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UN PO` DI STORIA…

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UN PO` DI STORIA…
UN PO’ DI STORIA…
Prima di dare inizio ad un percorso storico dell’arrampicata moderna su ghiaccio è bene
aprire una parentesi sull’evoluzione dell’arrampicata su ghiaccio nel tempo.
Esiste un connubio inscindibile tra l’evoluzione dei materiali e le varie tecniche di
progressione.
Infatti, ogni qualvolta si è introdotto un nuovo materiale, si è automaticamente innalzato il
livello tecnico delle salite effettuate. Per portare qualche esempio, si pensi alla rivoluzione
del 1908 con l’invenzione del rampone a cura di Oscar Eckenstein in collaborazione con il
fabbro Henry Grivel.
In realtà era già in uso tra i montanari applicare dei ferri sotto gli scarponi per affrontare i
pendii gelati nelle attività quotidiane. Eckenstein, adattò e modificò quei ferri per utilizzarli
nella pratica dell’alpinismo.
L’innovazione dei ramponi, in un primo tempo come tutte le novità, fu osteggiata dagli
alpinisti che fino ad allora utilizzavano gli scarponi chiodati.
Con i nuovi ramponi e un accorciamento del manico della piccozza, sino ad allora lungo
più di un metro, (innovazione Francese) fu messa a punto la tecnica di progressione
parallela al pendio, denominata “Metodo Francese”, il “Piolet ramasse” prima e il “Piolet
d’ancre” poi, che permise negli anni “30 la realizzazione di centinaia di ascensioni sulle
grandi pareti ricoperte di neve delle Alpi. Grande interprete fu Armand Charlet e
successivamente Andrè Contamine.
Intanto maturavano esperienza ed equipaggiamento tecnico; all’inizio degli anni trenta
caddero i grandi problemi di misto delle Alpi, quali la parete Nord del Cervino, lo Sperone
Walker sulle Grandes Jorasses e per ultima la Parete Nord dell’Eiger.
Altra rivoluzione si ebbe nel 1929, Laurent Grivel figlio del già menzionato Henry Grivel,
ebbe la geniale intuizione di aggiungere due punte frontali ai ramponi, creando il famoso
rampone a dodici punte. Ciò permise di salire fronte al pendio, consentendo un notevole
risparmio di energie e una maggiore velocità di salita, rendendo in linea teorica superfluo il
gradinamento. A questo seguirono salite su ghiaccio, che per difficoltà d’ambiente e
arditezza sono ancora oggi banco di prova per i migliori ghiacciatori.
Gli anni “50 – “60 furono un momento di stasi, con pochi progressi nella tecnica di salita
sulle Alpi, mentre in Scozia si realizzavano le prime ascensioni sui famigerati Gully del
Ben Nevis come la salita nel 1957 di “Zero Gully” ad opera di Hamish Mac Innes e Tom
Patey; il vero maestro di quel periodo fu Jimmy Marshall che riuscì in varie salite tra cui il
famigerato “Point Five Gully” al Ben Nevis in sette ore, salite in ogni caso ancora
realizzate con la tecnica classica di progressione, che utilizzava un solo attrezzo.
Nel 1958 Cesare Maestri sale le Cascate di Nardis, episodio isolato ma significativo.
Verso la metà degli anni '60 quasi contemporaneamente negli USA con Yvon Chouinard e
Tom Frost nella Sierra Nevada, e in Francia con Despiau e Casson nel circo di Gavarnie,
cominciano le prime incursioni nei colatoi in cui l'acqua di fusione della neve si trasforma in
cascate di ghiaccio. Fondamentali furono gli scambi di esperienze tra due formidabili
ghiacciatori Yvon Chouinard e John Cunningam. Tuttavia la tecnica è ancora quella di
tagliare gradini per i piedi e per le mani (nonostante l'uso ormai normale dei ramponi con
punte frontali) e di ricorrere in caso di passaggi verticali all’arrampicata artificiale.
