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Un uomo `prepolitico` - UvA-DARE

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Un uomo `prepolitico` - UvA-DARE
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1
Un uomo ‘prepolitico’
L’adesione al fascismo di Giuseppe Ungaretti nella critica italiana
Tesi di laurea specialistica in lingua e cultura italiana
Nome: Frederike Doppenberg
Relatore: Dr. Linda Pennings
Correlatore: Dr. Ronald de Rooy
Università di Amsterdam
Facoltà di Scienze Umane
30 agosto 2011
Indice
Introduzione
1.
2.
3.
3
‘Libro e Moschetto’. Le vita letteraria durante il regime fascista
Il ruolo del libro e dello scrittore
9
Istituzioni letterarie
10
‘Uomo di pena’.Vita di Ungaretti
Alessandria
15
Parigi
17
Roma
20
Brasile
22
Ritorno a Roma
23
Un amore a senso unico. Commenti sull’ideologia politica di Giuseppe Ungaretti
Storie e dizionari della letteratura italiana
27
Biografie
35
Monografie
46
Introduzioni
49
Saggi specializzati
51
Conclusione
65
Appendice
69
Bibliografia
70
‐ 2 ‐ Introduzione
La mia poesia la capivano i contadini, miei fratelli in trincea; la capisce il mio Duce, che volle
onorarla di una prefazione; la capiranno sempre i semplici e i detti di buona fede [...]. Tutto
ciò che di nuovo si fa in Italia e di fuori, porta in poesia l’impronta dei miei sogni e del mio
tormento espressivo [...] di una vita durissima come la mia, fieramente italiana e fascista. 1
Giuseppe Ungaretti, in: “Italia Letteraria”, 1932
L’essere poeta di Giuseppe Ungaretti iniziò in un periodo burrascoso della storia italiana. Il
poeta, infatti, esordì nella rivista Lacerba nel 1915. Un anno prima, nel 1914, l’Europa si era
imbarcata nella prima guerra mondiale, tragico evento a cui anche Ungaretti prese parte come
soldato, a solo otto mesi dopo il suo debutto come poeta. Diede espressione agli effetti
devastanti della guerra nella sua prima raccolta di poesie, Il Porto Sepolto.
Ungaretti trascorse una vita lunga e, essendo nato nel 1888, visse da testimone
oculare tutte le tragedie, le bellezze, gli sviluppi, sia nell’arte che nella società, a cui il
Novecento diede frutto. E non fu solo un testimone, come già accennato: ne fece parte, nelle
trincee della Grande Guerra ma anche come acceso sostenitore del fascismo.
È proprio questa partecipazione attiva nella società fascista che voglio indagare in
questa tesi. L’adesione del poeta al fascismo non è del tutto un segreto, ma ci si chiede come
abbia reagito la critica alle preferenze politiche di Ungaretti, ormai considerato uno dei
maggiori poeti italiani, sia in Italia che all’estero. La sua ideologia politica è stata considerata
come una macchia sulla carriera del poeta? La critica ha espresso un giudizio etico sulla sua
adesione al fascismo nel dopoguerra? Ha giustificato o condannato il suo atteggiamento nei
confronti del regime, oppure si astiene da giudizi morali? La sua opera è mai stata letta in
chiave politica?
1
Citato da: Robert S. Dombrowski, Ungaretti ed il fascismo, in: L’esistenza ubbidiente, Napoli,
Guida, 1984, p. 72.
‐ 3 ‐ Mi sono posta domande simili, durante la ricerca condotta per la mia tesi di laurea, scritta a
conclusione dei miei studi di Letteratura olandese nel 2007, tesi dedicata ad una casa editrice
socialista, che durante l’occupazione nazista dell’Olanda era nazificata, allo scopo di
‘convertire’ i clienti socialisti al nazionalsocialismo.2 Dopo la liberazione, tuttavia, la suddetta
casa editrice volle licenziare tutti i lavoratori che erano rimasti a lavorare lì durante
l’occupazione, affinché il mondo esterno capisse il suo desiderio di rinascere ‘puramente’
socialista e liberata dalla presenza di collaborazionisti.
Quest’azione va compresa in chiave sociale: subito dopo la liberazione, in Olanda
arrivò presto il giorno della resa dei conti. Persone che nutrivano idee nazionalsocialiste
destarono il risentimento della massa. Anche da parte del governo c’era il desiderio di fare
piazza pulita: nell’anno della liberazione dall’occupazione tedesca, diede vita, per esempio,
alla Commissione per l’Epurazione della Stampa, fondata proprio con l’intento di sospendere
tutti quelli che avevano collaborato attivamente con l’invasore. 3
L’Olanda ovviamente non era l’unico paese in cui esisteva il desiderio di chiedere
conto a tutti quelli che fino alla liberazione avevano supportato l’oppressore. Molto noto è il
processo contro Knut Hamsun, scrittore norvegese e vincitore del premio Nobel nel 1920:
simpatizzante del nazismo norvegese e tedesco, nel 1948 fu costretto a pagare un’ingente
somma al governo norvegese, nonostante fosse già stata riconosciuta la sua infermità
mentale.
Com’è noto, con un simile processo ebbe a che fare Louis Ferdinand Céline, forse lo
scrittore più noto e discusso per il suo pensiero antisemitico. Nel 1950 venne condannato per
collaborazionismo nel corso dei processi d’epurazione intentati dal governo francese.
Dovette pagare una multa di 50.000 franchi, e fu condannato ad un anno di carcere e alla
totale confisca dei suoi beni, essendo stato giudicato colpevole di indignité nationale,4 un
termine usato solamente per le persone che:
postérieurement au 16 juin 1940, soit sciemment apporté en France ou à l’étranger une aide
directe ou indirecte à l’Allemagne ou à ses alliés, soit porté atteinte à l’unité de la nation ou à
la liberté des Français, ou à l’égalité entre ceux-ci. 5
2
Frederike Doppenberg, ‘De Arbeiderspers moest blijven marcheeren.’ Een uitgeverij in oorlogstijd,
Amsterdam, De Arbeiderspers, 2009, pp. 24-29.
3
Adriaan Venema, Schrijvers, uitgevers & hun collaboratie. Deel 3A, Amsterdam, De Arbeiderspers,
1990, pp. 304-312.
4
Pierre Assouline, L'épuration des intellectuels, Bruxelles, Complexe, 1985, p. 130.
5
“Journal officiel de la Republique française”, 27 dicembre 1944, p. 2078.
‐ 4 ‐ La velocità con cui la società voleva chiudere un capitolo nero della storia rifletteva un’idea
che in quasi tutti i paesi europei si radicò in quel periodo. Nei primi anni dopo la seconda
guerra mondiale, le nazioni volevano trasmettere l’idea di un popolo che, nonostante avesse
vissuto sotto il giogo insopportabile delle orde teutoniche, non aveva mai piegato il capo.6
Poiché l’idea che gran parte della società avesse tenuto alto l’onore era divulgatissima, la
discussione sul ruolo della collaborazione si è messa in moto abbastanza tardi. La
convinzione che nell’angoscia dell’occupazione e della guerra vivessero solo eroi o
collaborazionisti non si è attenuata che negli ultimi tre o quattro decenni, con gli studi, per
esempio, di J.C. Blom, Crisis, bezetting en herstel (Amsterdam, 1989), Éric Conan e Henry
Rousso, Vichy, un passé qui ne passe pas (Paris, 1994), e Daniel Goldhagen, Hitler’s Willing
Executioners (New York, 1996).
Riepilogando, il patrimonio, anche quello letterario, era stato fino a tempi recenti considerato
un cosiddetto ‘prerogative of the vanquisher’, mentre oggi l’accento si è spostato più sulle
questioni di delitto e castigo,7 come dimostratoci per esempio dalla costituzione di musei in
memoria dell’Olocausto. Per questi siti, G.J. Ashworth usa il termine ‘dissonant heritage’,
patrimonio dissonante, per descrivere cioè un patrimonio controverso.8 Cos’ è esattamente
un patrimonio dissonante?
