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i disegni di lucio fontana
Francesco De Bartolomeis
Francesco De Bartolomeis
DISEGNI DI LUCIO FONTANA
BENAPPI
I DISEGNI DI LUCIO FONTANA
segno materia spazio
DISEGNI DI LUCIO FONTANA
Francesco De Bartolomeis
Catalogo a cura di Umberto Benappi
Progetto grafico: Santo Alligo, Torino
Fotografie: Studio Gaidano, Torino
© Francesco De Bartolomeis 2012
© Fondazione Fontana 2012
© Benappi s.a.s. di Filippo e Umberto Benappi & Co., via Andrea Doria 10, 10123 Torino 2012
Tel. +39 011 88 32 62 - Fax +39 011 814 61 76 - email: [email protected] - www.benappi.com
I DISEGNI DI LUCIO FONTANA
segno materia spazio
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Mutamenti innovativi
Lucio Fontana ha una posizione di rilievo nel panorama artistico internazionale nei
vari periodi delle sue ricerche, dagli anni Trenta e dalla nascita dello Spazialismo
al suo culmine. La diffusa tendenza a caratterizzarlo con i “buchi” e i “tagli” è di
ostacolo a un’interpretazione corretta che può emergere soltanto da un’analisi approfondita del grande numero di variazioni innovative nei campi praticati dall’artista:
scultura, ceramica, pittura, tecnica mista, installazioni.
La presentazione di trentatré disegni e di due opere su tela prova il mio perdurante
interesse per Fontana nato in anni lontani con un primo approdo nella pubblicazione
della monografia Segno antidisegno di Lucio Fontana (Edizioni d’arte Fratelli Pozzo,
Torino 1967). Antidisegno è coerente con i termini antiscultura e antipittura usati
dall’artista. Di Fontana ho continuato a occuparmi sia intenzionalmente sia perché
è tra gli artisti che è impossibile non incontrare quando si affrontano i problemi
delle innovazioni artistiche dagli anni Trenta agli anni Sessanta.
Il libro uscì nel marzo del 1967. Fontana non meno di me, nei successivi incontri
e nelle lettere, avvertiva il bisogno di portare avanti il lavoro critico. In una lettera
del 7 giugno 1967 mi ripete che le idee e le realizzazioni dello Spazialismo richiedevano approfondimenti e chiarimenti, e pensava che io avrei potuto assumerne il
compito andando oltre i disegni per un’interpretazione complessiva. Per me continuare a scrivere su Fontana è una necessità e scopro sempre qualcosa di nuovo.
Un brano della lettera:
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[…] Come dissi ripetutamente sarei veramente contento, vista la stima che ho per
lei, che mettesse a punto la situazione dello “spazialismo” che, come sono d’accordo
con lei, è stato tanto e ancora incompreso in Italia specialmente e naturalmente per
motivi di ignoranza fessa e interessata, i fessi, pur di non riconoscere i loro torti si
appoggiano a movimenti di riflesso facendoli innovatori.
Però come lei ben sa a me non interessano più queste polemichette da “casotto
italiano”; ormai [so] bene […] quella che è stata la mia sfera di ricerca, e le ripeto
sarei veramente felice se lei se ne occupasse, cercando di dimenticare un po’ la sua
amicizia e simpatia al mio riguardo, e parlarne un poco astrattamente al di là del
personaggio Fontana
Brevissima la fase di un nuovo insieme. Tra l’altro la mia presentazione dell’ultima
personale di Fontana vivo (novembre 1967-gennaio 1968) alla galleria La Bussola
di Torino sulle prime Ellissi e Sculture metalliche del 1967. Fontana muore nel settembre del 1968.
I disegni nelle ricerche
Lo studio dei disegni, rapportato a quello dei dipinti, delle sculture, delle ceramiche,
delle installazioni amplia e approfondisce la conoscenza dell’artista, mette di fronte
all’ideazione e alla progettazione, alla nascita di opere originali. Particolarmente nel
caso di Fontana i disegni sono fonte essenziale di conoscenza delle tante innovazioni che hanno legami di vitale continuità anche se non sempre evidenti. I disegni
hanno il pregio di appartenere al filone di ricerca, liberi da richieste di mercato e
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mai ripetitivi.
A proposito del rapporto tra produzione artistica e mercato è da rilevare una distinzione. Dalla fine degli anni Cinquanta Fontana si muove lungo due strade da valutare
con criteri diversi: quella della ricerca iniziata in anni lontani che si svolge in una
lunga serie di innovazioni e quella professionale-mercantile ripetitiva di buchi e di
tagli puri. Puri non nel senso di essenziali; intendo semplici senza altra variazione
che il colore del supporto, con l’effetto di una finta sacralità, su cui esercitarsi con
interpretazioni arbitrarie. Non critico Fontana che era consapevole della dicotomia e
non teneva in gran conto una tipicità facilmente riconoscibile. Nel 1966, parlandomi
delle numerose opere con buchi o con tagli nate fuori dalle incertezze che sempre si
accompagnano a nuovi problemi, mi dice con convinta naturalezza: “Non sono opere
da mostre in gallerie d’arte. Dovrebbero vendersi nei supermercati a non più di 50
mila lire”. Fontana, artista tanto grande quanto modesto, possedeva un raro senso
autocritico. E questo contribuiva a mettermi a mio agio nelle scelte e nelle valutazioni.
È legittimo che un artista professionista, che vive del proprio lavoro, faccia quello
che il mercato chiede. La produzione mercantile non interessa la storia dell’arte,
che si concentra sui filoni di ricerca, di cambiamenti innovativi, di contributi originali.
