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gli undici comandamenti
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Ι comandamenti erano undici: chi ha censurato il primo?
Eva non "è nata" da una costola di Adamo
Il diluvio non durò 40 giorni...
...e l'Arca di Noè non era una barca
La manna non cadde dal cielo
Giona non fu inghiottito da una balena
Gesù non nacque il 25 dicembre...
... non di notte, e non nell'anno zero!
Ε la stella cometa non era una cometa
San Giuseppe non era un vecchietto
Gesù non cadde tre volte sul Calvario
Il buon ladrone: è davvero esistito?
Sfatate le dicerie che la tradizione popolare
ha diffuso nei secoli intorno
α fatti e personaggi della Bibbia.
«Α raccogliere l'immensa mole di equivoci, luoghi comuni e miti che nei secoli si sono accumulati intorno
alla Sacra Scrittura si sono impegnati due giornalisti, Elisabetta Broli e Roberto Beretta, che, come
segugi, sono andati alla ricerca di questi tartufi pseudo-biblici, deliziosi e maleodoranti al tempo stesso.
L'hanno fatto in modo brillante, e tuttavia serissimo, compiendo un'opera preziosa di "demitizzazione",
non nel senso devastante di certi autori razionalistici, che con l'acqua sporca gettano via anche il
bambino, ma nel senso benefico di una purificazione del messaggio al fine di distinguere il vero dal
falso. Ci auguriamo che - anche attraverso questa lettura, divertita e divertente - ancora una volta la
Bibbia riveli tutta la sua capacità di conquistare il cuore e la mente, il sentimento e la pietà, l'emozione
e il pensiero. Ma soprattutto torni α brillare nella sua autenticità, impegnando la fede e la vita dei
credenti e coinvolgendo tutti coloro che si muovono sulla via della ricerca».
dalla Prefazione di Gianfranco Ravasi
www.edizpiemme.it
ROBERTO BERETTA, giornalista, lavora alle pagine culturali del quotidiano «Avvenire». Fra le varie
pubblicazioni segnaliamo: La foresta che cresce. Uomini e donne senza frontiere (Emi, 1993);
Imprimatur. Ι cristiani α schegge e strisce (Gribaudi, 1995); con Giovanni Gazzaneo, Preti di strada. Le
frontiere dell'emarginazione e della speranza raccontate dai più noti sacerdoti "anti-droga" (Sei,
1995); Il piccolo ecclesialese illustrato (Ancora, 2000); con Piero Gheddo, davide e Golia. 1 cattolici e la
sfida della globalizzazione (San Paolo, 2001).
ELISABETTA BROLI, giornalista, ha curato il volume di don Antonio Mazzi Forse anche dio è cattivo?
(Piemme, 1997); con Carlo Broli ha pubblicato Cinque giorni α1 diluvio. Insolito viaggio per scoprire come
si vive oggi nel mondo (Edizioni Paoline, 2001).
In sovraccoperta: illustrazione di Iacopo Bruno
pag. 203
€ 12,90
ROBERTO BERETTA
ELISABETTA BROLI
GLI UNDICI
COMANDAMENTI
Equivoci, bugie e luoghi comuni
sulla Bibbia e dintorni
Prefazione di
Mons. GIANFRANCO RAVASI
Elisabetta Broli ha curato la parte relativa all'Antico Testamento; Roberto Beretta quella sul Nuovo
Testamento.
Ι
Edizione 2002
II Edizione, novembre 2002
ΙΙΙ Edizione, gennaio 2003
IV Edizione, febbraio 2003
© 2002 - EDIZIONI ΡΙΕΜΜΕ Spa
15033 Casale Monferrato (AL) - Via del Carmine, 5 Tel. 0142/3361 - Fax 0142/74223
www.edizpiemme.it
PIEMME
Indice
Prefazione di Gianfranco Ravasi
Introduzione
VII
1
L’ANTICO TESTAMENTO
Dio ci ha creati due volte?
Eva non è nata da una costola di Adamo
…e non ha mai mangiato una mela
Matusalemme & Co. vivevano fino α mille anni?
Ιl diluvio non durò 40 giorni ma un anno
Noè prese con sé sette coppie di ogni animale
L'Arca era un sommergibile
Torre di Babele: altro che sfida α dio!
La moglie di Lot non divenne una statua di sale
L'acqua del Nilo non si trasformò in sangue
…e (forse) i primogeniti egiziani non furono uccisi
Gli Ebrei non attraversarono alcun mare
…e comunque non era il Mar Rosso
Fuga degli Ebrei dall'Egitto: storia ο leggenda?
Ε se fuga fu, in quanti scapparono?
La manna non cadde dal cielo
…e anche le quaglie sono un fenomeno naturale
Ι Comandamenti erano undici
…anzi dodici
Le versioni dei Comandamenti sono due
Ι Comandamenti non furono dettati α Mosè
…e non furono scritti su tavole di pietra
Ma Mosè aveva le corna?
Mura di Gerico: le trombe non c'entrano
Davide (forse) non uccise Golia
…e non bruciò i nemici nelle fornaci
Giona non fu inghiottito da una balena
Legge del taglione: una legge giusta
Jahνé è il dio della vendetta? 7
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77
NUOVO TESTAMENTO
Gesù non è nato il 25 dicembre
…nοn è nato di notte
85
88
…nοn è nato nell'anno zero
…nοn è nato in una grotta
Giuseppe e Maria non furono cacciati dagli alberghi
Α Betlemme non c'erano il bue e l'asinello
Ma che cosa hanno detto veramente gli angeli?
