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- Novità fiscali
Diritto tributario italiano
Applicabilità della disciplina CFC italiana
alle società controllate svizzere:
la verifica dell’effective tax rate
Andrea Gallizioli
Dottore Commercialista
Studio Tributario Associato
Scarioni Angelucci
I soggetti italiani che detengono partecipazioni di
controllo in determinate società svizzere sono tenuti
annualmente a confrontare il livello di tassazione
effettiva gravante sulla società svizzera con l’effective tax
rate italiano
1.
I tratti essenziali della disciplina CFC italiana
La disciplina sulle Controlled Foreign Companies (di seguito CFC)
è stata introdotta in Italia dall’articolo 1 della Legge del 21 novembre 2000 (entrata effettivamente in vigore a partire dal
periodo d’imposta 2002), con l’obiettivo di contrastare forme
aggressive di pianificazione fiscale finalizzate al trasferimento
di utili in strutture societarie situate in Stati o territori aventi
fiscalità privilegiata.
Tale disciplina è attualmente contenuta nell’articolo 167 del
Decreto del Presidente della Repubblica (di seguito D.P.R.)
n. 917/1986 (detto anche Testo Unico delle Imposte sui Redditi,
di seguito TUIR), e prevede, in sostanza, l’imputazione per trasparenza in capo ai soci controllanti residenti dei redditi prodotti da società controllate estere situate in Stati riconosciuti
come fiscalmente vantaggiosi[1].
Più precisamente, la norma dispone che il reddito del soggetto
estero, dopo essere stato rideterminato secondo le disposizioni previste per le imprese residenti, è assoggettato a tassazione separata in capo al socio controllante italiano (sia esso una
persona fisica o un’entità giuridica), a prescindere dalla sua effettiva percezione[2][3].
in Italia, della mancanza di un adeguato scambio di informazioni ovvero di altri criteri equivalenti[4].
A decorrere dal periodo d’imposta 2010, le medesime disposizioni sono state estese (per effetto del Decreto Legge [di seguito D.L.] n. 78/2009), anche alle società controllate estere residenti in Stati o territori diversi da quelli elencati nel predetto
decreto (cosiddetti Stati “white-list”), ma solamente al ricorrere
di determinate condizioni.
Più precisamente, a norma del comma 8-bis del citato articolo 167 TUIR, l’imputazione per trasparenza in capo ai soci
controllanti residenti dei redditi prodotti da società controllate
estere residenti in Stati “white-list” “trova applicazione […] qualora
ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni:
a) (ndr. i soggetti controllati esteri) sono assoggettati a tassazione
effettiva inferiore a più della metà di quella a cui sarebbero stati
soggetti ove residenti in Italia;
b) hanno conseguito proventi derivanti per più del 50% dalla gestione, dalla detenzione o dall’investimento in titoli, partecipazioni,
crediti o altre attività finanziarie, dalla cessione o dalla concessione in uso di diritti immateriali relativi alla proprietà industriale,
letteraria o artistica nonché dalla prestazione di servizi nei confronti di soggetti che direttamente o indirettamente controllano
la società o l’ente non residente, ne sono controllati o sono controllati dalla stessa società che controlla la società o l’ente non
residente, ivi compresi i servizi finanziari”.
La disciplina CFC può dunque applicarsi alle società controllate “white-list” solo qualora svolgano particolari attività (condizione sub-b).
Si tratta, più precisamente, delle società che conseguono più
del 50% dei loro proventi attraverso:
◆
L’ambito di applicazione della disciplina CFC era inizialmente riservato alle sole controllate estere residenti o localizzate
in Stati o territori cosiddetti “black-list”, che sono inclusi nell’apposita lista di cui al D.M. del 21 novembre 2001 in ragione del
livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato
◆
◆
la gestione, detenzione o investimento in titoli, partecipazioni, crediti o altre attività finanziarie (è il caso delle società
holding di partecipazione o delle società di investimento);
la gestione di diritti immateriali relativi alla proprietà industriale (quali marchi e brevetti), letteraria e artistica;
le prestazioni di servizi verso altre società del gruppo.
