessuale. Quello che odia le lesbiche, infatti, in realtà odia le donne, e
gli brucia non tanto che esistano donne lesbiche (si sa quanto gli
omofobi siano spesso cripto-gay o consumatori etero di porno
lesbico), quanto dilapidare per loro i denari che ottimi uomini di
calcio indubitabilmente eterosessuali stanno facendo così magnificamente volteggiare nell’orrido spettacolo della corruzione.
Infront, assalto alla regia delle partite
LA SOCIETÀ AL CENTRO DELL’INCHIESTA ANTITRUST VUOLE PRENDERSI ANCHE IL CONTROLLO DELLE TELECAMERE IN CAMPO
di Stefano Feltri
ultima tappa dell’avanzaL’
ta di Infront alla conquista del calcio italiano è comin-
ciata in febbraio e si è declinata
ieri: la società, che in teoria sarebbe solo un advisor, un consulente della Lega Calcio, vuole la gestione delle immagini di
tutte le partite. Il piano lo ha
presentato ieri in una riunione
della Lega, ma se ne discute da
mesi, il capo di Infront in Italia, Marco Bogarelli, ne ha parlato anche con Marco Brunelli,
il direttore della Lega, in un seminario sabato scorso.
TUTTO COMINCIA con una
polemica in apparenza estemporanea. Adriano Galliani,
gran capo del Milan, contesta
un gol subito dalla Juventus di
Carlos Tevez: era fuorigioco,
ma per colpa di una inquadratura ingannevole di Sky sembra regolare. Il Milan trasforma lo sfogo in una dichiarazione di guerra, con un comunicato: “Il Milan non intende innescare polemiche, ma fa una
richiesta chiara e precisa. In
questo momento le 10 partite
del Campionato di Serie A sono realizzate da 6 registi Sky, 3
registi Mediaset e 1 indipendente. Il Milan chiede che a
partire dalla prossima stagione, i registi siano tutti indipendenti e non provenienti dai
broadcaster che acquisiscono i
diritti del Campionato”. Detto
fatto: Infront si muove per gestire la regia di tutta la Serie A.
E nessuno può dire di no a Infront e a Bogarelli, come dimostra l’inchiesta dell’Antitrust
sull’accordo imposto a Sky per
garantire anche a Mediaset
parte dei diritti che il gruppo di
Rupert Murdoch aveva vinto
in asta.
Galliani è il capofila del fronte
pro-Infront in Lega, Bogarelli
non ha mai rinnegato il suo
passato nella galassia Milan-Fininvest. Lo schieramen-
L’AVANZATA
Ieri la proposta
in Lega: così può
valorizzare i suoi
cartelloni pubblicitari,
con l’acquisto
della G Sport
to contrario, Roma, Juventus,
Fiorentina, Napoli, è frammentato e incapace di arginare
i tifosi di Infront, molto grati a
Bogarelli che paga generosamente la gestione del brand di
mezza Serie A.
A FEBBRAIO i siti di Parma
hanno dato per fatta un’operazione che, anche se non ancora ufficializzata, è legata al
tentativo di conquistare la regia delle partite. Infront avrebbe rilevato la G Sport, una società di Brescia che dai documenti ufficiali risulta ancora
controllata dall’imprenditore
Alessandro Giacomini. A Repubblica Giacomini ha dichiarato: “Ci stiamo annusando,
niente è concluso”.
Ma a Parma tutti hanno fatto il
collegamento: G Sport entra
nell’orbita Infront e negli stessi
giorni chiude un accordo con
la squadra Parma FC per la gestione della cartellonistica dello stadio. La cifra, 870 mila euro, non è enorme per G Sport
che ne fattura 34 milioni, ma
preziosa per la squadra parmense già retrocessa e che in
quelle settimane non sapeva
neppure se sarebbe riuscita ad
arrivare a fine stagione. In tanti, ai vertici della Serie A, saranno stati grati a G Sport (e
quindi, forse, a Bogarelli e Infront) per aver dato un po’ di
ossigeno al Parma che con la
sua esplosione rischiava di falsare tutta la classifica.
La G Sport gestisce i cartelloni
rotanti a bordo campo per sei
squadre di Serie A tra cui la
Fiorentina, quattro di B ed è attiva anche nel volley, nel rugby
Chi inquadra decide LaPresse
e nel basket. I vantaggi per Infront di occuparsi sia di cartelloni che dell’immagine video
delle squadre è evidente: è il regista che decide se la telecamera deve indugiare più sul polpaccio del giocatore o sul rullo
pubblicitario venduto a caro
prezzo.
Per Sky perdere il controllo
sulle regie vorrebbe dire rinunciare a gran parte del proprio
valore aggiunto. A Mediaset,
che con Infront gioca di sponda, non hanno obiezioni. In
Lega neppure.
Twitter @stefanofeltri
PRIMO PIANO
il Fatto Quotidiano
A
l Qaeda, resta
in carcere l’imam
di Bergamo
di Valeria Pacelli
C
autela. L’intelligence
italiana, che aveva già
ricevuto informazioni dai colleghi tunisini sul mandato di cattura internazionale per Abdel Majid Touil, aveva avvertito il Viminale
di gestire con le pinze la questione. Un mandato di poche righe, forse, non è abbastanza per
scatenare le fanfare mediatiche
sulla cattura. Ma la cautela ha
ceduto il passo alle ragioni politiche ancora più forti se si è
sotto campagna elettorale. E
così l’arresto del 22enne marocchino accusato di aver partecipato alla strage del 18 marzo
al museo del Bardo di Tunisi, è
finita per diventare una vittoria
governativa.
RIMANE IN CARCERE l’imam di
Bergamo e Brescia Hafiz Muhammad Zulkifal, di 42 anni, arrestato il
24 aprile scorso nell’ambito
dell’operazione condotta dalla Digos
di Sassari che ha sgominato una cellula terroristica legata al Al Queda. Il
Tribunale del Riesame ha respinto la
richiesta di scarcerazione, o modifica della misura cautelare. Hafiz
Muhammad Zulkifal è accusato di
associazione per delinquere finalizzata al terrorismo e al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Secondo gli inquirenti, insieme
ad altri connazionali, avrebbe orga-
LA STRAGE DEL BARDO
GLI 007 AL VIMINALE:
“CAUTELA SULLE ACCUSE”
L’INTELLIGENCE ITALIANA, IN CONTATTO CON TUNISI PRIMA
DEL MANDATO DI CATTURA PER IL 22ENNE, CONSIGLIÒ PRUDENZA
SULLA FONDATEZZA DELL’ARRESTO. NON FU ASCOLTATA
nizzato attentati. Ma non solo.
L’imam si sarebbe occupato della
propaganda religiosa di stampo radicale mirata a indottrinare i fedeli
anche destinati al martirio. Si sarebbe occupato di recuperare risorse finanziarie destinate alla lotta armata.
LE TAPPE DELLA VICENDA
Dai 24 morti al museo
alla richiesta di estradizione
LA STRAGE Il 18 marzo scorso poco dopo le 12 un commando
di terroristi entra nel museo del Bardo a Tunisi. L’assalto, rivendicato dallo Stato Islamico, si conclude con 24 vittime (4
sono italiani) e 45 feriti.
LA CATTURA Il 19 maggio la Digos e il Ros danno esecuzione a
un ordine di cattura internazionale. Viene arrestato Abdel Majid
Touil, marocchino di 22 anni. Secondo le autorità tunisine ha
partecipato alla pianificazione dell’attentato.
IL CODICE L’iter procedurale per la misura provvisoria in carcere
e per l’estradizione è delegato alla Corte d’Appello ed è regolato
dagli articoli 715 e 716 del codice di procedura penale.
della vostra professionalità”.
“Chi critica l’arresto – dice poi –
è da psicanalisi”. Angelino Alfano invece da Roma riproponendo il tema dell’essere cauti e
lasciando fuori – come ha detto
– la campagna elettorale, parla
di successo investigativo. “Abbiamo realizzato – ha sottolineato due giorni fa – una cattura
che non era semplice grazie al
buon funzionamento del sistema delle impronte digitali: tutto
ciò che è alla base del mandato
di arresto internazionale non è
di competenza italiana”.
STAMPA GARANTISTA
La stampa più attenta alle posizioni di indagati e imputati eccellenti, quella che chiama “presunti
colpevoli” anche i condannati in
Cassazione, ha definito “terrorista” il giovane marocchino arrestato quando la Tunisia non ha
ancora trasmesso gli atti dell’accusa. E ora che i dubbi prevalgono, aggiusta il tiro sull’immigrazione. Primo premio a “Libero”
L’OPERAZIONE
Bisognava aspettare per le verifiche,
ma il governo ha preferito esaltare il “successo
investigativo” in vista delle prossime Regionali
del 20 maggio scorso. Dopo che
il giorno prima era stato arrestato Abdel Majid Touil, alle
9.50 viene data la notizia alle
agenzie. Viene convocata in
Procura a Milano una conferenza stampa. “Avevamo eseguito
un’ordine di cattura internazionale. Era necessario fare una
conferenza per comunicarlo”,
ricordano dalla Questura del
3
IL MINISTERO DI ALFANO NEGA
Lo staff del leader Ncd smentisce:
“Per la gestione mediatica, la conferenza
stampa l’ha fatta la Procura di Milano”
DALLO STAFF del ministro
dell’Interno Angelino Alfano,
contattato dal Fatto, negano
l’avvertimento ma scaricano la
gestione pubblica dell’arresto
sulla Procura. “Non risulta nulla del genere. Per quanto riguarda la gestione mediatica, anche
se è banale dirlo, è di tutta evidenza che il boccino mediatico
della conferenza stampa l’aveva
la Procura”. Uno 007 italiano
con grande fiducia nei colleghi
tunisini, che definisce un “ottimo servizio di intelligence”,
spiega che “è stata sbagliata la
gestione successiva alla conferenza stampa”.
Allora torniamo alla mattina
SABATO 23 MAGGIO 2015
capoluogo lombardo. “Chiaramente anche noi abbiamo avuto
contatti con gli 007. Come succede sempre e soprattutto in
questa operazione. Certo parlare ora di cautela con il senno di
poi...”. Dopo la conferenza
stampa, la parola è andata alla
politica. Il premier Matteo Renzi con un tweet ringrazia le forze
dell’ordine e si dice “orgoglioso
Il Museo del Bardo a Tunisi subito dopo la strage del 18 marzo 2015 Ansa
COSA ABBIA fatto Touil in Tunisia, infatti, lo sa chi ha svolto le
indagini nel Paese che lo ritiene
tra i terroristi del museo del Bardo. Se c’è un errore quindi è lì.
Poi è stato identificato in Italia,
dove è arrivato lo scorso 17 febbraio. Ad accendere un faro sul
giovane è stata la denuncia fatta
dalla madre il 14 aprile sulla
scomparsa del passaporto del figlio. Così si è scoperto che quel
nome risultava in un elenco di
trenta persone, alcuni già arrestati altri ricercati, inviato dalla
Tunisia alla nostra intelligence.
Con la denuncia l’identificazione non è difficile: il 19 maggio
sera, dopo che la polizia municipale aveva ricevuto una segnalazione, Touil viene fermato.
Non ha i documenti (la madre
ne ha denunciato la scomparsa)
ma nome e data di nascita corrispondono a quello inserito
nell’elenco inviato dalla Tunisia. Viene quindi eseguito l’arresto. Poi però si scopre che Abdel Majid Touil il 16 e il 19 maggio si trovava a scuola a Trezzano sul Naviglio. La strage del
Museo è il 18. Qualora fosse a
andato Tunisi avrebbe dovuto
prendere un aereo. Ma il suo
passaporto era andato smarrito.
“Magari ha usato documenti
falsi”, ipotizza uno 007. Magari.
Adesso anche il pm di Roma
Francesco Scavo, che indaga sui
quattro morti al museo, ha chiesto le carte ai magistrati milanesi. Quando arriveranno, vaglierà la posizione di Touil. Dove si trovasse con certezza nei
giorni della strage intanto non
lo sa neanche l’intelligence. “Per
questo bisognava aspettare, per
fare tutte le verifiche”, ribadisce.
Ma le votazioni sono il prossimo fine settimana. E i tempi della politica sono più rapidi di
quelli delle indagini.
@PacelliValeria
Touil: “Io innocente, mai lasciato l’Italia”
DURANTE L’UDIENZA PER L’IDENTIFICAZIONE, IL MAROCCHINO SI È DIFESO: “NON CAPISCO, IL GIORNO DEL MASSACRO NON ERO LÌ”
di Davide Milosa
stanco e provato. In cella ci sta da quattro
È
giorni senza conoscerne precisamente il motivo. Tanto che solo ieri Abdel Majid Touil ha sa-
puto di essere accusato di terrorismo internazionale per aver partecipato quantomeno alla pianificazione della strage al museo del Bardo di Tunisi il 18 marzo scorso, come ribadito ancora ieri
da fonti investigative tunisine. Davanti a Pietro
Caccialanza, giudice della quinta Corte d’appello
del tribunale di Milano, si è difeso in modo deciso:
“Ma quale terrorista, io sono innocente”. E ancora: “Da quando sono arrivato in Italia, il 17 febbraio scorso, non me ne sono mai andato. Con i
fatti di Tunisi io non c’entro”.
Eccole le prime parole del 22enne marocchino.
Ferme ma anche incredule davanti alle accuse che
gli vengono mosse dalle autorità tunisine. Accuse
che vanno dall’omicidio volontario al sequestro
di persona fino alla partecipazione ad un’organizzazione terroristica. “Perché sono qui – ha ripetuto – non lo so, non capisco”. Se lo è domandato spesso durante l’udienza per la sua identi-
ficazione. Dopodiché ha chiarito i suoi spostamenti in Italia. Spostamenti che coincidono con
quelli raccontati dalla madre: sbarcato a Porto
Empedocle, Abdel, assieme al genitore, ha preso
un pullman per spostarsi nella palazzina di via
Pitagora a Milano.
TOUIL, come ha riferito il suo avvocato, si è op-
posto alla richiesta di consegnarsi alle autorità tunisine. Quindi nel pomeriggio è stato trasferito nel
carcere di massima sicurezza di Opera. Si è conclusa così la prima tappa di un lungo iter procedurale. Ora la Corte d’appello dovrà confermare la
richiesta di una custodia in carcere che sarà avanzata dal ministro della Giustizia in base agli articoli
715 e 716 del codice di procedura penale. E lo farà
in base alle carte giudiziarie tunisine che ancora
ieri non erano arrivate. Solo in un terza fase sarà
affrontata la questione dell’estradizione che comunque vada appare difficile. Se, infatti, l’inchiesta tunisina confermerà nei fatti la sua partecipazione alla strage, il marocchino dovrà prima essere
giudicato in Italia per la morte dei nostri quattro
connazionali. I dubbi restano ancora molti. Su un
dato però la Procura di Milano è
comune distante da Gaggiano. Da
certa: la persona fermata è quella inLegnano, però, dove c’è una grande
dicata nel mandato di cattura intermoschea e una nutrita comunità
nazionale. Nessuno scambio di
tunisina, non emergono notizie riidentità, dunque. Se errore c’è stato,
levanti. Il dato geografico viene
lo si saprà leggendo le carte dell’inspiegato dalla madre del ragazzo. La
chiesta tunisina. Di questo è confamiglia Touil ha vissuto a Legnano
vinto il procuratore aggiunto Maufino al 2011. “Non andavo a pregare
rizio Romanelli, il quale ritiene imin Moschea – ha detto la donna –
portante capire quali sono stati gli
non avevo tempo, dovevo lavoraspostamenti di Touil dal 17 febbraio
re”. Nel fascicolo milanese c’è queal 19 maggio. Una ricostruzione
Abdel Majid Touil LaPresse sto. E intanto si è saputo che anche
non facile, perché le notizie filtrate
la Procura di Roma, competente
dai servizi tunisini da metà aprile a oggi non sono per le quattro vittime italiane del Bardo, ha inistate molte.
ziato accertamenti sul marocchino. Con il passare
delle ore il profilo di Touil appare distante da quelDI CERTO, nelle due settimane prima dell’arresto lo di un estremista. Ma del resto, è il ragionamento
sono state fatte attività tecniche. Attività che, se- della Procura, niente esclude che il marocchino
condo gli investigatori, non hanno portato a sce- abbia potuto partecipare, magari trasportando un
nari sensibili. Come anche gli accertamenti sul borsone di armi, solo per soldi e non per motivi
materiale sequestrato. Nessuna tracce di estremi- religiosi. Ieri, la madre ha confermato che uno dei
smo nella vita di Abdel Majid. Il puzzle investi- fratelli di Touil ha compiuto viaggi in Marocco. Il
gativo però è ancora da completare. A partire dalla resto è la sensazione che in questa storia più di un
prima segnalazione che colloca Touil a Legnano, particolare continui a non tornare.
4
POLITICA
SABATO 23 MAGGIO 2015
N
emici esterni
e interni: dai 5Stelle
al lìder maximo
LUIGI DI MAIO
”VOLO DI STATO E AUTO BLU PER I COMIZI”
”Un premier che atterra in Campania con il volo di
Stato, che si sposta in auto blu per andare a fare la
campagna elettorale al suo amico De Luca, non
capirà mai i problemi di questa terra, ovvero non
saprà risolverli”. Lo scrive il vicepresidente della
Camera Luigi Di Maio ieri su Facebook.
il Fatto Quotidiano
MASSIMO D’ALEMA
”LISTE? DOVEVAMO ESSERE PIÙ ESIGENTI”
”Dovevamo essere più esigenti con i nostri alleati, con le liste collegate e chiedere che ci fosse un
controllo preventivo più attento”. Così Massimo
D’Alema, a proposito della presenza nelle liste di
candidati impresentabili. “Per fortuna i candidati
vengono eletti soltanto se i cittadini li votano”.
MATTEO FA L’INCHINO A VINCENZO
IL PREMIER VA A SALERNO, A CASA DEL ”COMPAGNO” CHE NON VOLEVA, E LO ELOGIA: “CON LUI
GOVERNATORE DELLA CAMPANIA SALIRÀ IL PIL DELL’ITALIA”. COMIZIO BLINDATO IN COPPIA
di Wanda Marra
V
inviata a Salerno
incenzo De Luca indica, racconta, spiega.
Matteo Renzi ascolta,
commenta, gesticola.
I due sono sulla terrazza di un ristorante nel porto turistico della
Marina di Arechi. Opera fortemente voluta dal candidato presidente della Campania. A immortalare la scena, sotto, una selva
di telecamere. Alla fine il premier-segretario ha “mollato” le
sue resistenze e a Salerno, a casa di
quello che chiama confidenzialmente “Enzo” c’è venuto.
TRA DIECI giorni si vota e la
Campania bisogna conquistarla. E poi, secondo i dati in mano
al Pd locale De Luca è saldamente in testa sul governatore
uscente del centrodestra, Stefano Caldoro. E Matteo non si può
certo permettere di farlo vincere, senza metterci la faccia. La linea è data da un’intervista al
Mattino: “Non ho mai sentito
nessuno intellettualmente onesto negare che De Luca sia stato
un sindaco straordinario. Credo
che Enzo possa essere il sindaco
della Campania. Ecco perché
faccio campagna elettorale al
suo fianco”. Ci sono gli impresentabili nelle sue liste? Pazienza. Di più, c’è Gomorra, come ha
denunciato lo scrittore Roberto
Saviano? Bene lo stesso. La visita
parte all’insegna dell’improvvisazione e finisce con un endorsement senza se e senza ma al
candidato. Se qualcuno poteva
avere dei dubbi sui reali pesi di
potere tra i due, la giornata di ieri dà qualche risposta. In un primo momento Renzi aveva pensato a una toccata e fuga, in veste
istituzionale. Sulla falsariga “un
po’ ci metto la faccia, ma anche
no”. È la terza volta che viene in
città: la prima era stato qui per
presentare un libro, la seconda
durante la campagna per le primarie contro Bersani. L’allora
sindaco di Salerno aveva scelto il
capo della Ditta. Dunque, agenda incerta fino all’ultimo, pronta a piegarsi alle esigenze politiche del momento.
IL GIRO è blindato: al sito di
compostaggio al seguito di premier e candidato entrano solo le
telecamere di Palazzo Chigi. De
Luca, condannato per abuso
d’ufficio nella vicenda dell’inceneritore, ci tiene a far vedere al
premier una sua conquista in
campo di smaltimento dei rifiuti. Ma è la prima tappa, e gli
equilibri tra i due vanno definiti:
a De Luca non sono piaciute, per
dire, le battute sulla bravura di
Caldoro come amministratore.
Alla Marina d’Arechi il clima è
già decisamente più disteso. La
“discesa in campo” di Berlusconi a Napoli e le accuse di Enrico
Letta a De Luca portano Renzi a
schierarsi decisamente col suo
candidato. Tant’è vero che
quando gli chiede di andare a
vedere la Nuova Cittadella giudiziaria, altro fiore all’occhiello
(ma in costruzione), Matteo accetta. Fuori programma assoluto per andare incontro all’altro.
Mentre De Luca lo chiude in
una stanza e coglie l’occasione
per ottenere la promessa da
Renzi di sbloccare il finanziamento per completarla (27 milioni di euro), all’Hotel Mediterranea sul lungomare il Pd aspetta. Fuori ci sono i Cobas che protestano contro la riforma della
scuola. “Renzi non ti vogliamo”:
sono pochi e tenuti lontani dalle
forze dell’ordine. Rifiuteranno
l’incontro col premier, che invece vede i lavoratori della Whir-
SINDACO
DECADUTO
Se ti fai spaventare
da un avviso
di garanzia è meglio
che te ne vai a casa:
i veri impresentabili
sono quelli
che rubano il futuro
lpool (Beppe Grillo lancia sul
blog il video di un gruppo di
operai che urlano: “Noi votiamo
5Stelle!). Per entrare, c’è una lista con i nomi degli invitati.
Renzi qualche cautela l’ha imposta: solo candidati Pd. È un
comizio, ma è blindato. “A testa
LE CADUTE
alta”, recitano i manifesti. Sala
piccola ma pienissima. Ci sono i
dirigenti del Pd locale, sindaci e
consiglieri comunali. C’è il
guardasigilli Andrea Orlando e
molti deputati campani.
LA COMITIVA arriva verso le 15
e 20. Quando De Luca inizia a
parlare lo accoglie una vera ovazione. “Mi candido a nome delle
cose che ho fatto, non di quelle
che ho detto”. È minaccioso nella sua precisione di riferimenti e
messaggi incrociati. Come quelli a Caldoro (che non nomina).
Reo, per esempio, di avere 400
consulenti o di gestire male la
sanità. E netto nel ringraziare
Renzi che “ha avuto il coraggio
da leader vero di far celebrare le
primarie in Campania e di rispettare il voto degli elettori”.
Per inciso, i vertici Pd hanno
cercato di evitarle fino all’ultimo, cercando un candidato al-
VERSIONE
SEGRETARIO
La lotta alla camorra
non si fa leggendo
un articolo di giornale.
Sono qui per impegnarmi
nel sostegno a Enzo:
si può essere amici
mantenendo le distanze
ternativo a lui. “La Campania è
cultura, è Eduardo, Massimo
Trosi e Pino Daniele, il Teatro
San Carlo e il Teatro Verdi”, dice. Renzi annuisce. Il punto più
forte del suo discorso è un altro:
“Ci vuole un po’ di coraggio. In
questo groviglio burocrati-
co-amministrativo, se ti fai spaventare da un avviso di garanzia
è meglio che te ne vai a casa”. Di
più: “I veri impresentabili sono
quelli che rubano il futuro”.
Matteo alza il sopracciglio. Poi,
quando tocca a lui sorvola: “Si
può essere amici, mantenendo
delle distanze”. La butta in battuta. Una, due volte. Nessun accenno a quei candidati che “non
voterei neanche io”. Come se la
questione non esistesse più. Solo una circonlocuzione evocativa e polemica: “La camorra non
si combatte leggendo un articolo di giornale. Se chiediamo di
cosa stiamo parlando ci viene risposto che il tema sono le liste, i
candidati, discussioni filosofiche, ma non c’è l’oggetto della
discussione: qua partono i dieci
giorni che decidono i prossimi
cinque anni. O vince Caldoro o
De Luca, sono qui per dire a nome del Pd in modo chiaro e net-
Matteo Renzi con il suo candidato Vincenzo De Luca; la povera Pina Picierno che scivola
sulle scale, a sinistra, e la contestazione di operai e insegnanti: “Noi votiamo 5Stelle” Ansa
to che c’è l’impegno del partito
perché vinca De Luca”. La gente
lo applaude. Ma il mattatore è
l’altro. “Al di là delle valutazioni,
se la Campania sarà amministrata nei prossimi anni come è
stata amministrata Salerno, il Pil
del Paese crescerà tra lo 0,5e
l’1%”, affonda ancora Renzi.
