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fo scrivo che Montale ha ascoltato II canto delle Sirene
fo scrivo che Montale ha ascoltato II canto
delle Sirene
Gian Paolo BIASIN
University of California at Berkeley
Nel saggio conclusivo di Una pietra sopra, Italo Calvino propone un’analisi
straordinariamente acuta e rivelatrice dei livelíl di realtá che vengono conosciuti
attraverso l’atto della scrittura. L’analisi é condotta sulla frase «lo scrivo che
Omero racconta che Ulisse dice: jo ho ascoltato jI canto delle Sirene», e sfocia
dapprima nell’ipotesi interpretativa che ji canto delle Sirene non sia altro che
l’Odissea, mentre jI testo omerico dice soltanto che ji canto delle Sirene «é
quanto di meglio possa essere cantato», per cui «l’esperienza ultima di cui ji
racconto di Ulisse vuol render conto é un’esperienza lirica, musicale, aj confinj
delI’ineffabile»; seguendo Blanchot, Calvino valorizza I’interpretazione del
canto ¿elle Sirene come «un al di lá delI’espressione da cui Ulisse, dopo aveme
sperimentato l’ineffahiljtá, si ritrae, ripiegando dal canto al racconto sul canto»’.
La conclusione é aperta e affascinante:
ccco che ora, giunto al canto delle Sirene, dovrei ripercorrere mito jI
mio discorso per vcrifjcare se esso, come jo credo, possa adaltarsi punto per
punto alía poesia inca, e mettere in evidenza i van livelíl di realtá che
l’operazionc poetica altraversa. lo sono convinro che quesía formula possa
essere trascritia con adattamenti minimi mettendo Mallarmé al posto di
Omero. Una tale niformulazione ci permetterebbe d’inseguire II canto delle
Sirene, l’cstrcmo punto darrivo della scrittura, il nucleo ultimo della parola
poetica, e forse sulle tracce di Mallarmé arniveremmo alía pagina bianca, al
2.
silenzio, atl’assenza
2
Calvino, 1. (1980: 322).
Calvino, 1. (1980: 323).
Cuadernos de Filología Italiana, 4, 309-320. Servicio de Publicaciones UCM. Madrid, 1997
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Cian Paolo Biasin
Questa pagina di Calvino mi ha colpito profondamente, non solo per la
luce che getta sulla narrativa, ma per le possibilitá che apre alía poesía. E
naturalmente, come ji titolo del mio saggio suggerisce, segua l’invito di
Calvino mettenda non Mallarmé ma Montale al posto di Omero, e prendendo
dal discorso di Calvino solo quegli spunti, non tutti, che passono essere utili a
capire meglio la poesia del nostro grande ligure.
Giá anni fa, analizzando alcuni camponimenti di Ossi di seppia, avevo
notato come nei testi rnontaliani spessa una metafora nasca dal contesto
spazio-temparale, da una serie di metonimie. Leggeva in tal senso la strafa
finale di «Meriggiare pallido e assarto»:
E andando nel sole che alibaglia
sentire con ¡tiste mcmvi cita
come tutta la vitae ji sua travagito
in qitesto seguitare una muraglia
che ha in cima caecí agiw>si di holtiglia (2SV.
La metafora «vivere la vita=seguire una muraglia» sembra nascere
daliaccumulo delle percezioní sensariali espresse dalia poesia, di cui u «sale
che abbaglia» e la muraglia con «in cima cacci aguzzi di battiglia» sano le
punte estreme; e senibra dunquc ubbidire alía regala di linguisti came
Jakabsan, secando cui in poesia «ogni metonimia é leggermente metaforica e
agni metafora ha una sfumatura metonirnica>0_e come BloamileId, per u quale
«la poesia é una sintatticizzazione delle parole referenziali», che «divermtana
piú inetonimiche e meno metaforiche», dando alla poesia stessa «una densitá
síntattica oltre che semantica»5. Concludevo can la proposta di
¡sanare di una «melafora diegetica» (come fa Ceneite per Proust), per date
ji senso ‘u cui la metatora montaliana deriva dat c.ntesto spaziotemporale
della poesía. La metafora sembra quasi una specie di punta perfelto, virtuale.
cui Mon¡aie mira, ma che non pretende di ayer raggiunto dei tutks.