La vera rivoluzione avvenne alla fine degli anni “60, con il perfezionamento della tecnica
frontale, che prevedeva l’utilizzo di due attrezzi per la progressione; ora comunemente
chiamata “PIOLET TRACTION”.
Il punto di svolta si ebbe nel 1967 quando Yvon chouinard, Tom Frost con i fratelli Lowe,
realizzò la prima salita americana completamente in “Piolet Traction”; nel 1970 fu la volta
degli scozzesi John Cunningam e Bill March, che salirono il breve ma verticale “Chancer”
sull’Hell’s Lum Crag nei Cairngorms.
C.L.S.A.SA – Ghiaccio verticale
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Fu un vero colpo di scena, s’incominciarono a realizzare salite su pendii sino ad allora
impensabili, con una tecnica veloce e molto redditizia. Si pensi che solo nel 1967 i francesi
Desmaison e Flematti intagliarono più di quattromila gradini in sette giorni di salita per
avere la meglio sul Linceul alle Grandes Jorasses.
Ancora una volta i pionieri furono gli anglosassoni e Hamish Mac Innes, accorgendosi dei
limiti tecnici dovuti ai vecchi attrezzi, dopo vari esperimenti, ideò una piccozza con la
becca inclinata di 45° e il manico molto corto denominata “Terrodactyl”. Seguirono subito
nuove salite sui terribili Gully ghiacciati del Ben Nevis.
L’importanza di questo periodo è la contemporaneità con cui questa tecnica prese piede in
più parti del mondo; in America, in Canada, con i suoi flussi ghiacciati alti fino a mille metri
ed in Francia, sul massiccio del Monte Bianco, con minimi scambi di idee ed informazioni
tra i vari gruppi.
In America le più importanti realizzazioni sono state la solitaria e prima ascensione di John
Bouchard del Black Dike sul New Hampire’s Cannon Mountain e la salita di John Bragg e
Rick Wilcox di “Repentance” sulla Cathedral Ledge. Nel 1974 Jeffe Lowe e Mike Weis
salirono “Bridalveil Fall” in Colorado.
Per tornare sulle Alpi, i veri precursori di questa tecnica furono i francesi; Walter Cecchinel
salendo “Nominè” realizzò nel settembre del 1971 forse la prima salita in piolet traction
sulle Alpi, superando pendii di ghiaccio fino a 70° sul Grand Pilier D’Angle, il vero exploit
sempre in cordata con Jager, Cecchinel lo fece salendo nel 1973 il Couloir NE dei Drus.
In Francia altri nomi si affacciano sulla scena, uno di questi è Patrick Gabarrou, non a torto
soprannominato “L’Uomo Del Monte Bianco” sicuramente uno dei massimi esponenti
dell’arrampicata su ghiaccio vivente. Egli firmerà una serie impressionante di salite nel
gruppo del Monte Bianco. E’ sua la prima realizzazione datata 1974, in compagnia di
J.P.Albinoni della goulotte sulla Est del Monte Bianco du Tacul e poi del famosissimo
Super Couloir sempre sulla Est del Tacul, realizzato nel 1975 con Boivin, altro fuoriclasse
francese. J.M. Boivin che firmerà l’anno dopo la pericolosissima goulotte Raye De Fesses
in Delfinato, salita che a conferma delle difficoltà e dell’impegno richiesti durante la prima
ascensione, sarà ripetuta solamente sedici anni dopo.
Intanto i tempi maturano anche per gli italiani ed ecco che entrano in gioco Giancarlo
Grassi e Gianni Comino, padri indiscussi dell’evoluzione su ghiaccio di casa nostra.
