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ALFANO FU AVVERTITO DAGLI 007: “SUL MAROCCHINO SOLO
Caso Orlandi, ecco le lettere con le promesse di Andreotti a favore di “Renatino” De Pedis, boss della Magliana. Anche da morto, il divo Giulionon tradisce mai Sabato 23 maggio 2015 – Anno 7 – n° 140 y(7HC0D7*KSTKKQ( +,!z!,!?!% e 1,40 – Arretrati: e 2,00 Redazione: via Valadier n° 42 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230 Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009 ALFANO FU AVVERTITO DAGLI 007: “SUL MAROCCHINO SOLO SOSPETTI” Strage del Bardo, il giorno dell’arresto – il 19 maggio – Servizi italiani avvisarono il Viminale: “Cautela sul caso Touil”. Ma 24 ore dopo pioggia di tweet e di frasi di vanto per l’operazione. Il premier disse: “Da psicanalista chi critica il fermo”. Il ragazzo in carcere: “Sono innocente, perché mi tenete qui?” Milosa e Pacelli » pag. 3 » IL BUCO » Ora rischiamo nuove tasse sui carburanti Il ministro dell’Interno Alfano non ha dato notizie sulle accuse rivolte al giovane marocchino durante l’informativa al Parlamento LaPresse » SOLDI E DEBITI » L’avvocatura muove sugli ex Ds Così il governo Renzi La Finanziaria bocciata dall’Europa: punta al patrimonio della vecchia “Ditta” buco di 728 milioni La misura per contrastare le frodi sull’Iva “reverse charge” non è mai piaciuta a Confindustria che l’ha denunciata a Bruxelles. L’esecutivo comunitario l’ha dichiarata incompatibile con le leggi europee. A cascata nuove sanzioni potrebbero riguardare altre norme fiscali: al Tesoro mancheranno 1,7 miliardi. Senza quei soldi a luglio salgono le accise su benzina e gasolio Di Foggia » pag. 2 Udi Peter Gomez Palazzo Chigi vuole accertare la consistenza del patrimonio messo al sicuro dall’ex tesoriere Sposetti così da ripianare il buco dell’Unità “storica”. Regionali, Matteo fa l’inchino a De Luca Marra e Rodano » pag. 4 e 7 QUEL CHE RESTA DI B. INCHIESTA SEPARAZIONE TRA POTERI, UN LUSSO NECESSARIO n fantasma si aggira per l’Italia. “In questi tempi U di crisi, anche la vecchia sepa- razione tra i poteri è diventata un lusso”, scrive Michele Ainis sul Corriere. » pag. 18 100 ANNI FA Lady Pascale, il tatuaggio del comando: ora è lei la Caimana Monte Paschi, i tanti sciacalli del crollo infinito Caporale » pag. 6 Conti e Vecchi » pag. 10 - 11 CULTURA & SCANDALI Udi Daniela Ranieri La notte che l’Italia finì nel massacro della Grande guerra di Elisabetta Reguitti C ent’anni fa, il 24 maggio 1915, l’Italia entrava nella Grande Guerra. I ricordi di Angelo Del Boca, Pressburger e Pahor. » pag . 14 - 15 BELLOLI, L’ODIO OLTRE LE 4 LESBICHE » pag. 2 Udi Nuccio Ciconte ROMERO BEATO, IL PENTIMENTO DELLA CHIESA » pag. 13 Salone del Libro, accuse a Picchioni: “Peculato e falso” Giambartolomei » pag. 16 LA CATTIVERIA L’intelligence alza a 4 il livello di rischio attentati negli aeroporti: Formigoni sta per ripartire » www.spinoza.it Più pro che anti di Marco Travaglio cambiata così tante volte, È la legge Anticorruzione, nei suoi 797 giorni di ti- ra-e-molla parlamentare da quando Piero Grasso la presentò a inizio legislatura a quando l’altroieri la Camera l’ha licenziata definitivamente, che a commentarla a botta calda si rischiava la labirintite. Perciò ci siamo presi un giorno e ora siamo quasi pronti. Buona o cattiva legge? Buona e cattiva insieme. Buona anzitutto per il fatto stesso che sia stata approvata una legge con quel nome, “Anticorruzione”, che in un Parlamento molto Pro, con oltre 100 fra condannati, imputati e inquisiti, senza contare i loro avvocati, è peggio dell’aglio per i vampiri, del drappo rosso per i tori e dell’acquasanta per i demòni. Buona, poi, perché allontana per un po’ i condannati dai rapporti con la Pubblica amministrazione. Buona, infine, perché aumenta le pene sia massime sia minime – ora di poco, ora di molto – per la corruzione, il peculato e l’associazione mafiosa (non però per la concussione, la corruzione internazionale e l’autoriciclaggio); dunque sposta in avanti – ora di poco, ora di molto – la scadenza della prescrizione, notoriamente calcolata sul massimo della pena. Basta tutto ciò per cantare vittoria, come fanno i tg e i giornaloni, o addirittura per dire che “stiamo cambiando l’Italia” e che “la prescrizione non sarà più possibile” come fa Renzi? No, non basta. Ci vuole ben altro per cambiare l’Italia (per esempio, escludere gli impresentabili dalle proprie liste anziché imbarcarli a vagonate come fanno FI, Ncd e Pd), e anche per rendere impossibile la prescrizione. Purtroppo, al di là della propaganda, le note dolenti sono prevalenti. 1) La corruzione più grave, quella per atto contrario ai doveri d’ufficio (cioè il delitto del pubblico ufficiale che viola la legge e abusa del proprio potere in cambio di soldi o favori), oggi punita fino a 8 anni, lo sarà fino a 10. Prescrizione impossibile? Macché: allungata di soli 2 anni, troppo pochi per garantire la conclusione del processo, specie nei tribunali più intasati. Idem per le fattispecie di corruzione meno gravi, cioè quelle di chi si fa pagare per un atto dovuto o comunque non illegale. 2) Il governo ha scriteriatamente stralciato la riforma generale della prescrizione, che arriverà solo dopo le elezioni: e lì l’Ncd, in cambio del suo ok all’Anticorruzione, ha già ottenuto che se ne riducano vieppiù i modici effetti positivi. Cioè: con una mano (Anticorruzione) il governo allunga la prescrizione, e con l’altra (Riforma della prescrizione) si appresta ad accorciarla di nuovo. Roba da schizofrenici, o da delinquenti. Segue a pagina 20 2 PRIMO PIANO SABATO 23 MAGGIO 2015 W hirlpool, operai dal premier: “Sciopero generale” I METALMECCANICI di Caserta si fermano per otto ore di sciopero generale per scongiurare la chiusura dello stabilimento Whirlpool di Carinaro (Caserta); annunciano lo sciopero di tutto il gruppo per il 12 giugno con manifestazione a Varese; una delegazione incontra il premier Matteo Renzi (a Salerno per un’iniziativa elettorale del Pd) e, in serata, da Fabriano, arriva l’affondo del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti che definisce "inaccettabile" il peso sociale del piano di esuberi. Ieri i lavoratori di Carinaro, con quelli dell’indotto e delle aziende metalmeccaniche casertane (oltre tremila, secondo Cgil, Cisl e Uil), hanno invaso Caserta. Dal corteo slogan contro Confindustria, Whirlpool e il Pd; qualcuno ha portato le croci con scritte le date di assunzione e quella del 16 aprile, giorno in cui è co- IVA, L’UE APRE UN ALTRO BUCO A RENZI SERVONO 700 MILIONI L’EUROPA BOCCIA IL REVERSE CHARGE. RISCHIO AUMENTO DEI CARBURANTI A LUGLIO di Carlo Di Foggia N eanche il tempo di coprire al minimo una voragine da 18 miliardi, che a Matteo Renzi si apre un altro buco da 700 milioni. Ieri, infatti, la Commissione europea ha bocciato l’estensione del reverse charge dell'Iva (il meccanismo dell'inversione contabile che elimina la detrazione dell'Iva sugli acquisti) alla grande distribuzione. Una misura contenuta nell’ultima legge di Stabilità, e coperta – in caso di bocciatura – con le solite clausole di salvaguardia: se il governo non interverrà, dal 30 giugno saliranno le accise sui carburanti per un importo equivalente. Lo stop di ieri non è un fulmine a ciel sereno per il ministero dell’Economia, visto che gli uffici di via XX settembre erano stati informati della decisione. Il 6 maggio scorso, il ministro Pier Carlo Padoan si era già impegnato a eliminare tutte le clausole di salvaguardia e ieri il Tesoro lo ha ribadito. DOPO la sentenza della Con- sulta sulle pensioni, su cui il governo ci ha messo una toppa da 2,2 miliardi, stavolta serviranno altri 728 milioni per disinnescare la nuova mina sui conti pubblici. Che potrebbe non essere l'ultima, visto che a breve è attesa anche la decisione sullo split payment, che permette alla Pubblica amministrazione di versare l’Iva direttamente all’erario, saltando i fornito- Un calcio al buon senso Capo Lega dilettanti Belloli, “lesbica” non è un’offesa Lo è la corruzione orse l’appena sfiduciato presidente della Lega Dilettanti Felice Belloli non avrebbe fatto riferimento al mondo dei balF lerini di danza classica dicendolo composto da “quattro froci” - o DOPO lo stop di ieri, è ar- rivato il plauso di Confindustria (la prima a ricorrere a Bruxelles contro la norma): “Esprimiamo profonda soddisfazione”. Stesso concetto ribadito da Confcommercio. Perché tanto astio? Il reverse charge è un meccanismo di Matteo Renzi e il ministro del Tesoro, Pier Carlo Padoan Ansa inversione contabile che scarica l’obbligo di versare l'Iva sull'acquirente, esonerando il venditore, che quindi non può più detrarla. Un sistema anti-evasione voluto dall’Ue che impedisce alle aziende – una volta incassata l'imposta – di non versarla nascondendo la vendita. Lo scopo è anche quello di evitare la detrazione di Iva applicata da fornitori esteri e incassata, quindi, da Stati esteri. Impedire, cioè, che chi compra dalla Francia un prodotto in Italia, paghi l'imposta in minciata la vertenza. Dal palco toni duri. "Chi non sta con i lavoratori sta con i camorristi; Renzi scelga", ha detto il segretario della Fim-Cisl Marco Bentivogli. Alcuni operai hanno urlato lo slogan: "Noi votiamo 5 Stelle". Il blog di Grillo ha preso la palla al balzo: "M5S è dalla vostra parte, dalla parte dei diritti dei lavoratori che non possono essere calpestati e cancellati con il JobsAct". di Daniela Ranieri ri: un’altra misura anti-evasione che però sottrae liquidità alle imprese, soprattutto quelle edili (il buco qui è di 988 milioni, coperto sempre con le accise). In caso di bocciatura, il conto finale salirebbe così a 1,7 miliardi. DOPO LA CONSULTA Nuovi guai per i conti pubblici. Confindustria esulta. Il Tesoro: “Eviteremo i rincari” Ma rischia anche lo split payment (988 milioni) il Fatto Quotidiano Francia. La gestione delle detrazioni Iva transnazionali richiederebbe una stanza di compensazione comunitaria, che però non è stata mai realizzata. Negli ultimi anni questo meccanismo è stato utilizzato anche per contrastare le cosiddette “frodi carosello”. Di fatto, però, toglie anche risorse alle imprese, trasformandole in creditori perenni dello Stato, che rimborsa l'Iva in tempi non certo brevi. FINORA il reverse charge si applicava solo in alcuni settori (subappalti, materiale informatico ecc.), come l'edilizia. Per estenderla a ipermercati e supermercati il governo aveva chiesto una deroga a Bruxelles, in quanto violava la direttiva europea sull'Iva. Ieri, in una nota inviata al Consiglio europeo, la Commissione ha detto no: “Non esistono prove sufficienti che la misura richiesta contribuirebbe a contrastare le frodi. La Commissione ritiene anzi che questa misura implicherebbe seri rischi di frode a scapito del settore delle vendite al dettaglio e a scapito di altri stati membri”. LA PROSSIMA SETTIMANA in una riunione al Tesoro si inizieranno a studiare le mosse per evitare l’aumento di benzina e gasolio a partire da luglio. Stando a quanto filtra, la copertura potrebbe arrivare da una razionalizzazione delle spese dei vari ministeri, evitando così di dover ricorrere a un decreto. Questo, se nel frattempo da Bruxelles non arrivasse la bocciatura dello split payment, che aprirebbe un buco pari al famoso “tesoretto”, su cui Padoan puntava a inizio maggio per tappare i vari buchi. Almeno su quest’ultima decisione, al Tesoro conservano ancora qualche speranza. Confindustria, invece, non vede l’ora. forse sì, visto il personaggio. Ma gli va dato atto di aver portato alla luce ciò che riposa nel buio di certe menti, e cioè non tanto l’associazione più grettamente genitale secondo la quale la donna che s’azzuffa in aerea, si spezza i legamenti e si rotola nel fango debba essere lesbica; quanto che l’eventuale esserlo equivalga a un disdicevole stato che squalifica la persona, tanto che è lecito impedirle finanziariamente di giocare al calcio, gioco “maschile” per eccellenza e perciò dignitoso. Povero lui. Immaginiamo schiere di lesbiche che pur di darsi all’amore saffico imparano la regola del fuorigioco e vanno a battere cassa da Belloli. Il quale “Basta soldi”, avrebbe detto (c’è il verbale ma lui nega), presumendo che in quanto lesbica una donna il calcio lo faccia più per vizio che per passione, e tra i vizi il più infamante si sa per un certo tipo di uomini qual è. L’indole ossessiva del soggetto troverebbe poi ratifica in certe testimonianze che spuntano di presunte molestie a suo carico: sotto le feste, avrebbe domandato ad alcune collaboratrici se volessero in dono “un uccello pasquale”, e vabbè. L’ITALIA TUTTA si è indignata, indovinando nelle parole del di- rigente l’ignoranza e l’offesa. E però un dubbio a queste latitudini morali un po’ sorge: non sarà che “lesbica” sia per tutti, di per sé, un insulto? Che a sentirla pronunciare, la parola, si stia un po’ tutti sull’attenti, tutti col rilevatore del politicamente corretto attivato, come se a venir pronunciata fosse una brutta malattia, un disturbo della vista (si sa di vecchie signore che lo confondono con “presbite”, con relativi imbarazzi dall’ottico) o uno stato di minorità, sì che l’infelice uscita di Felice è di fatto sovrapponibile a quella dell’ineffabile suo predecessore Tavecchio, che chiamò (oltre che i neri “mangiabanane”) le calciatrici “handicappate”? Le giocatrici, pure loro, avrebbero dovuto offendersi più per quel “quattro”, detto per sminuirne la rilevanza, che per l’illazione sessuale, invero non infamante per chi la riceve, lesbica o no, ma solo per chi la pronuncia come fosse un insulto. Qualcuno di famiglia spieghi a Belloli che le lesbiche amoreggiano tra loro e non giocano a calcio, oppure – almeno finché lui continuerà a non comandare niente come adesso - giocano a calcio come a scherma, a cricket, a pallanuoto o anche a niente, alla faccia sua. Intanto bene ha fatto quel galantuomo di Francesco Totti a rivendicare sul suo sito l’appartenenza delle calciatrici alla “grande famiglia del calcio”, indipendentemente dall’orientamento sessuale. Quello che odia le lesbiche, infatti, in realtà odia le donne, e gli brucia non tanto che esistano donne lesbiche (si sa quanto gli omofobi siano spesso cripto-gay o consumatori etero di porno lesbico), quanto dilapidare per loro i denari che ottimi uomini di calcio indubitabilmente eterosessuali stanno facendo così magnificamente volteggiare nell’orrido spettacolo della corruzione. Infront, assalto alla regia delle partite LA SOCIETÀ AL CENTRO DELL’INCHIESTA ANTITRUST VUOLE PRENDERSI ANCHE IL CONTROLLO DELLE TELECAMERE IN CAMPO di Stefano Feltri ultima tappa dell’avanzaL’ ta di Infront alla conquista del calcio italiano è comin- ciata in febbraio e si è declinata ieri: la società, che in teoria sarebbe solo un advisor, un consulente della Lega Calcio, vuole la gestione delle immagini di tutte le partite. Il piano lo ha presentato ieri in una riunione della Lega, ma se ne discute da mesi, il capo di Infront in Italia, Marco Bogarelli, ne ha parlato anche con Marco Brunelli, il direttore della Lega, in un seminario sabato scorso. TUTTO COMINCIA con una polemica in apparenza estemporanea. Adriano Galliani, gran capo del Milan, contesta un gol subito dalla Juventus di Carlos Tevez: era fuorigioco, ma per colpa di una inquadratura ingannevole di Sky sembra regolare. Il Milan trasforma lo sfogo in una dichiarazione di guerra, con un comunicato: “Il Milan non intende innescare polemiche, ma fa una richiesta chiara e precisa. In questo momento le 10 partite del Campionato di Serie A sono realizzate da 6 registi Sky, 3 registi Mediaset e 1 indipendente. Il Milan chiede che a partire dalla prossima stagione, i registi siano tutti indipendenti e non provenienti dai broadcaster che acquisiscono i diritti del Campionato”. Detto fatto: Infront si muove per gestire la regia di tutta la Serie A. E nessuno può dire di no a Infront e a Bogarelli, come dimostra l’inchiesta dell’Antitrust sull’accordo imposto a Sky per garantire anche a Mediaset parte dei diritti che il gruppo di Rupert Murdoch aveva vinto in asta. Galliani è il capofila del fronte pro-Infront in Lega, Bogarelli non ha mai rinnegato il suo passato nella galassia Milan-Fininvest. Lo schieramen- L’AVANZATA Ieri la proposta in Lega: così può valorizzare i suoi cartelloni pubblicitari, con l’acquisto della G Sport to contrario, Roma, Juventus, Fiorentina, Napoli, è frammentato e incapace di arginare i tifosi di Infront, molto grati a Bogarelli che paga generosamente la gestione del brand di mezza Serie A. A FEBBRAIO i siti di Parma hanno dato per fatta un’operazione che, anche se non ancora ufficializzata, è legata al tentativo di conquistare la regia delle partite. Infront avrebbe rilevato la G Sport, una società di Brescia che dai documenti ufficiali risulta ancora controllata dall’imprenditore Alessandro Giacomini. A Repubblica Giacomini ha dichiarato: “Ci stiamo annusando, niente è concluso”. Ma a Parma tutti hanno fatto il collegamento: G Sport entra nell’orbita Infront e negli stessi giorni chiude un accordo con la squadra Parma FC per la gestione della cartellonistica dello stadio. La cifra, 870 mila euro, non è enorme per G Sport che ne fattura 34 milioni, ma preziosa per la squadra parmense già retrocessa e che in quelle settimane non sapeva neppure se sarebbe riuscita ad arrivare a fine stagione. In tanti, ai vertici della Serie A, saranno stati grati a G Sport (e quindi, forse, a Bogarelli e Infront) per aver dato un po’ di ossigeno al Parma che con la sua esplosione rischiava di falsare tutta la classifica. La G Sport gestisce i cartelloni rotanti a bordo campo per sei squadre di Serie A tra cui la Fiorentina, quattro di B ed è attiva anche nel volley, nel rugby Chi inquadra decide LaPresse e nel basket. I vantaggi per Infront di occuparsi sia di cartelloni che dell’immagine video delle squadre è evidente: è il regista che decide se la telecamera deve indugiare più sul polpaccio del giocatore o sul rullo pubblicitario venduto a caro prezzo. Per Sky perdere il controllo sulle regie vorrebbe dire rinunciare a gran parte del proprio valore aggiunto. A Mediaset, che con Infront gioca di sponda, non hanno obiezioni. In Lega neppure. Twitter @stefanofeltri PRIMO PIANO il Fatto Quotidiano A l Qaeda, resta in carcere l’imam di Bergamo di Valeria Pacelli C autela. L’intelligence italiana, che aveva già ricevuto informazioni dai colleghi tunisini sul mandato di cattura internazionale per Abdel Majid Touil, aveva avvertito il Viminale di gestire con le pinze la questione. Un mandato di poche righe, forse, non è abbastanza per scatenare le fanfare mediatiche sulla cattura. Ma la cautela ha ceduto il passo alle ragioni politiche ancora più forti se si è sotto campagna elettorale. E così l’arresto del 22enne marocchino accusato di aver partecipato alla strage del 18 marzo al museo del Bardo di Tunisi, è finita per diventare una vittoria governativa. RIMANE IN CARCERE l’imam di Bergamo e Brescia Hafiz Muhammad Zulkifal, di 42 anni, arrestato il 24 aprile scorso nell’ambito dell’operazione condotta dalla Digos di Sassari che ha sgominato una cellula terroristica legata al Al Queda. Il Tribunale del Riesame ha respinto la richiesta di scarcerazione, o modifica della misura cautelare. Hafiz Muhammad Zulkifal è accusato di associazione per delinquere finalizzata al terrorismo e al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Secondo gli inquirenti, insieme ad altri connazionali, avrebbe orga- LA STRAGE DEL BARDO GLI 007 AL VIMINALE: “CAUTELA SULLE ACCUSE” L’INTELLIGENCE ITALIANA, IN CONTATTO CON TUNISI PRIMA DEL MANDATO DI CATTURA PER IL 22ENNE, CONSIGLIÒ PRUDENZA SULLA FONDATEZZA DELL’ARRESTO. NON FU ASCOLTATA nizzato attentati. Ma non solo. L’imam si sarebbe occupato della propaganda religiosa di stampo radicale mirata a indottrinare i fedeli anche destinati al martirio. Si sarebbe occupato di recuperare risorse finanziarie destinate alla lotta armata. LE TAPPE DELLA VICENDA Dai 24 morti al museo alla richiesta di estradizione LA STRAGE Il 18 marzo scorso poco dopo le 12 un commando di terroristi entra nel museo del Bardo a Tunisi. L’assalto, rivendicato dallo Stato Islamico, si conclude con 24 vittime (4 sono italiani) e 45 feriti. LA CATTURA Il 19 maggio la Digos e il Ros danno esecuzione a un ordine di cattura internazionale. Viene arrestato Abdel Majid Touil, marocchino di 22 anni. Secondo le autorità tunisine ha partecipato alla pianificazione dell’attentato. IL CODICE L’iter procedurale per la misura provvisoria in carcere e per l’estradizione è delegato alla Corte d’Appello ed è regolato dagli articoli 715 e 716 del codice di procedura penale. della vostra professionalità”. “Chi critica l’arresto – dice poi – è da psicanalisi”. Angelino Alfano invece da Roma riproponendo il tema dell’essere cauti e lasciando fuori – come ha detto – la campagna elettorale, parla di successo investigativo. “Abbiamo realizzato – ha sottolineato due giorni fa – una cattura che non era semplice grazie al buon funzionamento del sistema delle impronte digitali: tutto ciò che è alla base del mandato di arresto internazionale non è di competenza italiana”. STAMPA GARANTISTA La stampa più attenta alle posizioni di indagati e imputati eccellenti, quella che chiama “presunti colpevoli” anche i condannati in Cassazione, ha definito “terrorista” il giovane marocchino arrestato quando la Tunisia non ha ancora trasmesso gli atti dell’accusa. E ora che i dubbi prevalgono, aggiusta il tiro sull’immigrazione. Primo premio a “Libero” L’OPERAZIONE Bisognava aspettare per le verifiche, ma il governo ha preferito esaltare il “successo investigativo” in vista delle prossime Regionali del 20 maggio scorso. Dopo che il giorno prima era stato arrestato Abdel Majid Touil, alle 9.50 viene data la notizia alle agenzie. Viene convocata in Procura a Milano una conferenza stampa. “Avevamo eseguito un’ordine di cattura internazionale. Era necessario fare una conferenza per comunicarlo”, ricordano dalla Questura del 3 IL MINISTERO DI ALFANO NEGA Lo staff del leader Ncd smentisce: “Per la gestione mediatica, la conferenza stampa l’ha fatta la Procura di Milano” DALLO STAFF del ministro dell’Interno Angelino Alfano, contattato dal Fatto, negano l’avvertimento ma scaricano la gestione pubblica dell’arresto sulla Procura. “Non risulta nulla del genere. Per quanto riguarda la gestione mediatica, anche se è banale dirlo, è di tutta evidenza che il boccino mediatico della conferenza stampa l’aveva la Procura”. Uno 007 italiano con grande fiducia nei colleghi tunisini, che definisce un “ottimo servizio di intelligence”, spiega che “è stata sbagliata la gestione successiva alla conferenza stampa”. Allora torniamo alla mattina SABATO 23 MAGGIO 2015 capoluogo lombardo. “Chiaramente anche noi abbiamo avuto contatti con gli 007. Come succede sempre e soprattutto in questa operazione. Certo parlare ora di cautela con il senno di poi...”