Edgar Morin, Emilio-Roger Ciurana e Raùl Domingo Motta,
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Edgar Morin, Emilio-Roger Ciurana e Raùl Domingo Motta,
CLIO ’92 ASSOCIAZIONE DI INSEGNANTI E RICERCATORI SULLA DIDATTICA DELLA STORIA Edgar Morin, Emilio-Roger Ciurana e Raùl Domingo Motta, Educare per l’era planetaria. Il pensiero complesso come apprendimento, Armando, Roma, 2004. metodo di di Francesca Bellafronte Letture “contagiose” Le motivazioni che orientano un lettore in libreria, e ne dirigono lo sguardo sugli scaffali, possono essere molteplici e di varia natura: trovare libro del medesimo autore di quello appena ultimato, ancora sul comodino, che ci ha tenuto compagnia nelle ultime notti insonni; oppure un nuovo libro sul tema che ci appassiona da anni e che vogliamo continuare ad approfondire da punti di vista differenti, per conoscere e capire meglio; un presente per una persona cara. Accade poi che, all’indicazione anticipata dal titolo, facciamo seguire degli assaggi: così, assorti e in piedi, in quel magico frastuono di pensieri che aleggia in libreria, ne intercettiamo alcuni “sintonizzandoci” su quelli dell’autore che, nell’indice e di pagina in pagina, qui e là disordinatamente, si svela alla nostra mente e ci emoziona. Ci emoziona perché scopriamo “pensieri mai pensati”, intriganti, riflessioni nuove, interessanti o, al contrario, perché quei pensieri riflettono in parte le intuizioni, personali o elaborate in un gruppo di ricerca, 1 danno voce e forma a questioni che ci siamo posti, ci arrovellano, e offrono risposte plausibili. Di conseguenza da libri-oggetti, si trasformano in letture contagiose, in soggetti che interloquiscono costantemente con i nostri pensieri e avvertiamo l’urgenza di segnalare, divulgare, far circolare e conoscere. Storia e Ambiente, due temi che mi stanno a cuore da decenni, prima separatamente e poi insieme, da quando mi è parso di intuire che rappresentino due facce della stessa medaglia, intersecati ed interdipendenti come sono. Da un lato l’uomo, le sue vicissitudini, le tecniche, i manufatti, le sue idee; dall’altro o, meglio, tutt’intorno, la biosfera, il mondo, il pianeta con le sue modificazioni improvvise o lentissime, manifeste o latenti, umane o naturali, con i suoi equilibri e le sue troppe fragilità. Due entità solo apparentemente separate, in realtà ologrammatiche, che bisogna imparare a leggere “all’unisono”, come contenuto e contenitore allo stesso tempo, per raccogliere le sfide del nostro tempo. Ed è proprio dalla necessità, ormai improrogabile, di educare le nuove generazioni al pensiero complesso che prende le mosse il testo, traendo spunto da alcune conferenze itineranti tenute da Edgar Morin e da due suoi collaboratori, Emilio-Roger Ciurana e Raul Domingo Motta, in Sudamerica per conto dell’UNESCO, nell’ambito del progetto interdisciplinare “Educare per un avvenire possibile”. Com’è noto Edgar Morin, direttore emerito del Centre National de la Recherche Scientifique, ormai da tempo caldeggia una rigenerazione dell’insegnamento 2 in grado di trasformare le nostre scuole da luoghi, grigi e stantii, di riproduzione dei saperi, che ottundono la mente dei nostri allievi rafforzando il pensiero semplificatore, in feconde “esperienze erranti”, attraverso l’esercizio del pensiero complesso. Anche Emilio-Roger Ciurana e Raul Domingo Motta, dal canto loro, partecipano alla elaborazione di un paradigma gnoseologico idoneo ad affrontare le sfide della complessità: il primo, autore di una tesi Edgar Morin pensador de la complejidad, insegna Epistemologia della complessità all’Università di Valladolid, in Spagna; il secondo, nella veste di direttore dell’instituto internacional para el pensiamento complejo dell’Università di Buenos Aires e della rivista “Complejidad”, oltre che di responsabile della “cattedra irtinerante UNESCO Edgar Morin per il pensiero complesso”. 