Wars, conflicts, triumph over foreigners, the plunder of riches from overseas – these are the
stuff of most national histories. Yet wether they are perceived as troubling for contemporary
identity may vary considerably; and what was once seen as a sign of a country’s achievement
may later come to be understood as a reason of regret. Colonialism, for example, once a
source of great national pride for colonising countries has increasingly – though not
unequivocally – come to be regarded as a more problemetic and even shameful heritage.9
6
Frank van Vree, In de schaduw van Auschwitz. Herinneringen, beelden, geschiedenis, Groningen,
Historische Uitgeverij, 1995, p. 7.
7
Robbert Shannan Peckham, Mourning Heritage. Memory, trauma and restitution, in: Rethinking
heritage. Cultures and politics in Europe, Londen, I.B. Tauris, 2003, pp. 207-210.
8
Ashworth, G.J. (et al.), Dissonant heritage. The management of the past as a resource in conflict.
Chichester,Wiley, 1996, p. 16.
9
Sharon MacDonald, Difficult heritage. Negotiating the Nazi past and beyond, Abingdon, Routledge,
2009, p. 2.
‐ 5 ‐ Il retaggio degli scrittori nazionalsocialisti o fascisti può essere considerato per antonomasia
come patrimonio dissonante, un’eredità che da diversi gruppi è stata interpretata in modi,
appunto, differenti.
Siccome l’accento, oggi, si è spostato soprattutto sul ruolo che questo difficile patrimonio
dovrebbe giocare nella società odierna, di recente diversi studi si sono concentrati sull’eredità
e sulle istituzioni letterarie che fino a poco tempo fa erano sempre state considerate
‘macchiate’, come Der Frontbuchhandel 1939-1945 di Hans-Eugen Bühler (Frankfurt am Main,
2002), Literaturpolitik im Dritten Reich di Jan-Pieter Barbian (Monaco di Baviera, 1995),
L’édition Française sous l’occupation.1940-1944 di Pascal Fouché (Parigi, 1987) e Inktpatronen di
Hans Renders, Lisa Kuitert e Ernst Bruinsma (Amsterdam, 2006).
Anche in Italia sono stati pubblicati numerosi studi sui letterati sotto il regime
fascista, e non stupisce che non abbiano potuto contare sempre su un’accoglienza calorosa:
Al loro apparire le pagine delle Cronache [stampate per la prima volta nel 1966] suscitarono
vivaci discussioni e non poche polemiche. Vi si volle vedere, di volta in volta, l’accusa o la
difesa del letterato italiano negli anni oscuri del ventennio fascista. In realtà il mio lavoro era
stato concepito e portato a termini con intenzioni assai diverse da quelle che gli vennero
attribuite. [...] Anzitutto un’esigenza di carattere morale e politico; quindi l’intento di porsi
senza pregiudizi di fronte ai testi per coglierne la parola nel suo significato autentico e
interpretarne la storia nella sua complessa articolazione.10
Lo sviluppo descritto qui fa presumere che l’atteggiamento verso il ‘patrimonio dissonante’
sia cambiato. Una domanda interessante sarebbe se in Italia si possa individuare un simile
cambiamento nel rapporto con l’eredità ‘macchiata’.
In questa tesi ho scelto di fare un casestudy per indagare i temi evocati dalle domande poste
all’inizio dell’introduzione. Farò un’analisi della reazione della critica all’adesione al fascismo
di Giuseppe Ungaretti, basandomi su monografie, articoli, biografie e storie letterarie, per poi
indagare i commenti in un contesto più ampio, quello del cambiamento degli atteggiamenti
verso un patrimonio dissonante. Quest’analisi sarà preceduta da due capitoli: un primo in cui
presenterò il campo letterario italiano durante gli anni del fascismo, e un secondo in cui darò
10
Giorgio Luti, La letteratura nel ventennio fascista. Cronache letterarie tra le due guerre, Firenze, La
Nuova Italia, 1972, p. IX
‐ 6 ‐ spazio alla biografia dello scrittore. La tesi sarà terminata, ovviamente, da una conclusione,
nella quale cercherò di interpretare i risultati dell’indagine.
Per quanto riguarda il corpus di letteratura secondaria che ho consultato, ho scelto di
prendere in esame le vaste collezioni della Biblioteca del Dipartimento di Scienze letterarie e
filologiche dell’Università di Torino e quella della Facoltà di Lettere dell’Università di
Amsterdam. Ovviamente il corpus, soprattutto per quanto riguarda la saggistica, non può
essere esaustivo. Penso però che esso possa essere, entro i limiti di questa ricerca,
sufficientemente rappresentativo per trarre qualche cauta conclusione.
‐ 7 ‐ 1.
‘Libro e Moschetto’
La vita letteraria durante il regime fascista
Del moschetto ci si può sempre fidare; [...] del libro non sempre. Bisogna scegliere. C’è libro
e libro: il libro che serve in aggiunta al moschetto e il libro che in aggiunta al moschetto non
serve affatto, se non a far vacillare la mano e a deviare il colpo. 11
Alessandro Pavolini
Con la ‘Marcia su Roma’ del 28 ottobre 1922, l’Italia s’incamminò verso il periodo più
violento nella storia recente del paese. L’evento fu considerato come un primo passo verso
l’imporsi formale del governo di Mussolini nel 1925. Rapidamente quasi tutti gli strati sociali
erano impregnati della nuova politica: ‘Tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nulla
contro lo Stato’ era l’ideale del Duce. Infatti l’aggettivo ‘totalitario’ è un neologismo italiano,
inventato per descrivere lo stato sognato dai fascisti.12
Nel Ventennio, il governo provava ad intromettersi nella vita quotidiana degli italiani,
e così anche nella vita intellettuale. La fama di Ungaretti prese forma proprio in questo
periodo della storia d’ Italia. Pubblicò le sue raccolte più famose durante gli anni del regime
fascista, e personalemente fu un acceso sostenitore del fascismo. Per capire meglio la
situazione in cui Ungaretti maturò come poeta, è utile soffermarsi brevemente
sull’organizzazione della cultura durante gli anni della dittatura.
11
Citato da: Christopher Rundle, Publishing Translations in Fascist Italy, Bern, Peter Lang AG,
1963, p. 182.
12
Richard J.B. Bosworth, L’Italia di Mussolini. 1915-1945, Milano, Mondadori, 2009, p. 218.
‐ 8 ‐ Il ruolo del libro e dello scrittore
Alla parola scritta era attribuito un ruolo importante nel consolidamento del regime fascista.
Il governo fascista considerava i libri come indispensabile mezzo per comunicare i propri
ideali: ‘Generi di prima necessità: pane libro moschetto Mussolini/ di tutto il resto, grazie a
Dio, se ne può fare a meno’, così affermò la copertina della rivista Il libro italiano nel 1928.13
Anche Mussolini stesso ne era convinto, indicando il libro ed il moschetto come gli attributi
essenziali del fascismo, in un suo discorso del 1935.14
‘Libro e moschetto, è fascista perfetto’ era lo slogan preferito dei governatori che
erano responsabili della politica culturale nel Ventennio, ed il motto valeva soprattutto
nell’educazione dei giovani. Siccome non si poteva vincere una guerra solo con i fucili pensavano - tutti i mezzi di comunicazione erano usati per ‘convertire’ il popolo al fascismo:
la radio, il cinema, la stampa, ma anche la letteratura. Quale ruolo giocava il libro durante gli
anni fascisti, e quale ruolo era assegnato allo scrittore?
Mussolini non parlò mai in termini chiari del concetto di cultura. Secondo lui la
cultura rappresentava la modernità e la tradizione insieme, in linea con l’idea di una
‘rivoluzione dell’ordine’.15 Ciò non toglie che negli ideali culturali del fascismo si possano
tracciare alcune linee essenziali.