Il connubio tra i due ghiacciatori piemontesi è suggellato con una salita sicuramente in
anticipo sui tempi. Salendo l’Ypercouloir delle Grandes Jorasses, nel 1978 inaugurano
l’epoca delle cascate in alta quota. Percorso che porterà Grassi nel 1980, in compagnia di
Renzo Luzi e Claudio Bernardi, sulla più alta cascata d’Europa, in cima al Gran Couloir del
Freney.
Di quel periodo non possiamo dimenticare la salita delle grandi seraccate del Bianco ad
opera della coppia Grassi-Comino. Un gioco fantastico ma molto azzardato, che se da un
lato riconosce l’altissimo livello tecnico e psicofisico raggiunto dai due ghiacciatori,
dall’altra è una sfida continua che porterà Comino a scomparire tra i ghiacci della parete
sud del Monte Bianco.
Di questo capitolo della sua vita scriverà Giancarlo Grassi “Una scalata un po’ pazza,
posta ai confini di un mondo proibito…… vissuta spesso sulla soglia senza mai varcarne il
confine.”
Intanto l’interesse dei ghiacciatori, al contrario di ciò che capita normalmente, dove dalle
strutture di fondo valle si sale verso le grandi pareti in quota, si sposta verso i flussi
ghiacciati posti al fondo delle vallate alpine presenti solamente nei periodi più freddi.
La prima salita nota di una cascata in Italia risale al Dicembre del 1977 in Val Varaita. I
Cuneesi Romeo Isaia e Piero Marchisio, salgono un flusso ghiacciato che chiameranno
“Ciucchinel”.
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In un primo tempo la salita leggermente in anticipo sui tempi rimarrà un fatto isolato. Non
passerà però molto tempo perché gli alpinisti si accorgano di questo nuovo terreno
d’azione, sicuramente più alla portata rispetto ai couloir e alle grandi salite su ghiaccio in
alta montagna.
Le valli alpine aspre e dirupate, ricche di cascate d’acqua, grazie al freddo dell’inverno
diventano un inesauribile terreno d’azione per chi ama cimentarsi su ghiaccio.
Nei primi anni “80 il capostipite Giancarlo Grassi accompagnato da tanti altri nomi legati al
fenomeno del cascatismo, disciplina che interessa ormai tutto l’arco Alpino, parte
all’esplorazione sistematica delle vallate alla ricerca delle cascate, portando a casa un
impressionante numero di prime salite.
Il perfezionarsi della tecnica si concretizza con la salita di flussi ghiacciati come la Cascata
di Ferrera in alta Val di Susa, la stupenda Cascata di Balma Fiorant, nastro di ghiaccio che
s’insinua tra le mitiche pareti della Valle Dell’Orco, la Chandelle Gastock, stupenda
stalattite in Val Varaita, il Cascatone del Pian dei Morti e la Naressa in Val di Lanzo,
Durango e la Cascata del Ferro in Val di Mello.
Anche nelle Alpi Orientali parte l’esplorazione e la ricerca dei flussi ghiacciati, scoprendo
posti come la Val di Rabbi, la Val Daone, Sappada, con cascate che nulla hanno ad
invidiare con le valli Occidentali.
Mentre in alta montagna continua la ricerca di couloir e goulotte nascoste sempre più
difficili e impegnative. Con il progresso della tecnica e dell’attrezzatura, divenuta altamente
specifica, si aprono itinerari dai nomi fantasmagorici, ma allo stesso tempo molto
significativi, quali: Abominette, Frenesie Pascal, Fantomatic, Luna Nera, Filo Di Arianna e
altri ancora.
Altri personaggi come Profit, Perroux, Damilano diventeranno veri cacciatori di goulotte,
unendosi alla schiera dei sempre attivi veterani.
Le salite classiche con le nuove performance vengono bruciate in tempi brevissimi.
In bassa quota il livello delle cascate ha ormai raggiunto gradi estremi. E’ del 1986 la salita
dell’Altro Volto del Pianeta valutata ED+, così è per molte altre cascate di pari difficoltà,
che hanno come denominatore comune, tratti verticali o strapiombanti molto lunghi,
caratterizzati da ghiaccio molto articolato e delicato, tanto da rendere difficile se non
impossibile la chiodatura.
