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Erano i primi di novembre e all`alba l`oscurità della notte durava

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Erano i primi di novembre e all`alba l`oscurità della notte durava
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Erano i primi di novembre e all’alba l’oscurità della notte
durava ancora nella via, ma il vento, con meraviglia del negoziante, imperversava già. Gli sbatté con violenza il grembiule in faccia mentre si chinava a raccogliere le due cassette di latte dal bordo del marciapiede. Ansimando, Morris
Bober trascinò fino alla porta i pesanti recipienti. Nel vano, un voluminoso sacco marrone pieno di panini di pasta
dura e la testa grigia, il volto stizzoso della Poilisheh che se
ne stava rannicchiata là ad aspettare di farsene dare uno.
«Come mai così in ritardo?»
«Sono le sei e dieci», disse il negoziante.
«Fa freddo», si lamentò lei.
Lui girò la chiave nella toppa e la fece entrare. Di solito riponeva le bottiglie del latte e accendeva i caloriferi a gas, ma
la polacca era impaziente. Morris vuotò il sacco di panini in
una cesta metallica sul banco, gliene scelse uno senza semi,
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lo tagliò a metà e lo avvolse in un foglio di carta bianca. La
donna infilò il pane nella sporta di corda lasciando tre centesimi sul banco. Morris incassò la vendita nel vecchio e rumoroso registratore di cassa, ripiegò con cura e ripose il sacco del pane, finì di portare dentro il latte e sistemò le bottiglie nel frigorifero, in basso. Accese il calorifero a gas in negozio e andò nel retrobottega ad accendere l’altro.
Fece bollire il caffè in un bricco di porcellana annerita e
lo sorseggiò masticando un panino senza nemmeno sentirne il sapore. Finì di far pulizia e si mise ad aspettare:
aspettava Nick Fuso, l’inquilino del piano di sopra, un
giovane meccanico che lavorava in un garage del quartiere. Nick veniva ogni mattina verso le sette a prendere venti centesimi di prosciutto e una pagnotta.
Invece si aprì la porta del negozio ed entrò, col viso arrossato e gli occhi allarmati, una ragazzetta di dieci anni.
Morris non le diede, in cuor suo, il benvenuto.
«Dice mia madre», fece in fretta, «se può darle a credito fino a domani mezzo chilo di burro, una pagnotta di segale e una bottiglietta di aceto di sidro».
Lui la conosceva, la madre. «Non faccio più credito».
La bambina scoppiò in lacrime.
Morris le diede un etto di burro, il pane e l’aceto. Sul
vecchio banco consunto, vicino al registratore di cassa,
trovò un angolo con qualche scritta a matita e sotto la voce «ubriacona» aggiunse una cifra. Il totale ammontava
ora a due dollari e tre. Non sperava più di riaverli, ma Ida
lo avrebbe rimproverato se si fosse accorta di un’aggiunta, così ridusse il totale a un dollaro e sessantuno. La sua
pace – la poca pace di cui disponeva – valeva bene quarantadue centesimi.
Si mise a sedere su una seggiola accanto al tavolo roton[ 22 ]
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do di legno del retrobottega, e scorse attentamente, con le
sopracciglia inarcate, il giornale ebraico del giorno precedente che aveva già letto dalla prima all’ultima riga. Di
tanto in tanto lasciava vagare lo sguardo attraverso il riquadro aperto nel muro a mo’ di vetrina, per vedere se per
caso qualcuno era entrato in bottega. Qualche volta, alzando lo sguardo dal giornale, restava sorpreso dalla presenza silenziosa di un cliente davanti al banco.
Ora il negozio somigliava a una lunga galleria buia.
Il negoziante sospirò e attese. Non era bravo ad attendere, si disse. In tempi duri, era dura anche far passare il
tempo. Mentre lui stava lì ad aspettare, le ore morivano e
gli marcivano sotto il naso.
Entrò un operaio a comprare una scatola di sardine
norvegesi da quindici centesimi, marca King Oscar.
Morris si rimise ad aspettare. In ventun anni il negozio
era cambiato poco. Due volte lo aveva ridipinto da cima a
fondo, una volta aveva aggiunto una nuova scaffalatura.
Un falegname aveva trasformato in un’unica ampia vetrina l’antiquata doppia finestra che dava sulla strada. Dieci
anni prima l’insegna appesa fuori era caduta, ma Morris
non l’aveva mai sostituita. Una volta che gli affari erano
andati bene per un po’, aveva fatto installare al posto della ghiacciaia di legno una vetrina bianca refrigerata. Stava nella parte anteriore del negozio, allineata al banco di
vendita, e lui vi si appoggiava spesso quando guardava
fuori. Per il resto, era rimasto tutto uguale. Anni addietro
aveva cominciato come negozio di gastronomia; ora, benché vendesse ancora un po’ di salumi, s’era ridotto a una
botteguccia di alimentari.