Prima di tutto era considerato dovere dello scrittore l’essere un ‘milite’, cioè di
impegnarsi per la rivoluzione fascista e di diffonderne le idee. È materia piuttosto confusa
quali fossero esattemente queste idee, tuttavia certe preferenze verso motivi letterari
esistevano, come l’esaltazione della gioventù, la celebrazione della storia gloriosa dell’Impero
Romano, l’opposizione forte alla borghesia, e infine la rivolta contro i vecchi modi della
società. Un altro motivo importante era la promozione della cosiddetta italianità, da intendersi
come una specifica qualità della cultura italiana e del popolo che essa formò, una cultura in
cui le risonanze dell’antica Roma ed il Rinascimento italiano non erano mai stati ammutoliti.16
Sulla forma in cui l’arte dovesse essere presentata, non esisteva consenso. Questo
creò la situazione in cui sia l’arte moderna, come il futurismo, sia altre forme più tradizionali
13
Il Novecento. Dagli anni Venti agli anni Ottanta (tomo 2). A cura di Giorgio Luti, Padua, Piccin
Nuova Libraria, 1993, p. 1234.
14
Richard Collier, Duce! The Rise and Fall of Benito Mussolini. London, Viking Press, 1971, p. 104.
15
Jeffrey T. Schnapp, Epic Demonstrations. In: Richard J. Golsan (ed.), Fascism, Aethetica, and
Culture, Hanover/New Hampshire, University Press of New England, 1992, p. 2.
16
Igor Golomstock, Totalitarian art in the Soviet Union, the Third Reich, Fascist Italy, and the People’s
Republic of China. New York, Overlook Duckworth, 2011, p. 38.
‐ 9 ‐ trovavano un’accoglienza calorosa nel Ventennio. Anche Ferroni afferma che il panorama
culturale del fascismo era piuttosto ampio:
Il fascismo riuscì a inscrivere nel suo orizzonte totalitario sia il perbenismo più tradizionalista
e il patriottismo più cupamente conservatore, sia il vitalismo più rissoso e scatenato:
sembrava poter dare spazio al più vieto classicismo e al più accanito futurismo, alla retorica
della romanità e dell’eroismo antico e alla ricerca di modernità, alla più cupa serietà
professorale e al mito di una scomposta ed esaltata ‘giovinezza’ , al moralismo più arcigno e
severo e allo ‘scandaloso’ estetismo dannunziano [...].17
Il fatto che il fascismo non adottò mai una corrente letteraria ufficiale, distingue il
movimento politico da altre correnti totalitarie. Le istituzioni letterarie del Maoismo, del
comunismo russo e del nazionalsocialismo, per esempio, erano più repressive riguardo al
contenuto dei libri, ma soprattutto alla forma, con una spiccata preferenza per quella
tradizionale e popolare.18
Le istituzioni letterarie
La letteratura italiana rimase al riparo dal morso totalitario relativamente a lungo. Negli anni
Venti non esistevano istituzioni culturali statali dedicate esclusivamente alla divulgazione dei
concetti fascisti.
Il primo tentativo di canalizzare la propaganda avvenne nel 1925, quando Bologna
era il punto d’incontro per 250 intellettuali italiani, tra i quali Filippo Tommaso Marinetti,
Luigi Pirandello e Giovanni Gentile, per discutere della nuova cultura. Il risultato fu la
fondazione dell’Istituto Nazionale di Cultura Fascista che, pur sostenuto dal governo, non ne
era parte. Durante il discorso inaugurale, il filosofo e capo dell’Istituto, Giovanni Gentile
perorò la necessità dello Stato di una nuova coscienza.
L’Istituto era stato eretto per diffondere gli ideali del fascismo tramite lezioni,
pubblicazioni e corsi. Tuttavia, a causa dei tanti conflitti interni, causati da una diversa
17
Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 1992, p. 899.
18
Igor Golomstock, Totalitarian art, cit., p. 48.
‐ 10 ‐ concezione dello scopo e del metodo di lavoro tra il Partito Nazionale Fascista e Gentile,
l’Istituto non poté mai crescere in un dinamico organo di propaganda.19
Nel 1929 fu fondata l’Accademia d’Italia, intesa a sostituire prima o poi la Reale
Accademia dei Lincei, istituto antico e prestigioso che era stato creato allo scopo di
promuovere le scienze. Il compito della nuova Accademia era quello di:
promuovere e coordinare il movimento intellettuale italiano nel campo delle scienze, delle
lettere e delle arti, di conservare puro il carattere nazionale, secondo il genio e le tradizioni
della stirpe e di favorirne l’espansione e l’influsso oltre i confini dello Stato.20
Per poter essere presi in considerazione per una nomina all’Accademia, bisognava avere una
tessera del Partito Nazionale Fascista. Molti letterati consideravano l’invito a far parte
dell’Accademia come una testimonianza ufficiale di stima.
Quando nella seconda parte degli anni Trenta il clima e la legislatura fascista
diventarono più repressivi, crebbe l’ambizione da parte dal governo di consolidare la presa
sulla propaganda e sullo sviluppo della cultura. Galeazzo Ciano, il delfino di Mussolini e
marito di sua figlia, insistette sull’istituzione del Ministero della Cultura Popolare, detto
comunemente Minculpop. Prima integrato nel Ministero degli Affari Esteri, ottenne poi lo
stato di Sottosegreteria per la Stampa e la Propaganda nel 1935. Due anni dopo, divenne un
ministero vero e proprio, ispirato al Ministerium für Volksaufklärung und Propaganda in
Germania (dove, d’altronde, solo un piccolo dipartimento era dedicato alla letteratura).21
Gli stati totalitari devono la loro esistenza spesso alla tattica de ‘il bastone e la carota’,
il che si traduceva a quel tempo, in campo letterario, con una ricompensa per gli scrittori che
creavano arte rispondendo alle aspettative fasciste, e con una sanzione per quelli che erano
considerati artisti degenerati o critici. I funzionari del Ministero, però, usavano più spesso la
carota che il bastone.22 Proprio nel periodo fascista furono istituiti i primi grandi premi
letterari e gli scrittori poterono essere presi in considerazione per un sostegno finanziario
19
A. James Gregor, Italian Fascism and Developmental Dictatorship, Princeton, Princeton University
Press 1979, p. 231.
20
Michele Ainis e Mario Fiorillo, L’ordinamento della cultura. Manuale di legislazione dei beni culturali,
Milano, Giuffrè, p. 55.
21
Per un quadro dell’organizzazione polito-culturale della Germania durante il regime
nazionalsocialista, rimando al mio studio, ‘De Arbeiderspers moest blijven marcheeren.’, cit., pp. 24-30.
22
Igor Golomstock, Totalitarian art, cit., p. 120.
‐ 11 ‐ dello Stato. Anche grandi eventi vennero organizzati per puntare l’attenzione sull’importanza
del libro, come la Mostra della Rivoluzione Fascista nel 1932 e la Settimana del Libro.
‘La carota’, tuttavia, si era quasi del tutto esaurita verso la fine degli anni Trenta. Nel
1938, in accordo con l’aggravata oppressione (risalgono a quell’anno le leggi razziali), il
Ministero diede vita alla Commissione per la bonifica libraria, appunto per implementare la
censura con più rigore. La censura si concentrava sui libri sovversivi agli occhi dei fascisti. In
pratica voleva dire che libri critici verso il fascismo e i libri scritti da ebrei dovevano essere
rimossi dagli scaffali delle librerie.23
Nonostante al crepuscolo del governo ‘il bastone’ fosse usato più severamente, il
regime fascista non riuscì mai a tappare completamente la voce artistica, secondo
Golomstock, specialmente se messo a confronto con altri governi totalitari:
‘To remain loyal to culture was automatically to be anti-Fascist. To paint still lifes with bottles
or to write hermetic verses was in itself a protest,’ wrote Renato Guttuso of the days in his
youth. No one however prevented Italian artists from painting still lifes with bottles, and in
the most various styles. [...] Artists were able peacefully to exhibit their works, publish them
in journals, and offer them for sale on the free market, at home and abroad.24
Infine, anche il Sindacato Nazionale Fascista degli Autori e Scrittori era importante nella vita
letteraria italiana. Faceva parte della Confederazione nazionale dei Sindacati fascisti.