La stella cometa? Non era una cometa
Ι re Magi erano quattro Ο forse due
…e poi non erano nemmeno re
Anche Babbo Natale è cristiano
Ε la Befana pure
Chi ha detto che l'albero di Natale è pagano?
L'immacolata concezione non è la verginità della Madonna
Ι nonni di Gesù non si chiamavano Gioacchino e Αnna
San Giuseppe non era un vecchietto
…e non faceva il falegname
Ι1 matrimonio della Madonna è vero ο finto?
Gesù non era biondo né bello
La Maddalena era una prostituta ο una pia donna?
Ιl discepolo prediletto non era san Giovanni
Gesù non fu accolto α Gerusalemme con rami d'ulivo
Ma Gesù è morto α Pasqua oppure no?
Gesù non cadde tre volte sul Calvario
…e nessuna Veronica gli asciugò il volto
Gesù in croce non aveva il perizoma
…e quando è morto non aveva 33 anni
Ιl buon ladrone: è davvero esistito?
Giuda si è impiccato ο no?
San Pietro non fu crocifisso α testa in giù
San Paolo non è mai caduto da cavallo
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93
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160
164
167
172
177
179
183
187
191
Bibliografia
195
Prefazione
È un luogo comune affermare — soprattutto per il nostro Paese — che la Bibbia sia un “libro assente”.
Lutero in uno dei suoi Discorsi a tavola in modo stizzito lamentava che “in Italia la Sacra Scrittura è
così dimenticata che rarissimamente si trova una Bibbia”. In realtà, prescindendo dalla forte impronta
in senso contrario data dal concilio Vaticano II, c’è una ormai secolare presenza evocativa, dai contorni
molto fluidi, che ha impregnato persino il linguaggio comune: le “piaghe d’Egitto” o “l’apocalisse” o
“seminare zizzania” o “il figlio prodigo” sono locuzioni di matrice biblica divenute patrimonio comune.
Naturalmente questa eco, spesso dovuta all’ascolto della predicazione e dell’antica catechesi, rimasta a
galleggiare nell’aria e respirata dalle varie generazioni, ha trascinato con sé particelle eterogenee,
persino spore inquinanti, suoni opachi o deformi. Fuor di metafora, si è assistito — in ambiente sia
popolare, sia colto — a una strana operazione di mixage tra elementi fondamentalistici (cioè dati e temi
biblici assunti letteralmente e materialmente a prescindere dal genere letterario o dalle immagini che li
avvolgevano) e componenti dovute alla tradizione comune, alla creatività artistica, al fervore
devozionale, alla fantasia apocrifa, ad arcaismi folclorici e persino a equivoci del tutto contingenti.
Tanto per fare due esempi — uno nobile, l’altro nazional-popolare — proprio lo stereotipo “figlio
prodigo” ha, certo, alla base un’autentica e splendida parabola evangelica (Luca 15, 11-32) ma
l’espressione non è testuale e non esprime neppure il senso ultimo del racconto lucano che ha in realtà
per protagonista un padre prodigo d’amore e per interlocutori due figli, l’uno prodigo nel peccato e
l’altro prodigo in grettezza e ipocrisia. L’altro esempio è più vicino a noi. Nel 1993, quando il settimanale
“Famiglia cristiana” volle iniziare la sua Bibbia per la Famiglia, in fascicoli da allegare alla rivista,
commissionò un ampio sondaggio sulla conoscenza della Sacra Scrittura in Italia, con risultati per certi
versi scontati. Una delle domande riguardava Dalila e comprendeva due possibilità di risposta: l’amicanemica di Sansone oppure la sorella di Lazzaro. La prevalenza cadde sulla seconda possibilità offerta,
perché essa echeggiava il nome dell’attrice Dalila di Lazzaro!
A raccogliere questa immensa miscela di equivoci, luoghi comuni e credenze tradizionali ora si sono
impegnati due giornalisti, Elisabetta Broli e Roberto Beretta, che, come segugi, sono andati alla ricerca
di questi tartufi pseudo-biblici, deliziosi e maleodoranti al tempo stesso. L’hanno fatto in modo brillante
e divulgativo: gli esegeti, che su questi dati intervengono con strumentazioni sofisticate, forse
avrebbero da eccepire in qualche caso o per lo meno da rifinire alcune argomentazioni. Tuttavia, i nostri
due compiono un’opera preziosa di “demitizzazione”, non nel senso devastante di certi autori razionalisti
(o, al contrario, di alcuni apologisti estremi) che con l’acqua sporca gettano via anche il bambino, ma nel
senso benefico di una purificazione della fede. Il credere è un impegno serio e severo e non dev’essere
dilatato anche verso ciò che non è necessario o verso ciò che è semplicemente pula.
Parlavo prima di bambino lavato da salvare. È curioso notare come in questa raccolta di pseudoverità
bibliche collezionate da Broli e Beretta, molte si sono raggrumate attorno ai Vangeli dell’infanzia di
Gesù, un testo di soli quattro capitoli (due di Matteo e due di Luca). Considerato però il tema, la
tradizione apocrifa per prima, quella popolare successiva e l’entusiasmo artistico hanno fatto sì che si
assistesse a una sorta di pirotecnia interpretativa, Così, si decise di far nascere Cristo il 25 dicembre,
di notte, in una grotta, con la compagnia di un bue e di un asino, con una stella cometa nel cielo, pronta a
guidare i tre Magi che erano anche re e così via.