. Dopo la conferenza stampa, la parola è andata alla politica. Il premier Matteo Renzi con un tweet ringrazia le forze dell’ordine e si dice “orgoglioso Il Museo del Bardo a Tunisi subito dopo la strage del 18 marzo 2015 Ansa COSA ABBIA fatto Touil in Tunisia, infatti, lo sa chi ha svolto le indagini nel Paese che lo ritiene tra i terroristi del museo del Bardo. Se c’è un errore quindi è lì. Poi è stato identificato in Italia, dove è arrivato lo scorso 17 febbraio. Ad accendere un faro sul giovane è stata la denuncia fatta dalla madre il 14 aprile sulla scomparsa del passaporto del figlio. Così si è scoperto che quel nome risultava in un elenco di trenta persone, alcuni già arrestati altri ricercati, inviato dalla Tunisia alla nostra intelligence. Con la denuncia l’identificazione non è difficile: il 19 maggio sera, dopo che la polizia municipale aveva ricevuto una segnalazione, Touil viene fermato. Non ha i documenti (la madre ne ha denunciato la scomparsa) ma nome e data di nascita corrispondono a quello inserito nell’elenco inviato dalla Tunisia. Viene quindi eseguito l’arresto. Poi però si scopre che Abdel Majid Touil il 16 e il 19 maggio si trovava a scuola a Trezzano sul Naviglio. La strage del Museo è il 18. Qualora fosse a andato Tunisi avrebbe dovuto prendere un aereo. Ma il suo passaporto era andato smarrito. “Magari ha usato documenti falsi”, ipotizza uno 007. Magari. Adesso anche il pm di Roma Francesco Scavo, che indaga sui quattro morti al museo, ha chiesto le carte ai magistrati milanesi. Quando arriveranno, vaglierà la posizione di Touil. Dove si trovasse con certezza nei giorni della strage intanto non lo sa neanche l’intelligence. “Per questo bisognava aspettare, per fare tutte le verifiche”, ribadisce. Ma le votazioni sono il prossimo fine settimana. E i tempi della politica sono più rapidi di quelli delle indagini. @PacelliValeria Touil: “Io innocente, mai lasciato l’Italia” DURANTE L’UDIENZA PER L’IDENTIFICAZIONE, IL MAROCCHINO SI È DIFESO: “NON CAPISCO, IL GIORNO DEL MASSACRO NON ERO LÌ” di Davide Milosa stanco e provato. In cella ci sta da quattro È giorni senza conoscerne precisamente il motivo. Tanto che solo ieri Abdel Majid Touil ha sa- puto di essere accusato di terrorismo internazionale per aver partecipato quantomeno alla pianificazione della strage al museo del Bardo di Tunisi il 18 marzo scorso, come ribadito ancora ieri da fonti investigative tunisine. Davanti a Pietro Caccialanza, giudice della quinta Corte d’appello del tribunale di Milano, si è difeso in modo deciso: “Ma quale terrorista, io sono innocente”. E ancora: “Da quando sono arrivato in Italia, il 17 febbraio scorso, non me ne sono mai andato. Con i fatti di Tunisi io non c’entro”. Eccole le prime parole del 22enne marocchino. Ferme ma anche incredule davanti alle accuse che gli vengono mosse dalle autorità tunisine. Accuse che vanno dall’omicidio volontario al sequestro di persona fino alla partecipazione ad un’organizzazione terroristica. “Perché sono qui – ha ripetuto – non lo so, non capisco”. Se lo è domandato spesso durante l’udienza per la sua identi- ficazione. Dopodiché ha chiarito i suoi spostamenti in Italia. Spostamenti che coincidono con quelli raccontati dalla madre: sbarcato a Porto Empedocle, Abdel, assieme al genitore, ha preso un pullman per spostarsi nella palazzina di via Pitagora a Milano. TOUIL, come ha riferito il suo avvocato, si è op- posto alla richiesta di consegnarsi alle autorità tunisine. Quindi nel pomeriggio è stato trasferito nel carcere di massima sicurezza di Opera. Si è conclusa così la prima tappa di un lungo iter procedurale. Ora la Corte d’appello dovrà confermare la richiesta di una custodia in carcere che sarà avanzata dal ministro della Giustizia in base agli articoli 715 e 716 del codice di procedura penale. E lo farà in base alle carte giudiziarie tunisine che ancora ieri non erano arrivate. Solo in un terza fase sarà affrontata la questione dell’estradizione che comunque vada appare difficile. Se, infatti, l’inchiesta tunisina confermerà nei fatti la sua partecipazione alla strage, il marocchino dovrà prima essere giudicato in Italia per la morte dei nostri quattro connazionali. I dubbi restano ancora molti. Su un dato però la Procura di Milano è comune distante da Gaggiano. Da certa: la persona fermata è quella inLegnano, però, dove c’è una grande dicata nel mandato di cattura intermoschea e una nutrita comunità nazionale. Nessuno scambio di tunisina, non emergono notizie riidentità, dunque. Se errore c’è stato, levanti. Il dato geografico viene lo si saprà leggendo le carte dell’inspiegato dalla madre del ragazzo. La chiesta tunisina. Di questo è confamiglia Touil ha vissuto a Legnano vinto il procuratore aggiunto Maufino al 2011. “Non andavo a pregare rizio Romanelli, il quale ritiene imin Moschea – ha detto la donna – portante capire quali sono stati gli non avevo tempo, dovevo lavoraspostamenti di Touil dal 17 febbraio re”. Nel fascicolo milanese c’è queal 19 maggio. Una ricostruzione Abdel Majid Touil LaPresse sto. E intanto si è saputo che anche non facile, perché le notizie filtrate la Procura di Roma, competente dai servizi tunisini da metà aprile a oggi non sono per le quattro vittime italiane del Bardo, ha inistate molte. ziato accertamenti sul marocchino. Con il passare delle ore il profilo di Touil appare distante da quelDI CERTO, nelle due settimane prima dell’arresto lo di un estremista. Ma del resto, è il ragionamento sono state fatte attività tecniche. Attività che, se- della Procura, niente esclude che il marocchino condo gli investigatori, non hanno portato a sce- abbia potuto partecipare, magari trasportando un nari sensibili. Come anche gli accertamenti sul borsone di armi, solo per soldi e non per motivi materiale sequestrato. Nessuna tracce di estremi- religiosi. Ieri, la madre ha confermato che uno dei smo nella vita di Abdel Majid. Il puzzle investi- fratelli di Touil ha compiuto viaggi in Marocco. Il gativo però è ancora da completare. A partire dalla resto è la sensazione che in questa storia più di un prima segnalazione che colloca Touil a Legnano, particolare continui a non tornare. 4 POLITICA SABATO 23 MAGGIO 2015 N emici esterni e interni: dai 5Stelle al lìder maximo LUIGI DI MAIO ”VOLO DI STATO E AUTO BLU PER I COMIZI” ”Un premier che atterra in Campania con il volo di Stato, che si sposta in auto blu per andare a fare la campagna elettorale al suo amico De Luca, non capirà mai i problemi di questa terra, ovvero non saprà risolverli”. Lo scrive il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio ieri su Facebook. il Fatto Quotidiano MASSIMO D’ALEMA ”LISTE? DOVEVAMO ESSERE PIÙ ESIGENTI” ”Dovevamo essere più esigenti con i nostri alleati, con le liste collegate e chiedere che ci fosse un controllo preventivo più attento”. Così Massimo D’Alema, a proposito della presenza nelle liste di candidati impresentabili. “Per fortuna i candidati vengono eletti soltanto se i cittadini li votano”. MATTEO FA L’INCHINO A VINCENZO IL PREMIER VA A SALERNO, A CASA DEL ”COMPAGNO” CHE NON VOLEVA, E LO ELOGIA: “CON LUI GOVERNATORE DELLA CAMPANIA SALIRÀ IL PIL DELL’ITALIA”. COMIZIO BLINDATO IN COPPIA di Wanda Marra V inviata a Salerno incenzo De Luca indica, racconta, spiega. Matteo Renzi ascolta, commenta, gesticola. I due sono sulla terrazza di un ristorante nel porto turistico della Marina di Arechi. Opera fortemente voluta dal candidato presidente della Campania. A immortalare la scena, sotto, una selva di telecamere. Alla fine il premier-segretario ha “mollato” le sue resistenze e a Salerno, a casa di quello che chiama confidenzialmente “Enzo” c’è venuto. TRA DIECI giorni si vota e la Campania bisogna conquistarla. E poi, secondo i dati in mano al Pd locale De Luca è saldamente in testa sul governatore uscente del centrodestra, Stefano Caldoro. E Matteo non si può certo permettere di farlo vincere, senza metterci la faccia. La linea è data da un’intervista al Mattino: “Non ho mai sentito nessuno intellettualmente onesto negare che De Luca sia stato un sindaco straordinario. Credo che Enzo possa essere il sindaco della Campania. Ecco perché faccio campagna elettorale al suo fianco”. Ci sono gli impresentabili nelle sue liste? Pazienza. Di più, c’è Gomorra, come ha denunciato lo scrittore Roberto Saviano? Bene lo stesso. La visita parte all’insegna dell’improvvisazione e finisce con un endorsement senza se e senza ma al candidato. Se qualcuno poteva avere dei dubbi sui reali pesi di potere tra i due, la giornata di ieri dà qualche risposta. In un primo momento Renzi aveva pensato a una toccata e fuga, in veste istituzionale. Sulla falsariga “un po’ ci metto la faccia, ma anche no”. È la terza volta che viene in città: la prima era stato qui per presentare un libro, la seconda durante la campagna per le primarie contro Bersani. L’allora sindaco di Salerno aveva scelto il capo della Ditta. Dunque, agenda incerta fino all’ultimo, pronta a piegarsi alle esigenze politiche del momento. IL GIRO è blindato: al sito di compostaggio al seguito di premier e candidato entrano solo le telecamere di Palazzo Chigi. De Luca, condannato per abuso d’ufficio nella vicenda dell’inceneritore, ci tiene a far vedere al premier una sua conquista in campo di smaltimento dei rifiuti. Ma è la prima tappa, e gli equilibri tra i due vanno definiti: a De Luca non sono piaciute, per dire, le battute sulla bravura di Caldoro come amministratore. Alla Marina d’Arechi il clima è già decisamente più disteso. La “discesa in campo” di Berlusconi a Napoli e le accuse di Enrico Letta a De Luca portano Renzi a schierarsi decisamente col suo candidato. Tant’è vero che quando gli chiede di andare a vedere la Nuova Cittadella giudiziaria, altro fiore all’occhiello (ma in costruzione), Matteo accetta. Fuori programma assoluto per andare incontro all’altro. Mentre De Luca lo chiude in una stanza e coglie l’occasione per ottenere la promessa da Renzi di sbloccare il finanziamento per completarla (27 milioni di euro), all’Hotel Mediterranea sul lungomare il Pd aspetta. Fuori ci sono i Cobas che protestano contro la riforma della scuola. “Renzi non ti vogliamo”: sono pochi e tenuti lontani dalle forze dell’ordine. Rifiuteranno l’incontro col premier, che invece vede i lavoratori della Whir- SINDACO DECADUTO Se ti fai spaventare da un avviso di garanzia è meglio che te ne vai a casa: i veri impresentabili sono quelli che rubano il futuro lpool (Beppe Grillo lancia sul blog il video di un gruppo di operai che urlano: “Noi votiamo 5Stelle!). Per entrare, c’è una lista con i nomi degli invitati. Renzi qualche cautela l’ha imposta: solo candidati Pd. È un comizio, ma è blindato. “A testa LE CADUTE alta”, recitano i manifesti. Sala piccola ma pienissima. Ci sono i dirigenti del Pd locale, sindaci e consiglieri comunali. C’è il guardasigilli Andrea Orlando e molti deputati campani. LA COMITIVA arriva verso le 15 e 20. Quando De Luca inizia a parlare lo accoglie una vera ovazione. “Mi candido a nome delle cose che ho fatto, non di quelle che ho detto”. È minaccioso nella sua precisione di riferimenti e messaggi incrociati. Come quelli a Caldoro (che non nomina). Reo, per esempio, di avere 400 consulenti o di gestire male la sanità. E netto nel ringraziare Renzi che “ha avuto il coraggio da leader vero di far celebrare le primarie in Campania e di rispettare il voto degli elettori”. Per inciso, i vertici Pd hanno cercato di evitarle fino all’ultimo, cercando un candidato al- VERSIONE SEGRETARIO La lotta alla camorra non si fa leggendo un articolo di giornale. Sono qui per impegnarmi nel sostegno a Enzo: si può essere amici mantenendo le distanze ternativo a lui. “La Campania è cultura, è Eduardo, Massimo Trosi e Pino Daniele, il Teatro San Carlo e il Teatro Verdi”, dice. Renzi annuisce. Il punto più forte del suo discorso è un altro: “Ci vuole un po’ di coraggio. In questo groviglio burocrati- co-amministrativo, se ti fai spaventare da un avviso di garanzia è meglio che te ne vai a casa”. Di più: “I veri impresentabili sono quelli che rubano il futuro”. Matteo alza il sopracciglio. Poi, quando tocca a lui sorvola: “Si può essere amici, mantenendo delle distanze”. La butta in battuta. Una, due volte. Nessun accenno a quei candidati che “non voterei neanche io”. Come se la questione non esistesse più. Solo una circonlocuzione evocativa e polemica: “La camorra non si combatte leggendo un articolo di giornale. Se chiediamo di cosa stiamo parlando ci viene risposto che il tema sono le liste, i candidati, discussioni filosofiche, ma non c’è l’oggetto della discussione: qua partono i dieci giorni che decidono i prossimi cinque anni. O vince Caldoro o De Luca, sono qui per dire a nome del Pd in modo chiaro e net- Matteo Renzi con il suo candidato Vincenzo De Luca; la povera Pina Picierno che scivola sulle scale, a sinistra, e la contestazione di operai e insegnanti: “Noi votiamo 5Stelle” Ansa to che c’è l’impegno del partito perché vinca De Luca”. La gente lo applaude. Ma il mattatore è l’altro. “Al di là delle valutazioni, se la Campania sarà amministrata nei prossimi anni come è stata amministrata Salerno, il Pil del Paese crescerà tra lo 0,5e l’1%”, affonda ancora Renzi. La giornata è finita, il sostegno è pieno. Non senza fatica. I due non escono a braccetto. Prima va via Renzi, poi De Luca. E il premier è costretto a ribadire in un tweet: “Falso in bilancio, anticorruzione, autoriciclaggio, ecoreati. Sulla legalità questo governo non prende lezioni da nessuno #lavoltabuona”. AL SERVIZIO Il cerchio magico dello Sceriffo di Angela Cappetta Salerno ai processo fu così lungo e scoM modo. Lungo perché in quattro anni, solo ieri sono stati ascoltati i primi testimoni. Scomodo perché, seppur non sono stati individuati i mandanti, nelle carte processuali si ripete come un mantra il nome di Vincenzo De Luca collegato alle società municipalizzate, dove il sindaco decaduto di Salerno ha piazzato uomini di fiducia e candidati al consiglio regionale. Il processo è quello che cerca di far luce sull’aggressione del 14 luglio 2009 al Polo Nautico di Salerno subita dai Giovani democratici, a cui fu impedito di celebrare il congresso per l’elezione del segretario regionale. “Andatevene di qua sennò vi uccidiamo di mazzate. Oggi il congresso non si fa. Questa è Salerno e qua comanda De Luca”: queste le minacce che precedettero pugni, schiaffi e spintoni e che ieri sono state ribadite in aula da Vincenzo Pedace, membro della direzione nazionale dei Gd. La municipalizzata coinvolta è Salerno Pulita, che si occupa della raccolta dei rifiuti urbani: sei dei quattordici imputati per attentato contro i diritti politici sono dipendenti comunali. Tra questi c’è pure Giovanni Pagliarulo, papà di Rocco Hunt, il rapper vincitore di Sanremo giovani. IL GIORNO successivo all’aggressione, a chi gli chiedeva di prendere pubblicamente le distanze da chi avesse usato il suo nome, Vincenzo De Luca rispose lapidario: “Non parlo di fatti che non conosco”. Di certo, De Luca conosce bene alcuni dei presidenti della partecipate del Comune di Salerno che ha voluto nelle sue civiche. Come Nello Fiore, presidente dell’Asis (che gestisce acqua e acquedotto), imputato nel processo sul Crescent e candidato nella lista Campania Libera, finita sotto inchiesta per la gestione dei rimborsi elettorali della campagna elettorale di cinque anni fa. O come Dario Barbirotti, ex presidente del Consorzio per i rifiuti Sa2, consigliere regionale uscente, attualmente candidato nel Psi e a processo per una presunta truffa legata alla gestione di telepass e carburante (oltre che per essersi aumentato lo stipendio di mille euro). Chi non ha trovato un posto nelle sue liste, resta comunque in quel cerchio magico di consensi che dalle società partecipate portano dritti a lui. Nella Il Polo Nautico di Salerno IL PROCESSO Nel 2009, alcuni dipendenti di una municipalizzata assaltarono il congresso dei Giovani Dem; tra loro il papà di Rocco Hunt Salerno Patrimonio, nata per dismettere il patrimonio comunale, ci sono Ivan Meta, di recente nominato curatore fallimentare della Ifil (una società fallita che ha messo nei guai Piero De Luca, primogenito di Vincenzo, indagato per bancarotta fraudolenta) e Achille Monica, figlio del notaio Giuseppe che ha introdotto nell’atto di compravendita dell’area su cui sorge il Crescent la clausola che obbliga il Comune di Salerno alla restituzione di 50 milioni di euro agli acquirenti in caso di verdetti negativi della giustizia amministrativa. ALLA PRESIDENZA di Salerno Solidale c’è Filomena Arcieri, ex direttore gene- rale del Corisa2, a processo insieme a Barbirotti e al commercialista Pellegrino Barbato (ora presidente di Salerno Pulita) per la gestione del consorzio dei rifiuti. E poco importa se nel fascicolo di inchiesta sul tesseramento Pd a Salerno, che nel 2013 consegnò una vittoria bulgara al segretario-premier Renzi, c’è un filone dedicato alla gestione delle municipalizzate. Vincenzo De Luca sa benissimo che, dopo 20 anni di potere, il consenso nelle società partecipate è inamovibile. il Fatto Quotidiano POLITICA PROVE DI INTESA SUL REDDITO MINIMO SPERANZA (PD) AL M5S: “DIALOGHIAMO” Reddito minimo, la minoranza del Pd prova a (ri)tendere la mano ai Cinque Stelle, e dal Movimento arriva qualche segnale. Ieri il dem Roberto Speranza ha ribadito in una conferenza stampa l’appoggio alla campagna dell’associazione Libera per “un reddito di dignità”, rilanciando la proposta della minoranza Pd. Diversa, nei modi e nelle cifre, da quella dei 5Stelle. La sinistra dem propone uno stanziamento iniziale di un miliardo all’anno, per arrivare a sette, mentre il Movimento vorrebbe trovarne quasi 17 miliardi, per dare a ogni italiano sotto la soglia di povertà 780 euro. Speranza assicura: “Siamo disponibili al dialogo con tutti, bisogna abbassare le bandierine di parte”. Quindi di- LA PRESENTAZIONE di SABATO 23 MAGGIO 2015 5 sponibilità anche verso il M5S, “anche se il loro atteggiamento ha avuto un’ambiguità: Grillo ha proseguito con gli insulti mentre da Luigi Di Maio è arrivato un segnale di apertura”. La senatrice del M5S Nunzia Catalfo risponde: “Ben venga Speranza. Il provvedimento è calendarizzato, lo stiamo discutendo in commissione e se la sinistra Pd aderisce non possiamo che essere contenti”. Vin. Iur. “Campania in rete”, candidati latitanti L ei è una dottoressa. Lei è un architetto. Lui lavora nella sanità. Lo so, voi vi aspettavate dei malviventi e io vi faccio conoscere dei professionisti...”. Napoli, Stazione Marittima. Alla presentazione di Campania in Rete il vero show è il dietro le quinte di Vincenzo D’Anna. Il senatore del Gal orchestra e la platea ammicca. La caccia agli impresentabili è sospesa. Calibro 12 Malafronte non c’è, Enricomaria Natale (in foto) nemmeno. Vincenzo De Leo è in disparte: “Il Fronte Nazionale non è di destra né di sinistra, vedremo Tilgher giovedì, chiariremo questa cosa e finirete di parlare dell’uomo nero”. Arturo Iannaccone affonda contro “Caldoro l’invisibile”. La notizia: De Luca non farà iniziative con loro. In programma solo un incontro con la Federlab presieduta da D’Anna. Dossier De Luca: dalla Severino alle colate di cemento armato Iurillo M L’EX IENA “Povera Liguria tra Burlando girl e Gabibbo bianco” IL COMICO GENOVESE LUCA BIZZARRI SI SFOGA: PESSIMI NOMI E PROGRAMMI TUTTI UGUALI Pubblichiamo l’intervento postato in Rete ieri da Luca Bizzarri (del duo Luca e Paolo) elettore in Liguria. AL VOTO AL VOTO di Vincenzo La candidata a governatrice Raffaella Paita e Luca Bizzarri Napoli atteo Renzi afferma che bisogna sostenere Vincenzo De Luca perché sarà un ottimo “sindaco della Campania” e saprà replicare nell’ente regionale il “modello Salerno”, di cui è stato sindaco per oltre venti anni. Ecco le buone ragioni per non votarlo. fatto a mano solarium, il Palazzetto dello Sport. Eppoi il Crescent, Piazza della libertà e la stazione marittima. Ogni mese c’è un nastro da tagliare. Ma è solo un modo per fare show, perché tutto è in fieri e tutto non finisce mai. GLI IMPRESENTABILI La questione non è giudiziaria ma politica. Pur di vincere, De Luca ha ramazzato personaggi imbarazzanti. Che gli imporranno accordi e spartizioni poco onorevoli su temi chiave dell’agenda regionale: la sanità, i trasporti, la gestione delle partecipate. È un remake, in grande, del ballottaggio di Salerno del 2006, quando De Luca strinse una intesa sottobanco con Nicola Cosentino, l’ex berlusconiano ora in carcere per aver agevolato il clan dei Casalesi. NON È ELEGGIBILE Sulla testa dell’ex primo cittadino di Salerno pende la spada di Damocle della legge Severino. È condannato a un anno per abuso d’ufficio e dopo il suo insediamento sarà sospeso dalla carica. A differenza dei sindaci, per i quali firma il prefetto, il decreto di sospensione è di competenza del presidente del Consiglio dei ministri. Cioè Renzi, che presumibilmente darà a De Luca qualche giorno di tempo per comporre la giunta e preparare il ricorso d’urgenza al Tar. La sospensiva, vista la giurisprudenza inaugurata da De Magistris, è scontata. Ma già il 21 ottobre la Corte Costituzionale si pronuncerà sulla legittimità costituzionale di quella parte della norma. In caso di sentenza sfavorevole, De Luca verrebbe sospeso per 18 mesi. I GUAI GIUDIZIARI Nel suo ufficio della procura di Salerno, il pm Roberto Penna sta preparando il ricorso in Appello contro l’assoluzione di De Luca dall’accusa di peculato. Deve depositarlo entro il 5 giugno. Secondo il sostituto, l’aver inventato un ruolo di project manager del termovalorizzatore violando il codice degli BERLUSCONISMO appalti per far avere una retribuzione extra al suo capo staff è qualcosa di più di un abuso d’ufficio. Ed una eventuale condanna per peculato comporterebbe la sospensione di De Luca anche in caso di cancellazione totale della Severino. Non è l’unico processo in corso: De Luca è imputato per il mastodontico Crescent insieme alla quasi totalità della giunta comunale, e tra non molto arriverà a sentenza un dibattimento sui fatti, molto datati, della fallita riconversione dell’ex Ideal Standard in Sea Park. Mentre viaggia sottotraccia un’inchiesta per corruzione che lo coinvolge insieme al figlio Piero, che ipotizza collega- menti tra consulenze per lavori pubblici e finanziamenti elettorali. LE INCOMPIUTE Ma è davvero da clonare questo “modello Salerno”? Il Crescent, palazzo-eco mostro, sfregia il lungomare: la colata di cemento che ha sommerso il capoluogo è stata favorita da un utilizzo disinvolto dello strumento delle varianti. L’urbanista Fausto Marino, ex assessore di De Luca, ha parlato di “sacco edilizio”, nascosto dalle firme delle varie archistar mondiali per questo o quel progetto. La città brulica di opere incompiute: la “plurinaugurata” cittadella giudiziaria, la Lungoirno, il Magari uno vorrebbe votare De Luca per evitare il successo di Caldoro, l’uomo di Berlusconi. Dimenticando, però, che De Luca è un vero berlusconiano. Nel disprezzo per la magistratura (“solo uno squinternato poteva accusarmi di peculato”), nella gestione monocratica del potere, nel rifiuto del contraddittorio. Peraltro, De Luca non ha mai nascosto di puntare all’elettorato di destra, solleticandone le pulsioni sui temi della sicurezza urbana e dell’immigrazione, sguinzagliando per Salerno ronde di vigili contro i venditori abusivi e le prostitute. Anche per questo la sinistra non ne ha voluto sapere di allearsi con lui, mentre uno come Carlo Aveta, ex Destra di Storace, si trova perfettamente a suo agio. di Luca Bizzarri uesta è una sincera richiesta di aiuto. La democrazia è quella cosa per cui tra un po’ a Genova si vota e dai, fiQ nalmente possiamo scegliere tra: Raffaella Paita: una signora che rappresenta la continuità con la giunta Burlando e in più... ci vuole qualcosa in più per non votarla? Comunque, proprio a volerla cercare, qualcosa in più c’è: non tanto l’iscrizione sul registro degli indagati che tra i candidati è ormai come il telefonino (tutti ne hanno uno e qualcuno anche due o tre) quanto il fatto che, in caso di vittoria, la sera a cena nella cucina di casa Paita ci sarebbero le due persone più potenti della Regione. Lei e il marito. Come se l’Agnese facesse il Presidente della Repubblica. E almeno l’Agnese pare simpatica. Giovanni Toti, che gli amici a Mediaset chiamano il Gabibbo Bianco, non si può votare per quel soprannome perfido ma calzante e poi perché non c’entra niente, dice poco e dà sempre l’impressione che la farina non venga dal sacco suo. A me ha fatto tenerezza quando, a Genova con Salvini, per farsi inquadrare doveva stargli vicinissimo. L’unico vantaggio è che con lui Presidente finalmente scenderemmo in guerra col