Passò una mezz’ora. Non essendosi fatto vivo Nick Fuso,
Morris si alzò e andò ad appostarsi alla vetrina, dietro il
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cartellone pubblicitario sistemato da quelli della birra nello
spazio altrimenti spoglio. Poco dopo il portone si aprì e ne
uscì Nick con indosso un pesante maglione verde lavorato
a mano. Girò l’angolo e fu presto di ritorno con la sporta
della spesa ricolma. Morris ora non si nascondeva più, lì
dietro alla vetrina. Nick vide con che faccia lo guardava, ma
distolse subito lo sguardo. Si precipitò in casa cercando di
dare a vedere che era il vento che lo faceva andar di fretta.
La porta gli sbatté alle spalle, una porta rumorosa.
Il negoziante guardò in strada. Desiderò per un attimo di
poter essere di nuovo fuori all’aperto, come quando era ragazzo, che non stava mai in casa, ma il rumore minaccioso
del vento lo spaventò. Pensò di nuovo di vendere il negozio, ma chi lo avrebbe comprato? Ida ci sperava ancora.
Ogni giorno ci sperava. Quel pensiero gli strappò un sorriso amaro, anche se non aveva voglia di sorridere. Era
un’idea assurda e cercò di scacciarsela dalla mente. Eppure c’erano dei momenti in cui si ritirava nel retrobottega, si
versava un goccio di caffè e indugiava piacevolmente
sull’idea di vendere. Ma se anche per miracolo ci fosse riuscito, dove sarebbe andato, dove? Per un attimo si sentì a
disagio immaginandosi senza tetto. Si vide in balia delle intemperie, fradicio di pioggia, col capo coperto di neve gelata. No, era un secolo che non passava un’intera giornata
all’aperto. Da ragazzo, sempre a correre per le strade del
villaggio, fangose e piene di solchi, o nei campi, oppure a
bagnarsi nel fiume con gli altri ragazzi; ma da adulto, in
America, raramente aveva visto il cielo. Nei primi tempi sì,
quando conduceva il carretto col cavallo, ma era finito tutto col suo primo negozio. In un negozio uno è sepolto.
Il lattaio si fermò col camion davanti alla porta ed entrò
con l’impeto di un toro a ritirare vuoti a rendere. Ne tra[ 24 ]
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sportò fuori una cassa e tornò con due piccole confezioni
di panna scremata. Poi fu la volta di Otto Vogel, il fornitore di carne, un tedesco dai baffoni folti, che portava una
salsiccia affumicata di fegato e una sfilza di würstel nella
cesta unta. Morris comprò in contanti la salsiccia di fegato, perché da un tedesco non voleva favori. Otto si portò
via i würstel. Il garzone del panettiere, che faceva quel giro per la prima volta, cambiò tre pagnotte rafferme con tre
fresche e uscì senza dire una parola. Leo, della pasticceria,
data una rapida occhiata alla torta ancora incartata sul
frigorifero, gridò: «Arrivederci a lunedì, Morris».
Morris non rispose.
Leo esitò. «Va male dappertutto, Morris».
«Qui è peggio che dappertutto».
«A lunedì».
Una giovane massaia del vicinato fece spese per sessantatré centesimi, un’altra per quarantuno. Aveva guadagnato il primo dollaro della giornata.
Breitbart, il venditore ambulante di lampadine, depose i
suoi due enormi scatoloni ed entrò timidamente nel retrobottega.
«Vieni», lo invitò Morris. Fece bollire il tè e lo serví con
una fettina di limone in un bicchiere dal vetro spesso. Il
venditore ambulante si accomodò su una sedia tenendosi
addosso cappotto e bombetta e trangugiò il tè caldo, col
pomo d’Adamo che gli sussultava.
«E allora, come vanno le cose?», chiese il negoziante.
«Fiacche», rispose Breitbart con un’alzata di spalle.
Morris sospirò. «Come sta il ragazzo?»
Breitbart fece un cenno distratto col capo, poi prese il
giornale ebraico e si mise a leggere. Dopo dieci minuti si
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alzò, si grattò da tutte le parti e, caricatisi sulle spalle magre i due scatoloni legati insieme con una corda da bucato, se ne andò.
Morris lo guardò uscire.
Il mondo soffre. Ed era lui a sentirne tutto lo schmerz,
la pena.
All’ora di pranzo scese Ida. Aveva pulito tutta la casa.
Morris se ne stava in piedi accanto al divano stinto, a
guardare dalla finestra che dava sul cortile. Aveva pensato
a Ephraim.