L’attività creativa di Fontana si svolge per cicli brevi con una grande varietà al loro
interno. Egli con rigore e inquietudine continuava a innovare, creando opere in cui
forza vitale, levità, purezza convivono. Ed è poesia appartata nel silenzio. In più di
un’occasione nelle nostre conversazioni Fontana mette in rapporto l’arte con il silenzio. Fontana si assume la responsabilità delle parole. Il silenzio, esperienza di
raccoglimento e di riflessione, che allontana dalla quotidianità, ti mette in nuove
10 dimensioni di spazio e di tempo, tra sospensione e radicamento, tra l’aprirsi della
mente alla comprensione di cose fino allora oscure e il ritrovarsi di fronte a ciò che
non si riesce a spiegare, tra illuminazioni e abbuiamenti, e ritmi lenti che si arrestano
nella sospensione e nell’attesa. Sono qualità concrete e coinvolgenti nella complessità del “concetto spaziale”. Tanti, troppi sentimenti? L’arte conduce al mistero
della vita, e per quanto si tenti di parlarne e di darle espressione con questo o quel
mezzo restano sempre limiti e incertezze.
Nel corso della preparazione del libro era naturale conversare sulla funzione del disegno e sulla varietà di procedimenti e di stili. Una volta Fontana ebbe a dirmi “Gli
antichi per trovare la forma e la posizione giusta, ad esempio delle gambe di un cavallo, hanno bisogno di tante tracce, di tanti tentativi. A me viene bene subito quello
che voglio fare”. Egli non vantava la sua straordinaria abilità. Era modesto e severo
nel giudicare il suo lavoro.
Dagli anni Trenta
I disegni che esamino per varietà e qualità sono un rappresentativo campione
di ricerche che si estendono dall’astrazione del 1930 ai cicli Venezie (1961) e
Fine di Dio (1963). Inizio da due fogli (tavv. 1 e 2) del 1930, lo stesso anno
dell’Uomo nero (scultura distrutta). Da quali conoscenze, capacità, aspirazioni
nascono Uomo nero, i disegni astratti, le formelle e le sculture astratte nel breve
periodo 1930-34? L’apprendistato di scultura inizia molto presto nella bottega
paterna a Milano, dove Fontana, nato a Rosario di Santa Fé, si era trasferito all’età di sei anni per frequentare la scuola. Più tardi si scrive all’Accademia di
Brera ma nel 1921 torna a Rosario di Santa Fé. Nel 1928 è di nuovo a Milano e
riprende gli studi all’Accademia di Brera; nel 1930 partecipa alla biennale di Venezia; nel 1939 è presente nella seconda mostra di Corrente. In questo periodo
inizia rapporti di collaborazione con i maggiori architetti, che continuerà negli
anni seguenti. Entrano nella sfera dei suoi interessi prima Archipenko e Maillot
e più tardi Zadkine con molta libertà. Lo dimostra lo sbocco di Uomo nero, una
prima svolta liberatrice. Nella primavera del 1940 ritorna di nuovo in Argentina
che lascia definitivamente per Milano all’inizio del 1947.
Scarni cenni per presentare un artista che si muove tra le prime prove che lo
mettono sulla strada della modernità e l’attività professionale di scultore su committenza, certamente più impegnativa della produzione commerciale di buchi e
di tagli che, raggiunta una posizione preminente in campo internazionale, egli
si può permettere di affiancare alle ricerche.
Fontana affronta l’astrazione con autorevolezza. I disegni del 1930-32 strettamente
11
Uomo nero, 1930
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legati alla soluzione plastica dell’Uomo nero superano l’esclusivismo figurativo e
danno evidenza alle contrapposizioni tra masse e andamenti di segno di poetica levità, una caratteristica che ha varietà di modi espressivi. Dalla scultura, fatta di
masse geometrizzate, è possibile trarre una struttura non lontana dai disegni astratti.
Questa vicinanza formale è ancora più evidente negli studi per la scultura. Segnalo
in particolare il disegno n. 5 pubblicato nella mia monografia per la forma circolare
scura e irregolare sovrapposta alla figura di leggera delineazione, e lo segnalo perché ritengo che allo spazialismo appartiene anche la traccia circolare che variando
di forma (forme ovoidali, ellissi) indica sempre continuità senza fine. Anche nelle
tavolette astratte del 1931-34 frequenti le forme circolari, luoghi silenziosi di meditazione che va in profondità senza mai raggiungere un livello su cui arrestarsi.
Il percorso del segno è estraneo alla presunzione del gesto come la materia che 13
vive in espansioni di apparente disordine, nelle lacerazioni, nei crateri e nelle fenditure è estranea all’informale. Il termine “informale” inventato da Michel Tapié nel
1951 è privo di senso, eppure è ancora di disinvolto uso corrente nella critica. L’arte
si sviluppa se rinnova forme rendendole variamente essenziali o ricche di particolari
in soluzioni figurative o astratte. Quel carattere impropriamente definito informale
in realtà è un nuovo stato formale che, rivoluzionando i sistemi di rappresentazioni,
affronta con fatica e rigore problemi per i quali deve costruire imprevedibili modi
espressivi.
Per penetrare la novità complessa di Uomo nero non occorre pensare a una ribellione, sia pure indiretta, alla quasi funerea levigatezza delle opere di uno dei maestri
di Fontana all’Accademia, Rodolfo Wildt. Anche Wildt è un novatore. Mi capita sempre di fronte a sue opere: superata l’impressione di estraneità mista a disagio e a
repulsa, avverto, nel persistere di inquieta ambiguità, di essere in presenza di uno
scultore degno di attenzione.
Non sono io ad anticipare la vera essenza dello Spazialismo. Una volta capito che
non consiste nei buchi e nei tagli, non abbiamo difficoltà a dire che è Fontana ad
anticipare. Insisto sui due disegni astratti, sulla forza vitale della loro l’essenzialità
che ne fa la matrice sia delle tavolette astratte graffite del 1931-34 (di cui quattro
esposte per la prima volta nel 1935 a Torino nello studio di Casorati e di Paolucci)
sia delle sculture realizzate nel 1934 come segno che materialmente è cemento nero
(tav. 3). Sono di poco posteriori alle sculture filiformi di Picasso (1928) e dei primi
Mobiles di Calder (1931), in cui i fili metallici si dividono il compito compositivo
con forme come foglie di colori fondamentali, mentre anticipano di molti anni la
scultura-scrittura di David Smith (Lettera 1950, Paesaggio del fiume Hudson 1951) 15
e la monotona prescrittura di Twombly (Roma: il muro 1962). Sono solo notazioni
del trasformarsi della concezione e della pratica della scultura (e della pittura per il
riferimento a Twombly), con soluzioni molto diverse.