Nel 1988 in Val Varaita si organizza il primo “Meeting di Arrampicata Su Ghiaccio”. E’ la
prima vera occasione di confronto tra ghiacciatori di varia provenienza; in un clima di
amicizia, si ritrovano ad arrampicare assieme i migliori ghiacciatori di mezza Europa, con
qualche apparizione d’oltre oceano. Esperienza che viene ripetuta l’anno dopo in Val
Daone.
Il 1989 è anche l’anno della salita di Repentance Super, un incredibile sequenza di
candele strapiombanti al fondo della Valnontey. La salita richiese due giorni di lavoro da
parte di Grassi, Damilano e Fulvio Conta.
Promotori indiscussi di queste tendenze sono gli anglosassoni, con in testa l’americano
Jeff Lowe e i francesi con il fuoriclasse Damilano, anche se in quel periodo la decisione di
attenersi ad un’etica più o meno ferrea era ancora un fatto del tutto personale. Molti
ricorderanno la diatriba cordini SI, cordini NO.
I canadesi (Blanchard, Doyle) e gli americani (Lowe, Bouchard) andarono un po' più
velocemente e raggiunsero presto il grado 6 e cercarono la tecnica "libera". E fu sulla loro
esperienza (Mark Twight, primo grado 7, Reality Bath 1988) che alla fine degli anni “80
alcuni arrampicatori Europei (come Damilano, Renaud, Ouairy in Francia, Marlier in Italia,
Jasper in Germania) spinsero molto avanti i limiti della salita su cascata, con l'intenzione di
introdurre un'etica comune e di creare una disciplina autonoma rispetto all'alpinismo.
Altri nomi contribuiranno a innalzare il livello delle difficoltà su ghiaccio, tra cui il
Valdostano Ezio Marlier, che ripeterà Repentance in sole tre ore e mezzo.
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Con l’inizio degli anni “90 si toccano i vertici dell’arrampicata estrema su ghiaccio,
parlando di numeri si arriva sino al 6° grado tecnico. Mentre con il confronto internazionale
dato dai vari meeting, diventati un appuntamento fisso, si incomincia a parlare di etica e
regole, non ancora imposte, ma che cercano di dare connotati specifici ed una sua identità
al cascatismo.
Si sente parlare di arrampicata libera, ovvero un modo nuovo di affrontare le cascate.
Non più attaccarsi ai chiodi e sospendersi alle piccozze con i cordini per piazzare le
protezioni. I chiodi servono solamente per la sicurezza di chi arrampica, in caso di volo.
Il 90 è anche l’anno d’introduzione della nuova scala di valutazione delle difficoltà, detta “
scala canadese” che comporta due valutazioni distinte, difficoltà d’insieme e grado tecnico.
Nel frattempo con i canoni della nuova etica vengono ripetute le colate più difficili, molte in
solitaria, frantumandone i tempi di salita. Per citare qualche nome, Giovannino Massari per
il Cuneese e il fuoriclasse valdostano Ezio Marlier, padrone di stile, attenzione e coraggio.
Il nuovo approccio spinge i ghiacciatori, a sperimentare nuovi movimenti, con un
miglioramento della gestualità e della fluidità nella progressione; si sta assistendo a un
cambiamento di stile.
Thierry Renaud, Richard Quairy e il caposcuola americano Jeff Lowe, sono i primi che
arrampicano su ghiaccio con una nuova gestualità, molto simile a quella utilizzata su
roccia, si ha quindi un nuovo innalzamento delle difficoltà.