Piemonte per riprenderci Novi Ligure, che ci fu barbaramente scippata in tempi bui e lontani. Così lontani che non tutti lo sanno. Poi c’è la grillina Alice Salvatore, che sicuramente è una brava figliola e ha studiato tanto, ma a leggere il suo curriculum non si capisce come possa fare il Presidente di Regione (oddio, non che in giro ci siano dei De Gasperi), certo parla bene l’inglese ma ho paura che in Regione serva poco e molti facciano fatica pure con l’italiano. Forse servirebbe un pelo sullo stomaco che lei, poviu rattin, non può avere (la Paita credo abbia una moquette, Toti secondo me deve chiedere perché non c’ha mai guardato). Poi c’è Pastorino, che non è mica lì per vincere, ma solo per gnegneare la Paita e Renzi: quelli normali litigano a casa, quelli fessi come me litigano su Twitter, quelli del Pd invece lo fanno in campagna elettorale, sulla pelle nostra. Per concludere c’è Musso, che è un amico ed è genoano. Quest’ultima caratteristica emerge dal fatto che gli piace perdere. Lotta con grande coraggio, bisogna ammetterlo, ma senza nessuna speranza. Lo voterei pure, ma mi ricorda quella volta che ho votato per “Fare per Fermare il Declino”. Eravamo in trentacinque e il declino ci è franato addosso. Non ho parlato di programmi perché , se li andate a leggere (e li trovate), sono tutti più o meno uguali. Stupisce che tutti vogliano una Liguria più moderna, onesta, pulita e al passo coi tempi. Se trovo uno che nel programma scrive: “Guardate io ci provo, ma con tutte le cazzate che abbiamo fatto non vi prometto mica niente. Porto a casa la bucLE OPZIONI cia e vedo di non fare casini, galleggiamo nella “La Paita è la continuità merda”. Uno così lo voto con l’ex presidente, serve all’istante. La democrazia, dicevamo, è quella cosa per altro? Toti fa tenerezza, cui tra un po’ si vota e finalmente possiamo scela grillina non ha gliere. Anzi fate così, scegliete voi e ditemi per chi curriculum, Pastorino votare, che non può essere vuole solo litigare” sempre colpa mia. 6 Pscrive uglia, Emiliano ai candidati: “Non date rimborsi” di Antonello Caporale N POLITICA SABATO 23 MAGGIO 2015 inviato a Napoli on ci sono più le donne di una volta, i labbroni sparsi in sala, petti in fuori e gambe tornite e supertacchi in vista. Quel che resta di Silvio Berlusconi è il suo addetto alle luci, Roberto Gasparotti, l’uomo della calza di Arcore, storica messinscena televisiva, allontanato a dicembre e rientrato ieri in servizio. “No primarie, ma il popolo sceglierà il mio successore” Dopo cinque anni di assenza Silvio Berlusconi plana a Napoli, città che lo ha festeggiato sia come leader che come predatore, il luogo della politica, dell’amore e della musica. Le gemelle De Vivo, Noemi e il cantastorie Apicella, ricordate? Costituivano l’itinerario parallelo e gaudente di un uomo potente e ingordo. Ma l’albergo che lo ospita, il solito sontuoso Vesuvio, oggi replica con mestizia la gloria che fu. Berlusconi parla con rilassatezza, diremmo svogliatezza, in favore di Stefano Caldoro. Un bravo presentatore, niente più. Alla sua destra Alessandra Mussolini, ancora candidata ma anch’ella sul finale di stagione a reinterpretare una parte consumata addirittura 22 anni prima. Fu nel 1993, durante la campagna per il sindaco di Napoli contro Antonio Bassolino, che diede prova di essere una sincera vajassa, popolana arguta e irriverente. Oggi sembra una figurante. E Silvio un prim’attore riottoso a lasciare il camerino. “Il mio successore sarà scelto dal popolo che vota, non dalle primarie. E certo verrà dal mondo dell’impresa alla NOSTALGIA Il Caimano: “Ci siamo alleggeriti di tutti i trasformisti, sono passati con quelli là, con De Luca” guida di una coalizione che spero emargini piccoli leader di piccoli partiti che sul bene della Nazione fanno sopravanzare tornaconti personali”. L’unica cosa che dice chiara: Salvini non gli piace e non sarà suo alleato. E la Lega lepenista sperabilmente fuori dalla coalizione di centrodestra. La compagna: “Marina leader? Silvio non vuole” Invece è la napoletana Francesca Pascale, giovane e oramai conosciuta lady, che pare più brillante, più in forma, con le idee più chiare. “Uno come Berlusconi non si trova più. Aveva carisma e aveva i soldi. Forza Italia ha goduto del suo prestigio e anche del suo portafoglio. Chiedere a me del successore è buffo. Vorrei che Silvio non lasciasse mai. Marina? So che il papà non è d’accordo”. Nella fenomenologia berlusco- UNA LETTERA aperta. Così Michele Emiliano, candidato governatore per il Pd in Puglia, reagisce al video diffuso ieri dal Fattoquotidiano.it, che testimonia una presunta offerta di denaro a volontari da parte del candidato della civica “La Puglia con Emiliano”, Giovanni Filomeno, e di una collaboratrice. “Ho letto sui giornali - scrive Emiliano - fatti che potrebbero costituire ostacolo alla libera espressione del voto. il Fatto Quotidiano Sono certo che i magistrati ci diranno presto se i filmati provano qualcosa... Legittimo per un candidato farsi assistere da uno staff, ma ciò presuppone che i suoi membri aderiscano al programma ...Quando il supporter viene reclutato facendogli intravedere solo il vantaggio economico della sua partecipazione alla campagna elettorale, siamo fuori da ciò che ritengo politicamente accettabile... Chiedo ai candidati del centrosinistra di astenersi dal remunerare, sia pure con un rimborso spese, i membri degli staff senza la certezza che abbiano aderito al progetto. Chi dovesse violare questi indirizzi sarà oggetto di richiesta da parte di tutta la coalizione di ritiro della candidatura”. Filomeno replica su Facebook con una nota del suo legale, che parla di “ricostruzione dei fatti non corretta, incompleta e fuorviante” nel video. Quel che resta di B: il tatuaggio sul polso di “regina” Francesca GIORNATA ELETTORALE A NAPOLI ANCHE PER L’EX CAVALIERE: SPARITI I FASTI DECADENTI DEL PASSATO, DOMINA LA PASCALE dinatore delle mille correnti e famiglie di cui si componeva Forza Italia. Che adesso è smunta, anche se Stefano Caldoro, faccia pulita e toni moderati, non ha avuto remore a coinvolgere – al pari del suo principale competitore – volti oggettivamente disperanti. Il cambio di stagione: ora qui non c’è più nessuno Silvio Berlusconi, Alessandra Mussolini e Stefano Caldoro LaPresse niana la donna faceva l’ancella plaudente, o la portaordini disciplinata come la sempiterna Mariarosaria Rossi, badante, tesoriere, assistente e scovaserpenti. Ma con Francesca la sovversione acquista il piacere di una rivoluzione permanente. Con gentilezza un tizio le ricorda che il presidente sta aspettando. Lei prende tempo, coperta di un vestito bianco a nido d’api, a suo agio con i cronisti. “Questo partito avrebbe bisogno di una bella riverniciata”. Di nuovo, toc toc, il presidente è lì che freme: “Vedi questo tatuaggio (il suo nome intrecciato a quello di Silvio)? L’ho fatto anche se lui è contrario”. ne. Berlusconi è inchiodato al suo passato come al doppiopetto Caraceni. Una forza oscura lo spinge sempre al mondo che fu: “Di Nicola Cosentino posso dire politicamente tutto il bene possibile. Sulle altre cose non ho elementi per commentare”. Cosentino, ora a Poggioreale, era il punto di forza, il centro di gravità, lo snodo risolutore e coor- Ma il voto non puzza al punto che a mezz’ora di auto da qui Matteo Renzi va – con pari controvoglia – a inscenare un siparietto a favore di Vincenzo De Luca, un candidato tecnicamente e formalmente impresentabile. La verità è che al Sud il limite del pudore può essere oltrepassato senza mai pagare dazio. La piccola rappresentanza di fedelissimi che raggiunge l’hotel Vesuvio per acclamare (con tiepidezza) il ritorno in città dell’ex potentissimo Caimano sembra una trincea sguarnita rispetto a quella che affolla la giornata salernitana dell’imbarazzato premier a fianco di De Luca. Cinque anni fa erano tutti qui, oggi sono di là. Il cambio di stagione, appunto. Francesca Pascale, nel riquadro mentre mostra il tatuaggio Ansa GIÙ A TORINO di A. Giamb. I soliti sospetti: posti in cambio dei voti U n grande classico delle elezioni locali: un lavoro in cambio di voti. Secondo la Procura di Torino sarebbe questa l’offerta fatta da Massimiliano Miano, esponente dei “Moderati” (centrodestra), vicepresidente della Circoscrizione 9, ad alcuni giovani di Collegno nella primavera 2014, quando era candidato al Consiglio comunale. Ora è indagato per corruzione elettorale dal pm Gianfranco Colace che ne ha chiesto il rinvio a giudizio: il 15 luglio l’uomo dovrà comparire davanti al gup Francesca Firrao che deciderà se sottoporlo a processo. Una decina di giovani hanno raccontato agli investigatori i colloqui col politico, confermando la denuncia di un candidato di una lista concorrente. “Non ho promesso posti di lavoro – si discolpa Miano –. A gennaio ho messo un annuncio per cercare collaboratori. Ho assunto tre persone nel periodo elettorale e ho detto loro che se avessi raggiunto l’obiettivo avremmo potuto valutare la collaborazione futura”. Insomma, un equivoco. CHE TEMPI CHE FANNO Berlusconi ospite da Fazio: l’Agcom non può fermarlo “L’unico giornale che leggo è il Fatto, dopo colazione...” di Virginia Della Sala Ancora l’assistente che guarda l’orologio. Ancora lei che se n’impippa: “Mi ha regalato l’Harley anche se è contrario che guidi le moto”. Poi: “Questo partito dovrebbe essere molto più battagliero sui diritti civili. Guarda l’accendino che ho? Ha i colori della comunità gay”. Provocatoria: “L’unico giornale che leggo è il Fatto. Ma dopo colazione, per difendere il mio stomaco”. Pascale sembra Berlusconi. È lei ad avere le idee chiare. “Ci siamo alleggeriti di tutti i trasformisti. Li abbiamo consegnati a quelli là. A De Luca”. Lui è ancora attorniato dall’ineffabile Giggino ‘a Purpetta, un produttore di voti ad alta intensità che oggi fa avanzare suo figlio Armando, con l’incredibile slogan “ora tocca a noi” verso il seggio di consigliere regionale. Il giovane Armando Cesaro, tranquilli, sarà tra i più votati in Campania e in lizza, se dovesse andare in porto la riforma costituzionale, a divenire senatore. Il papà è deputato. Tutto si tie- hissà se lunedì l’Agcom diC scuterà davvero anche di Silvio Berlusconi che, domeni- ca sera, sarà ospite al programma di Rai3 Che tempo che fa. Antonio Nicita, commissario dell’Agcom (l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) ieri è intervenuto sulla questione della par condicio in tv a pochi giorni dalle elezioni regionali e ha precisato che l’autorità è tenuta solo a interventi ex post: non dà quindi pareri preventivi. La motivazione è che altrimenti ci “sarebbe un’interferenza con la linea editoriale delle reti”. A chiedere un parere preventivo sulla partecipazione dell’ex cavaliere da Fabio Fazio era stato il Pd, quando ancora la presenza di Berlusconi era solo un annuncio. Poi, ieri, la certezza: “Ebbene sì – ha twittato Fazio – domenica 24 maggio a Che tempo che fa ci saranno: Piero Angela e l’ospite inaspettato... Silvio Berlusconi”. Intanto, le agenzie trasmettevano il commento di Nicita: “Lunedì è già convocata una riunione del Consiglio dell’Autorità sui temi della par condicio: è possibile – ha detto il commissario - che in quella se- Fabio Fazio, Rai3 Ansa SEMPRE DOPO “Lunedì l’autorità si riunirà per discutere di par condicio. Ma non possiamo agire preventivamente sulle scelte delle reti” de ne discuteremo”. La partecipazione di Berlusconi si incastra perfettamente nella settimana in cui la par condicio sulla tv pubblica è stata messa a dura prova. Domenica scorsa, il presidente del Consiglio era stato intervistato a L’Arena di Giletti su Rai1, poi martedì ospite di Bruno Vespa a Porta a Porta. AL CENTRO della polemica, il contenuto delle sue dichiarazioni (i 500 euro ai pensionati e i commenti sulle regionali sarebbero stati discorsi più da segretario del Pd che da figura istituzionale) e l’assenza di un contraddittorio in studio. Nicita si è espresso anche su questo. Non c’è nessun ordine di riequilibrio per Giletti. Twittando, però, ha poi specificato che un “richiamo” esisteva. In serata se ne scopre l’entità: è un “forte richiamo” da parte dell’Agcom a garantire “entro la fine della campagna elettorale un effettivo e sostanziale rispetto, nei programmi di approfondimento informativo, della parità di trattamento tra le diverse forze politiche in competizione, con specifico riguardo al format dei programmi, caratterizzati o meno dal l’assenza di contraddittorio - quale L’Arena - fra diversi soggetti politici e quelli istituzionali”. Probabile traduzione: l’Agcom riconosce che Renzi è stato ospite a L’Arena come segretario del Pd e chiede quindi alla Rai un necessario riequilibrio. L’azienda di Viale Mazzini, invece, nel pomeriggio di ieri aveva catalogato l’intervento dell’Authority come un “mero richiamo”. Intanto, Giletti non può ospitare più nessuno (la puntata con Renzi era la chiusura di stagione) e per la parità di trattamento resterebbe Fazio che, domenica, ospiterà Berlusconi. “È sempre la stessa storia. Negli ultimi dieci giorni si cerca di dare il massimo con l’invasione televisiva e poi, quando il danno è compiuto, si corre ai ripari– spiega Alberto Airola, senatore del M5s e membro della commissione di vigilanza Rai – Renzi si gioca il doppio ruolo, Berlusconi dice che parlerà di altro e noi continuiamo a fare esposti all’Agcom. Ma nulla cambia. Dovrebbe cambiare l’Agcom e speriamo di farlo con la riforma della governance della televisione di Stato”. POLITICA il Fatto Quotidiano U nità, Veneziani è indagato. Il cdr: “Faccia chiarezza” “CHIAREZZA SUBITO sul caso Veneziani”. Lo chiede il comitato di redazione de l’Unità, in una nota con la quale esprime “forte preoccupazione” per le ultime notizie di stampa sul nuovo editore del quotidiano fondato da Gramsci, Guido Veneziani. L’uomo che dovrebbe riportare in edicola l’Unità sarebbe indagato dalla procura di Asti per bancarotta fraudolenta e bancarotta semplice per le vicende re- SABATO 23 MAGGIO 2015 lative alla stamperia piemontese Roto Alba. Il cdr è in agitazione: “All’editore chiediamo che venga fatta al più presto chiarezza su un fatto che se confermato sarebbe di estrema gravità – si legge nella nota –. La stessa chiarezza la chiediamo agli altri due soggetti della compagine societaria: al gruppo Ps e allo stesso Pd (detentore del 5 per cento delle quote) che nei mesi passati ha giocato un ruolo di primo piano nella 7 scelta e nel coinvolgimento dei diversi soci”. Dopo dieci mesi dalla chiusura, scrive il cdr, “sarebbe inaccettabile assistere a un ennesimo rinvio per vicende giudiziarie che nulla hanno a che fare con la storica testata. Sarebbe inaccettabile sia per i lettori che per i lavoratori. Essere azionista de l’Unità significa anche rispettare i valori fondamentali della legalità e del rispetto del lavoro”. LA CACCIA DI PALAZZO CHIGI AL TESORO DELLA VECCHIA DITTA L’AVVOCATURA DELLO STATO VUOLE RIPIANARE I DEBITI DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO CON LE BANCHE GRAZIE AL PATRIMONIO DELLA QUERCIA di Tommaso P Rodano alazzo Chigi si muove: la Presidenza del Consiglio sta lavorando per mettere le mani sul patrimonio degli eredi del Pci, la cosiddetta Ditta. Ieri a Montecitorio è andata in scena l’ultima puntata della saga del “tesoro dei Ds”: l’immenso capitale di immobili (circa 2.400), palazzi di pregio e opere d’arte che i Democratici di sinistra, al momento della nascita del Partito democratico, non fecero confluire nel nuovo partito. Un tesoro, appun- to, stimato in una cifra vicina al mezzo miliardo di euro. La fusione con la Margherita e la galassia delle casseforti Il responsabile delle finanze diessine, Ugo Sposetti, lo “preservò” dal nascente Pd, facendolo confluire in una sessantina di fondazioni locali: l’attuale partito, insomma, nacque dalla fusione di Ds e Margherita, ma senza ereditarne i patrimoni. Quello degli ex comunisti fu trattenuto in una galassia di piccole “casseforti” in ogni angolo d’Italia, gestite da amministratori locali fedeli alla storia della CARTOLINE Il Sud non è un bancomat ma la rapina continua di Franco Arminio IL SUD non è un bancomat. La legge di Stabilità toglie 3,5 miliardi al Fondo Sviluppo e Coesione e li destina alla decontribuzione alle imprese, un gigantesco trasloco di denaro dal Sud al Nord. Lavorare per le aree più deboli è faticoso e non porta a risultati immediati. Queste aree non interessano a chi è interessato alla politica telegenica. Spero che i parlamentari sul Sud e in particolare delle aree più deboli capiscano che bisogna opporsi: il 24 marzo scorso alla Camera, alla discussione delle mozioni sulla rapina al Sud erano presenti 12 deputati in totale. Ma una nazione ha bisogno anche di terre non urbanizzate, ha bisogno di spazi vuoti e questi spazi si trovano tutti nell’Italia interna. Come si fa a non capire che riportare un pò di italiani dalle coste alle montagne è un’operazione che fa bene a tutti? Perché si continua a trascurare il fatto che siamo una nazione fatta in gran parte di montagne e paesi? Perché non ci sono politiche degne di questo nome sulla montagna e sui paesi? Ditta. Ora la Presidenza del Consiglio – ovvero il segretario del Partito democratico – si è messa in movimento per appropriarsi del malloppo. L’ha reso noto ieri mattina il sottosegretario agli Esteri, Benedetto Della Vedova, rispondendo a nome del governo a un’interpellanza del Movimento 5 stelle sul fallimento de l’Unità: “La Presidenza del Consiglio – ha dichiarato – è impegnata, con l’ausilio dell’avvocatura dello Stato e il supporto dell’Agenzia delle entrate, ad accertare la consistenza del patrimonio immobiliare facente capo ai Ds. MALLOPPO ROSSO Tra circa 2400 immobili, palazzi di pregio e opere d’arte è stimato in una cifra vicina al mezzo miliardo. Il tesoriere dei Ds lo negò al Pd In particolare quali siano, dal 2000 ad oggi, le proprietà immobiliari riconducibili ai Democratici di sinistra e al Pds, dalla cui espropriazione le banche avrebbero potuto recuperare tutto o in parte i propri crediti”. Già, i crediti perché dentro alla vicenda del “tesoro” dei Ds c’è un’altra storia, da cui scaturisce un lungo contenzioso tra alcuni istituti bancari e la stessa Presidenza del Consi- LA CASSA Lo storico tesoriere dei Democratici di sinistra, Ugo Sposetti Ansa glio. Occorre un passo indietro. Nel 1999 il governo D’Alema tira fuori dal cilindro una norma “salva Unità”. Il giornale di partito (di cui D’Alema è stato direttore) è gravato da pesanti debiti con le banche. All’epoca viene salvato grazie alla manina dell’esecutivo, che istituisce una parziale garanzia pubblica su quel debito. Il risultato è un contenzioso che dura ancora oggi. Gli istituti creditori hanno ottenuto dal tribunale di Roma l’emissione una serie di decreti ingiuntivi per riavere indietro il denaro dovuto. Palazzo Chigi, tramite l’opposizione dell’avvocatura dello Stato, ha risposto all’azione delle banche chiamando in giudizio i Democratici di sinistra, “suggerendo”, insomma, di rivalersi sul loro patrimonio immobiliare. Per dare i soldi agli istituti potrebbe esserci poco tempo Di più: come dichiara Dalla Vedova, la Presidenza del Consiglio sta tentando di “accertare la consistenza del patrimonio”; in poche parole, si è messa a cercare il tesoro, grazie al lavoro dell’Agenzia delle Entrate. Come spiega ancora il sottosegretario, il risultato è che “il giudice ha effettivamente autorizzato la chiamata in giudizio dei Ds e ha concesso la clausola di provvisoria esecutività ai decreti ingiuntivi delle banche, che potrebbero così esigere la liquidazione del credito nel termine di 120 giorni dal deposito della decisione.” In sostanza, i soldi chiesti dalle banche, in caso di successo dell’azione legale, dovrebbero essere restituiti entro quatto mesi. L’esame nel merito è previsto a novembre. Si tratta di un sacco di denaro: l’in- UGO SPOSETTI “Se sono gli stessi legali che hanno perso il ricorso sulle pensioni alla Consulta... dormiamo sonni tranquilli” giunzione di pagamento presentata nel 2011 da Intesa San Paolo e altre banche ammonta a 109,572 milioni di euro. Si aggiungono, nel 2014, altre tre ingiunzioni di Banco Popolare, Intesa San Paolo e Bnl per altri 94 milioni. E Palazzo Chigi quei soldi conta di prenderli dal tesoro diessino. Sarebbe un successo clamoroso per Matteo Renzi, nella doppia veste di presidente del Consiglio e segretario del Pd: è l’occasione per aprire una breccia nel muro che gli impedisce di mettere nelle casse (esangui) del Partito democratico il vecchio patrimonio della Ditta. Il custode del malloppo se la ride ancora Il geloso custode del malloppo si chiama Ugo Sposetti, coriaceo e rossissimo ex tesoriere, regista dell’operazione che ha trattenuto il tesoro diessino al momento della nascita del Pd. Le ultime notizie non lo scalfiscono, Sposetti se la ride: “I Ds non sono proprietari di nulla. Due o tre immobili sono pure pignorati. L’avvocatura dello Stato ci ha chiamati in giudizio? Se è la stessa avvocatura che ha perso il ricorso sulle pensioni in Consulta, dormiamo sonni tranquilli...”. Rimane un fatto sostanziale: l’azione della Presidenza del Consiglio per “dissotterrare” il tesoro. “Lei dice? – replica Sposetti, beffardo – A me la risposta di Palazzo Chigi pare ineccepibile. È una forma di resistenza alla richiesta delle banche”. Parla in terza persona: “Sposetti è un sostenitore del prinicipio che alle banche i soldi non si restituiscono. Palazzo Chigi sta facendo la stessa cosa: dice ‘i soldi chiedeteli a qualcun altro’. Per una volta sono d’accordo con la Presidenza del Consigio. Guardi che è un fatto epocale!”. DEPUTATO DEM “Genovese libero”: ma i fan sono autista e parenti di Giuseppe Giustolisi Catania ome tanti reclusi eccellenti anche FranC cantonio Genovese, il deputato del Pd in carcere a Messina dal 15 gennaio scorso per le accuse di truffa e frode fiscale nell’ambito dell’inchiesta della Procura sulla formazione in Sicilia, ha il suo gruppetto di fan che ne invocano la scarcerazione. Ieri, nel corso dell’udienza del processo che si tiene nell’aula bunker del carcere messinese di Gazzi, fuori dell’ aula hanno fatto la loro apparizione alcuni signori in maglietta nera, su cui era scritto “Francantonio libero”. Erano l’autista di Genovese, familiari e parenti. DENTRO L’AULA invece a dargli sostegno c’erano alcuni consiglieri comunali fedelissimi del deputato, con in testa l’ex candidato sindaco Felice Calabrò, sconfitto al ballottaggio da Renato Accorinti, dileguatosi all’arrivo dei cronisti. Il nodo del processo contro Genovese, giunto a dibattimento (che fra gli altri vede imputato, insieme ad altre 29 persone, anche suo cognato, il deputato regionale del Pd Franco Rinaldi) riguarda il meccanismo truffaldino che, secondo le indagini della Procura di Messina, coordinate dal Procuratore Aggiunto Sebastiano Ardita, inquinava la formazione in Sicilia. A partire dalla ispezioni che dovevano controllare il lavoro degli enti accreditati ma in realtà venivano concordate con ampio preavviso con le varie strutture. Così è emerso dalle intercettazioni, come riferito ieri in udienza dal funzionario di polizia Fabio Ettaro. Le informazioni sulle ispezioni sarebbero state ripagate con incarichi per dirigenti e funzionari dell’ufficio del lavoro. Autista e familiari di Genovese, fuori dal Tribunale di Messina E. Di Giacomo SE ALCUNI CONTROLLI avvenivano senza preavviso, arrivavano puntualmente le scuse del dirigente dell’ufficio del Lavoro Venerando Lo Conti, successivamente nominato commissario Istituto autonomo case popolari. E i gli sponsor della sua ascesa sarebbero stati proprio Genovese e Rinaldi. Un meccanismo ben oliato, insomma, che prevedeva anche condizionamenti sulla locale auto- rità giudiziaria, come emerso da un’intercettazione tra l’ex assessore alla cultura Francesco Gallo e Salvatore La Macchia, uomo di fiducia di Genovese e imputato nel processo. Non solo: dall’inchiesta della Procura sono emerse anche fatture gonfiate, con maggiorazioni anche del 600 per cento. Gli indagati avrebbero utilizzato meccanismi finalizzati alla rappresentazione di spese maggiori con interposizione di più società. Un esempio era quello dell’affitto di sedi per i corsi di formazione: una società affittava locali per una cifra e poi li sub-affittava ad altri enti con un sovrapprezzo. Intanto a pagare le conseguenze della vicenda sono le centinaia di lavoratori dell’Enfap, uno degli enti della galassia Genovese, che hanno perso il lavoro, mentre il deputato continua a percepire lo stipendio da parlamentare. Proprio ciò che lamenta la senatrice dei Cinque Stelle Nunzia Catalfo, che da mesi reclama l’urgenza di intervenire a livello nazionale per dichiarare lo stato di crisi del settore della formazione siciliana. 