Fontana partecipa, senza esclusivismo, alle tendenze di astrazione geometrica che
trovano nel gruppo Abstraction-Création, fondato a Parigi, un punto d’incontro dal
1931 al 1936. Egli vi aderisce insieme ai grandi artisti del tempo, da Gabo, Pevsner,
El Lissitzky a Mondrian, van Doesburg, Vantorgerloo, da Kandinsky, Arp, Kupka a
Herbin, Magnelli, Baumeister. L’astrazione ha l’ambizione di valere come modernità,
sintesi delle arti, apertura ai progressi delle scienze e delle tecniche.
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Disegno per scultura, 1931-32
Oltre la distinzione tra figurazione e astrazione
16
Tavoletta graffita, 1931
Lontano dall’ortodossia, Fontana non vede incompatibilità tra innovazione e figurazione. Lo dimostrano le opere figurative che sono in parallelo alla produzione
astratta a partire da Uomo nero. Solo per fare qualche altro esempio ricordo i bozzetti
per la porta del Duomo di Milano (1950-52) e due Via Crucis. Fontana rifiuta la
qualifica di ceramista: tratta la materia da scultore. Nella Via Crucis del 1947 di
collezione privata (quattordici formelle “barocche” in ceramica colorata e riflessata)
l’oro domina e a un primo sguardo quasi occulta le forme, le quali poi si differenziano, emergono vive in un movimento drammatico. Un’altra Via Crucis, del 1955,
è nella cripta della Basilica di san Fedele a Milano. Nuda terracotta con rari rialzi in
biacca. Fontana ha ragione di intitolare Venezie il ciclo astratto del 1961.
Nei disegni figurativi l’abilità, priva di compiacimenti virtuosistici, è subordinata
alla caratterizzazione stilistica del soggetto, si tratti di disegni indipendenti o di
studi per dipinti sculture ceramiche. La sicura delineazione fa emergere qualcosa
di nascosto e di misterioso, e crea leggerezza anche con estreme sintesi e minimi
accenni. Due figure maschili del 19 (tav. 4), Chimere del 1938-39 (tav. 5) in molte
variazioni nel foglio con al centro una figura femminile, libero ricordo di Maillot.
Figura femminile seduta del 1946 (tav. 6) ripropone sintesi e levità, come Torsos
del 1946 (tavv. 7 e 8). Tra i risultati più alti metto Diez hombres e Diez mujeres del
1946 (tavv. 9 e 10) e Placer al sol del 1947 (tav. 11).
Rapidità e facilità di esecuzione? È decisivo il non misurabile tempo di incubazione,
il formarsi nelle mente, tra sollecitazioni diverse, di impianti e di sviluppi di opere
quale sia il mezzo con cui saranno espresse. I disegni figurativi hanno gli stessi
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elementi formali dei disegni astratti degli anni 1946-47 e non appartengono a una
produzione minore, anche quelli per ceramiche (studi per Conchiglie 1948, tav.12).
Il percorso costruttivo del segno non si subordina mai alla verosimiglianza, sfiora
il foglio, riduce o elimina particolari, si ferma ad accenni che una volta scoperti si
rivelano essenziali. In lunghi tempi di osservazione si realizza la magia dell’esperienza artistica: noi entriamo nell’opera e l’opera entra in noi. Una empatia “intelligente” del tutto estranea alla suggestione.
Lo spazialismo prima dei “buchi”
La rottura del supporto non è il primo grande evento innovativo. L’artista non solo
nel 1949 ha alle spalle quasi due decenni di alta creatività ma di buchi non c’è
traccia quando usa il termine Spazialismo e l’espressione concetto spaziale, si tratti
di manifesti o di opere. In una verifica della congruenza tra prodotti e cronologia,
le date attestano con obiettività che lo Spazialismo e i primi concetti spaziali (anche
nelle soluzioni plastiche) e ambienti spaziali non hanno niente a che fare con la
sperimentazione degli effetti compositivi di buchi.
L’originalità di Fontana è già chiaramente delineata con molte variazioni nel periodo
che va dal 1930 alla vigilia Manifiesto Blanco che nasce nel 1946 a Buenos Aires
in un clima di discussione e di collaborazione. Le date. I due disegni in cui compare
per la prima volta l’espressione concepto espacial sono del 1946. Quello che documento (Concepto espacial, tav. 13) è una esplorazione pluridirezionale di spazio
di cui la grande forma circolare esprime il carattere infinito. I piccoli circoli all’interno in sospensione si accompagnano a brevi tratti verticali e obliqui, così che tra
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Bozzetto per la V porta del Duomo di Milano, 1952
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Scultura spaziale, 1947
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i vari elementi si crea un rapporto energetico. Sempre del 1946 due disegni in cui
lo spazio è occupato da una sorta di scrittura (tavv. 14 e 15); del 1947 è il disegno
con la scritta “concetto spaziale antiscultura e antipittura”(tav. 16), quasi progetto
della scultura Concetto spaziale, gesso dipinto con cementite nera 04. La sua struttura a grumi, come il contemporaneo Uomo atomico, conferma il modo nuovo di
superare la distinzione tra figurazione e astrazione e tra pittura e scultura per andare
oltre una sintesi verso qualcosa del tutto diverso che interpreti i mutamenti culturali
e sociali. Del 1948 è il ciclo Ambiente spaziale, gouaches con leggerissime forme
circolari con effetto di movimento (perciò definite Evoluzioni), fino ad arrivare nel
febbraio del 1949 a una installazione rivoluzionaria, l’ambiente spaziale realizzato
nella Galleria del Naviglio di Milano (uno studio, tav. 17). Nella installazione i buchi
delle pareti sono ottenuti non per perforamento ma mediante la distribuzione regolare di materia fluorescente colpita dalla luce nera di Wood. È forte la necessità di
conquistare libertà di espressione quanto a mezzi, fisionomie stilistiche, riferimenti
culturali.