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Come precisato dall’Agenzia delle Entrate, rientrano in tale
categoria – oltre alle società che svolgono servizi di contabilità, tesoreria e consulenza – anche le cosiddette “trading
companies” (ossia quelle società che effettuano operazioni
di compravendita di merci e prodotti finiti con controparti
appartenenti al medesimo gruppo) e le società che effettuano a favore di altre società del gruppo servizi produttivi
(come, ad esempio, la lavorazione di merci)[5].
Qualora la società controllata estera svolga una delle predette
attività, per valutare se sia applicabile la tassazione “per trasparenza” in capo al socio controllante italiano prevista dalla
disciplina CFC, è dunque necessario verificare la condizione
sub-a), relativa al confronto tra la tassazione effettiva che la
società controllata subisce nello stato estero e quella “virtuale”
italiana; tale comparazione va fatta con riferimento ad ogni
singolo periodo d’imposta.
Si ricorda, infine, che il regime CFC può essere disapplicato
in presenza di determinate cause esimenti, la cui sussistenza
deve essere dimostrata attraverso un’apposita istanza di ruling
preventiva all’Agenzia delle Entrate. Si tratta di esimenti che
differiscono a seconda che la società estera sia residente in
Stati o territori “black-list” oppure in Stati o territori “white-list”.
Più precisamente:
◆
◆
nel caso delle società residenti in Paesi a fiscalità privilegiata, la disciplina CFC non trova applicazione solo se il
soggetto controllante residente dimostra alternativamente che la società svolge un’effettiva attività industriale
o commerciale, come sua principale attività, nel mercato
dello Stato o territorio di insediamento, oppure che dalla
partecipazione nella società estera non consegue l’effetto
di localizzare i redditi in Stati o territori “black-list”;
nel caso di società controllate residenti in Stati “white-list”,
l’applicazione della disciplina CFC può essere evitata attraverso la presentazione di un’istanza che dimostri che
l’insediamento all’estero non rappresenta una costruzione
artificiosa volta a conseguire un indebito vantaggio fiscale.
In pratica, senza entrare nel dettaglio delle rispettive esimenti, si può osservare che sarà maggiormente difficile ottenere
la disapplicazione della disciplina CFC per le società diverse
da quelle industriali e commerciali, che svolgono prevalentemente attività “immateriali”, senza la necessaria presenza di
una struttura fisica significativa.
2.
L’applicazione del regime CFC alle società controllate svizzere
Con particolare riferimento alle società svizzere controllate
da soggetti residenti in Italia, occorre innanzitutto ricordare
che la Svizzera non è inclusa “tout court” nell’elenco di Stati
e territori considerati a “fiscalità privilegiata” di cui al citato
D.M. del 21 novembre 2001, bensì, ai sensi dell’articolo 3 di
tale decreto sono considerate come residenti in uno Stato
“black-list”:
◆
le società svizzere “non soggette alle imposte cantonali
e municipali, quali le società holding, ausiliarie e di domicilio”
(comma 1, punto 14);
◆
i soggetti e le attività insediati in Svizzera “che usufruiscono
di regimi fiscali agevolati sostanzialmente analoghi […] in virtù di
accordi o provvedimenti dell’amministrazione finanziaria dei medesimi Stati” (comma 2).
Ne consegue che la disciplina CFC trova applicazione nei confronti dei soggetti residenti italiani che detengono partecipazioni di controllo in società svizzere che beneficiano dell’esenzione
dalle imposte comunali e cantonali, ovvero di regimi agevolativi
di analoga natura[6].
Ciò posto, anche le altre società controllate svizzere che non
beneficiano dei predetti regimi fiscali di favore potrebbero rientrare nell’ambito di applicazione della disciplina CFC prevista
per le società residenti o localizzate in Stati o territori “whitelist”, in presenza delle specifiche condizioni richieste dalla legge.