La giornata è finita, il sostegno è
pieno. Non senza fatica. I due
non escono a braccetto. Prima
va via Renzi, poi De Luca. E il
premier è costretto a ribadire in
un tweet: “Falso in bilancio, anticorruzione, autoriciclaggio,
ecoreati. Sulla legalità questo
governo non prende lezioni da
nessuno #lavoltabuona”.
AL SERVIZIO
Il cerchio magico dello Sceriffo
di Angela Cappetta
Salerno
ai processo fu così lungo e scoM
modo. Lungo perché in quattro
anni, solo ieri sono stati ascoltati i primi
testimoni. Scomodo perché, seppur
non sono stati individuati i mandanti,
nelle carte processuali si ripete come un
mantra il nome di Vincenzo De Luca
collegato alle società municipalizzate,
dove il sindaco decaduto di Salerno ha
piazzato uomini di fiducia e candidati
al consiglio regionale.
Il processo è quello che cerca di far luce
sull’aggressione del 14 luglio 2009 al
Polo Nautico di Salerno subita dai Giovani democratici, a cui fu impedito di
celebrare il congresso per l’elezione del
segretario regionale. “Andatevene di
qua sennò vi uccidiamo di mazzate.
Oggi il congresso non si fa. Questa è
Salerno e qua comanda De Luca”: queste le minacce che precedettero pugni,
schiaffi e spintoni e che ieri sono state
ribadite in aula da Vincenzo Pedace,
membro della direzione nazionale dei
Gd. La municipalizzata coinvolta è Salerno Pulita, che si occupa della raccolta dei rifiuti urbani: sei dei quattordici
imputati per attentato contro i diritti
politici sono dipendenti comunali. Tra
questi c’è pure Giovanni Pagliarulo, papà di Rocco Hunt, il rapper vincitore di
Sanremo giovani.
IL GIORNO successivo all’aggressione, a
chi gli chiedeva di prendere pubblicamente le distanze da chi avesse usato il
suo nome, Vincenzo De Luca rispose
lapidario: “Non parlo di fatti che non
conosco”. Di certo, De Luca conosce bene alcuni dei presidenti della partecipate del Comune di Salerno che ha voluto
nelle sue civiche. Come Nello Fiore, presidente dell’Asis (che gestisce acqua e
acquedotto), imputato nel processo sul
Crescent e candidato nella lista Campania Libera, finita sotto inchiesta per la
gestione dei rimborsi elettorali della
campagna elettorale di cinque anni fa.
O come Dario Barbirotti, ex presidente
del Consorzio per i rifiuti Sa2, consigliere regionale uscente, attualmente
candidato nel Psi e a processo per una
presunta truffa legata alla gestione di telepass e carburante (oltre che per essersi
aumentato lo stipendio di mille euro).
Chi non ha trovato un posto nelle sue
liste, resta comunque in quel cerchio
magico di consensi che dalle società
partecipate portano dritti a lui. Nella
Il Polo Nautico di Salerno
IL PROCESSO
Nel 2009, alcuni
dipendenti
di una municipalizzata
assaltarono il congresso
dei Giovani Dem; tra loro
il papà di Rocco Hunt
Salerno Patrimonio, nata per dismettere il patrimonio comunale, ci sono Ivan
Meta, di recente nominato curatore fallimentare della Ifil (una società fallita
che ha messo nei guai Piero De Luca,
primogenito di Vincenzo, indagato per
bancarotta fraudolenta) e Achille Monica, figlio del notaio Giuseppe che ha
introdotto nell’atto di compravendita
dell’area su cui sorge il Crescent la clausola che obbliga il Comune di Salerno
alla restituzione di 50 milioni di euro
agli acquirenti in caso di verdetti negativi della giustizia amministrativa.
ALLA PRESIDENZA di Salerno Solidale
c’è Filomena Arcieri, ex direttore gene-
rale del Corisa2, a processo insieme a
Barbirotti e al commercialista Pellegrino Barbato (ora presidente di Salerno
Pulita) per la gestione del consorzio dei
rifiuti. E poco importa se nel fascicolo di
inchiesta sul tesseramento Pd a Salerno,
che nel 2013 consegnò una vittoria bulgara al segretario-premier Renzi, c’è un
filone dedicato alla gestione delle municipalizzate. Vincenzo De Luca sa benissimo che, dopo 20 anni di potere, il
consenso nelle società partecipate è inamovibile.
il Fatto Quotidiano
POLITICA
PROVE DI INTESA SUL REDDITO MINIMO
SPERANZA (PD) AL M5S: “DIALOGHIAMO”
Reddito minimo, la minoranza del Pd prova a
(ri)tendere la mano ai Cinque Stelle, e dal Movimento arriva qualche segnale. Ieri il dem Roberto
Speranza ha ribadito in una conferenza stampa
l’appoggio alla campagna dell’associazione Libera
per “un reddito di dignità”, rilanciando la proposta
della minoranza Pd. Diversa, nei modi e nelle cifre,
da quella dei 5Stelle. La sinistra dem propone uno
stanziamento iniziale di un miliardo all’anno, per
arrivare a sette, mentre il Movimento vorrebbe
trovarne quasi 17 miliardi, per dare a ogni italiano
sotto la soglia di povertà 780 euro. Speranza assicura: “Siamo disponibili al dialogo con tutti, bisogna abbassare le bandierine di parte”. Quindi di-
LA PRESENTAZIONE
di
SABATO 23 MAGGIO 2015
5
sponibilità anche verso il M5S, “anche se il loro atteggiamento ha avuto un’ambiguità: Grillo ha proseguito con gli insulti mentre da Luigi Di Maio è arrivato un segnale di apertura”. La senatrice del
M5S Nunzia Catalfo risponde: “Ben venga Speranza. Il provvedimento è calendarizzato, lo stiamo discutendo in commissione e se la sinistra Pd aderisce non possiamo che essere contenti”.
Vin. Iur.
“Campania in rete”,
candidati latitanti
L
ei è una dottoressa. Lei è un architetto. Lui lavora nella sanità.
Lo so, voi vi aspettavate dei malviventi e io vi faccio conoscere dei professionisti...”. Napoli, Stazione Marittima. Alla presentazione di Campania
in Rete il vero show è il dietro le quinte
di Vincenzo D’Anna. Il senatore del
Gal orchestra e la platea ammicca. La caccia agli
impresentabili è sospesa. Calibro 12 Malafronte
non c’è, Enricomaria Natale (in foto) nemmeno.
Vincenzo De Leo è in disparte: “Il Fronte Nazionale
non è di destra né di sinistra, vedremo Tilgher giovedì, chiariremo questa cosa e finirete di parlare
dell’uomo nero”. Arturo Iannaccone affonda contro “Caldoro l’invisibile”. La notizia: De Luca non
farà iniziative con loro. In programma solo un incontro con la Federlab presieduta da D’Anna.
Dossier De Luca: dalla Severino
alle colate di cemento armato
Iurillo
M
L’EX IENA
“Povera Liguria
tra Burlando girl
e Gabibbo bianco”
IL COMICO GENOVESE LUCA BIZZARRI SI SFOGA:
PESSIMI NOMI E PROGRAMMI TUTTI UGUALI
Pubblichiamo l’intervento postato in Rete ieri da Luca Bizzarri (del
duo Luca e Paolo) elettore in Liguria.
AL VOTO AL VOTO
di Vincenzo
La candidata a governatrice Raffaella Paita e Luca Bizzarri
Napoli
atteo Renzi afferma che bisogna
sostenere Vincenzo De Luca perché
sarà un ottimo “sindaco della
Campania” e saprà replicare
nell’ente regionale il “modello
Salerno”, di cui è stato sindaco
per oltre venti anni. Ecco le buone ragioni per non votarlo.
fatto
a mano
solarium, il Palazzetto dello
Sport. Eppoi il Crescent, Piazza della libertà e la stazione
marittima. Ogni mese c’è un
nastro da tagliare. Ma è solo
un modo per fare show, perché tutto è in fieri e tutto non
finisce mai.
GLI IMPRESENTABILI
La questione non è giudiziaria ma politica. Pur di vincere,
De Luca ha ramazzato personaggi imbarazzanti. Che gli
imporranno accordi e spartizioni poco onorevoli su temi
chiave dell’agenda regionale:
la sanità, i trasporti, la gestione delle partecipate. È un remake, in grande, del ballottaggio di Salerno del 2006, quando De Luca strinse una intesa
sottobanco con Nicola Cosentino, l’ex berlusconiano
ora in carcere per aver agevolato il clan dei Casalesi.
NON È ELEGGIBILE
Sulla testa dell’ex primo cittadino di Salerno pende la
spada di Damocle della legge
Severino. È condannato a un
anno per abuso d’ufficio e dopo il suo insediamento sarà
sospeso dalla carica. A differenza dei sindaci, per i quali
firma il prefetto, il decreto di
sospensione è di competenza
del presidente del Consiglio
dei ministri. Cioè Renzi, che
presumibilmente darà a De
Luca qualche giorno di tempo
per comporre la giunta e preparare il ricorso d’urgenza al
Tar. La sospensiva, vista la
giurisprudenza inaugurata da
De Magistris, è scontata. Ma
già il 21 ottobre la Corte Costituzionale si pronuncerà
sulla legittimità costituzionale di quella parte della norma.
In caso di sentenza sfavorevole, De Luca verrebbe sospeso per 18 mesi.
I GUAI GIUDIZIARI
Nel suo ufficio della procura
di Salerno, il pm Roberto
Penna sta preparando il ricorso in Appello contro l’assoluzione di De Luca dall’accusa di peculato. Deve depositarlo entro il 5 giugno. Secondo il sostituto, l’aver inventato un ruolo di project
manager del termovalorizzatore violando il codice degli
BERLUSCONISMO
appalti per far avere una retribuzione extra al suo capo
staff è qualcosa di più di un
abuso d’ufficio. Ed una eventuale condanna per peculato
comporterebbe la sospensione di De Luca anche in caso di
cancellazione totale della Severino. Non è l’unico processo in corso: De Luca è imputato per il mastodontico
Crescent insieme alla quasi
totalità della giunta comunale, e tra non molto arriverà a
sentenza un dibattimento sui
fatti, molto datati, della fallita
riconversione dell’ex Ideal
Standard in Sea Park. Mentre
viaggia sottotraccia un’inchiesta per corruzione che lo
coinvolge insieme al figlio
Piero, che ipotizza collega-
menti tra consulenze per lavori pubblici e finanziamenti
elettorali.
LE INCOMPIUTE
Ma è davvero da clonare questo “modello Salerno”? Il Crescent, palazzo-eco mostro,
sfregia il lungomare: la colata
di cemento che ha sommerso
il capoluogo è stata favorita
da un utilizzo disinvolto dello
strumento delle varianti.
L’urbanista Fausto Marino,
ex assessore di De Luca, ha
parlato di “sacco edilizio”, nascosto dalle firme delle varie
archistar mondiali per questo
o quel progetto. La città brulica di opere incompiute: la
“plurinaugurata” cittadella
giudiziaria, la Lungoirno, il
Magari uno vorrebbe votare
De Luca per evitare il successo di Caldoro, l’uomo di Berlusconi. Dimenticando, però,
che De Luca è un vero berlusconiano. Nel disprezzo per
la magistratura (“solo uno
squinternato poteva accusarmi di peculato”), nella gestione monocratica del potere,
nel rifiuto del contraddittorio. Peraltro, De Luca non ha
mai nascosto di puntare
all’elettorato di destra, solleticandone le pulsioni sui temi
della sicurezza urbana e
dell’immigrazione, sguinzagliando per Salerno ronde di
vigili contro i venditori abusivi e le prostitute. Anche per
questo la sinistra non ne ha
voluto sapere di allearsi con
lui, mentre uno come Carlo
Aveta, ex Destra di Storace, si
trova perfettamente a suo
agio.
di Luca Bizzarri
uesta è una sincera richiesta di aiuto. La democrazia è
quella cosa per cui tra un po’ a Genova si vota e dai, fiQ
nalmente possiamo scegliere tra:
Raffaella Paita: una signora che rappresenta la continuità con
la giunta Burlando e in più... ci vuole qualcosa in più per non
votarla? Comunque, proprio a volerla cercare, qualcosa in più
c’è: non tanto l’iscrizione sul registro degli indagati che tra i
candidati è ormai come il telefonino (tutti ne hanno uno e
qualcuno anche due o tre) quanto il fatto che, in caso di vittoria,
la sera a cena nella cucina di casa Paita ci sarebbero le due
persone più potenti della Regione. Lei e il marito. Come se
l’Agnese facesse il Presidente della Repubblica. E almeno
l’Agnese pare simpatica.
Giovanni Toti, che gli amici a Mediaset chiamano il Gabibbo
Bianco, non si può votare per quel soprannome perfido ma
calzante e poi perché non c’entra niente, dice poco e dà sempre
l’impressione che la farina non venga dal sacco suo. A me ha
fatto tenerezza quando, a Genova con Salvini, per farsi inquadrare doveva stargli vicinissimo. L’unico vantaggio è che con
lui Presidente finalmente scenderemmo in guerra col Piemonte per riprenderci Novi Ligure, che ci fu barbaramente scippata
in tempi bui e lontani. Così lontani che non tutti lo sanno.
Poi c’è la grillina Alice Salvatore, che sicuramente è una brava
figliola e ha studiato tanto, ma a leggere il suo curriculum non
si capisce come possa fare il Presidente di Regione (oddio, non
che in giro ci siano dei De Gasperi), certo parla bene l’inglese
ma ho paura che in Regione serva poco e molti facciano fatica
pure con l’italiano. Forse servirebbe un pelo sullo stomaco che
lei, poviu rattin, non può avere (la Paita credo abbia una moquette, Toti secondo me deve chiedere perché non c’ha mai
guardato).
Poi c’è Pastorino, che non è mica lì per vincere, ma solo per
gnegneare la Paita e Renzi: quelli normali litigano a casa, quelli
fessi come me litigano su Twitter, quelli del Pd invece lo fanno
in campagna elettorale, sulla pelle nostra.
Per concludere c’è Musso, che è un amico ed è genoano. Quest’ultima caratteristica emerge dal fatto che gli piace perdere.
Lotta con grande coraggio, bisogna ammetterlo, ma senza nessuna speranza. Lo voterei pure, ma mi ricorda quella volta che
ho votato per “Fare per Fermare il Declino”. Eravamo in trentacinque e il declino ci è franato addosso. Non ho parlato di
programmi perché , se li andate a leggere (e li trovate), sono
tutti più o meno uguali. Stupisce che tutti vogliano una Liguria
più moderna, onesta, pulita e al passo coi tempi. Se trovo uno
che nel programma scrive: “Guardate io ci provo, ma con tutte
le cazzate che abbiamo fatto non vi prometto mica
niente. Porto a casa la bucLE OPZIONI
cia e vedo di non fare casini, galleggiamo nella
“La Paita è la continuità
merda”. Uno così lo voto
con l’ex presidente, serve all’istante. La democrazia,
dicevamo, è quella cosa per
altro? Toti fa tenerezza,
cui tra un po’ si vota e finalmente possiamo scela grillina non ha
gliere. Anzi fate così, scegliete voi e ditemi per chi
curriculum, Pastorino
votare, che non può essere
vuole solo litigare”
sempre colpa mia.
6
Pscrive
uglia, Emiliano
ai candidati:
“Non date rimborsi”
di Antonello Caporale
N
POLITICA
SABATO 23 MAGGIO 2015
inviato a Napoli
on ci sono più le
donne di una volta,
i labbroni sparsi in
sala, petti in fuori e
gambe tornite e supertacchi in
vista. Quel che resta di Silvio
Berlusconi è il suo addetto alle
luci, Roberto Gasparotti, l’uomo della calza di Arcore, storica messinscena televisiva, allontanato a dicembre e rientrato ieri in servizio.
“No primarie, ma il popolo
sceglierà il mio successore”
Dopo cinque anni di assenza
Silvio Berlusconi plana a Napoli, città che lo ha festeggiato
sia come leader che come predatore, il luogo della politica,
dell’amore e della musica. Le
gemelle De Vivo, Noemi e il
cantastorie Apicella, ricordate?
Costituivano l’itinerario parallelo e gaudente di un uomo potente e ingordo. Ma l’albergo
che lo ospita, il solito sontuoso
Vesuvio, oggi replica con mestizia la gloria che fu. Berlusconi parla con rilassatezza, diremmo svogliatezza, in favore
di Stefano Caldoro. Un bravo
presentatore, niente più. Alla
sua destra Alessandra Mussolini, ancora candidata ma anch’ella sul finale di stagione a
reinterpretare una parte consumata addirittura 22 anni prima. Fu nel 1993, durante la
campagna per il sindaco di Napoli contro Antonio Bassolino,
che diede prova di essere una
sincera vajassa, popolana arguta e irriverente. Oggi sembra
una figurante. E Silvio un
prim’attore riottoso a lasciare il
camerino. “Il mio successore
sarà scelto dal popolo che vota,
non dalle primarie. E certo verrà dal mondo dell’impresa alla
NOSTALGIA
Il Caimano: “Ci siamo
alleggeriti
di tutti i trasformisti,
sono passati
con quelli là,
con De Luca”
guida di una coalizione che
spero emargini piccoli leader
di piccoli partiti che sul bene
della Nazione fanno sopravanzare tornaconti personali”.
L’unica cosa che dice chiara:
Salvini non gli piace e non sarà
suo alleato. E la Lega lepenista
sperabilmente fuori dalla coalizione di centrodestra.
La compagna: “Marina
leader? Silvio non vuole”
Invece è la napoletana Francesca Pascale, giovane e oramai
conosciuta lady, che pare più
brillante, più in forma, con le
idee più chiare. “Uno come
Berlusconi non si trova più.
Aveva carisma e aveva i soldi.
Forza Italia ha goduto del suo
prestigio e anche del suo portafoglio. Chiedere a me del successore è buffo. Vorrei che Silvio non lasciasse mai. Marina?
So che il papà non è d’accordo”.
Nella fenomenologia berlusco-
UNA LETTERA aperta. Così Michele Emiliano, candidato governatore per il Pd in Puglia, reagisce al video diffuso ieri dal Fattoquotidiano.it, che testimonia
una presunta offerta di denaro a volontari da parte
del candidato della civica “La Puglia con Emiliano”,
Giovanni Filomeno, e di una collaboratrice. “Ho letto
sui giornali - scrive Emiliano - fatti che potrebbero
costituire ostacolo alla libera espressione del voto.
il Fatto Quotidiano
Sono certo che i magistrati ci diranno presto se i filmati provano qualcosa... Legittimo per un candidato
farsi assistere da uno staff, ma ciò presuppone che i
suoi membri aderiscano al programma ...Quando il
supporter viene reclutato facendogli intravedere solo
il vantaggio economico della sua partecipazione alla
campagna elettorale, siamo fuori da ciò che ritengo
politicamente accettabile... Chiedo ai candidati del
centrosinistra di astenersi dal remunerare, sia pure
con un rimborso spese, i membri degli staff senza la
certezza che abbiano aderito al progetto. Chi dovesse violare questi indirizzi sarà oggetto di richiesta da
parte di tutta la coalizione di ritiro della candidatura”.
Filomeno replica su Facebook con una nota del suo
legale, che parla di “ricostruzione dei fatti non corretta, incompleta e fuorviante” nel video.
Quel che resta di B:
il tatuaggio sul polso
di “regina” Francesca
GIORNATA ELETTORALE A NAPOLI ANCHE PER L’EX CAVALIERE:
SPARITI I FASTI DECADENTI DEL PASSATO, DOMINA LA PASCALE
dinatore delle mille correnti e
famiglie di cui si componeva
Forza Italia. Che adesso è
smunta, anche se Stefano Caldoro, faccia pulita e toni moderati, non ha avuto remore a
coinvolgere – al pari del suo
principale competitore – volti
oggettivamente disperanti.
Il cambio di stagione:
ora qui non c’è più nessuno
Silvio Berlusconi, Alessandra Mussolini e Stefano Caldoro LaPresse
niana la donna faceva l’ancella
plaudente, o la portaordini disciplinata come la sempiterna
Mariarosaria Rossi, badante,
tesoriere, assistente e scovaserpenti. Ma con Francesca la sovversione acquista il piacere di
una rivoluzione permanente.
Con gentilezza un tizio le ricorda che il presidente sta aspettando. Lei prende tempo, coperta di un vestito bianco a nido d’api, a suo agio con i cronisti. “Questo partito avrebbe
bisogno di una bella riverniciata”. Di nuovo, toc toc, il presidente è lì che freme: “Vedi questo tatuaggio (il suo nome intrecciato a quello di Silvio)?
L’ho fatto anche se lui è contrario”.
ne. Berlusconi è inchiodato al
suo passato come al doppiopetto Caraceni. Una forza
oscura lo spinge sempre al
mondo che fu: “Di Nicola Cosentino posso dire politicamente tutto il bene possibile.
Sulle altre cose non ho elementi per commentare”. Cosentino, ora a Poggioreale, era il
punto di forza, il centro di gravità, lo snodo risolutore e coor-
Ma il voto non puzza al punto
che a mezz’ora di auto da qui
Matteo Renzi va – con pari
controvoglia – a inscenare un
siparietto a favore di Vincenzo
De Luca, un candidato tecnicamente e formalmente impresentabile. La verità è che al Sud
il limite del pudore può essere
oltrepassato senza mai pagare
dazio. La piccola rappresentanza di fedelissimi che raggiunge l’hotel Vesuvio per acclamare (con tiepidezza) il ritorno in città dell’ex potentissimo Caimano sembra una
trincea sguarnita rispetto a
quella che affolla la giornata salernitana dell’imbarazzato premier a fianco di De Luca. Cinque anni fa erano tutti qui, oggi
sono di là. Il cambio di stagione, appunto.
Francesca Pascale, nel riquadro mentre mostra il tatuaggio Ansa
GIÙ A TORINO
di
A. Giamb.
I soliti sospetti: posti
in cambio dei voti
U
n grande classico delle elezioni
locali: un lavoro in cambio di
voti. Secondo la Procura di Torino sarebbe questa l’offerta fatta da Massimiliano Miano, esponente dei “Moderati” (centrodestra), vicepresidente della Circoscrizione 9, ad alcuni
giovani di Collegno nella primavera
2014, quando era candidato al Consiglio comunale. Ora è indagato per corruzione
elettorale dal pm Gianfranco Colace che ne ha chiesto il rinvio a giudizio: il 15 luglio l’uomo dovrà
comparire davanti al gup Francesca Firrao che deciderà se sottoporlo a processo. Una decina di giovani hanno raccontato agli investigatori i colloqui
col politico, confermando la denuncia di un candidato di una lista concorrente. “Non ho promesso
posti di lavoro – si discolpa Miano –. A gennaio ho
messo un annuncio per cercare collaboratori. Ho
assunto tre persone nel periodo elettorale e ho detto loro che se avessi raggiunto l’obiettivo avremmo
potuto valutare la collaborazione futura”. Insomma, un equivoco.
CHE TEMPI CHE FANNO
Berlusconi ospite da Fazio:
l’Agcom non può fermarlo
“L’unico giornale che leggo
è il Fatto, dopo colazione...”
di Virginia Della Sala
Ancora l’assistente che guarda
l’orologio. Ancora lei che se
n’impippa: “Mi ha regalato
l’Harley anche se è contrario
che guidi le moto”. Poi: “Questo partito dovrebbe essere
molto più battagliero sui diritti
civili. Guarda l’accendino che
ho? Ha i colori della comunità
gay”. Provocatoria: “L’unico
giornale che leggo è il Fatto. Ma
dopo colazione, per difendere
il mio stomaco”. Pascale sembra Berlusconi. È lei ad avere le
idee chiare. “Ci siamo alleggeriti di tutti i trasformisti. Li abbiamo consegnati a quelli là. A
De Luca”. Lui è ancora attorniato dall’ineffabile Giggino ‘a
Purpetta, un produttore di voti
ad alta intensità che oggi fa
avanzare suo figlio Armando,
con l’incredibile slogan “ora
tocca a noi” verso il seggio di
consigliere regionale. Il giovane Armando Cesaro, tranquilli, sarà tra i più votati in Campania e in lizza, se dovesse andare in porto la riforma costituzionale, a divenire senatore.