Fontana temeva che fossero apprezzati soltanto gli aspetti appariscenti delle sue
opere. Insiste sull’importanza di una lunga elaborazione di idee. “Il Manifiesto
Blanco – mi dice – non è nato all’improvviso. Allo spazialismo ho cominciato a
pensare fin dal 1941. A quell’epoca già si era formato un piccolo gruppo ed erano
iniziate le discussioni. Non realizzavo niente di nuovo perché non riuscivo a legare
alla scultura l’idea spaziale e a uscire quindi da uno spazio tradizionale”. Niente di
nuovo? Basta la produzione dal 1930 al 1934 a fare di Fontana un grande artista. È
naturale. Gli innovatori hanno forte il bisogno di andare oltre.
Lo Spazialismo riprende i problemi di nuovi spazi che agli artisti già si erano pre-
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sentati agli inizi degli anni Dieci con l’appoggio ad analogie delle geometrie non
euclidee e alla quarta dimensione. Sono problemi che non si esauriscono nelle
Avanguardie artistiche del Novecento ma continuano a infondere vitalità nelle ricerche. È dominante l’idea di penetrazione materiale-simbolica con invenzioni rappresentative in uno spazio non misurabile, anche se non vengono vanificate la
materia e la sua tangibilità. In Fontana le espressioni “concetto spaziale” e “ambiente
spaziale” danno evidenza a un modo nuovo di vedere e di sentire la realtà e la sua
realizzazione con i mezzi dell’arte. Egli non è irrazionalista se afferma che la ragione
non è in grado di andare in profondità. È detto nel Manifiesto. “La ragione non crea.
E nella creazione delle forme la sua funzione è subordinata alla funzione del subconscio”.
La situazione internazionale
Era molto diffusa l’idea di una matrice non razionalistica della creatività. Il surrealismo al suo nascere (1924) porta in campo con forza determinante l’inconscio, il
caso, l’automatismo. Non meno diffusa l’idea che il rinnovamento ha bisogno dell’alleanza tra forze diverse, anche dell’apertura dell’arte alle scienze e alle tecniche.
Sono convinzioni che Fontana, nel 1947, anno del suo terzo ritorno in Italia, sviluppa nel Manifesto dello spazialismo. È un periodo di grande rinnovamento in una
molteplicità di direzioni sia in Europa sia negli Stati Uniti.
Nel valutare il rinnovamento in generale si mette in primo piano la svolta operata
dall’action painting che, è stato detto, sposta il centro dall’Europa agli Stati Uniti.
La svolta sarebbe stata impossibile senza l’assimilazione delle avanguardie europee
a New York a causa non soltanto delle mostre dei suoi maggiori esponenti ma anche
della presenza di artisti sia durante la prima guerra mondiale sia in seguito all’emigrazione legata al nazismo (tra l’altro la diaspora del Bauhaus dopo la sua soppressione) e nel periodo della seconda guerra mondiale (Léger, Tanguy, Masson, Matta,
Ernst, Dalì, Mondrian). Memorabile l’esposizione nel 1939, nella Valentine Gallery
di New York, di Guernica insieme a molti disegni. Forse la presenza di Miró è la
più costante per le numerose mostre dal 1926, a New York ma anche in altre città,
in gallerie private (in quella di Pierre Matisse mostre a cadenza quasi annuale) e in
musei. Egli è a New York negli anni 1947, 1952, 1967, 1968. Determinante la sua
influenza insieme a quella di Picasso, altro surrealista eterodosso. I surrealisti a
New York sono accolti sia da gallerie private (Julien Levy, Pierre Matisse, Peggy
Guggenheim) sia dal Museum of Modern Art.
Negli Stati Uniti la necessità di aggiornamento con la conoscenza dell’arte europea
ha origini lontane. Si cita la colossale Armory Show del 1913, ma si deve andare
più indietro, anche se è azione di minoranza. Alfred Stieglitz all’attività di fotografo
affiancò quella interessata a fare conoscere negli Stati Uniti l’arte europea. Nel 1905
apre la galleria “291” e avvia una serie di mostre: Rodin, Brancusi, Cézanne, Picasso, Picabia. Ebbe risonanza ben maggiore Armory Show (1913) anche per le
dimensioni: 1300 dipinti, sculture, opere decorative e più di 300 diverse correnti.
Da Goya, Delacroix Courbet all’impressionismo, al postimpressionismo. Tra gli altri
Kandinsky, Matisse, Picasso, Léger, Picabia, Duchamp, Kirchner. Naturalmente
molto varie le reazioni del pubblico e della critica. Non ebbero buona accoglienza
Lusso 2 1905 di Matisse e Nudo che scende le scale 1912 di Duchamp.
Le novità dell’action painting si fecero sentire in Europa come una sorta di resti-
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tuzione di influenze da parte degli Stati Uniti, in cambio di quella degli artisti europei. Nel clima delle innovazioni Fontana, fin dai primi anni Trenta, si muove
con ricerche originali, e anche più tardi nella sua produzione non c’è niente di
quei diffusissimi stereotipi derivati dall’action painting che succedono a un tardo
e stanco cubismo.
Rottura del supporto e vicende della materia
Iniziati nel 1949, i buchi non segnano un periodo in cui Fontana si fermi a lungo.