Sua moglie gli vide gli occhi umidi.
«Smettila una buona volta, per favore». Anche i suoi
occhi si inumidirono.
Morris andò all’acquaio, si versò dell’acqua fredda nelle mani a coppa e vi immerse il viso.
«L’Italyener», disse mentre si asciugava, «stamattina è
andato a comprare nel negozio di fronte».
Ida si irritò. «Tu gli dai cinque camere per ventinove
dollari, per farti sputare in faccia».
«Non c’è l’acqua calda», le ricordò.
«Ci hai messo dei radiatori a gas».
«Chi dice che mi sputa in faccia? Non ho detto questo».
«Gli hai forse detto qualcosa di brutto?»
«Io?»
«Allora perché è andato nel negozio di fronte?»
«Perché? Vallo a chiedere a lui», disse rabbioso.
«Quanto hai incassato fino adesso?»
«Una miseria».
Lei gli voltò le spalle.
Morris sfregò distrattamente un fiammifero e accese
una sigaretta.
«Smettila di fumare», lo rimproverò Ida.
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Aspirò in fretta una boccata, staccò l’estremità accesa
con l’unghia del pollice e ficcò svelto il mozzicone sotto il
grembiule, nella tasca dei pantaloni. Gli venne da tossire
per il fumo. Una tosse rauca che lo fece diventar rosso in
viso come un pomodoro. Ida si turò le orecchie. Alla fine,
Morris tirò su un grumo di catarro: si passò il fazzoletto
sulla bocca e poi sugli occhi.
«Sigarette», disse lei amaramente. «Perché non dai retta a quel che ti dice il dottore?»
«Eh, i dottori», disse Morris.
Poi notò il vestito che lei aveva indosso. «È festa?»
Ida, imbarazzata, disse: «Ho pensato che magari oggi
verrà il compratore».
Aveva cinquantun anni, nove meno di lui, i capelli folti ancora quasi tutti neri. Ma il viso era segnato e le gambe le dolevano quando stava troppo a lungo in piedi, benché ora portasse scarpe con i supporti ortopedici. Quella
mattina si era svegliata con dentro un rancore verso il negoziante che, tanti anni addietro, l’aveva trascinata lì,
lontano dal suo quartiere ebraico. Ancora oggi sentiva la
mancanza dei loro vecchi amici e compatrioti, perduti
per inseguire il miraggio della parnusseh, di una prosperità che non s’era realizzata. Già questo era motivo sufficiente di dispiacere, ma l’avere oltre all’isolamento preoccupazioni economiche continue la esasperava. Condivideva malvolentieri la sorte del negoziante, benché non lo
desse a vedere e la sua insoddisfazione si manifestasse
soltanto sotto la forma del rimbrotto domestico. La sua
colpa era d’averlo indotto a comperare un negozio di alimentari quando frequentava il primo anno della scuola
superiore serale per prepararsi, le aveva detto, a studiare
farmacia. Col passar degli anni lui diventava sempre più
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difficile da smuovere. In passato le riusciva qualche volta
di tenergli testa, ma ora la sua testardaggine superava le
forze di Ida.
«Un acquirente», brontolò Morris. «Verrà alla prossima Purim».1
«Non fare lo spiritoso. Karp gli ha telefonato».
«Karp», disse con disgusto. «Da dove gli ha telefonato,
quel pidocchio?»
«Da qui».
«Quando?»
«Ieri. Mentre dormivi».
«Cosa gli ha detto?»
«Che c’è un negozio in vendita, il tuo, a buon prezzo».
«Come sarebbe a dire a buon prezzo?»
«La licenza non vale più nulla. Per la merce e gli infissi,
che non valgono niente neanche quelli, tremila o meno ancora».
«A me è costato quattromila».
«Ventun anni fa», rispose lei stizzita. «Non vendere, allora, fa’ mettere all’asta».
«Vuole anche la casa?»
«Karp non lo sa. Può darsi».
«Fanfarone. Figurati, un uomo che hanno rapinato
quattro volte negli ultimi tre anni e ancora non ha fatto
mettere il telefono. Quello che dice non vale un soldo bucato. Mi aveva giurato che non mi avrebbe messo un negozio di alimentari all’angolo, e cosa ci ha messo? Un negozio di alimentari. Perché invece di portarmi dei compra1. Festività ebraica celebrata dal 13 al 15 di Adar (febbraio-marzo) per
commemorare la liberazione degli ebrei dalla persecuzione di Haman.
[n.d.t.]
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tori non ha tenuto lontano il tedesco che si è piazzato qui
all’angolo?»
Ida sospirò. «Adesso cerca di aiutarti, perché gli fai
compassione».
«Chi ha bisogno della sua compassione?», disse Morris. «Chi ha bisogno di lui?»