1. Complessità dell’era planetaria e sistemi educativi La questione da cui muovono gli autori è cercare di capire che tipo di riforma della conoscenza, del pensiero e, quindi, dell’insegnamento sia oggi necessaria allo scopo di educare per l’era planetaria. Si rende ormai imprescindibile e urgente una riforma scolastica, universitaria, ma anche professionale e politica, che faccia degli uomini i cittadini della Terra, in grado di costruire una civiltà planetaria e una cittadinanza cosmopolita. All’inizio del III millennio, infatti, a fronte di un vertiginoso progresso scientifico e tecnologico che, prima di mostrare il “rovescio della medaglia” ha alimentato l’illusione di uno sviluppo infinito, ci troviamo ancora nella “preistoria dello spirito umano e nell’età del ferro della civiltà”, vale a dire in un’era in cui non siamo ancora in grado di decifrare la complessità che viviamo nelle molteplici relazioni e interrelazioni tra più elementi del globo. Una nuova forma di sottosviluppo, morale e intellettuale, accresce la miseria dei popoli sviluppati in maniera direttamente proporzionale al grado di opulenza tecno-economica raggiunta: proliferano le idee vuote, i concetti deforma(n)ti frutto del pensiero semplificatore, la mancanza di solidarietà e responsabilità e, quindi, la cupidigia. La proliferazione dei mezzi di comunicazione, che permette di conoscere in tempo reale fatti ed eventi planetari, la crescita esponenziale degli spostamenti delle persone sulla superficie terrestre, invece di allargare gli orizzonti conoscitivi li restringono, producendo una “mobilità infeconda”. 1 Nel caso specifico, si tratta di un testo in cui ho riscontrato suggestive convergenze con questioni sollevate e affrontate all’interno del gruppo di ricerca su “L’insegnamento della storia in dimensione interculturale” (SDI), composto da una quindicina di insegnanti e coordinato dal prof. Ernesto Perillo. 2 Cfr. La testa ben fatta: riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero e I sette saperi necessari all’educazione del futuro, entrambi editi da R. Cortina, Milano, rispettivamente nel 2000 e nel 2001. 1 CLIO ’92 ASSOCIAZIONE DI INSEGNANTI E RICERCATORI SULLA DIDATTICA DELLA STORIA La globalizzazione non ha generato solo la mondializzazione della dimensione economica e tecnologica, ma anche culturale. L’occidentalizzazione ha trasformato la percezione delle culture altre in un ammasso di superstizioni3. I portatori di culture orali, non riconosciuti tali e tacciati di analfabetismo dall’alfabetizzazione arrogante del mondo occidentale, scadono ad elemento folkloristico destinato alla marginalità e all’estinzione. Da un lato sofisticati ritrovati tecnologici e scientifici, la costruzione di un mercato mondiale e di una rete comunicativa estremamente ramificata, promuovono un divenire planetario comune a tutta l’umanità; dall’altro lo sfruttamento iniquo delle risorse non rinnovabili a danno delle popolazioni del Sud del Mondo, produce degrado ambientale, crescita della povertà, conflitti mondiali e minacce di distruzione nucleare. Di conseguenza “è diventato di vitale importanza conoscere il destino planetario che viviamo, tentare di percepire e di concepire il caos degli avvenimenti, delle interazioni e retroazioni, in cui interferiscono i processi economici, politici, sociali, etnici, religiosi, mitologici che tessono questo destino comune”.4 Paradossalmente, proprio nell’epoca storica in cui il pianeta richiede maggiormente spiriti adatti a comprendere i suoi problemi globali, nelle complesse interrelazioni tra le parti, i sistemi scolastici di tutti i paesi continuano a frazionare conoscenze che dovrebbero essere collegate, formando spiriti ottusi, unidimensionali e riduttori, in grado di cogliere solo una dimensione dei problemi per volta, trascurando tutte le altre. 