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Dall`analisi alla composizione: Osservazioni sulla Pitch

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Dall`analisi alla composizione: Osservazioni sulla Pitch
Andrea Schiavio
Dall’analisi alla composizione: Osservazioni sulla Pitch-set Theory
Introduzione
Allen Forte (Portland, Oregon, 1926), docente di Music Theory presso l’Università di Yale, è
considerato1 il padre della Pitch-Set Theory2, cioè di quella tecnica analitica basata sulle proprietà
degli insiemi, che viene usata in particolare per l’analisi di composizioni atonali.
Questa metodica è stata spesso3 accostata alla teoria degli insiemi di Georg Cantor (Pietroburgo,
1845 – Halle 1918), modellata a sua volta, dall’analisi degli insiemi infiniti di Bernand Bolzano.4
Ho deciso di scrivere la mia tesi di laurea5 su tali questioni, concentrandomi sul presunto rapporto
fra la teoria degli insiemi cantoriana e la sua controparte analitica.
Per prima cosa ho pensato di domandare ad Allen Forte stesso come sia venuto in contatto con le
problematiche logico-metafisiche6 di Cantor e in che modo le avesse rielaborate per sviluppare la
sua Pitch-Set Theory. La risposta che mi attendeva mi avrebbe lasciato perlomeno spiazzato:
Dear Mr. Schiavio,
Thank you for your message. I will attempt to answer your questions. I
will probably not be able to do this immediately, however, as I am heavily
involved with giving a course at Harvard University.
I can, however, supply a categorical answer to your comment on my relation
to Cantor: I know nothing of Cantor's work, nor do I know who he is.
With kind regards,
Allen Forte
1
L. Fichet, Les théories sceintifiques de la musique, Vrin, Paris 1995, p. 255.
Vedi A. Forte, The Structure of Atonal Music, Yale University Press, London 1973.
3
Vedi, per esempio, I. Bent, Analisi Musicale, tr. it. di C. Annibaldi, E.D.T. Torino 1990.
4
B. Bolzano, I paradossi dell'infinito, ed. it. a cura di A. Conte, Boringhieri, Torino 2003.
5
A. Schiavio, La Pitch set theory di Allen Forte. Fra analisi e composizione insiemistica, tesi di laurea discussa
presso l’Università degli studi di Milano, relatore G. Giorello, 2008.
6
Vedi, per esempio,G. Rigamonti, “Introduzione”, in G. Cantor, La formazione della teoria degli insiemi
(Saggi
1872-1883), tr. it. di G. Rigamonti, Sansoni, Firenze 1992,
2
Battell Professor of Music Theory Emeritus
Yale University
Il fatto che Forte non conosca nemmeno chi sia Georg Cantor non è, per quanto ci riguarda, un
grave problema: questo, semmai, denota solo una certa approssimazione nella ricerca sulla genesi
del concetto di insieme, protagonista della riflessione analitica dello studioso americano.
Destano perlomeno sorpresa, invece, le affermazioni di Bent7, basate evidentemente su
considerazioni personali, riguardo la derivazione della Pitch-Set Theory dall’opera di Georg Cantor.
Mi domando perché Bent non abbia posto egli stesso a Forte la domanda sul presunto rapporto con
il lavoro del grande matematico di Pietroburgo, visto che i risvolti metafisici degli studi di
quest’ultimo, mal si adattano alla semplice logica finitista di Forte.
In effetti, se Cantor pone al centro della sua riflessione il problema dell’infinito, ciò non avviene
nella speculazione di Forte, il quale, anzi, utilizza per le sue analisi i soli raggruppamenti di altezze,
convinto che nella musica atonale si possano trovare leggi simili a quelle dell’armonia classica, tali
da poter analizzare le opere dei maestri contemporanei in modo simile a quelle dei compositori del
passato. Insomma, due mondi diversissimi.
§1 Genesi di una problematica metamusicale
Oggetto delle riflessioni di Cantor, è l’infinito, inteso come possibile caratteristica di un insieme.
Senza addentrarmi nelle preziose trame del ragionamento che lo portano ad introdurre, col
simbolo
7
8
0" ,
il primo numero cardinale transfinito9 (definito in seno alla scrupolosa applicazione
I. Bent, op. cit., pp77-79 .
J.-P. Lunimet, M. Lachièze-Rey, Finito o infinito?, tr. it., Raffaello Cortina, Milano 2006, p. 91: “Aleph,
simbolo dei numeri transfiniti per i quali il tutto non è più grande di qualcuna delle sue parti, è il nome della prima
lettera dell’alfabeto ebraico”.