Il papà è deputato. Tutto si tie-
hissà se lunedì l’Agcom diC
scuterà davvero anche di
Silvio Berlusconi che, domeni-
ca sera, sarà ospite al programma di Rai3 Che tempo che fa.
Antonio Nicita, commissario
dell’Agcom (l’Autorità per le
garanzie nelle comunicazioni)
ieri è intervenuto sulla questione della par condicio in tv a pochi giorni dalle elezioni regionali e ha precisato che l’autorità è tenuta solo a interventi ex
post: non dà quindi pareri preventivi. La motivazione è che
altrimenti ci “sarebbe un’interferenza con la linea editoriale
delle reti”. A chiedere un parere preventivo sulla partecipazione dell’ex cavaliere da Fabio Fazio era stato il Pd, quando ancora la presenza di Berlusconi era solo un annuncio.
Poi, ieri, la certezza: “Ebbene sì
– ha twittato Fazio – domenica
24 maggio a Che tempo che fa ci
saranno: Piero Angela e l’ospite inaspettato... Silvio Berlusconi”.
Intanto, le agenzie trasmettevano il commento di Nicita:
“Lunedì è già convocata una
riunione
del
Consiglio
dell’Autorità sui temi della par
condicio: è possibile – ha detto il
commissario - che in quella se-
Fabio Fazio, Rai3 Ansa
SEMPRE DOPO
“Lunedì l’autorità
si riunirà per discutere
di par condicio.
Ma non possiamo
agire preventivamente
sulle scelte delle reti”
de ne discuteremo”. La partecipazione di Berlusconi si incastra perfettamente nella settimana in cui la par condicio sulla tv pubblica è stata messa a
dura prova. Domenica scorsa,
il presidente del Consiglio era
stato intervistato a L’Arena di
Giletti su Rai1, poi martedì
ospite di Bruno Vespa a Porta a
Porta.
AL CENTRO della polemica, il
contenuto delle sue dichiarazioni (i 500 euro ai pensionati e
i commenti sulle regionali sarebbero stati discorsi più da segretario del Pd che da figura
istituzionale) e l’assenza di un
contraddittorio in studio. Nicita si è espresso anche su questo.
Non c’è nessun ordine di riequilibrio per Giletti. Twittando, però, ha poi specificato che
un “richiamo” esisteva.
In serata se ne scopre l’entità: è
un “forte richiamo” da parte
dell’Agcom a garantire “entro
la fine della campagna elettorale un effettivo e sostanziale rispetto, nei programmi di approfondimento informativo,
della parità di trattamento tra le
diverse forze politiche in competizione, con specifico riguardo al format dei programmi,
caratterizzati o meno dal l’assenza di contraddittorio - quale
L’Arena - fra diversi soggetti politici e quelli istituzionali”. Probabile traduzione: l’Agcom riconosce che Renzi è stato ospite
a L’Arena come segretario del Pd
e chiede quindi alla Rai un necessario riequilibrio. L’azienda
di Viale Mazzini, invece, nel
pomeriggio di ieri aveva catalogato l’intervento dell’Authority come un “mero richiamo”.
Intanto, Giletti non può ospitare più nessuno (la puntata
con Renzi era la chiusura di stagione) e per la parità di trattamento resterebbe Fazio che,
domenica, ospiterà Berlusconi.
“È sempre la stessa storia. Negli
ultimi dieci giorni si cerca di
dare il massimo con l’invasione
televisiva e poi, quando il danno è compiuto, si corre ai ripari– spiega Alberto Airola, senatore del M5s e membro della
commissione di vigilanza Rai –
Renzi si gioca il doppio ruolo,
Berlusconi dice che parlerà di
altro e noi continuiamo a fare
esposti all’Agcom. Ma nulla
cambia. Dovrebbe cambiare
l’Agcom e speriamo di farlo
con la riforma della governance
della televisione di Stato”.
POLITICA
il Fatto Quotidiano
U
nità, Veneziani
è indagato. Il cdr:
“Faccia chiarezza”
“CHIAREZZA SUBITO sul caso Veneziani”. Lo
chiede il comitato di redazione de l’Unità, in una nota
con la quale esprime “forte preoccupazione” per le
ultime notizie di stampa sul nuovo editore del quotidiano fondato da Gramsci, Guido Veneziani.
L’uomo che dovrebbe riportare in edicola l’Unità sarebbe indagato dalla procura di Asti per bancarotta
fraudolenta e bancarotta semplice per le vicende re-
SABATO 23 MAGGIO 2015
lative alla stamperia piemontese Roto Alba. Il cdr è
in agitazione: “All’editore chiediamo che venga fatta
al più presto chiarezza su un fatto che se confermato
sarebbe di estrema gravità – si legge nella nota –. La
stessa chiarezza la chiediamo agli altri due soggetti
della compagine societaria: al gruppo Ps e allo stesso Pd (detentore del 5 per cento delle quote) che nei
mesi passati ha giocato un ruolo di primo piano nella
7
scelta e nel coinvolgimento dei diversi soci”. Dopo
dieci mesi dalla chiusura, scrive il cdr, “sarebbe inaccettabile assistere a un ennesimo rinvio per vicende
giudiziarie che nulla hanno a che fare con la storica
testata. Sarebbe inaccettabile sia per i lettori che per
i lavoratori. Essere azionista de l’Unità significa anche rispettare i valori fondamentali della legalità e
del rispetto del lavoro”.
LA CACCIA DI PALAZZO CHIGI
AL TESORO DELLA VECCHIA DITTA
L’AVVOCATURA DELLO STATO VUOLE RIPIANARE I DEBITI DELLA PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO CON LE BANCHE GRAZIE AL PATRIMONIO DELLA QUERCIA
di Tommaso
P
Rodano
alazzo Chigi si
muove: la Presidenza del Consiglio
sta lavorando per
mettere le mani sul patrimonio degli eredi del Pci, la cosiddetta Ditta. Ieri a Montecitorio è andata in scena l’ultima puntata della saga del
“tesoro dei Ds”: l’immenso
capitale di immobili (circa
2.400), palazzi di pregio e opere d’arte che i Democratici di
sinistra, al momento della nascita del Partito democratico,
non fecero confluire nel nuovo partito. Un tesoro, appun-
to, stimato in una cifra vicina
al mezzo miliardo di euro.
La fusione con la Margherita
e la galassia delle casseforti
Il responsabile delle finanze
diessine, Ugo Sposetti, lo
“preservò” dal nascente Pd,
facendolo confluire in una
sessantina di fondazioni locali: l’attuale partito, insomma,
nacque dalla fusione di Ds e
Margherita, ma senza ereditarne i patrimoni. Quello degli ex comunisti fu trattenuto
in una galassia di piccole “casseforti” in ogni angolo d’Italia, gestite da amministratori
locali fedeli alla storia della
CARTOLINE
Il Sud non è un bancomat
ma la rapina continua
di Franco Arminio
IL SUD non è un bancomat. La legge di Stabilità toglie 3,5 miliardi al Fondo Sviluppo e Coesione e li destina alla decontribuzione alle imprese, un gigantesco trasloco di denaro dal Sud al Nord. Lavorare per le aree
più deboli è faticoso e non porta a risultati immediati. Queste
aree non interessano a chi è interessato alla politica telegenica. Spero che i parlamentari sul Sud e in particolare delle
aree più deboli capiscano che bisogna opporsi: il 24 marzo
scorso alla Camera, alla discussione delle mozioni sulla rapina al Sud erano presenti 12 deputati in totale. Ma una nazione ha bisogno anche di terre non urbanizzate, ha bisogno
di spazi vuoti e questi spazi si trovano tutti nell’Italia interna.
Come si fa a non capire che riportare un pò di italiani dalle
coste alle montagne è un’operazione che fa bene a tutti? Perché si continua a trascurare il fatto che siamo una nazione
fatta in gran parte di montagne e paesi? Perché non ci sono
politiche degne di questo nome sulla montagna e sui paesi?
Ditta. Ora la Presidenza del
Consiglio – ovvero il segretario del Partito democratico –
si è messa in movimento per
appropriarsi del malloppo.
L’ha reso noto ieri mattina il
sottosegretario agli Esteri, Benedetto Della Vedova, rispondendo a nome del governo a
un’interpellanza del Movimento 5 stelle sul fallimento
de l’Unità: “La Presidenza del
Consiglio – ha dichiarato – è
impegnata, con l’ausilio
dell’avvocatura dello Stato e il
supporto dell’Agenzia delle
entrate, ad accertare la consistenza del patrimonio immobiliare facente capo ai Ds.
MALLOPPO ROSSO
Tra circa 2400 immobili,
palazzi di pregio e opere
d’arte è stimato in una
cifra vicina al mezzo
miliardo. Il tesoriere
dei Ds lo negò al Pd
In particolare quali siano, dal
2000 ad oggi, le proprietà immobiliari riconducibili ai Democratici di sinistra e al Pds,
dalla cui espropriazione le
banche avrebbero potuto recuperare tutto o in parte i propri crediti”.
Già, i crediti perché dentro alla vicenda del “tesoro” dei Ds
c’è un’altra storia, da cui scaturisce un lungo contenzioso
tra alcuni istituti bancari e la
stessa Presidenza del Consi-
LA CASSA
Lo storico tesoriere
dei Democratici di sinistra,
Ugo Sposetti Ansa
glio. Occorre un passo indietro. Nel 1999 il governo
D’Alema tira fuori dal cilindro una norma “salva Unità”.
Il giornale di partito (di cui
D’Alema è stato direttore) è
gravato da pesanti debiti con
le banche. All’epoca viene salvato grazie alla manina
dell’esecutivo, che istituisce
una parziale garanzia pubblica su quel debito. Il risultato è
un contenzioso che dura ancora oggi. Gli istituti creditori
hanno ottenuto dal tribunale
di Roma l’emissione una serie
di decreti ingiuntivi per riavere indietro il denaro dovuto. Palazzo Chigi, tramite
l’opposizione dell’avvocatura
dello Stato, ha risposto
all’azione delle banche chiamando in giudizio i Democratici di sinistra, “suggerendo”, insomma, di rivalersi sul
loro patrimonio immobiliare.
Per dare i soldi agli istituti
potrebbe esserci poco tempo
Di più: come dichiara Dalla
Vedova, la Presidenza del
Consiglio sta tentando di “accertare la consistenza del patrimonio”; in poche parole, si
è messa a cercare il tesoro,
grazie al lavoro dell’Agenzia
delle Entrate. Come spiega
ancora il sottosegretario, il risultato è che “il giudice ha effettivamente autorizzato la
chiamata in giudizio dei Ds e
ha concesso la clausola di
provvisoria esecutività ai decreti ingiuntivi delle banche,
che potrebbero così esigere la
liquidazione del credito nel
termine di 120 giorni dal deposito della decisione.” In sostanza, i soldi chiesti dalle
banche, in caso di successo
dell’azione legale, dovrebbero
essere restituiti entro quatto
mesi. L’esame nel merito è
previsto a novembre. Si tratta
di un sacco di denaro: l’in-
UGO SPOSETTI
“Se sono gli stessi
legali che hanno
perso il ricorso
sulle pensioni
alla Consulta... dormiamo
sonni tranquilli”
giunzione di pagamento presentata nel 2011 da Intesa San
Paolo e altre banche ammonta
a 109,572 milioni di euro. Si
aggiungono, nel 2014, altre tre
ingiunzioni di Banco Popolare, Intesa San Paolo e Bnl per
altri 94 milioni. E Palazzo
Chigi quei soldi conta di
prenderli dal tesoro diessino.
Sarebbe un successo clamoroso per Matteo Renzi, nella
doppia veste di presidente del
Consiglio e segretario del Pd:
è l’occasione per aprire una
breccia nel muro che gli impedisce di mettere nelle casse
(esangui) del Partito democratico il vecchio patrimonio
della Ditta.
Il custode del malloppo
se la ride ancora
Il geloso custode del malloppo
si chiama Ugo Sposetti, coriaceo e rossissimo ex tesoriere,
regista dell’operazione che ha
trattenuto il tesoro diessino al
momento della nascita del Pd.
Le ultime notizie non lo scalfiscono, Sposetti se la ride: “I
Ds non sono proprietari di
nulla. Due o tre immobili sono pure pignorati. L’avvocatura dello Stato ci ha chiamati
in giudizio? Se è la stessa avvocatura che ha perso il ricorso sulle pensioni in Consulta,
dormiamo sonni tranquilli...”.
Rimane un fatto sostanziale:
l’azione della Presidenza del
Consiglio per “dissotterrare”
il tesoro. “Lei dice? – replica
Sposetti, beffardo – A me la
risposta di Palazzo Chigi pare
ineccepibile. È una forma di
resistenza alla richiesta delle
banche”. Parla in terza persona: “Sposetti è un sostenitore
del prinicipio che alle banche i
soldi non si restituiscono. Palazzo Chigi sta facendo la stessa cosa: dice ‘i soldi chiedeteli
a qualcun altro’. Per una volta
sono d’accordo con la Presidenza del Consigio. Guardi
che è un fatto epocale!”.
DEPUTATO DEM
“Genovese libero”: ma i fan sono autista e parenti
di Giuseppe
Giustolisi
Catania
ome tanti reclusi eccellenti anche FranC
cantonio Genovese, il deputato del Pd in
carcere a Messina dal 15 gennaio scorso per
le accuse di truffa e frode fiscale nell’ambito
dell’inchiesta della Procura sulla formazione
in Sicilia, ha il suo gruppetto di fan che ne
invocano la scarcerazione. Ieri, nel corso
dell’udienza del processo che si tiene nell’aula bunker del carcere messinese di Gazzi,
fuori dell’ aula hanno fatto la loro apparizione alcuni signori in maglietta nera, su cui
era scritto “Francantonio libero”. Erano l’autista di Genovese, familiari e parenti.
DENTRO L’AULA invece a dargli sostegno
c’erano alcuni consiglieri comunali fedelissimi del deputato, con in testa l’ex candidato
sindaco Felice Calabrò, sconfitto al ballottaggio da Renato Accorinti, dileguatosi all’arrivo dei cronisti. Il nodo del processo contro
Genovese, giunto a dibattimento (che fra gli
altri vede imputato, insieme ad altre 29 persone, anche suo cognato, il deputato regionale del Pd Franco Rinaldi) riguarda il meccanismo truffaldino che, secondo le indagini
della Procura di Messina, coordinate dal Procuratore Aggiunto Sebastiano Ardita, inquinava la formazione in Sicilia. A partire dalla
ispezioni che dovevano controllare il lavoro
degli enti accreditati ma in realtà venivano
concordate con ampio preavviso con le varie
strutture. Così è emerso dalle intercettazioni,
come riferito ieri in udienza dal funzionario
di polizia Fabio Ettaro. Le informazioni sulle
ispezioni sarebbero state ripagate con incarichi per dirigenti e funzionari dell’ufficio del lavoro.
Autista e familiari di Genovese, fuori dal Tribunale di Messina E. Di Giacomo
SE ALCUNI CONTROLLI avvenivano senza preavviso,
arrivavano puntualmente le
scuse del dirigente dell’ufficio del Lavoro Venerando Lo
Conti, successivamente nominato commissario Istituto
autonomo case popolari. E i
gli sponsor della sua ascesa
sarebbero stati proprio Genovese e Rinaldi. Un meccanismo ben oliato, insomma,
che prevedeva anche condizionamenti sulla locale auto-
rità giudiziaria, come emerso da un’intercettazione tra l’ex assessore alla cultura Francesco Gallo e Salvatore La Macchia, uomo di
fiducia di Genovese e imputato nel processo.
Non solo: dall’inchiesta della Procura sono
emerse anche fatture gonfiate, con maggiorazioni anche del 600 per cento. Gli indagati
avrebbero utilizzato meccanismi finalizzati
alla rappresentazione di spese maggiori con
interposizione di più società. Un esempio era
quello dell’affitto di sedi per i corsi di formazione: una società affittava locali per una
cifra e poi li sub-affittava ad altri enti con un
sovrapprezzo.
Intanto a pagare le conseguenze della vicenda
sono le centinaia di lavoratori dell’Enfap, uno
degli enti della galassia Genovese, che hanno
perso il lavoro, mentre il deputato continua a
percepire lo stipendio da parlamentare. Proprio ciò che lamenta la senatrice dei Cinque
Stelle Nunzia Catalfo, che da mesi reclama
l’urgenza di intervenire a livello nazionale
per dichiarare lo stato di crisi del settore della
formazione siciliana.
8
ECONOMIA
SABATO 23 MAGGIO 2015
Fscioperare
ca-Cnh: vietato
senza
maggioranza Rsa
UN NUOVO CASO sindacale alla Fca, la
ex Fiat di Marchionne. A denunciarlo è la
Fiom secondo cui “l'accordo tra Fca-Cnh
e sindacati firmatari è un nuovo grave
passo: si taglia anche il diritto di sciopero". In base al nuovo accordo, infatti,
gli scioperi potranno essere indetti solo a
maggioranza delle Rsa firmatarie del
contratto aziendale, “limitando il diritto
di proclamarli anche per gli stessi delegati Fim, Uilm, Uglm, Fismic e Associazione quadri”, scrive la Fiom. “Un ipotesi costruita contro gli operai, in particolare quelli del montaggio” dice il sindacato di Landini.
"Stabilire che gli scioperi di stabilimento
il Fatto Quotidiano
sono decisi con la maggioranza assoluta
dei rappresentanti sindacali è una scelta
di democrazia e di responsabilità” risponde invece Ferdinando Uliano, segretario nazionale Fim, secondo il quale è
stata fatta “una scelta presente in molti
sindacati europei, a partire da quello tedesco”.
La Cgil blinda la conferenza
per fare fuori Landini
VARATE LE REGOLE PER ELEGGERE IL PROSSIMO SEGRETARIO GENERALE: NIENTE PRIMARIE
di Salvatore Cannavò
S
e Maurizio Landini
pensava di poter introdurre delle “primarie” in Cgil per
l’elezione del segretario generale, Susanna Camusso ha deciso di sbarrargli la strada. Il
documento con cui il primo
sindacato italiano sta per aprire la sua Conferenza d’organizzazione, e che Il Fatto ha potuto leggere, è strutturato in
modo tale da non lasciare alcuno spazio a una campagna
elettorale di massa, ad esempio tra i delegati di base, come
pensava Landini. Le regole individuate per eleggere il prossimo segretario della Cgil, infatti, sono regole che blindano
l’organizzazione interna e determinano un equilibrio del
tutto sfavorevole al leader della Fiom.
La conferenza è una procedura complicata, da addetti ai lavori. La Cgil la svolgerà a livello territoriale - ma non fra
le categorie - tra il 3 e il 30
giugno e poi terrà l’assise nazionale il 17 e 18 settembre a
Roma, all’Auditorium della
Musica. Quello che ha fatto infuriare Landini e la Fiom – che
ha votato contro questo documento all’ultimo direttivo nazionale tenutosi la scorsa settimana a Bologna – è la norma
che individua la platea con cui
si eleggerà, fra tre anni, il prossimo segretario nazionale.
SARÀ UN’ASSEMBLEA gene-
rale, pari al doppio dell’attuale
comitato direttivo (circa 180
membri, quindi 360 in tutto),
quindi una sorta di “grandi
elettori”, che verranno eletti
per via interna alla Cgil, cioè
dalle conferenze d’organizza-
zione locali. Anche queste, del
resto, saranno formate da delegati eletti all’interno dei territori in forme più ristrette rispetto ai normali congressi. “Si
tratta di un’occasione mancata
e, in fondo, anche di una presa
in giro” dice Landini al Fatto.
“L’occasione mancata riguarda la possibilità di allargare
davvero la partecipazione cosa
che con questo meccanismo
viene di fatto impedita”.
Landini aveva avanzato una
proposta diversa. Se proprio
non si possono fare le primarie, cioè una votazione del segretario aperta a tutti gli iscritti, “almeno si potevano far votare i delegati della Cgil nelle
Rsu”, quindi direttamente nei
posti di lavoro. Una platea di
diverse migliaia di sindacalisti
di base tra i quali l’ipotesi di
una candidatura non direttamente espressione del vertice
ANTI-COALIZIONE
Nel testo si prevede una
platea di “grandi elettori”
senza democrazia
diretta. Il leader Fiom:
“Un’occasione mancata
e una presa in giro”
avrebbe potuto godere di una
certa attrazione.
L’IPOTESI invece non è stata
presa in considerazione. Sembra che Susanna Camusso fosse disposta a concedere qualcosa a Landini, ma buona parte del gruppo dirigente, in particolare alcune categorie fieramente avverse alla politica e al
protagonismo di Landini, lo
Maurizio Landini e Susanna Camusso: è di nuovo scontro Ansa
hanno impedito.
A scanso di equivoci, poi, nel
testo della conferenza si prendono decisamente le distanze
da forme di democrazia diretta. “Privilegiando forme di collegialità di direzione a tutti i
livelli” si legge, la Cgil si pone
“in alternativa alle pratiche
personalistiche e plebiscitarie
spesso più rispondenti a bisogni mediatici che di reale coinvolgimento democratico di
iscritte e iscritti”.
Il messaggio, dunque, è chiaro
e Landini sembra averlo compreso bene se è vero che la
Fiom ha deciso di votare contro il documento e di avere
quindi un profilo di opposi-
zione.
Lo scontro tra le due anime
della Cgil, però, continua anche negli aspetti formali. La
Cgil ha infatti convocato il direttivo nazionale per i giorni 5
e 6 giugno. Ma il 6 giugno la
Fiom terrà a battesimo la Coalizione sociale di cui ieri è stato
reso noto il documento fondativo basato su lavoro, ambiente, diritti sociali, antirazzismo e dichiaratamente “al di
fuori e non in competizione rispetto ai partiti”.
Il dispetto organizzativo costringerà Landini a scegliere
dove stare e certamente il segretario Fiom non diserterà la
“sua” Coalizione sociale.
CRONACA
il Fatto Quotidiano
Isil barista
coraggio
ribella alla mafia:
”Non pago il pizzo”
di Angela Camuso
QUATTRO RAPINE in pochi mesi. L'ultima giovedì, con tanto di furto a mano armata. Ma Francesco
Massaro, titolare di una nota pasticceria nel centro
di Palermo, non ha intenzione di mollare: “Non è più
tempo di cedere al ricatto, io il pizzo ai mafiosi non
lo pago”. Massaro, ex giornalista del Giornale di Sicilia, che anni fa ha deciso di dedicarsi al suo bar in
via Ernesto Basile, non ha dubbi sugli episodi che gli
sono capitati negli ultimi mesi: “So bene che si tratta di segnali chiari che mi vengono lanciati per spingermi a cercarmi un 'amico', il mafioso a cui chiedere protezione”. Ma sarebbe una resa. “Io non pagherò: è una sorta di imperativo morale che mi sono dato da tempo. Non punto il dito contro i commercianti che pagano, so che è difficile non farlo.
Ma io ai mafiosi i soldi del mio lavoro non li do”.
“ONOREVOLE, mi rivolgo a Lei, nella memoria del nostro cardinale Pericle Felici, perché possa intervenire
nella maniera idonea a risolvermi
questo problema…”, scriveva il 29
agosto dell’89 Vergari a Giulio Andreotti. La risposta scritta al prelato
era arrivata in Vaticano il 19 ottobre
dello stesso anno: “Caro Monsignore, ho ricevuto la Sua lettera nella
quale mi parla del caso del Sig. De
Pedis. Le assicuro che mi interesserò
nei limiti del possibile”, garantiva
Andreotti in merito alla questione
chiaramente spiegata da Vergari
nella prima lettera. La persona da favorire, Marco De Pedis, fratello di
Renatino e a lui strettamente legato,
aveva infatti assunto al ristorante
“Popi Popi” di Trastevere, all’epoca e
tuttora gestito da lui insieme all’altro
fratello di Renatino, Luciano, due seminaristi polacchi raccomandati da
un prete che era un comune amico di
Vergari e Andreotti. Erano sorti dei
problemi perché il ristoratore non
9
COSA NOSTRA
“C’è un piano
per uccidere
due magistrati”
PALERMO, UNA È SILVANA SAGUTO:
GESTISCE I BENI MAFIOSI SEQUESTRATI
CARO MONSIGNORE...