L’iscrizione era neccessaria per praticare la professione di scrittore, però la forte crescita dei
membri verso la metà degli anni Trenta dimostra che l’osservanza di questo requisito divenne
più severa con il passar del tempo.25 Un artista che faceva parte del sindacato doveva
dichiararsi fedele al regime, ma non necessariamente ai dogmi estetici del fascismo. Il
segretario dell’organizzazione era Filippo Tommaso Marinetti, il capo dei futuristi, con
grande stupore di Ungaretti, che dopo la fondazione del Sindacato nel 1926, aveva
manifestato in un suo articolo nel Mattino la proposta di un leader adeguato: ‘Gli artisti
chiedono un capo: Soffici’.
Gli scopi del sindacato erano essenzialmente due. Il primo era quello di rafforzare la
posizione giuridica degli iscritti: la legge per la protezione del diritto d’autore e altri diritti
23
Francesca Tacchi, Storia illustrata del fascismo, Firenze, Giunti, 2000, p. 98.
24
Igor Golomstock, Totalitarian art, cit., p. 46.
25
Francesca Petrocchi, Scrittori Italiani e fascismo. Tra sindacalismo e letteratura, Roma, Archivio
Guido Izzi, 1997, p. 32.
‐ 12 ‐ connessi al suo esercizio risalgono al 1941. Il secondo scopo era quello di essere un tramite
per la diffusione degli ideali fascisti. In quest’ultimo campo, collaborava strettamente con il
Minculpop, ma la relazione tra le due istituzioni non era sempre affettuosa. Molti progetti
iniziati dal governo non furono applauditi dal Sindacato, come La Settimana del Libro,
considerata come mezzo inadatto a rappresentare la produzione degli autori italiani.26
Nel 1943 uscì l’ultimo bollettino del Sindacato, che segnava l’addio al fascismo e la
riconversione rapida dal fascismo ad un clima nuovo:
L’ultimo fascicolo del bollettino sindacale dell’agosto 1943 rispecchia fedelmente la profonda
modificazione avvenuta con il tracollo del regime fascista. Liberati dalla ‘mordacchia’, alcuni
superstiti animatori dell’attività del Sindacato denunciavano, anche se tardivamente, la
‘tirannica spietata schiavitù imposta alla letteratura italiana’ in ventuno anni di dittatura
fascista.27
In genere si può dire che il regime non riuscì mai a dirigere lo sviluppo letterario. Non c’era
una rottura vera fra il periodo pre-regime e quello del dopoguerra. Una possibile ragione di
questo fenomeno è che da parte del governo poco tempo e pochi mezzi finanziari erano
dedicati alla letteratura. Ma la ragione più importante era che la vita culturale in generale non
era così ‘totalitarizzata’ come voleva il regime: i fondamenti teoretici delle istituzioni erano
oggetto di conflitti d’interesse, e mancava una linea unitaria nello svolgimento delle attività.
Le quattro istituzioni descritte in precedenza, furono quelle più grandi e più note, ma
esistevano molte altre fondazioni e istituti letterari con lo stesso scopo. La vita culturale
dunque, non era organizzata dall’alto in basso, ma era frammentata tra diversi corpi
istituzionali: le prerogative di queste istituzioni si sovrapponevano, creando spesso conflitti.
Nonostante i fondamenti per una politica centrale fossero stati eretti, la prassi risultò
recalcitrante. Il Ministero della Cultura Populare non diventò mai, dunque, un emblema del
regime totalitario.
26
Ivi., p. 69.
27
Ivi, p. 117.
‐ 13 ‐ Golomstock dà voce a questa situazione con un linguaggio pittoresco:
The hyperactive Italian Duce has been compared with a conductor attempting to play all the
instruments of the orchestra, and with a powerful generating station in order to light a single
bulb. This last image could be applied to Italian totalitarianism as a whole – certainly in
comparison with Stalinism or Hitlerism and their high-voltage incandescence.28
28
Igor Golomstock, Totalitarian art, cit., p. 114.
‐ 14 ‐ 2.
‘Uomo di pena’
Vita di Ungaretti
De Maastrichtsche uitgever A.A.M. Stols, bekend om zijn prachtige uitgaven van Nederlandsche,
Vlaamsche, Fransche, Engelsche, Spaansche, Grieksche en Latijnsche klassieken, heeft bij zijn bezoek
aan de Tentoonstelling der Revolutie in Rome daar de verschillende uitgaven bewonderd, waaronder
de editie van den Porto sepolto van Ungaretti, met voorwoord van den Duce.29
Het Vaderland, 8 augustus 1933
Il fatto che già negli anni Trenta un distinto editore olandese ammirasse una raccolta di
poesie di Ungaretti mostra la grande fama che il poeta raggiunse nel corso della sua vita, una
fama così grande che Luciano Anceschi, nella sua descrizione della poesia del Novecento, si
pose la domanda: ‘Dopo Ungaretti e Montale, come proseguire?’30 In questo capitolo
descrivo il cammino di Ungaretti verso la celebrità.
Alessandria
‘Sono d’Alessandia d’Egitto. Alessandria ha il deserto, ha la notte, ha il nulla, ha i miraggi, la
nudità immaginaria che innamora perdutamente’,31 così descrisse Giuseppe Ungaretti la sua
città natale.
Il poeta nacque l’8 febbraio 1888 ad Alessandria, in Egitto, da genitori
originariamente lucchesi. Suo padre lavorava come sterratore al Canale di Suez. Soffrendo di
29
[Durante la sua visita alla Mostra della Rivoluzione fascista, l’editore A.A.M. Stols, di
Maastricht - noto per le sue bellissime edizioni di classici olandesi, fiamminghi, francesi, inglesi,
spagnoli, greci e latini - ha ammirato diverse pubblicazioni, tra cui l’edizione de Il Porto Sepolto, con
prefazione del Duce] Citato da: Salma Chen en S.A.J. van Faassen, Briefwisseling J. Greshoff - A.A.M.
Stols, Den Haag, Nederlands Letterkundig Museum en Documentatiecentrum, 1990-1992, p. 200.
30
Luciano Anceschi, Introduzione, in: Lanfranco Caretti e Giorgio Luti, La letteratura italiana per
saggi storicamente disposti. Vol 8: Il Novecento, Milano, Mursia, 1973, p. 559.
31
Leone Piccioni, Album Ungaretti, Milano, Mondadori, 1989, p. 49.
‐ 15 ‐ una specie di idroprisia, scomparse prematuramente, nel 1890, quando Giuseppe Ungaretti
aveva solo due anni. La famiglia Ungaretti viveva in condizioni modeste ma tranquille,
perché la madre gestiva la casa in modo impeccabile. 32
Grazie all’indole tollerante della madre, casa Ungaretti era un continuo andirivieni di
gente di ogni risma, da atei ad anarchici, da evasi a vagabondi, tuttavia tutti italiani, e ciò
portò Ungaretti a scoprirsi ‘italiano di popolo’.33
Benché la madre fosse analfabeta, riteneva molto importante l’educazione dei figli e
cosí Ungaretti frequentò un collegio, e successivamente l’Ecole Suisse Jacot, dove imparò a
parlare francese, la seconda ‘madrelingua’ del poeta. Lí fece i primi incontri con la letteratura:
lesse Il Mercure de France, una rivista che pubblicava poesie simbolistiche, e i suoi professori gli
parlarano di Nietszche. Secondo Leone Piccioni, il biografo di Ungaretti, la sua condizione
da emigrato era per il poeta la base per una certa autonomia letteraria. Non conoscendo le
diverse polemiche italiane in campo letterario, non fu mai ‘condizionato’ nelle sue preferenze
e per questo il suo orizzonte letterario era quasi da sé più internazionale rispetto a quello di
altri scrittori italiani dell’epoca. Nutrì sempre una grande ammirazione per Leopardi,
Baudelaire e Mallarmé.34
Già nel 1909 fece i suoi primi e cauti passi verso la scrittura, come giornalista per i
quotidiani e settimanali italiani destinati agli emigranti in Egitto. I suoi articoli erano per lo
più di natura politica, ispirati dai diversi amici anarchici che frequentava in quegli anni.