«L’espressione asso] utas>, diVa piú tardi Montaie neii’ hve,-visrc, inuuí¡ugiím~sia..
«restava un limite irraggiungibiiesi.
Ecca. direi che questa espressiane assoluta intesa da Mantale come limite
irraggiungihile é u sua canta delle Sirene, quell’ineffabile cui ci si pué
Montaie, E. (1980: 28); tuttc e eitazioni si riferiran no a questa edizi one con numero di
pagina in parentesí ne.1 ¡esto.
6
Jakohson, R. (1960: 370).
Bloomñeid, M. (1970)
Riasin, Cf E. (1991: 65) e Montate, E. (i976: 565)
lo scrivo che Montale ha ascoitato ji canto delie Sirene
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avvícinare soltanto. Ma a differenza di Mallarmé, che su questa strada incontra
il silenzio, la pagina bianca, Montale insistendo nella ricerca la tematizza,
passa ciaé da una ben definita tecnica scrittoria come quella analizzata,
metonimico-metaforica, all’invenzione di un’immagine che non per nulla é
diventata emblematica della sua poesia: il varco, con tutti i sinonimi e le
varíaziani semantiche e tanali, affettive e canoscitive insite in tale invenzíane.
Varrei dunque partire da una poesia che mi é sempre parsa bellissima e
misteriosa, «La casa dei doganieri» del 1930 (in Le occasioni) per riprendere
e approfondire ji discorso, mio e di Calvino. Ecca intanto ji testo della poesia:
Tu non rieordi la casa dei doganieri
su] rialzo a sirapiombo sulla scogliera:
desolata t’at¡ende dalia sera
in cui ventré lo sciame dei tuoi pensieri
e vi 50510 irrequietO.
Libeccio sfcrza da anni le veechie mura
e jI suonO del mo riso non ‘e pié lieto
la bussola va impazzita all’avventura
e u calcolo dei dadi pié non torna.
Tu non ricordi; altro tempo frastorna
la tua memoria; un filo s’addipana.
Nc tengo ancora un capo: ma sallonlana
la casa e in cima al tetto la banderuola
affumicata gira senza pieté.
Nc tengo un capo; ma tu restí sola
né qui respiri nelloscuritá.
Oh l’orizz.onte in fuga, dove saccende
rara la luce della petroliera!
II vareo ‘e qui? (Ripullula u frangente
ancora sulla balza che seoscende...)
Tu non ricordi la casa di questa
mia sera. Ed o non so chi va e chi resta. (161)
E’ un testo delicato e potente. Delicata per i sentimenti di cui é pervaso:
affetto, nostalgia, melanconia, perdita, tutti determinati dalia cansapevalezza
del passare del tempo e della lontananza (non sala geografica) della persona
amata. E’ la stessa situazione che Montale aveva tratteggiato in «Venta e
handiere»:
la raffica che tincollé la veste
e ti modulé rapida a sua immagine,
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Cian Paolo Biasin
com’é tornata, te lontana, a queste
pietre che sporge II monte alía voragine;
ma l’atteggiamento lá era diverso:
Ahimé, rían mai due volte configura
u tempa in egual modo i grani! E seampo
né: cié, se accada, insieme alía natura
la nostra liaba brucerá in un lampo. (23)
Qui, la lontananza della persona amata produce u desolato abbandano del
luogo, e la disorientata tristezza dell’io poetico che paría. E’ una situazione
leopardiana -—1 critici hanno giá richiamato in proposito «A Silvia» c «Le
ricordanze»L—, cesa pití esplicita dalle infarínaziani dello stesso Montale (in
una lettera ad Alfonso Leone del 19 giugno 1972, nell’apparato critico di
L’opcra i/t versi):
La casa dei daganieri fu distruita quando avevo sei anni. La hínciulla in
questione non paté mai vederla; andé.., verso la marte, ma jo lo seppi maiti
anni dopo. lo restai e resto ancora. Non si Sa chi ahíja latía sed ¡a migí are.
Ma verasimilmente non vi fu seelía. (917)
E in una poesia di Diario del ‘71 e dci ‘72, ~<Annetta».Montaje chianisce
ancora:
Perdona Anneita se dove tu sol
(non certa tía di nai. i sediceníi
vivi) poco ti giunge II mio ricardo,
Le tue appariziani lurono pci mal ti ano’
rare e impreviste, non cena da te volute.