C
i sono le lettere di raccomandazione in favore di
persone in cerca di un impiego, tra Oscar Luigi Scalfaro e monsignor Piero Vergari, il
sacerdote indagato per il sequestro
di Emanuela Orlandi. E analoghe
missive, sempre dello stesso periodo, tra Giulio Andreotti e lo stesso
Vergari per sollecitare un intervento
dell’allora capo del governo presso
un ufficio di polizia – il commissariato di Roma Trastevere – a favore
del ristorante dei familiari più stretti
di Enrico De Pedis detto Renatino,
boss della banda della Magliana. I
documenti sono stati sequestrati nel
2009 dalla Squadra mobile a casa del
prete accusato di aver avuto a che
fare con la sparizione della tredicenne cittadina vaticana di cui si sono
perse le tracce dall’83. Carteggio ora
all’attenzione del gip, che dovrà decidere sulla sorte degli indagati
nell’inchiesta bis sul sequestro.
Da sette anni si segue la pista impervia dell’alleanza diabolica tra la
banda della Magliana e l’ormai defunto monsignor Paolo Marcinkus,
ex presidente dello Ior, la banca vaticana. Sullo sfondo, festini per preti
depravati con ragazzine minorenni
e ricatti figli degli sporchi giri di denaro tra lo Ior e il Banco Ambrosiano di Roberto Calvi.
SABATO 23 MAGGIO 2015
di Sandra Rizza
Palermo
uovo allarme attentato a Palermo: stavolN
ta nel mirino dei killer di Cosa Nostra c’è
Silvana Saguto (nella foto), presidente della se-
NEL FASCICOLO LE MISSIVE DEI POLITICI
Dall’inchiesta bis sul sequestro di Emanuela Orlandi,
scomparsa nell’83, emergono lettere in cui Oscar Luigi
Scalfaro si impegnava a fare raccomandazioni in Rai.
Questa è del ‘90, due anni dopo Scalfaro salirà al Quirinale. E nell’89 Giulio Andreotti, presidente del Consiglio,
prometteva di intercedere presso la polizia per il ristorante del fratello del boss della Magliana Enrico De Pedis.
E Andreotti promise
un aiuto ai familiari
del boss della Magliana
NELL’89 IL PRELATO VERGANI GLI CHIESE UN INTERVENTO PER I DE PEDIS.
TRA GLI ATTI SUL CASO ORLANDI LE RACCOMANDAZIONI DI SCALFARO
aveva comunicato la presenza dei
due stranieri in Questura.
Come è noto, la Procura ha chiesto,
per mancanza di prove, l’archiviazione dell’indagine per il sequestro e
l’omicidio di Emanuela a carico dello stesso Vergari e di altri quattro ex
sodali alla banda, tra i quali l’ex
amante di De Pedis che ha fatto partire la nuova inchiesta, Sabrina Minardi. Questo nonostante alcuni oggettivi riscontri alle dichiarazioni
della testimone: vecchi colloqui in
carcere; testimonianze recenti; indagini patrimoniali e intercettazioni
che hanno svelato l’esistenza di una
fitta rete di legami familiari e di interesse tuttora esistenti tra i sospettati della vicenda. Tra questi riscontri, le lettere in questione pur non
provando contatti diretti tra i politici
e la banda della Magliana confermano l’inquietante rete di relazioni in
cui si muoveva un personaggio come
Vergari, a cavallo tra esponenti della
finanza vaticana, inquilini di Palazzo
Chigi e assassini di borgata. Non a
caso il monsignore divenne famoso
quando si scoprì che, in qualità di
reggente della basilica di Sant’Apollinare in pieno centro a Roma, era
stato lui a chiedere all’allora capo
della Cei, cardinale Ugo Poletti, il
nullaosta per la scandalosa sepoltura
di Enrico De Pedis, morto ammazzato, nella cripta fino a quel momento riservata a spoglie di illustri rappresentanti della cultura italiana.
VERGARI, vicinissimo anche a Mar-
cinkus, scambiava numerose missive con Oscar Luigi Scalfaro proprio
in quei mesi immediatamente precedenti e successivi all’assassinio di
Renatino. Al futuro capo dello Stato,
il sacerdote chiedeva di intercedere
per un medico siriano che voleva essere promosso a vice-sovrintendente in un concorso interno della Polizia di Stato e per un tecnico esperto
di montaggio che aveva a cuore di
lavorare in Rai. Vergari ottenne an-
che in questo caso risposte rassicuranti dal suo illustre interlocutore:
“Reverendo e caro Monsignore –
scriveva Scalfaro al sacerdote il 26
giugno del ‘90 – Le assicuro che ho
svolto, presso la Rai tv, il più vivo interessamento in favore del signor E.
M. T., nel senso desiderato”.
C’è infine un ultimo contatto eccellente. Una lettera di Vergari recente,
datata 9 dicembre 2005 e indirizzata
ad Andreotti. Essa ha per oggetto
proprio lo scandalo nel frattempo
scoppiato sulla stampa per la sepoltura di De Pedis a Sant’Apollinare.
“Illustrissimo onorevole senatore
Giulio Andreotti, ho saputo che si è
interessato a me – scriveva Vergari
dagli Stati Uniti dove si era ormai definitivamente trasferito –. Avendo
conosciuto che anche televisione e
stampa hanno parlato a lungo di
quanto avvenuto 15 anni fa, i superiori mi hanno consigliato di stendere queste brevi note che le mando
per conoscenza...”.
zione Misure di prevenzione del Tribunale, la
donna che l’ex procuratore Gian Carlo Caselli
definì “la più importante di Palermo”, perché
dal Palazzo di giustizia gestisce “enormi capitali”: quelli sequestrati agli imprenditori mafiosi. A rivelare il piano di morte, che riguarda
anche un altro magistrato, una nota dei servizi
di sicurezza che nei mesi scorsi ha messo in
guardia la Procura di Palermo, segnalando un
patto tra il clan dominante di Gela e le famiglie
mafiose palermitane per uccidere i due giudici
con quello che è stato definito uno “scambio di
omicidi”: i sicari gelesi avrebbero agito nel capoluogo siciliano, da dove sarebbe partito l’altro commando per colpire ad Agrigento.
L’obiettivo era centrare entrambi i bersagli
senza destare sospetti.
L’ALLARME dell’intelligence è trapelato ieri, ma
le intercettazioni che
avrebbero rivelato l’accordo risalirebbero a
qualche tempo fa: le indagini avrebbero accertato
che a volere lo “scambio
di omicidi” era il clan Emmanuello di Gela. Ai killer di Palermo, gli Emmanuello avrebbero chiesto
di eliminare un giudice che consideravano un
nemico: secondo indiscrezioni, si tratterebbe
di Renato Di Natale, oggi procuratore di Agrigento, in passato aggiunto a Caltanissetta dove
coordinò le indagini per la cattura di Daniele
Emmanuello, latitante da 11 anni e ucciso in un
conflitto a fuoco nel 2007 mentre cercava di
fuggire. In cambio, i boss palermitani avrebbero chiesto ai gelesi l’eliminazione della Saguto, ritenuta troppo attiva nella lotta ai capitali mafiosi: il progetto, però, sarebbe stato
neutralizzato grazie ad alcuni arresti. Attorno
al magistrato, nei mesi scorsi, è stata potenziata
la sicurezza: più uomini di scorta, macchina
blindata e sorveglianza fissa sotto casa.
Nei giorni scorsi, Saguto è tornata al centro delle polemiche sulla gestione delle aziende sequestrate a Cosa nostra, dopo che Pino Maniaci,
direttore dell’emittente Telejato, ha chiesto di
essere ascoltato nuovamente dalla Commissione antimafia per denunciare un “business a
sei zeri sui patrimoni sequestrati”, che sarebbe
gestito “da un gruppo ristretto di amministratori giudiziari che ruotano attorno al presidente della sezione Misure di prevenzione”.
Imi-Sir, il governo paga per la corruzione
CESARE PREVITI E ALTRI DUE AVVOCATI PAGARONO IL GIUDICE METTA CHE DIEDE RAGIONE AL PETROLIERE ROVELLI CONTRO LA BANCA
di Davide
Vecchi
er corrotti e corruttori della vicenda
P
Imi-Sir paga lo Stato: la Presidenza del
Consiglio dei ministri deve versare 173 mi-
volte accertato, Sir era un baraccone clientelare. Eppure in quel 1994 il Tribunale di Roma
condannò Imi a pagare e anche allora, visto che
l’istituto di credito era pubblico, i soldi li mise
lo Stato: 1.000 miliardi di lire che la famiglia del
petroliere, ritengono i magistrati che più volte
lo hanno inutilmente cercato, prontamente
portò all’estero.
Nel 1992, Ilda Boccassini e Gherardo Colombo
sospettano che alcuni giudici romani abbiano
lioni di euro a Intesa Sanpaolo. A scrivere l’ultimo capitolo della “più grande corruzione
della storia italiana”, iniziata nel 1994 e proseguita al fianco del procedimento gemello
Lodo Mondadori, è la seconda sezione civile
del Tribunale di Roma che giovedì
ha condannato Vittorio Metta e Giovanni Acampora in solido con lo
25 ANNI DOPO
Stato a rifondere i danni a Intesa. Ma
i due, nonostante abbiano ricevuto
I condannati
tangenti per oltre mille miliardi di
vecchie lire, risultano insolvibili.
non hanno soldi, i danni
LA VICENDA inizia nel 1990. La Sir
del petroliere andreottiano Nino Rovelli, dopo il fallimento, fa causa a
banca Imi accusandola di non aver
concesso i crediti che l’avrebbero salvata. In realtà, come è stato poi più
a Intesa Sanpaolo,
che ha assorbito Imi,
li deve risarcire
Palazzo Chigi: 173 milioni
Cesare Previti Ansa
venduto le proprie sentenze. E tra questi c’è
Vittorio Metta, quello che diede ragione ai Rovelli. Le “toghe sporche”, corrotte dagli avvocati Giovanni Acampora, Attilio Pacifico e Cesare Previti. Corruttori per conto dei loro
clienti: Rovelli nel caso Imi-Sir e Silvio Berlusconi per Sme e Lodo Mondadori. Nel 2006
la Cassazione trasforma in fatto accertato la
corruzione nella vicenda Imi: Previti, Pacifico
e Acampora avevano versato a Metta almeno
un miliardo di lire. Condannato per corruzione il giudice. Condannati i tre intermediari
che per il loro lavoretto avevano ricevuto dai
Rovelli una tangente all’estero di 67 miliardi di
lire.
Nel frattempo la banca è stata acquisita da
Intesa Sanpaolo e nel 2006, dopo la pronuncia
della Cassazione chiede i danni, assistita dagli
avvocati Angelo Benessia, Bruno Cavallone e
Simone Orengo. Giovedì 21 maggio la sentenza.
Il danno complessivo riconosciuto ammonta a
570 milioni, ma gli altri condannati hanno preferito transare. Previti e Pacifico hanno versato
ciascuno 114 milioni di euro, 160 gli eredi Rovelli. L’ex ministro della Difesa ha rateizzato
quanto dovuto a Intesa solo dopo aver raggiunto con la banca un accordo nel 2008: Previti paga e l’istituto si impegna a non andare
avanti nelle aule giudiziarie nei suoi confronti.
L’ultimo assegno è arrivato a fine 2008: 17 milioni di euro partiti da una banca delle Bahamas e transitati in una finanziaria del Liechtenstein.
DEI 570 MILIONI iniziali (Intesa ne aveva chie-
sti il doppio) rimane un residuo di 173 milioni
di euro a carico di Acampora e Metta. Anzi
dello Stato. Questo perché, spiegano i giudici
della II sezione Civile nelle 185 pagine di sentenza, Metta era un magistrato e la legge 117
del 1988 impone allo Stato di coprire, in caso di
insolvenza del condannato, il risarcimento dei
danni “cagionati nell’esercizio delle funzioni
giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati”. Lo Stato è chiamato a intervenire anche per
Acampora perché ha agito nel medesimo disegno corruttivo di Metta.
10
Quel che resta di un sistema
I grandi scandali giudiziari interrompono
corruzione, malaffare e associazioni
a delinquere. Ma la vita delle imprese, le reti di
potere e l’intreccio degli interessi proseguono.
A volte superano la bufera e riprendono a
funzionare. A volte si inceppano. A volte sembrano ricominciare: la crisi del Monte ha
costretto in ginocchio l’intera città mentre la
banca non è ancora riuscita a cambiare rotta
di Camilla Conti
e Davide Vecchi
A
Siena
tto finale a Rocca Salimbeni:
l’aumento di capitale da 3 miliardi deliberato dal cda giovedì è l'ultima possibilità per il
Monte dei Paschi. E già volteggiano gli sciacalli su Piazza Affari tanto che il presidente di Consob, Giuseppe
Vegas, ha sentito la necessità di avvisare il mercato: da lunedì, quando prenderà il via l'offerta,
l'intera operazione sarà costantemente monitorata dall'organismo di vigilanza. Del resto già ieri
il titolo ha registrato un andamento anomalo.
Prima sospeso al ribasso, poi al rialzo. In mezzo
un’altalena infinita, dopo ben cinque giorni di
terreno negativo con una perdita cumulata del
18,5%. A Siena, invece, l'interesse per le sorti della
banca non è più quello di un tempo. Perché per i
senesi non esiste più già da un pezzo. C’era una
volta il Monte. E ha travolto tutto. L’ultima pedina a cadere è stata il Palio di Siena: orgogliosamente difeso dal 1644, ora il marchio – compresi simboli e colori di tutte le 17 contrade – finirà su tazze, matite, orologi e cappellini. L’autorizzazione allo sfruttamento commerciale ha
ricevuto la benedizione del Consorzio tutela Palio di Siena.
L’ennesima conseguenza del domino innescato
nel gennaio 2013 dalla crisi del Monte e dall'inchiesta giudiziaria sulla gestione di Rocca Salimbeni che ha travolto gli ex vertici della banca e
costretto alle dimissioni dalla guida dell'Abi l'allora presidente Giuseppe Mussari. Un domino
che sembra non avere mai fine. E che ha trascinato a terra l’intera città: la blasonatissima squadra di basket Mens Sana, il Siena calcio, l'università, il polo museale. Tutto. Oltre alla galassia finanziaria collegata all'istituto di credito: società
controllate finite in bancarotta, la storica Fondazione spogliata e ridotta a mera osservatrice, migliaia di dipendenti licenziati o esternalizzati.
Gli sciacalli ballano
sulle macerie di Mps
Profumo e Viola
ripresi da Bce e Consob
I vertici, Alessandro Profumo e Fabrizio Viola,
chiamati per salvare almeno i conti dell'istituto
di credito, non sono finora riusciti a bloccare le
tessere. Che continuano a cadere. Dopo i 4 miliardi ricevuti attraverso i Monti bond, si è rivelato inutile l'aumento di capitale da 5 miliardi
del giugno 2014: ora l'istituto si accinge a sottoscriverne un altro da 3. E la Bce, dopo aver
bocciato i conti durante gli stress test di settembre, ha intimato la banca di individuare un partner per una possibile fusione. Ma l'unica prospettiva realistica è l'ingresso da parte dello Stato. Non solo. La Banca centrale ha rivelato come
la drammatica situazione finanziaria sia dovuta
per lo più ai crediti deteriorati e non, come si è
sempre lasciato intendere, alle conseguenze dei
derivati Alexandria e Santorini sottoscritti da
Mussari. Dopo l’intervento di Francoforte, Mps
ha riportato nel bilancio 2014 il dato delle perdite su crediti: 7,8 miliardi. Contro i 2,7 del 2013,
i 2,6 del 2012 e l'1,3 del 2011. Non è finita qui.
Nella relazione trimestrale appena approvata si
legge una breve annotazione: “Alla luce delle in-
L’ultima possibilità: servono 3 miliardi Le operazioni spericolate
della gestione Mussari, i derivati, le inchieste, le concessioni ai partiti
e i favori agli amici. È la storia del declino della banca di Siena.
Discesa proseguita con la gestione Profumo-Viola: oltre 23 miliardi di
crediti deteriorati e 5,34 miliardi di perdite. Lunedì parte l’aumento di
capitale, la chance finale. Gli speculatori in Borsa sono già in azione
dagini in corso a opera della Procura di Milano,
la Consob sta approfondendo le modalità di
contabilizzazione delle operazioni di long term
structured repo”. Tradotto: Mps nei resoconti finanziari ha finora calcolato le due operazioni
non come derivati. L’organismo di vigilanza potrebbe invece stabilire che questa modalità è erronea e costringere quindi la banca a riscrivere i
bilanci degli ultimi anni.
SULL’OTTOVOLANTE
Titolo sospeso. Interviene la Consob
ULTIMO CAPITOLO di quella che un vecchio
spot del Monte definiva “una storia italiana”.
Giovedì sera il cda della banca ha fissato il
prezzo dell’aumento di capitale che partirà lunedì 1,17 euro, pari a uno sconto del 38,9% sul
prezzo teorico ex diritto, una operazione iperdiluitiva che offre ai soci 10 nuove azioni per
ciascuna posseduta. Il titolo ieri è finito sulle
montagne russe: è stato sospeso per eccesso
di ribasso a inizio seduta quando perdeva il
5%, ha poi strappato al rialzo nel corso della
mattinata chiudendo infine con un +0,75% a
9,45 euro e facendo registrare un boom di
scambi. Lo scossone è stato preceduto da cinque sedute consecutive al ribasso, per una
perdita cumulata del 18,5 per cento. La Consob ha così acceso il faro sulle contrattazioni
facendo attenzione, si legge in un comunicato,
"al rispetto delle misure in tema di vendite allo
scoperto" e "dell'obbligo
di consegna dei titoli in
sede di liquidazione". Infatti, l'aumento di capitale, ha segnalato, "presenta caratteristiche di forte
diluizione", circostanza
che determina il rischio
che durante il periodo di
offerta in opzione delle
nuove azioni si verifichino
anomalie di prezzo. La Commissione ha quindi
raccomandato a tutti gli attori del mercato l'adozione di "comportamenti virtuosi" per minimizzare il rischio che durante il periodo di offerta in opzione si verifichino le sopracitate
anomalie di prezzo. E a Siena a qualcuno ieri è
scappata la battuta: “Consob stai serena”.
Ca. Con.
Le ingerenze politiche,
una pratica mai interrotta
Un domino che non ha fine. Spinto anche dalla
politica, come ha certificato la magistratura. La
politica decideva chi nominare nel cda della banca e della Fondazione, cassaforte attraverso cui
poi distribuire milioni di euro ad amici ed enti di
amici. Emblematica l'intercettazione di Giuliano
Amato, oggi giudice della Corte costituzionale,
che chiede a Giuseppe Mussari, all’epoca guida di
Mps, i soldi per il circolo del tennis di Orbetello di
cui è tuttora presidente onorario. “Mi hanno fatto
sapere che il Monte vorrebbe scendere da 150 a
125 mila euro, ma siamo già sull’osso”, si lamenta
Amato. L’amico Giuseppe lo rassicura.
A certificare le ingerenze politiche ci sono anche
verbali di interrogatorio. Gabriello Mancini, ex
presidente della fondazione, ai magistrati racconta della spartizione di poltrone tra centrosinistra e
centrodestra. Non solo Pd, dunque. Dichiara ai
magistrati senesi il 24 luglio 2012: “La mia nomina, come quella dell’avvocato Mussari alla guida della banca, fu decisa dai maggiorenti della politica locale e regionale e condivisa dai vertici della
politica nazionale”. Per la mia nomina, prosegue,
lo sponsor principale, Alberto Monaci (nel 2006
Margherita ora Pd), attuale presidente del Consiglio regionale della Toscana, gli riferisce “che
era stato trovato un accordo con i Ds”. Mentre per
il via libera ad Andrea Pisaneschi quale espressione del Pdl nel Cda di Mps e di Carlo Querci
come “espressione dei soci privati”, Gianni Letta
telefona a Silvio Berlusconi e poi richiama Mancini dicendogli che “il presidente aveva dato il suo
assenso”, precisando che Pisaneschi “era persona
vicina all’onorevole Gianni Letta”. Dopo pochi
mesi emerge un documento con la spartizione tra
Pdl e Pd non solo delle nomine in Mps, ma anche
delle amministrazioni locali – province e comuni
– con in calce i nomi di Denis Verdini e Franco
Ceccuzzi all’epoca sindaco di Siena.
La politica sdegnata scopre di avere le mani sporche. L'allora rottamatore Matteo Renzi grida alla
necessità di cambiare registro. “Mai più ingerenze”, tuona. Al Comune, commissariato dopo le
dimissioni di Ceccuzzi (presentate proprio a seguito di dissidi nella maggioranza su chi nominare nel cda nel maggio 2012), viene eletto Bruno
Valentini, secondo molti pilotato dallo stesso
Ceccuzzi. Il nuovo sindaco Pd nel corso della
campagna elettorale aveva garantito che la politica avrebbe smesso di soffocare Rocca Salimbeni. Pochi mesi dopo, nel giugno 2013, manda
un sms a Renzi: “Allora procedo così su Mps?”.
Risposta: “Valentino ma io che c’entro con le nomine del Monte?”. Ancora a marzo 2015, lo stesso
Valentini ha indicato i nomi da inserire in fondazione. Pubblicamente.
Il nuovo sindaco Pd
indagato per falso e omissione
Per la composizione della lista della Fondazione
Mps in vista del rinnovo del cda di aprile il sindaco ha sponsorizzato Fiorella Bianchi, direttore
commerciale della Conad Tirreno. Si è opposto
il presidente dell’ente senese Marcello Clarich,
messo comunque in minoranza durante le votazioni. Clarich ha ottenuto una piccola rivincita
nei giorni scorsi quando il cda del Monte ha ritenuto che la Bianchi sia indipendente ai sensi
del Tuf (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria), ma non ai
sensi del Codice di autodisciplina, “per la significatività di rapporti creditizi in essere tra Mps e
le società facenti capo al gruppo in cui il consigliere riveste l'incarico di direttore generale”.
In base all’ultimo bilancio disponibile, quello
del 2013, la Conad del Tirreno risulta esposta
con la controllata del Monte, Mps Capital Services per un finanziamento residuo di 56,3 milioni con scadenza 2021 più un residuo di 3,2
milioni con scadenza 2028 per un mutuo ipotecario. Ma Bianchi è riuscita a fare il suo in-
5,PERDITE
3mld
NEL 2014
L’ULTIMO
BILANCIO
La perdita
civilistica registrata
ad aprile
4IL,6BUCO
mld
DERIVATI
liere bianco (magari straniero e dalle tasche gonfie di quattrini) potrebbe riuscire a risvegliarla.
Certo, la dote non è delle più attraenti.
Nella primavera del 2012, Profumo eredita un bilancio 2011 chiuso con una maxi-perdita da 4,69
miliardi di euro, di cui 4,47 per rettifiche di valore
dell'avviamento e degli intangibili. La raccolta
complessiva ha registrato una flessione del 7,2% a
281 miliardi, i crediti verso la clientela sono scesi
a 147 miliardi (-5,6%), mentre lo stock del portafoglio titoli e derivati si è mantenuto stabile a 38
miliardi. “Il piano di breve e lungo termine prevede la banca in un’ottica stand-alone, così com’è
successo fino a oggi”, promette l’allora neo amministratore delegato Fabrizio Viola. Promessa
azzardata. Il 2012, quello che avrebbe dovuto essere il bilancio della svolta e il primo firmato dal
tandem Viola-Profumo, viene infatti archiviato
con 3,17 miliardi di perdite, gli analisti si aspettavano un rosso da 2,3 miliardi. Colpa delle rettifiche su crediti che, anche su pressing della Banca d'Italia, sono salite a 2,67 miliardi e di 700 milioni di perdite scatenati dalla finanza allegra dei
precedenti vertici che si riassumono con le tre
operazioni in strumenti derivati Alexandria, Santorini e Nota Italia. L'esposizione del portafoglio
finanza ammonta a 38,4 miliardi, di cui 26,4 verso
titoli di Stato italiani. Per far fronte a questa situazione, sono stati sottoscritti aiuti di stato
(Monti bond) per oltre 4 miliardi (di cui 1,9 miliardi gli ex Tremonti Bond emessi nel 2009). Viene inoltre prevista la chiusura di 200 filiali e l'uscita anticipata di 1.000 dei 1.660 dipendenti. La
cura però non funziona.