Ebbene, di tutti questi particolari e di tante altre notizie curiose su quella nascita — che molti
venerano come dogmi — non c’è nessuna traccia nei Vangeli citati. C’è, però, la possibilità di
rintracciarne la genesi ed è ciò che viene fatto in queste pagine. Esse partono dal “principio”, cioè dalla
doppia narrazione della creazione con cui si apre la Genesi, e approdano fino a Paolo che, nonostante la
possente tela del Caravaggio a S. Maria del Popolo a Roma, non è mai caduto da cavallo sulla via di
Damasco (negli Atti degli Apostoli si legge solo: “Mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a
Damasco, all’improvviso lo avvolse una luce dal cielo e, cadendo a terra, udì una voce...” 9, 3-4). Ci
auguriamo, dunque, che — anche attraverso questa lettura divertita e divertente — la Bibbia sveli la
sua capacità di affascinare e di conquistare il cuore e la mente, il sentimento e la pietà, l’emozione e il
pensiero. Ma soprattutto torni a brillare nella purezza della sua autenticità, impegnando la fede e la
vita dei credenti e coinvolgendo tutti coloro che si muovono sulla via della ricerca.
Gianfranco Ravasi
Introduzione
Non possiamo non dirci cristiani, diceva un grande del secolo scorso, Benedetto Croce: colto quanto
laico. E — infatti e con eccezioni piuttosto rare, per il momento — continuiamo a dirci tali.
A dirci. Cioè a far battezzare i figli, a fare la prima comunione con la tunica bianca, a sposarci in chiesa,
insomma a mantenere un cattolicesimo anagrafico che — dopo le contestazioni dei decenni passati —
sembra persino ritornato di moda.
Ma se poi dovessimo navigare su Internet, o manovrare un telefonino, con conoscenze di base e
istruzioni per l’uso paragonabili a quello che davvero sappiamo della dottrina cristiana o del Vangelo (per
non parlare della Bibbia...), sarebbe come se insistessimo a inviare un Sms con la posta elettronica e
viceversa.
Perché gli italiani — già popolo di santi e navigatori — in realtà in materia cattolica sono analfabeti di
ritorno. Quando va bene, infatti, le loro conoscenze di dogmi e Scritture si fermano alle nozioni del
catechismo: ovvero all’età di 7 anni più o meno. Poi la vita è andata oltre e loro hanno continuato a
credere che Gesù è nato proprio il 25 dicembre, che Adamo ed Eva nel paradiso terrestre mangiarono
una mela e che san Giuseppe faceva il falegname. Come si crede a una favola.
Questo libro è nato proprio dallo stupore dei due autori nel constatare lo spaesamento e lo sconcerto
che si generavano in persone socialmente affermate, di buona cultura, non pregiudizialmente chiuse alla
religione, anzi talvolta praticanti, quando si insinuava loro che — magari — i re magi non erano
esattamente tre (e non erano nemmeno re...), oppure che — forse — il diluvio universale non durò
proprio quaranta giorni.
Ma come!! Noi abbiamo sempre saputo che Cristo è morto a 33 anni compiuti, di venerdì, e che i
comandamenti sono 10: né uno di più, né uno di meno. Adesso ci venite a dire che non è vero?. Allora in
chiesa i preti ci hanno sempre raccontato delle frottole?
Bisogna stare attenti a manovrare la Bibbia, se sta scritto — come sta scritto — che “finché non siano
passati il cielo e la terra, non passerà dalla legge neppure uno iota o un segno, senza che tutto sia
compiuto” (Matteo 5,18). Però c’è una bella differenza tra ciò che i Libri sacri contengono davvero e
quello che invece essi non dicono, non hanno mai detto eppure noi crediamo fermamente: neanche fosse
un dogma.
Miti, leggende, scritti apocrifi, amplificazioni, interpretazioni per eccesso o parziali, tradizioni si sono
stratificati in duemila anni di storia cristiana, caricando il nostro presunto sapere religioso di dati
alquanto lontani dall’originale. In nessun luogo del Vangelo, per esempio, sta scritto che Gesù cadde tre
volte sul Calvario, e ciò nonostante noi ne siamo certissimi; né il libro omonimo ci presenta il profeta
Giona inghiottito da una balena, come successe a Pinocchio: eppure siamo pronti a giurare che avvenne
proprio così.
Beninteso: non si tratta di aggiungere (in tempi di contestate riscritture della storia) un altro
“revisionismo” ai molti già esistenti sul mercato. E nemmeno di ridare fiato a una certa esegesi
razionalista delle Scritture, che in passato giungeva a dubitare di qualunque frase della Bibbia (c’erano
esperti che contavano sulle dita di una sola mano le parole dei Vangeli sicuramente pronunciate da
Cristo; le altre, tutte aggiunte postume...) e che ha ormai fatto il suo tempo. Ma nemmeno di far
passare per certezza assoluta e intoccabile ciò che tale non è, né è mai stata davvero per la Chiesa.
Che non sia mai esistito un personaggio come la Veronica, per dire, la donna che asciugò le ferite di
Gesù mentre portava la croce, è un dato di fatto confermato dalle fonti ufficiali e ortodosse anche se
un ruolo come il suo risulta ben verosimile e anche se la pia donna si è conquistata un posto nella
devozione popolare da almeno 5 secoli. E che dire allora dell’asino e del bue, che nessuno mai
ometterebbe dal presepio (a proposito: grotta, capanna o nessuna delle due, per la Natività?) e che
invece nel Vangelo non si trovano proprio, neanche a cercarli con la lente d’ingrandimento?