Anche i luaghi (la rupe dei doganieri.
la face dei Bisagno dave ti iraslormas¡i o Dafne)
rían avevana sensa senza di te. (49(1)
Questa delicatezza affettiva e tematica del testo mantaliano é fondamentale
per la ricezione della poesia, perché é il livello a cui si attua una prima e
necessaria identificaziane di chi legge cari chi serive, il ricanoseimenta che si
tratta di noi, di una situazione possibile della nastra esperienza, della nostra vita.
Ma questo testo é potente per il modo in cui tali sentimenti sano espressi
e per la forma in cui é strutturato. Modo deIl’espressione: il linguaggio dei
Lonardi, 0. (1972) e Greca, L. (1980: 98).
lo scrivo che Montale ha ascoltato u canto delle Sirene
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sentimenti, come sempre in Montale, é un linguaggio duro, aspro, corposo,
fisico: é «lo sejame» dei pensieri, é «il suono» del riso, é U respiro della
persona amata, reso se possibile ancor pié vivo e presente, nella sua assenza,
dalIa voce verbale «respiri» e dal contesto-ambiente «nell’oscuritá» (é proprio
jI buio che rende udibile il respiro); ed é soprattutto jI paesaggio, sono le cose
che costituiscono non lo sfondo dei sentimenti ma II loro «correlativo
oggettivo»: la casa dei doganieri, la seogliera, u liheccio, le vecchie mura, la
luce della petroliera, il frangente, la balza che seoscende: il paesaggio alía foce
del torrente Bisagno a Genova. A contrasto, ci sono poi gli oggetti resi
~<astratti»o «metafisici» (metafisici alía maniera di De Chineo o di Carrá) dal
loro contesto inimediato, cioé dalle loro clausole qualificative, come la bussola
che «va impazzita all’avventura», o la banderuola affumicata che «gira senza
pietá», oppure da un riferimento intertestuale che capovolge il senso del
referente originario, come 1’ ossimorico «calcolo dei dadi» che «pié non toma»
(e che non é pié, affatto. il ~<coupdes dés» della tradizione simbolista pur cara
a Montale). II risultato di una tale contrapposizione di registri lessicali tanto
divaricati é un effetto di allucinazione, lo stesso che Montale ha voluto
sottolineare in Ossi di .veppia:
La Liguria arientale —la letra in cui trascarsi parte della rija
giovinezza— ha questa bellezza searna, seabra, allucinante. Per istinta ja tentai
un verso che aderisse ad ogni fibra di quel suola: e non senza risultata, perché
un critico illustre (Emilia Cecchi) noté subita che nel mia libro luito si
svolgeva satta un vela di allucinazione. Pié tardi, ín una mía intervista
9.
immaginaria, jo cercai di dare una spiegazione fj]osafica di quel fatto
Quanto alía forma di «La casa dei doganieri», hasti sottolineare la
compattezza—la «quadratezza di costruzione» come dice Silvio Ramat9—di
questa poesia, isolandone quattro aspetti particolarmente rilevanti e portatori di
significato:
1.
8
il testo é articalato in quattro strofe di versi liben, generalmente di
dodici o pié sillabe, che predominano su alcuni endecasillabi e un
settenario a forte funzione ritmica; i versi e le prime tre strofe sono
legati tra loro da numerose rimeío (secondo uno sehema anch’esso
libero: ABBAC ¡ DCDEEF 1 F...) e rime interne o rimalmezzo, di cui
Montale, E. (1976: 88).
Ramal, S. (1965: 122)
Farti, M. (1973: 175).
314
Gian Paolo Biasin
la piú cospicua é «sera» nel terzo verso della prima strofa ripreso e
concluso da ~<mia sera» nell’ul¡irno verso dell’ultima strofa: un
procedimento non nuovo in Montale --—si pensi a «stasera-stasera» in
posizione analoga in «Corno inglese» (II)— che sottolinea la natura
intellettuale della rima, la sua funzione di riehiamo e intensificazione,
fino alía circolaritá del componimento;
2.