Nei primi disegni i buchi sono realizzati sia come un insieme di fori a piccoli triangoli e di tagliuzzamenti paralleli sia come spessi punti (tav. 18), nelle due soluzioni
24 quasi sempre all’interno della delineazione di una irregolare forma circolare. La frequentissima delimitazione circolare contraddice la chiusura in accordo ai principi
dello Spazialismo. È utile il ricorso al simbolo (il cerchio come cielo, spazio infinito
contrapposto al quadrato come terra) ma insieme al fatto che il cerchio è continuità
infinita della forza costruttiva di concreti “concetti spaziali”: la loro bellezza induce
sospensione e attiva contemplazione, rende i concetti spaziali estranei al concettualismo che banalizza il prodotto visibile a favore di chissà quale profondità di
pensiero inespresso.
Sostanziali le variazioni quando ai buchi, molto presto, si associano accentuati rialzi
di materia e incastonamento sulla tela di vetri colorati. Del 1951 è la realizzazione,
in collaborazione con l’architetto Luciano Baldessari, dell’Arabesco fluorescente,
decorazione al neon per la IX Triennale di Milano, una occasione anche per riprendere e sviluppare i temi spaziali nel Manifesto tecnico. Dell’opera per la Triennale
un disegno di un particolare (tav. 19): con libertà e rigore le volute evocano luce e
movimento. Dell’anno dopo un foglio con tre studi per Decorazione spaziale (tav.
20), molto pittorico (matita, acquarello, tempera); il bianco delle forme e dei segni
sono apparizioni di luci su fondo nero. Sempre nel campo della decorazione, uno
studio del 1958 (tav. 21) con il contrappunto di una delineazione marcata su uno
sfondo contenuto in una forma simile, quasi ombra, di leggera struttura grafica. Per
Fontana la decorazione è arte a pieno titolo. In uno dei primi disegni con buchi c’è
la scritta: “I buchi! Nessuna rivoluzione una forma come un’altra [intelligente, cancellato] di decorare una tela”.
Del 1955 opere con i buchi in minoranza. Prevalgono segni fitti e radi dentro e fuori
una forma a semicerchio a conferma della non chiusura (“panettoni” è denominazione familiare). Il disegno Concetto spaziale 1955 (tav. 22) è da confrontare con il 25
dipinto Concetto spaziale 1956 (tav. 23) di cui è lo studio. Il semicerchio di bruni
con pochi buchi irregolari e un piccolo taglio quasi centrale è in primo piano sullo
sfondo ocra rossa che tende a schiarimenti con effetti di lontananza. Novità ma
sempre in cicli brevi. Addirittura brevissimi nel caso di una struttura a costellazione
(Concetto spaziale 1955, tav. 24). Negli anni 1956-57 costruzioni di forme che attraversano come strisce l’intero supporto e sono studi di una varietà di collages
(tav. 25). Anche sculture fatte di piastre bucate, quasi mobili su uno stelo lungo e
sottile, hanno molte affinità con i collages (tavv. 26 e 27). In scultura esempi di
combinazione di materiali, come ferro+piombo o piombo+legno (questa scritta è
su un foglio del 1957, tav. 28). I rialzi di materia a volte plasmata accentuano la
tangibilità, la presenza dell’azione dell’artista. L’inserimento di vetri colorati simula
fioriture e rispecchiamenti.
I buchi si accompagnano, nel 1957-58, a variazioni più radicali nei collages di tela
su tela e sono caratterizzanti sia le forme sovrapposte sia l’infittirsi di segni. Il segno
si fa scrittura minuta o si svolge con un andamento di irregolare arabesco. Queste
opere inducono in modi nuovi riserbo e delicatezza, sensazioni che si provano davanti a tutte le opere di Fontana e anche nei rapporti con l’artista. Un disegno con
tre forme gremite da fitti segni leggeri è realizzato su tela (tav. 29).
La nascita dei tagli: dal negativo al positivo
Concetto spaziale, 1957
26
I tagli nel 1958 sono per così dire in negativo, non nascono da intenzione progettuale. Dopo opere con inserimenti di vetri o fatte di spessa materia dal forte effetto
plastico e gli originali collages, Fontana prova una semplificazione estrema, gli “in- 27
chiostri–paesaggi” del 1958, atmosferiche velature con chine colorate molto diluite.
Non forme ma ombre, presenze evanescenti, spazio indefinito. Le opere erano destinate a una mostra al Naviglio di Milano. Improvvisa decisione. Fontana non le
accetta e ne tagliuzza la superficie con intervento di cauta distruzione. I tagli o più
precisamente piccole lacerazioni nascono per caso? La risposta è positiva se si riconosce la complessità del caso non ridotto a fatto fortuito. Il caso ha una misteriosa
logica, è compenetrato dall’azione di una lunga incubazione, si congiunge all’inconscio e all’intuizione che possono volgere il negativo in positivo. Per via in gran
parte sotterranea il caso contribuisce a rinnovare i concetti spaziali.
Gli “inchiostri-paesaggi” diventano “attese” e sono esposte al Naviglio verso la fine
del 1958. “Il termine – spiega Fontana - è un po’ romantico: attesa di una nuova
soluzione, per qualcosa che deve succedere, insomma il principio di una svolta”.
Le vere Attese iniziano nel 1959 con un seguito di novità in una molteplicità di direzioni e con risultati alti.
Innovazione pluridirezionale
28
Concetto spaziale attese, 1958
Fontana non si ferma a lungo, come ricerca, nel ciclo Attese (1959-60). L’interesse
per nuovi spazi plastico-pittorici lo portano anche a studiare le forme dei supporti,
così da uscire dalla tradizione del quadrato o del rettangolo (tav. 30). Si spinge più
avanti quando concepisce una composizione a elementi multipli non continui per
dare uno sviluppo nuovo al rapporto arte–spazio, e quindi alla realizzazione di concetti spaziali. È la nascita dei Quanta del 1959 (tav. 31). In analogia ai principi della
meccanica quantistica, che stabiliscono che i valori delle osservabili quanto-meccaniche costituiscono un sistema discreto (i quanta), l’opera si manifesta per elementi separati (tre-nove dipinti di varie forme) e questo indica l’impossibilità di una
espressione pittorica continua. Lo so, dire che alle entità discrete della meccanica
quantistica corrispondono dipinti distanziati non è spiegazione sufficiente, tuttavia
serve a giustificare perché un artista usa un particolare termine. Il ciclo dei Quanta
è particolarmente breve.
