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Associazione professionale Petracci Marin - www.petraccimarin.it
A quali condizioni è possibile esercitare un’azione civile contro il querelante per
infondatezza della querela.
Prima di affrontare tale questione, è necessario rilevare che l’attuale Codice di Procedura
Penale, in un’ottica accusatoria, ha reso il processo civile tendenzialmente autonomo da
quello penale, abolendo gran parte delle forme di pregiudizialità dell’azione penale su
quella civile che, invece, caratterizzavano il precedente codice di rito. In estrema sintesi,
oggi azione civile e penale possono essere proposte indipendentemente l’una dall’altra ed
è ammesso che gli esiti dei due giudizi siano del tutto diversi (ad esempio assoluzione in
sede penale e condanna al risarcimento del danno in sede civile da parte di due giudici
differenti, in quanto i presupposti per valutare il fatto materiale, il nesso di causalità e
l’elemento soggettivo non sono esattamente coincidenti nell’ambito civile e in quello
penale).
Vi sono unicamente delle deroghe minori a questo principio generale costituite dagli art. 3
e 75 e 479 del Codice di Procedura Penale, ma nessuna di tali norme viene in rilievo nel
nostro caso.
L’art. 3 prevede una forma di pregiudizialità civile al processo penale in materia di stato di
famiglia e di cittadinanza, mentre l’art. 75 che regola i rapporti tra azione civile e azione
penale.
Infatti, ai sensi di quest’ultimo articolo l’azione civile già proposta davanti al giudice civile
può essere trasferita nel processo penale fino a quando in sede civile non sia stata
pronunciata sentenza di merito anche non passata in giudicato. Inoltre, l’azione civile
prosegue in sede civile se non è trasferita in sede penale o è stata iniziata quando non è
più ammessa la costituzione di parte civile. Infine, se l’azione è proposta in sede civile nei
confronti dell’imputato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la
sentenza penale di primo grado, il processo civile è sospeso fino alla pronuncia della
sentenza penale non più soggetta a impugnazione.
L’art. 479 c.p.p. regola il rapporto tra giudizio penale e civile già incardinati nelle rispettive
sedi con riferimento a questioni civili o amministrative di particolare complessità. Gli art.
651 e ss c.p.p. disciplinano, infine, i rapporti tra sentenza penale e altri tipi di giudizi.
Nel caso in esame non siamo in nessuna di questa ipotesi in quanto non è stata iniziata,
ad oggi, né un’azione civile né un’azione penale contro il querelante. Di conseguenza, è
astrattamente possibile chiedere il risarcimento del danno per infondatezza della querela
anche solamente in sede civile oppure presentare una denuncia-querela per il reato di
calunnia ex art. 368 c.p. e costituirsi parte civile nel conseguente giudizio penale.
Premesso dunque che è possibile anche agire immediatamente in sede civile contro il
querelante per chiedere il risarcimento del danno in caso di infondatezza della querela,
vediamo quali sono i limiti e le condizioni elaborate dalla giurisprudenza.
Il Supremo Collegio ha ormai sviluppato un indirizzo più che consolidato sul punto.
Secondo la Corte di Cassazione, la proposizione di una denuncia-querela non è fonte di
responsabilità per danni a carico del querelante ai sensi dell’art. 2043 c.c., anche in caso
di assoluzione o di proscioglimento dell’imputato, a meno che essa non sia stata
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deliberatamente presentata a fini strumentali. Infatti, il Supremo Collegio argomenta che
l’azione del querelante non è idonea a instaurare un processo penale in quanto l’esercizio
dell’azione penale compete unicamente al PM. Di conseguenza, ciò interrompe il nesso
causale tra iniziativa privata ed eventuali danni subiti dal querelato (Cass., Sez III, 23
gennaio 2007, n. 750 riportata in Codice Civile Giuffré 2012, p. 2745).
Secondo una copiosa giurisprudenza, tali “fini strumentali” finiscono, almeno
tendenzialmente, per coincidere con l’area della vera e propria calunnia, ovverosia con il
caso in cui il denunciate-querelante sia consapevole dell’innocenza dell’imputato (si
vedano ex multis Cass., 25 maggio 2004, n. 10033; Cass., 11 giugno 2009, n. 13531;
Cass., 26 gennaio 2010, n. 1542 e Cass., 27 gennaio 2010, n. 1703). Infatti, l’attività
pubblicistica dell’organo titolare dell’azione penale (PM) si sovrappone all’iniziativa del
denunciante, eliminando così il nesso di causalità tra notizia di reato e danno
eventualmente subito dall’imputato, salvo che l’accusa sia calunniosa. Di conseguenza,
grava sull’attore (denunciato in sede penale) che voglia domandare in sede civile il
risarcimento del danno la prova che la denuncia era calunniosa, ovverosia dimostrare (nei
limiti dei mezzi istruttori ammessi nel processo civile) che il convenuto (denunciante nel
processo penale) aveva agito con la consapevolezza dell’innocenza del denunciato.
Evidentemente si tratta di una prova tutt’altro che semplice da fornire e che richiede
un’attenta analisi preventiva del materiale probatorio (testi, documenti e quant’altro che
possono dimostrare che il denunciante era a conoscenza dell’innocenza dell’imputato).
Anche se gran parte della giurisprudenza indicata precedentemente in materia ha a
oggetto casi di reati procedibili d’ufficio, la prima sentenza indicata nel presente parere
applicava lo stesso principio di diritto anche ai reati procedibili a querela di parte a cui è
ragionevole, pertanto, estendere la medesima ratio.