2. L’a-metodo gnoseologico del pensiero complesso Il metodo gnoseologico classico è affetto da un razionalismo lineare e semplificatore, che separa rigorosamente il soggetto conoscente dall’oggetto conosciuto. Il primo, ontologicamente sufficiente ed autoreferenziale, alla stregua del soggetto cartesiano, autoesclude se stesso dall’azione conoscitiva, senza riflettere sulla sua opera di concettualizzazione. Il secondo, completamente scisso sia dal contesto ambientale che dal soggetto conoscente, riconosciuto nella sua pienezza ontologica, è studiato come realtà astratta, isolata, omogenea e sostanziale. Mutuando la teoria dei sistemi di Bertalanffy e di Foester, all’opposizione semplificatrice soggetto-oggetto, Morin sostituisce la dialettica tra “sistema osservante” e “sistema osservato”. Ciò equivale a riconoscere all’osservatore un margine di arbitrarietà, nella misura in cui è attraverso i suoi interessi e le finalità da perseguire, che l’osservatore seleziona, stabilendo che cosa rientri e che cosa non rientri, quali siano i confini entro cui ritagliare il sistema-oggetto di osservazione. A sua volta, il soggetto-sistema che osserva, essendo antropo-socialmente radicato, è portatore di surdeterminazioni soggettive, culturali, sociali e antropologiche. Consapevole di ciò, il soggetto conosce il sistema-mondo attraverso “l’osservazione delle sue osservazioni”, cioè le meta-osservazioni o osservazioni di secondo ordine. Dall’affrontare le contraddizioni sapendo di non poterle risolvere definitivamente, avendo irrimediabilmente consapevolezza dell’incompiutezza di ogni conoscenza e di ogni pensiero, nel rapporto tra classificato e inclassificabile, tra detto e indicibile, scaturisce una tensione tragica dell’esperienza gnoseologica. Questa consapevolezza anziché sfociare nell’agnosticismo (niente è conoscibile, la verità non esiste…), si trasforma in paradigma e fondamento del pensiero complesso, che non rigetta la logica aristotelica per fondarne una nuova, ma la trasgredisce, in quanto pensiero dialogico, aleatorio, retroattivo ed ologrammatico. La caratteristica principale del pensiero complesso consiste dunque nell’assenza di metodo, cartesianamente inteso come insieme di procedure rigorose e ordinate, applicate fin dall’inizio della ricerca a partire da certezze stabilite. La concezione di Morin rifiuta l’idea di metodo come adozione di procedure da applicare in modo meccanico, per conseguire risultati previsti. In tal caso il metodo verrebbe a coincidere semplicemente con lo svolgimento di un programma, inteso come insieme di ricette efficaci da applicare in un contesto che si presuppone stabile, banalmente ordinato in modo deterministico, sul quale è possibile intervenire per ottenere risultati desiderati. Al contrario, essendo i contesti planetari, sociali e naturali, mutevoli e fluttuanti nello spazio e nel tempo, occorre pensare al metodo come ad un cammino, un viaggio, “una traversata che si svolge tra la fissità e la vertigine” . L’esercizio di questo metodo-cammino implica il senso di precarietà del pensiero in continuo divenire e la mancanza di fondamento della conoscenza, vale a dire, l’errare. L’errare metodologico è qui da intendersi nella duplice accezione di camminare, procedere, progredire nella ricerca e, al tempo stesso, di sbagliare, di mancare l’obiettivo. Di conseguenza il metodo è un a-metodo: non qualcosa che si possiede all’inizio, ma che si costruisce durante il percorso di ricerca e che, forse, solo alla fine potrà essere enunciato. La teoria non coincide con la conoscenza, ma è ciò che la permette. È un complesso di assunti, che costituiscono non un punto di arrivo ma di partenza. In questo senso tra teoria e metodo si stabilisce una relazione di reciprocità: “il metodo, generato dalla teoria, - a sua volta - la rigenera”. L’apprendimento consiste in una trasfigurazione perché l’esperienza dell’errare modifica inevitabilmente il viaggiatore5: chi intraprende la strada della ricerca e vuole ritornare indietro, al punto di partenza, non potrà farlo riportandosi alle condizioni iniziali, in quanto la ricerca non descrive mai un cerchio completo, ma un percorso spiraliforme. 