9
Vedi G. Cantor, Gesammelte Abhandlungen Mathematischen und Philosophieschen Inhalts, a cura di E.
Zermelo, Springer, Berlin 1980 (1932).
8
della corrispondenza biunivoca ad insiemi non finiti), mi limito a citare la sua definizione di
insieme:
(…) ”Per “molteplicità” o “insieme” intendo, in generale, ogni Molti che si possa pensare come Uno, ovvero
ogni classe composta di elementi determinati che possa essere unita in un Tutto da una legge.”
10
La sua teoria degli insiemi, pur se non formulata in maniera sistematica, si basa su tre principi, che
col tempo sarebbero stati isolati e definiti in modo esplicito:11
1. Principio di Estensionalità
Due insiemi che hanno gli stessi elementi sono uguali.
2. Principio di Comprensione
Data una qualunque proprietà esiste sempre (ed è unico in virtù del principio precedente) l’insieme
di tutti e soli gli “oggetti” che godono di quella proprietà.
3. Principio del Buon Ordinamento
È sempre possibile bene ordinare un insieme di cardinalità arbitraria di insiemi non vuoti.
Il Principio di Comprensione fu quello che più di tutti contribuirà a rendere problematica la teoria
cantoriana, in particolare con la celebre antinomia di Russell.12 Nonostante problemi di questa
natura, la riflessione di Cantor, osteggiata durante la vita del suo creatore13, è stata completamente
10
G. Cantor, La formazione della teoria degli insiemi, cit., p. 127.
C. Mangione, S. Bozzi, Storia della logica, Garzanti, Milano 1993, p. 328.
12
Bertrand Russell aveva formulato, nel 1901, il seguente problema: "Un insieme può essere o meno
elemento di sé stesso?" Ad esempio, l'insieme di tutti i libri di una biblioteca non è elemento di sé stesso. Invece,
l'insieme di tutti gli insiemi con più di 20 elementi è elemento di sé stesso.
Ma se si pensa, invece, all'insieme di tutti gli insiemi che non sono elementi di sé stessi? Esso è o no elemento
di sé stesso? Se l'insieme (detto "I" per comodità) non fosse elemento di sé stesso, allora dovrebbe essere elemento di sé
stesso. E, analogamente, se lo fosse, non dovrebbe esserlo. La posizione di "I" rispetto a sé stesso genera ad ogni modo
11
accettata dai matematici moderni, che hanno riconosciuto nella teoria degli insiemi transfiniti uno
“slittamento di paradigma” (per utilizzare un’espressione cara a Thomas Kuhn)14 di prima
grandezza.
Siamo alle prese con una speculazione, dunque, che non sembra presentare alcun accostamento
possibile all’analisi musicale; non ci resta che vedere come abbia lavorato Forte, per poter stabilire
eventuali punti di incontro:
La teoria dell’armonia tonale si basa essenzialmente su due criteri:
1. Identificare i nuclei-base del discorso musicale (tono di impianto e accordi usati)
2. Dimostrare come questi nuclei-base possano concatenarsi reciprocamente (leggi strutturali)
Nell’armonia tonale le leggi strutturali sono complesse, ma il numero di nuclei-base è relativamente
ristretto15.
Quando invece ci interessiamo di opere atonali, come ad esempio le musiche di Schoenberg, Berg,
Webern o anche Stravinskij, notiamo subito una grandissima varietà di formulazioni accordali che
ci sono in gran parte sconosciute, e il cui significato strutturale può essere tutt’altro che evidente16.
Ciò non toglie che possa, tuttavia, esistere un “lessico”di nuclei-base altrettanto determinato di
quello tonale, e che, magari un determinato utilizzo di certi agglomerati sonori, presupponga una
logica e delle proprietà parallele a quelle del sistema tonale.
una contraddizione. La conclusione a cui arrivò inizialmente Russell fu quella di affermare che non basta descrivere
una proprietà di un insieme per garantire la sua esistenza.
In seguito egli introdusse una nuova teoria degli insiemi nella quale essi si distinguono in diversi livelli, per cui
al livello 0 avremo gli elementi, al livello 1 gli insiemi di elementi, al livello 2 gli insiemi di insiemi di elementi e così
via. In questa ottica, è possibile risolvere l'antinomia. Rimando comunque il lettore a: B. Russell, I principi della
matematica, tr. it. Feltrinelli, Milano 1973.
