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Meglio morti che schiavi

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Meglio morti che schiavi
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PIACENTII{I
riuista dell' Istituto storico della resistenza
di Piacerlza
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TESTIMONIANZE
"Meglio morti che schiavi".
Anatomia di una resistenza nei
lager nazisti
Claudio Somrnaruga
199
Casa Editrice Vicolo del Pavone Soc. coop. r.l.
1
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Testimonianze
Claudio Sommaruga
"Meglio morti che schiavi"
Anatomia di una resistenza nei
lager nazisti
Prologo
"Anatomia> come tentativo di individuazione dei componenti di un
assieme per comprenderlo meglio, lasciando ad altri valutazioni e nessi
fisiologici. Non è un saggio e nemmeno una memoria, perché considera
solo alcuni aspetti dei mio .internamento". E'i'autoanalisi, forse meno
emotiva per il lungo tempo trascorso, delle vicende, dei sentimenti e del
comportamento che hanno portato un giovane ufficiaie, allevato alla
scuola fascista, deluso dalla guerra e dai superiori e ignorato da due patrie, a scegliere il "lager nazista", trovando nella propria coscienza e in
un gruppo di giovani compagni, idealisti come lui,le ragioni elaforzaper
respingere ogni seduzione della coliaborazíone militare o civile con il Terzo Reich e la Repubblica Sociaie. E'la testimonianza di uno dei tanti internati miiitari italiani "volontari dei reticolati", scritta perché suo f,rglio
sappia come sr,ropadre è maturato uomo in una difficile circostanza.*
Una gioventù iiiusa e tradita negli ideali, un 25 lugiio che apre una
troppo breve estate senza più dittatura e senza ancora una democrazta
e quei "pa,sticciaccio" dell'B settembre che vede 1oStato latitante e il Paese dissoiversi in poche ore. In questo scenario ci ritroviamo, poco piu che
ventenni, nei lager, senza guida, esuli dalle famiglie e da due patrie: urra
che ci ignora, succube degli Alleati, 7'altta plagiata dai nazisti, che cr
manda due galleite e ci vende come schiavi. E aiiora rtor, ragazzi sprovveduti, ci siamo.quardati in faccia, ci siamo serrati, abbiamo scrutato ne1le nostre coscienze, abbiamo discusso attorno alle fredde stufe deile nostre baracche, abbiamo scoperto e maturato in noi i valori più sani di una
generazione mandata in guerra dai padri, abbiamo scoperto la verità sulla nostra pelle, per noi e le nostre famiglie: ,.Sabaudi e badogliani" di fronte al tedesco, critici e "italiani." di fronte a noi stessi. Hanno tentato con
x'Dedicole pagine che seguonoa Bruno, perchésappia comesuo padre è maturato
in una difficiie circostanza.
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Lllaudio Sorn nia;'ug.i
ia violenza fisica e llÌoraìe cii ialci cliveniai'e teileschi. indossare i pastrani delie SS, giui'ale fercieitaei,ei'naal "f'ùhr-el-,'enoi: ,,}{Q". Ci hanno offerto il riborno in famiglia, senza stelìetie, per Lìii .,$p6g, fantoccio, e noi:
,,NO", e poi il pane per il lavoLo, e noi senlpre ,.|r{tJ',giorno dopo giorno,
per quasi 600 giorni. Ma non ci sentiamo eroi: gìr eroi non possono essere che pochi e noi eravamo lì1assa.Crecto piuttosto di es.;ermi comportato come tanti rniei compagni, come uno educato a conpiere il proprio dovere, costi quei che costi e basta, crjn la sola alternativa di disobbedire,
contro coscienza. I1 mio clrarnma norì era il principio del dovere ma di clelineare quaie fosse il rnio dovere e entro quali ragionevoli limiti: oltre ci
sarebbe stato solo I'eroismo che è vrrtù di, por:hi eciha un senso se cosciente e frnalizzato e con una sopravvalutaztone dei valori morali sui sacrifici sopportabili. *Meglio mcrti che schiavi!" er?-,"rn''zecchiomctto di tanti e tanti altri esuii della storia e di tanti soldati ed era anche il nostro:
ma ne valeva la pena? Forse, nella misura in cui vale essere coerenti con
Ia propria coscienza e dignità.
La scelta
Resistenza: armata o senz'armi. attiva o passiva-, non fare, sabctare..., tanti modi di esprimerla. Sotto il fascismc resisteùza fu comportamento di pocl-ri,per lo più di una altra generazione. Credo che la maggior
parte delle famigiie italiane non accettasse il fascismo ma 1o sottovalutasse o 1osubisse come un male ineiuitabile, forse il minore dei mali, ma
poi soilecitata dal nazionalismo dava ,,1'oloalia Patria" e i lagazzrappvt\tavano bandierine su carte geografiche di paesi misterio-qi per seguire
megiio le conquiste coloniali. A scuola o aii'unìr'er-qità pccl-ribrividi di antifascismo e di critica della sua vacuità da parte di qrraiche raro insegnante o di qualche cappellano. Ricordo ìe ciriare ailr-rsioni di don Gnocchi, per
molti anni mio padre spirituale e cappellano deìia.ù4iiizia r-rniversitaria:
cominciava a parlare di ..figli della lupa" e conch-rclevacoi "f,rgli della vacca": alludendo. A 11 anni, si era nel 1931. mi proibirono il distintivo dell'Azione Cattolica:1o portavo lo stesso e rimediaiqualche scapaccione,ma
forse il rnio era solo gusto del proibito. Io, bambino o ragazzo, non pensavo, già troppi 1o facevano per me: genitori, insegnanti, preti e gerarchi.
Avevano pianificato anche il mio tempo libero: dovevo giocare alla ioro
guerra. Sandokan, Buffalo Bill? No, mi misero in mano un finto fucilino,
poi a 14 anni mi vestirono da (marinaretto" e mi trovai un vero cahnoncino che trainavamo nelie parate con due lunghe corde tra un assordan-
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"Meglio rnorti che schiavi"
te rullo di tamburi e il drsco della rnarcia della Marrna.
A 20 anni, "quelli del GUF" mi misero in mano un calarnaio e rnr mandarono a mani.festare sotto il Consolato francese coi soliti slogans: ,,Corsica e Tunisia, dita puntate sull'Itaiia!" e cose simili. Sa.rebbesesuita rrna
finta repressione poliziesca. Mi sorpresi a riflettere sul mio calamaio come il "pensatore" di Rodin, maturazione dell'uomo sull'anirnaiità, e scivolai a casa. Da allora cominciai anch'io a pensare: avevo tre cugini francesi e in guerra ci saremmo trovati faccía a faccia; su questa eventualità Mussolini aveva ironrzzato alle Conferenze dt Stresa e di Monaco con
mío zío, Alexis Leger, Segpetario Genera.le d,el euai rl'or:sav, e la lsposta fu che ogni nipote avrebbe fatto il proorio do.rere: tre contro rrno, per
questo non voleva Éiuerre. E la guerra ci fu: i miei compagni al fronte vincevano battaglie e perdevano guerre. Io dovevo difendere I'irnpero del re
e del duce a cui mi legavano f,rn da ragazzo molti giuramenti obblieatori.
E arrivò anche il 25 luglio del '43, presentito alla Scuola Ufficiali di
Siena con un giorno di anticip o; spazzò il fascismo dopo illusioni di gloria, esumò in sordina i partiti, non ci diede nè insegnò la dema crazia ma
ci appioppò una specie di autocraziamlTitare. E arrivò anche quel
"pasticciaccio" dell'armistízto tra eserciti che non erano piu nemici e non ancora alleati mentre gli ex-alleati, sguarniti, non era chiaro cosa sarebbero
stati domani. Trovammo una Wehrmacht infuriata e preparatissima e il
nostro esercito sorpresissimo, acefalo e in clissolvimento.
Seguì la "resiste{rza>>.Ilmio primo impatto con questo modo di cornportarsi fu un ordine di
1:
"parvenza di resisterrza,,. Fu ad Alessandr{a sottotenente da tre giorni, ancora senza pistola e giuramento, in transito per
i1 mio reparto di assegn azrone, mi trovai la mattina del 9 settembre appostato a una finestra della caserma di artiglieria divisionale a riferire
le mosse di urr parrzer tedesco quando, appunto, arrivò l'.orrline,. Il colonnello dissipò ogni ragionevole dubbio: bisognava clisarmare i ,.veci, del
'l-21",
reduci dalla Russia, che non chiedevano di meglio che menare i tedeschi con cui avevano dei conti in sospeso maturati nella ritirata, e armare le reclute dell'11", ancora in borghese, tanto non sapevano sparare e poi non avevamo munizioni... (sic!). Abbrevio la farsa ricca di variopinte trovate. Ci fu un ultimatum del panzer:10 minuti per la resa, poi
ii panzer tirò un colpo a terra che spalancò il portone delia caserma tra
un fuggi fuggr di reclute nel cortile, suscitando la nostra pronta reazíone: "fuoco!". Vidi e udìi, da dietro la porta carraia, Ìo sfarfallio e lo sbruffo di un colpo a salve anomalo, umido, poi: ,.... abbiamo combattuto... ono-
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"lVleglio morti che schiavi,
Claudio Sommaruga
re delle armi..." e il gonfiarsi di un asciugamano bianco da una finestra.
Sorvolo sulla sequela multilingue e muitidialettale che seguì. Ricordo solo un alto ufficiale supplicare un sergente tedesco, visibilmente disgustato, di lasciarlo andare a casa perché aveva famiglia, mentre noi, giovani
uffrciali sull'attenti, urlava66; "Vigliacco! Viva I'Italia, viva ii re!";ricordo anche quel maggiore dei carabinieri (che fu poi giustiziato dai partigiani) che ci riconsegnò ai tedeschi dopo una rocambolesca evasione per
i tetti, da locali della mensa ufficiali dove eravamo rinchiusi2.
Poi fummo segregati nella "cittadell3". Qui sembra che i nostri avessero sparato un colpo di awertimento e il panzer aveva centrato il nostro
pezzo e 5 artiglieri; nel fossato vedevo giacere i corpi abbandonati di nostri soldati che avevano tentato la fuga. In poche ore250 tedeschi avevano occupato la città e concentrato 5.000 nostri militari. Ci caricarono su
un treno: in stazione, oltre il cancello merci, le coraggiose ragazze diAlessandria si prodigavano nella raccolta dei nostri messaggi a casa, che inviavano poi con parole commosse di conforto. Giovannino Guareschi, con
le sue battute, teneva alto il nostro morale apezzLe difendeva, serissimo,
I'inseparabile bicicletta, da un teutone privo di senso deli'umorismo che
tentava di convincerio della inopportunità di questa esportazione3.
E ricordo soprattutto, come fosse oggi, il primo "NO!" urlato ai limiti della esasperazione: finalmente <pensavo". Fu il 10 settembre, quando i nostri sequestratori cercavano gli studenti - ritenuti tutti della Miiizia universitaria - per utilizzarhin servizi di ordine pubblico, con le mostrine delle SS, agli ordini del fiihrer e con troppo vaghi accenni a una
qualsiasi Italia: in altre parole dovevo farmi iedesco per reprimere gli italiani e il mio"NO' oori poteva avere tncertezze e fu il primo, grossolano,
na vi posso dire che qui qualcosa si farà per fare in modo che i nostri fratelli possano presto ritornare fra i loro cari. Coraggio sempre e sempre
tanta fede". Conservo questa commovente testimonianza di solidarietà
con tanti altri biglietti simili, le lettere mie e di mia madre, i pochi cari
cimeli.
Dopo un giorno e tîezzo la tradotta si mosse lentamente e noi, con le
lacrime agli occhi, urlavamo con tutta ia nostra voce disperata;
"Italia!
Italia!". E I'Italia diveutava per me una realtà finaimente sfrondata da
vent'anni di retorica, una solidità che superava e dilatava la famiglia.
Era un porneriggio radioso, che acuiva ancor più il trauma deilo strappo,
che conservo tra i ri,cordi pirì crudeli e rivivo ancor oggi come un incubo.