8 ECONOMIA SABATO 23 MAGGIO 2015 Fscioperare ca-Cnh: vietato senza maggioranza Rsa UN NUOVO CASO sindacale alla Fca, la ex Fiat di Marchionne. A denunciarlo è la Fiom secondo cui “l'accordo tra Fca-Cnh e sindacati firmatari è un nuovo grave passo: si taglia anche il diritto di sciopero". In base al nuovo accordo, infatti, gli scioperi potranno essere indetti solo a maggioranza delle Rsa firmatarie del contratto aziendale, “limitando il diritto di proclamarli anche per gli stessi delegati Fim, Uilm, Uglm, Fismic e Associazione quadri”, scrive la Fiom. “Un ipotesi costruita contro gli operai, in particolare quelli del montaggio” dice il sindacato di Landini. "Stabilire che gli scioperi di stabilimento il Fatto Quotidiano sono decisi con la maggioranza assoluta dei rappresentanti sindacali è una scelta di democrazia e di responsabilità” risponde invece Ferdinando Uliano, segretario nazionale Fim, secondo il quale è stata fatta “una scelta presente in molti sindacati europei, a partire da quello tedesco”. La Cgil blinda la conferenza per fare fuori Landini VARATE LE REGOLE PER ELEGGERE IL PROSSIMO SEGRETARIO GENERALE: NIENTE PRIMARIE di Salvatore Cannavò S e Maurizio Landini pensava di poter introdurre delle “primarie” in Cgil per l’elezione del segretario generale, Susanna Camusso ha deciso di sbarrargli la strada. Il documento con cui il primo sindacato italiano sta per aprire la sua Conferenza d’organizzazione, e che Il Fatto ha potuto leggere, è strutturato in modo tale da non lasciare alcuno spazio a una campagna elettorale di massa, ad esempio tra i delegati di base, come pensava Landini. Le regole individuate per eleggere il prossimo segretario della Cgil, infatti, sono regole che blindano l’organizzazione interna e determinano un equilibrio del tutto sfavorevole al leader della Fiom. La conferenza è una procedura complicata, da addetti ai lavori. La Cgil la svolgerà a livello territoriale - ma non fra le categorie - tra il 3 e il 30 giugno e poi terrà l’assise nazionale il 17 e 18 settembre a Roma, all’Auditorium della Musica. Quello che ha fatto infuriare Landini e la Fiom – che ha votato contro questo documento all’ultimo direttivo nazionale tenutosi la scorsa settimana a Bologna – è la norma che individua la platea con cui si eleggerà, fra tre anni, il prossimo segretario nazionale. SARÀ UN’ASSEMBLEA gene- rale, pari al doppio dell’attuale comitato direttivo (circa 180 membri, quindi 360 in tutto), quindi una sorta di “grandi elettori”, che verranno eletti per via interna alla Cgil, cioè dalle conferenze d’organizza- zione locali. Anche queste, del resto, saranno formate da delegati eletti all’interno dei territori in forme più ristrette rispetto ai normali congressi. “Si tratta di un’occasione mancata e, in fondo, anche di una presa in giro” dice Landini al Fatto. “L’occasione mancata riguarda la possibilità di allargare davvero la partecipazione cosa che con questo meccanismo viene di fatto impedita”. Landini aveva avanzato una proposta diversa. Se proprio non si possono fare le primarie, cioè una votazione del segretario aperta a tutti gli iscritti, “almeno si potevano far votare i delegati della Cgil nelle Rsu”, quindi direttamente nei posti di lavoro. Una platea di diverse migliaia di sindacalisti di base tra i quali l’ipotesi di una candidatura non direttamente espressione del vertice ANTI-COALIZIONE Nel testo si prevede una platea di “grandi elettori” senza democrazia diretta. Il leader Fiom: “Un’occasione mancata e una presa in giro” avrebbe potuto godere di una certa attrazione. L’IPOTESI invece non è stata presa in considerazione. Sembra che Susanna Camusso fosse disposta a concedere qualcosa a Landini, ma buona parte del gruppo dirigente, in particolare alcune categorie fieramente avverse alla politica e al protagonismo di Landini, lo Maurizio Landini e Susanna Camusso: è di nuovo scontro Ansa hanno impedito. A scanso di equivoci, poi, nel testo della conferenza si prendono decisamente le distanze da forme di democrazia diretta. “Privilegiando forme di collegialità di direzione a tutti i livelli” si legge, la Cgil si pone “in alternativa alle pratiche personalistiche e plebiscitarie spesso più rispondenti a bisogni mediatici che di reale coinvolgimento democratico di iscritte e iscritti”. Il messaggio, dunque, è chiaro e Landini sembra averlo compreso bene se è vero che la Fiom ha deciso di votare contro il documento e di avere quindi un profilo di opposi- zione. Lo scontro tra le due anime della Cgil, però, continua anche negli aspetti formali. La Cgil ha infatti convocato il direttivo nazionale per i giorni 5 e 6 giugno. Ma il 6 giugno la Fiom terrà a battesimo la Coalizione sociale di cui ieri è stato reso noto il documento fondativo basato su lavoro, ambiente, diritti sociali, antirazzismo e dichiaratamente “al di fuori e non in competizione rispetto ai partiti”. Il dispetto organizzativo costringerà Landini a scegliere dove stare e certamente il segretario Fiom non diserterà la “sua” Coalizione sociale. CRONACA il Fatto Quotidiano Isil barista coraggio ribella alla mafia: ”Non pago il pizzo” di Angela Camuso QUATTRO RAPINE in pochi mesi. L'ultima giovedì, con tanto di furto a mano armata. Ma Francesco Massaro, titolare di una nota pasticceria nel centro di Palermo, non ha intenzione di mollare: “Non è più tempo di cedere al ricatto, io il pizzo ai mafiosi non lo pago”. Massaro, ex giornalista del Giornale di Sicilia, che anni fa ha deciso di dedicarsi al suo bar in via Ernesto Basile, non ha dubbi sugli episodi che gli sono capitati negli ultimi mesi: “So bene che si tratta di segnali chiari che mi vengono lanciati per spingermi a cercarmi un 'amico', il mafioso a cui chiedere protezione”. Ma sarebbe una resa. “Io non pagherò: è una sorta di imperativo morale che mi sono dato da tempo. Non punto il dito contro i commercianti che pagano, so che è difficile non farlo. Ma io ai mafiosi i soldi del mio lavoro non li do”. “ONOREVOLE, mi rivolgo a Lei, nella memoria del nostro cardinale Pericle Felici, perché possa intervenire nella maniera idonea a risolvermi questo problema…”, scriveva il 29 agosto dell’89 Vergari a Giulio Andreotti. La risposta scritta al prelato era arrivata in Vaticano il 19 ottobre dello stesso anno: “Caro Monsignore, ho ricevuto la Sua lettera nella quale mi parla del caso del Sig. De Pedis. Le assicuro che mi interesserò nei limiti del possibile”, garantiva Andreotti in merito alla questione chiaramente spiegata da Vergari nella prima lettera. La persona da favorire, Marco De Pedis, fratello di Renatino e a lui strettamente legato, aveva infatti assunto al ristorante “Popi Popi” di Trastevere, all’epoca e tuttora gestito da lui insieme all’altro fratello di Renatino, Luciano, due seminaristi polacchi raccomandati da un prete che era un comune amico di Vergari e Andreotti. Erano sorti dei problemi perché il ristoratore non 9 COSA NOSTRA “C’è un piano per uccidere due magistrati” PALERMO, UNA È SILVANA SAGUTO: GESTISCE I BENI MAFIOSI SEQUESTRATI CARO MONSIGNORE... C i sono le lettere di raccomandazione in favore di persone in cerca di un impiego, tra Oscar Luigi Scalfaro e monsignor Piero Vergari, il sacerdote indagato per il sequestro di Emanuela Orlandi. E analoghe missive, sempre dello stesso periodo, tra Giulio Andreotti e lo stesso Vergari per sollecitare un intervento dell’allora capo del governo presso un ufficio di polizia – il commissariato di Roma Trastevere – a favore del ristorante dei familiari più stretti di Enrico De Pedis detto Renatino, boss della banda della Magliana. I documenti sono stati sequestrati nel 2009 dalla Squadra mobile a casa del prete accusato di aver avuto a che fare con la sparizione della tredicenne cittadina vaticana di cui si sono perse le tracce dall’83. Carteggio ora all’attenzione del gip, che dovrà decidere sulla sorte degli indagati nell’inchiesta bis sul sequestro. Da sette anni si segue la pista impervia dell’alleanza diabolica tra la banda della Magliana e l’ormai defunto monsignor Paolo Marcinkus, ex presidente dello Ior, la banca vaticana. Sullo sfondo, festini per preti depravati con ragazzine minorenni e ricatti figli degli sporchi giri di denaro tra lo Ior e il Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. SABATO 23 MAGGIO 2015 di Sandra Rizza Palermo uovo allarme attentato a Palermo: stavolN ta nel mirino dei killer di Cosa Nostra c’è Silvana Saguto (nella foto), presidente della se- NEL FASCICOLO LE MISSIVE DEI POLITICI Dall’inchiesta bis sul sequestro di Emanuela Orlandi, scomparsa nell’83, emergono lettere in cui Oscar Luigi Scalfaro si impegnava a fare raccomandazioni in Rai. Questa è del ‘90, due anni dopo Scalfaro salirà al Quirinale. E nell’89 Giulio Andreotti, presidente del Consiglio, prometteva di intercedere presso la polizia per il ristorante del fratello del boss della Magliana Enrico De Pedis. E Andreotti promise un aiuto ai familiari del boss della Magliana NELL’89 IL PRELATO VERGANI GLI CHIESE UN INTERVENTO PER I DE PEDIS. TRA GLI ATTI SUL CASO ORLANDI LE RACCOMANDAZIONI DI SCALFARO aveva comunicato la presenza dei due stranieri in Questura. Come è noto, la Procura ha chiesto, per mancanza di prove, l’archiviazione dell’indagine per il sequestro e l’omicidio di Emanuela a carico dello stesso Vergari e di altri quattro ex sodali alla banda, tra i quali l’ex amante di De Pedis che ha fatto partire la nuova inchiesta, Sabrina Minardi. Questo nonostante alcuni oggettivi riscontri alle dichiarazioni della testimone: vecchi colloqui in carcere; testimonianze recenti; indagini patrimoniali e intercettazioni che hanno svelato l’esistenza di una fitta rete di legami familiari e di interesse tuttora esistenti tra i sospettati della vicenda. Tra questi riscontri, le lettere in questione pur non provando contatti diretti tra i politici e la banda della Magliana confermano l’inquietante rete di relazioni in cui si muoveva un personaggio come Vergari, a cavallo tra esponenti della finanza vaticana, inquilini di Palazzo Chigi e assassini di borgata. Non a caso il monsignore divenne famoso quando si scoprì che, in qualità di reggente della basilica di Sant’Apollinare in pieno centro a Roma, era stato lui a chiedere all’allora capo della Cei, cardinale Ugo Poletti, il nullaosta per la scandalosa sepoltura di Enrico De Pedis, morto ammazzato, nella cripta fino a quel momento riservata a spoglie di illustri rappresentanti della cultura italiana. VERGARI, vicinissimo anche a Mar- cinkus, scambiava numerose missive con Oscar Luigi Scalfaro proprio in quei mesi immediatamente precedenti e successivi all’assassinio di Renatino. Al futuro capo dello Stato, il sacerdote chiedeva di intercedere per un medico siriano che voleva essere promosso a vice-sovrintendente in un concorso interno della Polizia di Stato e per un tecnico esperto di montaggio che aveva a cuore di lavorare in Rai. Vergari ottenne an- che in questo caso risposte rassicuranti dal suo illustre interlocutore: “Reverendo e caro Monsignore – scriveva Scalfaro al sacerdote il 26 giugno del ‘90 – Le assicuro che ho svolto, presso la Rai tv, il più vivo interessamento in favore del signor E. M. T., nel senso desiderato”. C’è infine un ultimo contatto eccellente. Una lettera di Vergari recente, datata 9 dicembre 2005 e indirizzata ad Andreotti. Essa ha per oggetto proprio lo scandalo nel frattempo scoppiato sulla stampa per la sepoltura di De Pedis a Sant’Apollinare. “Illustrissimo onorevole senatore Giulio Andreotti, ho saputo che si è interessato a me – scriveva Vergari dagli Stati Uniti dove si era ormai definitivamente trasferito –. Avendo conosciuto che anche televisione e stampa hanno parlato a lungo di quanto avvenuto 15 anni fa, i superiori mi hanno consigliato di stendere queste brevi note che le mando per conoscenza...”. zione Misure di prevenzione del Tribunale, la donna che l’ex procuratore Gian Carlo Caselli definì “la più importante di Palermo”, perché dal Palazzo di giustizia gestisce “enormi capitali”: quelli sequestrati agli imprenditori mafiosi. A rivelare il piano di morte, che riguarda anche un altro magistrato, una nota dei servizi di sicurezza che nei mesi scorsi ha messo in guardia la Procura di Palermo, segnalando un patto tra il clan dominante di Gela e le famiglie mafiose palermitane per uccidere i due giudici con quello che è stato definito uno “scambio di omicidi”: i sicari gelesi avrebbero agito nel capoluogo siciliano, da dove sarebbe partito l’altro commando per colpire ad Agrigento. L’obiettivo era centrare entrambi i bersagli senza destare sospetti. L’ALLARME dell’intelligence è trapelato ieri, ma le intercettazioni che avrebbero rivelato l’accordo risalirebbero a qualche tempo fa: le indagini avrebbero accertato che a volere lo “scambio di omicidi” era il clan Emmanuello di Gela. Ai killer di Palermo, gli Emmanuello avrebbero chiesto di eliminare un giudice che consideravano un nemico: secondo indiscrezioni, si tratterebbe di Renato Di Natale, oggi procuratore di Agrigento, in passato aggiunto a Caltanissetta dove coordinò le indagini per la cattura di Daniele Emmanuello, latitante da 11 anni e ucciso in un conflitto a fuoco nel 2007 mentre cercava di fuggire. In cambio, i boss palermitani avrebbero chiesto ai gelesi l’eliminazione della Saguto, ritenuta troppo attiva nella lotta ai capitali mafiosi: il progetto, però, sarebbe stato neutralizzato grazie ad alcuni arresti. Attorno al magistrato, nei mesi scorsi, è stata potenziata la sicurezza: più uomini di scorta, macchina blindata e sorveglianza fissa sotto casa. Nei giorni scorsi, Saguto è tornata al centro delle polemiche sulla gestione delle aziende sequestrate a Cosa nostra, dopo che Pino Maniaci, direttore dell’emittente Telejato, ha chiesto di essere ascoltato nuovamente dalla Commissione antimafia per denunciare un “business a sei zeri sui patrimoni sequestrati”, che sarebbe gestito “da un gruppo ristretto di amministratori giudiziari che ruotano attorno al presidente della sezione Misure di prevenzione”. Imi-Sir, il governo paga per la corruzione CESARE PREVITI E ALTRI DUE AVVOCATI PAGARONO IL GIUDICE METTA CHE DIEDE RAGIONE AL PETROLIERE ROVELLI CONTRO LA BANCA di Davide Vecchi er corrotti e corruttori della vicenda P Imi-Sir paga lo Stato: la Presidenza del Consiglio dei ministri deve versare 173 mi- volte accertato, Sir era un baraccone clientelare. Eppure in quel 1994 il Tribunale di Roma condannò Imi a pagare e anche allora, visto che l’istituto di credito era pubblico, i soldi li mise lo Stato: 1.000 miliardi di lire che la famiglia del petroliere, ritengono i magistrati che più volte lo hanno inutilmente cercato, prontamente portò all’estero. Nel 1992, Ilda Boccassini e Gherardo Colombo sospettano che alcuni giudici romani abbiano lioni di euro a Intesa Sanpaolo. A scrivere l’ultimo capitolo della “più grande corruzione della storia italiana”, iniziata nel 1994 e proseguita al fianco del procedimento gemello Lodo Mondadori, è la seconda sezione civile del Tribunale di Roma che giovedì ha condannato Vittorio Metta e Giovanni Acampora in solido con lo 25 ANNI DOPO Stato a rifondere i danni a Intesa. Ma i due, nonostante abbiano ricevuto I condannati tangenti per oltre mille miliardi di vecchie lire, risultano insolvibili. non hanno soldi, i danni LA VICENDA inizia nel 1990. La Sir del petroliere andreottiano Nino Rovelli, dopo il fallimento, fa causa a banca Imi accusandola di non aver concesso i crediti che l’avrebbero salvata. In realtà, come è stato poi più a Intesa Sanpaolo, che ha assorbito Imi, li deve risarcire Palazzo Chigi: 173 milioni Cesare Previti Ansa venduto le proprie sentenze. E tra questi c’è Vittorio Metta, quello che diede ragione ai Rovelli. Le “toghe sporche”, corrotte dagli avvocati Giovanni Acampora, Attilio Pacifico e Cesare Previti. Corruttori per conto dei loro clienti: Rovelli nel caso Imi-Sir e Silvio Berlusconi per Sme e Lodo Mondadori. Nel 2006 la Cassazione trasforma in fatto accertato la corruzione nella vicenda Imi: Previti, Pacifico e Acampora avevano versato a Metta almeno un miliardo di lire. Condannato per corruzione il giudice. Condannati i tre intermediari che per il loro lavoretto avevano ricevuto dai Rovelli una tangente all’estero di 67 miliardi di lire. Nel frattempo la banca è stata acquisita da Intesa Sanpaolo e nel 2006, dopo la pronuncia della Cassazione chiede i danni, assistita dagli avvocati Angelo Benessia, Bruno Cavallone e Simone Orengo. Giovedì 21 maggio la sentenza. Il danno complessivo riconosciuto ammonta a 570 milioni, ma gli altri condannati hanno preferito transare. Previti e Pacifico hanno versato ciascuno 114 milioni di euro, 160 gli eredi Rovelli. L’ex ministro della Difesa ha rateizzato quanto dovuto a Intesa solo dopo aver raggiunto con la banca un accordo nel 2008: Previti paga e l’istituto si impegna a non andare avanti nelle aule giudiziarie nei suoi confronti. L’ultimo assegno è arrivato a fine 2008: 17 milioni di euro partiti da una banca delle Bahamas e transitati in una finanziaria del Liechtenstein. DEI 570 MILIONI iniziali (Intesa ne aveva chie- sti il doppio) rimane un residuo di 173 milioni di euro a carico di Acampora e Metta. Anzi dello Stato. Questo perché, spiegano i giudici della II sezione Civile nelle 185 pagine di sentenza, Metta era un magistrato e la legge 117 del 1988 impone allo Stato di coprire, in caso di insolvenza del condannato, il risarcimento dei danni “cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati”. Lo Stato è chiamato a intervenire anche per Acampora perché ha agito nel medesimo disegno corruttivo di Metta. 10 Quel che resta di un sistema I grandi scandali giudiziari interrompono corruzione, malaffare e associazioni a delinquere. Ma la vita delle imprese, le reti di potere e l’intreccio degli interessi proseguono. A volte superano la bufera e riprendono a funzionare. A volte si inceppano. A volte sembrano ricominciare: la crisi del Monte ha costretto in ginocchio l’intera città mentre la banca non è ancora riuscita a cambiare rotta di Camilla Conti e Davide Vecchi A Siena tto finale a Rocca Salimbeni: l’aumento di capitale da 3 miliardi deliberato dal cda giovedì è l'ultima possibilità per il Monte dei Paschi. E già volteggiano gli sciacalli su Piazza Affari tanto che il presidente di Consob, Giuseppe Vegas, ha sentito la necessità di avvisare il mercato: da lunedì, quando prenderà il via l'offerta, l'intera operazione sarà costantemente monitorata dall'organismo di vigilanza. Del resto già ieri il titolo ha registrato un andamento anomalo. Prima sospeso al ribasso, poi al rialzo. In mezzo un’altalena infinita, dopo ben cinque giorni di terreno negativo con una perdita cumulata del 18,5%. A Siena, invece, l'interesse per le sorti della banca non è più quello di un tempo. Perché per i senesi non esiste più già da un pezzo. C’era una volta il Monte. E ha travolto tutto. L’ultima pedina a cadere è stata il Palio di Siena: orgogliosamente difeso dal 1644, ora il marchio – compresi simboli e colori di tutte le 17 contrade – finirà su tazze, matite, orologi e cappellini. L’autorizzazione allo sfruttamento commerciale ha ricevuto la benedizione del Consorzio tutela Palio di Siena. L’ennesima conseguenza del domino innescato nel gennaio 2013 dalla crisi del Monte e dall'inchiesta giudiziaria sulla gestione di Rocca Salimbeni che ha travolto gli ex vertici della banca e costretto alle dimissioni dalla guida dell'Abi l'allora presidente Giuseppe Mussari. Un domino che sembra non avere mai fine. E che ha trascinato a terra l’intera città: la blasonatissima squadra di basket Mens Sana, il Siena calcio, l'università, il polo museale. Tutto. Oltre alla galassia finanziaria collegata all'istituto di credito: società controllate finite in bancarotta, la storica Fondazione spogliata e ridotta a mera osservatrice, migliaia di dipendenti licenziati o esternalizzati. Gli sciacalli ballano sulle macerie di Mps Profumo e Viola ripresi da Bce e Consob I vertici, Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, chiamati per salvare almeno i conti dell'istituto di credito, non sono finora riusciti a bloccare le tessere. Che continuano a cadere. Dopo i 4 miliardi ricevuti attraverso i Monti bond, si è rivelato inutile l'aumento di capitale da 5 miliardi del giugno 2014: ora l'istituto si accinge a sottoscriverne un altro da 3. E la Bce, dopo aver bocciato i conti durante gli stress test di settembre, ha intimato la banca di individuare un partner per una possibile fusione. Ma l'unica prospettiva realistica è l'ingresso da parte dello Stato. Non solo. La Banca centrale ha rivelato come la drammatica situazione finanziaria sia dovuta per lo più ai crediti deteriorati e non, come si è sempre lasciato intendere, alle conseguenze dei derivati Alexandria e Santorini sottoscritti da Mussari. Dopo l’intervento di Francoforte, Mps ha riportato nel bilancio 2014 il dato delle perdite su crediti: 7,8 miliardi. Contro i 2,7 del 2013, i 2,6 del 2012 e l'1,3 del 2011. Non è finita qui. Nella relazione trimestrale appena approvata si legge una breve annotazione: “Alla luce delle in- L’ultima possibilità: servono 3 miliardi Le operazioni spericolate della gestione Mussari, i derivati, le inchieste, le concessioni ai partiti e i favori agli amici. È la storia del declino della banca di Siena. Discesa proseguita con la gestione Profumo-Viola: oltre 23 miliardi di crediti deteriorati e 5,34 miliardi di perdite. Lunedì parte l’aumento di capitale, la chance finale. Gli speculatori in Borsa sono già in azione dagini in corso a opera della Procura di Milano, la Consob sta approfondendo le modalità di contabilizzazione delle operazioni di long term structured repo”. Tradotto: Mps nei resoconti finanziari ha finora calcolato le due operazioni non come derivati. L’organismo di vigilanza potrebbe invece stabilire che questa modalità è erronea e costringere quindi la banca a riscrivere i bilanci degli ultimi anni. SULL’OTTOVOLANTE Titolo sospeso. Interviene la Consob ULTIMO CAPITOLO di quella che un vecchio spot del Monte definiva “una storia italiana”. Giovedì sera il cda della banca ha fissato il prezzo dell’aumento di capitale che partirà lunedì 1,17 euro, pari a uno sconto del 38,9% sul prezzo teorico ex diritto, una operazione iperdiluitiva che offre ai soci 10 nuove azioni per ciascuna posseduta. Il titolo ieri è finito sulle montagne russe: è stato sospeso per eccesso di ribasso a inizio seduta quando perdeva il 5%, ha poi strappato al rialzo nel corso della mattinata chiudendo infine con un +0,75% a 9,45 euro e facendo registrare un boom di scambi. Lo scossone è stato preceduto da cinque sedute consecutive al ribasso, per una perdita cumulata del 18,5 per cento. La Consob ha così acceso il faro sulle contrattazioni facendo attenzione, si legge in un comunicato, "al rispetto delle misure in tema di vendite allo scoperto" e "dell'obbligo di consegna dei titoli in sede di liquidazione". Infatti, l'aumento di capitale, ha segnalato, "presenta caratteristiche di forte diluizione", circostanza che determina il rischio che durante il periodo di offerta in opzione delle nuove azioni si verifichino anomalie di prezzo. La Commissione ha quindi raccomandato a tutti gli attori del mercato l'adozione di "comportamenti virtuosi" per minimizzare il rischio che durante il periodo di offerta in opzione si verifichino le sopracitate anomalie di prezzo. E a Siena a qualcuno ieri è scappata la battuta: “Consob stai serena”. Ca. Con. Le ingerenze politiche, una pratica mai interrotta Un domino che non ha fine. Spinto anche dalla politica, come ha certificato la magistratura. La politica decideva chi nominare nel cda della banca e della Fondazione, cassaforte attraverso cui poi distribuire milioni di euro ad amici ed enti di amici. Emblematica l'intercettazione di Giuliano Amato, oggi giudice della Corte costituzionale, che chiede a Giuseppe Mussari, all’epoca guida di Mps, i soldi per il circolo del tennis di Orbetello di cui è tuttora presidente onorario. “Mi hanno fatto sapere che il Monte vorrebbe scendere da 150 a 125 mila euro, ma siamo già sull’osso”, si lamenta Amato. L’amico Giuseppe lo rassicura. A certificare le ingerenze politiche ci sono anche verbali di interrogatorio. Gabriello Mancini, ex presidente della fondazione, ai magistrati racconta della spartizione di poltrone tra centrosinistra e centrodestra. Non solo Pd, dunque. Dichiara ai magistrati senesi il 24 luglio 2012: “La mia nomina, come quella dell’avvocato Mussari alla guida della banca, fu decisa dai maggiorenti della politica locale e regionale e condivisa dai vertici della politica nazionale”. Per la mia nomina, prosegue, lo sponsor principale, Alberto Monaci (nel 2006 Margherita ora Pd), attuale presidente del Consiglio regionale della Toscana, gli riferisce “che era stato trovato un accordo con i Ds”. Mentre per il via libera ad Andrea Pisaneschi quale espressione del Pdl nel Cda di Mps e di Carlo Querci come “espressione dei soci privati”, Gianni Letta telefona a Silvio Berlusconi e poi richiama Mancini dicendogli che “il presidente aveva dato il suo assenso”, precisando che Pisaneschi “era persona vicina all’onorevole Gianni Letta”. Dopo pochi mesi emerge un documento con la spartizione tra Pdl e Pd non solo delle nomine in Mps, ma anche delle amministrazioni locali – province e comuni – con in calce i nomi di Denis Verdini e Franco Ceccuzzi all’epoca sindaco di Siena. La politica sdegnata scopre di avere le mani sporche. L'allora rottamatore Matteo Renzi grida alla necessità di cambiare registro. “Mai più ingerenze”, tuona. Al Comune, commissariato dopo le dimissioni di Ceccuzzi (presentate proprio a seguito di dissidi nella maggioranza su chi nominare nel cda nel maggio 2012), viene eletto Bruno Valentini, secondo molti pilotato dallo stesso Ceccuzzi. Il nuovo sindaco Pd nel corso della campagna elettorale aveva garantito che la politica avrebbe smesso di soffocare Rocca Salimbeni. Pochi mesi dopo, nel giugno 2013, manda un sms a Renzi: “Allora procedo così su Mps?”