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WILLY VERGINER A FIOR DI PELLE
WILLY VERGINER A FIOR DI PELLE L’EROE È SOLO Alessandra Redaelli L’eroe è solo. La bella fronte appena corrugata da un pensiero che lo tormenta. La piega delle labbra indurita nella concentrazione. Lo sguardo, fisso in un punto lontano, appannato da un velo di malinconia. Malinconia, forse, per quel mondo perfetto da cui lui – così perfetto – proviene. Mondo ordinato e prevedibile, regolato da leggi ferree. Un mondo in cui il dubbio non ha spazio. Un mondo che non esiste più. Una forza dirompente promana dalle nuove sculture di Willy Verginer. Una potenza che l’artista – pur avendoci abituati a emozioni difficili da dimenticare – non aveva mai raggiunto prima. Giovani guerrieri, adolescenti che rivelano ancora, nella pienezza del corpo, delicati tratti infantili, fanciulle dalle forme tornite occupano lo spazio con una presenza scenica senza precedenti. I sensi dello spettatore sono messi a dura prova da un gioco di contrappunti tra realtà e finzione apparentemente senza fine. A cominciare dal materiale. Quel legno di tiglio che Verginer ama e predilige per la sua pulizia e che qui raggiunge le vette di una inimmaginabile levigatezza marmorea. Impeccabilmente classica. E’ come se l’artista avesse spiccato il volo definitivo da tutto ciò che ancora lo legava alla tradizione della scultura lignea altoatesina per trovare una strada unica e personalissima. E al tempo stesso avesse fatto un salto temporale anche nei suoi riferimenti: dalla sacra rappresentazione lignea medievale alla statuaria greca classica. Bellissimi come dei, i suoi eroi, tuttavia, non permettono allo sguardo di saziarsi della loro perfezione. Perché l’occhio è subito distratto dal colore. Quel colore sorprendente e inaspettato che è poi, forse, la firma più immediatamente riconoscibile di Verginer. Abbagliante, violenta e assolutamente incongruente alle forme, la pennellata taglia la figura, ne contraddice le pretese classiche, ci spiazza e ci strappa da quel rassicurante senso di realtà a cui ci eravamo così volentieri aggrappati. Ora lo sguardo, disturbato nella contemplazione, è stato sfidato alla ricerca. Ricerca nel corso della quale siamo costretti ad accorgerci che la pelle del nostro eroe non solo è invasa da una dilagante macchia di colore, ma è anche preda di una ben più insidiosa malattia. Che si manifesta come un esantema floreale. Fantasie di rami e foglie, segni di sapore primitivo e intrecci misteriosi che intaccano inesorabilmente, come cicatrici, la perfezione. Sotto i nostri occhi, le certezze si sgretolano. Vacilla la terra sotto i piedi. E quando abbassiamo lo sguardo ci accorgiamo che anche quelli nudi dell’eroe, proprio come i nostri, poggiano sullo stesso pavimento. Ben saldi, sì. Ma lì, accanto a noi. Senza un piedistallo a proteggerli dalle tempeste e dai dubbi di un mondo a cui la perfezione è sconosciuta. E allora ecco, forse, la spiegazione. Forse è quel contatto che ha infettato la purezza. Forse proprio da lì ha preso il via la macchia livida che ha messo in ombra il bel viso virile. Così come il rampicante che sta attanagliando le gambe. Spaesati, ci guardiamo intorno. E ci accorgiamo che anche quella fanciulla – quella con il viso troppo bello per non essere una Madonna e con il corpo troppo provocante per esserlo – anche lei poggia i piedi a terra, accanto ai nostri. Così come il ragazzo che ci fissa spavaldo da sopra la spalla. O come le due bambine allacciate in un abbraccio ieratico. O ancora come l’altra bambina, quella che con i fiori del suo abito ha contagiato le pareti intorno alla sua esile figura e via via anche lo spazio intorno a noi. Allora, tra tanti dubbi, si fa strada un pensiero: l’eroe è qui con noi. L’eroe, forse, non è solo. 3 IL GRIGIO SGUARDO COLOR DELL’ALBA AVEVA PRIMIERAMENTE INCONTRATO IL SUO tiglio acrilico - 2008 - cm 170 4 5 7 8 9 HERO tiglio acrilico - 2009 - cm 180 10 11 12 13 FIORI DEL LEGAME tiglio acrilico - 2009 - cm 90 14 15 16 17 AUTUMNTIME tiglio acrilico - 2009 - cm 140x62 18 19 20 21 22 23 FIORI DELLA VERDE ETÀ tiglio acrilico - 2009 - cm 87 24 25 26 27 RICORDI DI UNA STANZA tiglio acrilico - 2009 - cm 140 28 29 Chi ha orrore d’essere toccato dalle statue? Nel racconto “La camera” di Jean-Paul Sartre, un malato affetto da psicosi soffre di allucinazioni che assumono la forma di statue: «Pietro aveva una paura orribile delle statue, […] esse si mettevano a volare per la camera, ronzando»1. Sono statue invisibili (non si dimentichi che l’invisibilità è una tra le possibilità della materia, né si dimentichi che è l’idea a creare la materia – e non viceversa – o che la s cultura è innanzitutto un processo prima ancora che un oggetto) che volteggiano basse e leggere, emettendo un inquietante ronzio. E se quel suono sinistro e inquietante fosse in realtà la voce sommessa della statuaria, un brusio cioè incomprensibile ai nostri orecchi? Al contrario di Sartre, le sculture di Verginer si rivelano alla nostra presenza, ma non volano, tantomeno ronzano: sono chiuse nel loro mutismo e in una perenne immobilità, possedendo pur tuttavia una propria leggerezza, come dimostra la grazia dei loro corpi. Poiché il concetto di statua rimanda a un atteggiamento solenne e maestoso, quelle di Verginer andrebbero indicate con il termine di sculture, non foss’altro per i soggetti “in minore” (età), il cui fiero portamento risulta sempre discreto, più umano che artefatto. Prestando fede a ciò che ci riporta l’aneddotica, pare che il divino Michelangelo fosse rimasto profondamente turbato dal realismo del Mosè, a tal punto da esortarlo a parlare. In anni più recenti il restauro dell’opera ha però portato in luce un’altra vicenda. Un amico, che aveva fatto visita a Michelangelo mentre lavorava alla statua, criticò la frontalità della testa, sostenendo che se fosse INFIORESCENZE stata girata avrebbe sicuramente giovato alla postura del Mosè. Poco tempo dopo l’amico tornò e si Alberto Zanchetta del Mosè, quella sua “terribilità” che è diventata un vero e proprio attributo, ci dovrebbe persuadere stupì dell’improvvisa torsione del capo. Michelangelo lo rassicurò spiegandogli che il Mosè ci intese parlare l’altro giorno e per intenderci meglio si è volto. Siamo soliti credere che la materia inerte non sia in grado di pensare, ragion per cui non ci aspettiamo che possa reagire. L’espressione corrucciata che stia effettivamente meditando. Nonostante la sua ritrosia a parlare, esso rimane in vigile, severo, ascolto. Anche dalle figure di Verginer, che sono invece assolutamente serafiche, ci aspetteremmo che ci confessassero i loro pensieri, e magari il segreto di tanta e tale quiete dell’animo. Ma neppure loro sembrano accennare alla volontà di aprir bocca. Peggio, non sembrano in grado di ascoltarci, assorti come sono in una visione estatica, con l’occhio fisso verso un punto indefinito. Le labbra serrate non accennano (anche minimamente) a socchiudersi. Tacciono, senza possibilità di smentita. Pur ammettendo l’autenticità e l’eccezionalità della Sindrome di Stendhal, lo spettatore è più comunemente afflitto da un sintomo che potremmo definire come Sindrome di Rorschach, in quanto si sforza di riconoscere nell’opera qualcosa di familiare (sindrome che può spingere l’individuo a fantasticare oltre il dato visibile oppure lasciarlo totalmente indifferente). Cosa rappresentino le sculture di Verginer è alquanto evidente, ciò che vorremmo capire non è ciò che noi vediamo bensì cosa esse stiano guardando. Di fronte al diniego – più che all’impossibilità – di comunicare con noi mortali, l’opera resta concentrata nella sua imperturbabile fissità. Per estorcere la verità servirebbe a poco accanirsi sulla dissezione anatomica del nervo ottico o della corteccia cerebrale, così come parrebbe essere accaduto alla pingue Testa dell’Imperatore Vitellio, opera che Medardo Rosso ricavò da una copia dell’antichità. La testa, che solitamente viene osservata da davanti, dovrebbe essere guardata da dietro, laddove uno spaventoso buco si apre scoperchiando la calotta cranica: voragine da cui lo stesso Medardo Rosso sembra aver estirpato il cervello, forse nella speranza di poterne rubare i pensieri, i ricordi, i sogni, i desideri, o quantomeno nel tentativo di riuscire a ca[r]pire i processi mentali della statua. (Invano). 