«Perché allora non hai avuto tu il buon senso di trasformare il negozio di alimentari in un negozio di vini e liquori quando davano le licenze?»
«E chi aveva i contanti per farsi il magazzino?»
«E allora se non hai i mezzi, è inutile che chiacchieri».
«Un negozio per vagabondi ubriaconi».
«Un negozio è un negozio. Quello che Julius Karp incassa qui accanto in un giorno noi non lo incassiamo in
due settimane».
Ma Ida vide che era seccato e cambiò argomento.
«Ti avevo detto di dare la cera al pavimento».
«Me ne sono dimenticato».
«Sai che ci tenevo. Ora sarebbe già asciutto».
«Lo farò dopo».
«Dopo i clienti cammineranno sulla cera e sporcheranno tutto».
«Che clienti?», gridò. «Quali clienti? Chi mette piede
qui dentro?»
«Va’», gli disse lei con voce pacata. «Va’ di sopra a dormire. La darò io, la cera».
Ma lui tirò fuori la latta della cera e lo straccio, e lucidò
il pavimento fino a far prendere al legno un cupo splendore. Non era entrato nessuno.
Ida aveva preparato la minestra. «Helen stamattina è
uscita senza fare colazione».
«Non aveva fame».
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«È preoccupata per qualcosa».
«Ma per cosa vuoi che sia preoccupata?», ribatté lui,
sarcastico. Intendendo: il negozio, la salute di lui, il fatto
che la maggior parte del magro stipendio della ragazza andava a sostenere le spese della casa e che, mentre avrebbe
voluto frequentare l’università, s’era dovuta accontentare
di un impiego che non le piaceva. Tale e quale a suo padre,
è naturale che non avesse voglia di mangiare.
«Se solo si sposasse», sussurrò Ida.
«Lo farà».
«Presto». Trattenne a stento le lacrime.
Lui grugnì.
«Non capisco perché non vede più Nat Pearl. Sono stati assieme tutta l’estate come due innamorati», disse Ida.
«È uno che fa tante chiacchiere e basta».
«Diventerà un ricco avvocato, un giorno».
«Non mi piace».
«Anche Louis Karp le sta dietro. Helen dovrebbe tener
presente anche lui».
«Un idiota», disse Morris, «come suo padre».
«Tutti idioti al mondo, tranne Morris Bober».
Lui teneva lo sguardo fisso sul cortile.
«Mangia una buona volta e va’ a dormire», disse lei
spazientita.
Lui finì la minestra e se ne andò di sopra. Salire era più
facile che scendere. In camera da letto abbassò sospirando
le tapparelle scure. Era già mezzo addormentato, tanto
era il piacere con cui pregustava il sonno. Era il suo unico
vero svago; andava a dormire con entusiasmo. Morris si
tolse grembiule, cravatta e pantaloni, deponendoli su una
sedia. Seduto sulla sponda del grande letto sbilenco, si
slacciò le scarpe sformate infilandosi sotto le lenzuola
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fredde in camicia, mutandoni e calze bianche. Affondò gli
occhi nel cuscino aspettando il tepore. Stava per assopirsi.
Ma di sopra Tessie Fuso faceva andare l’aspirapolvere e,
benché tentasse di cancellare l’episodio dalla mente, il negoziante ricordò la visita di Nick al tedesco; in procinto di
addormentarsi, fu preso dallo scoramento.
Ricordò i brutti momenti che aveva superato, ma adesso era peggio di una volta: erano tempi impossibili. Il suo
negozio era sempre stato un negozio da poco, oggi su e domani in ribasso, a seconda di come tirava il vento. Da un
giorno all’altro le vendite potevano ridursi tanto da metterlo in perdita; di solito però riprendevano lentamente
quota – a volte sembrava che ci volesse un secolo –, salivano, mai abbastanza da poter dire che erano proprio alte,
ma neppure basse. Nei primi tempi, appena l’aveva acquistato, il negozio era buono per quella zona; era peggiorato
quando era peggiorato il quartiere. Ciononostante, ancora un anno fa, tenendo aperto sette giorni su sette e sedici
ore al giorno, poteva cavarne di che vivere. Che razza di vita? Be’, il tanto sufficiente; ci campava. Ora, benché sgobbasse per lo stesso numero di ore, era sull’orlo del fallimento, e la sua resistenza era a pezzi. Prima, quando i tempi erano brutti, in un modo o nell’altro ce l’aveva sempre
fatta a resistere, e quando gli affari erano andati meglio
per tutti, più o meno erano andati meglio anche per lui.
Ma da dieci mesi a questa parte, dacché H. Schmitz aveva
aperto sull’altro lato della strada, tutto andava male.
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