Poi oltrepassate le Alpi, tutto fu un tetro presagio. Nelle stazioni ci umiliavano, con le baionette, a compiere i nostri bisogni davanti alia popoiazione e bambini biondi inveivano con sassi e rabbia:
"Scheisse, verrater,
Badoghlio>, con la "g" dura. Quel .merda, traditore d'un badogliano!" mi
classificava. Ora potevo anche non pensare come da ragazzo, il fùhrer
pensava per me, ia scelta era fatta: mi trovavo dall'altra parte.
Alie spalle lasciavo oî ragazzo che i miti imperiali avevano illuso:
Baibo, Nlarconi, Nur.olari, i1 "baiilla,, Meazza. Binda, il REX, l'orgoglio
del"fai da te", "faccetta nera' g il "posto al sole". Ora ero solo un uomo già
con un passato sbagliato da dimenticare. Ora gli italiani erano proprio g1i
ultimi, dovevamo ricominciare tutto da capo, in tutt'altro modo. Ma come?
errore di valutazione dei nostri ex-alleati.
La tradotta lasciò ientamente Alessandria: noi ufficiali viaggiavamo
con molte illusioni in un vagone di prima, tre per scompartimento e un
attendent e a parte, viveri e coperte abbondanti, destinazione ltalia, chissà dove, forse Mantova. Ma al Tarvisic, affievolita ormai in noi, di stazione in stazione, ogni speraîza di buon fine, la tradotta che mi esiliava a
tradimento si. arrestò: dai monti tuonava il cannone, erano gli alpini che
mi dicevano quello che nessun superiore mi aveva ancora detto e che
avrei voluto sentirmi dire. Una donna raccolse lungo la scarpata un mio
biglietto e 1o spedì con paroie commoventi a mia madre:"Abbiamo preferito la prigionia ad altre proposte per noi disonorevoli. .. " dicevo e lei aggiunse:,,Al1e poche righe del vostro frglio mi permetto di unire i miei migliori auguri esortandovi ad aver frducia in eventi migliori. Come friula-
Smisiati i soldati, p,rivia via gìi ufficiali superiori, giì effetlivr, anziani, medici e cappellani, di lager in lager, prima a Sandbostel, poi in Polonia a Czenstochowa, Chelm, poi nella rossa fortezza di Deblin, i tedeschi seguitavano a.chiedermi con testardaggine, arroganz4 violenza, ingenuità, di farrni iedesco o fascista e di sostituire ie mie,,ste1lette", orgoglio della divisa e simbolo delì'Xtaiia, con le nefaste "doppie esse>naziste
o i "gladi" repubblichini. Aiiora chiedevo, ai superiori e agli anziani ancora con noi, quale fosse il mio dovere, un consiglio, un esempio, perché
se già avevo fatto una scelta non ero ben certo fosse la più giusta, in quelle circostanze. La Patria: ma quale? Quella dei Nord, mia terra, con un
duce fantoccio in balìa di un faiso alleato, ostile e tracotante? Il Sud, che
non conoscevo, invaso da un ex-nemico che non ci voleva alleati ma tutt'al più cobelligeranti, con un re e 200 generali fuggiaschi che mi aveva-
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Obiezione
di coscieln.za
Claudio Somnaruga
"Meslio morti che schiavi"
no abbanclonato allarazzra degii schiavisti? Nei iager gli anzi.ani dicevano seri u... Re...Esercito legalitario... Onore... Dovere... Regoiamento...", comeper anni avevano fatto ecoa "... Credere... Obbedire... Combattere...u, poi, se li cercavo al mattino dopo, magari ne intrawedevo
quaìcuno, ombra sfuggente, nelle baracche imbandite degli optanti. Allora, più solo e disperato, interrogavo Dio, ascoltavo i miei compagni di
baracca che discutevano attorno alla stufa semispenta e dicevo anche la
mia e in noi giovani, gradualmente, giorno dopo giorno, prendeva forma
e consistenza una coscienza individuale e di gruppo, umana e politica,
fondamentaimente antinazista e antifascista e del tutto spontanea, ta'
giiati fuori, come eravamo, da esempi e condizionamenti di una Italia resistente, democratica e partigiana. Si radicava e si sviluppava in noi il
senso della dignità offesa, della sacralità del dovere e dell'onore, dell'agire con onestà, secondo coscienza, costi quel che costi. Mi costruivo una
Patria ideale per la quale un giovane soldato poteva anche morire e dove, se fossi uscito dal tunnel, avrei potuto vivere con una famigiia.
Mi è capitata in mano una pagina inedita, ingiallita dagli anni, del
diario del mio compagno di baracca Paoio Desana, che mi pare esprima
meglio di altre I'atmosfera dei primi mesi del lager e il nostro travaglio
diragazztalla ricerca di una propria identità politica e nella quale mi riconosco: non me ne vorrà l'amico, per natura schivo e pudico dei propri
sentimenti, se qui ne propongo alcune frasi: "A Chelm dove siamo arrivati tutti con gli stessi propositi, ci accorgiamo che i medesimi sono talvolta determinati da ragioni diverse. Tutti coloro che si rifiutarono di sottoscrivere ciò che propongono i tedeschi non intendono venir meno al giuramento militare. Quasi tutti poi sono indignati del modo con cui i tedeschi, con i'inganno, ci hanno catturato. C'è un grande sentimento di reazione contro ie violenze e i soprusi. Nelle condizioni in cui siamo io non
voglio né pos.sogiudicare il comportamento altrui. Però posso e voglio giudicare ii mio. Non voglio men'uirea me stesso aderendo per paura, per convenienza, per una "sbobba" più abbondante, per tornare in ltalia chinando ia testa di fronte ai tedeschi. Se ormai non c'è piu un superiore a dire
di resistere, c'è la mia coscietrza aimpormelo. Credo che nella maggioranza dei miei compagni di baracca ci siano gli stessi miei sentimenti . Credo che a Chelm noi stiamo maturando nel freddo e nella fame, diventando veri uomini, non burattini. Bisogna continuare a dire di no"a.
Ritrovo gli stessi concetti in brani delle lettere a casa, moderate dal
rischio della censura o fatte pervenire tramite qualche optante: "... Vi ho
lasciato ragazzo, a guerra finita riabbraccerete un uomo. Un giorno ca-
pirete la mia condotta motivata anche da cause morali" (19 luglio'44);
" Ho sempre agito secondo la mia coscienza. Potrò quindi un giorno riabbracciarvi senza arrossire" (29 settembre'43): e altri brani sullo stesso tono.
Cosi, fame dopo fame, debilitaii e non curati, mentre ii corpo si scarnificava, lo spirito si arricchiva di nuovi valori, scoprendo la gioia di resistere soffrendo e maturando una coscienza politica contro le ideologie
della barbarie. Le motivazioni della nostra obiezione di coscienza eral:io
molteplici e si combinavano variamente: fedeltà alla monarchia sabauda e alle l"gg. dell'onore soprattutto negii anzíant e nei gradi più eievati, disciplina ai regolamento e alla legalità specie negli uffrciali di carriera, senso del dovere, voce della coscienza e un senso profondo della dignità umana forse nei piu giovani, e in tutti, ufficiali e soldati, la ribellione
a chi tiLrarazziato con l'inganno e ti custodisce con la violenza. Era la rivolta degii schiavi ed era in tutti un antigermanesimo viscerale, secondo le grandi tradizioni risorgimentali e dei padri nella Grande Guerra:
,,loro" erano i "crucchi' € noi cantavamo, nei momenti di maggiore sconforto, i coi'i dei "veci alpini' e della tradizione verdiana degii esuli, dai
Lombardi ai Nabucco, che avevano scosso i nonni deil'unità d'Italia.
Molti approdi all'una o ali'aitra sponda erano orientati dalla solitudine morale in cui eravamo sommersi e dalìa disperata ricerca di non separarci dagli amici. Si costitr-iivano infatii piccoli gruppi di due o pochi
compagni di reparto o occasionali che si affiatavano, si aiutavano reciprocamente, si influenzavano, dividevano i pochi pacchi da casa, inviavano
rrottzie comuni a1le farniglie, che ie diffondevano. Era la solidarietà che
faceva capoiino nei lager-, regno dell'egoismo piu spietatos. tro non avevo
amici e mi affiatai subito col tenente Ezto Dali'Oro, r'educe deli'ARMIR.
un bergamasco di poche parole e di gran cuore, buonsenso e chiare idee.
Era di poco piu alrzrano dj rne e 1o consideravo corne r-rnfrateiio maggiore, un modellc da seguile. Credc d-ido.zergli molto delle convinzioni che
mi andavo facencio,delle sceìLeche anclavorafforzando e anche delia mia
stessa sopravvivetrza'. ie mie gioie, i miei doiori erano i suoi e io ricambiavo con lo stesso cuore. Penso che mai avrei optato anche per non lasciar1o solo, ma forse i'avrei anche fatto, se iui I'avesse fatto, per non ripiombare nella più cupa solitudine del lager.
Nella costrizione quotidiana della libertà mi restava I'evasione psicologica che nessun carceriere poteva mai intercettare: scrivevo poesie,
spesso in stile ermetico, forse incomprensibili anche ai censori 6, nostalgiche del passato, retoriche e iliuse dei futuro. Me le ripetevo ali'ossessio-
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"Meglio morti che schiavi"
ne nel buio forzato delle lunghe veglie notturne (anche 15 ore, d'inverno)
e alie prime luci dell'alba le trascrivevo a matita su foglietti di carta igienica, per mancanza di altra carta e per fuorviare la censura. Cercavo anche, in cieio, .Alkor", il piccolo "cavaliere dell'Orsa Maggiore> e sapevo
che in quella stellina, scelta con mia madre, i nostri sguardi si sarebbero incontrati e ci saremmo dette queile cose che non hanno bisogno di suoni per essere intese. Queste evasioni rituali mi davano la salvezza.
Le mie lettere quindicinali a casa e qualche messaggio affidato ad
optanti, erano invariabilmente zeppi di ,,pie bugie" per non preoccupare
i miei, ma poi traspariva la cruda realtà con richieste assillanti di cibi,
preghiere, e mi scusavo della volontaria segregazíone.I miei non insistevano, lasciandomi piena libertà di coscienza,mapoi sottolineavano il dolore deila separazione e la speranza che io e loro trovassimo il modo per
riunirci presto, il che finiva per rappresentare una tentazione che accentuava la sofferenza del mio voiontario esilio.
La nostra scelta non fu owia né facile, fra chiare alternative, con tanti eroi e pochi felloni, come forse si fìnisce per credere leggendo certi diari di reduci. La nostra fu una scelta sofferta, fra soluzioni al principio non
ben defrnite e che andavano deiineandosi nella riflessione interiore, col
sostegno deila fede e nelle discussioni coi compagni. La fame, l'inedia, la
vioienza abbassavano i livelli di guardia della resistenza umana, i limiti tra il dovere di tutti e I'eroismo che non può essere che scelta di pochi.
Eravamo spiriti piu o meno forti in carni troopo deboli. Anch'io, in più di
un'occasione stavo per capitolare, per esempio a Chelm, i'ultimo dell'an'43, per
fame e per un atroce mal di denti curabile solo con l'aspino dei
rina della baracca degii optanti: il campo si mobilitò, trovaror'on'ezzapastiglia sufficiente forse per air,rtarmi a non tradire me stesso e i compagni.
Quanto possono valere, in un lager, i ,,regolamenti" creati per ben altre circost anze? E fino a che punto valgono le gerarchie, oitre il solo rispetto? Sorvolo suile implicazioni morali e giuridiche di questi dubbi, ma se
non mancavano, tra noi, superiori che meritavano tutta la nostra stima,
prima e dopo ia cattura, per fermezza, esernpio, abnegazione, molti altri
si dequalificarono come ufficiaii e come uomini di fronte a noi e agli stessi tedeschi. La gerarchia si era ormai sgretolata per la rottura dell'unità dei reparti, le selezioni, i trasferimenti, le discussioni e le recriminaziortr, il collaborazionismo: reticolatí eLazzaretti, anticamere della morte, livellano gli uomini. E non c'era solo irriverenza da parte dei giovani,
ma anche arrogarrza da parte dei superiori. Ricordo a Sandbostel, a po-
che settimane dalla cattura, un alto ufficiale che apostrofava un'ammucchiata di uffrciali che assediava un mastello di "sbobba": "Ma Signori, un
pò di dignità!". Si aprì un varco e I'alto ufficiale si tuffò letteraimente a
mestolare a suo pro nel mastello finaimente conquistato: aveva riaffermato a modo suo decoro, gerarchia e precedenze.