il testo é scandito da un uso efficacissirna dell’anafora, la ripetizione
a inizio di verso, pa sottalineare unidea, una condiziane, uno stato
d’animo: il sintagma «Tu non ricordi» appare in tre delle quattro strafe
e le seandisce tutte: nella terza sirofa manca «Tu non ricordi», ma «tu
resti sala» fa da eco e da variaziane; in cantrapposizione, il sintagma
«Ne tengo (ancara) un capo» ~ ripetuto due volte íiella terza strofa, la
stessa in cui «Tu non ricardi» non appare; lanafora sembra
sottolinearc lo sforzo di instaurare un dialogo mentale che é verarnente
impossibile per il divaricare dei tempi e dei destini individuali;
3.
sintatticamente, le frasi sano dominate da una negativitá prevalente:
~<nonricordi, non é piú lieto. non torna. mt non so»; ci sano inoltre
due avversativc: «ma»; un avverbio di privazione: ~<senza»;e, ín un
testo che tratta del tempo e della memoria. neanche un futura”~
4.
il tessuto cancettuale del testo é tutta basato su parallelismi e contrasti:
si notano non solo l’ovvia contrapposiziane ifa il tu destinatario e l’io
mittente del messaggio poetico (é un dialogo tutto interiare, in cui sala
l’ia agisce), ma le apposizioni tra casa e vento, seogliera e amare,
permanenza e distruzione, memoria e dimenticanza, precarietá e
incontrollabilitá del reale: la poesia esprime uno stato d’anima non
solo delicato ma complesso.
Ho detta ~<tessuto cancettuale»: infatti (come accade vistosamente nel
teatro di Pirandello, in cui lo seontro delle passioni é sempre incarniciata da
un impianta logica) la poesia di Montale articola un discorso che parte dal
Vale la pena citare in proposita le osservazioni di Glauco Camban (1982: 206-207):
«Montale’s conccrns... are cognitive, cthical, and 1 ur iiietal)liySical and are rnosily convcyed
by daubí and denial. Thc resulí i.s nat nihilism. of caurse, but a rclentless quesíianing of realiiy
lar ihe sake of thasc values that, being unguaranteed, nmake alí ¡he difference and yei seem at
best tangential to human history. As Wallace Stcvcns puts it in anather cantext: “under cvcry
No ¡lay a pasMan far Ves that had never broken’».
lo scrivo che Montaje ha ascoltato
u
canto delle Sirene
315
livello affettivo per approdare ad altro. Ed é questo altro che mi sembra
particolarmente importante in «La casa dei doganíen».
Nel mezzo dell’ultima strofa l’io poetico si pone una domanda che a prima
vista sembra assolutamente incongrua: «II varco é qui?» Quale varco? Se chi
legge non conoscesse l’opera poetica di Montale, con i suol precedenti di
simili ansiose domande o illuminazioni, resterebbe sicuramente perplesso. Non
c’é per esempio, come in «Gasa sul mare», un’affermazione certa, fatta in
presenza dell’amata:
Penso che per i pié non sia salvezza,
ma laluno savverta agni disegno,
passi fi vareo, qual valle si ritrovj. (91)
Qui, il varco che s’apre dubbiosamente mentre lio poetico osserva
«l’orizzonte in fuga, dove s’accende 1 rara la luce della petroliera», non ‘e certo
una «via di fuga» percarrihile dall’amata che non c’é, né tantomeno un’evasione,
una visione di una felicitá possibile e lantana per l’io poetico, come avrebbe
potuto essere La visione delle luci sfavillanti del transíatíantico ~<Rex»per
ramagnoli di Fellini in Arnarcord —dopotutto, qui si tratta della luce (per di pié
«rara») di una umile petroliera, uno strumento di lavoro e di commercia della
civiltá industriale. Ma anche ammesso che vi fosse una simule tentazione, ecco
che, subito dopo l’ansiosa damanda, la natura implacabile fa sentire la sua voce:
«(Ripullula il frangente ¡ ancara sulla balza che seoscende...)». Si noti che la
parentesi ‘e di Montale: ‘e la stessa teenica usata per concludere il famoso ínattetto
dei «due sciacalli al guinzaglio», «dove la parentesi», spiega l’autore, ~<voleva
isolare lesempio e suggerire un tono di yace diverso, lo stupore di un ricordo
intimo e lontano» (L’opera ¡a versi, 909). Qui ‘e la stupore di una constatazione
cosmica e vicina, che valorizza con la sun ripetitivitá ciclica l’apparire
all’orizzonte della luce della petroliera, cioé di una presenza umana che in
qualehe modo ‘e legata al ricorda della persona amnata e assente.