Il bilancio 2014, l’ultimo firmato da Profumo che di fatL’ultimo Palio
to è dimissionario, è stato
La situazione della
chiuso con l’ennesima perstorica banca di
dita record: 5,34 miliardi
Siena, dopo la gecontro 1,4 miliardi nel 2013.
stione Mussari, non
I vertici danno la colpa alle
è affatto migliorata.
rettifiche per circa 5,7 miDa lunedì parte
liardi a seguito dell’asset
l’aumento di capiquality review della Bce e degli
tale. E potrebbe esstress test che hanno fatto
sere l’ultima possiemergere un gap di 2,1 mibilità Ansa
liardi nel capitale della banca senese. Ma a crescere è anche l'esposizione netta dei
crediti deteriorati in aumento del 10% a 23,1 miliardi rispetto al 2013. I crediti verso la clientela
sono invece calati dell'8,4% a 120 miliardi, mentre
la raccolta diretta è risultata stabile a 126 miliardi.
L’unica certezza è che il Monte è costretto a varare
un nuovo aumento di capitale fino a 3 miliardi,
superiore ai 2,5 miliardi inizialmente previsti. I
conti non sono migliorati nell’ultima trimestrale
nonostante questa abbia fatto registrato (dopo tre
anni) un ritorno all’utile per 72,6 milioni di euro
(grazie alle operazioni di trading).
Sette miliardi di crediti persi
e l’attesa del cavaliere bianco
Il premier Matteo Renzi Ansa
gresso, come desiderato da Valentini.
Il sindaco vive una stagione già vissuta dal suo
predecessore Ceccuzzi anche per i guai con la giustizia. Se l'ex primo cittadino durante il suo mandato era stato indagato per il pastificio Amato e
per questo poi rinviato a giudizio con l'accusa di
concorso in bancarotta fraudolenta assieme a
Mussari, l’attuale sindaco da venerdì scorso è
iscritto nel registro degli indagati per falso in atto
pubblico e omissione d'ufficio. La vicenda risale
al 2010, quando Valentini guidava il Comune di
Monteriggioni, ed è legata a presunti abuso edilizi. Se ne occupa la procura di Siena. “Dichiaro la
mia totale estraneità dai fatti”, ha ovviamente
commentato Valentini. Ma a Siena molti ne invocano le dimissioni.
I conti ancora disastrati
e i passivi occultati per anni
Vittima principale è ancora oggi l’ormai esanime
banca. Infettata dal virus Antonveneta di mussariana memoria e ancora in coma dopo ben tre
anni di nuova gestione da parte del tandem Profumo-Viola. Tanto che solo l’arrivo di un cava-
Su 1,3 miliardi di flussi di nuovi crediti problematici, il principale punto di debolezza del gruppo, circa 400 milioni sono dovuti all'esposizione
verso l'amministrazione pubblica. L’obiettivo di
utile netto 2018 a 880 milioni di euro è considerato troppo aggressivo dagli analisti.
Quanto alle filiali, che nel 2007 – anno dell’acquisto di Antonveneta – erano 2.000 (poi diventate 3.000), nel 2018 diventeranno 1.800 visto che
nei prossimi tre anni è prevista la chiusura di altri
350 sportelli, mentre 700 saranno ristrutturati,
per risparmiare 23 milioni. Ultimo dato: nel 2007
il Monte capitalizzava 12,6 miliardi. Oggi 2,7.
Tutta colpa degli errori del passato? Certo, gli
strascichi dell’era Mussari pesano ancora sul bilancio: dall’onere straordinario di 22 milioni sulle
imposte sul reddito lasciato dal Fresh 2008 (la
controversa emissione che servi' per pagare parte
dell'acquisto di Antonveneta) alle scorie dei derivati sottoscritti con Deutsche Bank e Nomura.
Ma se il malato non si è ancora ripreso e, anzi,
continua ad accusare gli stessi sintomi, la responsabilità è anche del nuovo management. Tanto che
anche i soci sudamericani Btg Pactual e Fintech
avrebbero manifestato perplessità per alcune
scelte del management chiedendosi perché non sia
stata fatta una svalutazione totale delle perdite fin
da subito dopo l’approvazione dell’ultimo bilancio della gestione Mussari.
Rimane l’ultimo atto: l’aumento di capitale che
prenderà il via lunedì. Monitorato da Consob. Un
passaggio delicatissimo che preoccupa i vertici.
Non la città. C’era una volta il Monte dei Paschi di
Siena.
il Fatto Quotidiano
L’ESPOSIZIONE
VERSO NOMURA
Valore a fine marzo.
Effetto del derivato
“Alexandria”
SABATO 23 MAGGIO 2015
2CREDITI
3,1mlAd
RISCHIO
11
PRESTITI
FACILI
I crediti deteriorati
sono aumentati del
10% rispetto al 2013
L’AVVOCATO DE MOSSI
“Nulla è cambiato,
il potere è rimasto
alla solita politica”
iena è una città immobile. Quando
accadono terremoti come quello che
S
ha scosso questa città si assiste a un ri-
cambio della classe dirigente. Qui non è
successo. Chi ieri aveva il potere continua ad averlo, soprattutto a livello di Pd
locale, cambiano i nomi ma si tratta di
personaggi che avevano legami profondi
con la “Siena da bere” di qualche anno fa.
Il sindaco Bruno Valentini non è riuscito
a spezzare antichi schemi. La lezione Antonveneta non è servita”. Ne è convinto
l’avvocato senese Luigi De Mossi, che
rappresenta alcune delle parti civili per il
filone Antonveneta trasferito a Milano e
che ha assistito i 250 dipendenti Mps
esternalizzati in Fruendo, poi reintegrati
su richiesta del giudice nel Monte. De
Mossi, insieme a pochi altri, ha denunciato in tempi non sospetti il cosiddetto
“groviglio armonioso”. Inutilmente.
A parte lei e i blogger senesi che ai tempi
di Giuseppe Mussari erano gli unici a criticarne la gestione, a Siena oggi chi fa la
parte dell’opposizione?
C’è stata un’atomizzazione della politica
locale. La Lega ha fatto un’attività di contrasto, presentarono loro il primo esposto contro l’operazione Antonveneta.
Oggi la battaglia è rilanciata anche per
motivi elettorali da Salvini e dal suo candidato in Toscana Claudio Borghi. Ma al
tempo non ebbe alcun ritorno in termini
di consenso. Non andò bene nemmeno
PASSATO E PRESENTE
all’alternativa di lista civica di Eugenio
Neri. Forse quella campagna elettorale
(vinta dall’attuale sindaco Valentini,
ndr) era arrivata troppo presto, non erano scoppiati i casi della Mens Sana, di
Siena Biotech, della Sansedoni, ovvero
l’onda grossa della crisi. Ma, ripeto, su
certe istanze Siena è immobile.
Eppure in Fondazione con la presidenza
di Antonella Mansi qualcosa si era mosso. Anche sul fronte degli equilibri interni
al governo dell’ente dove sono rappresentate le istituzioni locali. L’orologio è
tornato indietro anche lì?
Sono stato un sostenitore di Mansi perché si è impuntata sul rinvio dell’aumento di capitale che al tempo ha consentito
alla Fondazione di salvarsi, fu una mossa
quasi rivoluzionaria per questa città dove le iniziative di buon senso sono missioni quasi impossibili. Il suo successore,
Marcello Clarich, credo si stia rendendo
conto solo adesso dei lacci che imbrigliano chi deve governare l’ente. Di certo, è
stato rotto un tabù: fino a pochi anni fa
alcune società partecipate dalla Fondazione e dalla stessa banca erano intoccabili, ora non è più così. Penso alla Siena
Biotech, per la quale di recente il tribunale ha accolto la domanda di fallimento. Avere una partecipata oggetto di una
procedura concorsuale, un tempo sarebbe stata considerata una eresia. Credo
che Clarich abbia buone intenzioni ma
ha sottovalutato certi meccanismi di
questa città e ha commesso alcuni errori
che la Mansi, forse perché meglio consigliata, era riuscita a evitare. Il punto però è sempre lo stesso: deve essere chiarito
una volta per tutte se la Fondazione è indipendente dalla politica oppure no.
Passiamo alla banca. Il presidente Alessandro Profumo lascerà dopo l’aumento
di capitale. Come è valutata la sua gestione a Siena?
Giuseppe Mussari
Alessandro Profumo
L’allora presidente e numero uno dell’Abi Ansa
Oggi al vertice, alle prese con
l’aumento di capitale Ansa
Posso dirle come la valuto io. Premetto
che sia Profumo sia l’amministratore delegato Fabrizio Viola sono dei corpi
estranei alla città, sono dei banchieri
professionisti, dei tecnici. Come tali non
hanno alibi. E il numero delle trimestrali
in rosso presentate sotto la loro gestione
parla da solo.
La Bce ha sollecitato il Monte a valutare
eventuali aggregazioni. Segno che la ricapitalizzazione da 3 miliardi non basta,
serve un cavaliere bianco. Siena è pronta
alle nozze magari con uno straniero?
Antonio Vigni
Fabrizio Viola
L’ex amministratore
delegato LaPresse
Il nuovo ad, doveva risollevare il Monte LaPresse
Ci sono due correnti di pensiero. C’è chi
vorrebbe aprire le porte agli stranieri salvo poi condizionarne l’ingresso con i soliti giochini. E poi c’è chi insiste sull’italianità e sulla senesità: qui si vuole e si
deve controllare tutto, non si valuta il risultato ma quanto e come si può incidere
sulle decisioni della banca. Sebbene sia
un liberista convinto, mi sento di dire:
Dio ci salvi e liberi dalle privatizzazioni
di banche come il Monte. Speriamo venga nazionalizzata.
L’inchiesta giudiziaria su Antonveneta.
Chi ha sbagliato, pagherà?
Franco Ceccuzzi
Bruno Valentini
L’ex sindaco di Siena, l’uomo delle spartizioni Ansa
Il primo cittadino, famoso
per la gaffe con Renzi Ansa
Di fronte a eventi come quelli che hanno
investito questa città e questa banca le
soluzioni, ce l’ha insegnato anche Tangentopoli, non sono mai giudiziarie. Le
inchieste possono offrire un assist al
cambiamento ma la rinascita deve partire dalla società. Le indagini su Antonveneta sono state portate avanti a Siena
da magistrati giovani e motivati. Ma sono partite tardi, a tre anni dall’acquisto
di Antonveneta. I buoi sono già scappati.
Cam. Con.
12
MONDO
SABATO 23 MAGGIO 2015
Pianeta terra
il Fatto Quotidiano
SITO PER ADULTI RUBATI 3,5 MILIONI DI DATI
Informazioni e preferenze sessuali di 3,5 milioni di
persone sono stati rubati dagli hacker che hanno
attaccato il sito di incontri per adulti Adult Friendfinder, che ha 63 milioni di iscritti. Il sito si definisce “la più grande comunità di incontri di sesso e
di scambisti”.
UCRAINA SOLDATI RUSSI “IN RICOGNIZIONE”
Armati ma senza ordine di sparare: secondo l’Osce, i due uomini
catturati dalle truppe di Kiev avrebbero confessato di appartenere
all’esercito russo, in Ucraina per una “missione di ricognizione”. Per
Mosca sono invece ex militari costretti a mentire dagli ucraini Ansa
OBAMA CHE NON VA ALLA GUERRA
SI RITROVA L’ISIS TRA I PIEDI
STRATEGIA A SINGHIOZZO DEL LEADER USA, TANTO CHE ANCHE L’ITALIA
CHIEDE UNA “VERIFICA”. INTANTO IL CALIFFATO AVANZA DALLA SIRIA ALL’IRAQ
di Giampiero
I
Gramaglia
l suo potere è anche
hard – è il comandante
in capo del più micidiale apparato militare
mai esistito – ma lo esercita, si
sarebbe detto una volta, alla
“Sor Tentenna”: tra il dialogo
e la guerra, spesso esitante il
primo, mai determinante la
seconda. Per il presidente Usa
Barack Obama, i cambi di
strategia sono all’ordine del
giorno e il prossimo deve essere imminente, se persino
l’Italia gli chiede apertamente
una verifica: segno che ormai
è stata decisa. Anche se Oba-
ma tiene fermo un punto: non
vuole mandare truppe in
campo. Davanti all’avanzata
parallela dei miliziani jihadisti in Iraq e in Siria, il governo
italiano – afferma a Riga il ministro degli Esteri Gentiloni –
“è preoccupato” e considera
“fondamentale” una verifica
“della strategia che stiamo attuando”.
L’OCCASIONE sarà un incon-
tro a Parigi il 2 giugno, dove il
Segretario di Stato Usa Kerry e
i rappresentanti dei 60 Paesi
alleati faranno il punto sulla
lotta al Califfato. Che, per il
momento, non dà tregua: sul
Il Califfo punisce anche i sauditi
KAMIKAZE NELLA MOSCHEA SCIITA: 20 MORTI
L’Isis, per la prima volta, va all’attacco anche in Arabia
Saudita: i jihadisti dello Stato islamico hanno rivendicato
l’attentato kamikaze che nell’est del paese ha devastato
una moschea sciita, causando la morte di una ventina di
persone e il ferimento di oltre 100 fedeli Ansa
terreno, all’esercito iracheno e ai ‘lealisti’ di
Al Assad; e nell’etere,
con un assillante minacciosa propaganda
anti-occidentale. Daqib,
la rivista scritta in inglese degli integralisti, affida al
suo giornalista di riferimento, John Cantlie, il reporter
britannico ostaggio,
divenuto
stella mediatica
jihadista, la minaccia di un attacco senza
pari contro
l’America,
VERSO PARIGI
Il 2 giugno, summit
in Francia
con il Segretario di
Stato John Kerry
e i rappresentanti
dei 60 Paesi alleati
magari un attentato nucleare.
In un pezzo intitolato “La
tempesta perfetta”, come il
film diretto da Wolfgang Petersen nel 2000 – ma qui la
tempesta è l’avvento del Califfato – Cantlie esalta la capacità di coordinamento degli
integralisti a livello globale in
tempo reale, così che “la potenzialità per operazioni mai
viste cresce esponenzialmente”. Questo nel web o per azioni terroristiche in campo avverso.
SUL TERRENO di guerra, stra-
tegie e dinamiche sono più
tradizionali. Negli ultimi otto
giorni, dopo settimane di
bombardamenti aerei della
AL BIVIO
Il presidente Usa
Barack Obama
è giunto quasi
a fine mandato
LaPresse
coalizione internazionale e attacchi letali dei droni Usa contro alcuni capi, i miliziani
hanno conquistato Ramadi,
capitale della provincia irachena sunnita di al-Anbar, e
Palmira, nel deserto siriano,
oltre al valico di frontiera di al
Tanaf, a Sud.
Ora, il regime di Assad ha perso il controllo di metà del territorio nazionale e di tutti e tre
i passaggi di frontiera con
l’Iraq: Bukamal era già in mano ai jihadisti; e a Nord al Jarrubia è gestito dalle forze curde. Nelle ultime ore, gli integralisti sono ancora avanzati
nella provincia centrale di
Homs, alla frontiera con
l’Iraq, occupando impianti di
gas.
Rispetto all’avvio della campagna aerea lanciata lo scorso
autunno dalla coalizione internazionale a guida americana, e nonostante disfatte nei
mesi scorsi al confine tra Turchia e Siria e in Iraq, specie a
Tikrit, i miliziani hanno allargato il territorio da loro controllato nei due Paesi. Le forze
di Baghdad, da quando il sostegno iraniano s’è ridotto,
non reggono il confronto con
Hillary Clinton e Bashar al Assad, presidente siriano dal 2000 Reuters/Ansa
i jihadisti; e i lealisti di Assad
paiono quasi in rotta, come se
avvertissero scricchiolii nel
regime, non più in grado di
proteggere chi lo sostiene.
CE N’È QUANTO basta per
mettere sotto accusa una strategia inefficace sia a sconfiggere il nemico sia a tenere uniti gli alleati. Mentre Washington cerca di coinvolgere
Teheran in Iraq, gli iraniani
aprono un fronte anti-sunnita
nello Yemen e le monarchie
del Golfo, alleate degli Stati
Uniti, si coalizzano con l’Egitto contro gli insorti sciiti in
quel Paese. Non a caso, mentre ciò accade, l’avanzata dei
miliziani ritrova slancio.
In Siria, ieri, dopo un mese di
assedio, i governativi hanno
lasciato ai ribelli islamisti siriani, stavolta qaedisti del
Fronte al-Nusra, un ospedale
appena fuori Jisr al-Shughour,
nella provincia di Idlib (siamo
già in area alauita, la roccaforte di al Assad). E c’è stato
pure il sequestro di un religioso, padre Jacques Mourad,
priore del monastero di Mar
Elian, rapito da un commando sotto la minaccia delle armi. Il sacerdote appartiene alla comunità di Mar Musa El
Habashi, fondata dal gesuita
italiano padre Paolo Dall'Oglio, sequestrato il 29 luglio
2013 e di cui non si hanno notizie.
il Fatto Quotidiano
MONDO
BALTIMORA INCRIMINATI SEI AGENTI
Per la morte dell’afroamericano Freddie Gray, deceduto mentre era in custodia e con una lesione alla colonna vertebrale, un gran giurì ha incriminato
ieri formalmente i sei agenti coinvolti, aprendo la
via al processo. Ad annunciarlo, il procuratore del
Maryland, Marilyn Mosby. LaPresse
FRANCIA AI POVERI IL CIBO IN PIÙ: È LEGGE
L’Assemblea nazionale francese ha approvato ieri
una legge per ridurre della metà la quantità di cibo
sprecato entro il 2025: i supermercati, tramite accordi con le organizzazioni di beneficenza, dovranno donare, ridurre in concime o in foraggio per gli
animali il cibo non venduto. LaPresse
SABATO 23 MAGGIO 2015
13
Frau Europa in cattedra
tra Putin e Tsipras
LA MERKEL DETTA LA LINEA (DURA) DELL’UNIONE SULLA CRISI UCRAINA E SI SPENDE
PER UNA SOLUZIONE (CHE CONVENGA ALLA GERMANIA) SU QUELLA GRECA
I
UN MONDO IN GUERRA
A sinistra, rifugiati a Baghdad;
qui sopra, un’esplosione
a Donetsk, in Ucraina Reuters
IRLANDA Oggi i risultati
del referendum gay
rlanda: ore di attesa e una giornata di scrutini
I
prima di conoscere l’esito del referendum per
cui ieri 3,2 milioni di persone sono state chiamate a
votare. Si saprà, insomma, se gli elettori vogliono
introdurre o meno i matrimoni gay nella Repubblica. L’Irlanda è infatti il primo Paese al mondo ad
avere indetto un referendum sui matrimoni tra persone dello stesso sesso, anche se quello sulle nozze
gay non è l’unico quesito referendario (per modificare la costituzione) che è stato sottoposto agli
irlandesi: i cittadini sono stati chiamati a votare anche sulla proposta di ridurre l’età per l’eleggibilità
del presidente della Repubblica: passerebbe, infatti,
dai 35 ai 21 anni.
l suo potere è tutto soft,
ma lo esercita con pugno
di ferro in guanto di velluto. Al Vertice di Riga
tra i leader dell’Ue e i loro vicini
dell’Europa orientale, Angela
Merkel riesce a evitare il peggio
(con la Russia) e a tenere insieme i fili dei negoziati che s’intrecciano fra i 28, per la Grecia e
sull’immigrazione. Certo, dal
Vertice non esce nulla, ma non
c’è neppure la smagliatura
d’una polemica (troppo) sopra
le righe. In un’occasione analoga, a Vilnius, 18 mesi or sono,
la precipitazione dell’Unione
nell’assecondare la presidenza
di turno lituana fu la miccia che
fece deflagrare il conflitto tra
Russia e Ucraina. Questa volta,
tutti sono avvertiti e la Merkel
tiene sotto controllo la presidenza di turno lettone, ancora
più oltranzista della lituana nei
sentimenti anti-russi.
PER L’AGENDA dell’Immigra-
zione proposta dalla Commissione europea, con le quote di
ripartizione dei rifugiati e missioni navali anti scafisti schiavisti, e per la trattativa con la
Grecia perché rispetti gli impegni e faccia le riforme, non è
qui l’ora delle decisioni. Ma la
Cancelliera, tra plenaria e bilaterali, evita esasperazioni e
si mostra convinta che l’intesa alla fine si troverà. Senza cedimenti, però. Alla
Russia, non glielo manda a
dire che il G8 anche que-
st’anno sarà un G7, se nella crisi
ucraina Putin continuerà a non
rispettare il diritto internazionale. Di tutte le sanzioni, questa
è quella che fa meno male, pur
facendo un sacco di rumore. La
Merkel ne aveva già informato
il Bundestag, giovedì: il ritorno
della Russia nel Gruppo dei
Grandi è “inimmaginabile”, fin
quando Mosca non agirà nel rispetto della democrazia.
Il vertice si svolge a giugno a Elmau, in Baviera, sotto la presidenza di turno tedesca: “Gli sviluppi in Ucraina sono la ragione
per cui ci incontreremo in 7 e
non 8”, spiega la Cancelliera. Se
Vladimir Putin e Alexis Tsipras Ansa/LaPresse
“il G7 è una comunità di valori,
che lavora insieme per la libertà,
la democrazia, lo stato di diritto”, per farne parte bisogna “rispettare le leggi degli Stati e la
loro integrità territoriale”:
“Quel che fa la Russia in Ucraina non è compatibile con tutto
ciò”. Sono toni fermi, ma misurati. Della Russia, l’Unione –
specie Italia e Germania - ha bisogno per gli approvvigionamenti energetici e – specie l’Italia - perché non si metta di traverso all’Onu sull’idea d’una
missione navale anti-scafisti (nel Consiglio di Sicurezza, Mosca ha diritto di
veto).
LA STRATEGIA dell’im-
migrazione non è in
agenda a Riga. Ma la
Merkel continua a giocarsi il jolly della solidarietà. Francia e Spagna, le
cui levate di scudi anti-quote avevano stupito,
precisano: non sono contro il
principio, ma contro i criteri.
L’Esecutivo rifarà i compiti, in
vista del prossimo round, già
martedì.
E la Merkel si conferma centrale
nella trattativa con la Grecia,
che, come era già successo ad
aprile, esclude di nuovo l’Italia:
la Cancelliera vede il premier
Tsipras con il presidente francese Hollande e senza esponenti
delle Istituzioni Ue (l’assenza
del presidente della Commissione Juncker è un ‘mini-giallo’). La trilaterale dura 2 ore e
mezza, in una suite dell’Hotel
Radisson: all’uscita, volti sorridenti, ma bocche cucite. La
Grecia e i suoi creditori hanno
di fronte una settimana di fuoco: stipendi e pensioni da pagare, crediti da restituire e poca liquidità. A fine vertice, Tsipras,
sempre ottimista, parla di “toni
costruttivi”, la Merkel avverte
che resta da fare “molto lavoro”.
E tutti partono sereni, senza accordi, ma senza litigi.
OGGI LA CERIMONIA A SAN SALVADOR
Non subito, ma beato: il miracolo di Romero
di Nuccio Ciconte
l cattolico, o per meglio dire il cristiano,
I
quando si creano le condizioni giuste per
un’insurrezione popolare, deve partecipare co-
me tutti gli altri cittadini”. Era il 25 ottobre
1979. A dirmi queste parole in un’intervista per
l’Unità non era un “prete rivoluzionario” o un
esponente della “teologia della liberazione”. Era
un ex parroco di campagna, un conservatore e
proprio per questo da quasi due anni, scelto come arcivescovo di San Salvador. Non era la prima volta che andavo a trovare monsignor Óscar
Arnulfo Romero nella sua residenza privata, in
una bella zona collinare della capitale.