Si tratta, quindi, delle società che realizzano la maggior parte dei loro proventi con lo svolgimento di determinate attività (attività di holding, di gestione di beni immateriali, di servizi infragruppo, inclusi i servizi di trading e di lavorazione delle
merci) e che presentano una tassazione effettiva inferiore alla
metà di quella a cui tali società sarebbero soggette, qualora
residenti in Italia.
3.
Confronto tra la tassazione effettiva svizzera e la tassazione “virtuale” italiana
Per confrontare la tassazione effettiva estera e quella “virtuale”
italiana, si precisa innanzitutto che devono essere prese in considerazione:
◆
◆
per l’Italia, solamente l’Imposta sul Reddito delle Società (di
seguito IRES), escludendo, quindi, l’Imposta Regionale sulle
Attività Produttive (di seguito IRAP);
sul fronte dello Stato estero, esclusivamente le imposte sul
reddito, da individuare facendo riferimento, ove esistente, alla
Convenzione per evitare le doppie imposizioni vigente con lo
Stato estero nel quale la società controllata è residente[7].
Nel caso in esame, l’IRES italiana (con un’aliquota pari al 27.5%),
deve, quindi, essere confrontata con le imposte sul reddito
svizzere individuate dalla Convenzione per evitare le doppie
imposizioni tra Italia e Svizzera del 9 marzo 1976 (indicate
all’articolo 2 paragrafo 3 della Convenzione) e, quindi, le imposte federali, cantonali e comunali sul reddito (con un’aliquota
complessiva che indicativamente varia, a seconda del Cantone
e del Comune di residenza, dal 13% al 25% circa)[8].
Novità fiscali / n.4 / aprile 2015
Ai fini del confronto tra i due livelli di tassazione, è inoltre necessario fare riferimento, per entrambi i Paesi, al carico effettivo d’imposizione – cosiddetto “effective tax rate” – che, sulla
base di quanto chiarito dall’Agenzia delle Entrate, si determina
come rapporto tra l’imposta corrispondente al reddito imponibile e l’utile ante imposte risultante dal bilancio d’esercizio
della società controllata estera.
applicate le aliquote federali, cantonali e comunali vigenti
nell’anno considerato. Non assumono, quindi, rilevanza le
imposte effettivamente pagate nonché eventuali crediti
d’imposta per redditi prodotti all’estero o per ritenute d’acconto subite ad opera di sostituti d’imposta[9]. Nel calcolo
delle imposte, inoltre, si deve tenere conto di eventuali agevolazioni spettanti al singolo contribuente sulla base di appositi ruling conclusi con l’Amministrazione fiscale estera;
b) calcolo dell’effective tax rate svizzero: l’ammontare delle
imposte determinato sub-a) viene rapportato all’utile ante
imposte risultante dal bilancio d’esercizio.
Tale tax rate deve, quindi, essere confrontato con l’effective tax
rate italiano, da determinarsi come segue:
Nel confronto assumono, dunque, rilevanza, non solo le aliquote nominali di imposizione dei due Paesi, ma anche le rispettive
regole di determinazione del reddito imponibile. Pertanto, anche qualora l’aliquota d’imposta nominale gravante sulla società estera dovesse risultare uguale o di poco inferiore all’aliquota
nominale dell’IRES (cosa che si verifica nel caso di molte società
svizzere), potrebbe comunque accadere che l’effective tax rate
estero risulti inferiore alla metà dell’effective tax rate italiano per
effetto delle diverse regole di determinazione dell’imponibile.
Da un punto di vista operativo, occorre, dunque, procedere annualmente a calcolare l’effective tax rate svizzero, come segue:
a) determinazione delle imposte svizzere corrispondenti al
reddito imponibile: al reddito imponibile risultante dalla dichiarazione dei redditi presentata in Svizzera devono essere
a) il reddito imponibile è determinato apportando all’utile ante imposte risultante dal bilancio d’esercizio (redatto
secondo la normativa svizzera) le variazioni in aumento
e in diminuzione previste dalle disposizioni del TUIR per la
determinazione della base imponibile IRES[10];
b) il reddito imponibile così determinato viene sottoposto ad
aliquota IRES del 27.5%, ottenendo l’ammontare delle imposte “virtuali” italiane;
c) le imposte “virtuali” vengono, infine, rapportate all’utile
ante imposte emergente dal bilancio della società controllata, ottenendo il valore dell’effective tax rate italiano.