Dunque, il varco pué essere «la inaglia rotta nella rete ¡ che ci stringe» (camne
era detta in «In limine», 6), il «punto morto del mondo, l’anello che non tiene» («1
limoni», 9), quella via di salvezza o quellillusione che il poeta ha ripetutamente
intravisto e proposto in Ossi di seppia e in Le occasioni, per sé e 1 o per lamata?
Certamente, questa ‘e la lettura pié immediata, convalidata anche
dallautocomínento di Montale, che in una lettera a Silvio Guarnieri del 29
aprile 1964 fornisce all’amico «una mappa orientativa delle vane figure
femminili eui <‘e venuto nivolgendo nelle poesie»tm2: sono cinque in tutto, e fra
2
Greca, L. (1980: 97).
316
Gian ¡‘aojo Biasin
esse la pié importante ‘e Clizia, ma vale la pena citare quanto ‘e detto a
proposito della poesia in esame: «Nella Casa dei doganieri e in Incontro c”e la
donna che chiameré 4. Mori giovane e non ci fu nulla tra noi»13. Non mi
inoltreré in un’analisi tematica delle due poesie indicate da Montale, perché
Greco l’ha giá svolta egregiamente ed ‘e giunto a delle conclusioni importanti:
Nello sviluppo della poesia di Mantale II «vareo» non costitujsce pié armai
motivo di Ilusorio affisamento qual era negli Ossi, ma piuttosto una spiraglio
da] quale la «rara luce della petroliera» segnala ante litan-am la traccia, il segno,
della donna assente. E non salo nellassenza, quindi, ma anche riel barbaglio,
vengono ad essere aniicipati cosi ¡cmi che saranno centralj delle Occasioní pié
mature, e che troveranno poi negli Xenia un ulteíiore appíafondimentaí4.
Una confenna diretta si troya anche nella poesia ~cAnnetta» del 1972:
Oía sto
a chiedermi che posta tu hal avuto
in quella mia siagione. Certo un senso
allora inesprimibile, pié tardi
non ‘oblio ma una punta che feriva
quasi a .sangue. Ma allora cli giá moría
e non ha mai saputo dove e come.
Oggi penso che tu sei stata un genio
di pura inesistenza, unagnizione
reale perchéá.kMitd%. (490-91)
Altri critici hanno approfondito a loro volta largornento: oggi si sa che la
donna di «La casa dei doganieri» si chiamava Anna degli Uberti, che era morta
nel 1959 e che la sua presenza nella poesia di Montale va ben oltre una coppia
di poesie, costituisce quello che ‘e stato ehiarnato ~<ilromnanzo di Annetta»,
rmcostruito criticamemite dalia BettariniíS. Greco pué riassumere measticamente
la situazione cas): ~<Graziea nuovi documenti e agnizioni, si pué con sicurezza
dire ormai che gli Ossi risultano pervasi ampiamente dalia figura di Annetta,
non meno che le Occasioni da Clizia e Satitra da Mosca»íÓ.
4
5
lo Greco, L. (1980: 42).
Greco, L. (1980: 98).
Si vedano in particolare: Contnrbia, E. (1985: 66-67); Montale, E. (1977: lxxvii); Forli.
M. (1990: 78 e 116 e passiní odIe note); Crignani, M. A. (1987: 49-70); Bettarini, R. (1983:
219-25); Luperinl, R. (1986: 96-108),
‘6 Greca, L. (1980: lOO). 1 cantmibuti critici su Clizia sano innumerevoli, ma varrei citare
almeno Macr’í, 0. (¡968: 75-146), Desideri, P. (1976: 150-60), Rebay, L. (1982: 171-202), e
Camban, 0. (1982: passim). Su Mosca si veda almeno linterpreiaziane psicanalitica di
Baldissone, G. (1979: 69-92).