POCHI GIORNI PRIMA, come ogni domenica
da quando mi trovavo in quel disgraziato Paese
del Centro America, ero nella basilica del Sacro
Cuore. Sull’altare, a celebrare messa, c’era monsignor Romero. Le sue omelie erano un appuntamento imperdibile. Lo erano per noi pochi
giornalisti internazionali che di tanto in tanto
andavamo per raccontare le atrocità di uno tra i
più duri regimi militari delle “Repubbliche delle
banane”, ma soprattutto per una fetta sempre
più crescente di popolo salvadoregno. In migliaia riempivano la basilica o si assiepavano davanti alla chiesa dove la parole di monsignor Ro-
mero venivano diffuse dagli altoparlanti; tanti, non lasciare solo l’ex parroco di campagna.
tantissimi altri si sintonizzavano sulla radio Perché, seppur circondato dall’affetto dei più
dell’arcivescovado. Quelle omelie erano un pu- poveri, dai ceti popolari, monsignor Romero era
gno nello stomaco ai vertici militari e a quel davvero solo. Era odiato dai detentori del potere
gruppo di grandi famiglie di oligarchi che ten- che lo consideravano un traditore (l’arcivescovo
tavano di schiacciare ogni forma di protesta sin- aveva incominciato a denunciare le atrocità del
dacale o politica, esercitando un ferreo controllo regime quando un anno prima gli squadroni
sui giornali, le radio, le televisioni. L’unica voce della morte avevano ucciso Rutilio Grande, un
fuori dal coro – in un paese senza informazione tranquillo sacerdote, suo grande amico). Non
– era quella alta e forte di monsignor Romero: era d’altra parte molto amato dagli ambienti di
dall’altare faceva un minusinistra, dai seguaci della
zioso resoconto della setti“teologia della liberaziomana passata. Citava il nune”. Ricordo i commenti
liquidatori che avevo racmero dei morti uccisi dalla
repressione, ricordando il
colto, nei miei primi viaggi, all’Università cattolica
nome e il cognome delle
vittime e accusava gli apdi El Salvador. Solo un anparati di sicurezza dello
no dopo quei gesuiti che
Stato. Denunciava natudisquisivano sui massimi
ralmente anche episodi di
sistemi cominciarono a
violenza gratuita della
guardarlo con meno ostiguerriglia di sinistra.
lità. La stessa cosa era sucPartecipare alla messa docessa con i gruppi guerrimenicale era una sfida
glieri (i cubani bollavano
aperta al regime. I salvadol’arcivescovo come un
“pattinatore”, uno che va
regni che salivano i gradini
L’OMICIDIO DEL 1980 da una parte all’altra). Sì,
del Sacro Cuore sapevano
Mons. Romero fu ucciso dagli squadroni era solo monsignor Romedi rischiare la vita, ma andella morte il 24 marzo 1980 Ansa ro e guardato con fastidio
davano per farsi coraggio e
anche in Vaticano, tanto che all’indomani del 24
marzo 1980, quando fu assassinato mentre celebrava la messa in una piccola cappella della
capitale, Giovanni Paolo II si limitò a inviare ai
vescovi salvadoregni soltanto un generico,
quanto freddissimo, messaggio di cordoglio.
Poi nulla più. Oggi, dopo 35 anni, Óscar Arnulfo
Romero verrà beatificato e finalmente riconosciuto come martire della Chiesa.
QUEL MONSIGNORE l’avevo visto per l’ultima
volta il 27 gennaio 1980. Era domenica. Dopo
l’omelia, sulla sua Fiat 750 avevamo raggiunto la
sede del soccorso giuridico dell’arcivescovato
dove c’era una riunione con i familiari dei desaparecidos. Erano giorni difficili. Le intimidazioni contro i giornalisti stranieri pesanti.
“Chiamatemi anche di notte, avete il mio numero diretto”, ci diceva per farci coraggio. E
quando gli chiedevamo se avesse paura, rispondeva evasivo: “Militari e latifondisti non mi
amano, non mi considerano un loro fratello...”.
Aveva ricevuto minacce ma apparentemente
era tranquillo. Ricordo il giudizio sprezzante di
un diplomatico occidentale: “Il compito della
Chiesa non è fare politica. Ma lui vuol fare la
prima donna. Tanto sa che è un intoccabile, nessuno gli farà del male”. Fu assassinato due mesi
dopo.
G. G.
14
SABATO 23 MAGGIO 2015
SECONDO
TEMPO
S P E T TAC O L I . S P O RT. I DE E
“SLURP!”TRAVAGLIO
A PADOVA E A UDINE
“Slurp”, lo spettacolo di
Marco Travaglio con Giorgia
Salari (regia di Valerio
Binasco) andrà in scena
questa sera alle 21 al Gran
Teatro Geox di Padova.
Domenica (h. 21) al Teatro
Nuovo Giovanni da Udine
di Elisabetta
GIRO: ARU MAGLIA
ROSA, CONTADOR GIÙ
Una caduta a 3,2 Km dal
traguardo a Jesolo sconvolge
la classifica generale del
Giro: lo spagnolo perde
la leadership e ora insegue
il ciclista sardo a 19 secondi.
Vittoria di tappa per
l’azzurro Sasha Modolo
A
TRA LE DUE GUERRE il punto di convergenza
La portavoce Sabine Kehm,
a quasi un anno e mezzo
dall’incidente sugli sci, fa il
punto sulla situazione dell’ex
campione del mondo: “Fa
continui progressi nonostante
il gravissimo infortunio. Ma
ci vorrà moltissimo tempo”
STORICO
Reguitti
ngelo Del Boca, giornalista, saggista e storico
del colonialismo italiano, oggi compie 90 anni. Giovane alpino nella Rsi (Repubblica sociale italiana) di Salò dalla quale fuggì: “Non
potevo rimanere con chi ammazzava i ragazzi”, entrò poi nel Giorno negli Anni Sessanta e divenne storico antifascista.
Il giornalista piemontese, che porta addosso
il fardello della sua deportazione in Germania, inquadra l’evento della Prima guerra
mondiale partendo dal padre Giacomo. Albergatore che partecipò alla Prima battaglia
dell’Isonzo combattuta dal 23 giugno al 7 luglio 1915, tra l’esercito italiano e quello austro-ungarico che ne respinse l’offensiva.
LO STAFF: “SCHUMACHER
STA MIGLIORANDO”
Angelo
Del Boca,
90 anni, figlio
di un fante
della
prima Guerra
Mondiale,
è autore
di numerosi
saggi storici
Il giorno in cui l’Italietta
entrò nel “Guerrone”
“FU IL CONFLITTO DELLA TERRA”, SCONVOLSE LA VITA DI TUTTI, RICORDA ANGELO DEL BOCA
quarant’anni”.
Il papà che talvolta, ricordando in modo ossessivo quegli anni, stringeva forte il braccio
del piccolo Angelo. Accadeva quando la narrazione si faceva tragica, come quella mattina
in cui scoppiò una bomba che provocò un’
immensa nube. Giacomo venne travolto dal
terrore che ciò che si stava propagando fosse
gas tossico. Era senza alcuna protezione, nes-
sicuramente “è rappresentato dai traumi e i
drammi di una generazione gettata allo sbaraglio nel conflitto”. Del secondo Angelo ha
scritto nel suo diario di soldato diciannovenne dal titolo Nella notte ci guidano le stelle recentemente pubblicato da
Mondadori. Giacomo invece
da giovane uomo di ritorno
A mezz’asta
dal fronte ne raccontava al figlio: l’uno seduto accanto
all’altro davanti al piccolo tavolo di pietra nella casa in cui
abitavano in provincia di Novara: “Avevo al massimo 7
anni e ne rimanevo sorpreso e
spaventato. Parlava della trincea, del fango e dei topi. Di
quando lo avevano messo a
spostare malati, feriti, o a volte addirittura morti dalla teleferica sulla quale venivano
trasportati alle barelle”.
Angelo alto e robusto, il padre Giacomo più basso e minuto “ma dalla grande forza
fisica e di volontà. Come del
resto era mia madre che allora, poco meno che trenten- LA POLEMICA DEL TRENTINO
ne, rimase sola ad allevare i 5 “L’inizio di una guerra è una sconfitta per l’umanità”.
figli e a gestire il grande Al- Fa discutere la decisione del presidente della Provincia
bergo della fonte nella Val di Bolzano Kompatscher, che osserverà un minuto di
d'Ossola di cui era proprie- silenzio ma terrà le bandiere a mezz’asta. Stessa scelta
tario mio padre partito per il per il presidente del Trentino Alto Adige, Ugo Rossi
fronte del ’15-’18 all’alba dei
Dallo sparo all’ecatombe:
le piaghe dei gas e della
Spagnola, prima epidemia globale
IL PRIMO SPARO La guerra inizia nel luglio del 1914, in seguito
all'assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando, erede dell’Impero austro-ungarico. L’Italia,
inizialmente neutrale, entra nel
conflitto il 23 maggio 2015, dichiarando guerra all’Austria.
suna maschera sul viso; tentò di rifugiarsi lon- ticamera del fascismo. “La campagna di Libia
tano nascondersi nella baracca consapevole come errore del presunto orgoglio italiano. Ci
che nulla lo avrebbe potuto salvare.
andammo, rimanemmo combattendo e per“Mio padre era ossessionato dalle armi chi- dendo. Ma soprattutto perpetrando lo stermiche. Quasi un presagio di quella che poi è minio degli abitanti della Cirenaica” affonda
stata la mia strada” spiega lo studioso italiano lo scrittore riportando la riflessione all’attuache per primo denunciò le atrocità compiute lità e l’errore geopolitico che secondo lui è
dalle truppe italiane in Libia, l'impiego di armi stato ripetuto con la guerra a Gheddafi. Poi la
chimiche e la creazione di campi di concen- conversazione torna alla commemorazione
tramento: contestato dalle asdella guerra combattuta da
sociazioni di reduci e di proGiacomo Del Boca che per
Angelo fu peggiore della Sefughi oltre che dalla stampa:
IL PADRE SOLDATO
“Montanelli non me lo perconda perché si lottava nel
fango. “Fu la guerra della terdonò mai”, ricorda sorriden“Avevo 6-7 anni ed ero
do Del Boca, riprendendo l'ara”.
neddoto di Giacomo sopravLa guerra del ’14-’18 coinvolspaventato dai suoi
vissuto a quel giorno poiché
se 27 Paesi uccidendo 10 miracconti. Parlava della
lioni di persone e lasciando
la nuvola che aveva avvolto
tutto non era gas bensì sola20 milioni di feriti. Fu la pritrincea, del fango e dei
ma guerra moderna con l’utimente polvere. Giacomo e
lizzo di nuove armi su larga
Angelo Del Boca: padre e fitopi. Di quando spostava
glio, entrambi soldati in eposcala: gas tossici, mitragliatrimalati, feriti, a volte morti” ci, carri armati, aerei e sotche diverse uniti però da
quella stessa terra chiamata
tomarini. Il conflitto provocò
lo scioglimento dell’impero
Libia.
austroungarico, di quello ottomano oltre alla
“SONO STATO il biografo di Gheddafi che ho fine della stagione degli zar travolti dalla riincontrato personalmente nel 1996 a Tripoli, voluzione bolscevica del 1917; per gli storici
nella sua tenda”, ricorda rimarcando la linea segnò il declino della “vecchia Europa” con
di continuità con il 1911 alla vigilia della l'ingresso sulla scena mondiale degli Stati
Grande Guerra in cui combattè il padre.
Uniti e anche dei paesi dell’altro emisfero:
In quello stesso periodo, durante la spedi- Australia e Nuova Zelanda, i cui soldati venzione militare italiana in Libia, papa Pio X nero a combattere in Asia ed Europa.
ebbe a dire: “Le cose vanno male, non parlo di La battaglia globale fu anche contrassegnata
questa guerra. Verrà il Guerrone!” che per dalla cosiddetta “spagnola”: l'epidemia che
l'Italia iniziò il 24 maggio 1915: ne uscì con riuscì a mietere più vittime della Grande guerTrento e Trieste ma prostrata da una pro- ra stessa.
fonda crisi economica, politica e sociale [email protected]
LA DURATA Il conflitto dura dal
28 luglio 1914, giorno della prima dichiarazione di guerra, all’11
novembre 2018, quando venne
firmato l’armistizio di Compiègne tra l’impero tedesco e le potenze alleate. Più di quattro anni, esattamente 1.565 giorni
1.565
GIORNI
DI GUERRA
il Fatto Quotidiano
SABATO 23 MAGGIO 2015
15
La trincea della memoria
L’intervista/1
L’intervista/2
Boris Pahor
Giorgio Pressburger
Il mio secolo
‘orrido’
e dimenticato
di Eli. Reg.
B
LA GRANDE CARNEFICINA
Soldati italiani in trincea. In tre anni e mezzo
di guerra, dal maggio 1915 al novembre 1918,
morirono oltre 600 mila persone LaPresse
Il viaggio di Nicolò
lungo i due fronti
LONDRA 10 maggio 2014. Inizia da qui il
viaggio di Nicolò Giraldi a ridosso delle linee
del fronte della Prima guerra mondiale, alla
ricerca di tracce ma soprattutto di persone
che non hanno aspettato il 2015 per ricordare: "Quelli che evitano la retorica della celebrazione puntando piuttosto sull'evocazione”. Il 9 luglio 2014 Giraldi raggiunge Trieste.
Il giornalista racconta il suo cammino in un
libro dedicato all'omonimo bisnonno, fante in
divisa austroungarica sul fronte orientale. Da
Dover in traghetto fino a Dunkerque per poi
attraversare Francia e Belgio, toccando città
come Lille, Virton, Verdun, Metz, Strasburgo
per poi spostarsi in pullman fino a Stoccarda
e raggiungere la Baviera a piedi. Londra-Trieste passando dalle Fiandre, transitando dalla
Germania meridionale, percorrendo il Tirolo,
le Dolomiti, le Alpi Carniche fino a Caporetto.
Costeggiando l’Isonzo e camminando lungo
il Carso. Tutto raccolto e trascritto in un diario, diventato il libro "La Grande Guerra a piedi. Da Londra a Trieste sui luoghi del primo
conflitto mondiale” edito da "Biblioteca
dell’Immagine" in uscita martedì 26 maggio.
Eli. Reg.
GLI SCHIERAMENTI Per effetto
delle varie alleanze stipulate, tutte le grandi potenze mondiali
presero parte al conflitto. Da un
lato il blocco degli imperi centrali
(Germania, Austria, Impero ottomano), dall’altro gli Alleati (Francia, Inghilterra, Russia, Italia).
inviata a Trieste
Ma modernità
e democrazia
nascono da lì
guerre mondiali. La civiltà del XXI
secolo è schifosa, senza memoria,
continua a comportarsi in spregio
all’etica politica e sociale. II dolore
dei bombardamenti, la fame, la negazione dell’uomo nei campi di concentramento: sembra che tutto ciò
non sia servito a nulla, tutto rimosso. Oggi, proprio ai vertici dello Stato in Italia, ma anche all’estero, si
scassina e si ladroneggia senza alcun
riguardo per il bene comune.
oris Pahor, nato a Trieste
il 26 agosto 1913, arriva a
bordo di un’utilitaria. Lo
scrittore autore di Necropoli scende e affronta la duplice rampa di scale che porta al suo studio a
Prosecco (la frazione che ha dato il
nome al vino) senza tentennamenti.
Ci mette un po’ ad aprire la porta che
introduce al suo mondo fatto di li- Come giudica Matteo Renzi?
bri, fotografie, riconoscimenti, scul- È stato molto abile ad andare verso il
ture e ricordi. Sloveno di nazionalità centro senza pagare di proprio. Ha
italiana inizia il racconto di quello messo a rischio l’unità del suo parche chiama il secolo “orrido”. Viva- tito e continua a farlo, ma di sicuro si
ce, intelligente e
muove con capacità e determinastraordinariamente lucido, regala rizione. Speriamo
cordi e aneddoti di
che non abbia peTESTIMONE
una vita lunga e inrò tendenze politensa: dal periodo
tiche univoche...
DIRETTO
di stenti come dePapa Francesco?
Ricordo l’eco dei cannoni Mi piace moltissiportato nel lager a
tutto ciò di cui la cimo anche se è in
ovunque. Trieste era
viltà del XXI secolo
una posizione dinon ha voluto tenedisgraziata, non si trovava sgraziata. Come
re conto.
può pensare di
da mangiare. E poi
Cosa ricorda della
cambiare la chieGrande Guerra?
sa? Si continuano
l’epidemia di Spagnola
I cannoni che si
a vedere tutti gli
sentivano ovunaggeggi dei porche si portò via Maria,
que. Trieste era diporati, paramenti
la mia sorellina di 4 anni
sgraziata, non si
e simboli che ririusciva a trovare
cordano la Chiesa
da mangiare. Ridel lusso, non
cordo l’epidemia di “spagnola” che quella dei poveri. Sono tutte posifece strage fra la popolazione. Io, zioni di una casta che difficilmente
mia mamma e le mie due sorelline potrà essere indebolita.
fummo contagiati. Una delle due, Come trascorre il tempo?
Maria di soli 4 anni, ne fu vittima. La Oggi non mi ritrovo più nelle mie
vegliammo nel nostro letto, fino al giornate. Fino a poco tempo fa ero
rientro di nostro padre dal lavoro. abituato a lunghe passeggiate sulle
Era militare a Pola, allora Italia (oggi montagne. Quando rientravo iniCroazia ndr) e non fu facile rientrare ziavo a scrivere. Adesso continuo ad
a Trieste anche se non era un lungo alzarmi presto, mi preparo la colaviaggio. Ricordo come fosse ora il zione e sono pronto per affrontare la
suo dolore quando la vide. Era la sua giornata. Quello che è cambiato e
preferita, la chiamava “Mimiza”.
che ora non riesco ad essere sempre
Che immagini le sono rimaste del
fedele alla macchina da scrivere. Ho
appena finito, in sloveno, un diario
conflitto?
I colpi di cannone. La guerra la si di 180 pagine dell’anno passato. Di
sentiva nei muri: non proprio un fatto mi sento disoccupato.
rombo ma piuttosto un’eco. Una Viaggia ancora molto però...
carneficina tremenda se si conside- Non direi, quest’anno solo cinque
rano le undici offensive delle truppe viaggi.
italiane contro la montagna. L'Italia Scusi professore ma lei ha 101 anni...
fece l’errore di entrare in guerra per Anche questo è vero... (sorride). Vedi conquistare il territorio sloveno e de però, per me spostarmi da Trieste
spingersi nel cuore dell’ Europa. a Prosecco richiede la stessa energia
Una strategia che allora non pagò. che partire per Parigi. Anzi, se viagSolo molti anni più tardi nel 1941 le gio in aereo, mi accompagnano in
truppe italiane, alleate dei tedeschi, macchina e anche la mia borsa mi
riuscirono ad arrivare a Lubiana.
viene riconsegnata a destinazione.
Come definisce il Novecento?
Non è dunque faticoso per me viagUn secolo del male, orrido. L’uma- giare. Io mi sposto solo per motivi
nità, e in particolare i popoli euro- culturali, non vado per sport o per
pei, ha sopportato la tragedia di due piacere da nessuna parte.
L’ECATOMBE Il conteggio delle
vittime è incerto: i militari morti
sono 9 milioni. Ma, civili inclusi, il
bilancio sale fino a 16-17 milioni.
E addirittura a 37 milioni, tenendo conto dell’influenza spagnola. Per la prima volta furono utilizzati gas e armi chimiche.
R
egista, scrittore e drammaturgo, Giorgio Pressburger, nato nel ’37 a
Budapest è scampato alla guerra e alla deportazione. Fuggito a causa dell’aggressione sovietica nel ‘56, approda in Italia da profugo. Triestino d’adozione, ha recentemente pubblicato il poema in
prosa Storia umana e inumana (Bompiani).
sumono connotati anche più minacciosi. Molto di ciò che ribolle ancora nel ventre dell’Europa è frutto
delle migrazioni, delle separazioni,
delle indignazioni del primo dopoguerra.
Siamo figli della prima guerra?
No, un ragazzo di vent’anni, no. La
Prima guerra mondiale ha segnato,
oltre all’orrore, anche la svolta definitiva nel campo del sapere. I carri
Perché Grande Guerra?
armati, gli aerei, i gas tossici, armi da
In realtà quella guerra non aveva le fuoco, mitraglie, bombe, sommergidimensioni geografiche e logistiche bili, sono comparsi per la prima voldi quella che è scoppiata vent’anni ta in quegli anni, insieme a nuove
dopo, ma è stata certamente più cru- tecniche chirurgiche, applicazioni
dele. Il corpo a corpo, le trincee con farmacologiche, di comunicazione,
tutto l’orrore che
di espressione arhanno rappresentistica, lo sviluptato, le bombe a
po del cinema,
mano, il tifo, le puldella nuova musiUN MONDO
ci, le fucilazioni apca, tutto questo è
partenevano ancocominciato
lì.
DIVERSO
ra alle antichissime
Come sono coLa comunicazione,
tradizioni belliche.
minciate lì la moSuccessivamente
derna matematile
scoperte
della
chimica,
tutto è mutato fino
ca e il computer
ad oggi dove assiil cinema, la matematica, Anche le persecustiamo a cambiazioni razziali sole nuove forme
menti quotidiani.
no cominciate nei
Cosa rimane nella
primi anni del sedi espressione artistica
memoria del primo
colo passato, e in
conflitto?
questo
senso,
persino il computer:
La coscienza del
quello che oggi
tutto viene da quegli anni fiorisce con tanta
passato nelle generazioni di oggi sta
baldanza in mezperdendo imporza Europa, è cotanza. La velocità con cui la scienza e minciato lì.
il sapere, in generale, progredisco- Per taluni però è stata proprio la Prino, l’offerta sempre più vertiginosa ma guerra mondiale a segnare la ridel mercato e del consumo fanno comparsa della democrazia.
perdere di vista tutto ciò che non è In Europa, con l’eccezione di alcune
presente. Esiste soltanto la moder- realtà del nostro Paese, la democranità. Noi, figli di genitori che ancora zia così come era emersa, così si era
hanno combattuto nella Prima anche inabissata. Gli eventi che si
guerra, abbiamo figli e nipoti che di sono succeduti alla prima guerra
quelle cose sanno poco. Cinquanta, mondiale hanno segnato la ricomsessantenni che sanno magari vaga- parsa della democrazia, così come
mente chi era Clemenceau, France- l’avevano intesa gli antichi Greci. In
sco Giuseppe, Churchill, che cosa molte parti d’Europa fu allora che ai
re, all’aristocrazia era subentrata
fosse l’attentato di Sarajevo.
Esiste un rapporto tra contemporauna forma di organizzazione sociale
neità e storia?
apparentemente più giusta, se non
La parola storia in molti Paesi del proprio democratica, qualcosa che
mondo è una pura astrazione che aveva vagamente a che fare con
designa qualcosa di non esistente, quell’antico concetto, che noi chiaoggi si può praticare con mezzi nuo- miamo democrazia. Inoltre ci sono
vi, meno contestabili o del tutto di- esempi altamente positivi, nel camstorti dalla politica. Il mondo oggi po della cultura. La cultura moderrifiuta la storia, e nello stesso tempo na, il sapere moderno sono nati profa di questa una sorta di mito. Guar- prio in quegli anni, soprattutto
diamo, per esempio, su cosa si basa nell’Europa centrale. Il fatto è che
l’ideologia della Lega Nord. Sulla ciò che noi chiamiamo cultura ha
commemorazione di personaggi del avuto da sempre lo scopo di unire le
medioevo: la battaglia di Legnano, genti umane, mai di dividerle o istiFederico Barbarossa, Alberto da garle alla violenza. Quando lo ha fatGiussano compaiono come vessilli to, non si trattava di vera cultura ma
delle rivendicazioni di oggi. In tutta di una sua imitazione distorta.
Eli. Reg.
l’Europa, queste rivendicazioni as-
16
MILIONI
DI MORTI
LA FINE Dopo il decisivo intervento degli Stati Uniti, la guerra
si conclude nel 1918, con la resa
della Germania. Le condizioni di
pace furono durissime: i tre
grandi imperi scomparvero e furono ridisegnati i confini dell’Europa, creando grandi squilibri.