Noi eravamo sostenuti dalia speranza dei "la va a pochi". Le radio
clandestine - ogni campo ne aveva almeno una, magari a galena - e le voci di "radio campo>, che confondevano illusione e realtà, ci convincevano
continuamente che le nostre pene stavano per finire: era solo questione
di resistere ancora un pò, per non vanificare tanti sacrifici fino allora affrontati. Alle armi segrete e a inversioni di rotta delia guerra nessuno credeva.
C'era chi respingeva le lusinghe nazi-fasciste per rìon tornare più a
combattere una guerra sempre più persa. Alle promesse di rimpatrio degli optanti solo pochi, e non a torto, credevano. Per aitri la scelta da effettuare era una (non scelta": rimanere nel lager per non forzare gli eventi. Questa indecisione non poteva durare a lungo perché era pur sempre
una scelta, sia pure passiva, che imboccava una lunga dolorosa via che poteva condurre alla morte, in una lotta col tempo della liberazione. Una tale scelta non poteva venire affidata al caso o all'incoscreîza. L'eroismo
spesso non è che un atto inconsulto, una manc ata o erronea valutazione
soggettiva delle conseguenze - tipo, livello, rischio-, ma la scelta coraggiosa di restare in un lager, r'eiterata ogni istante, non poteva che essere motivata e meditata. Evidentemente esistevano valori morali che superavano il peso sempre più leggero della morte.
I deportati per motivi razztalí non avevano scelte: subivano tragtcamente e basta. Quelli politici effettuavano una sola scelta iniziale, irrevocabile, militando come partigiani o patrioti, con ia prospettiva di poter
morire in combattimento, al rnuro o in un campo di sterminio. Per noi la
scelta si riproponeva assiilante, in ogni attimo di veglia, per tr9ore al giorno, per quasi 608 giorni, per oltre 40 milioni di secondi. Non voglio svilire la realtà coi numeri, ma soio rivelarla, non deformata, in tutta la sua
crudezza. Ripeto, non i,niendo atteggiarmi a eroe ma credo soio di avere
compiuto tutto ii mio dovere, nei limiti umani in cui poteva essere compiuto.
Le proposte formali di collaborazrone militare, che ho personalmente ricevuto e respinto sono state dieci in tutto, ognuna per la durata di
molti giorni o settimane. Sette proposte furono per i reparti allogeni delle SS, italiani o misti, e per i servizi ausiliari (polizia, lavoro) delle SS e
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Claudio Sommaruga
della Wehrmacht: ad A-lessandria (10 e 13 settembre'43) , Sandbostel ( 19
e 22 settembre), a Czenstochowa (27 settembre, 6 ottobre, 4 novembre).
Seguirono tre campagne di proposte per le divisioni di Graziani: a Cheim
(7 novembre e 31 dicembre '43) e Oberlangen (27 apriie '44). Ogni campagna, preceduta da affamamento e mi.nacce, era promossa da commissioni di nazisti e poi anche di fascisti, itineranti di iager in iager.
Dal27 novembre'43 fui poi martellato da richieste di lavoro "volontario", con prospettive non più di rimpatrio, al quale pochi credevano, ma
di potere mangiare e farci curare. La Convenzione di Ginevra sui prigionieri di guerra, del L929, disattesa per noi dai nazisti, e il nostro regolamento di disciplina consentivano però solo ii lavoro volontario degli ufficiali, se dignitoso e non frnalízzato all'attività bellica, condizioni mancanti nelle proposte naziste.
Di fronte ai tedeschi io mi riconoscevo moralmente come "prigioniero di grlerra>, un soldato dell'esercito legalitario sabaudo e badogliano,
anche se legalmente potevo tutt'al più considerarmi un "legittimo combattente" catturato in "stato di guerra non dichiarata". Ma per i nazisti
io ero solo uno sporco traditore, un bandito non giustiziato solo perché ad
Alessandria ii mio reggimento non aveva combattuto; tutt'al piu, finché
non mi pentivo, potevano considerarrni un potenziaie collaboratore dei
duce e/o dei fiirher in attesa di impiego militare o civile. I nazisti inventarono per noi la qualifrca di "Internati Militari Italiani" (iIvII), non contemplata dalla Convenzione di Ginevra, che ci privava della tuteia e delI'assistenza della Croce Rossa Internazionale (CICR) e ci lasciava in ioro balìa, nn pò al di sopra dei deportati politici e per motivi razztaLt, quasi come i prigionieri russi (non assistiti) e moito al di sotto dei prigionieri cli guerra alleati, assistiti dal CiCR e i cui governi pote.iano rivaiersi
sui prigionieri tedeschi.
Le mie personali convinzioni poìitiche si oriei-riavano ormai sempre
piu verso un repubblicanesimo stolico, sia pure confuso, perché alla inonarchia sabauda rinfacciavo rnolte colpe prima e dopo il 25 1ug1io'43,ma
per i nazisti io mi sentivo soitanto "Ufficiale cli S. M. il Re".
Noi, sottotenentini freschi di nomina, eravamo guardati con sospeLto dagli altri ufficiali perché, non avendo ancora giurato, avremmo potuto considerarci ancora sottuff,rciali, con minori impegni e responsabilità
di comportamento. Per non sentirci diversi, a Chehn, il4 dicembre'43,festa di S. Barbara,ín64 sottotenenti giurammo in clandestinità fedeltà al
re, evento che si era verificato già nei lager di Przemysl e di Deblin, ma
di cui non eravamo edotti?.Il nostro giuramento fu raccolto dal maggio-
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"Meglio morti che schiavi"
re di Commissariato Maturo, con la testimoni anza di alcuni capitani. Fu
una cerimonia breve, segreta e commovente: ristrutturammo al meglio le
nostre divise recenti, ma già logore per la prigionia, trovammo deile fasce azzurre, fu rimontata una pistola cla due mezze dei capitani Falchi e
Terenziani. In Italia questo giuramento non fu mai riconosciuto perché
non ricevuto da un comandante di corpo (ma non avevamo di meglio fra
noi), ma mai giuramento fu per me pir) sacro e vincolante, date le circostanze. Il tenente Desana, nel suo diario, lo considerò "tonificante' per il
morale dei campo8.Per me tagliava un altro ponte alle spalle e segnava
un altro passo avanti nella conquista della mia personalità e sulia via della resistenza.
Non credo nel rigore dei numeri ma ci sono numeri inventati e numeri più onesti, calcolati. certamente meno sbagliati. L'importante è restringere il campo dell'errore e individuare degli ordini probabili di grandezza. Questi numeri possono servire a verifrcare ia storia o ad evitare
una storia non ricostruita ma costruita a braccia; le stime sono lecite ma
devono essere ragionate e palesi come un restauro archeologico. In certi ambienti ministeriali e reducistici sembra di awertire una tendenza
a volere mrr-rffrrzzare il fenomeno deile adesioni alle forze armate de1
Reich e della Repubblica Sociaie, estorte nei lager, con coartazrorrrfisiche
e morali, dopo quelle coerenti, iniziali, dei militi e deile camicie nere. Ancora oggi, nei convegni storici suli'internamento e sulla prigionia di Fit'enze ( 1985)eedi Torino ( 1987) 10,ii capo deli'Ufficio ,storicomilitare (USSME), ammesso di avere gli archivi vuoti, valuta le adesioni degli ufficiali nei ìager a meno di un migliaio quando le testirnonranze dei diali, vagliate per difetto, portano a valori dieci volte maggiori: oitre 8.000 oplanti pari a un terzo della forza internatalr. lVon so se rrùnríùLzzare giovi piu
alf immagine di chi abbia o non abbia aderito, ma la verità storica non può
venire distorta e asservita a interessi cli parte. Il fatto che metà degli ufficiaìi, volenti o nolenti, fìnirono per collaborare in qualche rnodo, con le
armi o coi lavoro, al nazi-fascisrno, mostra il travaglio di scelte difficili in
-statodi necessità e, se crea attenuanii per certi collabor-azionisti, esalta
i1 coraggio dei molti resistenti.
La minore adesione militare dei soldati rispetto agli ufficiali (6 e33Vc
delle rispettive forze è da porre solo in parte in relazione a differenze di
comportamento nelle rispettive categorie. Di fatto la propaganda nazLsta, mirando a privilegiare lavoratori in Germania piuttosto che soldati
infidi in Italia, si concentrò soprattutto sugli ufficiali che presentavano
minore interesse come potenziale forza di lavoro, salvo i piu giovani. Gli
209
Claudio Sommaru
uffrciali erano anche pir) esposti al ricatto nazista poiché le disposizroni
del fr.ihrer e deil'Oberkommando Wehrmacht (OKW), già prima del nostro armistizio, prevedevano la fucilazione degli ufficiali "resistenti" e vi
furono comandanti locali che non fecero distinzioni fra resistenza armata e resistenza ideologicarz.
A ogni insuccesso degli arruolamenti i nazisti aggravavano ie nostre
condizioni di vita logistiche, sanitarie, alimentari: appeili interminabili
al gelo, controlli più numerosi mentre il nostro morale cadeva sempre più
a pezzt per I'altalena sfibrante di voci e notizie contradditorie. Allo st.
3fgc di Chelm mancava I'acqua potabile; dal soffrtto sconnesso delle baracche pendevano ghiaccioii e io giacevo a campate' come un ponte, su 5
assicelle e un ormai trascurabile sacco di trucioli, avvoito nella coperta
che chiude-ro dali'i.nterno con spilloni, lasciando fuori ii mio lungo naso,
aspirando aria fred.da dall'esterno e soffiando il fiato caldo verso i piedi
.o1o.r tubo di gomma: economia dell'energia! Sulle nostre condizioni di
vita non mi soffermo: troppi ne hanno parlato e non vi è diario che non vi
indugil3.
Durante il trasporto dall'Italia, ia giornalaia della stazione di Udine aveva spogliato la sua edicoia e ai volo avevo afferrato un doppio libro
che, smembrato in due, mi consentì di associarmi alle bibliotechine circolanti, organrzzate nei nostri iager, serrza traumatici versamenti di razrofr1alimentari come quote di iscrizione. Fu ia mia fortuna morale perché al ritmo di un libro letto in tre giorni (187 libri in tutto) riuscivo a dimenticare i miei guai e a farmi una cultura eclettica: dai lavori a maglia
(sic) e di cucina (solo teoria, purtroppo) a scienze, storia, poesia, narrativa, insomma tutto di tutto, pur di evadere dai miei guai, compresa la Bibbia, clal primo all'ultimo versetto, comprata dai miei e giuntami come "dono" della Croce Rossa di Salò.
Resistenza
al lavoro
Per invogliarci ad accettare le loro offerte di lavoro i tedeschi cercavano di censirc i r aztonalmente secondo desiderata, attitudini, professioni; ma mentre le attitudini degli ufficiali erano prevalentemente qualifrcate e intellettuali, le prospettive di lavoro erano manuali e per lo più
di bassa manovalanza: ghagronomi venivano affidati a contadini per cavar rape e gli elettrotecnici alla OSRAM per il facchinaggro di casse di
lampadine. Io ero studente di ingegneria chimica e uditore di geologia e
mi dichialsv6 nchimico,, "elettrotecnico,, "geologo", in modo evasivo e
2L0
-Meglio morti che schiavi"
sempre correggendomi e postillando per creare confusione e ritardare la
chiamata, che poi invariabilmente concludevo con un drammatico "NO".