3 In realtà tutte le culture, anche la nostra, sono il prodotto di una mescolanza di superstizioni, idee fisse, saperi stratificati e di verità profonde, che bisogna imparare a riconoscere attraverso l’esercizio del pensiero complesso. 4 Morin, Ciurana, Motta, Educare per l’era planetaria, Armando, Roma, 2004, p. 9. 5 “Quando ci si vuol esprimere in qualche modo, si guarda sempre lontanissimo, si cerca di non assomigliare al mondo dove si vive, si pensa che quel che c’è intorno non vale niente. E poi, pian piano, quando si comincia ad essere più forti e consapevoli, si comincia a tornare verso casa. Ma quell’essere andati lontanissimo serve. Perché non si parla del proprio giardino avendo conosciuto soltanto quello, ma si parla del proprio giardino paragonato a tutti i giardini del mondo, e lo si riempie di sistemi, fiori e composizioni, con tutti i segreti imparati lontano” Francesco Piccolo in “Il Diario della settimana”, n. 5, 1999, p. 34. 2 CLIO ’92 ASSOCIAZIONE DI INSEGNANTI E RICERCATORI SULLA DIDATTICA DELLA STORIA 3. Caratteristiche del pensiero complesso Il termine “complesso” deriva dal latino complectere: la radice “plectere” significa intrecciare, collegare e rinvia all’arte del cestaio che forma un cerchio, legando insieme l’inizio e la fine dei giunchi; il suffisso “com”, invece, rinvia alla dualità di elementi opposti che si uniscono: com-plectere viene infatti usato sia per alludere allo scontro tra due combattenti, che all’abbraccio di due amanti. Di fatto la complessità può essere definita come l’ordito indistricabile di fatti, fenomeni e processi intimamente collegati, che costituiscono il nostro universo fenomenico. La complessità ci rende consapevoli dell’insufficienza dai nostri mezzi intellettuali, di fronte alla realtà che ci appare inesplicabile e ingarbugliata. Non è un caso che nel senso comune “complesso” diventi sinonimo di “inspiegabile”, incoraggiando un atteggiamento di rassegnazione, di arrendevolezza del pensiero semplificatore che rinuncia a comprendere e a spiegare. A differenza del pensiero semplificatore, concepito come un processo rigorosamente lineare, razionale e unidimensionale, che sviluppa conoscenza per accumulazione (sapere cumulativo) facendo luce laddove prima era buio (dimostrando di ignorare che “l’effetto di qualsiasi luce è anche quello di produrre ombre”), il pensiero complesso ci insegna a camminare nell’oscurità e nell’incertezza trasformando la precarietà dell’errare in risorsa, forza, disciplina del pensiero. Ora, i sistemi scolastici elaborano modelli di insegnamento e apprendimento che producono pensiero semplificatore e disintegratore: anziché dare conto della complessità della realtà attraverso la provvisorietà della conoscenza, accrescendo la capacità di cogliere le articolazioni e le relazioni tra i diversi ambiti disciplinari, a scuola si separano rigorosamente le parti dal tutto e si parcellizzano i saperi, erogando nozioni suddivise in compartimenti stagni. Educare al pensiero complesso significa sovvertire la prassi cognitiva che imperversa nelle scuole, combattere il paradigma semplificatore che, trasferito nel pensiero politico adulto, genera i mostri che conosciamo: politiche mondiali miopi di cui l’umanità intera e il pianeta soffrono. Ma quali sono le caratteristiche principali del pensiero complesso, che avrebbero il potere dirompente di sovvertire i paradigmi cognitivi a tal punto da farci sperare, se diffusamente affermati, nell’emergenza di una identità planetaria? Il pensiero complesso non è mai un pensiero completo in quanto dialogico, retroattivo, ologrammatico e aleatorio. È dialogico nella misura in cui considera, nel medesimo spazio mentale, logiche che si completano