Ripetiamo: non si vuole fare qui alcuna operazione di iconoclastia, presumendo di “rivelare” chissà quali
novità nella dottrina cattolica; anche perché tutti i dati riportati sono patrimonio largamente acquisito
o almeno discusso dai più autorevoli e imparziali studiosi del settore. Solo si desidera stuzzicare il
lettore — cristiano e no — a scoprire (possibilmente con un certo divertimento) quante cose credeva di
sapere sulla fede cattolica e invece non stanno affatto come lui pensava; quante “certezze” assolute del
suo bagaglio culturale, ormai dato per acquisito magari da decenni, devono essere assolutamente riviste.
Ma c’è un corollario interessante. Qualcuno, infatti, potrebbe sentirsi alla fine buggerato, o usare i
capitoli di questo libro come altrettante armi da brandire contro l’oscurantismo della Chiesa, che per
secoli ha celato ai suoi stessi fedeli i reali contenuti delle Scritture, quando non ha insegnato
deliberatamente il falso o addomesticato e amplificato i testi originali con aggiunte fantasiose ed
arbitrarie.
In realtà, invece, esaminando caso per caso le “bugie” qui allineate, si scopre che il formarsi di una
tradizione, ancorché spuria, è una faccenda ben più complessa di qualunque schema ideologico. E non è
che i nostri padri, o bisnonni, fossero tanto più impreparati di noi da “bersi” — che so — la storiella del
diluvio universale o quella di san Paolo caduto da cavallo solo per ingenuità o incultura.
C’è sempre un motivo preciso, una ragione storica nell’attestarsi di una comune credenza o di una
devozione popolare: la risposta a una necessità culturale del momento, il tentativo di spiegazione di un
fatto poco chiaro, talvolta un complesso sistema di rimandi a fonti e simboli oggi non più attuali ma
all’epoca molto significativi... Senza contare che pure le nostre “prove razionali” (vedi il caso della stella
cometa di Betlemme, su cui si sono formulate le ipotesi più varie: e se poi si fosse trattato sul serio di
una cometa sconosciuta?) sono parziali, provvisorie e soggette a probabili smentite future.
Insomma, non per volontà d’inganno la Chiesa avrebbe “detto bugie” (se le ha dette) né per frode ha
lasciato credere veri alcuni particolari per lo meno dubbi; bensì per spiegare o alludere a una verità più
alta. Una verità che — magari — non sdegna di comprendere in sé echi di sapienze passate e di miti
antichi, raccogliendo così il cuore dell’umano espresso nelle culture di tutti i tempi.
ANTICO TESTAMENTO
Dio ci ha creati due volte?
Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e
disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi...” (Genesi 1, 27-28)1.
Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo
divenne un essere vivente (Genesi 2, 7).
Silenzio assoluto. La terra è ancora informe, le tenebre ricoprono l’abisso e lo spirito divino aleggia
sulle acque. Poi Dio decide di mettersi al lavoro: “Sia la luce” dice, tanto per cominciare; ed ecco creata
la luce: alle 9 del 26 ottobre del 4004 a.C. Per lo meno secondo il teologo inglese John Lightfood il
quale, partendo dagli studi di un vescovo anglicano del Seicento e dalla Bibbia, ha stabilito anno, giorno
e ora dell’inizio del mondo. E di conseguenza l’età del nostro pianeta: 6.006 anni, calcolandoli nel 2002
d.C.
Sulla creazione del mondo e di Adamo-Eva ogni studioso ha voluto dire la sua. C’è chi sostiene che,
prima del nostro, Dio ha creato altri mondi: per poi distruggerli subito, deluso. Per altri, poiché il solo
pensare di Dio è già creazione, il mondo non può essere nato che completo: ma i vari oggetti sono stati
messi in circolo poco alla volta, in modo che si potessero abituare gli uni agli altri. Inferno e paradiso,
secondo la tradizione ebraica, sono comunque preesistenti al mondo (anche se Israele arriva tardi al
concetto dell’aldilà e di una remunerazione dopo la morte). Questione teologica di non secondaria
importanza è se Dio ha creato dal caos o dal nulla: solo nel secondo caso sarebbe un creatore doc.
Ma la vera sorpresa sull’inizio del mondo è un’altra: Dio ha creato il mondo e soprattutto l’uomo due
volte; infatti la Bibbia riporta ben due racconti della creazione, e con divergenze non secondarie.
Si legge Genesi 2, 3 ed eccola concludere che “Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in
esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto”. Ma subito dopo (Genesi 2, 4b) Dio
ricomincia da capo, quasi si fosse dimenticato del lavoro fatto: “Quando il Signore Dio fece la terra e il
cielo, nessun cespuglio campestre era sulla terra... allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere dal
suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente”. E mentre nel primo
racconto Dio crea le piante, gli animali e da ultimo gli esseri umani, subito in coppia, nel secondo Dio
crea per primo l’uomo. E da solo: Eva segue qualche pericope (i versetti biblici) dopo.
Ancora: mentre nel primo racconto è Dio che impone il nome al creato, giorno-notte-cielo-mare-terra,
nel secondo è l’uomo a imporre un nome agli animali: anzi è Dio stesso a condurre gli animali all’uomo “per
vedere come li avrebbe chiamati” (Genesi 2,19).
E anche il Dio creatore non sembra lo stesso: nel primo racconto è maestoso, crea con il solo suono della
voce (“Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza” Genesi 1, 26); nel secondo impasta
l’uomo dalla polvere, come fosse un semplice vasaio.