L’infanzia in Egitto ebbe molti echi nella poesia di Ungaretti, non foss’altro per il
celeberrimo poema d’apertura ‘In memoria’ de Il Porto Sepolto, dedicato al suo caro amico
Mohamed Sceab, tragicamente suicidatosi nell’albergo parigino dove i due avevano alloggiato
insieme. Ma anche l’odore, i suoni, il deserto, la musica, e più in particolare, il sentirsi un
migrante, e un estraneo ovunque, sono motivi individuabili in quasi tutte le raccolte
pubblicate da Ungaretti.
Da ventenne, crebbe costantemente in lui il desiderio di terminare gli studi in Francia
ed in Italia, nonostante la madre preferisse averlo vicino a sé in Egitto. E cosí, nel 1912, il
poeta partì per l’Italia, per poi viaggiare verso la città delle luci, la capitale dell’arte nuova, il
luogo d’incontro di molti artisti importanti e noti: Parigi.
32
Leone Piccioni, Album Ungaretti, Milano, Mondadori, 1989, p. 8
33
Ivi, p. 10
34
Ivi, p. 26
‐ 16 ‐ Parigi
A Parigi Ungaretti si iscrisse alla facoltà di Lettere alla Sorbona, dove nel 1914 si laureò. I
contatti con gli ambienti culturali iniziarono subito dopo il suo arrivo: tramite amici
frequentò la redazione di Phalange, rivista postsimbolista, e cominciò a frequentare i caffè
della zona di Boulevard Saint-Germain, tra i quali il mitico Café de Flor, dove incontrò
Apollinaire, e quasi tutti gli altri esponenti dell’arte d’avanguardia, come Max Jacobs, Blaise
Cendrars, Marcel Proust e Pablo Picasso.
Aldo Palazzeschi ricorda il giovane poeta che da ventenne frequentava gli ambienti
artistici nella capitale francese: ‘Un giovane biondo, magro, che interveniva poco nella
discussione, ma che pareva molto interessato a quello che dicevano gli altri: aveva due piccoli
occhi che erano come fessure, e due sopracciglia sulla giovane fronte, che indicavano la sua
forza di volontà’35
Il suo amico egiziano, invece, Mohammed Scaeb, non seppe adattarsi bene alla vita
veloce e mondana di Parigi e sentendosi un estraneo sia di fronte alla sua patria sia nel nuovo
paese, si suicidò nel 1913, all’età di 26 anni, evento alla cui memoria Ungaretti dedicò la
prima poesia della raccolta Il Porto Sepolto:
Fu Marcel
ma non era francese
e non sapeva più
vivere
nella tenda dei suoi [...]36
Verso la fine dell’anno ’13, mentre in tutta Europa aumentava la minaccia di una guerra, si
trasferì in Versilia. Bazzicò nei circoli anarchici e interventisti, e fu in questa turbolenta
miscela politica che incontrò Mussolini, il quale guidava la campagna interventista e aveva
appena fondato il giornale Il popolo d’Italia.
‘Gli uomini a volte s’ illudono e si mettono in fila dietro alle bubbole’,37 commentò
Ungaretti dopo il suo sostegno acceso per l’intervento militare dell’Italia nella prima guerra
mondiale. Le sue idee politiche non passavano inosservate alle autorità: una volta, mentre
35
Ivi, p. 80
36
Giuseppe Ungaretti, Frammento di In memoria, in: Vita d’uomo, Milano, Mondadori, 2011, p.
59
37
Leone Piccioni, Album Ungaretti, cit., p. 100
‐ 17 ‐ suonava la marcia reale ‘si vuole che emettesse un suono sconcio con la bocca in segno di
disprezzo’38 secondo il rapporto della prefettura, e seguì un arresto per oltraggio. Dopo il suo
scarceramento decise di trasferirsi a Milano, dove scrisse la serie delle ‘Ultime’, il preludio de
Il Porto Sepolto. Fu proprio in questo periodo che fece il proprio debutto in Lacerba, con la
mediazione di uno dei fondatori della rivista, Giovanni Papini.
Nel novembre 1915 venne chiamato alle armi. Durante i dieci mesi successivi
compose quasi tutte le poesie de Il Porto Sepolto. Le scrisse come si trattasse di un diario di
guerra, ma non in senso tradizionale: non documentò le vicende storiche, ma narrò di un
‘umano progredire’. Secondo Ungaretti, il rapporto con l’assoluto era un motivo essenziale
della raccolta:
Ero un uomo che non voleva altro per sé se non i rapporti con l’assoluto, l’assoluto che era
rappresentato dalla morte, non dal pericolo, che era rappresentato da quella tragedia che portava
l’uomo ad incontrarsi nel massacro... C’è la presa di coscienza della condizione umana, della
fraternità degli uomini nella sofferenza, dell’estrema precarietà della loro condizione...Bisognava
dire delle parole decisive, assolute, e allora ecco questa necessità di esprimersi con pochissime
parole, di ripulirsi, di non dire che quello che era necessario dire.39
Nelle trincee incontrò Ettore Serra, il futuro editore dell’esordio di Ungaretti, Il Porto Sepolto.
La prima edizione uscì presso lo Stabilimento Tipografico Friulano a Udine nel 1916, in
modesta stampa di ottanta copie. Il titolo allude a un porto sommerso in Egitto che
simboleggiava per il poeta il segreto che esiste nelle persone. Nella raccolta, è possibile
individuare le influenze della cerchia dei futuristi che egli frequentava, ma solo per quanto
riguarda la forma, come l’abolizione della punteggatura e la scarsa aggettivazione. Papini,
molto ammirato dal poeta, fu il primo a recensirlo su Il Resto del Carlino.
Nel maggio 1918, cominciò a stancarsi, sia fisicamente che mentalmente, della guerra:
‘Nelle condizioni in cui sono non servo a nulla...non posso più dormire, ho allucinazioni,
crisi di pianto’,40 scrisse al suo amico Ardengo Soffici. Con l’aiuto di quest’ultimo, si recò a
Parigi dove prese servizio presso Sempre Avanti!, un giornale destinato ai militari italiani. Il 9
novembre dell’anno 1918, finalmente seguì l’armistizio. A parte la gioia per la fine della
38
Rapporto della prefettura della provincia di Lucca, in data 5 ottobre 1914, indirizzato al Ministero degli
Interni, in Leone Piccioni, Album Ungaretti, cit., p. 280
39
Leone Piccioni, cit., pp. 109-110
40
Ivi, p. 128
‐ 18 ‐ guerra, Ungaretti rimase profondamente colpito dalla morte del suo amico francese
Guillaume Apollinaire.
Subito dopo il suo congedo dal servizio militare, il poeta si interessò alla crescente
corrente fascista:
Incomincio a risvegliarmi, e quest’ Europa, mio Dio, è un bel brutto pasticcio, così come c’ è
rimasta sulle braccia [...] sotto sotto da noi ferve la linfa, che potrebbe ridare quello splendore
di fiori che solo da noi fioriscono. Intendo il popolo rimasto, in fondo, il meglio dotato della
terra, il più puro, il più vario, il più sentimentale, il più intelligente, il più abile e ingegnoso, il
più lavoratore. Ci vuole la costituente. Seguo con attenzione il movimento di Mussolini, ed è,
credimi, la buona via. Bisogna voltarsi di là. Ordine ordine ordine, armonia armonia armonia,
e per ora non vedo che confusione confusione confusione.41
Una scelta politica che poi esplicita come corrispondente de Il Popolo d’Italia, avendo ricevuto
dal fondatore del giornale, Benito Mussolini, l’incarico di seguire la conferenza di pace a
Parigi:
Aderisco ai fasci di combattimento, il solo partito che intenda la tradizione e l’avvenire in
modo genuino. Patria e rivoluzione, ecco il grido nuovo!42
Nonostante la convinta dichiarazione di sostenere il fascismo fosse della prima ora – come
lui stesso riferì in molte lettere indirizzate a Mussolini – l’iscrizione al Partito Nazionale
Fascista avvenne nel 1924.