4.
Esempio: calcolo dell’effective tax rate italiano per una
società holding di partecipazione
Al fine di meglio comprendere le “dinamiche” che possono influenzare la determinazione degli effective tax rate, si consideri il caso di una società holding di partecipazione, la quale
nel corso dei periodi d’imposta 2013 e 2014 abbia presentato
i seguenti risultati economici (cfr. Tabella 1):
Tabella 1: Conto economico 2013 e 2014 di una società holding di partecipazione
2013
2014
Importi in franchi
Dividendi provenienti da società del gruppo residenti in Stati white-list
150’000
50’000
Dividendi provenienti da società del gruppo residenti in Stati black-list
10’000
90’000
Interessi attivi da finanziamenti a società del gruppo e da altri investimenti in attività liquide
40’000
60’000
Totale Ricavi
200’000
200’000
Compensi amministratori (corrisposti nell’anno)
(20’000)
(20’000)
Altri costi di gestione
(20’000)
(20’000)
Interessi passivi da finanziamenti bancari
(10’000)
(10’000)
Totale Costi
(50’000)
(50’000)
Utile ante imposte
150’000
150’000
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Per determinare l’effective tax rate italiano di tale società occorrerà, innanzitutto, apportare all’utile ante imposte dei due esercizi
le variazioni in aumento e in diminuzione previste dalle disposizioni del TUIR per la determinazione della base imponibile IRES
della società. Nel caso specifico, e con alcune semplificazioni:
1) deve essere portata in diminuzione del reddito una quota pari
al 95% dei dividendi provenienti da società residenti in Stati
“white-list”, come previsto dall’articolo 89 comma 2 TUIR;
2) deve essere lasciata invariata la componente di dividendi
provenienti da società residenti in Stati “black-list”, nonché
degli interessi attivi che concorrono integralmente a formare il reddito imponibile;
3) gli interessi passivi da finanziamenti bancari sono interamente deducibili ai sensi dell’articolo 96 TUIR, poiché trovano capienza negli interessi attivi;
4) anche i compensi degli amministratori sono interamente
deducibili poiché sono stati corrisposti nell’anno (ai sensi
dell’articolo 95 comma 5 TUIR i compensi degli amministratori sono infatti deducibili secondo il criterio “di cassa”);
5) infine, si considera per semplicità che gli altri costi di gestione siano deducibili nella misura del 50% (si ipotizza,
infatti, la presenza di alcune spese non inerenti e di altri costi che, ai sensi della normativa italiana, sono deducibili solo
entro certi limiti come, ad esempio, le spese telefoniche o le
spese di rappresentanza). Occorrerà pertanto operare una
variazione in aumento del reddito pari alla quota indeducibile dei costi di gestione.
Il reddito virtualmente imponibile in Italia e il conseguente effective tax rate italiano sono indicati nella Tabella 2.
Nel caso ipotizzato, la disciplina CFC (con la conseguente
tassazione per trasparenza in capo al socio controllante italiano dei redditi della società svizzera), troverebbe dunque
applicazione nell’ipotesi in cui l’effective tax rate svizzero – da
determinare secondo le regole illustrate nel paragrafo precedente – dovesse risultare inferiore all’1.61% nel 2013 e al
10.32% nel 2014. Al riguardo, si osserva che massima rile-
vanza assumeranno il regime fiscale svizzero che disciplina
la rilevanza dei dividendi ai fini della determinazione del reddito imponibile. Laddove, ad esempio, fosse operante un regime di esclusione totale dal reddito imponibile dei dividendi
(anche di quelli provenienti da paradisi fiscali), si avrebbe, in
entrambi i periodi d’imposta considerati, un effective tax rate
svizzero prossimo allo zero, con la conseguente applicazione
della disciplina CFC.