Ma perché questo doppione? Secondo gli esegeti si tratta dell’opera non di uno ma di due autori (i 46
libri dell’Antico Testamento sono infatti stati scritti in epoche diverse da vari autori). Il primo
racconto sulla creazione del mondo a essere composto è quello che la Bibbia propone invece come
secondo. Fu scritto nel X secolo a.C., all’epoca di re Salomone, il grande e sapiente sovrano ebraico: una
creazione presentata come una parabola orientale, che sicuramente ha rubato dalle culture di Assiri,
Babilonesi, Egiziani, civiltà anch’esse ricche di racconti popolari, niente affatto scientifici, sull’inizio del
mondo.
Quattro secoli dopo ecco la tragedia: nel 587 a.C. l’esercito babilonese entra in Gerusalemme e deporta
come schiavi gli Ebrei. E cosa succede? Che gli Israeliti, arrivando a Babilonia, scoprono di non essere
1
Le citazioni bibliche sono state tratte dall’edizione ufficiale della CEL.
(ne erano convinti) la più alta civiltà: si trovano infatti davanti a splendidi palazzi, costruzioni imponenti,
torri, acquedotti, fortificazioni e magnifici templi dedicati al dio Marduk. Come mai loro, popolo eletto
di Dio, non sono padroni di cotanta potenza e ricchezza? La delusione è enorme. Anche perché
nell’antico Vicino Oriente era credenza che la forza di un popolo fosse direttamente proporzionale alla
grandezza e potenza del dio venerato: il dio Marduk è quindi superiore a Jahvé, Dio degli Israeliti?
I profeti capiscono che gli Israeliti hanno bisogno di riacquistare fiducia nel proprio Dio: serve un
nuovo racconto della creazione dove Jahvé ne esca più robusto, più forte, meno semplice del vasaio che
ha creato l’uomo dall’argilla: un Dio a cui basta la propria onnipotente parola per creare. Ed ecco un
secondo racconto sull’inizio del mondo.
Le due versioni sono state ritenute entrambe valide da chi, in seguito, ha riunito in un libro la storia di
Israele. Non ha cancellato una delle due creazioni perché non è importante come Dio ha creato l’uomo,
ma perché l’ha creato: ed è questa la grande differenza tra la Bibbia e la scienza la quale potrà anche
dimostrare come è nato l’uomo, scoprire se l’homo sapiens risale a trentamila o trecentomila anni fa, ma
non arriverà mai a spiegare la ragione della sua esistenza. Solo la fede può dirci che ogni creatura viene
totalmente da Dio, ed è questo che conta: “La parola di Dio tutto crea, la benedizione di Dio tutto
feconda” (Genesi 1, 22-28).
Per questo la storia biblica della creazione del mondo “non ha nulla a che fare con la scienza geologica o
astronomica. Essa non è contro la scienza, ma contro l’ateismo, il politeismo, contro l’esclusione della
Provvidenza divina dalla storia dell’universo” (E. Galbiati - A. Piazza, Pagine difficili della Bibbia)2.
Eva non è nata
da una costola di Adamo...
Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolto all’uomo, una donna e la condusse all’uomo (Genesi
2,22).
Dopo secoli di lotta, ecco la rivincita delle femministe: Eva non è stata creata da una costola di Adamo,
bensì dal suo fianco; e quindi è allo stesso livello dell’uomo. Perché come hanno sottolineato i rabbini, se
Dio avesse voluto che la donna fosse schiava dell’uomo l’avrebbe creata dai suoi piedi; se l’avesse voluta
dominatrice l’avrebbe creata dalla testa di Adamo; creandola dal suo fianco — parte del corpo
indispensabile per vivere, a differenza di una costola — l’ha destinata a essere la sua compagna, in tutto
e per tutto alla pari. Ma perché non creare anche Eva dalla terra? Perché, hanno risposto i rabbini,
Adamo — non sentendola come carne della sua carne — avrebbe potuto rifiutarla come compagna;
stesso discorso per Eva.
Tornando alla costola di Adamo, selà è il termine ebraico in questione: raramente significa costola,
generalmente indica fianco o lato. Sarebbe stato tradotto in forma popolare con costola perché per gli
antichi Ebrei il torace era la parte nobile dell’uomo: lì ci batte il cuore, centro degli affetti ma
soprattutto del pensiero, come per noi oggi il cervello. E per la donna era necessaria una parte nobile.
Propongo — scrive il teologo ebreo Pinchas Lapide — che si proceda urgentemente alla correzione di
questa errata traduzione.
Anche il termine Adam è stato tradotto in maniera inesatta: non è un nome proprio, Adamo, poiché è
presente nell’Antico Testamento per ben ventidue volte e sempre con l’articolo determinativo; è un
nome collettivo e significa umanità.
Entrando più nel dettaglio, in ebraico l’essere umano maschio, inteso anche come marito, è tradotto con
ish (e il suo femminile è isshah, donna o moglie); vi è poi il termine enosh, simile nel significato, ma con
in più una sfumatura per sottolineare la fragilità umana. Scegliendo Adam la Bibbia vuole precisare che
Dio ha creato non un singolo uomo ma tutta l’umanità; e più precisamente un’umanità che comprende sia
l’uomo che la donna, un’umanità maschile-femminile a immagine di Dio.
2
Nella bibliografia vengono riportate tutte le indicazioni sui testi citati.