ma si escludono, accettando razionalmente il carattere inseparabile di nozioni o aspetti contraddittori che, secondo la logica tradizionale, si eliderebbero. È retroattivo perché, superando il principio di causalità lineare, dimostra che non soltanto la causa agisce sull’effetto ma l’effetto, a sua volta, retroagisce sulla causa modificando la tendenza. È ologrammatico6 in quanto concepisce la parte come contenuto e, al tempo stesso, come contenitore rispetto al tutto. Ad esempio, come ognuno di noi, in quanto individuo, contiene in sé stesso la presenza della società cui appartiene, sotto forma di linguaggio, cultura, norme, allo stesso modo la società è composta dall’insieme delle individualità che ne fanno parte. Infine, il pensiero complesso è aleatorio. Alea (in latino “gioco dei dadi”) indica l’azzardo, il rischio, l’incertezza. Mentre il paradigma semplificatore elimina o utilizza una quantità debole di alea, il pensiero complesso elabora una strategia che si manifesta proprio nelle situazioni aleatorie, che utilizza gli ostacoli, avversità e diversità, per procedere nel suo sviluppo. 4. Nuovi occhi per la storia dell’umanità Come è possibile superare lo stadio attuale di preistoria dello spirito umano, uscendo dall’età del ferro dell’era planetaria in cui l’umanità langue? Può l’educazione, insieme alla rifondazione dei paradigmi del pensiero, contribuire all’emergenza di una società-mondo, attraverso la costruzione di una civiltà planetaria e di una cittadinanza cosmopolita? Sono solo alcuni degli interrogativi a cui gli autori cercano di dare risposta nell’ultima parte del libro. Una volta chiarito che il termine planetarizzazione non è assimilabile e coincidente con globalizzazione7, scopriamo che storicamente l’unica vera planetarizzazione “spontanea” si è compiuta decine di migliaia di anni fa, quando l’Homo sapiens si diffuse su tutto il pianeta. Successivamente l’umanità si è parcellizzata in un certo numero di società arcaiche, distanti e diverse per linguaggi, riti, credenze, ciascuna con la propria storia. Le società storiche, prima ricacceranno quelle arcaiche nelle foreste e nei deserti, poi le perseguiteranno fino a distruggerle. Per capire l’era planetaria in cui viviamo e imparare a decifrare la complessità del nostro tempo, bisogna impostare una storia generale dell’umanità con nuove periodizzazioni, che gli autori propongono nel III capitolo. 6 L’ologramma è l’immagine fisica concepita da Gabor che, a differenza di tutte le altre immagini, diventa tridimensionale se proiettata nello spazio da un laser. L’immagine olografata, inoltre, se frazionata non produce immagini mutilate, ma complete. Di conseguenza l’ologramma è stato assunto a metafora per spiegare la realtà come sistema complesso, nel quale il tutto si trova nella parte che, a sua volta, si trova nel tutto. 7 Globalizzazione è un termine coniato negli anni ’90 per descrivere la mondializzazione delle dimensioni economica e tecnologica; mondializzazione, invece, rinvia alla totalità complessa degli aspetti fisico-biologico-antropologici La Terra, infatti, non è concepibile come la somma di elementi semplici e separati (pianeta fisico + biosfera + umanità) ma come risultato delle loro simbiotiche interrelazioni. 3 CLIO ’92 ASSOCIAZIONE DI INSEGNANTI E RICERCATORI SULLA DIDATTICA DELLA STORIA Secondo queste nuove chiavi di lettura, tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo viene collocata la svolta più significativa nella storia dell’umanità, in grado di sovvertire le sorti del mondo. È l’età in cui si compie la prima mondializzazione, all’insegna dell’espansione e della conquista del Nuovo Mondo da parte dell’Occidente europeo, vale a dire di quella piccola appendice, giovane e scarsamente significativa, del continente eurasiatico. Alla fine del XV secolo europeo, la Cina dei Ming e l’India mongola erano le civiltà più importanti del