. Risposta: “Valentino ma io che c’entro con le nomine del Monte?”. Ancora a marzo 2015, lo stesso Valentini ha indicato i nomi da inserire in fondazione. Pubblicamente. Il nuovo sindaco Pd indagato per falso e omissione Per la composizione della lista della Fondazione Mps in vista del rinnovo del cda di aprile il sindaco ha sponsorizzato Fiorella Bianchi, direttore commerciale della Conad Tirreno. Si è opposto il presidente dell’ente senese Marcello Clarich, messo comunque in minoranza durante le votazioni. Clarich ha ottenuto una piccola rivincita nei giorni scorsi quando il cda del Monte ha ritenuto che la Bianchi sia indipendente ai sensi del Tuf (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria), ma non ai sensi del Codice di autodisciplina, “per la significatività di rapporti creditizi in essere tra Mps e le società facenti capo al gruppo in cui il consigliere riveste l'incarico di direttore generale”. In base all’ultimo bilancio disponibile, quello del 2013, la Conad del Tirreno risulta esposta con la controllata del Monte, Mps Capital Services per un finanziamento residuo di 56,3 milioni con scadenza 2021 più un residuo di 3,2 milioni con scadenza 2028 per un mutuo ipotecario. Ma Bianchi è riuscita a fare il suo in- 5,PERDITE 3mld NEL 2014 L’ULTIMO BILANCIO La perdita civilistica registrata ad aprile 4IL,6BUCO mld DERIVATI liere bianco (magari straniero e dalle tasche gonfie di quattrini) potrebbe riuscire a risvegliarla. Certo, la dote non è delle più attraenti. Nella primavera del 2012, Profumo eredita un bilancio 2011 chiuso con una maxi-perdita da 4,69 miliardi di euro, di cui 4,47 per rettifiche di valore dell'avviamento e degli intangibili. La raccolta complessiva ha registrato una flessione del 7,2% a 281 miliardi, i crediti verso la clientela sono scesi a 147 miliardi (-5,6%), mentre lo stock del portafoglio titoli e derivati si è mantenuto stabile a 38 miliardi. “Il piano di breve e lungo termine prevede la banca in un’ottica stand-alone, così com’è successo fino a oggi”, promette l’allora neo amministratore delegato Fabrizio Viola. Promessa azzardata. Il 2012, quello che avrebbe dovuto essere il bilancio della svolta e il primo firmato dal tandem Viola-Profumo, viene infatti archiviato con 3,17 miliardi di perdite, gli analisti si aspettavano un rosso da 2,3 miliardi. Colpa delle rettifiche su crediti che, anche su pressing della Banca d'Italia, sono salite a 2,67 miliardi e di 700 milioni di perdite scatenati dalla finanza allegra dei precedenti vertici che si riassumono con le tre operazioni in strumenti derivati Alexandria, Santorini e Nota Italia. L'esposizione del portafoglio finanza ammonta a 38,4 miliardi, di cui 26,4 verso titoli di Stato italiani. Per far fronte a questa situazione, sono stati sottoscritti aiuti di stato (Monti bond) per oltre 4 miliardi (di cui 1,9 miliardi gli ex Tremonti Bond emessi nel 2009). Viene inoltre prevista la chiusura di 200 filiali e l'uscita anticipata di 1.000 dei 1.660 dipendenti. La cura però non funziona. Il bilancio 2014, l’ultimo firmato da Profumo che di fatL’ultimo Palio to è dimissionario, è stato La situazione della chiuso con l’ennesima perstorica banca di dita record: 5,34 miliardi Siena, dopo la gecontro 1,4 miliardi nel 2013. stione Mussari, non I vertici danno la colpa alle è affatto migliorata. rettifiche per circa 5,7 miDa lunedì parte liardi a seguito dell’asset l’aumento di capiquality review della Bce e degli tale. E potrebbe esstress test che hanno fatto sere l’ultima possiemergere un gap di 2,1 mibilità Ansa liardi nel capitale della banca senese. Ma a crescere è anche l'esposizione netta dei crediti deteriorati in aumento del 10% a 23,1 miliardi rispetto al 2013. I crediti verso la clientela sono invece calati dell'8,4% a 120 miliardi, mentre la raccolta diretta è risultata stabile a 126 miliardi. L’unica certezza è che il Monte è costretto a varare un nuovo aumento di capitale fino a 3 miliardi, superiore ai 2,5 miliardi inizialmente previsti. I conti non sono migliorati nell’ultima trimestrale nonostante questa abbia fatto registrato (dopo tre anni) un ritorno all’utile per 72,6 milioni di euro (grazie alle operazioni di trading). Sette miliardi di crediti persi e l’attesa del cavaliere bianco Il premier Matteo Renzi Ansa gresso, come desiderato da Valentini. Il sindaco vive una stagione già vissuta dal suo predecessore Ceccuzzi anche per i guai con la giustizia. Se l'ex primo cittadino durante il suo mandato era stato indagato per il pastificio Amato e per questo poi rinviato a giudizio con l'accusa di concorso in bancarotta fraudolenta assieme a Mussari, l’attuale sindaco da venerdì scorso è iscritto nel registro degli indagati per falso in atto pubblico e omissione d'ufficio. La vicenda risale al 2010, quando Valentini guidava il Comune di Monteriggioni, ed è legata a presunti abuso edilizi. Se ne occupa la procura di Siena. “Dichiaro la mia totale estraneità dai fatti”, ha ovviamente commentato Valentini. Ma a Siena molti ne invocano le dimissioni. I conti ancora disastrati e i passivi occultati per anni Vittima principale è ancora oggi l’ormai esanime banca. Infettata dal virus Antonveneta di mussariana memoria e ancora in coma dopo ben tre anni di nuova gestione da parte del tandem Profumo-Viola. Tanto che solo l’arrivo di un cava- Su 1,3 miliardi di flussi di nuovi crediti problematici, il principale punto di debolezza del gruppo, circa 400 milioni sono dovuti all'esposizione verso l'amministrazione pubblica. L’obiettivo di utile netto 2018 a 880 milioni di euro è considerato troppo aggressivo dagli analisti. Quanto alle filiali, che nel 2007 – anno dell’acquisto di Antonveneta – erano 2.000 (poi diventate 3.000), nel 2018 diventeranno 1.800 visto che nei prossimi tre anni è prevista la chiusura di altri 350 sportelli, mentre 700 saranno ristrutturati, per risparmiare 23 milioni. Ultimo dato: nel 2007 il Monte capitalizzava 12,6 miliardi. Oggi 2,7. Tutta colpa degli errori del passato? Certo, gli strascichi dell’era Mussari pesano ancora sul bilancio: dall’onere straordinario di 22 milioni sulle imposte sul reddito lasciato dal Fresh 2008 (la controversa emissione che servi' per pagare parte dell'acquisto di Antonveneta) alle scorie dei derivati sottoscritti con Deutsche Bank e Nomura. Ma se il malato non si è ancora ripreso e, anzi, continua ad accusare gli stessi sintomi, la responsabilità è anche del nuovo management. Tanto che anche i soci sudamericani Btg Pactual e Fintech avrebbero manifestato perplessità per alcune scelte del management chiedendosi perché non sia stata fatta una svalutazione totale delle perdite fin da subito dopo l’approvazione dell’ultimo bilancio della gestione Mussari. Rimane l’ultimo atto: l’aumento di capitale che prenderà il via lunedì. Monitorato da Consob. Un passaggio delicatissimo che preoccupa i vertici. Non la città. C’era una volta il Monte dei Paschi di Siena. il Fatto Quotidiano L’ESPOSIZIONE VERSO NOMURA Valore a fine marzo. Effetto del derivato “Alexandria” SABATO 23 MAGGIO 2015 2CREDITI 3,1mlAd RISCHIO 11 PRESTITI FACILI I crediti deteriorati sono aumentati del 10% rispetto al 2013 L’AVVOCATO DE MOSSI “Nulla è cambiato, il potere è rimasto alla solita politica” iena è una città immobile. Quando accadono terremoti come quello che S ha scosso questa città si assiste a un ri- cambio della classe dirigente. Qui non è successo. Chi ieri aveva il potere continua ad averlo, soprattutto a livello di Pd locale, cambiano i nomi ma si tratta di personaggi che avevano legami profondi con la “Siena da bere” di qualche anno fa. Il sindaco Bruno Valentini non è riuscito a spezzare antichi schemi. La lezione Antonveneta non è servita”. Ne è convinto l’avvocato senese Luigi De Mossi, che rappresenta alcune delle parti civili per il filone Antonveneta trasferito a Milano e che ha assistito i 250 dipendenti Mps esternalizzati in Fruendo, poi reintegrati su richiesta del giudice nel Monte. De Mossi, insieme a pochi altri, ha denunciato in tempi non sospetti il cosiddetto “groviglio armonioso”. Inutilmente. A parte lei e i blogger senesi che ai tempi di Giuseppe Mussari erano gli unici a criticarne la gestione, a Siena oggi chi fa la parte dell’opposizione? C’è stata un’atomizzazione della politica locale. La Lega ha fatto un’attività di contrasto, presentarono loro il primo esposto contro l’operazione Antonveneta. Oggi la battaglia è rilanciata anche per motivi elettorali da Salvini e dal suo candidato in Toscana Claudio Borghi. Ma al tempo non ebbe alcun ritorno in termini di consenso. Non andò bene nemmeno PASSATO E PRESENTE all’alternativa di lista civica di Eugenio Neri. Forse quella campagna elettorale (vinta dall’attuale sindaco Valentini, ndr) era arrivata troppo presto, non erano scoppiati i casi della Mens Sana, di Siena Biotech, della Sansedoni, ovvero l’onda grossa della crisi. Ma, ripeto, su certe istanze Siena è immobile. Eppure in Fondazione con la presidenza di Antonella Mansi qualcosa si era mosso. Anche sul fronte degli equilibri interni al governo dell’ente dove sono rappresentate le istituzioni locali. L’orologio è tornato indietro anche lì? Sono stato un sostenitore di Mansi perché si è impuntata sul rinvio dell’aumento di capitale che al tempo ha consentito alla Fondazione di salvarsi, fu una mossa quasi rivoluzionaria per questa città dove le iniziative di buon senso sono missioni quasi impossibili. Il suo successore, Marcello Clarich, credo si stia rendendo conto solo adesso dei lacci che imbrigliano chi deve governare l’ente. Di certo, è stato rotto un tabù: fino a pochi anni fa alcune società partecipate dalla Fondazione e dalla stessa banca erano intoccabili, ora non è più così. Penso alla Siena Biotech, per la quale di recente il tribunale ha accolto la domanda di fallimento. Avere una partecipata oggetto di una procedura concorsuale, un tempo sarebbe stata considerata una eresia. Credo che Clarich abbia buone intenzioni ma ha sottovalutato certi meccanismi di questa città e ha commesso alcuni errori che la Mansi, forse perché meglio consigliata, era riuscita a evitare. Il punto però è sempre lo stesso: deve essere chiarito una volta per tutte se la Fondazione è indipendente dalla politica oppure no. Passiamo alla banca. Il presidente Alessandro Profumo lascerà dopo l’aumento di capitale. Come è valutata la sua gestione a Siena? Giuseppe Mussari Alessandro Profumo L’allora presidente e numero uno dell’Abi Ansa Oggi al vertice, alle prese con l’aumento di capitale Ansa Posso dirle come la valuto io. Premetto che sia Profumo sia l’amministratore delegato Fabrizio Viola sono dei corpi estranei alla città, sono dei banchieri professionisti, dei tecnici. Come tali non hanno alibi. E il numero delle trimestrali in rosso presentate sotto la loro gestione parla da solo. La Bce ha sollecitato il Monte a valutare eventuali aggregazioni. Segno che la ricapitalizzazione da 3 miliardi non basta, serve un cavaliere bianco. Siena è pronta alle nozze magari con uno straniero? Antonio Vigni Fabrizio Viola L’ex amministratore delegato LaPresse Il nuovo ad, doveva risollevare il Monte LaPresse Ci sono due correnti di pensiero. C’è chi vorrebbe aprire le porte agli stranieri salvo poi condizionarne l’ingresso con i soliti giochini. E poi c’è chi insiste sull’italianità e sulla senesità: qui si vuole e si deve controllare tutto, non si valuta il risultato ma quanto e come si può incidere sulle decisioni della banca. Sebbene sia un liberista convinto, mi sento di dire: Dio ci salvi e liberi dalle privatizzazioni di banche come il Monte. Speriamo venga nazionalizzata. L’inchiesta giudiziaria su Antonveneta. Chi ha sbagliato, pagherà? Franco Ceccuzzi Bruno Valentini L’ex sindaco di Siena, l’uomo delle spartizioni Ansa Il primo cittadino, famoso per la gaffe con Renzi Ansa Di fronte a eventi come quelli che hanno investito questa città e questa banca le soluzioni, ce l’ha insegnato anche Tangentopoli, non sono mai giudiziarie. Le inchieste possono offrire un assist al cambiamento ma la rinascita deve partire dalla società. Le indagini su Antonveneta sono state portate avanti a Siena da magistrati giovani e motivati. Ma sono partite tardi, a tre anni dall’acquisto di Antonveneta. I buoi sono già scappati. Cam. Con. 12 MONDO SABATO 23 MAGGIO 2015 Pianeta terra il Fatto Quotidiano SITO PER ADULTI RUBATI 3,5 MILIONI DI DATI Informazioni e preferenze sessuali di 3,5 milioni di persone sono stati rubati dagli hacker che hanno attaccato il sito di incontri per adulti Adult Friendfinder, che ha 63 milioni di iscritti. Il sito si definisce “la più grande comunità di incontri di sesso e di scambisti”. UCRAINA SOLDATI RUSSI “IN RICOGNIZIONE” Armati ma senza ordine di sparare: secondo l’Osce, i due uomini catturati dalle truppe di Kiev avrebbero confessato di appartenere all’esercito russo, in Ucraina per una “missione di ricognizione”. Per Mosca sono invece ex militari costretti a mentire dagli ucraini Ansa OBAMA CHE NON VA ALLA GUERRA SI RITROVA L’ISIS TRA I PIEDI STRATEGIA A SINGHIOZZO DEL LEADER USA, TANTO CHE ANCHE L’ITALIA CHIEDE UNA “VERIFICA”. INTANTO IL CALIFFATO AVANZA DALLA SIRIA ALL’IRAQ di Giampiero I Gramaglia l suo potere è anche hard – è il comandante in capo del più micidiale apparato militare mai esistito – ma lo esercita, si sarebbe detto una volta, alla “Sor Tentenna”: tra il dialogo e la guerra, spesso esitante il primo, mai determinante la seconda. Per il presidente Usa Barack Obama, i cambi di strategia sono all’ordine del giorno e il prossimo deve essere imminente, se persino l’Italia gli chiede apertamente una verifica: segno che ormai è stata decisa. Anche se Oba- ma tiene fermo un punto: non vuole mandare truppe in campo. Davanti all’avanzata parallela dei miliziani jihadisti in Iraq e in Siria, il governo italiano – afferma a Riga il ministro degli Esteri Gentiloni – “è preoccupato” e considera “fondamentale” una verifica “della strategia che stiamo attuando”. L’OCCASIONE sarà un incon- tro a Parigi il 2 giugno, dove il Segretario di Stato Usa Kerry e i rappresentanti dei 60 Paesi alleati faranno il punto sulla lotta al Califfato. Che, per il momento, non dà tregua: sul Il Califfo punisce anche i sauditi KAMIKAZE NELLA MOSCHEA SCIITA: 20 MORTI L’Isis, per la prima volta, va all’attacco anche in Arabia Saudita: i jihadisti dello Stato islamico hanno rivendicato l’attentato kamikaze che nell’est del paese ha devastato una moschea sciita, causando la morte di una ventina di persone e il ferimento di oltre 100 fedeli Ansa terreno, all’esercito iracheno e ai ‘lealisti’ di Al Assad; e nell’etere, con un assillante minacciosa propaganda anti-occidentale. Daqib, la rivista scritta in inglese degli integralisti, affida al suo giornalista di riferimento, John Cantlie, il reporter britannico ostaggio, divenuto stella mediatica jihadista, la minaccia di un attacco senza pari contro l’America, VERSO PARIGI Il 2 giugno, summit in Francia con il Segretario di Stato John Kerry e i rappresentanti dei 60 Paesi alleati magari un attentato nucleare. In un pezzo intitolato “La tempesta perfetta”, come il film diretto da Wolfgang Petersen nel 2000 – ma qui la tempesta è l’avvento del Califfato – Cantlie esalta la capacità di coordinamento degli integralisti a livello globale in tempo reale, così che “la potenzialità per operazioni mai viste cresce esponenzialmente”. Questo nel web o per azioni terroristiche in campo avverso. SUL TERRENO di guerra, stra- tegie e dinamiche sono più tradizionali. Negli ultimi otto giorni, dopo settimane di bombardamenti aerei della AL BIVIO Il presidente Usa Barack Obama è giunto quasi a fine mandato LaPresse coalizione internazionale e attacchi letali dei droni Usa contro alcuni capi, i miliziani hanno conquistato Ramadi, capitale della provincia irachena sunnita di al-Anbar, e Palmira, nel deserto siriano, oltre al valico di frontiera di al Tanaf, a Sud. Ora, il regime di Assad ha perso il controllo di metà del territorio nazionale e di tutti e tre i passaggi di frontiera con l’Iraq: Bukamal era già in mano ai jihadisti; e a Nord al Jarrubia è gestito dalle forze curde. Nelle ultime ore, gli integralisti sono ancora avanzati nella provincia centrale di Homs, alla frontiera con l’Iraq, occupando impianti di gas. Rispetto all’avvio della campagna aerea lanciata lo scorso autunno dalla coalizione internazionale a guida americana, e nonostante disfatte nei mesi scorsi al confine tra Turchia e Siria e in Iraq, specie a Tikrit, i miliziani hanno allargato il territorio da loro controllato nei due Paesi. Le forze di Baghdad, da quando il sostegno iraniano s’è ridotto, non reggono il confronto con Hillary Clinton e Bashar al Assad, presidente siriano dal 2000 Reuters/Ansa i jihadisti; e i lealisti di Assad paiono quasi in rotta, come se avvertissero scricchiolii nel regime, non più in grado di proteggere chi lo sostiene. CE N’È QUANTO basta per mettere sotto accusa una strategia inefficace sia a sconfiggere il nemico sia a tenere uniti gli alleati. Mentre Washington cerca di coinvolgere Teheran in Iraq, gli iraniani aprono un fronte anti-sunnita nello Yemen e le monarchie del Golfo, alleate degli Stati Uniti, si coalizzano con l’Egitto contro gli insorti sciiti in quel Paese. Non a caso, mentre ciò accade, l’avanzata dei miliziani ritrova slancio. In Siria, ieri, dopo un mese di assedio, i governativi hanno lasciato ai ribelli islamisti siriani, stavolta qaedisti del Fronte al-Nusra, un ospedale appena fuori Jisr al-Shughour, nella provincia di Idlib (siamo già in area alauita, la roccaforte di al Assad). E c’è stato pure il sequestro di un religioso, padre Jacques Mourad, priore del monastero di Mar Elian, rapito da un commando sotto la minaccia delle armi. Il sacerdote appartiene alla comunità di Mar Musa El Habashi, fondata dal gesuita italiano padre Paolo Dall'Oglio, sequestrato il 29 luglio 2013 e di cui non si hanno notizie. il Fatto Quotidiano MONDO BALTIMORA INCRIMINATI SEI AGENTI Per la morte dell’afroamericano Freddie Gray, deceduto mentre era in custodia e con una lesione alla colonna vertebrale, un gran giurì ha incriminato ieri formalmente i sei agenti coinvolti, aprendo la via al processo. Ad annunciarlo, il procuratore del Maryland, Marilyn Mosby. LaPresse FRANCIA AI POVERI IL CIBO IN PIÙ: È LEGGE L’Assemblea nazionale francese ha approvato ieri una legge per ridurre della metà la quantità di cibo sprecato entro il 2025: i supermercati, tramite accordi con le organizzazioni di beneficenza, dovranno donare, ridurre in concime o in foraggio per gli animali il cibo non venduto. LaPresse SABATO 23 MAGGIO 2015 13 Frau Europa in cattedra tra Putin e Tsipras LA MERKEL DETTA LA LINEA (DURA) DELL’UNIONE SULLA CRISI UCRAINA E SI SPENDE PER UNA SOLUZIONE (CHE CONVENGA ALLA GERMANIA) SU QUELLA GRECA I UN MONDO IN GUERRA A sinistra, rifugiati a Baghdad; qui sopra, un’esplosione a Donetsk, in Ucraina Reuters IRLANDA Oggi i risultati del referendum gay rlanda: ore di attesa e una giornata di scrutini I prima di conoscere l’esito del referendum per cui ieri 3,2 milioni di persone sono state chiamate a votare. Si saprà, insomma, se gli elettori vogliono introdurre o meno i matrimoni gay nella Repubblica. L’Irlanda è infatti il primo Paese al mondo ad avere indetto un referendum sui matrimoni tra persone dello stesso sesso, anche se quello sulle nozze gay non è l’unico quesito referendario (per modificare la costituzione) che è stato sottoposto agli irlandesi: i cittadini sono stati chiamati a votare anche sulla proposta di ridurre l’età per l’eleggibilità del presidente della Repubblica: passerebbe, infatti, dai 35 ai 21 anni. l suo potere è tutto soft, ma lo esercita con pugno di ferro in guanto di velluto. Al Vertice di Riga tra i leader dell’Ue e i loro vicini dell’Europa orientale, Angela Merkel riesce a evitare il peggio (con la Russia) e a tenere insieme i fili dei negoziati che s’intrecciano fra i 28, per la Grecia e sull’immigrazione. Certo, dal Vertice non esce nulla, ma non c’è neppure la smagliatura d’una polemica (troppo) sopra le righe. In un’occasione analoga, a Vilnius, 18 mesi or sono, la precipitazione dell’Unione nell’assecondare la presidenza di turno lituana fu la miccia che fece deflagrare il conflitto tra Russia e Ucraina. Questa volta, tutti sono avvertiti e la Merkel tiene sotto controllo la presidenza di turno lettone, ancora più oltranzista della lituana nei sentimenti anti-russi. PER L’AGENDA dell’Immigra- zione proposta dalla Commissione europea, con le quote di ripartizione dei rifugiati e missioni navali anti scafisti schiavisti, e per la trattativa con la Grecia perché rispetti