Il rituale del reclutamento era sempre lo stesso: una parveîza di muscoli (aumentando il rancio), poi alcune brusche frenate di fame (per indebolire la nostra resistenza morale) e quindi la passerella o ii palco davanti ai "negrieri" che valutavano denti (li stavo perdendo nella generale decalctftcazione) e muscoli (flaccidi, ma potevano riprendersi). Noi, a grande maggiorarrza, "NO", finché fame e desolazione prendevano il sopravvento nei più deboli inducendoli ad accettare per uscire dalla topaia. Ai
nostri rifiuti i nazisti sturavano ia sequela degii slogans: ,'chi non lavora non mangia", "il lavoro rende l'uomo libero" e poi "gli italiani sono tutti oziosi" e roba simile, e noi ancora "NO!".
Ma ormai era il braccio di ferro tra loro e noi: separavano gli amici,
trasferivano, geiavano, affamavano, fiaccavano, mille piccole e grandi sevizíe le ore di inutile ginnastica o soste al gelo, minacce e sempre piu debolezzae fame: ...1500 . . . 7200...900 . . . calorie al giorno contro le 1 700 della razione uffrciaie dei non lavoratori e le 2300 appena sufficienti per soprawivere
onzzontali.
Noi chiedevamo ormai a Dio lafarzae la r.'olonta di soprar,'vivere: "Offro a Dio il mio sacrificio quotidiano per -roi, i'Itaiia, le vittime della guerra. Seguo sempre i dettami della mia coscienza anche se può ritardare il
nostro abbraccio. Più tardi capirete e giudicherete ..." (iettera a mia rnadre e mia sorella, da Chelm, 5 gennaio'44). Olrnai il Cristo eía fra noi nei
reticolati, internato come noi. Non mi sentivo piu abbandonato, rivivevo
in me il suo calvario e mi sentivo di ciò privilegiato. La íede, che vit'evo
ailora, mi dava un'incredibile forza di soprav.rivenza: la mia sofferenza
forse serviva al mio Dio, in un disegno peí me irnpelsci'utabiie.
Finì quel lungo geliclo inverno-inferno polacco e noi, ufficiali di complemento, ultime varle speranze del parco-lavoratori dei nazisti, fummo
trasferiti dai confinj orientali a quelli occidentali deì ,,Gi"ande Reich,,,
zeppi di città, miniere, industrie e campi di lavoro per iiberi, falsi liberi,
forzatí e prigionieri di tutte le nazioni.
A Lathen-Oberlangen (Of. 6), anche il giorno di Pasqua, ci sorvolavano sterminate formazioni anche di 1.000 bombardieri e caccia aiieati.
Passavano per un'ora e la geometria delle formazioni. consentiva la valutazíone della forza; poi rientravano da Berlino, Dresda, da chissà dove
con dei vuoti negii stormi. Un giorno un caccia-bombardiere a doppia fusoliera mitragliò anche una nostra baracca, ma per noi erano "i nostri"
che accorciavano la guerra e ci davano la sperarrza elaforza di resiste2II
Claudio Sommaruga
"Meelio morti che schiavi"
re ancora Ltn po'.
'44,
un ultimo tentativo di farci optare per Mussoiini
I1 27 apriie dei
andò a vuoto: solo 9 adesioni, ie ultime, su 3-4 mila uff,rciali internati.
Oramai non c'era piir nulla da spremere in fatto di collaborazione militare la. Si intensificarono gli sforzi dei nazisti, assecondati dai diplomatici
di Salò, per obbligarci al iavoro "volontari6". Qualche gruppo dei nostri
fu anche comandato, ma presto rientrò al campo per renitenza; neI complesso comunque ci furono parecchi volontari: almeno 400 contro 30 renitenti. Venne anche il turno del mio gruppo, quello dei piu giovani ufficiali: solo 10 aderenti e 190 renitenti. I nazisti erano allibiti e furiosi: trasferirono allora il nostro gruppo al lager internazionale di smistamento
di lavoratori di Duisdorf (Bonn st. W G), intensifrcando pressioni, minacce, perquisizioni, inierrogatori individuali della polizia politica a cui rispondevamo con ironia o fterezza. Io gridai "Viva il re!", sull'attenti e col
saluto di rito, aggiungendo che non amavo i tedeschi e che mi rifiutavo di
lavorare per loro, aggiunsi anche qualche frase offensiva che per fortuna
non fu tradotta dalf interprete, ero esasperatol5. Per fraccare la nostraresistenza ci svegliavano al mattino annunciando dagli altoparlanti il numero dei nostri soldati morti durante ia notte nell'adiacentelaz,zaretto.
Ottenevano I'effetto opposto: se i nostri soldati morivano di fame, malattia e miniera per avere rif,iutato, alf inizio, il nazismo e il fascismo, come
avremmo potuto volontariamente sostituirli noi, ufficiali? Ormai era la
cacciaagli untori: si cercavano i "sobillatori". ui comunisti" che certamente dovevano nascondersi tra noi, perché per rnazísti non poteva esserci
una diversa spiegazione del nostro comportamento. Naturalmente non li
trovarono perché non c'erano, perché tutti noi eravamo "agitatori", perché non avevamo connessioni con ideologie orgafirzzate, perché eravamo
solo ciegli anti-nazifascisti spontanei. Ailora fummo boliati ufficiaimente come "nemici dell'Europa' e ci furono diversi arresti intimidatori16.
Intanto si intensificavano i bombardamenti alleati sui grossi centri
industriaii delìa Renania: alla sera vedevo i cieli rossi, i bengala, i traccianti, i raggi delle fotoelettriche che saettavano, gli incendi che arroventavano Bonn, Colonia, Dùsseldorf. Gli alieati erano sbarcati in Normandia, i tempi si accorciavano.
Nella primavera del'44 accadeva che in Italia parenti e amici si adoperassero per ottenere il rimpatrio di qualcuno di noi, come lavoratore indispensabile (vero o finto) di qualche industria bellica. Bastava una nostra frrma di adesione alla RSI e al lavoro per concludere la pratica. Venne anche il mio turno, inatteso, perché non avevo mai lavorato per nes-
suno. L'Aeronautica Macchi di Varese, poi un'altra ditta mi richiedevano. In molte lettere i miei cercavano di farmi capire la situazione e io la
rnia obiezione, tra le pieghe della censura che, devo riconoscere, non fu severa. Ne stralcio alcuni brani: "... il nostro destino è duro, ma noi siamo
più duri e dureremo fino alla fine contro i disagi della nostra vita ... rinuncio al rimpatrio" (25 gíugno'44).,,Per il mio rientro nessuna via è accettabile ... un giorno capirete la mia condotta motivata anche da cause morali..." (19 luglio'44). "frfen avendo aderito al lavoro volontario dal primo agosto vi saremo costretti. In quanto al mio rientro non ne voglio sapere, sospendete tutto, vi sono condizioni incompatibili con il mio carat'44,
tere ..." (scritta il 1 agosto
a Duisdorf e inoltrata il 3 con località censurata). Seguì poi il tentativo dei miei di farmi assumere da una ditta italiana, in Germania, con prospettive di licenze in ltalia, ma nelle rnie lettere mi ostinavo nel rifiuto d'ogni iniziativa del genere e finirono per non
tormentarmi più e Ìasciarmi in pace nel mio brodo. Ma ormai i giochi erano fatti e io rni trovavo dal2 agosto in punizione, ai iavori forzati, nello
straflager A. K. 96 della Glanzstoff di Colonia.
Nelle ultime settimane, a Duisdorf, le offerte di lavoro furono in tutto22, tutte respinteiT. Alla fine ci intimarono: "O il lavoro volontario o
quello forzato in un campo di punizione>. 11 diktat era fìrmato direttamente da Klernm, responsabile distrettuale di uno stuolo sterminato di
prigionieri, datato il 20 luglio e predisposto quindi ancor prima delf incontro e degli "accordi Mussolini-Hitler", resi noti il 3 agosto e operanti
soio dai 1" di settembrers. Ci dicevano, per commuoverci, "l!{sssolini piange per voi". "Lacrime di coccodrillo", cominentavo, perché erano mesi che
proponeva la nostra smiliiariz zazrone e cívtltzzazíone e ora di fatto ci vendeva, o meglio, regalava al sr-ropacli:one1s.
212
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La contestazione
E così ii 2 agosto, co1mic gruppo c1i200 giovanissimi uffrciali, fui deportato all'Arbeitskommando 96 delia- "Glanzstoff-Courtaulds" di Colonia, fabbrica di seta artificiale per paracaduti (angìo-tedesca e forse per
questo mai bornb ardata dagli Alleati) che noi battezzarnmo subito
"la Cajenna". Vi trovammo lavoratori di tutte le nazionalità, uomini e donne,
civili, deportati, militari, anche italiani e anche studentesse tedesche antinaziste, come noi in punizione, alcune con bimbi piccoli o incinte. Ma a
noi fu precluso ogni contatto con loro che non fosse per lavoro: per noi fu
allestito uno straflager nei lager, circondato da un alto reticolato e custo-
213
Claudio Sommarusa
- 9
dito dalia Wehrmacht. In fabbrica dipendevamo però daile autorità politiche del lavoro, col controllo della Gestapo, che si avvaleva all'occorrenza delle SS. Noi ci consideravamo sempre militari, rifiutando di sottoscrivere l'impegno, sull'onore, di non tentare la fuga (diritto di ogni prigioniero), e di mutare con tale atto il nostro status di miiitare in quello di civile.
Subimmo il lavoro coatto, sotto la minaccia delle armi puntate, colpo
in canna. Dal2 al 2l agosto il nostro gruppo andò ingrossandosi con altri arrivi di giovanissimi ufficiali renitenti al lavoro, anch'essi del lager
di Oberlangen, fino a raggiungere la forzadi 360-370 coatti. La storia delle vessazioni subite e del nostro sempre piu esasperato rifiuto di iavorare è risaputa, scrupolosamente descritta e anali zzata nei saggi e nei diari delli anzíano del carnpo', tenente Paolo Desanaz0,dell'interprete e moito più che interprete, sottotenente Raimondo Finati 21,e di parecchi di
nol22,editi, in stampa o inediti e depositati al GUISCO, associazione fra
i superstiti 23.
Il "gruppo di Colonia>, composto come si è detto dai più giovani ufficiali (classi 1918-1922), era il residuo di una scrematura tentata dai nazisti per fiaccare la resistenza degli ufficiali italiani internati. Smistati
i soldati, i più anziani, i più deboli e gli awenturieri, alla fine era rimasto appunto un gruppo omogeneo, compatto, affiatato, di goliardi coetanei, tutti con gli stessi ideali e ostinatamente resistenti ad ogni richiesta
di collaborazione,laddove molti altri ufficiali o non furono interpellati
(superiori, anziani, molti effettivi) o finivano spesso per cedere uno ad
uno (in tutto 6.000 "volontari"). trlrisultato, per quanto concerne la disponibilità al lavoro del nostro gruppo, fu diametralmente opposto alle
aspettative dei nazisti, che pensavano di disporre di un gruppo cli giovani non impegnati, facilmente condizionabili e che avrebbe dovuto stimolare, con l'esempio, I'adesione in massa dei compagni. Era orrvio che i naztsti, aggruppanclo i contestatori, li mettevano in condizíone di esaltare
il loro spirito di resistenzae questo fu un altro dei tanti ìoro errori.
Fra di noi non ci fu mai un bisticcio e questo fu un comportamento
dawero eccezionalein un lager, tanto piu se superaffollato come il nostro
che arrivò a stipare due uomini per giaciglio. Quando ci incontrammo, dopo 40 anni, stentammo è vero a riconoscerci, ma l'affiatamento fu imrnediato e istintivo perché eravamo, e siamo tuttora, straordinariamente
uguali e predisposti e fra diversi di noi si instaurò una nuova amicizia inimitabile. Negli interrogatori della polizia, a Duisdorf, le nostre risposte
non concertate furono straordinariamente simili: altra conferma della
2I4
"Nleglio morti che schiavi'
nostra omogenelta.
La nostra resistenza non fu una occasionale intemperarrza) una (ragàzzata,' per dirla in breve. Molti dei protagonisti non se ne resero forse
conto allora e qualcuno forse nemmeno ora, in una rimozione freudiana
di quello shock. Tuttavia i fatti restano incontrovertibili a dimostrare le
radici profonde delia contestazione, in un quadro storico che allora potevamo conoscere e valutare solo in parte.