Riprese la vita che conduceva prima della Grande Guerra, frequentando le cerchie
degli artisti italiani, dove incontrò tra altri Giorgio De Chirico ed Amadeo Modigliani. In
quegli anni il legame tra lui e l’insegnante Jeanne Dupoix fiorì in un fidanzamento, coronato,
nel 1920, dal matrimonio. Jeanne divenne per Ungaretti una compagna sempre fedele e un
costante punto di appoggio durante le sue frequenti crisi di nervi.
Un anno prima era uscita la sua seconda raccolta, Allegria di naufragi, anche questa in
un’edizione limitata. Comprendeva poesie già pubblicate, come tutte le Ultime e Il Porto
41
Lettera di Ungaretti a Giovanni Papini, 12-12-1918, in Andrea Cortellessa, Ungaretti, Torino,
Einaudi, 2000, p. 74.
42
Giuseppe Ungaretti, Lettere parigine: La lotta elettorale. Il discorso di Clemenceau. Aderisco alla Patria e
alla Rivoluzione, in “Il popolo d’Italia”, 13 novembre 1919, p. 6, citato da: Luciano Rebay, J. Paulhan-G.
Ungaretti: Carteggio 1921-1968, in: “Forum Italicum”, vol 21, no. 2, 1987, p 315.
‐ 19 ‐ Sepolto, e tre sezioni nuove: I naufragi, Il girovago e Le prime. Quest’ultima sezione alludeva già
alla nuova direzione che Ungaretti prese poi come poeta e che si materializzò ne Il sentimento
del tempo. La versione definitiva della raccolta venne pubblicata nel 1931 (dopo una ristampa
nel 1923 intitolata Il porto sepolto) e riprese in realtà tutta la produzione ungarettiana fino a
quella data.
Il titolo della raccolta, Allegria, si riferisce alla forza ‘allegra’ della soppravivenza: sono
proprio la distruzione, l’annichilimento e la morte che causano un ritrovamento del proprio
valore, che aiutano a trovare se stessi. Ungaretti, infatti, usa spesso l’analogia fra elementi
umani e elementi bellici:
Reggo il mio cuore
che s’ incaverna
e schianta e rintrona
come un proiettile43
Il periodo dal 1914 a 1920 è interpretato come ‘il primo momento’ nell’opera di Ungaretti. In
questa fase il poeta si concentrò molto sull’esperimento linguistico:
Un primo momento [...] è caratterizzato da un’assoluta concentrazione linguistica, che riduce
al minimo la parola e spezza il ritmo del verso, fino a una insistente sillabazione: si hanno
componimenti brevissimi [...], versi essenziali che sconvolgono ogni continuità metricosintattica, con una singolare dizione sincopata.44
Roma
All’inizio del 1922 Ungaretti si trasferì a Roma. Cominciarono anni economicamente
difficilissimi: nonostante un impiego stabile al Ministero degli Esteri, dove tradusse e redasse
per il bollettino estratti dei giornali francesi, alloggiò in abitazioni povere, tormentato da
pidocchi, pulci, e varie privazioni. Si lamentava spesso della sua povertà in lettere a Mussolini:
43
Giuseppe Ungaretti, Frammento di ‘Perché?’, in: Vita d’uomo, cit, p. 92.
44
Giulio Ferroni, Profilo storico, cit., p. 986.
‐ 20 ‐ Da 9 anni servo il mio paese. L’ho servito in trincea, l’ho servito all’estero, l’ho servito nella
stampa e al ministero.
Come poeta il mio valore è noto. Non credo che ci sia nessun altro che dopo
D’Annunzio possa starmi di fronte.
Il governo nazionale significa condanna alla fame di quanti hanno intelligenza?45
Nel 1929 fu costretto a trasferirsi a Marino per ragioni finanziarie. La sua casa diventò un
caloroso punto d’incontro per diversi amici stranieri, soprattutto per quelli che aveva
conosciuto a Parigi.
Pubblicò alcune poesie ne La Ronda, la rivista che segnava il ritorno alla tradizione
letteraria. Inoltre pubblicò, nel 1922, un manifesto ideologico in cui spiegava i fondamenti
teoretici del fascismo, citando spesso le teorie di Georges Sorel, e, secondo Piccioni ‘il vero
tramite culturale dell’adesione di Ungaretti al fascismo.’. Il filosofo francese Sorel ha
pubblicato vari libri sull’importanza del mito nella società: il mito sarebbe il veicolo attraverso
cui si può mobilizzare il popolo. Il suo libro Réflections sur la violence (1908) ebbe una grande
influenza sia sulla teorizzazione del fascismo che su quella del comunismo.
Nel 1923 uscì a La Spezia un’edizione numerata de Il porto sepolto, curata da Ettore
Serra, con una breve prefazione di Benito Mussolini. Dieci anni dopo fu pubblicata la terza
raccolta, Il sentimento del tempo, in cui si incontra un Ungaretti più tradizionale.
Da molti critici questa raccolta è percepita come la materializzazione del periodo
personale che Ungaretti stava vivendo, ovvero il desiderio di tornare all’ordine:
Dopo la vita giovanile irregolare e avventurosa, gli anni Venti rappresentarono per lui un
ritorno all’ordine, sia dal punto di vista privato che da quello culturale: alla sua piena adesione
al fascismo si accompgnò intorno al 1928 una vera e propria conversione religiosa.46
Secondo Ferroni, questo ritorno avrebbe a che fare con due avvenimenti: prima di tutto il
primo incontro con Roma e la sua architettura barocca. Poi, come già accennato, la sua
conversione alla fede cattolica, che suscitò in lui l’interesse per la poesia medievale e barocca.
Il desiderio di sperimentare, sia per quanto riguarda la forma che il contenuto, fu meno
45
Ungaretti a Mussolini, dicembre 1922, citato da: Francesca Petrocchi, Giuseppe Ungaretti e il
fascismo, in: Scrittori Italiani e fascismo. Tra sindacalismo e letteratura. Roma, Archivio Guido Izzi, 1997, p.
173.
46
Giulio Ferroni, Profilo storico, cit., p. 985.
‐ 21 ‐ presente ne Il sentimento del tempo che nelle raccolte precedenti: invece di dare espressione allo
‘svuotamento dell’io’, scelse di ‘muoversi verso la verità e profondità assenti nella vita
comune.’47
Nel 1931 venne licenziato dall’impiego presso il Ministero degli Esteri: le ragioni non furono
mai chiarite. Un anno prima, Ungaretti era stato arrestato perchè si era lamentato ad alta voce
delle condizioni abominevoli in Italia, e così considerava di emigare in Francia. Nonostante il
suo capo lo avesse difeso, citando il suo grande merito culturale e il suo comportamento
immacolato, un anno dopo ricevette comunque una lettera di licenziamento, motivata da una
presunta scarsa resa sul lavoro. Tuttavia, secondo Francesca Bernardini Napoletano, alla base
del licenziamento c’era un conflitto con il politico Amedeo Giannini.48
Dagli anni Trenta in poi, cominciò a tradurre diverse opere di scrittori da lui molto
ammirati, come Luis de Góngora, William Blake e Saint John Perse. Ebbe inizio, secondo
Piccioni, ‘l’autunno dell’età’.49
Nel ’39 e ’40, uscirono articoli di Carlo Bo, Gianfranco Contini, Federico De Robertis e
Alfredo Gargiulio, che formarono il preludio di un corpus imponente di articoli e saggi sul
poeta. A quel periodo risalirebbe il riconoscimento critico di Ungaretti come una delle voci
poetiche più importanti in Italia, ovvero la sua appartenenza alla ‘santissima Trinità’,50 come
Montale chiamò i tre grandi innovatori della poesia italiana del Novecento, cioè lui stesso,
Umberto Saba e, appunto, Ungaretti.