13
È noto che il matematico Leopold Kronecker (1823-1891) giudicò le sue scoperte "prive di senso".
14
Vedi T.S. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, tr. it., Einaudi, Torino 1979.
15
I. Bent, op. cit., p.126.
16
Ibidem.
Questo dubbio ha sollecitato i primi sviluppi dell’analisi insiemistica17:
Essa usa una “integer notation”18, un nuovo metodo di codificazione dei suoni che prescinde dal
loro valore tonale, e li determina solo in base alla loro altezza (Pitch).
§2 Caratteristiche della Pitch-Set Theory
Sulla base di questa semplice intuizione, avremo quindi, “0” per il Do centrale, “1”, per il Do diesis
o per il Re bemolle e il Si doppio diesis (il metodo di Forte, infatti, assume le equivalenze
enarmoniche, diversamente dalla tonalità classica) e così via sino ad “11” (Si, o, come si è visto, per
enarmonia, Do bemolle, o La doppio diesis), in modo da avere tutti i suoni possibili di un’ottava
racchiusi dentro la classe di altezze [0 – 11]19. Ecco che avremo dunque un insieme di integrali
distinti che rappresentano classi di altezze20. Un accordo, allora, per esempio una semplice triade
maggiore Do – Mi – Sol, verrà rappresentata da questo simbolo: [0, 3, 7]. Ma se l’accordo da
analizzare è chiaramente non riconducibile alla tonalità, il metodo di Forte rivela tutta la sua
valenza.
Prendiamo ad esempio21, questo accordo:
Figura 1
17
18
19
20
21
Ibidem.
A. Forte, The Structure of Atonal Music, cit., p. 2.
A. Forte, The Harmonic Organization of “The Rite of Spring”, Yale University press, London 1978, p. 2.
A. Forte, The Structure of Atonal Music, cit., p. 3.
I. Bent, op. cit., p 127.
Esso è difficilmente analizzabile dal punto di vista della classica analisi armonica, ma nel sistema di
Forte, esso può essere indicato semplicemente in questo modo: [3, 2, 9, 10]. Così:
Si può effettivamente cominciare a ridurre i tratti esteriori di una composizione atonale a categorie
fondamentali. Si pensi ancora una volta all’armonia tonale. Un accordo può essere compresso nell’ambito di
un’ottava e poi ruotato finché non raggiunga la posizione fondamentale, quella in cui tutte le note risultano
sovrapposte per terze. Per riportare il nostro accordo atonale nell’ambito dell’ottava e per individuarne la “forma
normale”, basta invece scrivere in ordine crescente i numeri che ne indicano le note: [3, 2, 9, 10]  [2, 3, 9, 10],
e ruotarli fino a che non raggiungano la posizione più ravvicinata. 22
Figura 2
In questo caso, l’accordo così ottenuto si chiamerà: [9, 10, 14, 15]. Ancora, si può individuare la
cosiddetta “forma primaria” trasponendo tale accordo sul Do, in modo che la nota più grave
coincida con lo zero: [0, 1, 5, 6].23
Ecco come risulterà:
Figura 3
22
23
I. Bent, op. cit., p 127.
Ibidem.
Questo nuovo accordo è dunque derivato dal primo; e diviene allora “Il punto di riferimento di tutte
le possibili posizioni e trasformazioni dell’agglomerato accordale fondamentale”.24
Un’altra importante caratteristica di questa tecnica analitica è la possibilità di individuare il ”vettore
intervallare”25: la lista ordinata di numeri che rappresenta il contenuto di una Pitch Class Set. Il
primo numero ci dà il numero degli intervalli della classe degli unisoni, il secondo delle seconde
minori, il terzo delle seconde maggiori e così via26. Se prendiamo ancora l’accordo di Figura 3,
possiamo vedere che esso ha una “forma primaria” che comprende:
2 seconde minori
1 terza maggiore
2 quarte giuste
1 quinta diminuita
L’accordo non presenta né seconde maggiori, né terze minori, e le altre “classi di intervalli” sono
tutte riducibili a loro rivolti o multipli. Ora, se indichiamo numericamente, questi sei intervalli
otterremo il “vettore intervallare” dell’insieme considerato: [200121].27
Se troviamo due o più Pitch Class Sets aventi lo stesso “vettore intervallare”, questi insiemi si
dicono fra loro “zeta-correlati”28. Ma cosa succede se i due insiemi presentano solo alcune altezze
in comune?