5.
Considerazioni conclusive
Oltre alle società controllate svizzere che beneficiano dell’esenzione dalle imposte comunali e cantonali (nonché di analoghi regimi agevolativi), anche altre società controllate svizzere potrebbero, al ricorrere di determinate condizioni, essere
assoggettate alla disciplina CFC.
È necessario, anzitutto, che la maggior parte dei proventi della
società derivino dallo svolgimento di specifiche attività (attività
di holding, di gestione di beni immateriali, di servizi infragruppo,
inclusi i servizi di trading e di lavorazione della merce). In secondo
luogo, occorre che l’effective tax rate svizzero gravante sulla
società sia inferiore alla metà dell’effective tax rate che la stessa
subirebbe nell’ipotesi in cui fosse residente in Italia.
Il confronto tra i due carichi impositivi può portare a risultati
molto differenti a seconda delle voci di ricavo e di costo che
compongono il conto economico della società in ciascun periodo d’imposta, con un impatto significativo sul livello di tassazione effettiva. Si tratta, dunque, di un’analisi che deve essere
svolta caso per caso, anno per anno, senza che sia possibile determinare facilmente a priori quali società controllate svizzere
potranno subire o meno l’applicazione della disciplina CFC.
In tale confronto, appare solo marginale la rilevanza delle aliquote d’imposta nominali sul reddito, anche in considerazione del fatto che l’aliquota complessiva delle imposte federali,
cantonali e comunali, dovrebbe risultare, in molte situazioni,
solo di poco inferiore all’aliquota IRES del 27.5%.
Tabella 2: Effective tax rate italiano per il 2013 e 2014
2013
2014
Importi in franchi
Utile ante imposte
150’000
150’000
(142’500)
(47’500)
Variazione in aumento per la quota dei costi di gestione indeducibili
10’000
10’000
Reddito imponibile
17’500
112’500
IRES “virtuale” (27.5%)
4’813
30’938
Effective tax rate (IRES “virtuale”/utile ante imposte)[11]
3.21%
20.63%
Variazione in diminuzione per dividendi provenienti da società residenti in Stati white-list
(95% dei dividendi percepiti)
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Determinanti saranno, invece, le differenze strutturali tra il sistema della determinazione del reddito imponibile in Italia e il
calcolo del reddito imponibile in Svizzera. Andranno, in particolare, valutate con attenzione eventuali differenze tra la normativa italiana e quella svizzera circa l’eventuale esclusione,
parziale o totale, dalla base imponibile di alcune voci di ricavo
(quali, ad esempio, dividendi, plusvalenze, royalties, interessi,
eccetera), nonché circa eventuali limiti alla deducibilità di alcune voci di costo (si pensi, per esempio, alla deducibilità degli
interessi passivi nell’ipotesi di società che presentano un alto
livello di leva finanziaria).
[1] L’articolo 167 comma 1 TUIR dispone testualmente che “Se un soggetto residente in Italia detiene, direttamente o indirettamente, anche tramite
società fiduciarie o per interposta persona, il controllo di una impresa, di una società o di altro ente, residente o localizzato in Stati o territori diversi da quelli di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle
finanze emanato ai sensi dell’articolo 168-bis (ndr.
nelle more dell’emanazione del decreto, si fa riferimento ai soggetti residenti negli Stati a regime fiscale privilegiato di cui al Decreto ministeriale [di seguito D.M.]
del 21 novembre 2001), i redditi conseguiti dal soggetto
estero partecipato sono imputati, a decorrere dalla
chiusura dell’esercizio o periodo di gestione del soggetto
estero partecipato, ai soggetti residenti in proporzione
alle partecipazioni da essi detenute”.
[2] Ai sensi del comma 3 dell’articolo 167 TUIR,
è stabilito che per la determinazione del requisito
del controllo si applica l’articolo 2359 del Codice civile, cosicché una società si considera “controllata” in
presenza: (i) della maggioranza dei voti esercitabili
nell’assemblea ordinaria; oppure (ii) di voti sufficienti
per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria; oppure (iii) di un’influenza dominante
in virtù di particolari vincoli contrattuali.