Brasile
A causa dei suoi continui problemi finanziari, nel 1937 decise di accettare un posto presso
l’università di San Paolo, dove ricoprì la cattedra di Lingua e Letteratura italiana. I corsi
universitari si concentrarono sui classici, come Dante, Petrarca e Leopardi. Fu un periodo
felice e stravolgente per il poeta. Felice, perché venne accolto dall’università con tutto l’onore
a cui aspirava cosí tanto in Italia, riuscendo finalmente a sostenere abbondantemente la sua
47
Ivi, p. 988.
48
Francesca Bernardini Napoletano, Il lungo viaggio di Ungaretti attraverso il fascismo, in V.
Cardarelli e G. Ungaretti, Lettere a Corrado Pavolini, Roma, Bulzoni editore, 1989, p. 115.
49
Leone Piccioni, Album Ungaretti, cit., p. 190.
50
Id., p. 192.
‐ 22 ‐ famiglia, e si innamorò perdutamente dei tropici e dei suoi colori brillanti, dei suoi odori e del
popolo affascinante. Fu, per altre ragioni, anche un periodo stravolgente, visto che suo
fratello e suo figlio, Antonietto, scomparvero nello stesso periodo. Antonietto morì a causa
di un attacco di appendicite. Aveva solo nove anni:
Nove anni, chiuso cerchio,
Nove anni cui né giorni, né minuti
Mai più s’aggiungeranno [...]
Posso andare, continuamente vado
A rivederti crescere
Da un punto all’altro
Dei tuoi nove anni.51
Quando il Brasile entrò in guerra a fianco degli Alleati, agli italiani lì residenti fu data la
possibilità di scegliere tra carcerazione in un campo di concentramento o il rimpatrio in Italia.
Ungaretti scelse ovviamente quest’ultima, e così, nel 1942, ritornò a Roma.
Ritorno a Roma
Al suo ritorno a Roma, trovò una città in stato d’assedio: occupata dai tedeschi, la capitale
gemeva sotto il giogo delle persecuzioni razziali, la scarsità di cibo e i bombardamenti. Per
Ungaretti, però, giunse un riconoscimento di stima da lui tanto aspettato. Gli venne affidata
la cattedra di Letteratura italiana moderna e contemporanea, alla nuova Facoltà di Lettere alla
Sapienza. Il governo, inoltre, lo nominò Accademico d’Italia, uno dei più grandi onori nella
società dell’epoca.
Ispiratosi alle tragedie della guerra, scrisse le poesie ‘Non gridate più’ e ‘Roma
occupata’. Nel ’44 arrivò la liberazione dell’Italia, e Ungaretti venne sottoposto ad
un’inchiesta da parte del sindacato degli scrittori in merito alle epurazioni. Dopo tre gradi di
giudizio, la conclusione fu che al poeta non poteva ‘esser mosso alcun addebito’.52
Ma questa non fu l’unica conseguenza della liberazione dell’Italia dal fascismo per
Ungaretti: nel 1942 egli era stato nominato professore senza concorso, e per questo il Consiglio
51
Giuseppe Ungaretti, Frammento di ‘Gridasti: soffoco’, in: Vita d’uomo, cit., p. 303.
52
Leone Piccioni, Album Ungaretti, cit., pp. 224-25.
‐ 23 ‐ Superiore della Pubblica Istruzione ritenne invalida la nomina e lo sospese dall’insegnamento.
La decisione non sarebbe potuta essere ritirata se non fosse stato per il ministro Gonella, che
lasciò il giudizio finale alla Facoltà stessa e non al Consiglio dei ministri. Nonostante il voto,
nel 1945, non fosse unanime, la maggioranza di voti si espresse a favore di Ungaretti.
Il poeta, nel frattempo, soffriva di problemi di salute, forse dovuti proprio al periodo
stressante. Tuttavia, seppe addatarsi alla nuova situazione:
[...] seppe adattarsi al nuovo clima del dopoguerra, ponendosi come grande vecchio della
letteratura italiana, rispettato e stimato da tutti, poeta ufficiale, ma pronto a prestare
attenzione e simpatia alla nuova letteratura e a ripercorrere con sapienza le forme più diverse
della tradizione poetica.53
‘Il libro che di più amo’, così Ungaretti descrisse la sua raccolta pubblicata nel 1947: Il dolore.
Come il titolo già fa supporre, il tema del libro erano le tragedie personali accadute a
Ungaretti: la morte di suo figlio e di suo fratello e gli orrori della guerra. Tre anni dopo uscì
La terra promessa, con poesie che segnavano l’addio alla giovinezza. In realtà, questa raccolta
sarebbe dovuta uscire dopo Il sentimento del tempo, perché ne era la successione logica: il tema
principale, infatti, era la creazione di un orizzonte mitico e simbolico. Il poeta, invece, volle
pubblicare prima Il dolore, come chiusura di un periodo pieno di disgrazie.
All’università stabilì un rapporto molto buono con i suoi allievi: non era in grado
(anche volendo) di cacciare via gli studenti che volevano continuamente parlargli. Questo
interesse per i giovani, e per il confrontarsi con loro, motivò il suo supporto per la nuova
generazione di poeti. Continuò a tradurre opere di scrittori da lui stimati, come nel 1950
Fedra di Jean Racine.
Nell’estate del ‘58, la moglie del poeta, Jeanne, si ammalò e, poco dopo, morì.
Ungaretti decise, dunque, di trasferirsi a casa di sua figlia. A seguito della morte della moglie,
scrisse ‘Per sempre’:
53
Giulio Ferroni, Profilo storico, cit., p. 986.
‐ 24 ‐ E d’improvviso intatta
Sarai risorta, mi farà da guida
Di nuovo la tua voce
Per sempre ti rivedo.54
Cominciò l’epoca della vecchiaia, ma Ungaretti, almeno mentalmente, era ancora pieno di
vivacità. Gli piaceva viaggiare per il mondo: ‘Se verrà un tempo in cui mi vedrai fermo a casa
per mesi e mesi vorrà dire che sto per andarmene definitivamente.’55 Fortunatamente ebbe
molte occasioni per uscire di casa. Nel 1960 fece persino un giro del mondo in un jet e vide
New York, il Giappone e Hong Kong. E ormai era un ospite apprezzato di varie università
straniere: nel 1964 fu ospite della Colombia University, dove incontrò Allen Ginsberg. Nel
1968, invece, visitò Harvard. Questi sviluppi moderni ebbero delle ripercusioni sulla sua
poesia.
Nell’inverno della sua vita, il poeta non scrisse più così tanto come prima. Quando
compì ottant’anni uscì un’edizione numerata del Dialogo, nove poesie d’amore ispirate alla
relazione con la poetessa Bruna Bianco, che aveva cinquant’anni meno di lui. Anche la sua
ultima serie di poesie Croazia Segreta: Djuna nacque da un rapporto amoroso con una donna
giovane.
L’ultimo anno della sua vita sperò, invano, di ricevere il premio Nobel. Tuttavia,
venne premiato dall’Università di Oklahoma, per lui comunque una magra consolazione.
Durante il suo viaggio negli Stati Uniti per la consegna del premio, si prese una
broncopolmonite, malattia dalla quale non si riprese più. Morì nella notte tra l’1 e il 2 giugno
1970.
La sua importanza per lo sviluppo della poesia italiana ormai è indiscusso. Giulio
Ferroni descrive così la rilevanza del poeta:
Ungaretti inserisce, per la prima volta in modo coerente e integrale, la poesia italiana entro le
prospettive del simbolismo europeo; trovando un punto d’incontro tra avanguardia e
tradizione, la porta a un pieno possesso della modernità, fino ad apparire il poeta ‘moderno’ e
novecentesco per eccelenza.56
54
Giuseppe Ungaretti, Frammento di ‘Per sempre’, in idem, Vita d’uomo, cit., p. 326.