Di quelle drammatiche vicende mi limiterò a ricordare ciò che altrove e da altri testimoni è stato ampiamente documentato. Anzitutto le continue legnate e i bastoni ortopedici rotti dal nostro capo-carceriere, il sergente Straal, un sadico e demente aguzzino nazista incattivito dalle disfatte belliche e dalle molte ferite e invalidita riportate sul fronte russo,
che gli avevano menomato un occhio, una mano e una gamba e che sono
la sua unica attenuante 2a.E poi le minacce di morte con le armi puntate, colpo in canna e scavo di fosse, le stangate coi calci dei fucili, il lavoro coatto sotto il pungolo delle baionette, le botte, le ossa rotte in termini reali, la segreta di rigore costituita da un umido e gelido sotterraneo
con la sola luce che trapelava da un buco nella porta e dalia canna fumaria, senza acqua e pane per giorni e giorni e con un bugiiolo mai svuotato. E ancora, il lavoro fatto svolgere agli ammalati con febbre alta (.eravamo in piena epidemia dissenterica), senza medicinali, quasi senza visite mediche e con pochissime ospedaliz zazíom (una quindicina in tutto)
ottenute solo grazie alla fermezzae alle prese di posizione dei nostri esponenti e di tutto il gruppo. A queste e altre sevizie si aggiungevano le razioni alimentari già scarse e ulteriormente defraudate. i turni pesanti di
lavoro, fino anche a !2 ore giornaliere, oltre ai lavori al campo e senza
giorni di riposo, I'insufficiente assistenza reiigiosa (1 messa ogni 3 settimane e confessioni sotto sorveglianza),le adunate intenninabiii per appelli, concioni e minacce, anche per la durata di diverse ore in piedi, braccta alzate, sotto le armi puntate ... Gli allarmi aerei, anche pirì d'uno al
giorno, aggiungevano disagio ai disagi. Si arrivò al punto che gli stessi militari tedeschi si rifiutarono di eseguire gli ordini criminaii dei sergente
pazzo, il che è tutto dire conoscendo l'esercito tedesco e la sua ferrea disciplina interna.
Ma noi non subivamo pa_ssivamente: ia rabbia accumulandosi ci esacerbava. Protestavamo, resistevamo soli o in gruppo, sabotavamo...Il rallentamento delle catene di produzione deila fabbrica fu sistematico, di
nostra iniziativa o per la inesperienza e la debilrtazrone.I tedeschi erano allibiti, e così gli altri lavoratori, succubi e rassegnati. Talora le ope-
2I5
Claudio Sommaru
rare ucraine si sobbarcavano parte del nostro lavoro per pietà clelle
conseguenze catastrofiche per noi e spesso per timore di rappresaglie
sulla
intera (catena). un motore elettrico spento, mi dissero i compagni, fu pre_
disposto al cortocircuito irrorandolo di pipi.
Dopo un mio iter fallimentare come conduttore di carrelli elettrici,
con facchinaggio di sacchi di cemento e di bidoni di acido, in quanto
figuravo "chimis6", fui poi assegnato alla squadra .sterratori,, come picconiere e badilante, inquanto avevo rettificata la mia qualifica in quelìa
di studente di ingegneria e geologo, sfruttando la pignoleria teutonica: piantavo pali della luce, invariabilmente storti. Dopo anche questo insrrccesso
fui definitivamente incaricato di scavare fognature, che almeno avrebbero servito a migliorare I'abitabilità del lager. Ero gravemente ammalato
di dissenteria, la febbre aumentav a, certarnente sopra i Bg", ma non
avevo modo di misurarla e, tanto, a che sarebbe servito? Unica cura il
iavoro e qualche pízzico di carbone vegetale, massima concessione di
Straal
estorta da Desana e Finati, i nostri portavoce, e quasi senza esami
me_
dici. Ma questo lavoro, pur eseguito sotto diretto controllo di uno chef,
mi
consentiva di stare all'aperto, lontano dagli acicli e dal frastuono ritmico della fabbrica e permetteva di seppellire .,sbadatamente, strumenti
topografici e di lavoro. Risultato: un compagno finì ail'ospedale colpito
in
testa dallo chef, con un segone, e io corsi uguale rischio se non *i orru._
se miracolosamente salvato un gigantesco muratore tedesco, burbero
e
taciturno, che fermò il braccio dell'invasato chef: la pietà era un
sentimento che qualche tedesco riusciva a provare.
I1 nostro gruppo arrivò anche a indire uno .sciopero-ammutinamen,
f6"2s (sravamo lavoratori-militari), senza alcun precedente nelìa
storia
dell'internamento, per solidarietà verso alcuni nostri compagni segregati da giorni, senza acqua e cibo, nel sotterraneo-prigione per rifiut"
ai tu_
voro. Le autorità politiche e civili di fabbrica, preoccupate deli'esempio
che avrebbe potuto estendersi agli altri lavoratori, f,rnirono per capitolare: i nostri furono liberati e il sergente Straal fu sospeso per alc,.ni giorni dalle sue funzioni, come provocatore della nostra esasperazione
e si
può immaginare con quale animo pentito tornò a torturarci.
Anche questo episodio è sintomatico dello spirito di solidarietà
che
animava il gruppo, incurante dei rischi che ciò poteva comportare.
La leg_
ge generale dei campi di concentramento era il ,.fai per te e peggio
per gli
altri" o, al massimo,
"fai pure per gli altri f,rnché ciò non ti lede" e nel dilagante egoismo la solidarietà era al massimo confinata fra pochi
amici
o nella rara abnegazíone di qualche.anziano di campo,. Le più
sempli_
216
"lVleglio morti che schiavi"
ci manif-estazioni di "egoismo" nei lager si riscontravano nella spietarezza del mercato nero (pochi viveri per gli ultimi effetti personali) e in quei
settentrionali che ricevevano pacchi e non li spartivano coi compagni del
sud occupato, isolati compietamente daile famiglie.
Ho accennato al contrasto tra autorità civili e militari sull'uso dei prigionieri. I tedeschi avevano ottímtzzato lo sfruttamento del motore umano dei loro schiavi con un calcolo scientifico-economico di costi-benefici.
Con riserve corporee dell'ordine dí I20-L40 mila calorie e una razione
giornaliera di 2.000 calorie, si sarebbe potuto sfruttare uno schiavo forse per 8-9 mesi (con 48 ore settimanali di lavoro leggero richiedente 2.500
(..sfifsk,, come era ciriacalorie/giorno), poi occorreva sostituire il <<pezzo>
mato il lavoratore coatto), e distruggere l',,usato", ormai inservibile, che
avrebbe improduttivamente consurnato razicni sia pure minime. Mj scr-rso della crudezza del linguaggro, adeguato al costume nazista. La sostituzione del "pezzo> era facile solo nei primi anni di guerra. Nei 1944la
Wehrmacht e le SS, che avevano in custodia i prigionieri-schiavi, li noleggiavano a imprenditori e contadini alla tariffa giornaliera di 4 marchi, se
manovali, e di 6 marchi, se qualificati, e poiché il costo medio (vitto, ailoggio, custodia, vestiario, trasferimenii) non superava i 2,5 marthi rtmaneva un buon margine per le forze armate del Reich26.IVIa vi erano 1e
frodi a beneficio dei reparti, o dei singoli, reahzzabili facilmenfs "grattand6" le raziortt, con ia conseguenza però cii accorciare la durata dei "pezzo". Autorità e medici del lavoro richiedevano che i iavoratori durassero
almeno 9 mesi, ccn 48-72 ore settjmanali di lavoro pesante considera+"ii
bassi rendimenti dei lavoratort,intztab tper inesperienza) e finaii (per debilitazione) e i cosi,idi a.ddestramento dei sostitr-rti.Da qui i continui ccntrasti ira utenti e f'crnitori di mano cl'opera..
Nell'A.K.961e razioni alimentari, che per i liberi lavoratori erano ior'se adeguate (nel senso che questi potevano integrarle disponendc di salario), per noi andarono scenranclovertiginosamente dalle 1500-i600 calorj.e teoriche iniziali verso e sotto quota 1000 la.sciandociuna prospertiva di sopravvivet\za, facilmente caicolabile, di ncn piu cli due mesi. 1o pesavo B1 kg alla cattura e, dopo diversi cali, ero risalitc a75kg all'arri.zc
a Colonia e mi ero ridotto a soii 59 kg in quattro settimane con una perdita di 16 kg: poco meno di 6 etti per ogni giorno di lavoro coatto in siato di malattia. Lo stesso avvenne per altri miei cornpagni di costituzione
e di statura minore 8. Zarnpetti, calato di 16 kg. I.tr.Rossi calato dí 12
"
kg sul loro peso originario27. Erano evidenti le frodi dei nostri carcerieri,
anche ai danni dell'esercito tedesco, perché disponendo delle nostre car-
2t7
Claudio Sommaru
te annonarie di fabbrica prelevavano quanto piu potevano distribuendoci il meno possibile e sottraendo il resto. Le prove delle appropria zioni
vennero sottratte agli Alleati e al loro stesso comando, con altri documenti compromettenti dello straflager, bruciandole nel campo sportivo, con
un gran falò alla presenza del nostro.anziano,,, P. Desana, il 16 settembre, alla evacuazione del campo per l'arrivo incombente degli Alleati2s.
L'esodo da Colonia iniziò il giorno prima con una drammatica marcia di
35 Km. Finati, Desana, pochi altri semivalidi, riuscirono a procurarsi un
carretto su cui raccoglievano, come
"monatti,,, i corpi dei compagni esausti, crollati a terra e che dovevano prontamente rimettersi sulle gambe
per lasciar posto ad altri. La colonna in fuga era chiusa dalle SS che non
lasciavano vivi alle loro spalle: dietro, a pochi chilometri, incalzavano i
carri armati di Patton...2e
Io intanto, dal29 agosto, ero stato f,rnalmente ricoverato in ospedale grazíe alia ferma presa di posizione dei compagni. Di fatto ero ormai
quasi guarito dalla dissenteria, ma così gravemente debilitato che la pietà di medici, suore e infermiere tedesche del St. Elizabeth di Colonia mi
sequestrarono alla mia scorta armata, come contagioso e mi rimpolparono di parecchi chili in un paio di settirnane3O. Il 15 settembre mi ritiovai
in terra di nessuno, poi fui ripreso dai tedeschi. Seguì un doìoroso, lungo, pellegrinaggio Lralazzaretti (Siegburg, Forellkrùg) e 1o straflager di
F orellkrùg, sempre richiesto di lavorare e sempre rifiutandomi di firmare. Ormai, confesso, davo scarso peso aiie consegarenze.Non avevo figli né
sposa. La vecchia mamma e una sorella maggiore erano ormai il mio solo legame con i'Italia, ma proprio loro mi avevano insegnato la coelenza
alìa coscienza e, pur con le pressioni patetiche per farmi rimpatriare, rispettavano il mio comportamento. Poi avevo vrraragazza,lamia
"madrina di guerra,, che mi sollecitava a compiere il mio dovere e questo per me
era un tormento perché ii mio dovere, come io I'intenclevo, era incompatibiie col rimpatrio. E c'erano gii amici, pochi di qua, pochi di là e moiti
imboscati. Un ccmpagno di scuola, sommergibilista optante della base
"BETASOM" di Bordeaux, avevail permesso di scrivermi e si dava da fare per farmi uscire dal lager, ma a condizioni per me irnproponibili: dovevo anche reclutargli marinai nel lager.. . ormai il mio problema non era
tornare a casa anzitempo, ma difendermi dai tedeschi fino alla lolo sconfitta.
viaggiavo a piedi per la Germania, di iager olazzaretto in lager, con
una sentinella personale, e mi compiacevo per i'incomodo che davo al
"grande Reich": gli ebrei dovevano camminareinmezzo alla stracia come
2L8
"Meslio morti che schiavi"
i cavalli, la mia sentinella mi scortava in città dal marciapiede, riservabo agli ariani, e a me toccava invece di camminare scomodamente nelia
cunetta: evidentemente ero un subumano. Incontrai in un tram un maggiore tedesco: mi guardò a iungo, triste, mi accostò, mi fece scivolare in
tasca un pacchetto di sigarette, furtivo, e Scesemormorandomi:"Conosco
gli italiani, ero nell'Afrika Korps. Coraggio, buona fortuna." Mi rianimai:
<pure i crucchi hanno un'anima". A Pa"itaiiani, brava gente" pensai e
della divisione "Italia" appena gtunincrociai
dei
repubblichini
derborn
ti da quello che, una volta, era il mio paese. Ci guardammo a lungo con
reciproca vergogna e trtstezza, muti, forse non avevamo più nuila in comune: loro iliusi, io "traditore>. In treno viaggiavo seduto, con la mia sentinella in piedi. Per pietà o perché non aveva afferrato la situazione, informava i viaggiatori che ero un ufficiale italiano malato di "r'nalaria"
(maiattia misteriosa per i tedeschi, che mi ero inventata per non andare a lavorare, denunciando strani dolori allarnllzae curabile soio col chinino - introvabile in Germania), cosi mi facevano posto a sedere, mentre
la mia anziana guardia viaggiava in piedi, sempre più stanca, puntellata al suo fucilone. E frnalmente, irriducibiie a qualsiasi coartazione, pervenni all'Oflag 83 di Wietzendorf, campo di smistamento di uffrciali, che
i nazisti avevano destinato al lavoro, e posto non lontano dal sinistro campo di Beisen, nella brughiera di Luneburgo. Qui fui accolto con sospetto
dai reciusi che mi credevano un lavoratore volontario, un traditore. Chiarii, come avevano già dovuto fare i miei compagni coatti di Colonia, che
tazzadi relitto fossi e dopo diversi giorni di"quarantena" potei finalmente ricongiungermi. al mio gruppo.