[3] Si ricorda, inoltre, che per accertare l’esistenza del requisito del “controllo” in capo alle persone fisiche si deve
tener conto anche delle partecipazioni possedute dai
familiari, ossia dal coniuge, dai parenti entro il terzo gra-
Elenco delle fonti fotografiche:
http://www.alavie.it/wp-content/uploads/freshizer/088fbf48e239ac86c
4a3da91756b8d8e_The_Black_List-697-c.jpg [13.04.2015]
http://paradisifiscaliltd.com/wp-content/uploads/2011/11/paradisi-fiscali.png [13.04.2015]
http://www.rivista.ssef.it/file/public/immagini/2010/01-03/tuir600.jpg
[13.04.2015]
do e dagli affini entro il secondo grado (cfr. articolo 1
comma 3 D.M. del 21 novembre 2001, n. 429).
[4] A tal riguardo, si segnala che la recente Legge
n. 190/2014 (“Legge di Stabilità 2015”) ha disposto
che, per individuare gli Stati a fiscalità privilegiata ai fini della disciplina CFC, “Si considera livello di
tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato
in Italia un livello di tassazione inferiore al 50 per cento di quello applicato in Italia. Si considerano in ogni
caso privilegiati i regimi fiscali speciali che consentono
un livello di tassazione inferiore al 50 per cento di quello applicato in Italia, ancorché previsti da Stati o territori che applicano un regime generale di imposizione
non inferiore al 50 per cento di quello applicato in Italia”. Tale disposizione dovrebbe comportare una
riduzione degli Stati “black-list” attualmente inclusi nella lista di cui al D.M. 21 novembre 2001, posto che fino ad ora il Ministero ha considerato tali
(inserendoli nell’elenco) tutti quegli Stati con una
tassazione inferiore al 30% rispetto a quella media italiana (cfr. Miele Luca, “CFC”, taglio alla black
list, in: Il Sole 24 Ore, 24 dicembre 2014, pagina 32,
http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/
2014-12-24/cfc-taglio-black-list-064031.
shtml?uuid=ABBhQCVC [13.04.2015]).
[5] Cfr. Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 28E del
21 giugno 2011, paragrafo 3.
[6] Si precisa inoltre che, sulla base dei chiarimenti
forniti dall’Agenzia delle Entrate, non possono consi-
derarsi estranee al regime fiscale “privilegiato” quelle
società che, pur potendo beneficiare di un regime
fiscale di favore con riferimento alle imposte comunali e cantonali, decidono di rinunciarvi e di applicare il regime di tassazione ordinario (cfr. Risoluzione
n. 358, del 15 novembre 2002, e Risoluzione n. 288,
dell’11 ottobre 2007).
[7] In tal senso si veda la Circolare dell’Agenzia delle
Entrate n. 51E del 6 ottobre 2010.
[8] Vorpe Samuele, Il prelievo fiscale nei Cantoni e
nella Confederazione ai fini delle imposte dirette,
Anno 2013, pagina 25, in: http://www.supsi.ch/fisco/dms/fisco/docs/pubblicazioni/articoli/Concorrenza_2013.pdf [13.04.2015].
[9] Nella Circolare n. 51E/2010, l’Agenzia delle Entrate ha, infatti, affermato che “non è […] rilevante l’eventuale utilizzo in sede di versamento di crediti d’imposta
per redditi prodotti all’estero riconosciuti dallo Stato di insediamento, nonché di ritenute d’acconto subite ad opera
di sostituti d’imposta o altri soggetti locali”.
[10] Si precisa che, come da indicazioni dell’Agenzia
delle Entrate, in sede di calcolo dell’effective tax rate
italiano non si deve tener conto della disciplina sulle
società di comodo (cfr. Circolare 26 maggio 2011, n.
23E, quesito 2.1).
[11] Effective tax rate 2013 = 4’813/150’000=3.21%
ed Effective tax rate 2014 = 30’938/150’000=20.63%.
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