Risulta evidente a questo punto che l’altra alternativa all’azione civile è rappresentata dalla
proposizione di una denuncia-querela per il reato di calunnia di cui all’art. 368 c.p. il quale
prevede che
“Chiunque, con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso
nome, diretta all’Autorità Giudiziaria o a un’altra Autorità che a quella abbia obbligo di
riferirne o alla Corte Penale Internazionale, incolpa di un reato taluno che egli sa
innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato, è punito con la reclusione da
due a sei anni.”
Infatti, in sostituzione dell’azione civile sarebbe possibile denunciare il querelante per tale
reato e successivamente costituirsi parte civile nel giudizio penale per ottenere il
risarcimento del danno, in quanto il presupposto centrale per ottenere tale condanna
(dimostrazione della consapevolezza dell’innocenza del denunciato-querelato da parte del
denunciante-querelante del precedente giudizio) è identico. Tuttavia, si ricorda che la
calunnia è un reato procedibile d’ufficio. Di conseguenza, una volta presentata la
denuncia-querela non è possibile rimettere la querela con tutte le conseguenza che ne
derivano.
Infine, risulta evidente che, qualora appaia poco probabile la possibilità di dimostrare in
giudizio la consapevolezza del denunciante-querelante dell’innocenza del denunciato-
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querelato, è sicuramente preferibile evitare di intentare qualsiasi tipo di azione (civile o
penale che sia). Infatti, si ricorda che tale onere probatorio grava sull’attore nel processo
civile e sul PM (eventualmente coadiuvato dalla parte civile) nel processo penale, mentre il
convenuto o imputato non è tenuto a dimostrare alcunché. Di conseguenza, si
raccomanda prudenza al fine di evitare di iniziare azioni civili o penali che potrebbero
portare a nessun risultato utile per il cliente.
Rimane a questo punto da analizzare l’ultimo rimedio previsto dagli artt. 427 e 542 c.p.p.,
norme di chiusura del sistema che sono state concepite per operare all’interno del
processo penale, ma applicabili, secondo la giurisprudenza, anche in un successivo
giudizio risarcitorio di tipo civilistico.
In base al combinato disposto di tali due articoli, qualora il querelato venga assolto
(dunque con sentenza -inclusa la sentenza di non luogo a procedere emanata al termine
dell’udienza preliminare-) con le formule “perché il fatto non sussiste” (manca la prova del
fatto di reato oppure non esiste un elemento oggettivo essenziale come la condotta o il
nesso di causalità) o “perché l’imputato non lo ha commesso” (manca la prova che autore
del fatto sia proprio l’imputato) e si tratti di reati procedibili a querela, il giudice:
1)condanna il querelante al pagamento delle spese del procedimento anticipate dallo
Stato;
2) a domanda del querelato (e dunque non d’ufficio) condanna il querelante alla rifusione
delle spese sostenute dall’imputato (salvo compensarle se ricorrono giusti motivi);
3) in caso di colpa grave può condannare il querelante a risarcire i danni all’imputato che
ne abbia fatto domanda.
Dunque, in questo caso (sentenza di assoluzione con una delle due formule sopra
menzionate) è sufficiente la colpa grave del querelante affinché egli possa essere
condannato a risarcire il danno (e non è necessaria la ben più difficile prova della
consapevolezza dell’innocenza dell’imputato). Tuttavia, tale rimedio è stato concepito per
operare all’interno del processo penale ed è una conseguenza della sentenza di
assoluzione con una delle due formule piene sopra indicate. ( non è azionabile quindi nel
caso di semplice archiviazione della querela).
Va, tuttavia, rilevato che la Corte di Cassazione ha ammesso un successivo giudizio civile
volto a chiedere il risarcimento del danno ex artt. 427 e 542 c.p.p. (dunque al di fuori del
giudizio penale ed alle stesse condizioni), salvo poi rigettare il ricorso per altri motivi
(Cass., 23 gennaio 2006, n. 1212). Tuttavia, appare consigliabile per esigenze di celerità e
semplicità domandare il risarcimento del danno al giudice penale in caso di assoluzione
con una delle due formule sopraindicate. Inoltre, vista la crescente imprevedibilità che
caratterizza negli ultimi anni le decisioni di molti magistrati, non è escluso che qualche
giudice civile si dichiari carente di giurisdizione, ritenendo che il risarcimento ex artt. 427 e
542 c.p.p. sia un istituto che opera unicamente all’interno del processo penale.
In sostanza, consiglio di meglio appurare come si sia pervenuti ad indirizzare il
procedimento penale sulla Sua persona.
Qualora tale anomalia appaia chiaramente ispirata o progettata dal querelante a scopo
strumentale per colpirLa, un azione civile contro quest’ultimo non apparirebbe azzardata.
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In caso contrario, suggerisco di richiedere nell’ambito del processo penale , quindi
nell’ambito del giudizio sia esso preliminare che dibattimentale, la condanna del
querelante alle spese legali di difesa ed a quant’altro speso in ragione del processo.
Esaminati attentamente i predetti articoli, ritengo non vi sia possibilità di richiedere ulteriori
fattispecie di danno diverse da quelle anticipate in ragione del giudizio, salvo che Lei
riesca a provare la colpa grave del querelante ( omissione o leggrezza priva di qualsiasi
giustificazione)
Ritengo in ogni caso che un esame della documentazione concernente il procedimento
penale rivesta carattere preliminare rispetto a qualunque iniziativa.
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