31 Ha ragione Gino De Dominicis: «È il pubblico che si espone all’opera d’arte»2. Si aggiunga inoltre che non è il collezionista a possedere l’opera, ma che è l’opera a possedere lui. Ancor più del pubblico, il collezionista diventa ostaggio dell’opera d’arte, rischiando l’insorgenza della Sindrome di Stoccolma, condizione psicologica che innesca una relazione affettiva fra il rapitore e il sequestrato. “Affezione” che non di rado può sfociare nell’innamoramento. D’altra parte perché non dovremmo provare un sentimento platonico così nobile di fronte a questi corpi che appartengono solo ed esclusivamente ad adolescenti e a bambini? Più che lecito sarebbe provare un trasporto emotivo per i tratti angelici dei loro volti, nutrendo al contempo un’attrazione fisica per la giovinezza e la vigoria di queste floride sculture. Tuttavia: in medicina l’espressione “in fase florida” indica lo stadio di una malattia che si presenta nella sua forma pienamente sviluppata. Ebbene, quale sarebbe la patologia? Il colore acrilico, senza dubbio. Per quale ragione una scultura intagliata nel legno dovrebbe essere dipinta? Forse per una maggiore deferenza al vero? Per indurre un infingimento tale da scambiare la statua per una persona in carne e ossa? Il colore di Verginer – mai eterogeneo, quasi sempre monocromatico – non cerca di plagiare la realtà, ne accentua semmai il distacco. Infetta il legno di tiglio alla maniera di un eritema, ma questa malattia non è altro che il loro modo di sentirsi vivi, di essere investiti da qualcosa al di fuori di sé. Un qualcosa che non appartiene al mondo reale (vale a dire al nostro) bensì al mondo da cui provengono (e di cui essi sono un portato). Benché siano a grandezza reale, le sculture di Verginer non voglio sembrare né diventare persone reali. Anziché assecondare il mito di Pigmalione così come l’auspicio di Collodi, esse intendono rimanere se stesse: sculture in mezzo agli uomini, fatte di legno e non di carne, che è un materiale altrettanto vitale, predisposto agli stimoli dell’ambiente. In effetti è alquanto sintomatico che il legno di tiglio possa assumere fattezze umane e allo stesso tempo lasciare germogliare sulla propria epidermide dei fiori o delle decorazioni floreali. «Le statue, depilate dai secoli anche là dove non c’erano peli, hanno lasciato ai secoli l’elemosina delle perline incastonate delle loro pupille»3. Infiorescenze a parte, le glabre sculture di Verginer celano nelle pupille misteri e tesori inconfessabili, ai quali probabilmente non siamo ancora pronti. In fin dei conti ciò che non possiamo vedere, e quindi conoscere, non ci arreca danno o invidia. Lasciamo allora che ci proteggano dalla nostra cupidigia. Lasciamo cioè che ignorino il brusio delle nostre giaculatorie, come se fossimo noi a non esistere (lo sguardo allucinato delle sculture parrebbe accreditare quest’ipotesi). Altresì come fosse tutto un gioco: «Stanno giocando a un gioco. Stanno giocando a non giocare a un gioco. Se mostro loro che li vedo giocare, infrangerò le regole e mi puniranno. Devo giocare al gioco, di non vedere che vedo il gioco»4. 1 Jean-Paul Sartre, Il muro, Einaudi, Torino 1995; pp58. 2 Gino De Dominicis, numero monografico pubblicato da Flash Art in occasione della mostra a Villa Arson di Nizza, Fondazione Merz di Torino e P.S.1 Contemporary Art Centre di New York, Milano 2007; pp68. 3 Alfred Jarry, L’amore assoluto, Adelphi, Milano 199; pp56. 4 Ronald David Laing, Nodi, Einaudi, Torino 1974; pp5. 32 TADZIO (GETTÒ DI SOPRA LA SPALLA UNO SGUARDO VERSO LA RIVA) tiglio acrilico - 2008 - cm 173 34 35 FIORI DEL CAPPIO tiglio acrilico - 2009 - cm 87 36 37 38 39 MARE CALMO tiglio acrilico - 2009 - cm 87 40 41 FIOR DI LATTE tiglio acrilico - 2009 - cm 86 42 43 FIORI DI DUE STAGIONI tiglio acrilico - 2009 - cm 170 44 45 46 47 METAMORFOSI tiglio acrilico - 2009 - cm 86 48 49 50 51 RETE DELLO SCONGIURO tiglio acrilico - 2009 - cm 89 52 53 54 55 CECITÀ VOLUTA tiglio acrilico - 2007 - lunghezza m 12 56 57 Willy Verginer nasce nel 1957 a Bressanone, vive e lavora a Ortisei (Bz) MOSTRE PERSONALI 2009 A fior di pelle - AndreA Arte ContemporaneA - Vicenza testi in catalogo di Alessandra Redaelli e Alberto Zanchetta Tycius - a cura di Alberto Zanchetta - Loggia del Capitaniato - Vicenza 2008 2007 2006 2005 2004 2003 1993 1993 1991 1989 Disequilibri - Galleria d’arte il Castello - Trento testi in catalogo di Alberto Zanchetta e Arnold Tribus A2 AndreA Arte ContemporaneA - Vicenza I conquistatori dell’inutile - Galleria Il Castello Milano testo in catalogo di Luca Beatrice Eben in eden - con Florencaia Martinez - Galleria Tazl - Graz (A) Galleria d`arte Il Castello - Trento - testo in catalogo di Danilo Eccher Flëures tla flaura - Istitut Ladin Micurà de Rü - San Martin de Tor (Val Badia) Galleria Prisma - Bolzano - testo in catalogo di Letizia Ragaglia Scatules - Des Alpes - Selva in Val Gardena Galleria Spatia - Bolzano Circolo Artistico - Ortisei Galleria Spatia - Bolzano - testo in catalogo di Danilo Eccher Galleria Comunale - Bressanone PRINCIPALI MOSTRE COLLETTIVE 2009 2008 2007 2006 2005 2004 Che cos’e la scultura moderna? 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