Ma il caivario dei "360 ragazzr di Coionia> non si esaurisce con la 1oro concentraztone a Wietzendorf. Qui, dal 1" settembre, era in atto la nuova campagna nazista per avviare gli ufficiali al lavoro, con ia vioienza fìsica e moraie, tn attuaztone degìi "accordi Mussolini-Hitler" sulla sntiiitartzzaztcne e civilizzazrorre degli internati. In realtà il promernoria di
Mussolini non menzionava gli uf{iciali. I nazisti li inserirono esentando
dai lavoro i soli ufficiali superiori ed eventualmente inferiori di carrieia
e, dal gennaio'45, esentando solo gli ultrasessantenni e gii invaìidi.
I1 nostro "gruppo di Colonia" fu preso particolarmente di mira: non
eravamo altro che "germi patogeni" di contropropaganda. Il nostro "capo spirituale" Paolo Desana, fu riavviato al lavoro coatto, con varie decine dei nostri, ad Alt Garge, si rifiutò, subì un processo politico, il carcere e infine fu deportato, per "rieducazione',, nel campo di eliminazione di
Unterliiss: qui, debilitato e malato, sfuggr alla fucilazione e fu liberato da2L9
Claudio Sommaru
gli Alleati dopo lungo vagare31.Diversi di noi furono deportati, coatti, ad
Ait Garge e altrove; altri infine, come me, attendevano a Wietzendorf il
loro nuovo turno di lavori forzatí o la liberazione.
Il fronte ormai ci investiva in una grande sacca: vedevo le colonne e
i cariaggl dei civili in fuga, sentivo il cannone, poi il crepitio delle armi leggere e iÌ rumore sordo dei carri armati ingiesi che non sparavano per non
colpirci. lrfoi cantavamo tutto ii nostro repertorio corale dal Risoigimento alla Grande Guerra e ragazzi, in divjsa di SS, combattevano una loro
guerra disperata asseragliandosi attorno ai nostri reticolati per sfruttare l'"intoccabilita" del campo, ormai internazíonale per I'arrivo di prigionieri di guerra francesi. Noi italiani sfuggimmo all'ordine di steiminio
prima nel vicino lager di Belsen, nel frattempo liberato dagti Alleati, poi
nello stesso nostro campo, con Ìe armi di dotazione. Fummo liberati, poi
riconquistati dalle SS e infrne definitivamente liberati 1I22 aprl1es2.
Dal 16 aprile avevamo occupato i magazzíni: feci un pasto continuo
di24 ore. molte migliaia di calorie e dolori atroci;il primo pasto dopo quasi 1200 pasti saltati, integrati da meno di cinque pacchi da casa, manomessi e non, purtroppo, daí22 pacchi fantasma mai ricevuti. Dicevo (crepo, ma a pancia piena" e mangiavo allucinato. Pesavo ormai meno di b0
kg: il lager me ne aveva scippati piu di 82,ll polso si era dtmezzato, mi
strascicavo p.endendo fiato ogni pochi passi, b00 metrL Ln mezz,ora per
elemosinare due patate all'infermeria, agli appelli mi puntellavano in
piedi i compagni, la mia posizione normale era quelia orízzontale e il medico mi dava solo poche settimane di vita. Allora r*ragazzidi Colonia,, del_
la baracca, mobilitati dall'amico Dall'oro, raschiavano per me ie loro gia
grame taztoní sotto ie mille calorie: un atto di sublime pietà che dice tutto il nostro spirito e di cr-rivenni a conoscenza solo mesi dopo perché la vera carità non ìla nomi. Con loro avevo vinto la mia guerra: ora provavo pietà per i vinti, ma avrei saputo perdonare solo i pochi che ebbero pieta di
me.
1122 aprrle. con una speciale tregua d'armi, passammo il irolie salutati da un cappellano cattolico tedesco e accolti da un pastore anglicano
americano. Bergen fu evacuata appositamente dagli abitanti e data a
noi33.Scoprii nella casa che mi fu assegnata tutto quelio che poteva servirmi per ricostruirmi: calzíní, mutandoni (da donna!) adatti alia mia ta_
glia, una cantina e un solaio fornitissimi d'ogni alimento imboscabile e
conservabile, un bel pollaio e due maiali rumorosi e affamati come noi. Ricevevamo anche le razioni dei combattenti americani (vere bombe da non
so quante migliaia di calorie) e, come non bastasse, trafugavamo patate
220
.Meglio morti che schiavi"
dai campi abbandonati: nei primi
Lerzo del mio peso perduto. Avevo
tedesco che avessi incontrato a tu
maiali e lo pregai di non farsi piu
10 giorni ricuperai 9 chili e 8 etti, un
giurato che avrei preso a calci i1 primo
per tu: piangeva, gli regalai i suoi due
vedere per non commuovermi.
Epilogo
Così si conclude la mia storia - una come tante altre nei lager - e 1'evoluzione ideologica di un gruppo rli giovanissimi ufficiali - studenti idealisti. Cresciuti nel clima deli'Italia Littoria seppero trovare in loro stessi e da soli, nei lager del lungo inverno polacco, ii rifiuto deile ideologie nazi-fasciste e di ogni richiesta di collaborazione militare e civile col Reich
e ia RSI. In Westfalia e in Renania si opposero al lavoro volontario e coatto, riuscendo quasi tutti a difendere, fino aila vittoria, le loro "steliette".
Dopo quattro mesi dalla liberazione, dopo un'apparente libertà sotto gli americani e una apparente prigionia sotto gli inglesi, giunse finalmente anche per me i.l rimpatrio. Al posto di tappa di Miitelwald sentii
un urlo:"Claudio! Claudio!,, e mi travolse in un abbraccio fratel Beltrando delle Scuole cristiane, mio maestro elementare, partigiano e ora arruoiato nella Pontificia commjssione di assistenza per "riportare a casau tre
suoi allievi dati ormai per dispersi. Ero il secondo che trovava e gli diedi notizie del terzo, Trissino, mio compagno a Debiin nei febbrato deI'44,
poco prima che nrorisse di stenti. In un posto di raccolta, a Milano, vidi
1amia fotografia:"Chi i'ha visto?". Ancora un trauma: oramai materializzavo tutta I'angosci.a dei miei cari, privi di notizie da troppi mesi, e che
avevo innescato con la mia scelta volontaria della "via dei iager".
All'armisttzío dtcevamc ututti a casa", poi per venti mesi speravamo
và
a pochi", ora mi dicevo (mamma ritorno": il 26 agosto riabbracciai
"la
la nria.zecchia, fatta piii scarna e canuta dalla troppo lunga attesa. Nel
febbraio deì'44 avevo sci'iito a inia madre e a mia sorella, in un brandello di carta-testamenlo recapitato dopo 10 mesi da un optante: "Perdonami tuito il male che nelia mia vita posso averti arrecato, anche questo dolore ultimo, che poco onestarnente avrei potuto fin clagii inizi evitarti. Ma
non avrei potuto consolarmene per tutta la mia vita. Addio e su di anima,
che ogni dolore ha un suo fine. Poi è la gioia e la pace serena. Vi abbraccio. Non vi ho mai tanto amate come ora che mi mancate. Claudio". Ora
era mia madre che mi diceva che le avrei arrecato un dolore maggiore se
non avessi seguito la voce della mia coscienza.
Poi, come tutti, raccontai: avevo preparato per due anni questo mo-
227
Claudio Sommaruga
mento, Ie paroie, le vicende dolorose, le emozioni. Farfugliai qualcosa e
calai il sipario. Chi avrebbe potuto mai credermi e comprendermi? Rimossi dal mio io questa assurda e orrida storia rivivendola per trentacinque anni dal di fuori, come non mi riguardasse e l'avessi solo vista al cinema. I nazisti I'avevano previsto: "Ci fosse mai un superstite, - dissero
a Primo Levi - qualunque cosa raccontasse nessuno potrebbe mai credergii".
Così in 600.000 abbiamo taciuto e nessuno ci chiese niente, anzi, da
principio, fummo anche accolti con sospetto, confusi coi collaborazionisti
grazie anche alla recente propaganda repubblichina. Le documentazioni dei miei uìtimi lager, Colonia e Wietzendorf, depositate al ministero
della Difesa dall'anzrano tenente colonnello P. Testa, sono oggi irreperibili 31.Al rimpatrio i Distretti indagarono solo sulle circostanze clelle nostre catture e col massimo disinteresse per i due anni successivi: ricostruii il mio stato di servizio dopo 35 anni, per la pensione, altrimenti per
gli archivi seguitavo a non esistere.
La Patria mi risarcì arretrati di stipendio di ufficiale, non senza aver
trattenuto vitto e alloggio, tanto (non avevo speso,. Nelle introvabili casse dell'archivio di Wietzendorf vi erano anche le schede dove i miei carcerieri avevano puntualmente accreditato le birre che non bevvi e che la
Wehrmacht libò non certo alla mia salute. Il mio giurarnento clandestino di ufficiale, nel lager di Chelm, fu invalidato perché "irregolare" e mi
awilii perché quello era il ricordo piir sacro della mia resistenza.
I miei compagni d'università, non internati o partigiani, si erano intanto iaureati o portati avanti con gli esami e non mancò qualche frecciata di esaminatori informatisi della mia lunga vacanza. Certo non mi
aspettavo onori e gratitudine ma nemmeno questa, diciamo, indifferenza. La prima ferita ci fu inferta in Gerrnania dai nostri stessi liberatori:
"Ma perché l'avete fatto?" e non diversamente fecero eco, in ltaiia, governanti, compatrioti, ex-optanti e lavoratori in Germania e molti dei militari che ci accolsero nei Distretti.
Già, perché l'abbiamo fatto? Ha mai valore una resistenza passiva?
Mangiare, sia pure poco, senza rendere, gravare su strutture militari
altrimenti destinate al fronte, sabotare l'industria di guerra? Io credo che
la costruzione della nostra personalità, nei lager, avrà pur dato un sostanziale apporto alla ricostruzione della Patria. "Resistenza", quasi un
neologismo, è una parola che appartiene anche a noi.