globo. L’Islam, che prosegue il suo sviluppo in Asia e in Africa, è la religione più diffusa sulla terra. L’impero Ottomano, che si è propagato dall’Asia in tutta l’Europa orientale, che ha annientato Bisanzio e minacciato Vienna, è diventato la prima potenza in Europa. L’Impero Inca e l’Impero Azteco regnano sulle Americhe, e Tenochtitlan come Cuzco, superano quanto a popolazione, monumenti e splendore, Madrid, Lisbona, Parigi e Londra, le piccole capitali giovani dell’Occidente europeo.8 Come è potuto accadere che l’Europa, quella piccola porzione di mondo, all’improvviso, abbia modificato il destino del globo, superando il suo provincialismo politico, religioso economico e culturale? Fortunatamente questa mondializzazione, propulsiva di forze mortifere e distruttive, che comincia come mondializzazione egemonica di politica coloniale e permane ancor oggi sotto forma di monopolio economico, finanziario e tecnocratico (la globalizzazione economica di fine XX secolo), contiene, in potenza, e genera il suo contrario: la seconda mondializzazione. La seconda mondializzazione, infatti, muove proprio dalle accorate denunce dei domenicani e del loro avvocato Bartolomeo de Las Casas, e poi sfocia nelle idee emancipatrici ed egalitariste che attraverseranno la storia dalla Rivoluzione americana a quella francese, fino ai nostri giorni, alimentando gli ideali umanitari di diritti umani e di diritti dei popoli, forgiatori di una coscienza comune dell’umanità. Il sogno di un’umanità pacifica e fraterna, dell’affermazione di una giustizia terrena in grado di porre fine allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, alimentato dal processo della seconda mondializzazione, sarà bruscamente interrotto dalle due guerre mondiali e solo parzialmente ripreso in occasione della Rivoluzione comunista prima e dell’Internazionale socialista poi. Nel secondo dopoguerra inizierà un nuovo sogno. Il sogno di fiducia illimitata nelle potenzialità del Progresso, identificato con la marcia stessa della storia. Sembrava che l’illimitato sviluppo scientifico-tecnologico avrebbe garantito all’umanità un futuro planetario di ben-essere. Ma quello dello sviluppo è un mito fondato su concezioni riduzioniste: da un lato le società che raggiungono un certo benessere mettono alla portata di più individui un crescente numero di beni, identificati con la felicità; dall’altro si interpreta la crescita economica e dei consumi come il motore necessario e sufficiente a tutti gli altri sviluppi (sociali, psichici e morali), ignorando i problemi dell’identità, della solidarietà e della cultura. In realtà il quadrimotore della prima mondializzazione – scienza, tecnica, industria e profitto – anziché produrre benessere generalizzato, ha aumentato la divaricazione a forbice tra Nord e Sud del mondo, accrescendo sperequazioni e disuguaglianze (il 20 % della popolazione mondiale consuma l’80 % dei prodotti terrestri); ha implicato la globalizzazione dei mercati, con la conseguente omologazione: culture millenarie sono state marginalizzate e distrutte, perché ritenute obsolete, arretrate, involute. Ma ha anche contribuito ad aumentare, vertiginosamente, quei malesseri generali all’interno delle società occidentali -anonimato, spaesamento, atomizzazione e perdita di senso - contro cui lottiamo individualmente, scambiandoli per “mali privati”. 