Torna ad avere prevalenza, con soluzioni del tutto nuove, la materia determinante
per le modalità di stesura che variano leggermente gli spessori nel ciclo delle Venezie (1961). Materia plasmata senza pesantezza: ori, argento, luci, acque, costellazioni di vetri colorati, candore della pietra d’Istria, Piazza San Marco nel variare
delle ore (tav. 32 recto; tav. 33 verso). Le irregolari stesure di pasta moderatamente
alta danno vita alla preminenza dell’acqua anche per la particolare costruzione della
29
30
Piazza san Marco
città che l’acqua l’ha dentro e nelle sue fondamenta, in un generale, lieve movimento,
ed è una diversità che si avverte in esperienze reali proprio perché magiche e disorientanti.
L’astrattismo modifica radicalmente le idee sulla realtà dell’arte e sulla vitalità dei
contenuti. Fontana con l’astrazione esprime l’esperienza di Venezia in vari luoghi e
in varie situazioni, il suo particolare rapporto con la città. Egli traspone e condensa,
mescola visione e emozioni. Non nella verosimiglianza le immagini hanno concretezza. Come fatti d’arte le vedute veneziane di Canaletto non sono più reali di quelle
di Fontana, e le Venezie di Fontana non sono più astratte di quelle di Canaletto.
Non buchi ma crateri di ardua o impossibile penetrazione, non tagli ma fenditure
profonde nei cicli Nature (1960-61) e Fine di Dio (1962-63). Hanno in comune
drammaticità e contrasto nel silenzio, per Fontana necessaria atmosfera degli fatti
artistici.
Le Nature di ceramica grezza con ampi crateri che s’inabissano: uno stato di misteriosa primitività della materia a cui l’intervento partecipa. Vi convergono, in contrasto, due simboli dell’infinito: la sfera e l’illimitata profondità di buchi e di fenditure.
In Fine di Dio la forma ovoidale (la simbologia dell’uovo: creazione del mondo,
vita, perfezione, cosmo) duplicata dal segno che corre lungo tutto il limite interno,
perforata da numerosi crateri: non spazio finito di sicuro possesso ma un modo di
essere dell’infinito. Fine di Dio, intera vicenda della vita e della morte. I crateri sono
lacerazioni dell’esistere che lo spazio inghiotte. La fine di tutto, anche di Dio. La
rottura della bidimensionalità pone anche questo ciclo di Fontana, nato scultore, al
di là della pittura e della scultura (tav. 34). Il controllo di irregolarità, i ritmi di stacchi
e di asimmetrie, l’effetto di illusoria grandiosità hanno vita di alta invenzione. Il di-
31
segno con dieci studi per Fine di Dio (1963) chiude una sorta di conversazione con
un amico che è presenza costante nei miei affetti e nei miei lavori.
Da produttore a designer
Ellisse, 1967
32
La stagione creativa di Fontana continua quando da produttore manuale delle opere
ne diventa il designer. È la nascita delle grandi Ellissi di legno laccato e delle Sculture in metallo verniciato, opere del 1967-68. Mi coinvolsero, ma questo vale per
tutto il lavoro con l’artista, non solo come critico con la presentazione che scrissi
per la mostra torinese ma anche in rapporti e scambi di idee.
In uno degli incontri nei primi mesi del 1967 l’artista mi mostrò due comuni fogli
A4 gremiti di piccoli disegni per Ellissi con variazioni di costellazioni di buchi, già
in corso di realizzazione. Fontana, generosissimo, mi promise con la consueta semplicità che, completato il ciclo, mi avrebbe dato i fogli, cosa che non avvenne per
la sua improvvisa e prematura morte.
Metto le opere da designer di Fontana in rapporto con quanto mi disse: “Vorrei riprendere i concetti dei Manifesti dello Spazialismo e del Manifesto tecnico, scrivere
o collaborare a scrivere un’opera sullo spazialismo senza riprodurre neppure un disegno o un quadro per sottolineare la mia convinzione che lo spazialismo è valido
come interpretazione non limitata a fatti artistici ma estesa a una generale situazione
nuova di vita che è mia come è di tutti”.
Fontana non guarda al passato quando insiste sulla necessità di chiarire ulteriormente concezioni e realizzazioni. L’essere stato indicato nel brano di lettera citata
33
all’inizio come persona capace di dare un contributo lo considero un lascito di
valore anche morale che nel corso degli anni ho cercato di onorare.
Con questi sentimenti assegno un valore particolare all’ultimo foglio, a ricordo della
conclusione, nel 1967, delle mie ricerche sui disegni che Fontana seguì sempre
con interesse e collaborazione. Il saggio, che Fontana lesse nelle varie fasi di avanzamento e nella forma definitiva era ormai da licenziare per la stampa. Non per suggerimento da grafico ma come nuovo segno di interesse per la vicenda che ci aveva
accomunato, Fontana dice che sarebbe stato bello uscire dal modo ordinario di fare
i libri e consegna la sua idea a un disegno (tav. 35) su cui annota due soluzioni per
il susseguirsi delle pagine:
inizio libro a gradi lettere a piccolissime
34 se fatto al rovescio inizio piccolo via via a grandi lettere
TAVOLE
36
1.
Disegno astratto
1930
penna su carta, 280 x 225 mm
firmato e datato in basso a destra
Bibliografia:
Francesco De Bartolomeis, Segno Antidisegno di Lucio Fontana,
Torino 1967, no 10 illustrato
37
38
2.
Disegno astratto
1930
penna su carta, 222 x 228 mm
firmato in basso a destra
IN ARCHIVIAZIONE
39
40
3.
Studio per scultura
1934
penna su carta, 325 x 253 mm, firmato in basso a destra
IN ARCHIVIAZIONE
41
42
4.
Figure
19
penna su carta, 320 x 222 mm
firmato in basso a destra
IN ARCHIVIAZIONE
43
44
5.