Nell’inverno del 1994 Jeff Lowe apre una nuova strada salendo Octopussy, il primo grado
8. Il nuovo percorso porterà alla realizzazione di salite come Welcome to the Machine in
Val Savaranche, di Steve Haston, grado 9. Diego Mabboni con La Roccia nella Spada a
Sottoguda, grado 8. In America, Fatman and Robin e Amphibian entrambe grado 10,
aperte da Will Gadd, campione americano di arrampicata sportiva.
Stiamo parlando di salite realizzate su di un terreno misto, non più solamente ghiaccio, ma
anche sezioni di roccia affrontate utilizzando gli attrezzi. Le ultime performance hanno
introdotto un nuovo concetto, “Il Misto Moderno” più comunemente conosciuto come “Dry
Tooling”.
Il terzo millennio inizierà all’insegna di questa nuova tendenza, sempre più roccia e meno
ghiaccio, itinerari attrezzati con spit, molti dall’alto. Forse un’esasperazione del gesto
atletico a discapito dell’avventura e delle incognite proprie del ghiaccio.
Le competizioni su ghiaccio hanno preso una loro specifica connotazione; è stato istituito
un circuito internazionale come per l’arrampicata su roccia, con tanto di regole e atleti che
si cimentano su strutture artificiali, sono stati creati materiali specifici per le performance
richieste.
Anche il ghiaccio diventa un affare commerciale.
Stiamo assistendo a un ennesimo cambiamento, che speriamo non porti a una
banalizzante codificazione di una disciplina la cui bandiera era ed è la libertà di agire.
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E in Lombardia?
Nel 1979, furono scalate le prime cascate di ghiaccio in Lombardia; è difficile stabilire
quale sia stata la prima, ma sede del primo esperimento fu la Val Masino. L' inizio è dei più
scontati: a imitazione di quanto si era visto sulle foto delle riviste straniere e di Giancarlo
Grassi che in Piemonte iniziava quella che certamente è la maggiore opera esplorativa
mai fatta sul ghiaccio. La cascata del Ferro, esposta a sud e incassata fra calde placche di
granito e la cascata inferiore del Baffo, furono i primi banchi di prova per l’inizio di
un'avventura che ancor oggi continua.
Sul Ferro andarono Paolo Masa e Jacopo Merizzi portandosi a casa più che il ricordo di
gesta estreme, la profonda impressione di essere entrati in un mondo nuovo e per certi
versi magico; sul Baffo provarono Giuseppe Miotti e Lodovico Mottarella ricavando le
stesse impressioni dei due amici.
Si era un po' copiato quello che di meglio c'era in giro: piccozza Simond "metallique",
quella del couloir dei Drus, o Charlet "Gabarrou", ramponi Simond. Compariva il Gore Tex,
ma allora come oggi costava, gli scarponi in plastica erano un'idea per non parlare dei
chiodi da ghiaccio. Ma fu lo spazio di pochi mesi poiché ad ogni cascata oltre alla tecnica
si perfezionava l'attrezzatura con ritmi vertiginosi. In pochi anni ecco comparire i neri e
preoccupanti Terrordactyl della Peck, il sistema Hummingbird, mai sufficientemente
valorizzato, i ramponi Foot-fangs e nuovi e più sicuri chiodi da ghiaccio. In breve
nascevano molti altri nuovi "avventurieri" e le cascate ebbero un primo grande periodo di
splendore.
Nel lecchese furono attivi per primi Roberto Chiappa e Sergio Panzeri, nella bergamasca
Alberto Montanelli e Sergio dalla Longa, a Brescia Preti e compagni. Sergio Panzeri
divenne subito uno specialista della materia e riuscì a concludere alcuni importanti
problemi ancora irrisolti come l'imponente cascata superiore del Baffo che presenta giù un
tratto a 90° e poi l'uscita diretta alla Merdarola entrambe in Val Masino.
Nel lecchese furono esplorati la bellissima quanto effimera cascata del Troggia nota anche
come cascata Norda e le cascate di Introbio in Valsassina; qualche tempo dopo venne
scoperta la lunga, affascinante e didattica cascata della Val Boazzo destinata a grande
fama. Attorno ai primi cascatisti lecchesi si formò presto un notevole e attivissimo gruppo
di ottimi e audaci scalatori.