5. L’emergenza possibile di una società-mondo I paesi in via di sviluppo che hanno importato i modelli occidentali e soffrono dei medesimi mali, sono la dimostrazione evidente che la ricerca del benessere, basata sul paradigma del consumo compulsivo, corrisponde ad un’illusione o, meglio, ad un’aberrazione del pensiero semplificatore. Esistono oggi le condizioni perché si affermino le idee emancipatrici, contrapposte a quelle di dominazione e di sfruttamento, anche grazie all’operato di organismi e movimenti antiglobalizzazione (come Greenpeace, Amnesty International, Medici senza Frontiere, Survival International, Emergency…) che, per quanto frammentati e con difficoltà ad elaborare modalità di un’azione unitaria, lavorano per l’emergenza di una società-mondo. Essi operano e si radicano in ogni angolo della terra in cui la negazione dei diritti umani e ambientali provochi sofferenza, senza distinzione di etnia, identità, religione, ideologia. Denunciando e criticando le pratiche anti-ecologiche dei governi e delle multinazionali che ledono i diritti umani, aggravano le disuguaglianze e annullano le culture premoderne non occidentali, questi movimenti diffondono la consapevolezza che i problemi mondiali esigono risposte mondiali e soluzioni planetarie, elaborate da un’antropolitica, o politica per l’uomo. L’emergenza di una società-mondo non è sicura, secondo gli autori, ma un evento possibile a partire dall’elaborazione e diffusione di un vissuto del pianeta come Casa comune, come Terra-Patria, superando le miopi ottiche nazionalistiche che credono di poter affrontare problemi sovranazionali elaborando istanze collettive a livello nazionale. Gli avvenimenti di Seattle e di Porto Alegre (Brasile 2001) segnano il superamento dei confini nazionali della semplice protesta e una volontà inedita di affrontare i problemi mondiali attraverso la formazione di un coscienza cittadina trans-nazionale. Tuttavia, per consentire l’emergenza di una società-mondo è necessario rivoluzionare i paradigmi cognitivi, a cominciare dalla formazione scolastica. 8 Op. cit. p. 81. 4 CLIO ’92 ASSOCIAZIONE DI INSEGNANTI E RICERCATORI SULLA DIDATTICA DELLA STORIA Bisogna che l’educazione planetaria ribalti le ottiche unidimensionali del pensiero semplificatore, mettendo in discussione non soltanto gli schemi economici, ma anche quelli culturali di una occidentalità tronfia, che impone il suo senso e le sue norme. Per questo è necessario che gli insegnanti, da funzionari o professionisti, si trasformino in “trasmettitori di strategie per la vita” e che riscoprano la dimensione dell’eros nell’insegnamento, inteso come amore per la conoscenza e per gli allievi. Ma, congiuntamente, bisogna anche lavorare alla nascita di una politica della complessità, capace di prendere in considerazione il contesto planetario per elaborare strategie di intervento in grado di prevedere azioni e retroazioni, pur muovendosi in contesti aleatori, incerti, fluttuanti, aperti a innumerevoli possibilità. Solo la formazione di una coscienza civica planetaria permetterà l’emergenza di una società-mondo, rafforzando comportamenti e capacità utili a superare gli ostacoli di politiche unidimensionali, sostituendo “il modello hegeliano maschile, adulto, tecnico, occidentale (…) e risvegliando fermenti civilizzatori femminili, giovanili, senili, multietnici e multiculturali del patrimonio umano”.9 INDICE DEL LIBRO Prefazione di Edgar Morin Introduzione: Edgar Morin, o della nostalgia dell’errante di Bianca Spadolini Capitolo primo: Il Metodo (Strategie per la conoscenza e l’azione su un cammino che si inventa) Introduzione Il rapporto tra l’esperienza, il metodo e il saggio Il metodo come viaggio e trasfigurazione Il rapporto tra il metodo e la teoria L’errare e l’errore Il metodo come strategia I principi generativi e strategici del metodo Il metodo e la sua esperienza tragica Capitolo secondo: La complessità del pensiero complesso (Il pensiero complesso della complessità) Introduzione La confusione tra caos, complessità e determinismo Caratteristiche del pensiero complesso Capitolo terzo: Le sfide dell’era planetaria (L’emergenza possibile di una società-mondo) Introduzione La nascita dell’era planetaria L’età del ferro planetaria Dall’illusione dello sviluppo alla mondializzazione economica Il rovescio della medaglia L’emergenza possibile della società-mondo Epilogo: La missione dell’educazione per l’era planetaria 9 Op cit p. 125 5