Studi per scultura Chimere
1938 - 39
Inchiostro su carta, 314 x 420 mm
Non firmato, ma con titoli autografi
45
46
4.
Figura seduta
1946
inchiostro su carta, 275 X 205 mm
firmato e datato in basso a destra
Bibliografia:
Francesco De Bartolomeis, Segno Antidisegno di Lucio Fontana
Torino 1967, no 58 illustrato
47
47
48
7.
Torsos
1946
inchiostro su carta, 305 X 220 mm
firmato, intitolato, firmato e datato in basso a destra
Bibliografia:
Francesco De Bartolomeis, Segno Antidisegno di Lucio Fontana
Torino 1967, no 60 illustrato
49
49
50
8.
Torso
1946
inchiostro su carta, 305 X 220 mm
firmato e datato al centro a destra
Bibliografia:
Francesco De Bartolomeis, Segno Antidisegno di Lucio Fontana
Torino 1967, no 61 illustrato
51
51
52
9.
TDiez Hombres
1946
inchiostro su carta, 222 x 315 mm
firmato, datato e intitolato al centro
Bibliografia:
Francesco De Bartolomeis, Segno Antidisegno di Lucio Fontana
Torino 1967, no 62 illustrato.
53
54
10.
Diez Mujerres
1946
inchiostro su carta, 222 X 315 mm
firmato, datato e intitolato al centro
Bibliografia:
Francesco De Bartolomeis, Segno Antidisegno di Lucio Fontana
Torino 1967, no 63 illustrato
55
56
11.
Placer al Sol
1947
inchiostro su carta, 217 X 305 mm
intitolato in alto, firmato e datato in basso a destra
Bibliografia:
Francesco De Bartolomeis, Segno Antidisegno di Lucio Fontana
Torino 1967, no 64 illustrato
57
58
12.
Studi per conchiglie
1948
matite e acquerello su carta, 284 x 228 mm
firmato e datato in basso a destra
Bibliografia:
Francesco De Bartolomeis, Segno Antidisegno di Lucio Fontana
Torino 1967, no 65 illustrato
N. ARCHIVIO 3217/5
59
59
60
13.
Concepte Espacial
1946
inchiostro su carta, 222 x 280 mm
intitolato, firmato e datato in basso a destra
Bibliografia:
Francesco De Bartolomeis, Segno Antidisegno di Lucio Fontana
Torino 1967, no 70 illustrato
Simone Soldini, Luca Massimo Barbero,
Lucio Fontana 1946 - 1960. Il disegno all'origine della nuova dimensione
Mendrisio CH 2008, no 12 pag. 21 illustrato
61
62
14.
Essenza
1946
inchiostro su carta, 253 X 320 mm
intitolato, firmato e datato in basso
Bibliografia:
Francesco De Bartolomeis, Segno Antidisegno di Lucio Fontana
Torino 1967, no 52 illustrato
Enrico Crispolti, Omaggio a Lucio Fontana, Roma 1971, no. 86 illustrato
Lucio Fontana, Palazzo Reale Comunale di Milano, 1972, no. 43 pag. 89 illustrato
Simone Soldini, Luca Massimo Barbero,
Lucio Fontana 1946 - 1960. Il disegno all'origine della nuova dimensione
Mendrisio CH 2008, no 10 pag. 21 illustrato
63
64
15.
Disegno
1946
inchiostro su carta, 255 X 350 mm
firmato e datato in basso a destra
Bibliografia:
Francesco De Bartolomeis, Segno Antidisegno di Lucio Fontana, Torino 1967, no 55 illustrato
Enrico Crispolti, Omaggio a Lucio Fontana, Roma 1971, no. 89 illustrato
Lucio Fontana, Palazzo Reale Comunale di Milano, 1972, no. 41 pag. 87 illustrato
65
66
16.
Concetto spaziale/Antiscultura Antipittura
1947
inchiostro su carta, 295 x 221mm
intitolato in basso a destra, firmato e datato al retro
Bibliografia:
Francesco De Bartolomeis, Segno Antidisegno di Lucio Fontana, Torino 1967, no 72 illustrato
Simone Soldini, Luca Massimo Barbero,
Lucio Fontana 1946 - 1960. Il disegno all'origine della nuova dimensione
Mendrisio CH 2008, no 11 pag. 21 illustrato
67
67
68
17.
Studio per ambiente spaziale
1949
penna su carta, 280 x 222 mm
siglato, firmato e datato in basso
Bibliografia:
Francesco De Bartolomeis, Segno Antidisegno di Lucio Fontana, Torino 1967, no 74 illustrato
Enrico Crispolti, Omaggio a Lucio Fontana, Roma 1971, no. 108 illustrato
69
69
70
18.
Concetto spaziale
1949
inchiostro su carta, 313 x 240 mm
firmato e datato in centro a destra
N. ARCHIVIO 3217/1 (EX628/25)
71
71
72
19.
Studio per la IX Triennale di Milano
1951
inchiostro su carta, 295 x 215 mm
firmato e datato in basso a destra
Bibliografia:
Francesco De Bartolomeis, Segno Antidisegno di Lucio Fontana, Torino 1967, no 77 illustrato
N. ARCHIVIO 3217/9
73
73
74
20.
Studio per decorazione spaziale
1952
matita, acquerello e tempera su carta, 210 x 295 mm
firmato in basso a sinistra, firmato e datato sul retro
N. ARCHIVIO 3217/7
75
76
21.
Disegno
1958
inchiostro su carta, mm
firmato in basso a destra
IN ARCHIVIAZIONE
77
78
22.
Studio per Concetto spaziale
1955
china e strappi su carta, 250 x 355 mm
firmato e datato in basso a sinistra
Bibliografia:
Francesco De Bartolomeis, Segno Antidisegno di Lucio Fontana, Torino 1967, no 122 illustrato
Aldo Passoni, Lucio Fontana, Galleria Civica d’Arte Moderna, Torino 1970. N. 12 non illustrato
Simone Soldini, Luca Massimo Barbero,
Lucio Fontana 1946 - 1960. Il disegno all'origine della nuova dimensione
Mendrisio CH 2008, no 55 pag. 42 illustrato
N. ARCHIVIO 3217/8
79
80
23.