gli impegni e faccia le riforme, non è qui l’ora delle decisioni. Ma la Cancelliera, tra plenaria e bilaterali, evita esasperazioni e si mostra convinta che l’intesa alla fine si troverà. Senza cedimenti, però. Alla Russia, non glielo manda a dire che il G8 anche que- st’anno sarà un G7, se nella crisi ucraina Putin continuerà a non rispettare il diritto internazionale. Di tutte le sanzioni, questa è quella che fa meno male, pur facendo un sacco di rumore. La Merkel ne aveva già informato il Bundestag, giovedì: il ritorno della Russia nel Gruppo dei Grandi è “inimmaginabile”, fin quando Mosca non agirà nel rispetto della democrazia. Il vertice si svolge a giugno a Elmau, in Baviera, sotto la presidenza di turno tedesca: “Gli sviluppi in Ucraina sono la ragione per cui ci incontreremo in 7 e non 8”, spiega la Cancelliera. Se Vladimir Putin e Alexis Tsipras Ansa/LaPresse “il G7 è una comunità di valori, che lavora insieme per la libertà, la democrazia, lo stato di diritto”, per farne parte bisogna “rispettare le leggi degli Stati e la loro integrità territoriale”: “Quel che fa la Russia in Ucraina non è compatibile con tutto ciò”. Sono toni fermi, ma misurati. Della Russia, l’Unione – specie Italia e Germania - ha bisogno per gli approvvigionamenti energetici e – specie l’Italia - perché non si metta di traverso all’Onu sull’idea d’una missione navale anti-scafisti (nel Consiglio di Sicurezza, Mosca ha diritto di veto). LA STRATEGIA dell’im- migrazione non è in agenda a Riga. Ma la Merkel continua a giocarsi il jolly della solidarietà. Francia e Spagna, le cui levate di scudi anti-quote avevano stupito, precisano: non sono contro il principio, ma contro i criteri. L’Esecutivo rifarà i compiti, in vista del prossimo round, già martedì. E la Merkel si conferma centrale nella trattativa con la Grecia, che, come era già successo ad aprile, esclude di nuovo l’Italia: la Cancelliera vede il premier Tsipras con il presidente francese Hollande e senza esponenti delle Istituzioni Ue (l’assenza del presidente della Commissione Juncker è un ‘mini-giallo’). La trilaterale dura 2 ore e mezza, in una suite dell’Hotel Radisson: all’uscita, volti sorridenti, ma bocche cucite. La Grecia e i suoi creditori hanno di fronte una settimana di fuoco: stipendi e pensioni da pagare, crediti da restituire e poca liquidità. A fine vertice, Tsipras, sempre ottimista, parla di “toni costruttivi”, la Merkel avverte che resta da fare “molto lavoro”. E tutti partono sereni, senza accordi, ma senza litigi. OGGI LA CERIMONIA A SAN SALVADOR Non subito, ma beato: il miracolo di Romero di Nuccio Ciconte l cattolico, o per meglio dire il cristiano, I quando si creano le condizioni giuste per un’insurrezione popolare, deve partecipare co- me tutti gli altri cittadini”. Era il 25 ottobre 1979. A dirmi queste parole in un’intervista per l’Unità non era un “prete rivoluzionario” o un esponente della “teologia della liberazione”. Era un ex parroco di campagna, un conservatore e proprio per questo da quasi due anni, scelto come arcivescovo di San Salvador. Non era la prima volta che andavo a trovare monsignor Óscar Arnulfo Romero nella sua residenza privata, in una bella zona collinare della capitale. POCHI GIORNI PRIMA, come ogni domenica da quando mi trovavo in quel disgraziato Paese del Centro America, ero nella basilica del Sacro Cuore. Sull’altare, a celebrare messa, c’era monsignor Romero. Le sue omelie erano un appuntamento imperdibile. Lo erano per noi pochi giornalisti internazionali che di tanto in tanto andavamo per raccontare le atrocità di uno tra i più duri regimi militari delle “Repubbliche delle banane”, ma soprattutto per una fetta sempre più crescente di popolo salvadoregno. In migliaia riempivano la basilica o si assiepavano davanti alla chiesa dove la parole di monsignor Ro- mero venivano diffuse dagli altoparlanti; tanti, non lasciare solo l’ex parroco di campagna. tantissimi altri si sintonizzavano sulla radio Perché, seppur circondato dall’affetto dei più dell’arcivescovado. Quelle omelie erano un pu- poveri, dai ceti popolari, monsignor Romero era gno nello stomaco ai vertici militari e a quel davvero solo. Era odiato dai detentori del potere gruppo di grandi famiglie di oligarchi che ten- che lo consideravano un traditore (l’arcivescovo tavano di schiacciare ogni forma di protesta sin- aveva incominciato a denunciare le atrocità del dacale o politica, esercitando un ferreo controllo regime quando un anno prima gli squadroni sui giornali, le radio, le televisioni. L’unica voce della morte avevano ucciso Rutilio Grande, un fuori dal coro – in un paese senza informazione tranquillo sacerdote, suo grande amico). Non – era quella alta e forte di monsignor Romero: era d’altra parte molto amato dagli ambienti di dall’altare faceva un minusinistra, dai seguaci della zioso resoconto della setti“teologia della liberaziomana passata. Citava il nune”. Ricordo i commenti liquidatori che avevo racmero dei morti uccisi dalla repressione, ricordando il colto, nei miei primi viaggi, all’Università cattolica nome e il cognome delle vittime e accusava gli apdi El Salvador. Solo un anparati di sicurezza dello no dopo quei gesuiti che Stato. Denunciava natudisquisivano sui massimi ralmente anche episodi di sistemi cominciarono a violenza gratuita della guardarlo con meno ostiguerriglia di sinistra. lità. La stessa cosa era sucPartecipare alla messa docessa con i gruppi guerrimenicale era una sfida glieri (i cubani bollavano aperta al regime. I salvadol’arcivescovo come un “pattinatore”, uno che va regni che salivano i gradini L’OMICIDIO DEL 1980 da una parte all’altra). Sì, del Sacro Cuore sapevano Mons. Romero fu ucciso dagli squadroni era solo monsignor Romedi rischiare la vita, ma andella morte il 24 marzo 1980 Ansa ro e guardato con fastidio davano per farsi coraggio e anche in Vaticano, tanto che all’indomani del 24 marzo 1980, quando fu assassinato mentre celebrava la messa in una piccola cappella della capitale, Giovanni Paolo II si limitò a inviare ai vescovi salvadoregni soltanto un generico, quanto freddissimo, messaggio di cordoglio. Poi nulla più. Oggi, dopo 35 anni, Óscar Arnulfo Romero verrà beatificato e finalmente riconosciuto come martire della Chiesa. QUEL MONSIGNORE l’avevo visto per l’ultima volta il 27 gennaio 1980. Era domenica. Dopo l’omelia, sulla sua Fiat 750 avevamo raggiunto la sede del soccorso giuridico dell’arcivescovato dove c’era una riunione con i familiari dei desaparecidos. Erano giorni difficili. Le intimidazioni contro i giornalisti stranieri pesanti. “Chiamatemi anche di notte, avete il mio numero diretto”, ci diceva per farci coraggio. E quando gli chiedevamo se avesse paura, rispondeva evasivo: “Militari e latifondisti non mi amano, non mi considerano un loro fratello...”. Aveva ricevuto minacce ma apparentemente era tranquillo. Ricordo il giudizio sprezzante di un diplomatico occidentale: “Il compito della Chiesa non è fare politica. Ma lui vuol fare la prima donna. Tanto sa che è un intoccabile, nessuno gli farà del male”. Fu assassinato due mesi dopo. G. G. 14 SABATO 23 MAGGIO 2015 SECONDO TEMPO S P E T TAC O L I . S P O RT. I DE E “SLURP!”TRAVAGLIO A PADOVA E A UDINE “Slurp”, lo spettacolo di Marco Travaglio con Giorgia Salari (regia di Valerio Binasco) andrà in scena questa sera alle 21 al Gran Teatro Geox di Padova. Domenica (h. 21) al Teatro Nuovo Giovanni da Udine di Elisabetta GIRO: ARU MAGLIA ROSA, CONTADOR GIÙ Una caduta a 3,2 Km dal traguardo a Jesolo sconvolge la classifica generale del Giro: lo spagnolo perde la leadership e ora insegue il ciclista sardo a 19 secondi. Vittoria di tappa per l’azzurro Sasha Modolo A TRA LE DUE GUERRE il punto di convergenza La portavoce Sabine Kehm, a quasi un anno e mezzo dall’incidente sugli sci, fa il punto sulla situazione dell’ex campione del mondo: “Fa continui progressi nonostante il gravissimo infortunio. Ma ci vorrà moltissimo tempo” STORICO Reguitti ngelo Del Boca, giornalista, saggista e storico del colonialismo italiano, oggi compie 90 anni. Giovane alpino nella Rsi (Repubblica sociale italiana) di Salò dalla quale fuggì: “Non potevo rimanere con chi ammazzava i ragazzi”, entrò poi nel Giorno negli Anni Sessanta e divenne storico antifascista. Il giornalista piemontese, che porta addosso il fardello della sua deportazione in Germania, inquadra l’evento della Prima guerra mondiale partendo dal padre Giacomo. Albergatore che partecipò alla Prima battaglia dell’Isonzo combattuta dal 23 giugno al 7 luglio 1915, tra l’esercito italiano e quello austro-ungarico che ne respinse l’offensiva. LO STAFF: “SCHUMACHER STA MIGLIORANDO” Angelo Del Boca, 90 anni, figlio di un fante della prima Guerra Mondiale, è autore di numerosi saggi storici Il giorno in cui l’Italietta entrò nel “Guerrone” “FU IL CONFLITTO DELLA TERRA”, SCONVOLSE LA VITA DI TUTTI, RICORDA ANGELO DEL BOCA quarant’anni”. Il papà che talvolta, ricordando in modo ossessivo quegli anni, stringeva forte il braccio del piccolo Angelo. Accadeva quando la narrazione si faceva tragica, come quella mattina in cui scoppiò una bomba che provocò un’ immensa nube. Giacomo venne travolto dal terrore che ciò che si stava propagando fosse gas tossico. Era senza alcuna protezione, nes- sicuramente “è rappresentato dai traumi e i drammi di una generazione gettata allo sbaraglio nel conflitto”. Del secondo Angelo ha scritto nel suo diario di soldato diciannovenne dal titolo Nella notte ci guidano le stelle recentemente pubblicato da Mondadori. Giacomo invece da giovane uomo di ritorno A mezz’asta dal fronte ne raccontava al figlio: l’uno seduto accanto all’altro davanti al piccolo tavolo di pietra nella casa in cui abitavano in provincia di Novara: “Avevo al massimo 7 anni e ne rimanevo sorpreso e spaventato. Parlava della trincea, del fango e dei topi. Di quando lo avevano messo a spostare malati, feriti, o a volte addirittura morti dalla teleferica sulla quale venivano trasportati alle barelle”. Angelo alto e robusto, il padre Giacomo più basso e minuto “ma dalla grande forza fisica e di volontà. Come del resto era mia madre che allora, poco meno che trenten- LA POLEMICA DEL TRENTINO ne, rimase sola ad allevare i 5 “L’inizio di una guerra è una sconfitta per l’umanità”. figli e a gestire il grande Al- Fa discutere la decisione del presidente della Provincia bergo della fonte nella Val di Bolzano Kompatscher, che osserverà un minuto di d'Ossola di cui era proprie- silenzio ma terrà le bandiere a mezz’asta. Stessa scelta tario mio padre partito per il per il presidente del Trentino Alto Adige, Ugo Rossi fronte del ’15-’18 all’alba dei Dallo sparo all’ecatombe: le piaghe dei gas e della Spagnola, prima epidemia globale IL PRIMO SPARO La guerra inizia nel luglio del 1914, in seguito all'assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando, erede dell’Impero austro-ungarico. L’Italia, inizialmente neutrale, entra nel conflitto il 23 maggio 2015, dichiarando guerra all’Austria. suna maschera sul viso; tentò di rifugiarsi lon- ticamera del fascismo. “La campagna di Libia tano nascondersi nella baracca consapevole come errore del presunto orgoglio italiano. Ci che nulla lo avrebbe potuto salvare. andammo, rimanemmo combattendo e per“Mio padre era ossessionato dalle armi chi- dendo. Ma soprattutto perpetrando lo stermiche. Quasi un presagio di quella che poi è minio degli abitanti della Cirenaica” affonda stata la mia strada” spiega lo studioso italiano lo scrittore riportando la riflessione all’attuache per primo denunciò le atrocità compiute lità e l’errore geopolitico che secondo lui è dalle truppe italiane in Libia, l'impiego di armi stato ripetuto con la guerra a Gheddafi. Poi la chimiche e la creazione di campi di concen- conversazione torna alla commemorazione tramento: contestato dalle asdella guerra combattuta da sociazioni di reduci e di proGiacomo Del Boca che per Angelo fu peggiore della Sefughi oltre che dalla stampa: IL PADRE SOLDATO “Montanelli non me lo perconda perché si lottava nel fango. “Fu la guerra della terdonò mai”, ricorda sorriden“Avevo 6-7 anni ed ero do Del Boca, riprendendo l'ara”. neddoto di Giacomo sopravLa guerra del ’14-’18 coinvolspaventato dai suoi vissuto a quel giorno poiché se 27 Paesi uccidendo 10 miracconti. Parlava della lioni di persone e lasciando la nuvola che aveva avvolto tutto non era gas bensì sola20 milioni di feriti. Fu la pritrincea, del fango e dei ma guerra moderna con l’utimente polvere. Giacomo e lizzo di nuove armi su larga Angelo Del Boca: padre e fitopi. Di quando spostava glio, entrambi soldati in eposcala: gas tossici, mitragliatrimalati, feriti, a volte morti” ci, carri armati, aerei e sotche diverse uniti però da quella stessa terra chiamata tomarini. Il conflitto provocò lo scioglimento dell’impero Libia. austroungarico, di quello ottomano oltre alla “SONO STATO il biografo di Gheddafi che ho fine della stagione degli zar travolti dalla riincontrato personalmente nel 1996 a Tripoli, voluzione bolscevica del 1917; per gli storici nella sua tenda”, ricorda rimarcando la linea segnò il declino della “vecchia Europa” con di continuità con il 1911 alla vigilia della l'ingresso sulla scena mondiale degli Stati Grande Guerra in cui combattè il padre. Uniti e anche dei paesi dell’altro emisfero: In quello stesso periodo, durante la spedi- Australia e Nuova Zelanda, i cui soldati venzione militare italiana in Libia, papa Pio X nero a combattere in Asia ed Europa. ebbe a dire: “Le cose vanno male, non parlo di La battaglia globale fu anche contrassegnata questa guerra. Verrà il Guerrone!” che per dalla cosiddetta “spagnola”: l'epidemia che l'Italia iniziò il 24 maggio 1915: ne uscì con riuscì a mietere più vittime della Grande guerTrento e Trieste ma prostrata da una pro- ra stessa. fonda crisi economica, politica e sociale [email protected] LA DURATA Il conflitto dura dal 28 luglio 1914, giorno della prima dichiarazione di guerra, all’11 novembre 2018, quando venne firmato l’armistizio di Compiègne tra l’impero tedesco e le potenze alleate. Più di quattro anni, esattamente 1.565 giorni 1.565 GIORNI DI GUERRA il Fatto Quotidiano SABATO 23 MAGGIO 2015 15 La trincea della memoria L’intervista/1 L’intervista/2 Boris Pahor Giorgio Pressburger Il mio secolo ‘orrido’ e dimenticato di Eli. Reg. B LA GRANDE CARNEFICINA Soldati italiani in trincea. In tre anni e mezzo di guerra, dal maggio 1915 al novembre 1918, morirono oltre 600 mila persone LaPresse Il viaggio di Nicolò lungo i due fronti LONDRA 10 maggio 2014. Inizia da qui il viaggio di Nicolò Giraldi a ridosso delle linee del fronte della Prima guerra mondiale, alla ricerca di tracce ma soprattutto di persone che non hanno aspettato il 2015 per ricordare: "Quelli che evitano la retorica della celebrazione puntando piuttosto sull'evocazione”. Il 9 luglio 2014 Giraldi raggiunge Trieste. Il giornalista racconta il suo cammino in un libro dedicato all'omonimo bisnonno, fante in divisa austroungarica sul fronte orientale. Da Dover in traghetto fino a Dunkerque per poi attraversare Francia e Belgio, toccando città come Lille, Virton, Verdun, Metz, Strasburgo per poi spostarsi in pullman fino a Stoccarda e raggiungere la Baviera a piedi. Londra-Trieste passando dalle Fiandre, transitando dalla Germania meridionale, percorrendo il Tirolo, le Dolomiti, le Alpi Carniche fino a Caporetto. Costeggiando l’Isonzo e camminando lungo il Carso. Tutto raccolto e trascritto in un diario, diventato il libro "La Grande Guerra a piedi. Da Londra a Trieste sui luoghi del primo conflitto mondiale” edito da "Biblioteca dell’Immagine" in uscita martedì 26 maggio. Eli. Reg. GLI SCHIERAMENTI Per effetto delle varie alleanze stipulate, tutte le grandi potenze mondiali presero parte al conflitto. Da un lato il blocco degli imperi centrali (Germania, Austria, Impero ottomano), dall’altro gli Alleati (Francia, Inghilterra, Russia, Italia). inviata a Trieste Ma modernità e democrazia nascono da lì guerre mondiali. La civiltà del XXI secolo è schifosa, senza memoria, continua a comportarsi in spregio all’etica politica e sociale. II dolore dei bombardamenti, la fame, la negazione dell’uomo nei campi di concentramento: sembra che tutto ciò non sia servito a nulla, tutto rimosso. Oggi, proprio ai vertici dello Stato in Italia, ma anche all’estero, si scassina e si ladroneggia senza alcun riguardo per il bene comune. oris Pahor, nato a Trieste il 26 agosto 1913, arriva a bordo di un’utilitaria. Lo scrittore autore di Necropoli scende e affronta la duplice rampa di scale che porta al suo studio a Prosecco (la frazione che ha dato il nome al vino) senza tentennamenti. Ci mette un po’ ad aprire la porta che introduce al suo mondo fatto di li- Come giudica Matteo Renzi? bri, fotografie, riconoscimenti, scul- È stato molto abile ad andare verso il ture e ricordi. Sloveno di nazionalità centro senza pagare di proprio. Ha italiana inizia il racconto di quello messo a rischio l’unità del suo parche chiama il secolo “orrido”. Viva- tito e continua a farlo, ma di sicuro si ce, intelligente e muove con capacità e determinastraordinariamente lucido, regala rizione. Speriamo cordi e aneddoti di che non abbia peTESTIMONE una vita lunga e inrò tendenze politensa: dal periodo tiche univoche... DIRETTO di stenti come dePapa Francesco? Ricordo l’eco dei cannoni Mi piace moltissiportato nel lager a tutto ciò di cui la cimo anche se è in ovunque. Trieste era viltà del XXI secolo una posizione dinon ha voluto tenedisgraziata, non si trovava sgraziata. Come re conto. può pensare di da mangiare. E poi Cosa ricorda della cambiare la chieGrande Guerra? sa? Si continuano l’epidemia di Spagnola I cannoni che si a vedere tutti gli sentivano ovunaggeggi dei porche si portò via Maria, que. Trieste era diporati, paramenti la mia sorellina di 4 anni sgraziata, non si e simboli che ririusciva a trovare cordano la Chiesa da mangiare. Ridel lusso, non cordo l’epidemia di “spagnola” che quella dei poveri. Sono tutte posifece strage fra la popolazione. Io, zioni di una casta che difficilmente mia mamma e le mie due sorelline potrà essere indebolita. fummo contagiati. Una delle due, Come trascorre il tempo? Maria di soli 4 anni, ne fu vittima. La Oggi non mi ritrovo più nelle mie vegliammo nel nostro letto, fino al giornate. Fino a poco tempo fa ero rientro di nostro padre dal lavoro. abituato a lunghe passeggiate sulle Era militare a Pola, allora Italia (oggi montagne. Quando rientravo iniCroazia ndr) e non fu facile rientrare ziavo a scrivere. Adesso continuo ad a Trieste anche se non era un lungo alzarmi presto, mi preparo la colaviaggio. Ricordo come fosse ora il zione e sono pronto per affrontare la suo dolore quando la vide. Era la sua giornata. Quello che è cambiato e preferita, la chiamava “Mimiza”. che ora non riesco ad essere sempre Che immagini le sono rimaste del fedele alla macchina da scrivere. Ho appena finito, in sloveno, un diario conflitto? I colpi di cannone. La guerra la si di 180 pagine dell’anno passato. Di sentiva nei muri: non proprio un fatto mi sento disoccupato. rombo ma piuttosto un’eco. Una Viaggia ancora molto però... carneficina tremenda se si conside- Non direi, quest’anno solo cinque rano le undici offensive delle truppe viaggi. italiane contro la montagna. L'Italia Scusi professore ma lei ha 101 anni... fece l’errore di entrare in guerra per Anche questo è vero... (sorride). Vedi conquistare il territorio sloveno e de però, per me spostarmi da Trieste spingersi nel cuore dell’ Europa. a Prosecco richiede la stessa energia Una strategia che allora non pagò. che partire per Parigi. Anzi, se viagSolo molti anni più tardi nel 1941 le gio in aereo, mi accompagnano in truppe italiane, alleate dei tedeschi, macchina e anche la mia borsa mi riuscirono ad arrivare a Lubiana. viene riconsegnata a destinazione. Come definisce il Novecento? Non è dunque faticoso per me viagUn secolo del male, orrido. L’uma- giare. Io mi sposto solo per motivi nità, e in particolare i popoli euro- culturali, non vado per sport o per pei, ha sopportato la tragedia di due piacere da nessuna parte. L’ECATOMBE Il conteggio delle vittime è incerto: i militari morti sono 9 milioni. Ma, civili inclusi, il bilancio sale fino a 16-17 milioni. E addirittura a 37 milioni, tenendo conto dell’influenza spagnola. Per la prima volta furono utilizzati gas e armi chimiche. R egista, scrittore e drammaturgo, Giorgio Pressburger, nato nel ’37 a Budapest è scampato alla guerra e alla deportazione. Fuggito a causa dell’aggressione sovietica nel ‘56, approda in Italia da profugo. Triestino d’adozione, ha recentemente pubblicato il poema in prosa Storia umana e inumana (Bompiani). sumono connotati anche più minacciosi. Molto di ciò che ribolle ancora nel ventre dell’Europa è frutto delle migrazioni, delle separazioni, delle indignazioni del primo dopoguerra. Siamo figli della prima guerra? No, un ragazzo di vent’anni, no. La Prima guerra mondiale ha segnato, oltre all’orrore, anche la svolta definitiva nel campo del sapere. I carri Perché Grande Guerra? armati, gli aerei, i gas tossici, armi da In realtà quella guerra non aveva le fuoco, mitraglie, bombe, sommergidimensioni geografiche e logistiche bili, sono comparsi per la prima voldi quella che è scoppiata vent’anni ta in quegli anni, insieme a nuove dopo, ma è stata certamente più cru- tecniche chirurgiche, applicazioni dele. Il corpo a corpo, le trincee con farmacologiche, di comunicazione, tutto l’orrore che di espressione arhanno rappresentistica, lo sviluptato, le bombe a po del cinema, mano, il tifo, le puldella nuova musiUN MONDO ci, le fucilazioni apca, tutto questo è partenevano ancocominciato lì. DIVERSO ra alle antichissime Come sono coLa comunicazione, tradizioni belliche. minciate lì la moSuccessivamente derna matematile scoperte della chimica, tutto è mutato fino ca e il computer ad oggi dove assiil cinema, la matematica, Anche le persecustiamo a cambiazioni razziali sole nuove forme menti quotidiani. no cominciate nei Cosa rimane nella primi anni del sedi espressione artistica memoria del primo colo passato, e in conflitto? questo senso, persino il computer: La coscienza del quello che oggi tutto viene da quegli anni fiorisce con tanta passato nelle generazioni di oggi sta baldanza in mezperdendo imporza Europa, è cotanza. La velocità con cui la scienza e minciato lì. il sapere, in generale, progredisco- Per taluni però è stata proprio la Prino, l’offerta sempre più vertiginosa ma guerra mondiale a segnare la ridel mercato e del consumo fanno comparsa della democrazia. perdere di vista tutto ciò che non è In Europa, con l’eccezione di alcune presente. Esiste soltanto la moder- realtà del nostro Paese, la democranità. Noi, figli di genitori che ancora zia così come era emersa, così si era hanno combattuto nella Prima anche inabissata. Gli eventi che si guerra, abbiamo figli e nipoti che di sono succeduti alla prima guerra quelle cose sanno poco. Cinquanta, mondiale hanno segnato la ricomsessantenni che sanno magari vaga- parsa della democrazia, così come mente chi era Clemenceau, France- l’avevano intesa gli antichi Greci. In sco Giuseppe, Churchill, che cosa molte parti d’Europa fu allora che ai re, all’aristocrazia era subentrata fosse l’attentato di Sarajevo. Esiste un rapporto tra contemporauna forma di organizzazione sociale neità e storia? apparentemente più giusta, se non La parola storia in molti Paesi del proprio democratica, qualcosa che mondo è una pura astrazione che aveva vagamente a che fare con designa qualcosa di non esistente, quell’antico concetto, che noi chiaoggi si può praticare con mezzi nuo- miamo democrazia. Inoltre ci sono vi, meno contestabili o del tutto di- esempi altamente positivi, nel camstorti dalla politica. Il mondo oggi po della cultura. La cultura moderrifiuta la storia, e nello stesso tempo na, il sapere moderno sono nati profa di questa una sorta di mito. Guar- prio in quegli anni, soprattutto diamo, per esempio, su cosa si basa nell’Europa centrale. Il fatto è che l’ideologia della Lega Nord. Sulla ciò che noi chiamiamo cultura ha commemorazione di personaggi del avuto da sempre lo scopo di unire le medioevo: la battaglia di Legnano, genti umane, mai di dividerle o istiFederico Barbarossa, Alberto da garle alla violenza. Quando lo ha fatGiussano compaiono come vessilli to, non si trattava di vera cultura ma delle rivendicazioni di oggi. In tutta di una sua imitazione distorta. Eli. Reg. l’Europa, queste rivendicazioni as- 16 MILIONI DI MORTI LA FINE Dopo il decisivo intervento degli Stati Uniti, la guerra si conclude nel 1918, con la resa della Germania. Le condizioni di pace furono durissime: i tre grandi imperi scomparvero e furono ridisegnati i confini dell’Europa, creando grandi squilibri. 