L’analisi insiemistica permette di stabilire anche i “gradi di affinità” fra due o più insiemi, a
seconda di quante altezze ci siano in comune fra loro; si parlerà di “massima affinità delle classi di
altezze”29 quando due insiemi hanno in comune tutte le classi di altezza meno una. La locuzione
24
I. Bent, op. cit., p 128.
A. Forte, The Structure of Atonal Music, cit., p. 15.
26
Ivi., p. 210.
27
I. Bent, op. cit., p 129.
28
A. Forte, The Structure of Atonal Music, cit., p. 21: “The „Z‟ has no special significance. It is merely a
descriptor attached to the ordinal numbers of the set name which serves to identify these special sets”.
29
I. Bent, op. cit., p. 130.
25
opposta (“minima affinità nelle classi di intervalli”)30 specifica, al contrario la relazione di due
insiemi che non hanno alcuna altezza in comune. Esistono poi, altre relazioni fra gli insiemi come la
“relazione di inclusione”: se l’insieme X è il sottoinsieme dell’insieme Y, allora l’insieme Y è il
soprainsieme (Superset) dell’insieme X31. Inoltre, di grande importanza, è la nozione di “insieme
complementare”32: se il Set [0 – 11] rappresenta il totale cromatico, e noi abbiamo un insieme
come, ad esempio, ancora quello di figura 3 ([0, 1, 5, 6]), l’insieme ad esso complementare sarà
quello così formato: [2, 3, 4, 7, 8, 9, 10, 11].
Oltre all’insieme complementare, di grande importanza è la nozione di “specchio” 33, quella per la
quale si potrà parlare di “insieme speculare”: il fatto che, solitamente, il concetto di “Mirror” viene
applicato ad una serie (dodecafonica) e non ad un insieme, secondo Forte non rappresenta un
problema: sarà sufficiente scegliere un centro di simmetria (in questo caso Do = 0) e ciascuna nota
troverà il suo “specchio”.
00
1   11
2   10
39
48
57
66
Si noterà che Do e Fa# (0 e 6) sono simmetriche a se stesse e che la somma di ciascuna nota con la
speculare corrispondente è sempre 1234.
30
31
32
33
34
Ibidem.
A. Forte, The Structure of Atonal Music, cit., p. 25.
A. Forte, The Atonal Music of Anton Webern, Yale University Press, London 1998, p. 10.
A. Forte, The Structure of Atonal Music, cit., p. 8.
Ibidem.
Questa nozione permetterà dunque, di stabilire relazioni insiemistiche anche fra insiemi non
chiaramente correlati fra loro, a patto però di definire, attraverso le opportune trasformazioni, la
Prime Form di ogni Set.
Da quanto abbiamo detto, allora, si potrebbe dire che Forte cerca di ridurre la superficie musicale,
già come aveva fatto Heinrich Schenker: questi, basandosi sui principi tonali e sulle regole del
contrappunto elimina le note non essenziali all’analisi. L'analisi schenkeriana35si basa sull'idea che
la musica tonale è organizzata gerarchicamente come una stratificazione di livelli successivi a
partire da una struttura fondamentale, comune a tutta la musica tonale, denominata Ursatz. Questa
struttura fondamentale (o "profonda") viene elaborata attraverso la tecnica della diminuzione,
attraverso livelli strutturali intermedi (Middleground) fino a raggiungere la forma di elaborazione di
superficie (Foreground), quella che cioè si trova notata nella partitura.
Nella Pitch-Set Theory, Forte, non potendo determinare le note essenziali, le mantiene tutte,
raggruppandole appunto in insiemi più o meno ampi. Il raggruppamento in insiemi avviene
attraverso un “sezionamento della partitura”36, scegliendo quelle unità musicali che si rivelano più
importanti di altri: non solo accordi, dunque, ma “anche passaggi melodici distinti aritmicamente, o
gruppi di note separate fra loro da un silenzio”.37
§3 Dall’analisi alla composizione
La Pitch-Set Theory, così come è proposta dall’autore, sembra non poter sopportare l’infinito,
perché si pone come un sistema di organizzazione di un materiale finito – i 12 semitoni.
35
36
37
Vedi H. Schenker, Harmonielehre, Universal, Berlin 1978.
L.Fichet, op. cit., p. 255 [tr. it. di Simonetta Sargenti].