Ma che fine hanno fatto Adamo ed Eva? La Bibbia dice poco, però secondo la tradizione (o leggenda)
cristiana Adamo, morto a 930 anni, sarebbe sepolto sul Golgota, il luogo della crocifissione (e per
questo in molti dipinti sulla morte di Cristo viene rappresentato il suo teschio o addirittura il suo
scheletro).
… e non ha mai mangiato una mela
Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare
saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch‘egli ne
mangiò (Genesi 3, 6).
Per gli Ebrei si trattava di un fico, per gli ortodossi di un’arancia, per i cattolici di una mela, per gli
islamici di un bicchiere di vino. Una cosa è certa: l’Antico Testamento non specifica quale frutto
proibito mangiarono Adamo ed Eva nel giardino dell’Eden ( delizia in ebraico: più chiaro di così!),
disobbedendo per la prima volta al Padretemo.
Eva prese del suo frutto e ne mangiò , scrive infatti la Genesi, secondo testi apocrifi giudaici dopo aver
dimorato nel paradiso terrestre per ottanta anni, due mesi e diciassette giorni (dunque non è stato un
peccato di gioventù...); ma non cita alcuna mela, peraltro praticamente sconosciuta in ambiente semitico:
fu importata in Oriente dall’Europa soltanto nel XIX secolo.
Ma allora come ha fatto la tradizione cristiana ad appropriarsene? Il vero colpevole fu un’errata (e
forse frettolosa) traduzione, dal latino all’italiano, di quel termine malus-malum che indica sia il male sia
il melo. San Girolamo nella sua Biblia Vulgata 3 traduce così le parole del serpente-tentatore: “… Et erit
sicut dii, scientes bonum et malum”, cioè “... E sarete come Dio conoscendo il bene e il male”.
Ma in latino questo malum può significare sia male che mela. Una mela tentatrice succosa, rossa, tonda
come il mondo, perfetta anche per l’arte, ideale per rappresentare la tentazione e la seduzione. Il
Medioevo, in seguito, ha dato una mano creando ad hoc leggende e racconti: il terzo figlio di Adamo ed
Eva, Set, tornato all’Eden dopo la morte della madre avrebbe ricevuto dal cherubino di guardia il ramo
del melo del peccato, poi diventato uno dei bracci della Croce di Cristo.
Oggi è tardi per una rettifica, la mela di Adamo ed Eva è ben radicata nell’immaginario universale: chi la
scardina più?
Invece la tradizione ebraica ha via via identificato il frutto proibito, come ha scritto Louis Ginzberg,
con l’uva, il grano, la noce, la carruba (in ebraico distruzione), la palma, simbolo della battaglia e della
strage. Fino ad approdare al fico: è infatti menzionato esplicitamente dal primo libro della Bibbia
quando Adamo ed Eva, subito dopo aver mangiato dall’albero della conoscenza del bene e del male, ne
raccolgono le grandi foglie per coprirsi: ”Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di
essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture” (Genesi 3,7). Non è dunque credibile
che Adamo ed Eva appena si accorsero di essere nudi abbiano attinto temporanea copertura dall’albero
più vicino, quello da cui si erano appena cibati?
Il fico è sicuramente pianta più mediterranea e biblica della nordica mela e in molte antiche tradizione
funge da simbolo dell’iniziazione ai misteri divini. Per i faraoni il fico donava ai morti la vita eterna e lo
stesso Buddha cercò l’illuminazione sotto un enorme ficus religioso, dove radunava anche gli allievi per i
suoi insegnamenti (a differenza di Mago Merlino che preferiva ritirarsi sotto un melo).
Molto creativa la tradizione islamica: Eva non avrebbe offerto ad Adamo un frutto ma del vino con lo
scopo di ubriacarlo, e per questo l’alcool è la causa prima di ogni male.
Forse ha ragione Isaac Asimov: nel suo libro La Genesi alla luce della Scienza scrive che non potremo
mai conoscere il frutto proibito perché “se vogliamo prendere sul serio l’albero della conoscenza,
dobbiamo considerarlo un albero unico probabilmente divino, che poteva fiorire soltanto nel Giardino e
3
È la prima traduzione della Bibbia dal greco al latino, approntata da San Girolamo tra il 390 e il 405 d.C. circa. La sua importanza
ancora oggi sta nell’essere stata condotta su testi ebraico ed aramaico. Divenne il testo ufficiale della chiesa cattolica romana nel
1546, grazie al concilio di Trento. Oggi si contano circa duemilaseicento traduzioni della Bibbia.
non altrove; per cui il suo frutto sarà ignoto all’uomo, eccetto l’unico esemplare mangiato per
disobbedienza”.
Matusalemme & Co.
vivevano fino a mille anni?
Matusalemme aveva centosettantasette anni quando generò Lamech; Matusalemme, dopo aver generato
Lamech, visse ancora settecentottantadue anni e generò figli e figlie (Genesi 5,25-26).
Matusalemme è vissuto 969 anni; Iared 962; Noè 950; Adamo 930; Kenan 910; Lamech 777...: e pensare
che, con tutto il progresso fatto dalla scienza, la speranza di vita nei Paesi industrializzati è oggi di soli
75 anni. Ma è proprio la scienza in primis a dimostrare che la Bibbia... dà i numeri: perché se l’uomo
preistorico viveva in media 29 anni (media salita a 50 anni ai tempi di Gesù), è impossibile per i
patriarchi biblici — con le condizioni igieniche, mediche, sociali d’allora — sommare centinaia di anni.