lo scrjvo che Montaje ha ascoltato II canto delle Sirene
317
Ma la poesia vive a vari livelli, e io credo che jI «vareo» montaliano —questo
<«arco» di «La casa dei doganieri», in particolare— richiami imperiosamente non
solo la donna assente, ma soprattutto quel «senso ¡ allora inesprimibile», quella
«espressione assoluta» che Montale ha sempre cercato nelle sue prime opere,
quel punto perfetto, quella parola ineffabile che qui sembra nascere come
metafora dal contesto spazio-temporale della casa dei doganieri sferzata (vale
la pena ripetere) dal libeecio, di fronte all’orizzonte in fuga, dove saccende
rara la luce della petroliera, sopra la scogliera scoscesa contro cui ripullula il
frangente. Anche qui, una serie di metonimie dá origine a una metafora
«diegetica». Ma —ecco il punto— questa metafora ‘e la condiziane stessa
dellesistenza del testo poetico (e dunque di questo contesto poetico da cui
pure nasce), in quanto precede ogni distinzione tra presenza e assenza, in
quanto propone un’apertura, una perdita di continuitá nello spazio —la brisure,
direbbe Jaeques Derrida’7, cio’e la «traccia» che ‘e insita nella grafia, la
d¿fférance che ‘e inseindibile dalIa scrittura:
cette trace esí lauverture de la premi’ere extériorité en générale, l’énigmaíique
rapport du vivant ‘a sari autre et d’un dedans ‘a un dehors: l’espacement. Le
dehors, extériorité «spa¡iale» el «objective>~ dorit naus crayons savoir ce
quelle esí camine la chase la plus familiére du mond, eomme la familiarité
elle-méme, n’apparaitrait pas sans le gramnie, sans la différance comme
temporalisation, sans la non-présenee de lautre inscrjte daris le sens du
présení, saris le rappart ‘a la mart ci)mme síructure concréte du présení vivant.
La métapliore serait interditeiS.
Mi sembra che non solo «La casa dei doganieri» venga illuminata dalle
considerazioni del filosofo francese, ma che queste ultime travino la loro
conferma precisa nella situazione della poesia montaliana: in cui il paesaggio
esteriore e familiare, appunto, pué apparire solo attraverso il gramma,
caratteri scritti, la temporalizzazione e il «distanziaínento» (che ‘e anche
«spaziatura» tipografica) della différance; non per nulla Montale ha
affermato che il suo jibro, scritto e stampato, intitolato Le occasioni «tentava
di abbat¡ere quella barriera fra interno ed esterno che mi pareva insussisten¡e
anche dal punto di vista gnoseologico. Tutto ‘e interno e tutto ‘e esterno per
luomo doggi; senza che u cosidddetto mondo sia necessariamente la nostra
rappresentazione» (Sulla poesia, 567). Parte integrante del tentativo
montaliano ‘e certamente «la non-presenza dellaltro inscritta nel sensa del
presente», e poiché questa non-presenza equivale a lontananza o morte, ‘e
‘ Derrjda, 1. (1967: 96-108).
8
Derrida, 1. (1967: 103).
318
Gian Paolo Biasin
limplicito rapporto con La morte che costituisce una struttura necessaria del
presente vivo. L’iscrizione della non-presenza nel testo ‘e veramente cruciale.
Ecco perché Derrida (seavando in una tradizione di denuncia che va da
Platone a Saussure) pué criticare [‘ontologismo e la metafisica occidentali
che privilegiano la presenza dell’Essere (della voce) a scapito della scrittura,
e pué affermare perentoriamente che la metafora sará interdetta; e
parallelamente Montale, nella sua «Intervista immaginaria», pué spiegare la
propria impassibilitá di raggiungere il punto perfetto della sua scrittura, la
metafora pura e piena:
Mi pareva di vivele salto a una campana di vetro, eppure sentiva di esseíe
vicino a qualcosa di esseriziale. U
0 velo sottjle, un filo appena mi separava dal
quid definitivo. L’espíessione assolula sarebbe stata la rotiura di quel vela, di
quel filo: una esplosione, la fine dellinganna del mondo come
rappreseníazione. Ma qtíesto era un limite irraggiungibile. (Sulla poesia, 565)
Dunque, il «vareo» ‘e anche una presenza-assenza, non solo come si ‘e detto
della persona amata, ma della parola che possa essere ~<l’espressioneassoluta»:
‘e la metafora «interdetta», la spazio bianca, u piccolo abisso mallarmeana fra
le paroleíO, ‘e la pagina vuota. Montale propone un dubbio, una interrogazione,
una possibilitá ulteriore che mentre lascia la yace paetica sola can la sua
perplessitá esistenziale, di vita e di scrittura («Ed io non so chi va e chi resta»),
descrive unesperienza poetica calta riell’atto di farsi, e di Íarsi scrittura: un
livello autoriflessivo e metapoetico che ci riporta al canto delle Sirene e
all’impossibilitá per Ulisse di diría, per cui si limita a raccontare di averío
ascoltato, come Montale si limita a interrogarsi sul «quid definitivo» che forse
ha intravisto dietro il velo del sao paesaggio e sulle parole necessaríe e
,nsufficienti per dirlo.