Negli anni successivi Tono Cassin, Marco dalla Santa, Norberto Riva e Amabile Valsecchi,
salirono nuovi flussi gelati un po' ovunque in tutta la Lombardia. Fra le loro montagne
risolsero il verticale, difficilissimo e fragile problema della Cascata di Ballabio, un salto di
circa 35 metri al cardiopalma. Alberto Montanelli, ingegnoso alpinista si dedica in
particolare all'esplorazione delle valli bergamasche e assieme a Panzeri mette a punto
alcune semplici ma efficaci modifiche ai ramponi Foot-fang e alle piccozze con becca
tubolare.
Intanto, già dagli inizi dell'avventura il mondo delle cascate si era diviso in due grandi
terreni d'azione: le cascate molto tecniche e difficili e i lunghi colatoi.
Chi aveva maggiori propensioni alpinistiche si orientò maggiormente verso i couloir, gli altri
puntarono alla soluzione di problemi sempre più verticali e impressionanti. Mentre
Montanelli e Dalla Longa risolvevano quasi tutte le cascate della bergamasca, in Valtellina
avvengono due fatti importanti: la salita di "Durango" in Val di Mello e, nel 1981 quella del
lungo colatoio della parete Nord-ovest del Monte Legnone. L'importanza di Durango
consiste forse nel fatto che per la prima volta si riusciva a superare una cascata di
notevole difficoltà tecnica (per quel tempo) e lunghezza. Protagonisti dell'ascensione
Giuseppe Miotti con Gogna, Paolo Masa e Jacopo Merizzi. Da qualche anno il couloir del
Legnone era stato preso di mira dai ghiacciatori e fu così che dopo un lungo
corteggiamento si decisero di capire per lo meno come si potesse arrivare all'attacco.
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Come sempre sembrò di entrare in un mondo inesplorato e selvaggio e non senza
qualche fatica giunsero alla partenza del canale che saliva per 1500 metri fino alla cresta
sommitale. Motti ritornò poco dopo con Pietro Scherini e in due giorni di fantastico
"viaggio" nella montagna risolse il problema. Credo che ancor oggi sia uno dei più lunghi
couloir a cascate delle Alpi, con due risalti verticali di circa 50 metri e con un lungo tratto di
misto finale su roccia non eccezionale.
Di analogo stile è la splendida salita dei lecchesi Costa e Agudio lungo il colatoio della
parete Sud del Sasso Moro in Val Malenco; siamo qui al confine fra cascatismo e
alpinismo: la vetta raggiunge i 3108 m e il couloir ha un dislivello di circa 900 metri con
alcuni risalti verticali e un tratto di misto finale con passi di V°.
Nei primi anni '80, dalla Mesolcina all'Adamello, tutte le vallate delle Alpi lombarde furono
esplorate alla ricerca di nuovi terreni d'azione e forse della cascata perfetta.
Pio Guanella, Teo Colza, E. Gianera, salirono e valorizzarono in alta Val Chiavenna molte
cascate; Adriano Greco, divenuto celebre come "runner" d'alta quota e dominatore di tante
edizioni della Pierra Menta esplora le cascate dell'alta Valtellina riuscendo in alcuni
notevoli exploit nelle gole della Valle del Braulio; assieme a lui i fratelli Meraldi e Giordano
Senini.
Nel bresciano, gli alpinisti concentrarono i loro interessi sulle vallate attorno all'Adamello
trovando infinite possibilità di gioco. Capi storici Gian Antonio Moles, Cominelli, Melotti e i
fratelli Ferri. La prima cascata a essere salita è quella del Sellero (15/12/1980; 170 m;
III/2+) ad essa segue la scoperta della mitica Val Paghera, paradiso delle cascate, dove
ritroviamo Moles e compagni, Dalla Longa e anche R. Frizza che sale in solitaria Albero di
Natale (120 m II/4), per quei tempi un notevole exploit.