16 SECONDO TEMPO SABATO 23 MAGGIO 2015 il Fatto Quotidiano Salone del Libro, indagato Picchioni PER IL PRESIDENTE DELLA FONDAZIONE CHE ORGANIZZA LA FIERA IPOTESI DI PECULATO di Andrea Giambartolomei Torino F inale amaro per Rolando Picchioni. È indagato proprio mentre sta per lasciare il suo incarico il presidente della Fondazione per il libro, la musica e la cultura, la struttura che dal 1999 organizza il Salone del Libro di Torino. L’ipotesi di reato, formulata dal sostituto procuratore Gianfranco Colace, è di pecu- lato. Proprio ieri mattina, il giorno dopo il 79° compleanno di Picchioni, i carabinieri e i finanzieri in forza alla Procura hanno perquisito la sede della fondazione sequestrando i computer e documenti contabili con cui ricostruire il giro di fatture che – tra il 2012 e il 2014 – avrebbero permesso al presidente di appropriarsi di alcuni fondi pubblici destinati al Salone del libro. Un’ipotesi che l’interessato respinge con forza: “Di fronte all’enormità dell’addebito mi sento sbalordito, ma altrettanto assolutamente sereno: nella mia vita non ho mai, e ripeto mai, pensato di sfruttare in qualunque modo la mia posizione per un qualsivoglia tornaconto personale – ha dichiarato ieri –. Riguardo ai fatti che genericamente mi vengono contestati, e dei quali spero di poter essere messo quanto prima a conoscenza della fondatezza, non posso che ribadire la mia completa estraneità”. IN SCADENZA Rolando Picchioni, 79 anni, numero uno del Salone del Libro dal 1999 LaPresse L’inchiesta è nata tre anni fa, quando gli investigatori, seguendo altre indagini, incappano in Picchioni: “È stato lui involontariamente a portarci qui”, spiega una fonte. Dalla Procura restano cauti: la perquisizione è stata fatta proprio per verificare l’esistenza di fat- INDAGINE A TORINO Perquisita la sede della Fondazione per verificare un giro di fatture fasulle che avrebbe permesso l’appropriazione indebita di fondi pubblici ture per operazioni inesistenti e al momento non è dato sapere di quali somme si sarebbe appropriato Picchioni. Generica sarebbe l’ipotesi di reato secondo i legali di Picchioni. L’avvocato Giampaolo Zancan e la figlia Valentina affermano la sua totale estraneità dai fatti contestati dalla procura della Repubblica che non avrebbe fornito “nessun riscontro probatorio né sulle persone che hanno avanzato queste ipotesi, né di cifre sulle fatture fittizie che avrebbero consentito questo ritorno di denaro”, spiegano. L’avvocato Zancan vedrà appena possibile il pm e spiega che Picchioni è disponibile a incontrare gli inquirenti già da lunedì mattina. Negli ultimi giorni sulla gestione delle finanze della Fondazione ci sarebbero stati alcuni screzi con l’assessore comunale al bilancio Gianguido Passoni. In un’intervista all’edizione torinese di Repubblica Picchioni aveva sottolineato come non fossero ancora arrivati 100 mila euro dal Comune di Torino (il bilancio si chiude il 20 giugno) e, secondo lospiffero.com, l’affermazione avrebbe fatto arrabbiare Passoni. STANDO al giornale online che si occupa di politica torinese l’assessore avrebbe rimproverato al presidente della Fondazione per il libro l’ingratitudine per tutte quelle volte in cui l’amministrazione cittadina avrebbe ripianato il bilancio. Ma restano solo indiscrezioni che non è stato possibile verificare. In passato Picchioni, nato a Como nel 1936, è stato un politico della Democrazia cristiana, molto vicino all’ex presidente del Consiglio Emilio Co- lombo. Deputato Dc, tra il 1979 e il 1981 è stato sottosegretario ai beni culturali. Tra il 1995 e il 1998 è stato presidente del Consiglio regionale del Piemonte. Alla Fondazione per il libro è arrivato nel 1999 come segretario, assumendo dal 2005 la carica di presidente, una carica che sta per portare a termine. Insieme al direttore editoriale Ernesto Ferrero, è stato in grado di risollevare il Salone del libro, creato negli Anni Ottanta, rendendola una kermesse culturale di rilievo nazionale. Ma Picchioni, in passato, è stato anche coinvolto in alcuni scandali dai quali è uscito indenne. Il suo nome compare nella lista della loggia P2, tessera 2.095, un errore che ha sempre rinnegato. Fu anche inquisito per il cosiddetto scandalo petroli, dal quale è uscito pulito. Nel giro di pochi anni questo potrebbe essere il secondo scandalo che coinvolge un’organizzazione culturale importantissima per il Piemonte e per l’Italia dopo l’indagine che ha portato alla fine del premio Grinzane Cavour il cui presidente, Giuliano Soria, è stato condannato dalla Corte d’appello di Torino a otto anni e tre mesi di carcere per violenza sessuale e peculato. CANNES 68 Gerard mangia (e beve) tutti di Federico Pontiggia Cannes oveva essere il giorno del Piccolo D Principe, la discreta animazione saintexuperiana di Mark Osborne, è stato quello del Grande Re, Gérard Dépardieu. Le battute si sono sprecate tra Twitter e il Suquet, la Cannes che fu oggi piena di ristorantini. E va bene, perché di cibo, e gonvietà, si parla: “S’è mangiato tutti gli altri attori”, “È venuto a Cannes già mangiato”, i commenti post proiezione. Perché a Dépardieu si può dare del loro: lui è Gérard, lei la sua pancia, ormai degna di una cosmogonia a sé. Con la prova nella Valley of Love, al fianco di Isabelle Huppert e per la regia di Guillaume Nicloux, Monsieur G. s’è forse pappato anche il Michael Caine “gggiovane” di Sorrentino, di certo ha tirato il collo agli altri galletti: il re fighetto e furbetto Vincent Cassel (Mon roi di Maiween) e pure il secondo Vincent, Lindon, precario e morale protagonista de La loi du marché di Stéphan Brizé. Perché Depardieu è l’unico oggi a dare panza e sostanza a un’espressione che agli americani – e in giuria presiedono i fratelli Coen – aggrada parecchio, per definire quelli bravi e pantagruelici, tosti e leggendari: larger than life. PER GÉRARD vale pure sulla bilancia, e se il Lebowski di Jeff Bri dges si volle grande, lui è immenso, di più, è un Paese: la Francia a vita o la Russia di convenienza fiscale. Altro che Cassel, tonico e palestrato, re uno e bino – per Il racconto dei racconti di Garrone e l’aristoqualcosa Maiween – eppure subito spodestato quando sul palmares s’è allungata l’ombra di San- cho Dépardieu, per giunta appellato s’avanza notturno, trasudante e fumante “Grandeur Nature” nel bacio della pan- da (anti)eroe mitologico. Ci provano altri tofola tributatogli da Richard Melloul. attori a essere ombelicali, ma solo lui ha – Suo amico per oltre trent’anni, e docu- realmente – un mondo attorno all’ommentarista per il film eponimo: Gérard belico. non le manda a dire, gli rivela tutto, dall’infanzia – “Ne ho avuta una fino ai 7, A MEZZO stampa francese rintronano 8 anni, poi sono passato alla sopravvi- sulla Croisette gli scazzi con la giurata venza: nessuno mi voleva” – al figlio Sophie Marceau, che lo ritiene colpevole scomparso – “Guillaume aveva un’enor- di aver messo del torbido tra lei e Maurice me violenza dentro di sé. È morto come Pialat sul set di Police nel 1985, via Valley of un poeta, come Rimbaud. La sua presenza Love ritorna lo spettro maledetto del figlio urla ancora dentro Guillaume, ma davanti al microfono rimbomba l’amicizia casa”. Si direbbe a Roma, il Metodo con Putin: “Mi piace molto coIL GRANDE RE me sapete, ma adoro l’Ucraina gli fa una pippa: a e ci vado spesso: ammiro il Gérard, grazie a Show (incontenibile nuovo presidente PoroshenDio, quest’anno a ko. E sono contrario alla guerCannes non è toccome il suo girovita) cata in dote la foia ra, come tutti: non sono il pordi Depardieu, orgiastica di DSK tavoce di nessuno, non mi pernel Welcome to New metto di giudicare”. Del resto, protagonista York di Abel Ferraa Melloul l’ha detto: “Prendera, eppure il suo temi come sono o non prendi “Valley of Love” appetito rimane detemi per niente”. Je suis Decon Isabelle Huppert pardieu. superlativo, assoluto. Se a Melloul confida che “ho mandato a puttane tante cose con la mia impazienza. Eppure, oggi godo nell’essere paziente”, sullo schermo, nell’attesa sudata e fantasmatica di riabbracciare nella Death Valley californiana il figlio finzionalmente avuto dall’Huppert, quella pazienza non si vede: piomba a tavola e beve tutto quel che è liquido, tracanna una bottiglietta d’acqua – ha replicato in conferenza stampa a Cannes – come non ci fosse un domani e, nudo e crudo, Gerard Depardieu. A lato, Roberto Minervini Ansa/ LaPresse LES ITALIENS di Anna Maria Pasetti L’attesa dei moschettieri con le dita incrociate È STATO DEFINITO il ‘quarto moschettiere’ della spedizione tricolore sulla Croisette, ma il suo talento non è ultimo a nessuno. Parliamo di Roberto Minervini, classe 1970 marchigiano di nascita ma texano di residenza, che l’altro ieri ha ricevuto il suo trionfo di accoglienza nella sezione Un Certain Regard con il suo struggente Louisiana. Sette i minuti di applausi alla proiezione ufficiale e ovazioni dal pubblico che lo ha poi incontrato nel foyer della Sala Debussy. Accompagnato dalla moglie americana, cosceneggiatrice del film, ha portato con sé dagli States anche un veterano di guerra “personaggio” nel documentario. Stasera saranno svelati i vincitori di Un Certain Regard e la speranza è che Minervini ne esca con qualche meritato riconoscimento. Nel frattempo ieri sera ha fatto il suo figurone sul Red Carpet un trio italiano assai “inusuale”: Stefano Accorsi, Pif e Alessandro Siani sono stati immortalati sulla Montée des Marches in qualità di delegazione italiana tra i doppiatori di tutto il mondo per il film d’animazione Il Piccolo Principe: il primo dà la voce alla volpe, il secondo al re e il terzo al “vanitoso”. DIVERTITI e onorati, non si sono fatti sfuggire l’occasione di qualche selfie sulla scalinata cinematografica più famosa del mondo. Sul fronte dell’attesa della gran soirée di domani in cui sarà celebrata la Palma d’oro 2015, i tre concorrenti “nostrani” sono rientrati in Italia, incluso Sorrentino che era l’ultimo in ordine di apparizione. Inutile dire quanto alta sia l’aspettativa per almeno un premio italiano, dal momento che a concorso quasi chiuso (oggi passa l’ultimo titolo) la qualità del trittico dal Belpaese è stata universalmente riconosciuta di altissimo livello. Regna la scaramanzia, nessuno degli addetti ai lavori legati alle delegazioni dei film di Garrone, Moretti e Sorrentino si sbilancia, ma la speranza cresce di ora in ora. Tra le belle notizie in "tricolore" di ieri c'è la vittoria del cortometraggio Varicella di Fulvio Risuleo, in corsa alla Semaine de la Critique, sezione corti. SECONDO TEMPO il Fatto Quotidiano SABATO 23 MAGGIO 2015 17 DIRETTORE DI SAT 2000 Alessandro Sortino, da lunedì in onda con “Beati Voi” Ansa RAI UNO TV2000 Nostalgia continua: ora pure Frizzi e Dalla Chiesa hissà perché in giro c’è una C gran voglia di rimettere insieme i cocci rotti soprattutto di vasi antichi, alla faccia della rottamazione. Dopo Al Bano e Romina ecco dunque un’altra coppia dei tempi andati tornare insieme seppure solo per lavoro, Fabrizio Frizzi e Rita dalla Chiesa, a trent’anni dal programma per bambini Pane e marmellata e a 17 da quell’unica puntata di Per tutta la vita quando lei sostituì Romina Power, mai titolo fu più iettatore visto che tre mesi dopo si sono lasciati loro e poco più avanti toccò ai Carrisi. Sposati dal 1992 al 1998 e “rimasti sempre in ottimi rapporti con rispetto e amicizia” assicurano, rieccoli in coppia con un programma che definire retrò è poco: La posta del cuore, su Rai 1 ovvio, la rete un po’ “nostalgia canaglia” tanto per restare in tema, 20 puntate dal lunedì al venerdi alle 16.45, partenza il 15 giugno. Prodotto da Magnolia, richiama alla memoria le rubriche sui giornali d’altri tempi, anche quelle della stessa dalla Chiesa, e punta naturalmente sui sentimenti. GALEOTTO fu il programma e chi lo scrisse? Vedremo, ma “saremo molto professionali” assicura Fabrizio, “ma qualche battuta sarà inevitabile, il pubblico se lo aspetta – ribatte Rita – e sento che ho an- cora molto da dare alla tv” aggiunge raggiante. Pare sia stato proprio lui a volere lei, “ferma da troppo tempo – dice – e ingiustamente”, dopo l’addio a Forum due anni fa e l’attesa infinita di un programma su La7. Impegnatissimo invece lui e “finchè mi fanno lavorare è un privilegio” ammette: rimollata L’Eredità a Conti, lunedì prossimo lo vedremo al Premio Regia Televisiva sempre su Rai1 dove dal 26 giugno condurrà anche uno show game “tecnologico” e “molto innovativo” assicura, dal titolo provvisorio Gli Italiani hanno sempre ragione, per passare un mese dopo a Rai3 per un’altra operazione nostalgia sul primo e unico tour dei Beatles in Italia di 50 anni fa. Ma almeno sono i Beatles, mica Al Bano e Romina. Intuire il format de La Posta del cuore non è poi così difficile: persone con storie complicate le vanno a raccontare in tv chiedendo consigli al pubblico e a esperti, lui sarà l’addetto all’accoglienza, lei elargirà la dritta finale. C’è anche una rubrica che molto ricorda Senzaparole della Clerici, il che non porta bene, ovvero Non so come dirtelo, curata dall’ex iena Niccolò Torielli già protagonista di quel flop di un paio d’anni fa condotto con Federica Nargi su Rai 2 che fu Facciamo pace. Non per essere superstiziosi ma... P.S. Alessandro Sortino, la catechesi di un’ex Iena di Patrizia Simonetti a ex iena ad apostolo mediatico: D Alessandro Sortino, classe 1969, da un anno vicedirettore e direttore crea- tivo di TV2000, la televisione della CEI, abbandonò Le Iene di Davide Parenti dopo la censura di un servizio sull’arresto della signora Mastella. Ora è tempo di parlare d’altro, di beatitudini e felicità con Beati voi, programma da lui ideato e condotto, al via lunedì. Una Iena che parla di Religione? Perché no? Quando il Fatto se la prende con i corrotti, non c’è forse un destino di felicità negato? Riflettere sulla contraddizione cristiana della beatitudine collegata a cose che il mondo rifiuta, tipo la povertà, è un modo per parlare di temi che interessano tutti. Quindi la felicità non è di questo mondo? Non proprio, la felicità non è un valore etico ma un modo di includere l’altro in una relazione che la trasforma. Il problema è la concretezza delle relazioni: nella povertà si evidenzia quella tra chi è povero e chi no, in modo tale che il primo si senta incluso nello sguardo dell’altro che si fa povero, accogliendolo. Mitezza e misericordia sono fuori moda? Perché mai? Se viene organizzato Expo mentre l'Italia è sommersa dai rifiuti tossici e per contrastarlo gli idioti spaccano vetrine, Expo acquista una potenza etica che non avrebbe avuto. Ecco allora che la mitezza, non rispondere al male con il male, diventa uno strumento di contestazione molto più efficace. Non tutti però accettano facilmente i dettami della religione... Mi sciocca che siano tutti diffidenti. Certo la Chiesa, in quanto istituzione, un po’ respinge, ma alla fine la proposta cristiana è amore, felicità e accettazione di sé, invece intorno a me vedo solo gente disperata... Papa Francesco è il suo ispiratore? È un modello di comunicazione perché si pone il problema di parlare a tutti e non di usare le parole per identificare quelli che già vi si riconoscono. Ciò che io molto più modestamente cerco di fare con un programma non solo per credenti. Nonostante la catechesi alla fine di ogni puntata? Dieci minuti a settimana di catechesi cristiana su una piccola tv non fanno male. E poi arriverà come risposta a due ore di Gli ascolti di giovedì VELVET Spettatori 3,61 mln Share 14,29% VIRUS Spettatori 1,38 mln Share 6,4% domande con cui affido ad altri un tentativo di risposta. Prima puntata, “Beati i poveri”. Ospiti il banchiere Gianluca Verzelli e l’mprenditore Gian Luca Brambilla già indagato per reati fiscali... Brambilla è un cristiano, credente e praticante, ed è stato assolto. E poi non è che se la puntata si intitola Beati i poveri devono essere tutti innamorati della povertà. Oggi l'imprenditore e il povero sono sulla stessa barricata e sentire da un banchiere come funziona la liquidità di denaro che si muove sui mercati mi sembra il modo migliore per affrontare il tema. Cosa c’entra qui la religione? La crisi che aumenta la disuguaglianza, i ricchi trasformano le attività produttive in finanziarie, e questo un cristiano la vede chiaramente perché il male dell’idolo, cioè il denaro che diventa il fine invece che il mezzo, è denunciato dalle scritture. Ha avuto carta bianca per questo programma? Totale. Non è mai venuto nessuno a vedere cosa stavo facendo e non mi era mai capitato, c'è tanta libertà e autonomia qui a TV2000. LA GRANDE BELLEZZA Spettatori 1,76 mln Share 9,23% ANNOUNO Spettatori 1,02 mln Share 4,83% 18 SECONDO TEMPO SABATO 23 MAGGIO 2015 il Fatto Quotidiano FATTI CHIARI IL CASO MONTEDISON A volte il segreto è indispensabile di Bruno Tinti L a sentenza della Corte d’assise di Chieti sulla discarica di Bussi ha innescato polemiche e dibattiti. Le questioni su cui si discute sono tre. 1) La sentenza è “giusta”? 2) I giudici popolari (alcuni) sono stati intimiditi? 3) È bene che le diverse opinioni espresse in camera di consiglio al momento della decisione siano note all’esterno? 1 - Una sentenza conforme alla legge è “giusta” per definizione. A nulla rileva che la legge applicata sia iniqua, emanata per compiacere interessi potenti, sbagliata tecnicamente. I giudici non hanno il potere (per fortuna) di disapplicare o correggere le leggi che ritengono sbagliate o ingiuste. Possono, quando ne sussistono i presupposti, sollevare eccezioni di legittimità costituzionale; la Corte deciderà. Ma le sentenze devono rispettare il diritto, non la volontà (occasionale) del popolo. Così se l’iniqua legge sulla prescrizione impedisce la condanna del peggiore dei delinquenti, il problema non riguarda la sentenza né – ovviamente – il giudice che la emette, ma il Parlamento che non modifica la legge. Diversa cosa è una sentenza emessa per favorire qualcuno. Questa non è una sentenza “ingiusta”, è un crimine. Che va denunciato, da chiunque, primo tra tutti il giudice del Collegio che ne sia consapevole e che non ha potuto evitarlo perché messo in mino- INUTILE SCRUPOLO Sapere che un membro del collegio la pensava diversamente dagli altri, farne cioè un beniamino o un bersaglio, non ha nulla a che fare con la Giustizia ranza. Qui non è questione di segreto di camera di consiglio, ma di rispetto dell’articolo 357 del codice penale che obbliga il pubblico ufficiale a denunciare i reati di cui viene a conoscenza. Per finire, una sentenza che viene riformata nei gradi di giudizio successivi non è una sentenza “ingiusta”. Come ho cercato di spiegare molte volte, le sentenze successive si eseguono non perché intrinsecamente “giuste” (potrebbe essere “giusta” quella precedente e “sbagliata” quella successiva) ma solo perché è necessario risolvere i conflitti per garantire la civile convivenza. Non ho elementi per stabilire se la sentenza sulla discarica di Bussi sia “giusta”, “criminale” o “sbagliata”. Lo decideranno gli uffici giudiziari di Campobasso, competenti a giudicare i magistrati di Chieti. 2 – Pare accertato che il presi- dente della Corte d’assise abbia Una Corte d’assise Ansa pronunciato la frase riportata da due giudici popolari: “Se decidete per la sussistenza del dolo (e quindi per la condanna, la prescrizione non sarebbe scattata) e se poi in Appello lo escludono, correte il rischio di un’azione per risarcimento danni e potete perdere tutto quello che avete”. La frase però si presta a diverse interpretazioni. I giudici togati potrebbero essere stati fermamente convinti della non sussistenza del dolo. Tanto convinti da ritenere che una decisione diversa avrebbe potuto integrare una manifesta violazione di legge o il travisamento del fatto o delle prove, come previsto dalla recente legge sulla responsabilità civile dei magistrati. Avrebbero dunque ammonito i giudici popolari nel loro interesse. Oppure potrebbero aver adottato questo sistema per superare quella che loro consideravano una irragionevole impuntatura di persone non esperte di diritto e cocciutamente intestardite. E, se così fosse andata, sarebbe certamente comportamento censurabile. Oppure ancora, impegnati a favorire gli imputati e dunque a commettere un reato, potrebbero aver utilizzato questa intimidazione per perseguire il loro scopo criminale. In questo caso la violenza privata commessa (questo il reato) sarebbe il minore dei loro problemi. 3 – Nell’ordinamento giuridico italiano le motivazioni delle decisioni dei giudici sono sempre rese note. Le sentenze contengono le ragioni della decisione, e se non è così sono riformate nei successivi gradi di giudizio. Sempre esplicitano anche le ragioni opposte, quelle che avrebbero portato a decisione di senso contrario, per spiegare perché non sono state ritenute valide. E, anche in questo caso, se così non è, sono riformate. Vi è dunque una totale trasparenza. Diversa cosa è dare conto della opinione dissenziente del giudice di minoranza. Ciò non solo è del tutto inutile, ma è anche dannoso. Inutile perché la sentenza non perde efficacia se uno dei componenti del Collegio la pensava diversamente dagli altri. Dannosa perché, soprattutto in un momento storico come questo, caratterizzato dalla delegittimazione dei giudici, della magistratura nel suo complesso e, in definitiva, dell’istituzione stessa di una giustizia amministrata da magistrati professionisti, aggraverebbe le polemiche che puntualmente (e quasi sempre strumentalmente) imputati e gruppi di potere di riferimento sollevano nei confronti di sentenze che li riguardano. I contrasti in camera di consiglio sono di natura tecnica, destinati a essere riproposti nei gradi successivi di giudizio, resi noti nelle sentenze di Appello o Cassazione, pubblicizzati da giuristi su riviste tecniche e, sempre più frequentemente, sugli organi di informazione. Sapere che il giudice tale la pensava diversamente dai suoi colleghi, farne un beniamino o un bersaglio dell’opinione pubblica, non ha nulla a che fare con la Giustizia e la Democrazia. C’era una volta la separazione dei poteri di Peter Gomez n UN FANTASMA si aggira per l’Italia. E a evocarlo, con spericolata baldanza, sono politici e tecnici. “In questi tempi di crisi, anche la vecchia separazione tra i poteri è diventata un lusso”, scrive nel consueto bello stile il costituzionalista Michele Ainis sulle pagine del Corriere della Sera. “Serve maggior sensibilità politica nel potere giudiziario, serve maggior sensibilità giuridica nel potere politico”, ragiona Ainis che in due righe scodella pure la soluzione: “Servono canali di comunicazione, strutture di collegamento”. Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, lo ascolta e prende la palla al balzo. Dice che la Consulta, quando ha bocciato la legge Fornero che bloccava l’indicizzazione delle pensioni, “non ha valutato il buco creato”. E si dichiara “perplesso” perché i giudici sostengono “di non dover fare analisi economiche sulla conseguenza dei loro provvedimenti”. Ma per Padoan bisogna essere ottimisti. Il futuro è radioso. La via per far meglio c’è. E sta tutta nel solco tracciato dall’aratro di Ainis: sta nel “dialogo tra organi dello Stato indipendenti”, sta nella “condivisione” delle informazioni sui conti dello Stato con la “Corte”. Poi, dopo l’aratro di Ainis, a difendere il solco interviene la spada del premier Matteo Renzi che con ragionevolezza (solo apparente) afferma: “La Corte ha fatto una sentenza, noi l’abbiamo rispettata, ora si tratta di lavorare insieme perché i segnali di ripresa che ci sono possano irrobustirsi e consolidarsi”. Purtroppo però, a Costituzione vigente, la Consulta non deve lavorare assieme a nessuno. I giudici stanno lì esclusivamente per controllare il rispetto della Carta. Devono verificare cosa fa la politica che pure, in parte, li nomina. “Canali di comunicazione” o “strutture di collegamento” non sono ammessi. Ovviamente gli ermellini non devono mettere i bastoni tra le ruote al governo o al Parlamento per partito preso, ma nemmeno possono basare le loro decisioni sulla base delle convenienze dell’esecutivo pro-tempore. A meno che non si decida di dire che aveva ragione Silvio Berlusconi quan- LA CONSULTA Dopo la batosta sulle pensioni c’è chi auspica collaborazione. Quando lo chiedeva B. si evocava Alexis de Tocqueville Silvio Berlusconi LaPresse do, da primo ministro, attaccava la Consulta accusandola di remare contro perché composta da “giudici di sinistra”. O, peggio ancora, quando, anticipando coi fatti le tesi di Ainis, il leader del centrodestra partecipava, nel maggio del 2009, qualche settimana prima dell’udienza sul Lodo Alfano (la legge che sospendeva i processi nei suoi confronti), a una cena nell’abitazione privata dell’allora giudice della Corte, Luigi Mazzella, che per l’occasione aveva invitato pure un collega. ALLORA la cosa aveva suscitato scandalo. Un po’ tutti avevano evocato Alexis de Tocqueville e il suo La democrazia in America, i principi della democrazia liberale e il diritto di tutti i cittadini di essere uguali davanti alla legge. Concetti evidentemente caduti in disuso. Oggi, invece, il dibattito sulla separazione dei poteri è aperto. Dimenticando che proprio la sentenza che ha sventato la rapina sulle pensioni lascia al legislatore la possibilità di battere molte altre strade. Se, per esempio, la pensione è “retribuzione differita” c’è da chiedersi, come fa da tempo il presidente dell’Inps Tito Boeri, se sia giusto trattare alla stessa maniera chi riceve una pensione in base ai contributi effettivamente versati e chi, invece, se la intasca in base alla media delle retribuzioni ricevute negli ultimi anni di lavoro. Perché, in fondo, per non farsi cassare le leggi e risparmiare non servono “canali di collegamento”. Bastano un po’ di preparazione e di buon senso. n PIOVONO PIETRE Impara a comunicare: prendi a schiaffi una categoria a caso di Alessandro Robecchi uelli che hanno fatto buoni studi e che Q ora di mestiere fanno i rampanti comunicatori del consenso, la chiamano “di- sintermediazione”. Esistendo in questo paese più “scienziati della comunicazione” che salumieri (un vero peccato) dovreste più o meno sapere cos’è. Erano “disintermediazione” i videomessaggi di Silvio Berlusconi, così come lo sono i videoclip, con o senza lavagna, di Matteo Renzi. Si tratta di una disintermediazione un po’ farlocca, perché se non hai a disposizione giornali e tg che rilanciano il tuo spettacolino funziona un po’ meno, ma insomma... Esempio. C’è lo sciopero dei ferrovieri. Mediazione è parlare con le rappresentanze sindacali dei ferrovieri, capire il problema e cercare una soluzione. Disintermediazione è rivolgersi a tutti i cittadini (basta un tweet) per dire: i ferrovieri cattivi, privilegiati, maledetti, viziati, disfattisti vi impediscono di andare a Bologna. Uguale con la riforma della scuola: essendo la stragrande maggioranza di insegnanti e studenti contrari alla riforma in votazione, ci si rivolge a tutti gli altri con una serrata propaganda, nella speranza che i cittadini tutti se la prendano con gli insegnanti che non sono d’accordo con una cosa così bella e moderna. Insomma, possiamo dire in soldoni che la disintermedia- zione serve a usare gli ne basta guardarne il noSCUOLA RENZI me: se funziona si chiama italiani per picchiare alRenzi (gli ottanta euro), tri italiani, a mettere tanTecnicamente si chiama se non funziona si chiati contro pochi. Utenti ma Poletti (o Giannini, dei mezzi pubblici con“disintermediazione”: o...). Altro problemino, il tro tranvieri, italiani hai un problema con fatto che la disintermecontro insegnanti, cittadiazione tende sempre a dini contro sindacati, ecgli insegnanti? Dì a tutti guardare in basso. Servocetera, eccetera. Un giono soldi? Blocchiamo gli chetto che paga nell’imgli altri che sono brutti stipendi agli infermieri, o mediato, ma che alla e cattivi e il gioco è fatto l’indicizzazione ai penlunga rischia di finire a schiaffoni tutti contro sionati. Basterà far credere a tutti gli altri che intutti. Ci sono però alcuni problemi: la disintermediazione funziona fermieri, o pensionati sono di ostacolo a un poco quando il numero di italiani da tra- immaginario bene comune. Mai, dico mai, mortire usando il consenso di altri italiani si addita ai cittadini qualche cassaforte ben è molto alto. Potrete convincere un pen- fornita, che so, i manager pagati come mildolare che il capotreno in sciopero è uno le lavoratori, o i grandi e grandissimi paschifoso privilegiato che limita la sua liber- trimoni, o le grandi rendite o le grandi tà di prendere il treno. Più difficile sarà aziende che portano la sede fiscale all’esteconvincere un nipote che la nonna, dall’al- ro. Non a caso all’ultima Leopolda a scato della sua succulenta pensione ai limiti gliarsi ferocemente contro i pensionati della sopravvivenza, gli ruba lavoro, o fu- non fu un giovane precario di Catanzaro, turo, o prospettive. E questo perché un fer- ma un finanziere milionario di Londra roviere in casa ce l’hanno in pochi, e una (Davide Serra, oggi Commendatore). Un nonna (o genitori anziani) invece in molti. po’ come il lupo che dice alle pecore “atE così le cose si complicano: nel caso delle tente alle altre pecore! Brucano la vostra pensioni (e di un obolo una tantum con- erba!”. Insomma la disintermediazione è cesso al posto del rimborso) la propaganda un trucco furbetto, a volte funziona e si bae la disintermediazione non hanno funzio- sa sulla certezza che le pecore litigheranno nato benissimo. E di questi tempi per sa- tra loro e non si mangeranno il lupo. Un pere se una mossa propagandistica funzio- vero peccato. SECONDO TEMPO il Fatto Quotidiano SABATO 23 MAGGIO 2015 19 A DOMANDA RISPONDO Furio Colombo Il fallimento dell’Ue sull’emergenza migranti La poca collaborazione di molti Paesi dell’Unione europea con l’Italia sull’accoglienza dei migranti che arrivano sulle nostre coste ci dice chiaramente due cose: il nostro governo non gode di molto prestigio a livello continentale e, soprattutto, il fallimento dell’idea di un’Europa unita e solidale. Ci stanno dimostrando che al di là della sciagurata politica monetaria imposta dai banchieri, non c’è la minima volontà di uscire fuori dagli interessi particolari del proprio Paese. Ci sarebbe da riflettere se valga ancora la pena di fare tanti sacrifici per continuare a mantenere in piedi un simile carrozzone. Mauro Chiostri Sulle pensioni italiane solo disinformazione Gli organi di informazione danno attualmente grande risalto alla notizia che la spesa pensionistica sarebbe in Italia la più elevata d’Europa. Al riguardo mi pare importante sottolineare che l’Italia fa ricorso al sistema pensionistico per far fronte a esigenze assistenziali e occupazionali, mentre negli altri Paesi, in caso di uscita anticipata dall’attività, si erogano generosi sussidi di invalidità o disoccupazione che non sono contabilizzati nella spesa previdenziale. Va anche considerato che il carico effettivo per il bilancio pubblico dipende dal grado di imposizione fiscale sulle prestazioni erogate, che differisce significativamente nei vari Paesi. In Italia infatti le pensioni sono soggette alle normali aliquote Irpef mentre altrove, per esempio Francia e Germania, la loro tassazione è fortemente agevolata e in altri addirittura inesistente (come in Ungheria). Se si considera quindi la spesa al netto delle imposte la differenza tra i vari Paesi risulta fortemente ridimensionata. Parlare solo di una presunta non ulteriore sostenibilità della spesa previdenziale, omettendo di precisare che le pensioni italiane sono tra le più basse d’Europa, significa solo informare in modo distorte e alimentare un ingiusto risentimento nei confronti degli anziani, già fortemente penalizzati da un welfare inesistente. Siamo naturalmente tutti d’accordo che bisognerebbe porre fine il prima possibile a certe vergogne come le false pensioni d’invalidità e i vergognosi privilegi dei vitalizi parlamentari e simili. È questa la vera differenza col resto d’Europa. Stefania Falone Poca partecipazione nega la democrazia L’appello al voto utile è sintomatico di una concezione stitica della democrazia che da Craxi in poi sembra aver trovato in Renzi un degno epigono. fantile e poco partecipativo. Inoltre, una tale proclamata contrapposizione meriterebbe ben altri contendenti. Invece sono tanti, troppi, i tratti in comune fra gli uomini e i programmi dei due schieramenti alternativi solo in apparenza. Penso che tutti gli ideali politici democratici, per quanto minoritari, abbiano diritto ad essere rappresentati in Parlamento. “Conoscere per scegliere” dovrebbe diventare il mantra della nostra politica. E ampliare le possibilità di partecipazione dei cittadini alle decisioni dovrebbe essere il primo impegno di una forza democratica. La strada maestra è la restituzione del potere decisionale dall’economico al politico, dalle élite dei pochi alla comunità dei molti. L’alternativa è la democrazia. Gaspare Bisceglia la vignetta Fosse per Renzi la soglia di sbarramento sarebbe portata al venti per cento. Renzi fa propaganda a sinistra agitando lo spauracchio della vittoria del temibile nemico. Ha una visione “calcistica” della democrazia: “Con questa legge uno vince e gli altri perdono”. Tutto molto comprensibile, magari è anche vero, ma pur sempre pericolosamente in- DIRITTO DI REPLICA Con riferimento al contenuto dell’articolo in forma di intervista intitolato “Il patto sui diritti tv chiuso a Palazzo Chigi” e pubblicato sull’edizione del 21 maggio 2015, il dottor Bogarelli precisa che non ha mai inteso stabilire una analogia o un parallelismo tra il recente incontro dei vertici di Sky (Andrea Zappia e James Murdoch) con il Pre- Migranti e pensionati Ecco il nemico CARO FURIO COLOMBO, noto un rimbalzo continuo, su giornali e tv, di due soli argomenti, presentati, ripetuti e sviscerati in ogni modo: che cosa fare con i migranti e con i pensionati, visti come i due veri pericoli del nostro tempo. Natalia SENZA DUBBIO i due argomenti dominano le notizie italiane. E così ascolti lunghe riflessioni sul modo di regolare i flussi migratori (il ministro della Difesa Pinotti dice al Corriere della Sera, 20 maggio, che il miglior modo è l'intervento militare), ma non una parola sul perché metà del mondo rischia la vita per trovare un rifugio, e mette in salvo i figli persino nelle valigie. E ti tocca ascoltare ogni giorno proposte dettagliate su come obbligare i pensionati che hanno o possono avere beneficiato del sistema “retributivo” a restituire il maltolto. Importante, avrete notato, è trovare parole chiave capaci di scuotere l’indignazione della folla. Per i migranti si è trovato un espediente geniale. Anziché dei migranti e della loro disperazione, si parla dei trafficanti di uomini. Distruggerli insieme alle barche (se fosse possibile, ma non lo è, a meno che la Pinotti si metta a capeggiare la guerriglia) vuol dire impedire per sempre che un solo migrante possa mettere piede sul sacro suolo d’Europa (leggi Italia), visto che né Italia né Europa hanno un consolato o un ufficio nelle aree di fuga (le ambasciate sono state chiuse da tempo), “per regolare i flussi”, magari in collaborazione con Isis, dove si parla italiano. Una volta aboliti i migranti, la nuova civiltà al potere potrà dedicarsi ai pensionati. Qui le opzioni per suscitare odiosità e rivolta sociale contro i vecchi sono tante, e tutte usate quasi ogni giorno. Una è mostrare quanto è alta la colonnina di assegni per gli anziani (alludendo alla colpa di essere ancora in giro a prendersi la pensione dopo avere lavorato tutta la vita) sidente del Consiglio, e le note vicende di alcuni anni fa relative al cosiddetto scandalo delle intercettazioni maturato in Inghilterra per il comportamento di alcuni giornalisti di Sky. Marco Bogarelli, presidente di Infront Prendo atto della precisazione sull’intenzione delle parole del dottor Bogarelli, il Fatto Quotidiano Direttore responsabile Marco Travaglio Direttore de ilfattoquotidiano.it Peter Gomez Vicedirettori Ettore Boffano, Stefano Feltri Caporedattore centrale Edoardo Novella Vicecaporedattore vicario Eduardo Di Blasi Art director Paolo Residori Redazione 00193 Roma , Via Valadier n° 42 tel. +39 06 32818.1, fax +39 06 32818.230 mail: [email protected] - sito: www.ilfattoquotidiano.it Editoriale il Fatto S.p.A. sede legale: 00193 Roma , Via Valadier n° 42 Presidente: Antonio Padellaro Amministratore delegato: Cinzia Monteverdi Consiglio di Amministrazione: Lucia Calvosa, Luca D’Aprile, Peter Gomez, Layla Pavone, Marco Tarò, Marco Travaglio e quanto sarà bassa (in chissà quale mondo futuro non identificato) quella dei giovani, che purtroppo, Jobs Act o no, non lavorano. L’altra è di suggerire che se oggi fai una bella falcidia a tutte le pensioni, domani i ragazzi (che adesso sono mantenuti dai nonni) troveranno subito un posto. Non si vede il legame storico o logico, visto che molti tra gli anziani da punire con detrazioni arbitrarie hanno abbandonato da 20 o 30 anni aziende che non esistono più. Il terzo espediente è gridare, dietro a vecchio, che è un “retributivo” (parola che ormai equivale a farabutto). Vuol dire che, dopo avere lavorato e versato un po’ più della metà della sua paga per 40 anni, quell'anziano è andato in pensione sulla base dell’ultima retribuzione. Ben pochi commentatori si fidano a entrare in questa discussione sul presunto crimine (un solo articolo sul Corriere, 20 maggio, di Antonio Polito, che ha provato, da giornalista, a districare l’ammucchiata di equivoci e affermazioni non vere da parte di finti esperti, in proposito). Se necessario, sventola il vessillo delle “pensioni d’oro”, e sarebbe una denuncia più che giustificata, se non si scoprisse che, quando si pone mano alla multa inflitta ai “pensionati ricchi”, come contributo di solidarietà per i pensionati poveri, si comincia dai poveri (meno di 2.000 euro) con percentuali che sono irrilevanti in alto ma durissime in basso. Conclusione: viviamo in un mondo politico così modesto che sa pensare e progettare e magari anche spendere in grande (vedi il grandioso progetto di distruzione di tutte le barche del Mediterraneo individuate dalla Pinotti) ma sa dare la caccia solo a migranti e pensionati che sono del tutto senza potere. Resterà il problema di definire in quale civiltà stiamo vivendo. Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Valadier n. 42 [email protected] che però ho semplicemente riportato in maniera fedele c.t. Scrivo per specificare l’articolo del 18 maggio dal titolo “Se non vi fanno entrare chiamate noi o i carabinieri”, che ha informazioni fondate su un errore di interpretazione normativa, confonde le spiagge libere e le spiagge in concessione balneare. Le concessioni sono regolate anche dalla legge 296/2006 che stabilisce il libero e gratuito accesso e il libero transito per il raggiungimento della battigia nei mesi estivi, anche ai fini della balneazione. Tale norma deve essere però letta insieme al contenuto delle annuali ordinanze comunali, che disciplinano l’attività balneare e vietano di ingombrare la fascia di arenile estesa almeno a cinque metri dalla battigia con ombrelloni, stuoie e simili. Ciò a cui si fa riferimento nell’articolo, ovvero la legge 217/2011 art. 11 che afferma “in assoluto il diritto libero e gratuito di accesso e di fruizione della battigia”, riguarda i pubblici arenili. Renato Papagni (Federalberghi Roma) Federalberghi ha ragione su un punto, che probabilmente non emergeva in modo chiaro dall’articolo: i bagnanti hanno tutto il diritto di transitare anche attraverso gli stabilimenti balneari (ovvero le aree in concessione), soprattutto dove non siano disponibili i corridoi che enti locali devono garantire. Tuttavia, a norma di legge, è vero che il bagnante non ha il diritto di occupare la battigia – che in ogni caso deve sempre essere libera entro i 5 metri dal mare – e andare a mettere il suo ombrellone dopo essere passato magari attraverso lo stabilimento balneare. Né tantomeno può mettere ombrellone e stuoia nella zona delle concessioni. Rimane però fermo il punto centrale dell’articolo, ripreso anche nel titolo: ogni cittadino vede garantito dalla legge il diritto di accedere al mare per farsi il bagno, che si tratti di spiaggia libera o stabilimento. Questo diritto lo garantisce la legge italiana. E non c’è interesse privato che possa negarlo sostenendo il contrario. an.val. I NOSTRI ERRORI Contrariamente a quanto abbiamo scritto il 22 maggio (“Spartizione tra le correnti: Alfonso nuovo Pg di Milano”), il procuratore generale di Brescia Pierluigi Dell’Osso non è stato escluso dalla Quinta commissione del Csm dalla corsa alla Procura generale di Milano bensì ha ritirato la domanda perché suo figlio farà l’avvocato nel distretto giudiziario milanese. Ce ne scusiamo con l’interessato e con i lettori. Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Valadier n. 42 [email protected] Abbonamenti FORME DI ABBONAMENTO COME ABBONARSI TUTTO COMPRESO Un abbonamento al quotidiano cartaceo a scelta + TUTTO DIGITAL • Abbonamento postale annuale (Italia) Prezzo 220,00 e • 5 giorni (dal lunedì al venerdì) • Modalità Coupon annuale * (Italia) Prezzo 370,00 e • 7 giorni Prezzo 320,00 e • 6 giorni • Abbonamento postale semestrale (Italia) Prezzo 135,00 e • 5 giorni (dal lunedì al venerdì) • Modalità Coupon semestrale * (Italia) Prezzo 190,00 e • 7 giorni Prezzo 180,00 e • 6 giorni • Abbonamento settimanale Prezzo 5,49 e • Abbonamento mensile Prezzo 17,99 e • Abbonamento in edicola annuale (Italia) Prezzo 290,00 e • 6 giorni (dal lunedì al sabato) • Abbonamento in edicola semestrale (Italia) Prezzo 170,00 e • 6 giorni (dal lunedì al sabato) TUTTO DIGITAL - App Mia Il Fatto Quotidiano (su tablet e smartphone) - PDF del quotidiano su PC - Numeri precedenti - Accesso all’archivio cartaceo - Servizi “Utente sostenitore” * attenzione accertarsi prima che la zona sia raggiunta dalla distribuzione de Il Fatto Quotidiano Centri stampa: Litosud, 00156 Roma, via Carlo Pesenti n°130, 20060 Milano, Pessano con Bornago, via Aldo Moro n° 4; Centro Stampa Unione Sarda S. p. 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O forse lo si capisce benissimo. 3) Il ddl Grasso modello-base metteva fine al pastrocchio della legge Severino, che salva quasi tutti i concussori col trucchetto del nuovo reato di induzione indebita, punibile solo quando si dimostra un vantaggio non solo per l’induttore, ma anche per l’indotto (vedi Berlusconi che chiama il funzionario della Questura per far rilasciare Ruby e viene assolto perché i vantaggi li ha avuti solo lui e non il funzionario). Ma il testo finale questo passaggio se l’è bellamente mangiato. 4) Il falso in bilancio torna, è vero, a essere un reato sempre perseguibile d’ufficio, senza bisogno della denuncia del socio. Ma quasi soltanto sulla carta. Le pene, dopo le pressioni delle lobby di Confindustria e delle banche, ascoltatissime a Palazzo Chigi, sono ancora troppo basse. Specie per le società non quotate (da 1 a 5 anni, che scendono a 6 mesi – 3 anni per quelle sotto i 15 dipendenti), che poi sono la stragrande maggioranza. Non solo: il falso è reato quando riguarda “fatti materiali” taroccati od omessi nei libri contabili, mentre inspiegabilmente non lo è sulle “valutazioni” mendaci. Risultato: niente custodia cautelare per evitare inquinamenti probatori, fughe o ripetizioni del reato; niente intercettazioni telefoniche e ambientali; e prescrizione pressoché assicurata per tutti. Insomma una legge-spot che rende difficilissimo scoprire i bilanci falsi, improbabile preservare intatte le prove e quasi impossibile punire i colpevoli in tempo utile. Ma, anche nel caso eccezionale che si arrivi a una condanna, fra attenuanti e sconti vari, il condannato non farà un giorno di galera. Nemmeno per le società quotate: basti pensare che la pena massima, almeno sulla carta, è 8 anni, e la minima è 3: siccome di fatto le pene finali medie si attesteranno sui 4-5 anni, e le ultime leggi svuotacarceri prevedono la cella per le pene superiori ai 5, tutti i condannati resteranno a piede libero. 5) Giusto prevedere attenuanti (con sconti fino a 2 terzi della pena) per i corruttori pentiti che denunciano spontaneamente i corrotti ancora ignoti ai giudici, ma – salvo crisi mistiche – non è questa la strada migliore per rendere più difficile la vita ai ladri in guanti gialli. La via maestra è quella seguita negli Stati Uniti: il “test di integrità”, cioè la presenza di agenti provocatori che inducono in tentazione politici e amministratori offrendo loro tangenti, per saggiarne la correttezza o la corruttibilità. Chi ci casca, finisce dentro. La prospettiva ha giustamente terrorizzato i parlamentari della maggioranza, che infatti hanno respinto con orrore l’apposito emendamento dei 5Stelle. Evidentemente si conoscono bene, o almeno conoscono bene i propri alleati e vicini di banco. E hanno voluto evitare che il Parlamento si svuotasse da un giorno all’altro per traslocare a Regina Coeli. STOCCATA E FUGA Fas sino, Belpietro e le colonie svedesi di Antonio Padellaro l format Cittadini incazzati conI tro gli immigrati, portato al successo da Quinta colonna, vanta svariate imitazioni ma nessuna all’altezza del prototipo, spesso per carenze di sceneggiatura. Giovedì sera, per esempio, a Virus (Rai2) la sezione incazzati di Padova ci ha rifilato l’ennesimo caso “della povera signora anziana italiana sfrattata mentre ai clandestini vengono riservati gli alberghi di lusso”. Applaudito cavallo di battaglia di Salvini, ma già sentito e risentito in altre contrade del nord incazzato dove si citavano interi condomini di povere signore anziane sfrattate mentre gruppi di extracomunitari fanigottoni si lamentavano dei pasti ipercalorici nelle loro stanze a cinque stelle. Insomma, ragazzi, variate il menu. Il pro- gramma di Nicola Porro, invece, si è distinto in positivo sui numeri veri dei richiedenti asilo: cosicché dai grafici di Pagella Politica abbiamo appreso che Francia, Germania, Gran Bretagna e perfino Svezia, ospitano il doppio e anche il triplo dei nostri 78 mila rifugiati. Non solo: se passasse il criterio della distribuzione nei Paesi dell’Ue (in base alla popolazione e al reddito), l’Italia dovrebbe addirittura alzare la quota il Fatto Quotidiano di accoglienza dal 10,3 all’11,8 per cento. “Ditelo a Belpietro”, ha commentato Piero Fassino, cercando di sottrarre alla demagogia imperante la discussione. Il direttore di Libero ha provato a dire che si trattava di nazioni con un passato coloniale, al che Fassino lo ha tacitato: “Anche la Svezia, Belpietro?”. E noi, che pure non siamo dei fan del sindaco di Torino, abbiamo goduto.