Ivi., p. 252.
La teoria di Forte, inoltre, sembra non avere neanche i requisiti per poter sostenere una analisi del
repertorio atonale perché, come sostiene Fichet:
“Quando Forte pone a priori l’equivalenza tra i diversi rivolti possibili di accordi per analizzare la musica
atonale, egli segue l’opinione comune che [in questo tipo di composizione] importa solo ciò che viene chiamato
Pitch – Class, senza tenere conto delle ottave. Ma ciò non è vero che per alcune delle musiche seriali e molto
raramente per la musica atonale in generale.” 38
Si può notare allora una certa “discrepanza fra teoria e realtà musicale” 39 che la Pitch-Set Theory
porta con sé: laddove la teoria è coerente in abstracto, sul piano della concreta esperienza musicale,
si rivela perlomeno discutibile.
Del resto già Giovanni Piana fa notare che, nella musica del Novecento:
“La relazione, ma anche l’opposizione fra l’elemento timbrico e l’altezza […] si ritrova rispecchiata in un
interesse timbrico che viene esasperato in tendenziale contrapposizione con l’idea di linea melodica e con gli
strumenti che hanno in un certo senso la vocazione della melodia”40
Il problema assume le connotazioni di una questione metodologica quando si passa alle
considerazioni non solo di Forte ma anche di molti altri celebri analisti, fra i quali possiamo
includere il già citato H. Schenker, H. Riemann41o, ancora, J. LaRue42, i quali non prendono in
considerazione il problema del timbro.
La Pitch-Set Theory, ha aperto, però anche delle prospettive sicuramente inaspettate, in particolare
nell’ambito della composizione.
38
L.Fichet, op. cit., p. 267 [tr. it. di Simonetta Sargenti].
Vedi P. Boulez, Penser la musique aujourd‟hui, C.B. Schott’s Sohne, Mainz 1963.
40
G. Piana, Barlumi per una filosofia della musica, 2007, saggio on-line, scaricabile all’indirizzo:
http://www.filosofia.unimi.it/~piana/barlumi/barlumi_idx.htm, p. 234.
41
Vedi, per esempio, H. Riemann, Handbuch der Fugen-komposition (Analyse von J.S. Bach
“Wohltemperiertem klavier” und “Kunst der Fuge”), Hesse, Leipzig 1890.
42
Vedi, ad esempio, J. LaRue, Guidelines for Style Analysis, Norton, New York 1972.
39
Siamo negli anni Ottanta quando finalmente si aprono corsi in Italia su nuovi tipi di analisi
musicale43 e il nome di Allen Forte comincia ad essere conosciuto non solo all’analista, che, come
tale “fissa la sua attenzione su di una struttura musicale [già costituita] mirando a definirne gli
elementi costitutivi e a spiegare come funzionano”44, ma anche dal compositore stesso, che può
utilizzare una teoria degli insiemi per determinate esigenze artistiche.
Vi sono alcuni compositori, dunque, che hanno volutamente ampliato la nozione di “insieme” in
musica per poterla utilizzare il più possibile, senza, perciò, riferirsi alle sole altezze.
Prendiamo in considerazione “Little California Suite”45 per pianoforte solo (successivamente
rivisitato nel suo “Chamber Concerto”) del M° Roberto Andreoni46: questo, nelle parole
dell’autore, risulta essere:
“un breve studio teso ad approfondire (...) il concetto di Tempo nella sua multivalente accezione musicale di
Tempo-Metrico, Tempo-Ritmico, Tempo-Durata, Tempo-Fase e Tempo-Agogico. Una pulsazione metronomica
fissa (la semiminima) attraversa i vari episodi del pezzo senza mai modificarsi. Paradossalmente però il "vero"
battere di ciascuna frase tende man mano ad "allontanarsi" dal battito scritto, senza mai coincidervi fino alla
breve Coda finale, creando così un effetto di "inseguimento” del tempo reale”. 47
In questo suo lavoro, difatti, la Set Theory di Forte, risulta essere applicata non solo alle altezze ma
anche al ritmo. Se lo spunto da cui il compositore decide di partire è, ancora una volta, un insieme
di classi di altezze (l’insieme 3-4), dunque un mero aggregato intervallare, l’opera si sviluppa
attraverso un percorso formato da 12 accenti ritmici diversi:
43
Si pensi che il primo corso i cui studenti abbiano sentito parlare dei metodi analitici di Forte è stato quello di
Computer Music tenuto da Lelio Camilleri presso il Conservatorio di Firenze nel 1987.