Leopoli, Chelm, Deblin e tante altre stazioni dolorose del nostro calvario, tanti campi con poche croci e molte fosse ignote, di internati igno-
222
"Meglio morti che schiavi"
ti, suonano oggr come nomi vuoti, remoti, fastidiosi anche, che assillano
consolo le menti dei soprawissuti. Ii dovere eseguito fino alle estreme
nei
seguenze: 50.000 caduti e dispersi in Polonia e Germania, altrettanti
mente:
nella
e
Balcani, i morti al ritorno, gli invalidi, i malati nel corpo
vivi
perché? Esistono eventi senza una loro, pur nascosta, ragione? Noi
vogliamo
se
martiri
nostri
dei
amore
di
àobbiamo ricordare il messaggio
Peressere degni di esistere: dimenticarli è come ucciderli un'altra volta.
donare i pentiti ma non dimenticare perché la storia non si ripeta: "Non
piu reticólati" è il motto degti ex-internati e oggi il mondo è pieno di lager, oppressi, affamati, cancellati.
un lungo tempo è trascorso ma io sento sempre in me, come una marche
catura indelebile, "quel qualche cosa in più" che fiorisce nel lager e
la sesegna tutti i prigronieri: la speranza, il coraggio e la gioia di vivere,
renità della morte intesa come liberazione, la pietà per chi soffre la fame
guardare
e la violen za,ll potere guardarmi allo specchio senza rossore,
era
Colonia>,
di
i"tagazzí
padre,
come
suo
figlio:
mio
gli
e
altri
negli occhi
ho
mai'
e
vigliacco
burattino
ma
Questo
anche,
utopista
un
idealista,
un
alquello
che
resislenzaa
maturato nei iager nazisti, nella mia personaie
lora chiamavamo tl utetzo, ultimo e def,rnitivo Reich"'
Ogni generazione non è che un sopralzo di una sottostante, traballanogni gene tazíonemette sotto accusa quelia dei padri, colimpalcatura;
te,
antefatto: i nonni ci portarono alla
peuolizzata d'ogni recriminabile
porirande Guerra, i padri ci diedero il fascismo e ancora sangue e noi
a
in
retaggio
lasciamo
che
dopoguerra
caotico,
tiamo il peso di ungelido,
Ma
dopoguerra'
un
e
guerra
una
ho
subito
Personalmente
nipoti.
figli e
e deportati civili
pJrr.o ,úu ,rn milione di resistènti partigiani,internati
1a
mia get\eraztopossano
riscattare
L fSO.OOOmorti per mano nazista,
ufficiali indegli
metà
la
anche
B
proprie
coipe.
ne da parte almeno delle
stellette e
loro
ie
dedizione
grande
piu
la
con
onorato
ternafí, che hanno
la loro d,ign1tà, riabilitano una classe di ufficlali non sempfe edificante,
specie nei ranghi Piu elevati'
E questo è 1'altro messaggio che lascio a mio figlio'
Claudio
223
Sommaruga
ex IMI 367/750
"Meglio molti che schiar'ì "
Claudio Sommaru
.giolnali pirriadestitto,Milano, Rizzoli, 1949, raccolta di brani, diversi clei cluttìi le ltr rlei
bi" del nostro lager di Czenstochorva (st. 365t-
Note al testo
I Gli awenimenti
a me noti, che hanno segnato la cac{uta della Caserma dell' 11" Art. Div.
di Alessandria, sono statt da me denunciati al Distr. Mil. cli Varese. nell'inchiesta prevista per gli ufficiali ex-prigionieri,
al loro rimpatrio, e che verteva più sulle circostanze della cattura che sul comportamento
in prigionia. Nella caserma, dove giunsi il 6 settembre
'43,
convivevano curiosamente batterie motortzzate dell'11" Art. Div., che dovevano
trasformarsi in ippotrainate
per essere awiate in zone paludose clel fronte russo, e batterìe
ippotrainate del 121" Art. Div. .Ravenna', reduci dell'ARMIR, che avendo perso pezzi
i
nella ritirata di Russia dovevano riconvertirsi
in batterie moLonzzate: donde la decisione di
riunire i due reggimenti in una stessa casenna Der un vicenclevole addestramento
con perdite di tempo e blocco di uomini clestinati al fronte. ma evidentemente
non si riteneva ooportuno rinviare sul fronte russo dei superstiti dell'ARMIR
L'armistizio
fu appreso, da noi uffrciali, per radio alla mensa di presidio: con alcuni
sottotenenti di prima nomina fui inviato a pernottare nella caserrna affidata all'uffrciale
di
picchetto. Alla mattina presto del g affluirono in caserrna il Colonnello
comandante e altri ufficiali. Alle 7 si inviò un camion alla polveriera per caricare munizioni;
lo vidi sfilare davanti alla caserma coi nostri artiglieri sgomenti, alle 7.30, scortato da
truppe tedesche, che palesavano così le loro intenzioni. Fu chiuso il portone, dimenticando
laìLntinella poi ricuperata, arrivò il panzer e segpì |a
"parvenza di resistenza" descritta nel testo.
Dietro il portone, nel cortile, fu posizionato un75/27 con ostentazione di alcuni
modelli di
granate, in legno, per ingannare i tedeschi, nel caso il portone venisse
forzato con alcune
reclute al servizio e un sottotenente di prima nomina .o-u ."po-p"rro.
2 Rinchiusi
nella mensa uffrciali, su suggerimento di carabinieri consegnati nella loro vicina caserma e coi quaii comunicavamo dalle finestre evademmo in una d,ozzínaper
solai
e tetti, dopo avere aperto un foro nel soffitto. Pervenuti nella caserma dei
carabinieri fummo intercettati
dal loro maggiore che ci costrinse a tornare sui nostri passi e awertì i tedeschi che ci segregarono tosto nella
zeppa di armamen Li, magazzinL e solda"cittadella"
ti e ar-resasi quasi senza resistenza. Durante I'interrogatorio,
al mio rimpati-io, appresi che
il maggiore fu poi giustiziato dai partigiani per altre malefatte. Il g e il 10
settembre i tedeschi, che avevano I'ordine della cattura.ind.olore,,, cioè con I'inganno, dei
militari italiani e di non provocare la popolazione, permisero contatti diretti tra noi e la popolazione.
Accadeva alìora che un gruppo di visitatori con viveri e biancheria facesse clrcàto
attorno alI'ufficiale prescelto e questi, poi, indossata furtivamente
la giacca di un visitatore, si fingesse per tale e, salutati calorosamente i compagni, se la filaise. Era
meglio potere indossare anche dei pantaloni por-tati con la biancheria che non veniva controllata,
ma spesso
i tedeschi, con una inaspeltata ingenuità, distinguevano i militan dai civili
dalia gracca
più che dai pantaloni o dalla camicia militare. Io, soio da tre giorni
ad AÌessandria, n"on conoscevo nessuno e quando, finalmente, una signora sconosciuta venne per
abbracciarmi
in tailleur, con la giacca del marito, era ormai troppo tardi e i tedeschi, messi
in sospetto
dall'assottigliarsi
dei confinati e dal tentativo di evasione della notte d.el 9, ci tennerà ben
separati dai visitatori,
su opposti marciapiedi
e così mi trovai in Germania anziché sui
monti come mi stavo prefissando. In quei due primi giorni ebbi anche ripetuti
contatti con
un operaio, militante comunista che si mescolava ai visitatori p"r r"guire
la situazione e
studiare il da farsi: nasceva la.resistenzao
e questo operaio mi rivelava un mondo nuovo
per me e fu il mio primo catechista di antinazifascismo.
3 Sulla resa di
Alessandria
e della caserrna dell'11'cfr.
224
anche G. Guannsc u,r,Diario
Clan-
* II prano intero è stato poi pubblicato ir-i.Noi dei Lager,., ANlll,
1i ][. oiiobre 1987.
5 Cfr. C. Souu,q.Rtrc.q,,
Solidarie,tà nel Lager: tre rnomenti, in sLampa nel volume commme(ltrlturale P. ivI. KoÌbe, Niemorativo per il 45" anniversalio deÌla morte di P. Ko1be, Centro
stre, 1987-88.
0 Mi accadde iniatti di trascrivere, itì lettere a casa, dei brarri cii nrie poesie che nou ave.rano alcun rif'erimento alle nostre conCizioni, ma inesorabiln.rente vetlivano falcidiate clalla censura.
I C f r . C . S o u u n R u c e . D a t i t t u n t e r i c i s u g l i u f f i c t a L i í n t e r r t a t i , i n A t t i d e l { ì e n 1 ' s g n od i s t u di "i mihtari italiani internati dai tedeschi dopo l'8 setr"emF.;r'e19'1.1", Irii'enze, tl: tr.nti.
1985, pp. 164-166.
I
ANEI,
"Noi dei Lager",
n. 10, ottobre 1987
, Cfr. Atti del Convegno di studj .,I militari
bre 1943", cit.
iraliani
internafi
dai lecie;i:hi dopo l'3 settem-
to Cfr. Gli atti in corso cli stampa deI Convegno tenutosi a Torirlo. 2 - -l rtrivernbre i987, sul
du. grteri'a titoî1'
temaUna storio di tutti: prigionieri, internati, deportcLí.iítaLtnnitutl.Lo spL:rtrt
diale
rr
lbrze arrnate del R.eich e
Quanti ufficiali aderirono alle offer:te di collaborazione con le
delia RSI? La risposta è ancor ogg-i contr-oversa. Per il nostro min. Dif'esa icft'. Cornmissariato per'le onoranze ai caduli, hÍilitari ltcLLtarù cadutí n'ei l''tger ttttzisti cLiprigionict e ster(.2(/ccli 40.000
minio, Roma, 1975)Ie adesioni nei lager non superarono il numero cii 800
generale G'L'
I
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C
a
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ufficiali catturati
Bertinaria, nei convegni stor"ici di Firenze e di Tolino, valuta in.,tnetro di un migìia-io'o
in "pociri" gii ufflrciali optanti nei lager. Ma nel citato con.regno di Filenze, G. Rocfrai, cia
una meticolosa analisi della mern,.-rriaiistic:r. valutava Lln nLll'Ileì!l Ci optanli cli allnentr
5.000 e piu probabiìmente ?.5(J0 sr-runa fbrza di 30.000 ufficiaÌi itriernali. e lo scrivenLe'
inventarianclo clibicamenle le adesioni ìager: per lager', arrivava a,Juolil 7 5011-E00(1, su
gna forza rli 26.000-28.0f10 uffrciali internatj, e aggrornabile oggl a t.t)0(J-,B850optanti su
una forza cli 28'c00' Questa folza '-iffìciaìi si riscontra sia' consiclei':rnt1i''i 11 00{) utfii:iali
rimpatriati e in'uegrati coj caciuti, gli ex-ufTiciali "civilizzati', e gii alnl-'i'to ì1.0[)()olltanti sir'r
coniideranclo i quasi 25.00C ufficiali catfurati ai primi di novembt'e, st:cotldo le sr,alisriche
OKW e i successivi arrivi dai Balcani nei due mesi slrccessivi (fblse 1i.000 ',iiiicìali). Sempre nel Convegno di Firenze, L. Caj.lni analizzava un rapporto clel gerrerale TJ Morera
ieCS, RSI., Segreteria particolare del duce, ris. 38,f .3+7. sÎ. 21, 29 F,+4t ccnsetrtendo ut-ia
valutazione di oltre i1.340 ufficiali coilaboratori ctelia RSI, rastrellati nei lager. colnplenclenti però anche optanti alla cattura in addestramento in Germania e con esclr-rsione di
nelle forze arrnate teCesche.
arruolati direttarnente
Da un esame cronologico delle opzioni, campo per campo, si rileva che circa 2.500 sj venparticolarmente
tra fìne diceme i rimanenti
flrcarono nei mesi di settembre/novembre'43
'44
'44 (oltre
a Biala Podlaska, e 147 non
2.450 optanti tra il 6 e 10 gennaio
bre e gennaio
quelli
Claudio Sommaruga
"Meglio morti che schiavi"
ii,tíi,llì!rîl$*:iiliti:Hn,.q*i:il1ffi
;;j?lí:ft
frx;""1Jilili:i;:ì.,ffi
;
1'500 e sli;rr'r'uoiamlflti ti tni"ì"-^aìfaLto
c e s s i v ip e r t l R S I s i c l r i r , s e r .r i À " g i " ' + + .
ai p.,*, ai nluembre. Gri arruolamenri
suc-
', Cfr. l,e dircttive:"11.1,n*sulla
" f u c i l a z i o n es o m m a r i a " d e g l i u f f i c i a l i d e l l e u n i f à i t a _
liane resisr'trrrtie chep'x [ano i" ilr" ]"igas
(oKw
oos,zazrlr,l
3
1s_rx."s"r"]-"ù""r, oKw, v. rrIl2,p. I107),
det14/rE.e.4
rià"Jwrsvqu ztéj-n._?ro
dalE.H.eu) e det2e/
s 0e. 43r oxH G i j ,l ,,y ra ,.n .l .e " * ; ra o .,à à r i H .i l ;.;l siKeiter
ri affermai tprìncrpi
oche
irariani
i. p"i",i",
n".