Ecco: il vareo ‘e U canto delle Sirene che Montale ha ascoltato e che
duhhiosamente, tentativarnente, cerca di fare áscoltare ánche a nói che lo
leggiamo, dandocene una traccia nel testo. «11 vareo ‘e quit> ‘e una domanda
che sí ínsinua nel carpo della poesia Ira la parola teenica «petroliera» (che
un rnassimo di effetto realtá, come un «rímorchiatore» in «Delta», 95) e
la parola alta ~<ripullula il frangente» (che dá un massímo di effetto poetico):
‘e dunque al cuore dellinvenzione montaliana, come sospesa tra realtá e
ímmaginazione, come un discorso potenziale
da due immagini
20. Conincorniciato
la indeterminatezza
del suo
vísive: ‘e la liminalitá della (sua) poesia
‘>
21>
Si veda in proposito ancara Iúerrida, ]. (1972: 297).
Si canfronti in proposilo Biasin, G. R (1991: 26-28 e pas.Ó~í) e West, R. (1981).
lo scrivo che Montale ha ascoltato u canto delle Sirene
319
sostantivo, questa domanda sembra proporre una dimensione insolita e
inaspettata per la situazione personale e affettiva, ma anche e soprattutto
testuale: u varco ‘e la metafora diegetica che nasce dall’accumularsi delle
metonimie in movimento che la circondano (perfino l’orizzonte é «in fuga»),
ma ‘e saprattutto la metafora «aperta», come vuole il suo significato
semantico—verso quella «espressione assoluta» che il testo in quanto tale
non pué raggiungere o effettuare.
Infatti in «La casa dei doganieri» la metafora del vareo non causa la
salvezza della persona amata, invocata a costo del sacrificio del poeta (come
in «In lirnine»: «tu balza fuori, fuggi! 1 Va, per te l’ho pregato», 6); non ne
deriva la salvezza del poeta resa possibile dall’intervento della persona amata
(come avyiene in molte poesie di Clizia, specialmente le «Silvae» di La bufera,
239-54); e in quanto interrogazione non implica nemmeno, passando dal
livello personale e affettivo a quello conoscitivo e filosofico, l’attesa del
«míracalo» o del «fatto che non era necessario», esplicita nella contemplazione
dell’ordine del mondo, come in «Crisalide» (86), o come in «Forse un mattino
andando», in cui il gesto improvviso di volgersi indietro rivela «l’inganno del
mondo come rappresentazione»:
Forse un maitino andando jn un’arja di veira,
anda, rivolgendomi, vedré compirsi il miracola:
u riulla alíe níje spalle, il vuota dietra
di me, con un terrore di ubriaco. (40)21
E proprio per questa apertura insita nella parala stessa, credo che in «La
casa dei daganieri» la metafora del vareo rimandi invece a quei momenti della
poesia di Montale in cui il «vareo» non ‘e dichiarato esplicitamente, ma ‘e creato
dal e nel testo poetico—come in «Arsenio», «forse», «il cenno d’una ¡ yita
strozzata per te soda» (82).
II vareo ‘e lapertura testuale che suggerisce la perfezione irraggiungibile
del canto delle Sirene, l’espressíone assoluta a cui jI poeta cerca costanteinente
di avvicinarsi: e in questo tentativo, in questa scrittura continuamente ritentata,
‘e la sua vera salvezza.
21 Vale la pena citare in praposito ji Montale di «Intervjsta jmmaginaria>o: «II mjracolo
era pci me evidente come la necessit’a. lmmaneríza e trascenderiza non sano separabili, e farsj
uno stata danimo della perenne mediazione dei due termjni, come propone it moderno
storicisma, non risolve jI problema a lo risolve cori un attimismo di parata. Occorre vivere la
propria contraddizione senza scapparoie, ma senza neppure trovarci troppa gusto»: (Montale,
E. 1976: 565).
320
Gian ¡‘aojo Biasin
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