44
I. Bent, op. cit., p. 2.
45
R. Andreoni, Little California Suite, Edizioni Suvini Zurboni, Milano 1991, rev. 1994.
46
Roberto Andreoni si diploma e perfeziona in composizione a Milano rispettivamente presso il Conservatorio
G. Verdi e la Civica Scuola di Musica, lavorando con S. Gorli, G. Manzoni, F. Donatoni, B. Ferneyhough e G. Grisey.
Dal 1989 insegna a Berkeley per tre anni presso il Music Department dell'Università della California, conseguendovi il
dottorato (Ph.D. in Music). Le sue composizioni vengono eseguite in tutto il mondo.
47
R. Andreoni, programma di sala per la prima esecuzione dell’opera, Novembre 1994.
Se noi chiamiamo la prima figurazione “1”, la seconda “2”, e così via fino alla dodicesima, allora
possiamo applicare alcune caratteristiche dell’originale Pitch-Set Theory di Forte anche a questo
lavoro del compositore milanese.
Si formeranno così degli insiemi i cui elementi saranno, ogni volta, le diverse combinazioni
utilizzate di queste figurazioni ritmiche, sempre attraverso un “sezionamento” dello spartito.
Prendiamo, ad esempio la sezione che comincia da battuta 180, presente in fig. 11:
Figura 448
si può notare come Andreoni usi gli elementi [1, 4, 10] per darci il senso di uno sfasamento
ritmico: chiamiamo questo insieme, “X”.
Ma “X” si può benissimo ritrovare in altri punti dell’opera, come ad esempio a misura 70, quindi
ben 110 battute prima (fig. 12)
48
Un ringraziamento particolare va al Dott. Bonomo di SUGARMUSIC S.p.a., Milano, che mi ha fornito lo
spartito di “Little California Suite” concedendomi l’autorizzazione di riprodurla parzialmente in questo lavoro. Il
copyright dell’opera appartiene dunque a SUGARMUSIC S.p.a., Milano.
Figura 5
In questo caso, come osservato, la Set Theory si è rivelata utilissima al compositore, perché ha
consentito una riduzione ed ordinamento del materiale, questa volta non intervallare, ma ritmico,
contribuendo a rendere il lavoro coerente sotto questo punto di vista. È utile osservare che anche gli
aspetti dinamico-agogici e timbrici possono essere trattati come veri e propri insiemi.
Si potrebbe allora prendere in considerazione l’ultimo lavoro della musicologa e compositrice
milanese Simonetta Sargenti49, “A as..” per violino solo.
Se le altezze nella Pitch-Set Theory sono poste in successione da 0 a 11 in modo da creare una scala
ascendente da Do a Si, in questo brano le dinamiche sono state organizzate da 0 a 11 partendo dal
silenzio e fino al fortissimo, aggiungendo poi alla fine lo sforzato sia piano che forte e il subito
piano e subito forte. Questa organizzazione, va notato, è arbitraria e potrebbe anche essere in una
disposizione opposta, a partire dal forte o da qualunque altro elemento.
La ragione per cui in questo brano è stata posta la successione dal silenzio al fff sta nel fatto che la
composizione inizia con un episodio di non–suono (vedi fig. 13) per progredire fino al f.
49
Simonetta Sargenti si è diplomata in Composizione, Violino e Pianoforte presso il Conservatorio G. Verdi di
Milano. Laureata in Filosofia presso l’Università degli studi di Milano, si perfeziona in Musicologia a presso
l’Università di Bologna. Docente di Storia della musica, collabora con diverse istituzioni internazionali.
Figura 650
Come per i modi d’attacco e gli effetti , questi sono stati proposti in un ordine a partire dal punto di
produzione del suono sulla corda al modo di attacco vero e proprio dell’arco.
Nel brano questi effetti e modi d’attacco sono 10 e anche per essi si tratta di un ordine determinato
in funzione di questa composizione che inizia dal timbro opaco, dal rumore prima del suono , per
cui si potrebbe definire per un altro brano un ordine diverso.
In questa tabella si può vedere la corrispondenza fra i numeri e le dinamiche, e fra i numeri e gli
effetti-modi d’attacco.