;::#"-:Til1:f'"""T:,ii"T]::f;?"'-t-*.i;t;iH;ir,,un
'n"r::^ri',
.t"
ai.uili',,
"i-,*no".nT;ilffi;'ì:T,ffi'lffil:'i:x'i:::J::::':'"n1t,::-;
Maanche,
adispoil"i:îf if ':f ::" "::*; ;;il;;, iosizioni
:in"i:i:iliii1î13?1
s'oi:j-i 1n1"1J,""r#:-"",tJ."",;::,'1",:1*ili:Tfi:lxi:l
corocava
i,',',,esro
ixi:
to dopo evariionetltÎl'"
o"i
i.isrà"i"ri .""ondo t" conuu.rrione di Ginewa,
1929) , doveva venire srirÌrnatoalia'"het;chJiì;,
;;; ro pr,i u pruù;;ffi,
regisrrato come (evasonon
ufficiali
ripreso"' Divr'r'si
'1u11""1
"
dovrebberoavere subito questa fine
secondo soprawil;r;trti di Quers;1o
fug". """ir"oratori
iiitJr
inio.
13I trattamenti degb ufficiaìi,
nei vari lager di internamento
in polonia, risultano più o
m e r o s i m i l i r ; ri r l o r o ( D e l ' t ' n ,c . " n r t o J o * u 1 p . , * r
-".ii, ólii-, girtrpodlaska, przemysr,
L"oo:lrr-rn"r""
Beniaminovr'
i,', -"".,""0"*q" ro.." .,ui'rufu.
àr shokt
(occupato dai generari) e di (rzt'nstochou'a.(occup"ro
Jugii ír?.r"rt ,"il;i;:
"., l,aggravanre
; Jnziani) con
pe_
rò della mag€iroreeT-dr'eli intelnati. el. qrunto
rìguarda il lager di cheìm (31g c), proscootlfle rrlsso
simo all'attr'1,t1€
e trascurato
-1[-iiTgr^ in_letteàtu.", .ir.
N. Vlcr*o, [Jomi.i e rettcotati, Mod,ic* r'roderna,J sps, po
;Lil à upp,.,.,ti inedfti in mio possesq-s
so, di F' M' (-lrvINELL'',PDasava, G. Mezzor.rr,
l;T
o. oni,exor, iis".n*a,or,ra, c. sonlinnuce,
c . v r \ r - r . r N1i ,, r ' t ev e r b a l i . u t r o. " . t u l i i " l i ' o r * " " r i ; " i ;
; ; i i . , o t i z i ep u b b l i c a r ei n A . A r pt*r,Baracc. }tto, a:".::,L'A.;ì.;;,
ì;éÉ;s._cor,ror:,i";;;'iitog",,in
n . 9 , R o m a ,f t , 6 - 7 7 : C . . . ( : e p p u c c ì r ' , i i " r n a i c r i a i ò o r t i , i " l u n r , e u a d . CANEr,
S D I n . Quad.
g , R o mcSDr
a,
^îif;11;i;]';S:'l:à;,::;:j:i;:;:i,:,
p,i,*",, iz;,:;;?i,,uerno
deitager,Roma,
airn,ro,'!!!:d,"'ni"t")','ui'r',,.,"#t';J:frt;i:,t
n"ìlu'
;f#:::,,,i::;f;
:ii:;:!::i:!Í; i,;:^
'ffi;l'l';3;??',:;j:J"c;";;;;, l"; ;,;;;'"íi"
ol"íí'itutia,zi
n"i"lol"i"n'o,i,ti
lr'Ji
poco
notoin re,rerarura
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una ricerca
'' Ì) arrittatc' tr rettubbiichino!,in -Noi
dei lager,,,Roma, ANEI, n. 2-3,marzo
'5 c. sorriu,q,qriG't'
L'intert'ogatorio,
in R. FlNer r, Arttorogia, GuISCo,
Napori ( in corso dÍ
srampar.
Attidelrli Raduno
GUrsco,
Guardo
radino,3-5oftobre
,r86TiiJil'Ll:ir3t.:WrQ,
226
ti P. Dcs.rN.r,Ite nt.issa.
esl, in M. seNr, prigiortieri, Roma, ERI/RAJ, 1ggz.
I8 G. Nlancaast, Un passo
auonri, in.Atti e memorie", v. 13, Mr-rseociel Risorgimer1todi
Mantova, 1976 (riporta il testo deli'Ordine di l{lemm sulla destrnazioneal lavoro des,lirrfficiali internari, del 20.7.44,integrati di protocollo e confro firma.
te Come
"ufficiali lavoratori volontari" si sono considerali quelli che, anche se precettati,
hanno finito poi per firmare I'impegno sull'onore di non leniare la fuga, diritto e prerogativa cii ogni prigioniero militare. Cfr. Conuenzione cli Ginet,ra sui Piigionieri cti Guerra,
1929, e c. L. BERrrNaRra,,Le
S.M.E negli atii in corso di stam_
fonti dell'fJff. Storicod.el.Lo
pa del Convegno di Torino su (Jna storia di. tutti: prígion ieri.,ínternatí, d.eportati
itaLiani,
cil. Da un inventario campo per campo risulterebbero alla ìiberazionein tutto 2.100 lavoratori coatti, oltre a 449 coatti in Renania, prima dell'entrata in vigore degli accorcli NIuss o l i n i - H i t l e r s u l l a " c i v i l i z z a z i o n ed e g l i i n t e r n a t i , i l 1 ' s e t t e m b r e t g + + . t l " u o r a t o n c i v i l i
"volontari", che hanno comunque, volenti o nolenti, accettata per iscriLto la rinuncia alla
f'ugae quindi hanno perso lo status di
"prigionieri di guerra" (o di "ex- internati", i1 ,1-,uu'
fini morali è 1ostesso),sarebberoin tutto vaiutabili in 6.000 o poco meno. In particolare
si possonostimare 2.000 i volontari, in Polonia e Germania fra gli ultimi di novembre 1943
e il 1 settembre 7944,di cui 400 riaffluiti nel settembre - ottobre lg44 aWietzendord altri 4000 i volontari dopo il 1 settembre 1944,di cui 1.920da Wietzendorf (non considerando i 400 di cui sopra),966 da Sandbostel e un migliaio da altrj campi. Infine furono un migliaio i precettati che finirono per non opporsi, di cui 517 affluiti uà A*brrrgo e gli
altri da
Wietzendor{. Cfr. A. ArvclotNr in C. Lops, Atbori d.ella Nuot,aEuropa, Rotria,Lìtoscampa
Nornentana, 1965, P. Tssre, wietzendorf, Roma, Leonardo, 1947 e Roma, ANEI, 1973;
R.
Soctxt LeYolvuocxcn, in ANEI , Resisienzasenz'anni, Firenze, Le Nlonnier, igg4, nn. 8g6
- 394.
Per lavoratori "coatti' si intendono queili renitenti e precettati, quindi obbligati al lavoro non retribuito sotlo la minaccia delle armi e che non abbiano in ogni casofiirnato alcun
impegno scriilo di iavoro e di non fuggire. La firma cìequalificava,di iatto, 1ostatus tii militare in quello di civile, non più in custodia militare ma in forza alle autorità civili, libero
o meno Prima degli accordi Mussolini- Hitler sulla civilizzaztone degli internati militari' in vigote dal 1" settembrre 1944, furono avviati ai lavoro coaLtosolo i 369 cli Colonia e
altri 79 uffìciali, tulti provenienti come quelli di Colonia dall'oflag S di Oberlar-igen/Lalhen. ì)opo il 1" settembre'44 i veri coatti furono in tr-rtto2.119 plovenienti cla Norimberg a ( 1 0 0 ) ,M u l h b e r g ( 1 6 4 t ,W i e t z e n d o r f( 1 8 5 0 )e p o c h i a Ì r r i , c l e p o r . t a tai A Ì t G a r g e a l K . Z , .
,
di Untel'lus-se in r,'aliaitri campi o servizi (Todt. fabbriche, .".uiri) sotto custocliactelleSS,
Gestapo r.rdell. polizia locale (ricerca effettuata dallo scrivente su dati di Basiie. Caopuccio, cortesi, Desana, NIello Rella, scaglione, Testa, Tori, 1'oscano,zamperti).
r0Olfre ai contributi già citati cír.
anche P. Dos.rx,r,DcLOberlongena Colottio, in C. _I-rt
ps,
Albc;ri dello Nuotta Ettropa, cit, pp. 767 - 176.
?r R. Frxarr, Antologia, cit.
22T. Scec;rrosB,ll catnpo di puttiziotte
della Glanzstoff'd.iColonia, Quad. CSDI n. 11, Roma, ANEI, 1983, n. 6, pp. 125-131;E. Zerrlrnrv, Fede e Antore nel lager, diario dattiìoscritto regist'ratoalla SIAE e depositato nelle principali biblioteche, Roma, 1g84; cfr. inoltre i
diari inediti di C. Frco, F. FRewcl,o. onr,ervnr,L. RavecNax, N. Rossr, F. Ser_a,C. Scnrv.,r_
vlNo, P. srlvnxr, C. Soruunnuca.,vAlLrNl e altri, depositati pressoil GtrISCo.
227
Claudio Sommaruga
'rGUISCo, Gruppo ufficiaii internati neiio Strafiager di Colonia, Napoli, via
Carbonara
r 02.
2aA. Cecci.q.xo, Ii Sergenie cii
Coio;riu, in "Rinnovanrerrto i!íarchigano',
28.'11.'45, nportaio anche in C. Lops, Gli Ai.borideiLaNuoua Europa, v. II". pp. 165-167.
2sCfr. A. Sce'rolosn,
agosi,o 1986.
Lino sciopero pa.zzesco,in "Noi dei iager", Roma, fu\EI,
'j5Cfr. C. So;uitvleRucn
, Gii ebrei noieggiaíi ciai nazisti, in "Storia lllustrata",
1986.
t? Cfr. E. Zeuperit,
n.7-8,luglio/
n. 347, aprile
Fede e dtnare nei iager, crt.
28Cfr. P. Dps,rNe, ite fuiissa
esf, cit.
te Cfr. R. FtNarr, Ii carro dei nionatii,
to Cfr. C. Sorir.reni;cx,
3'Cfr.
SoLidarieta
Fed. A-r\El di Bologna, numero
neí iager, cit. e R. Ftvrlrr, Antologia,
P. I)os.qNe, Da Oberl.artgen a Cclonia,
32CÍi. P. ?risr.q, Wietzenrlorf,
speciaie, 1985.
cit.
cit.
cit.; E. ZR,r,irei.rr, Fecie e drnore nei iager, cít-
33Cfr. G. Gu.c.noscar, Diarto ciandestino, cil.
3aCfr. C. Soivnwe;tuce, r''/orz dimentichiamo
i lager, e Docutnenti perduii, in
"Iì Giornaie",
6 grrgno e '30 grugno 1986; E. FrNit, Conuegno suLi'iniernantento, in A-NEI, Fed. Bologna,
numero speciale, 1985; R. CeeireNI, Il generale Fanti, in
"L'LiniLà", 3 marzo 1987; G. MsncArALI, Il posiino racconic., in "Resistenza senz'anni", Firenze, Al,iEI, p. 385; P. Tnsre,
Wietzend.orf, cit. Le 10 casse "smanìLe', delÌ'of. 83 - Wietzeniori
contenevano gli archivi
italiani e sopraltuti,o tecieschi di quel lager e anche cli altri ìager: p. es. deilo straflager A.
K. 96 della Glanzstoff di Colonia.
228
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