Una nuova scoperta è poi la Val Saviore dove vengono superati ben dieci nuovi flussi
ghiacciati. A partire dal 1985 si affacciano alla ribalta altri e più motivati personaggi: in
particolare Battista Bonali, Zeziola, Bertocchi e Piloni; essi danno il via ad una nuova
campagna di esplorazioni che porta alla ribalta altre zone come la Val Salimmo e la
magnifica Val d’Avio vero e proprio concentrato di importanti cascate.
Qui nel 1989 il compianto Battista Bonali riuscì nella salita alla Cascata della Madonnina,
un pauroso salto di 120 metri valutato III/ 6+, una delle più difficili cascate della regione
che conta già un gran numero di ripetizioni. Più bella e classica non si può citare la storica
cascata della "Grande Madre", un imponente flusso che con i suoi 160 metri d'altezza
domina il paesaggio della vallata. Bonali è stato anche fra i più attivi nella scalata delle
impressionanti colate che precipitano nella gola della Val di Scalve. Avevo definito questa
valle il Verdon dei cascatisti e sebbene difficilmente le sue colate siano in condizioni
questo è certamente uno dei luoghi degni di ospitare l'università di questa disciplina.
Sulle Retiche valtellinesi ci pensarono una serie di inverni miti ad asciutti a fermare quello
che sembrava un boom: la seconda metà degli anni '80 è abbastanza povera di novità e i
cascatisti si limitarono a sopravvivere sulle loro magre e rare cascate.
L' inizio di una nuova epoca d'oro può essere fatto coincidere con il 1989 ma è nel 1991
che assistiamo alle prime importanti realizzazioni, preludio di un notevole innalzamento nel
grado delle difficoltà superate. La favorevole annata vede attivo il trio Luciano Barbieri,
Maspes, Miotti, viene dapprima superata la Supermerdarola e poco dopo il grande
Overcouloir, quello di destra dei due colatoi del Monte Piezza già in parte salito da Cassin
e Mario Conti.
In Valchiavenna i tre riescono invece nella soluzione di Megofis, un couloir di cascate
alcune delle quali verticali che li impegna per 19 lunghezze di corda.
Le guide Sertori, Rossi e Moroni riescono nella salita al difficilissimo couloir nord del
Combolo, 600 metri con un primo salto verticale di due lunghezze. Sertori e Rossi sono
poi particolarmente attivi nella ricerca e nel superamento dei numerosi problemi offerti
dalle solitarie valli della Alpi Orobie Valtellinesi.
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Accanto a Maspes, certo il più attivo in questi anni, giungono in Val Masino Berzi, Biagini,
Casellato e Sartorio che risolvono l'Altra faccia della Valle (IV/6) mentre la cordata SelvettiGormoldi sale Magic Mushroom (IV/5). Ottima annata anche il 1995 con la definitiva
risoluzione del corteggiatissimo Pisarot da parte di Biagini, Casellato e Crottogini (II/5) e di
Ladri di Mello (Righetti-Giodani; IV/5+); Avana di Berzi, Maspes e Perlini risulterà essere
una delle più difficili (IV/5+). La fama della valle è nel frattempo giunta anche a Gabarrou e
Marlier che guidati nella ricerca da Maspes compiono due belle salite nel remoto e
fantastico circo della Val di Zocca.
Non dimentichiamo poi la Val Malenco dove la ricerca di estreme difficoltà tecniche viene
sostenuta in particolare da Massimo "Vigneron" Bruseghini eclettico scalatore che passa
con disinvoltura impressionante dall'8b ai 90°. Sue alcune realizzazioni importanti fra cui la
prima ascensione alla cascata della Fora.
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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
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C.L.S.A.SA – Ghiaccio verticale
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