Tabella delle dinamiche e degli effetti-modi di attacco
Silenzio
Fruscio
Ppp
Pp
P
Mp
Mf
F
Ff
Fff
Sf (piano o forte)
P o F subito
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
Dietro il ponticello
Sul ponticello
Sulla tastiera
Ordinario (arco normale)
Col legno
Pizzicato
Sciolto
Staccato
Gettato
Legato
Tremolo
Nello schema successivo, invece, vediamo i tipi di insiemi usati:
50
Simonetta Sargenti, A as… per violino solo, inedito (gli esempi musicali sono pubblicati con il permesso
dell’autrice).
Set di effetti-modi d’attacco
Set di Dinamiche
A
A1
B
C
D
E
E1
F
F1
[0,1,2,3]
[0,1,2,3]
[2,1]
[4,10,5]
[4,7,11,8,2]
[4,6,7,8]
[4,6,7,8]
[10,5,3]
[2]
[0,1,3]
[0,1,3]
[3,1]
[1,3]
[3]
[3]
[3]
[5,3]
[2,1]
Osservando il primo episodio della composizione dal punto di vista delle dinamiche possiamo dire
che i segmenti A (fig. 14) e A1 (fig. 15) presentano una relazione di identità utilizzando entrambi il
Set [0,1,2,3].
Figura 7
Figura 8
C’è identità anche fra i Sets E (fig. 16) ed E1 (fig. 17), poiché entrambi si basano sul Set [4,6,7,8].
Figura 9
Figura 10
Il segmento B (fig. 18) è incluso in A e dunque anche in A1, visto che utilizza due elementi in
comune con essi.
Figura 11
C (fig. 19), si differenzia completamente dai primi 3, non presentando alcun elemento in comune.
Figura 19
Il numero 4 fa parte dei Sets dei segmenti C, D, E ed E1, ma non di A, A1 e B e neppure di F (fig.
20) e F1 (fig. 21).
Figura 20
Figura 21
Questi ultimi non presentano identità e neppure elementi in comune tra loro per quel che attiene alla
dinamica, infatti sono definiti con F ed F1 per l’affinità dal punto di vista delle altezze. F1 presenta
la dinamica 2 in comune con A, A1, B e D.
Attraverso un’analisi insiemistica notiamo che nella prima parte della composizione, le dinamiche
prevalenti sono la 2 = p e la 4 = pp. Si può inoltre vedere che i primi 3 segmenti sono accomunati
dalla dinamica 2 che è comune anche a F1 in modo totale essendo l’unica che vi compare e a D.
LA dinamica 0 = silenzio, non sembra essere determinante attraverso questa analisi poiché compare
solo due volte sia come silenzio prima del suono , sia come pausa tra i due segmenti.
Tuttavia dal punto di vista del carattere del pezzo la dinamica 0 è fondamentale perché la
composizione prende il via proprio dal nascere del suono dalla sua assenza.
La teoria di Forte si avvale anche delle trasposizioni51: è possibile usare anche in questa situazione
di Set di dinamiche e di effetti-modi di attacco, qualcosa di simile?
Credo che l’unica nozione che potrebbe esserci di aiuto sia quella di “specchio”, infatti:
0 = silenzio
11= suono puntuale o forte o piano (forte subito, piano subito)
1= rumore fruscio
10= suono sforzato o forte o piano
2= ppp
9= fff
3= pp
8= ff
4=p
7= f
5= mp
6= mf
Se ora consideriamo lo stesso episodio dal punto di vista degli effetti-modi d’attacco, vediamo
ancora una sostanziale identità di A e A1 anche sotto il profilo di questo parametro. Così pure B e C
sono inclusi in A e A1 in quanto utilizzano i modi di attacco 1, 3 e inversamente 3, 1. Il 3 è poi
51
Si veda quanto già osservato a p. 6.
l’unico attacco di D, E, E1 e compare pure in F. Inoltre 5 e 2 compaiono rispettivamente solo in F e
F1.
Di conseguenza sotto l’aspetto dei modi d’attacco la prima sezione del pezzo è più uniforme che
non sotto quello delle dinamiche. Si può inoltre osservare che A, A1 ed E, E1 sono identici sia nelle
dinamiche che nei modi d’attacco. Anche per le dinamiche non possiamo utilizzare l’elemento della
trasposizione e quindi una forma primaria e forme secondarie dei modi d’attacco – effetti, ma non si
può neppure applicare la nozione di “specchio”.