Un dato è certo: facendo vivere a lungo i patriarchi (nostri primi progenitori), la Bibbia vuole
sottolineare che la vita dell’uomo si è accorciata man mano che egli si è allontanato da Dio. Difatti nella
cultura dell’antico Vicino Oriente più si era fedeli a Dio e più si viveva a lungo: non essendoci ancora
l’idea di una vita dopo la morte, e quindi di una ricompensa nell’aldilà, Dio premiava i giusti qui sulla
terra.
Dice Dio davanti alla progressiva corruzione umana: “Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla
terra e nacquero loro figlie, i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per
mogli quante ne vollero. Allora il Signore disse: Il mio spirito non dimorerà per sempre nell’uomo... la sua
vita sarà di 120 anni” (Genesi 6, 3). In questo senso Matusalemme con i suoi 969 anni può essere
considerato un santo.
Ma questa non è l’unica spiegazione della presunta longevità dei patriarchi: anche qui l’Antico
Testamento si è divertito a giocare con i numeri, (nota mia: a menochè non si riconsiderino i numeri non
secondo la matematica che pratichiamo oggi, ma con i significati della matematica “sacra”. Vi ricordate
quel capitolo sulla matematica che tempo fa vi inviai come allegato? Sarebbe interessante riandarlo a
leggere … forse)
…………… (salto un po’ di pagine) ………………
  segue   
I Comandamenti erano undici
“Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, cosi amatevi anche voi
gli uni gli altri” (Giovanni 13,34).
Un giorno Dio decide di scegliere il suo popolo. Scende allora sulla terra e va dai Vikinghi.
“Volete diventare il mio popolo?” chiede.
“Cosa dobbiamo fare per esserlo?”
“Vi darò un solo comandamento: quello di non uccidere”, risponde Dio.
I Vikinghi sono in vena di conquiste, ringraziano e rifiutano.
Dio va allora dai Romani.
“Cosa dobbiamo fare per diventare il tuo popolo?” si informano anche loro.
“Vi do un solo comandamento: non desiderare la donna d’altri”.
Figurarsi, stanno progettando il ratto delle Sabine! Ringraziano e si defilano.
Visto che coi popoli non funziona, Dio decide di provare con un povero pastore che sta pascolando le
proprie greggi nel deserto: Mosè.
“Cosa devo fare perché Israele diventi il tuo popolo?”
“Una cosa semplice: ascoltare i miei comandamenti.”
“Quanto costano?” si informa Mosè.
“Ma sono gratis !“ risponde il Signore.
“E allora dammene dieci!”
Già: ma quanti sono, in effetti, i dieci Comandamenti? Se lo chiede anche Alessandro Pronzato,
sacerdote e scrittore, nel suo centesimo libro Ritorno ai Dieci Comandamenti. La domanda non è oziosa
come sembrerebbe a prima vista, perché ci sono differenze tra il Decalogo adottato dagli Ebrei e
quello dei cristiani: infatti noi abbiamo unificato i primi due comandamenti (“Non ci saranno per te altri
dèi accanto a me” e “Non farai immagine scolpita”) che gli Ebrei hanno tenuto divisi; e per mantenere il
numero dieci, poiché i conti non tornavano più, abbiamo scomposto (è stato sant’Agostino) in due il “non
desiderare”: la donna (nono comandamento) e la roba (decimo), che per gli Ebrei sono un unico
comandamento. La Chiesa luterana segue quella cristiana; la Chiesa ortodossa e quella riformata
mantengono invece la divisione ebraica.
Ma la domanda di Pronzato non è oziosa anche perché oggi l’esegesi biblica parla di un indicesimo
comandamento: quello dato da Gesù ai suoi discepoli poco prima della Passione.
“Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi
gli uni gli altri” dice infatti Gesù (Giovanni 13,34). Un amore non a parole, ma nei fatti, nei gesti
concreti.
“Gesù si presenta come il legislatore di una legge nuova, che egli promulga con autorità divina” scrive
padre Livio Fanzaga, direttore e “cuore” di Radio Maria. “Questo comandamento nuovo, che riassume e
dà un senso a tutti gli altri, non annulla le Dieci Parole, anzi conferisce loro uno splendore, una
profondità e una ricchezza di significati ineguagliabili” è il parere di Alessandro Pronzato.
… anzi dodici
Egli vi annunciò la sua alleanza, che vi comandò di osservare, cioè i dieci comandamenti,
e li scrisse su due tavole di pietra (Deuteronomio 4, 13).
Il Signore scrisse su quelle tavole la stessa iscrizione di prima, cioè i dieci comandamenti che il Signore
aveva promulgati per voi sul monte, in mezzo alfuoco, il giorno dell’assemblea (Deuteronomio 10,4).
La Bibbia, tramite Mosè lo dice chiaramente due volte: i Comandamenti dettati dal Signore sono dieci.
Ma basta contarli per accorgersi che sono di più:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
Non avrai altri dèi di fronte a me (Esodo 20,3).
Non ti farai idolo né immagine alcuna (Esodo 20, 4).
Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai (Esodo 20, 5).
Non pronuncerai invano il nome del Signore (Esodo 20,7).
Ricordati del giorno di sabato per santificarlo (Esodo 20,8).
Onora tuo padre e tua madre (Esodo 20,12).
Non uccidere (Esodo 20, 13).
Non commettere adulterio (Esodo 20, 14).
Non rubare (Esodo 20, 15).
Non pronunciare falsa testimonianza (Esodo 20, 16).