Concetto spaziale
1956
pastelli a olio su tela, 50 x 40 cm
firmato, datato e dedicato al retro
N. ARCHIVIO 628/5
81
82
24.
Disegno
1958
inchiostro su carta, 253 x 350 mm
firmato e datato in basso a destra
Bibliografia:
Francesco De Bartolomeis, Segno Antidisegno di Lucio Fontana, Torino 1967, no 127 illustrato
83
84
25.
Studi per collage
1958
inchiostro su carta, 325 x 255 mm
firmato al centro
Bibliografia:
Francesco De Bartolomeis, Segno Antidisegno di Lucio Fontana, Torino 1967, no 123 illustrato
85
85
86
26.
Studio per collage
1957
inchiostro su carta, mm
firmato e datato in basso a destra
Bibliografia:
Francesco De Bartolomeis, Segno Antidisegno di Lucio Fontana, Torino 1967, no 121 illustrato
87
87
88
27
Studio per collage
1957
inchiostro su carta, mm
firmato e datato in basso a destra
IN ARCHIVIAZIONE
89
90
28.
Studio per “Decorazione murale” / piombo+legno
1957
china, acquerello e pastello su carta, 324 x 245 mm
intitolato, firmato e datato in basso
Bibliografia:
Francesco De Bartolomeis, Segno Antidisegno di Lucio Fontana, Torino 1967, no 138 illustrato
N. ARCHIVIO 3217/2
91
91
92
29.
Studi per scultura
1958
penna su tela, 200 x 240 mm
firmato e datato in basso a sinistra
Bibliografia:
Francesco De Bartolomeis, Segno Antidisegno di Lucio Fontana, Torino 1967, no 128 illustrato
93
94
30.
Studi per supporti di concetti spaziali
1960
inchiostro su carta, 280 x 222 mm
firmato e datato in baso a destra
Bibliografia:
Francesco De Bartolomeis, Segno Antidisegno di Lucio Fontana, Torino 1967, no 142 illustrato
95
95
96
31.
Composizioni/Quanta
1960
inchiostro su carta,222 x 333 mm
intitolato e datato in basso al centro
Bibliografia:
Francesco De Bartolomeis, Segno Antidisegno di Lucio Fontana, Torino 1967, no 153 illustrato
97
98
32.
Tre studi per Venezia
1960-61
inchiostro su carta, 220 x 330, altri studi sul recto
Bibliografia:
Francesco De Bartolomeis, Segno Antidisegno di Lucio Fontana, Torino 1967, no 159 illustrato
Lucio Fontana, Palazzo Reale Comunale di Milano, 1972, no. 46 pag. 92 illustrato
N. ARCHIVIO 3217/4
99
100
33.
Sei studi per Venezia
1960 - 61
inchiostro su carta, 220 x 330, altri studi sul verso
Bibliografia:
Francesco De Bartolomeis, Segno Antidisegno di Lucio Fontana, Torino 1967, no 158 illustrato
N. ARCHIVIO 3217/4
101
102
34.
Dieci studi per La fine di Dio
1963
biro su carta, 330 x 220, intitolato e firmato
Bibliografia:
Francesco De Bartolomeis, Segno Antidisegno di Lucio Fontana, Torino 1967, no 155 illustrato
N. ARCHIVIO 3217/3
103
103
104
35.
Studio per impaginazione catalogo
1967
matite su carta, mm, scritte autografe
IN ARCHIVIAZIONE
105
ELENCO DELLE TAVOLE
Disegno astratto, 1930
Disegno astratto, 1930
Studio per scultura, 1934
Figure, 19
Studio per sculture Chimere, 1938-39
Figura seduta, 1946
Torsos, 1946
Torso, 1946
Diez hombres, 1946
Diez mujerres, 1946
Placer al Sol, 1947
Studio per conchiglie, 1948
Cencepte espacial, 1946
Essenza,1946
Disegno,1946
Concetto spaziale / Antiscultura Antipittura, 1947
Studio per ambiente spaziale, 1949
Concetto spaziale, 1949
Studio pe la IX Triennale di Milano, 1951
Studio per decorazione spaziale, 1952
pag 36
pag 38
pag 40
pag 42
pag 44
pag 46
pag 48
pag 50
pag 52
pag 54
pag 56
pag 58
pag 60
pag 62
pag 64
pag 66
pag 68
pag 70
pag 72
pag 74
Disegno, 1958
Studio per concetto spaziale, 1955
Concetto spaziale, 1956
Disegno, 1958
Studi per collage, 1958
Studio per collage, 1957
Studio per collage, 1957
Studio per decorazione murale/piombo+legno, 1957
Studi per scultura, 1958
Studi per supporti di concetti spaziali, 1960
Composizioni/Quanta,1960
Tre studi per Venezia, 1960-61
Sei studi per Venezia, 1960-61
Dieci studi per la fine di Dio, 1963
Studio per impaginazione catalogo, 1967
pag
pag
pag
pag
pag
pag
pag
pag
pag
pag
pag
pag
pag
pag
pag
76
78
80
82
84
86
88
90
92
94
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98
100
102
104
INDICE
Mutamenti innovativi
pag
7
I disegni nelle ricerche
pag
9
Dagli anni Trenta
pag 10
Oltre la distinzione tra figurazione e astrazione
pag 15
Lo spazialismo prima dei “buchi”
pag 18
La siyuazione internazionale
pag 22
Rotture del supporto e vicende della materia
pag 23
La nascita dei tagli: dal negativo al positivo
pag 25
Innovazione pluridirazionale
pag 27
Da produttore a designer
pag 30
Tavole
pag 33
Elenco delle tavole
pag 105
Fly UP