Inoltre si pone il problema che ogni composizione è a se stante sotto questo aspetto, poiché i suoni
intesi come altezze sono i 12 della scala temperata , almeno nella idea di Forte, mentre le dinamiche
hanno infinite sfumature e i modi di attacco dipendono anche in grande misura dallo strumento
utilizzato. Dunque composizione e analisi basate sulla Set Theory sono, a mio avviso, utilizzabili
solo ponendo di volta in volta ex novo i rapporti tra numeri e caratteristiche dei parametri musicali.
Conclusione
Usando una metodica come quella di Forte, il rischio che si corre è quello, secondo il mio punto di
vista, di fornire erroneamente una spiegazione della struttura musicale intesa come elenco di legami
avulsi dal contesto, proprio come un’analisi logica che non spiega il significato di una frase.
Un riferimento teorico al concetto di occorrenza, senza essere supportato adeguatamente sul piano
teoretico, porta a chiudere l’analisi musicale in uno spettro linguicistizzante52, senza riuscire a
suggerire compiutamente l’idea di una forma ben strutturata.
52
Si pensi alla semiologia musicale di Ruwet, il cui scopo dichiarato è considerare la musica come un continuum
di elementi sonori soggetti a regole di distribuzione che determinano il loro modo di integrarsi, collegarsi o escludersi a
vicenda.
Forte, dunque, tende a svuotare da ogni riferimento il piano dell’udibile riducendo la musica ad una
mera esposizione di segni. Ciò sembra dunque costituire un limite nell’ambito dell’analisi musicale,
in quanto essa resta ferma così ad un piano di mera analisi linguistica che non riesce a comprendere
a fondo la natura dell’opera musicale, fermandosi prima di incontrare il materiale sonoro vero e
proprio.
Il problema dell’infinito, che lo studioso americano non prende in considerazione, sembra
comunque, appartenere ad almeno una corrente della musica contemporanea; mi riferisco alla
musica elettronica53 nella quale i suoni (altezze, ma anche timbri, ecc) si possono in larga misura
pensare e produrre in modo tale per cui la loro delimitazione sia molto più ampia rispetto a quelli
prodotti dagli strumenti tradizionali.
Potrebbe allora non risultare fuori luogo ipotizzare che tali suoni si possano porre come continuo, in
quanto risulta possibile produrre una serie infinita di sfumature nei vari parametri, cosa che non è
possibile senza l’uso di tecnologie.
La svolta della musica elettronica sarebbe quella, allora, del passaggio da un numero finito di
altezze, ad uno infinito, tanto che non ci si pone più il problema di come rapportare fra loro le
altezze, ma semmai quello di organizzarle al di fuori di un sistema precostituito come la scala,
oppure il modo o la serie54. I suoni che si possono produrre nel modo tecnologico55 risultano, in
linea di principio, infiniti; e come può una teoria analitica quale è quella di Forte porsi di fronte a
tale problematica?
53
Per musica elettronica si intende, in termini generali, la musica prodotta con strumentazione elettronica. La
locuzione viene talvolta assimilata, in modo non del tutto corretto, a quella di musica elettroacustica. Poiché gran parte
della musica contemporanea è registrata, suonata, e scritta con l'ausilio di equipaggiamenti elettronici (sequencer
hardware e software), l'espressione si applica in modo più appropriato a quei generi e a quelle opere musicali in cui
l'elettronica non costituisce semplicemente un mezzo utilizzato nel processo di creazione di una registrazione di un
brano musicale, ma è viceversa intrinseca alla natura stessa del brano, come nel caso di incisioni dominate da
sintetizzatori (hardware o software), campionatori, drum machine e così via. Anche usata in questo senso specifico,
l'espressione musica elettronica si può applicare a opere e artisti con intenti musicali estremamente diversi. Si rimanda
comunque il lettore a C. Dalhaus, Problemi estetici della musica elettronica, tr. it. di Simonetta Sargenti, in I Quaderni
della Civica Scuola di Musica, 26, 1999, pp. 24-29.
54
Questa considerazione porta G. Haus, in Elementi di informatica musicale, Gruppo editoriale Jackson, Milano
1984, a sostenere che, non solo i musicisti, ma anche coloro che non conoscono la musica, potranno comporre coi nuovi
mezzi digitali, attraverso le nuove formalizzazioni del linguaggio musicale che consentono, appunto, di prescindere
dalla conoscenza della notazione e delle regole grammaticali “classiche”.
55
Vedi A. Di Scipio (a cura di), Teoria e prassi della musica nell‟era dell‟informatica, Laterza, Bari 1995.
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