Non desiderare la casa del tuo prossimo (Esodo 20, 17).
Non desiderare la moglie del tuo prossimo (Esodo 20, 17b).
Il problema, come abbiamo già accennato, è che Ebrei e cristiani hanno adottato due modi diversi di
contarli. E nella Chiesa cattolica si impose il conteggio di sant’Agostino. Il quale riconosceva solo tre
comandamenti riguardanti Dio (a differenza degli Ebrei che ne riconoscono quattro), un tre in onore
della Trinità.
Un conteggio, quello di sant’Agostino, rivisto nel XVI secolo, quando il problema della memorizzazione
da parte dei fedeli si fece più vivo.
Ed è proprio questo problema — come ricordarli? — che ha portato i Comandamenti a essere dieci: il
numero dieci ha un valore mnemonico, dieci come le dita delle mani. Un comandamento a dito.
Le versioni dei Comandamenti
sono due
Dio allora pronunciò tutte queste parole: ”Io sono il Signore, Dio tuo, che ti ho fatto uscire dal paese
d’Egitto, dalla condizione di schiavitù. non avrai altri dèi di fronte a me... (Esodo 20).
Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione servile. Non avere
altri dèi di fronte a me... (Deuteronomio 5).
Gli esegeti hanno speso anni per decidere quale delle due versioni è “nata” prima, se quella di Esodo 20
o quella di Deuteronomio 5: perché l’Antico Testamento propone non uno ma due Decaloghi; versioni
identiche nella sostanza, anche se con alcune divergenze diciamo stilistiche.
Prendiamo il comandamento sull’osservanza del sabato (Esodo 20,8-11 e Deuteronomio 5,12-15): le due
versioni differiscono completamente nella motivazione e per la lunghezza del testo.
Per Esodo, il sabato ricorda il riposo di Dio al termine della Creazione: ”Perché in sei giorni il Signore ha
fatto il cielo e la terra e il mare e quanto in essi è, ma si è riposato il settimo giorno. Perciò il Signore
ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro”. Il lavoro dell’uomo deve quindi mantenere il
suo riferimento al creatore.
Invece in Deuteronomio (“Seconda Legge”, dalla traduzione greca della Bibbia) la sospensione dal lavoro
ha la sua motivazione nel ricordo del‘l’uscita dall’Egitto: “Ricordati che sei stato schiavo ‘nel paese
d’Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso; perciò il
Signore tuo Dio ti ordina di osservare il giorno di sabato”. Cioè non scordare che Dio ti ha liberato
gratuitamente e gli devi riconoscenza.
In ogni caso si tratta di imitare un gesto di Dio: “ma il Dio liberatore di Deuteronomio rivela un
Carattere più umano e sociale, più persuasivo rispetto a quello distaccato di Esodo (come spiega Paul
Beauchamp ne La Legge di Dio).
Altra differenza tra le due versioni: la diversa lunghezza del testo del comandamento sui genitori.
“Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà il Signore, tuo Dio”
per Esodo 20,12; e “Onora tuo padre e tua madre, come il Signore tuo Dio ti ha comandato, perché la
tua vita sia lunga e tu sii felice nel paese che il Signore tuo Dio ti dà” per Deuteronomio 5,16.
Addirittura due termini per il comandamento sulla “falsa testimonianza”, come spiega Soggin: in Esodo
abbiamo l’espressione ed saqer, un termine giuridico usato nei tribunali; mentre in Deuteronomio c’è ed
saw, testimonianza vana, quasi un pettegolezzo, un comportamento pericoloso in qualsiasi ambito sociale
(anche nell’oggi) ma difficile da scoprire e soprattutto da punire giuridicamente.
Ancora più marcata, se vogliamo, la differenza tra le due versioni per quanto riguarda l’ultimo
comandamento: Deuteronomio pone, in cima alle cose da non desiderare, la donna, “ la moglie del tuo
prossimo”; poi mette un punto, come a voler fare una netta separazione, e ricomincia con la casa, il
campo, lo schiavo altrui eccetera. Esodo (siamo ancora in un regime profondamente patriarcale) invece
elenca la donna insieme a tutte le altre cose da non desiderare, lo schiavo, il bue, l’asino del vicino...
Quale versione del Decalogo è più vecchia? Quella di Deuteronomio, nonostante la Bibbia la proponga
per seconda.
I Comandamenti
non furono dettati a Mosè...
Il Signore scese dunque sul monte Sinai, sulla vetta del monte, e il Signore chiamò Mosè sulla vetta del
monte. Mosè salì (Esodo 19, 20).
J. Alberto Soggin nella sua Introduzione all’Antico Testamento non ha dubbi: il Decalogo non può in
alcun caso risalire a Mosè. Varie citazioni dei comandamenti — come quelle relative al lavoro regolare
del bue o alle porte cittadine — presuppongono un insediamento stabile della popolazione sul territorio:
e ai tempi di Mosè il popolo d’Israele era ancora nomade.
Dello stesso parere, tra i molti, il pastore valdese Fulvio Ferrario: la moderna critica biblica ci ha
insegnato che il Decalogo non è storicamente nato mediante la materiale dettatura dei comandamenti
da parte di Dio a Mosè.
I singoli comandamenti sarebbero nati un po’ alla volta, e sarebbero stati raccolti nelle tavole non prima
del VII secolo a.C. (Mosè e l’Esodo sono datati 1200 a.C.) in una forma assai diversa da quella proposta
dalla Bibbia in Esodo e in Deuteronomio.
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