16
SECONDO TEMPO
SABATO 23 MAGGIO 2015
il Fatto Quotidiano
Salone del Libro,
indagato Picchioni
PER IL PRESIDENTE DELLA FONDAZIONE CHE ORGANIZZA LA FIERA IPOTESI DI PECULATO
di Andrea Giambartolomei
Torino
F
inale amaro per Rolando Picchioni. È
indagato proprio
mentre sta per lasciare il suo incarico il presidente della Fondazione per il
libro, la musica e la cultura, la
struttura che dal 1999 organizza il Salone del Libro di Torino.
L’ipotesi di reato, formulata
dal sostituto procuratore
Gianfranco Colace, è di pecu-
lato. Proprio ieri mattina, il
giorno dopo il 79° compleanno
di Picchioni, i carabinieri e i finanzieri in forza alla Procura
hanno perquisito la sede della
fondazione sequestrando i
computer e documenti contabili con cui ricostruire il giro di
fatture che – tra il 2012 e il 2014
– avrebbero permesso al presidente di appropriarsi di alcuni fondi pubblici destinati al
Salone del libro. Un’ipotesi che
l’interessato respinge con forza: “Di fronte all’enormità
dell’addebito mi sento sbalordito, ma altrettanto assolutamente sereno: nella mia vita
non ho mai, e ripeto mai, pensato di sfruttare in qualunque
modo la mia posizione per un
qualsivoglia tornaconto personale – ha dichiarato ieri –. Riguardo ai fatti che genericamente mi vengono contestati,
e dei quali spero di poter essere
messo quanto prima a conoscenza della fondatezza, non
posso che ribadire la mia completa estraneità”.
IN SCADENZA
Rolando Picchioni, 79 anni,
numero uno del Salone
del Libro dal 1999 LaPresse
L’inchiesta è nata tre anni fa,
quando gli investigatori, seguendo altre indagini, incappano in Picchioni: “È stato lui
involontariamente a portarci
qui”, spiega una fonte. Dalla
Procura restano cauti: la perquisizione è stata fatta proprio
per verificare l’esistenza di fat-
INDAGINE A TORINO
Perquisita la sede della
Fondazione per verificare
un giro di fatture fasulle
che avrebbe permesso
l’appropriazione indebita
di fondi pubblici
ture per operazioni inesistenti
e al momento non è dato sapere di quali somme si sarebbe
appropriato Picchioni. Generica sarebbe l’ipotesi di reato
secondo i legali di Picchioni.
L’avvocato Giampaolo Zancan
e la figlia Valentina affermano
la sua totale estraneità dai fatti
contestati dalla procura della
Repubblica che non avrebbe
fornito “nessun riscontro probatorio né sulle persone che
hanno avanzato queste ipotesi,
né di cifre sulle fatture fittizie
che avrebbero consentito questo ritorno di denaro”, spiegano. L’avvocato Zancan vedrà
appena possibile il pm e spiega
che Picchioni è disponibile a
incontrare gli inquirenti già da
lunedì mattina.
Negli ultimi giorni sulla gestione delle finanze della Fondazione ci sarebbero stati alcuni
screzi con l’assessore comunale al bilancio Gianguido Passoni. In un’intervista all’edizione torinese di Repubblica
Picchioni aveva sottolineato
come non fossero ancora arrivati 100 mila euro dal Comune
di Torino (il bilancio si chiude
il 20 giugno) e, secondo lospiffero.com, l’affermazione avrebbe fatto arrabbiare Passoni.
STANDO al giornale online che
si occupa di politica torinese
l’assessore avrebbe rimproverato al presidente della Fondazione per il libro l’ingratitudine
per tutte quelle volte in cui
l’amministrazione cittadina
avrebbe ripianato il bilancio.
Ma restano solo indiscrezioni
che non è stato possibile verificare.
In passato Picchioni, nato a
Como nel 1936, è stato un politico della Democrazia cristiana, molto vicino all’ex presidente del Consiglio Emilio Co-
lombo. Deputato Dc, tra il 1979
e il 1981 è stato sottosegretario
ai beni culturali. Tra il 1995 e il
1998 è stato presidente del
Consiglio regionale del Piemonte. Alla Fondazione per il
libro è arrivato nel 1999 come
segretario, assumendo dal
2005 la carica di presidente,
una carica che sta per portare a
termine. Insieme al direttore
editoriale Ernesto Ferrero, è
stato in grado di risollevare il
Salone del libro, creato negli
Anni Ottanta, rendendola una
kermesse culturale di rilievo
nazionale.
Ma Picchioni, in passato, è stato anche coinvolto in alcuni
scandali dai quali è uscito indenne. Il suo nome compare
nella lista della loggia P2, tessera 2.095, un errore che ha
sempre rinnegato. Fu anche inquisito per il cosiddetto scandalo petroli, dal quale è uscito
pulito. Nel giro di pochi anni
questo potrebbe essere il secondo scandalo che coinvolge
un’organizzazione culturale
importantissima per il Piemonte e per l’Italia dopo l’indagine che ha portato alla fine
del premio Grinzane Cavour il
cui presidente, Giuliano Soria,
è stato condannato dalla Corte
d’appello di Torino a otto anni
e tre mesi di carcere per violenza sessuale e peculato.
CANNES 68
Gerard mangia (e beve) tutti
di Federico
Pontiggia
Cannes
oveva essere il giorno del Piccolo
D
Principe, la discreta animazione
saintexuperiana di Mark Osborne, è stato
quello del Grande Re, Gérard Dépardieu.
Le battute si sono sprecate tra Twitter e il
Suquet, la Cannes che fu oggi piena di
ristorantini. E va bene, perché di cibo, e
gonvietà, si parla: “S’è mangiato tutti gli
altri attori”, “È venuto a Cannes già mangiato”, i commenti post proiezione. Perché a Dépardieu si può dare del loro: lui è
Gérard, lei la sua pancia, ormai degna di
una cosmogonia a sé. Con la prova nella
Valley of Love, al fianco di Isabelle Huppert
e per la regia di Guillaume Nicloux, Monsieur G. s’è forse pappato anche il Michael Caine “gggiovane” di Sorrentino, di
certo ha tirato il collo agli altri galletti: il
re fighetto e furbetto Vincent Cassel
(Mon roi di Maiween) e pure il secondo
Vincent, Lindon, precario e morale protagonista de La loi du marché di Stéphan
Brizé. Perché Depardieu è l’unico oggi a
dare panza e sostanza a un’espressione
che agli americani – e in giuria presiedono i fratelli Coen – aggrada parecchio,
per definire quelli bravi e pantagruelici,
tosti e leggendari: larger than life.
PER GÉRARD vale pure sulla bilancia, e se
il Lebowski di Jeff Bri dges si volle grande,
lui è immenso, di più, è un Paese: la Francia a vita o la Russia di convenienza fiscale. Altro che Cassel, tonico e palestrato, re uno e bino – per Il racconto dei racconti di Garrone e l’aristoqualcosa Maiween – eppure subito spodestato quando
sul palmares s’è allungata l’ombra di San-
cho Dépardieu, per giunta appellato s’avanza notturno, trasudante e fumante
“Grandeur Nature” nel bacio della pan- da (anti)eroe mitologico. Ci provano altri
tofola tributatogli da Richard Melloul. attori a essere ombelicali, ma solo lui ha –
Suo amico per oltre trent’anni, e docu- realmente – un mondo attorno all’ommentarista per il film eponimo: Gérard belico.
non le manda a dire, gli rivela tutto,
dall’infanzia – “Ne ho avuta una fino ai 7, A MEZZO stampa francese rintronano
8 anni, poi sono passato alla sopravvi- sulla Croisette gli scazzi con la giurata
venza: nessuno mi voleva” – al figlio Sophie Marceau, che lo ritiene colpevole
scomparso – “Guillaume aveva un’enor- di aver messo del torbido tra lei e Maurice
me violenza dentro di sé. È morto come Pialat sul set di Police nel 1985, via Valley of
un poeta, come Rimbaud. La sua presenza Love ritorna lo spettro maledetto del figlio
urla ancora dentro
Guillaume, ma davanti al microfono rimbomba l’amicizia
casa”. Si direbbe a
Roma, il Metodo
con Putin: “Mi piace molto coIL GRANDE RE
me sapete, ma adoro l’Ucraina
gli fa una pippa: a
e ci vado spesso: ammiro il
Gérard, grazie a
Show (incontenibile
nuovo presidente PoroshenDio, quest’anno a
ko. E sono contrario alla guerCannes non è toccome il suo girovita)
cata in dote la foia
ra, come tutti: non sono il pordi Depardieu,
orgiastica di DSK
tavoce di nessuno, non mi pernel Welcome to New
metto di giudicare”. Del resto,
protagonista
York di Abel Ferraa Melloul l’ha detto: “Prendera, eppure il suo
temi come sono o non prendi “Valley of Love”
appetito rimane
detemi per niente”. Je suis Decon Isabelle Huppert
pardieu.
superlativo, assoluto. Se a Melloul
confida che “ho
mandato a puttane tante cose
con la mia impazienza. Eppure,
oggi godo nell’essere paziente”,
sullo schermo, nell’attesa sudata
e fantasmatica di riabbracciare
nella Death Valley californiana il
figlio finzionalmente avuto
dall’Huppert, quella pazienza
non si vede: piomba a tavola e
beve tutto quel che è liquido, tracanna una bottiglietta d’acqua –
ha replicato in conferenza stampa a Cannes – come non ci fosse
un domani e, nudo e crudo, Gerard Depardieu. A lato, Roberto Minervini Ansa/ LaPresse
LES
ITALIENS
di Anna Maria Pasetti
L’attesa dei moschettieri
con le dita incrociate
È STATO DEFINITO il ‘quarto moschettiere’ della spedizione tricolore sulla Croisette, ma il suo talento non è ultimo a nessuno.
Parliamo di Roberto Minervini, classe 1970 marchigiano di nascita
ma texano di residenza, che l’altro ieri ha ricevuto il suo trionfo di
accoglienza nella sezione Un Certain Regard con il suo struggente
Louisiana. Sette i minuti di applausi alla proiezione ufficiale e ovazioni dal pubblico che lo ha poi incontrato nel foyer della Sala Debussy. Accompagnato dalla moglie americana, cosceneggiatrice
del film, ha portato con sé dagli States anche un veterano di guerra
“personaggio” nel documentario. Stasera saranno svelati i vincitori di Un Certain Regard e la speranza è che Minervini ne esca
con qualche meritato riconoscimento. Nel frattempo ieri sera ha
fatto il suo figurone sul Red Carpet un trio italiano assai “inusuale”: Stefano Accorsi, Pif e
Alessandro Siani sono stati immortalati sulla
Montée des Marches in qualità di delegazione
italiana tra i doppiatori di tutto il mondo per il
film d’animazione Il Piccolo Principe: il primo dà
la voce alla volpe, il secondo al re e il terzo al
“vanitoso”.
DIVERTITI e onorati, non si sono fatti sfuggire
l’occasione di qualche selfie sulla scalinata cinematografica più
famosa del mondo. Sul fronte dell’attesa della gran soirée di domani in cui sarà celebrata la Palma d’oro 2015, i tre concorrenti
“nostrani” sono rientrati in Italia, incluso Sorrentino che era l’ultimo in ordine di apparizione. Inutile dire quanto alta sia l’aspettativa per almeno un premio italiano, dal momento che a concorso
quasi chiuso (oggi passa l’ultimo titolo) la qualità del trittico dal
Belpaese è stata universalmente riconosciuta di altissimo livello.
Regna la scaramanzia, nessuno degli addetti ai lavori legati alle
delegazioni dei film di Garrone, Moretti e Sorrentino si sbilancia,
ma la speranza cresce di ora in ora. Tra le belle notizie in "tricolore"
di ieri c'è la vittoria del cortometraggio Varicella di Fulvio Risuleo, in
corsa alla Semaine de la Critique, sezione corti.
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
SABATO 23 MAGGIO 2015
17
DIRETTORE DI SAT 2000
Alessandro
Sortino, da lunedì in onda con “Beati Voi” Ansa
RAI UNO
TV2000
Nostalgia continua: ora
pure Frizzi e Dalla Chiesa
hissà perché in giro c’è una
C
gran voglia di rimettere insieme i cocci rotti soprattutto di vasi
antichi, alla faccia della rottamazione. Dopo Al Bano e Romina ecco dunque un’altra coppia dei tempi andati tornare insieme seppure
solo per lavoro, Fabrizio Frizzi e
Rita dalla Chiesa, a trent’anni dal
programma per bambini Pane e
marmellata e a 17 da quell’unica
puntata di Per tutta la vita quando lei
sostituì Romina Power, mai titolo
fu più iettatore visto che tre mesi
dopo si sono lasciati loro e poco più
avanti toccò ai Carrisi. Sposati dal
1992 al 1998 e “rimasti sempre in
ottimi rapporti con rispetto e amicizia” assicurano, rieccoli in coppia
con un programma che definire retrò è poco: La posta del cuore, su Rai
1 ovvio, la rete un po’ “nostalgia
canaglia” tanto per restare in tema,
20 puntate dal lunedì al venerdi alle
16.45, partenza il 15 giugno. Prodotto da Magnolia, richiama alla
memoria le rubriche sui giornali
d’altri tempi, anche quelle della
stessa dalla Chiesa, e punta naturalmente sui sentimenti.
GALEOTTO fu il programma e chi
lo scrisse? Vedremo, ma “saremo
molto professionali” assicura Fabrizio, “ma qualche battuta sarà
inevitabile, il pubblico se lo aspetta
– ribatte Rita – e sento che ho an-
cora molto da dare alla tv” aggiunge
raggiante. Pare sia stato proprio lui
a volere lei, “ferma da troppo tempo – dice – e ingiustamente”, dopo
l’addio a Forum due anni fa e l’attesa
infinita di un programma su La7.
Impegnatissimo invece lui e “finchè mi fanno lavorare è un privilegio” ammette: rimollata L’Eredità a
Conti, lunedì prossimo lo vedremo
al Premio Regia Televisiva sempre su
Rai1 dove dal 26 giugno condurrà
anche uno show game “tecnologico” e “molto innovativo” assicura,
dal titolo provvisorio Gli Italiani
hanno sempre ragione, per passare un
mese dopo a Rai3 per un’altra operazione nostalgia sul primo e unico
tour dei Beatles in Italia di 50 anni
fa. Ma almeno sono i Beatles, mica
Al Bano e Romina. Intuire il format
de La Posta del cuore non è poi così
difficile: persone con storie complicate le vanno a raccontare in tv
chiedendo consigli al pubblico e a
esperti, lui sarà l’addetto all’accoglienza, lei elargirà la dritta finale.
C’è anche una rubrica che molto ricorda Senzaparole della Clerici, il
che non porta bene, ovvero Non so
come dirtelo, curata dall’ex iena Niccolò Torielli già protagonista di
quel flop di un paio d’anni fa condotto con Federica Nargi su Rai 2
che fu Facciamo pace. Non per essere superstiziosi ma...
P.S.
Alessandro Sortino,
la catechesi di un’ex Iena
di Patrizia Simonetti
a ex iena ad apostolo mediatico:
D
Alessandro Sortino, classe 1969, da
un anno vicedirettore e direttore crea-
tivo di TV2000, la televisione della CEI,
abbandonò Le Iene di Davide Parenti dopo la censura di un servizio sull’arresto
della signora Mastella. Ora è tempo di
parlare d’altro, di beatitudini e felicità
con Beati voi, programma da lui ideato e
condotto, al via lunedì.
Una Iena che parla di Religione?
Perché no? Quando il Fatto se la prende
con i corrotti, non c’è forse un destino di
felicità negato? Riflettere sulla contraddizione cristiana della beatitudine collegata a cose che il mondo rifiuta, tipo la
povertà, è un modo per parlare di temi
che interessano tutti.
Quindi la felicità non è di questo mondo?
Non proprio, la felicità non è un valore
etico ma un modo di includere l’altro in
una relazione che la trasforma. Il problema è la concretezza delle relazioni: nella
povertà si evidenzia quella tra chi è povero e chi no, in modo tale che il primo si
senta incluso nello sguardo dell’altro che
si fa povero, accogliendolo.
Mitezza e misericordia sono fuori moda?
Perché mai? Se viene organizzato Expo
mentre l'Italia è sommersa dai rifiuti tossici e per contrastarlo gli idioti spaccano
vetrine, Expo acquista una potenza etica
che non avrebbe avuto. Ecco allora che la
mitezza, non rispondere al male con il
male, diventa uno strumento di contestazione molto più efficace.
Non tutti però accettano facilmente i dettami della religione...
Mi sciocca che siano tutti diffidenti. Certo la Chiesa, in quanto istituzione, un po’
respinge, ma alla fine la proposta cristiana è amore, felicità e accettazione di sé,
invece intorno a me vedo solo gente disperata...
Papa Francesco è il suo ispiratore?
È un modello di comunicazione perché
si pone il problema di parlare a tutti e non
di usare le parole per identificare quelli
che già vi si riconoscono. Ciò che io molto più modestamente cerco di fare con
un programma non solo per credenti.
Nonostante la catechesi alla fine di ogni
puntata?
Dieci minuti a settimana di catechesi cristiana su una piccola tv non fanno male.
E poi arriverà come risposta a due ore di
Gli ascolti
di giovedì
VELVET
Spettatori 3,61 mln Share 14,29%
VIRUS
Spettatori 1,38 mln Share 6,4%
domande con cui affido ad altri un tentativo di risposta.
Prima puntata, “Beati i poveri”. Ospiti il
banchiere Gianluca Verzelli e l’mprenditore Gian Luca Brambilla già indagato per
reati fiscali...
Brambilla è un cristiano, credente e praticante, ed è stato assolto. E poi non è che
se la puntata si intitola Beati i poveri devono essere tutti innamorati della povertà. Oggi l'imprenditore e il povero sono
sulla stessa barricata e sentire da un banchiere come funziona la liquidità di denaro che si muove sui mercati mi sembra
il modo migliore per affrontare il tema.
Cosa c’entra qui la religione?
La crisi che aumenta la disuguaglianza, i
ricchi trasformano le attività produttive
in finanziarie, e questo un cristiano la vede chiaramente perché il male dell’idolo,
cioè il denaro che diventa il fine invece
che il mezzo, è denunciato dalle scritture.
Ha avuto carta bianca per questo programma?
Totale. Non è mai venuto nessuno a vedere cosa stavo facendo e non mi era mai
capitato, c'è tanta libertà e autonomia qui
a TV2000.
LA GRANDE BELLEZZA
Spettatori 1,76 mln Share 9,23%
ANNOUNO
Spettatori 1,02 mln Share 4,83%
18
SECONDO TEMPO
SABATO 23 MAGGIO 2015
il Fatto Quotidiano
FATTI CHIARI
IL CASO MONTEDISON
A volte il segreto
è indispensabile
di Bruno Tinti
L
a sentenza della Corte d’assise di Chieti
sulla discarica di
Bussi ha innescato
polemiche e dibattiti. Le questioni su cui si discute sono tre.
1) La sentenza è “giusta”?
2) I giudici popolari (alcuni) sono stati intimiditi?
3) È bene che le diverse opinioni
espresse in camera di consiglio
al momento della decisione siano note all’esterno?
1 - Una sentenza conforme alla
legge è “giusta” per definizione.
A nulla rileva che la legge applicata sia iniqua, emanata per
compiacere interessi potenti,
sbagliata tecnicamente. I giudici
non hanno il potere (per fortuna) di disapplicare o correggere
le leggi che ritengono sbagliate o
ingiuste. Possono, quando ne
sussistono i presupposti, sollevare eccezioni di legittimità costituzionale; la Corte deciderà.
Ma le sentenze devono rispettare il diritto, non la volontà (occasionale) del popolo. Così se
l’iniqua legge sulla prescrizione
impedisce la condanna del peggiore dei delinquenti, il problema non riguarda la sentenza né
– ovviamente – il giudice che la
emette, ma il Parlamento che
non modifica la legge. Diversa
cosa è una sentenza emessa per
favorire qualcuno. Questa non è
una sentenza “ingiusta”, è un
crimine. Che va denunciato, da
chiunque, primo tra tutti il giudice del Collegio che ne sia consapevole e che non ha potuto
evitarlo perché messo in mino-
INUTILE SCRUPOLO
Sapere che un membro
del collegio la pensava
diversamente dagli altri,
farne cioè un beniamino o
un bersaglio, non ha nulla
a che fare con la Giustizia
ranza. Qui non è questione di
segreto di camera di consiglio,
ma di rispetto dell’articolo 357
del codice penale che obbliga il
pubblico ufficiale a denunciare i
reati di cui viene a conoscenza.
Per finire, una sentenza che viene riformata nei gradi di giudizio successivi non è una sentenza “ingiusta”. Come ho cercato
di spiegare molte volte, le sentenze successive si eseguono
non perché intrinsecamente
“giuste” (potrebbe essere “giusta” quella precedente e “sbagliata” quella successiva) ma solo perché è necessario risolvere i
conflitti per garantire la civile
convivenza. Non ho elementi
per stabilire se la sentenza sulla
discarica di Bussi sia “giusta”,
“criminale” o “sbagliata”. Lo decideranno gli uffici giudiziari di
Campobasso, competenti a giudicare i magistrati di Chieti.
2 – Pare accertato che il presi-
dente della Corte d’assise abbia
Una Corte d’assise Ansa
pronunciato la frase riportata da
due giudici popolari: “Se decidete per la sussistenza del dolo
(e quindi per la condanna, la
prescrizione non sarebbe scattata) e se poi in Appello lo escludono, correte il rischio di
un’azione per risarcimento
danni e potete perdere tutto
quello che avete”. La frase però
si presta a diverse interpretazioni. I giudici togati potrebbero
essere stati fermamente convinti della non sussistenza del dolo.
Tanto convinti da ritenere che
una decisione diversa avrebbe
potuto integrare una manifesta
violazione di legge o il travisamento del fatto o delle prove,
come previsto dalla recente legge sulla responsabilità civile dei
magistrati. Avrebbero dunque
ammonito i giudici popolari nel
loro interesse. Oppure potrebbero aver adottato questo sistema per superare quella che loro
consideravano una irragionevole impuntatura di persone
non esperte di diritto e cocciutamente intestardite. E, se così
fosse andata, sarebbe certamente comportamento censurabile.
Oppure ancora, impegnati a favorire gli imputati e dunque a
commettere un reato, potrebbero aver utilizzato questa intimidazione per perseguire il loro
scopo criminale. In questo caso
la violenza privata commessa
(questo il reato) sarebbe il minore dei loro problemi.
3 – Nell’ordinamento giuridico
italiano le motivazioni delle decisioni dei giudici sono sempre
rese note. Le sentenze contengono le ragioni della decisione, e
se non è così sono riformate nei
successivi gradi di giudizio.
Sempre esplicitano anche le ragioni opposte, quelle che avrebbero portato a decisione di senso contrario, per spiegare perché non sono state ritenute valide. E, anche in questo caso, se
così non è, sono riformate. Vi è
dunque una totale trasparenza.
Diversa cosa è dare conto della
opinione dissenziente del giudice di minoranza. Ciò non solo è
del tutto inutile, ma è anche
dannoso. Inutile perché la sentenza non perde efficacia se uno
dei componenti del Collegio la
pensava diversamente dagli altri. Dannosa perché, soprattutto
in un momento storico come
questo, caratterizzato dalla delegittimazione dei giudici, della
magistratura nel suo complesso
e, in definitiva, dell’istituzione
stessa di una giustizia amministrata da magistrati professionisti, aggraverebbe le polemiche
che puntualmente (e quasi sempre strumentalmente) imputati
e gruppi di potere di riferimento
sollevano nei confronti di sentenze che li riguardano. I contrasti in camera di consiglio sono di natura tecnica, destinati a
essere riproposti nei gradi successivi di giudizio, resi noti nelle
sentenze di Appello o Cassazione, pubblicizzati da giuristi su
riviste tecniche e, sempre più
frequentemente, sugli organi di
informazione. Sapere che il giudice tale la pensava diversamente dai suoi colleghi, farne un beniamino o un bersaglio dell’opinione pubblica, non ha nulla a
che fare con la Giustizia e la Democrazia.
C’era una volta
la separazione dei poteri
di Peter Gomez
n UN FANTASMA si aggira
per l’Italia. E a evocarlo, con
spericolata baldanza, sono
politici e tecnici. “In questi
tempi di crisi, anche la vecchia separazione tra i poteri è
diventata un lusso”, scrive
nel consueto bello stile il costituzionalista Michele Ainis
sulle pagine del Corriere della
Sera. “Serve maggior sensibilità politica nel potere giudiziario, serve maggior sensibilità giuridica nel potere
politico”, ragiona Ainis che in
due righe scodella pure la soluzione: “Servono canali di
comunicazione, strutture di
collegamento”.
Il ministro dell’Economia,
Pier Carlo Padoan, lo ascolta
e prende la palla al balzo. Dice che la Consulta, quando
ha bocciato la legge Fornero
che bloccava l’indicizzazione
delle pensioni, “non ha valutato il buco creato”. E si dichiara “perplesso” perché i
giudici sostengono “di non
dover fare analisi economiche sulla conseguenza dei loro provvedimenti”. Ma per
Padoan bisogna essere ottimisti. Il futuro è radioso. La
via per far meglio c’è. E sta
tutta nel solco tracciato
dall’aratro di Ainis: sta nel
“dialogo tra organi dello Stato indipendenti”, sta nella
“condivisione” delle informazioni sui conti dello Stato
con la “Corte”. Poi, dopo
l’aratro di Ainis, a difendere il
solco interviene la spada del
premier Matteo Renzi che
con ragionevolezza (solo apparente) afferma: “La Corte
ha fatto una sentenza, noi
l’abbiamo rispettata, ora si
tratta di lavorare insieme
perché i segnali di ripresa
che ci sono possano irrobustirsi e consolidarsi”.
Purtroppo però, a Costituzione vigente, la Consulta non
deve lavorare assieme a nessuno. I giudici stanno lì esclusivamente per controllare il
rispetto della Carta. Devono
verificare cosa fa la politica
che pure, in parte, li nomina.
“Canali di comunicazione” o
“strutture di collegamento”
non sono ammessi. Ovviamente gli ermellini non devono mettere i bastoni tra le
ruote al governo o al Parlamento per partito preso, ma
nemmeno possono basare le
loro decisioni sulla base delle
convenienze dell’esecutivo
pro-tempore. A meno che non
si decida di dire che aveva ragione Silvio Berlusconi quan-
LA CONSULTA
Dopo la batosta
sulle pensioni c’è chi
auspica collaborazione.
Quando lo chiedeva B.
si evocava Alexis
de Tocqueville
Silvio Berlusconi LaPresse
do, da primo ministro, attaccava la Consulta accusandola di remare contro perché
composta da “giudici di sinistra”. O, peggio ancora,
quando, anticipando coi fatti
le tesi di Ainis, il leader del
centrodestra partecipava,
nel maggio del 2009, qualche
settimana
prima
dell’udienza sul Lodo Alfano
(la legge che sospendeva i
processi nei suoi confronti),
a una cena nell’abitazione
privata dell’allora giudice
della Corte, Luigi Mazzella,
che per l’occasione aveva invitato pure un collega.
ALLORA la cosa aveva suscitato scandalo. Un po’ tutti
avevano evocato Alexis de
Tocqueville e il suo La democrazia in America, i principi
della democrazia liberale e il
diritto di tutti i cittadini di essere uguali davanti alla legge.
Concetti evidentemente caduti in disuso. Oggi, invece, il
dibattito sulla separazione
dei poteri è aperto. Dimenticando che proprio la sentenza che ha sventato la rapina sulle pensioni lascia al
legislatore la possibilità di
battere molte altre strade.
Se, per esempio, la pensione
è “retribuzione differita” c’è
da chiedersi, come fa da tempo il presidente dell’Inps Tito
Boeri, se sia giusto trattare
alla stessa maniera chi riceve
una pensione in base ai contributi effettivamente versati
e chi, invece, se la intasca in
base alla media delle retribuzioni ricevute negli ultimi anni di lavoro. Perché, in fondo,
per non farsi cassare le leggi
e risparmiare non servono
“canali di collegamento”. Bastano un po’ di preparazione
e di buon senso.
n
PIOVONO PIETRE
Impara a comunicare: prendi
a schiaffi una categoria a caso
di Alessandro Robecchi
uelli che hanno fatto buoni studi e che
Q
ora di mestiere fanno i rampanti comunicatori del consenso, la chiamano “di-
sintermediazione”. Esistendo in questo
paese più “scienziati della comunicazione”
che salumieri (un vero peccato) dovreste
più o meno sapere cos’è. Erano “disintermediazione” i videomessaggi di Silvio Berlusconi, così come lo sono i videoclip, con
o senza lavagna, di Matteo Renzi. Si tratta
di una disintermediazione un po’ farlocca,
perché se non hai a disposizione giornali e
tg che rilanciano il tuo spettacolino funziona un po’ meno, ma insomma... Esempio. C’è lo sciopero dei ferrovieri. Mediazione è parlare con le rappresentanze sindacali dei ferrovieri, capire il problema e
cercare una soluzione. Disintermediazione è rivolgersi a tutti i cittadini (basta un
tweet) per dire: i ferrovieri cattivi, privilegiati, maledetti, viziati, disfattisti vi impediscono di andare a Bologna.
Uguale con la riforma della scuola: essendo la stragrande maggioranza di insegnanti e studenti contrari alla riforma in votazione, ci si rivolge a tutti gli altri con una
serrata propaganda, nella speranza che i
cittadini tutti se la prendano con gli insegnanti che non sono d’accordo con una cosa così bella e moderna. Insomma, possiamo dire in soldoni che la disintermedia-
zione serve a usare gli
ne basta guardarne il noSCUOLA RENZI
me: se funziona si chiama
italiani per picchiare alRenzi (gli ottanta euro),
tri italiani, a mettere tanTecnicamente si chiama
se non funziona si chiati contro pochi. Utenti
ma Poletti (o Giannini,
dei mezzi pubblici con“disintermediazione”:
o...). Altro problemino, il
tro tranvieri, italiani
hai un problema con
fatto che la disintermecontro insegnanti, cittadiazione tende sempre a
dini contro sindacati, ecgli insegnanti? Dì a tutti
guardare in basso. Servocetera, eccetera. Un giono soldi? Blocchiamo gli
chetto che paga nell’imgli altri che sono brutti
stipendi agli infermieri, o
mediato, ma che alla
e cattivi e il gioco è fatto
l’indicizzazione ai penlunga rischia di finire a
schiaffoni tutti contro
sionati. Basterà far credere a tutti gli altri che intutti. Ci sono però alcuni
problemi: la disintermediazione funziona fermieri, o pensionati sono di ostacolo a un
poco quando il numero di italiani da tra- immaginario bene comune. Mai, dico mai,
mortire usando il consenso di altri italiani si addita ai cittadini qualche cassaforte ben
è molto alto. Potrete convincere un pen- fornita, che so, i manager pagati come mildolare che il capotreno in sciopero è uno le lavoratori, o i grandi e grandissimi paschifoso privilegiato che limita la sua liber- trimoni, o le grandi rendite o le grandi
tà di prendere il treno. Più difficile sarà aziende che portano la sede fiscale all’esteconvincere un nipote che la nonna, dall’al- ro. Non a caso all’ultima Leopolda a scato della sua succulenta pensione ai limiti gliarsi ferocemente contro i pensionati
della sopravvivenza, gli ruba lavoro, o fu- non fu un giovane precario di Catanzaro,
turo, o prospettive. E questo perché un fer- ma un finanziere milionario di Londra
roviere in casa ce l’hanno in pochi, e una (Davide Serra, oggi Commendatore). Un
nonna (o genitori anziani) invece in molti. po’ come il lupo che dice alle pecore “atE così le cose si complicano: nel caso delle tente alle altre pecore! Brucano la vostra
pensioni (e di un obolo una tantum con- erba!”. Insomma la disintermediazione è
cesso al posto del rimborso) la propaganda un trucco furbetto, a volte funziona e si bae la disintermediazione non hanno funzio- sa sulla certezza che le pecore litigheranno
nato benissimo. E di questi tempi per sa- tra loro e non si mangeranno il lupo. Un
pere se una mossa propagandistica funzio- vero peccato.
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
SABATO 23 MAGGIO 2015
19
A DOMANDA RISPONDO
Furio Colombo
Il fallimento dell’Ue
sull’emergenza migranti
La poca collaborazione di
molti Paesi dell’Unione
europea
con
l’Italia
sull’accoglienza dei migranti che arrivano sulle
nostre coste ci dice chiaramente due cose: il nostro
governo non gode di molto prestigio a livello continentale e, soprattutto, il
fallimento dell’idea di
un’Europa unita e solidale.
Ci stanno dimostrando
che al di là della sciagurata
politica monetaria imposta dai banchieri, non c’è la
minima volontà di uscire
fuori dagli interessi particolari del proprio Paese. Ci
sarebbe da riflettere se valga ancora la pena di fare
tanti sacrifici per continuare a mantenere in piedi
un simile carrozzone.
Mauro Chiostri
Sulle pensioni italiane
solo disinformazione
Gli organi di informazione danno attualmente
grande risalto alla notizia
che la spesa pensionistica
sarebbe in Italia la più elevata d’Europa. Al riguardo
mi pare importante sottolineare che l’Italia fa ricorso al sistema pensionistico
per far fronte a esigenze
assistenziali e occupazionali, mentre negli altri
Paesi, in caso di uscita anticipata dall’attività, si erogano generosi sussidi di
invalidità o disoccupazione che non sono contabilizzati nella spesa previdenziale. Va anche considerato che il carico effettivo per il bilancio pubblico
dipende dal grado di imposizione fiscale sulle prestazioni erogate, che differisce significativamente
nei vari Paesi. In Italia infatti le pensioni sono soggette alle normali aliquote
Irpef mentre altrove, per
esempio Francia e Germania, la loro tassazione è
fortemente agevolata e in
altri addirittura inesistente (come in Ungheria). Se
si considera quindi la spesa al netto delle imposte la
differenza tra i vari Paesi
risulta fortemente ridimensionata. Parlare solo
di una presunta non ulteriore sostenibilità della
spesa
previdenziale,
omettendo di precisare
che le pensioni italiane sono tra le più basse d’Europa, significa solo informare in modo distorte e alimentare un ingiusto risentimento nei confronti degli anziani, già fortemente
penalizzati da un welfare
inesistente. Siamo naturalmente tutti d’accordo
che bisognerebbe porre fine il prima possibile a certe
vergogne come le false
pensioni d’invalidità e i
vergognosi privilegi dei
vitalizi parlamentari e simili. È questa la vera differenza col resto d’Europa.
Stefania Falone
Poca partecipazione
nega la democrazia
L’appello al voto utile è
sintomatico di una concezione stitica della democrazia che da Craxi in poi
sembra aver trovato in
Renzi un degno epigono.
fantile e poco partecipativo. Inoltre, una tale proclamata contrapposizione
meriterebbe ben altri contendenti. Invece sono tanti, troppi, i tratti in comune fra gli uomini e i programmi dei due schieramenti alternativi solo in
apparenza. Penso che tutti
gli ideali politici democratici, per quanto minoritari, abbiano diritto ad essere rappresentati in Parlamento. “Conoscere per
scegliere” dovrebbe diventare il mantra della nostra politica. E ampliare le
possibilità di partecipazione dei cittadini alle decisioni dovrebbe essere il
primo impegno di una
forza democratica. La
strada maestra è la restituzione del potere decisionale dall’economico al politico, dalle élite dei pochi
alla comunità dei molti.
L’alternativa è la democrazia.
Gaspare Bisceglia
la vignetta
Fosse per Renzi la soglia di
sbarramento sarebbe portata al venti per cento.
Renzi fa propaganda a sinistra agitando lo spauracchio della vittoria del
temibile nemico. Ha una
visione “calcistica” della
democrazia: “Con questa
legge uno vince e gli altri
perdono”. Tutto molto
comprensibile, magari è
anche vero, ma pur sempre pericolosamente in-
DIRITTO DI REPLICA
Con riferimento al contenuto dell’articolo in forma
di intervista intitolato “Il
patto sui diritti tv chiuso a
Palazzo Chigi” e pubblicato sull’edizione del 21 maggio 2015, il dottor Bogarelli
precisa che non ha mai inteso stabilire una analogia
o un parallelismo tra il recente incontro dei vertici di
Sky (Andrea Zappia e James Murdoch) con il Pre-
Migranti
e pensionati
Ecco il nemico
CARO FURIO COLOMBO, noto un rimbalzo continuo, su giornali e tv, di due soli
argomenti, presentati, ripetuti e sviscerati in ogni modo: che cosa fare con i migranti e con i pensionati, visti come i due
veri pericoli del nostro tempo.
Natalia
SENZA DUBBIO i due argomenti dominano le notizie italiane. E così ascolti lunghe riflessioni sul modo di regolare i flussi
migratori (il ministro della Difesa Pinotti
dice al Corriere della Sera, 20 maggio, che il
miglior modo è l'intervento militare), ma
non una parola sul perché metà del mondo
rischia la vita per trovare un rifugio, e mette
in salvo i figli persino nelle valigie. E ti tocca
ascoltare ogni giorno proposte dettagliate
su come obbligare i pensionati che hanno o
possono avere beneficiato del sistema “retributivo” a restituire il maltolto. Importante, avrete notato, è trovare parole chiave
capaci di scuotere l’indignazione della folla. Per i migranti si è trovato un espediente
geniale. Anziché dei migranti e della loro
disperazione, si parla dei trafficanti di uomini. Distruggerli insieme alle barche (se
fosse possibile, ma non lo è, a meno che la
Pinotti si metta a capeggiare la guerriglia)
vuol dire impedire per sempre che un solo
migrante possa mettere piede sul sacro suolo d’Europa (leggi Italia), visto che né Italia
né Europa hanno un consolato o un ufficio
nelle aree di fuga (le ambasciate sono state
chiuse da tempo), “per regolare i flussi”,
magari in collaborazione con Isis, dove si
parla italiano. Una volta aboliti i migranti,
la nuova civiltà al potere potrà dedicarsi ai
pensionati. Qui le opzioni per suscitare
odiosità e rivolta sociale contro i vecchi sono tante, e tutte usate quasi ogni giorno.
Una è mostrare quanto è alta la colonnina
di assegni per gli anziani (alludendo alla
colpa di essere ancora in giro a prendersi la
pensione dopo avere lavorato tutta la vita)
sidente del Consiglio, e le
note vicende di alcuni anni
fa relative al cosiddetto
scandalo delle intercettazioni maturato in Inghilterra per il comportamento di alcuni giornalisti di
Sky.
Marco Bogarelli,
presidente di Infront
Prendo atto della precisazione sull’intenzione delle
parole del dottor Bogarelli,
il Fatto Quotidiano
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Editoriale il Fatto S.p.A.
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Peter Gomez, Layla Pavone,
Marco Tarò, Marco Travaglio
e quanto sarà bassa (in chissà quale mondo
futuro non identificato) quella dei giovani,
che purtroppo, Jobs Act o no, non lavorano.
L’altra è di suggerire che se oggi fai una bella falcidia a tutte le pensioni, domani i ragazzi (che adesso sono mantenuti dai nonni) troveranno subito un posto. Non si vede
il legame storico o logico, visto che molti tra
gli anziani da punire con detrazioni arbitrarie hanno abbandonato da 20 o 30 anni
aziende che non esistono più. Il terzo espediente è gridare, dietro a vecchio, che è un
“retributivo” (parola che ormai equivale a
farabutto). Vuol dire che, dopo avere lavorato e versato un po’ più della metà della
sua paga per 40 anni, quell'anziano è andato in pensione sulla base dell’ultima retribuzione. Ben pochi commentatori si fidano
a entrare in questa discussione sul presunto
crimine (un solo articolo sul Corriere, 20
maggio, di Antonio Polito, che ha provato,
da giornalista, a districare l’ammucchiata
di equivoci e affermazioni non vere da parte di finti esperti, in proposito). Se necessario, sventola il vessillo delle “pensioni
d’oro”, e sarebbe una denuncia più che giustificata, se non si scoprisse che, quando si
pone mano alla multa inflitta ai “pensionati ricchi”, come contributo di solidarietà
per i pensionati poveri, si comincia dai poveri (meno di 2.000 euro) con percentuali
che sono irrilevanti in alto ma durissime in
basso. Conclusione: viviamo in un mondo
politico così modesto che sa pensare e progettare e magari anche spendere in grande
(vedi il grandioso progetto di distruzione di
tutte le barche del Mediterraneo individuate dalla Pinotti) ma sa dare la caccia solo a
migranti e pensionati che sono del tutto
senza potere. Resterà il problema di definire in quale civiltà stiamo vivendo.
Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano
00193 Roma, via Valadier n. 42
[email protected]
che però ho semplicemente
riportato in maniera fedele
c.t.
Scrivo per specificare l’articolo del 18 maggio dal titolo “Se non vi fanno entrare chiamate noi o i carabinieri”, che ha informazioni
fondate su un errore di interpretazione normativa,
confonde le spiagge libere e
le spiagge in concessione
balneare. Le concessioni
sono regolate anche dalla
legge 296/2006 che stabilisce il libero e gratuito accesso e il libero transito per
il raggiungimento della
battigia nei mesi estivi, anche ai fini della balneazione. Tale norma deve essere
però letta insieme al contenuto delle annuali ordinanze comunali, che disciplinano l’attività balneare e
vietano di ingombrare la
fascia di arenile estesa almeno a cinque metri dalla
battigia con ombrelloni,
stuoie e simili. Ciò a cui si fa
riferimento nell’articolo,
ovvero la legge 217/2011
art. 11 che afferma “in assoluto il diritto libero e gratuito di accesso e di fruizione della battigia”, riguarda
i pubblici arenili.
Renato Papagni
(Federalberghi Roma)
Federalberghi ha ragione su
un punto, che probabilmente non emergeva in modo chiaro dall’articolo: i bagnanti hanno tutto il diritto
di transitare anche attraverso gli stabilimenti balneari (ovvero le aree in concessione), soprattutto dove
non siano disponibili i corridoi che enti locali devono
garantire. Tuttavia, a norma di legge, è vero che il bagnante non ha il diritto di
occupare la battigia – che in
ogni caso deve sempre essere
libera entro i 5 metri dal
mare – e andare a mettere il
suo ombrellone dopo essere
passato magari attraverso
lo stabilimento balneare.
Né tantomeno può mettere
ombrellone e stuoia nella
zona delle concessioni. Rimane però fermo il punto
centrale dell’articolo, ripreso anche nel titolo: ogni cittadino vede garantito dalla
legge il diritto di accedere al
mare per farsi il bagno, che
si tratti di spiaggia libera o
stabilimento. Questo diritto lo garantisce la legge italiana. E non c’è interesse
privato che possa negarlo
sostenendo il contrario.
an.val.
I NOSTRI ERRORI
Contrariamente a quanto
abbiamo scritto il 22 maggio (“Spartizione tra le correnti: Alfonso nuovo Pg di
Milano”), il procuratore
generale di Brescia Pierluigi Dell’Osso non è stato
escluso dalla Quinta commissione del Csm dalla
corsa alla Procura generale
di Milano bensì ha ritirato
la domanda perché suo figlio farà l’avvocato nel distretto giudiziario milanese. Ce ne scusiamo con l’interessato e con i lettori.
Il Fatto Quotidiano
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20
ULTIMA PAGINA
SABATO 23 MAGGIO 2015
DALLA PRIMA
di Marco Travaglio
esta da capire per quale
R
motivo l’Italia sia l’unico
paese al mondo dove la pre-
scrizione continua a galoppare anche dopo il rinvio a giudizio, e persino dopo la condanna di primo e financo di
secondo grado. O forse lo si
capisce benissimo.
3) Il ddl Grasso modello-base
metteva fine al pastrocchio
della legge Severino, che salva
quasi tutti i concussori col
trucchetto del nuovo reato di
induzione indebita, punibile
solo quando si dimostra un
vantaggio non solo per l’induttore, ma anche per l’indotto (vedi Berlusconi che chiama il funzionario della Questura per far rilasciare Ruby e
viene assolto perché i vantaggi
li ha avuti solo lui e non il funzionario). Ma il testo finale
questo passaggio se l’è bellamente mangiato.
4) Il falso in bilancio torna, è
vero, a essere un reato sempre
perseguibile d’ufficio, senza
bisogno della denuncia del socio. Ma quasi soltanto sulla
carta. Le pene, dopo le pressioni delle lobby di Confindustria e delle banche, ascoltatissime a Palazzo Chigi, sono ancora troppo basse. Specie per
le società non quotate (da 1 a 5
anni, che scendono a 6 mesi –
3 anni per quelle sotto i 15 dipendenti), che poi sono la
stragrande maggioranza. Non
solo: il falso è reato quando riguarda “fatti materiali” taroccati od omessi nei libri contabili, mentre inspiegabilmente non lo è sulle “valutazioni”
mendaci. Risultato: niente custodia cautelare per evitare inquinamenti probatori, fughe o
ripetizioni del reato; niente intercettazioni telefoniche e ambientali; e prescrizione pressoché assicurata per tutti. Insomma una legge-spot che
rende difficilissimo scoprire i
bilanci falsi, improbabile preservare intatte le prove e quasi
impossibile punire i colpevoli
in tempo utile. Ma, anche nel
caso eccezionale che si arrivi a
una condanna, fra attenuanti e
sconti vari, il condannato non
farà un giorno di galera. Nemmeno per le società quotate:
basti pensare che la pena massima, almeno sulla carta, è 8
anni, e la minima è 3: siccome
di fatto le pene finali medie si
attesteranno sui 4-5 anni, e le
ultime leggi svuotacarceri prevedono la cella per le pene superiori ai 5, tutti i condannati
resteranno a piede libero.
5) Giusto prevedere attenuanti (con sconti fino a 2 terzi della pena) per i corruttori pentiti
che denunciano spontaneamente i corrotti ancora ignoti
ai giudici, ma – salvo crisi mistiche – non è questa la strada
migliore per rendere più difficile la vita ai ladri in guanti
gialli. La via maestra è quella
seguita negli Stati Uniti: il “test
di integrità”, cioè la presenza
di agenti provocatori che inducono in tentazione politici e
amministratori offrendo loro
tangenti, per saggiarne la correttezza o la corruttibilità. Chi
ci casca, finisce dentro. La prospettiva ha giustamente terrorizzato i parlamentari della
maggioranza, che infatti hanno respinto con orrore l’apposito emendamento dei 5Stelle.
Evidentemente si conoscono
bene, o almeno conoscono bene i propri alleati e vicini di
banco. E hanno voluto evitare
che il Parlamento si svuotasse
da un giorno all’altro per traslocare a Regina Coeli.
STOCCATA E FUGA
Fas sino,
Belpietro
e le colonie
svedesi
di Antonio Padellaro
l format Cittadini incazzati conI
tro gli immigrati, portato al successo da Quinta colonna, vanta
svariate imitazioni ma nessuna
all’altezza del prototipo, spesso
per carenze di sceneggiatura.
Giovedì sera, per esempio, a
Virus (Rai2) la sezione incazzati di Padova ci ha rifilato
l’ennesimo caso “della povera
signora anziana italiana sfrattata mentre ai clandestini vengono riservati gli alberghi di
lusso”. Applaudito cavallo di battaglia di Salvini, ma già sentito e
risentito in altre contrade del
nord incazzato dove si citavano
interi condomini di povere signore anziane sfrattate mentre
gruppi di extracomunitari fanigottoni si lamentavano
dei pasti ipercalorici
nelle loro stanze a cinque stelle. Insomma, ragazzi, variate
il menu. Il pro-
gramma di Nicola Porro, invece,
si è distinto in positivo sui numeri veri dei richiedenti asilo: cosicché dai grafici di Pagella Politica
abbiamo appreso che Francia,
Germania, Gran Bretagna e perfino Svezia, ospitano il doppio e
anche il triplo dei nostri 78 mila
rifugiati. Non solo: se passasse il
criterio della distribuzione nei
Paesi dell’Ue (in base alla popolazione e al reddito), l’Italia dovrebbe addirittura alzare la quota
il Fatto Quotidiano
di accoglienza dal 10,3 all’11,8
per cento. “Ditelo a Belpietro”,
ha commentato Piero Fassino,
cercando di sottrarre alla demagogia imperante la discussione. Il direttore di Libero ha
provato a dire che si trattava di
nazioni con un passato coloniale, al che Fassino lo ha tacitato: “Anche la Svezia, Belpietro?”. E noi, che pure non
siamo dei fan del sindaco di
Torino, abbiamo goduto.
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