55
Leone Piccioni, Album Ungaretti, cit., p. 242.
56
Giulio Ferroni, Profilo storico, cit., p. 985.
‐ 25 ‐ 3.
Un amore a senso unico
Commenti sull’ideologia politica di Giuseppe Ungaretti
Perché dovrei nascondere qualche cosa della mia vita? È pura come un cristallo, coraggiosa
come quella d’un leone.
Dunque si faccia la nota sulla prefazione di Mussolini di quell’orribile Porto Sepolto.
[...] Quello che ho fatto, per quella specie d’incanto che una volta avevo prodotto su
Mussolini e in lui permaneva, fu di ottenere che fosse liberato dal confine uno dei miei più
vecchi amici. [...] Furono mille altri atti dello stesso genere.
Mi pare che basti per quelli che arricciano il naso per una prefazione che non dice
nulla [...].57
Giuseppe Ungaretti in una lettera a Leone Piccioni, 8 maggio 1962
Si è spesso detto che la vita personale di Ungaretti sia in netta relazione con la sua
produzione scritta. Al contrario di molti poeti francesi da lui amati, che ritengono che ci sia
un abisso incolmabile fra un’opera d’arte e il mondo reale, le poesie ungarettiane rivelano
quasi sempre quale periodo sentimentale egli stesse vivendo in quel momento: le sue
esperienze da soldato nelle trincee, il fascino per l’ordine tradizionale suscitato dal soggiorno
a Roma, la morte precoce del figlio, per esempio, hanno delle ripercussioni forti sulla sua
poesia. Difficilmente, però, come nota Robert S. Dombrowski, si scoprono dei riferimenti
politici nell’opera poetica di Ungaretti:
Non dovrebbe sorprendere che nella critica ungarettiana, la questione del fascismo del poeta
sia rimasta appena articolata. Due ostacoli sembrano contrastare definitivamente qualunque
approccio al problema: la quasi totale mancanza di supporti teorici generali che agevolino
57
Leone Piccioni, Ungaretti e il fascismo, in Giuseppe Ungaretti 1888-1970. A cura di Alexandra
Zingone. Roma, Edizioni Scientifiche Italiane, 1995, p. 166.
‐ 26 ‐ l’interpretazione socio-politica della poesia lirica; l’oggetto stesso dell’indagine, l’opera di un
poeta in cui sentimento politico ed arte appaiono così divergenti che ravvicinare, o magari
riconciliare, i due fenomeni è un’impresa estremamente problematica, se non impossibile.58
Salvo un poema intitolato ‘Popolo’, che a quei tempi era dedicato a Benito Mussolini, ed i
suoi articoli scritti per la pubblicazione ne Il Popolo d’Italia, lo scrittore non elaborò mai in
rime la sua adesione al fascismo.
Persino i critici dell’epoca si vedevano confrontati con l’abisso profondo tra la poesia
di Ungaretti e le sue azioni e dichiarazioni politiche. L’osservazione di Mario Puccini è quasi
una parafrasi avant la lettre della conclusione summenzionata di Dombrowski:
Le passioni che lo interessano sono insomma ancora multiformi [...] egli resta un poeta di
situazioni intimiste ed universali, anche quando personalmente la sua azione di uomo si
svolge polemica ed italiana, patriottica e locale.59
Nelle pagine succesive descriverò come la critica ha interpretato l’ideologia politica di
Giuseppe Ungaretti. Mi concentrerò rispettivamente sui commenti nelle storie e enciclopedie
di letteratura italiana, sulle biografie, sulle monografie e, infine, sugli articoli dedicati alla
biografia politica dell’autore. Le diverse interpretazioni dei letterati saranno affrontate in
ordine cronologico, per rendere più facile l’individuazione di tendenze di sviluppo.
La scelta di trattare la critica ungarettiana proprio in quest’ordine è ispirato,
ovviamente, dal processo dello zooming: comincerò con le analisi dei frammenti su Ungaretti
presenti nelle storie e enciclopedie di letteratura, frammenti che in genere possono essere
considerati l’ultima fermata nel viaggio verso la canonizzazione di uno scrittore, per poi finire
con gli articoli che si concentrano più specificamente sull’adesione al fascismo.
Storie e dizionari della letteratura italiana
Non c’è da sorprendersi se una delle prime volte che Ungaretti viene menzionato in una
storia di letteratura accada in un’edizione francese. È proprio la Francia il paese in cui lo
spirito del poeta si svegliò in Ungaretti ed è la Francia che egli considerò sempre come
58
Robert S. Dombrowski, Ungaretti ed il fascismo, cit., p. 71.
59
Mario Puccini, Il misticismo nella poesia: Ungaretti uomo di pena, in “Bilychnis”, n. 208, 1927, citato
da Francesca Petrocchi, Giuseppe Ungaretti e il fascismo, cit., pp. 194-195.
‐ 27 ‐ seconda madrepatria. Trattandosi di un libro pubblicato già nel 1932, l’autore non fa alcun
riferimento alla vita del poeta. Interessante, però, notare che anche allora i letterati avevano
qualche difficoltà a categorizzare l’opera ungarettiana. Inizialmente si descrisse Ungaretti
come uno ‘strapaese’, per poi concludere che:
On a beau faire, l’époque est anarchique: malgré toutes les tentatives, la pensée italienne, l’art
italien restent individualistes.60
Anche nel Dizionario storico-critico della letteratura italiana, di Vittorio Turri e Umberto Renda,
uscito nel 1941 e quindi scritto durante il regime fascista, la biografia di Ungaretti non era
argomento d’interesse. Nel breve brano dedicato allo scrittore, però, il fatto che Il Porto
Sepolto avesse un’introduzione del Duce non passò sotto silenzio.
Anche due successive storie di letteratura da me consultate, non trattano la biografia
dello scrittore: né la prima, stampata nel 1948, né la seconda, uscita nel 1962 e
presumibilmente una ristampa esatta della prima edizione del 1940,61 fanno alcun riferimento
al poeta.62 Il fatto che ambedue le opere non prestino attenzione allo scrittore è facilmente
comprensibile: questo genere letterario, infatti, raramente include scrittori comtemporanei,
con carriere ancora in piena evoluzione. Il primo riferimento alle vicende personali di
Ungaretti, da me trovato, è rintracciabile in Letteratura italiana. I contemporanei (Milano,
Marzorati Editore, 1963). Il contributo sul poeta è di Leone Piccioni, già incontrato come
biografo di Ungaretti, il quale descrive oltre ai motivi tematici dell’opera ungarettiana, il corso
della vita del poeta. Non parla, però, della sua adesione al fascismo, nonostante presti invece
attenzione ai processi di epurazione a cui Ungaretti venne sottomesso nel 1947:
Nell’immediato dopoguerra Ungaretti fu ancora angustiato e oppresso da uno di quei
procedimenti di ‘epurazione’ sotto i quali talvolta si celavano chissà quali delazioni per le più
mosse da rancori ed invidie. Fu sottoposto ai tre gradi di giustizio, e tutte e tre le volte, le
successive commissioni, composte da rappresentanti di tutti i partiti, dovettero riconoscere
nelle loro sentenze ‘che non poteva essergli mosso alcun addebito’.63
60
Henri Hauvette, Littérature italienne, Parigi, Librairie Armand Colin, 1932, p. 568.
61
Francesco Flora, Storia della letteratura italiana, Milano, Mondadori, 1959.
62
A. Galetti e E. Chiòrboli, Letteratura italiana. Storia e antologia, Bologna, Nicola Zanichelli,
1949.
63
Leone Piccioni, Giuseppe Ungaretti, in Letteratura italiana. I contemporanei, Milano, Marzorati,
1963, p. 880.
‐ 28 ‐ Nonostante Ungaretti non abbia mai oscurato il suo passato politico, solo nel 1974 una storia
di letteratura ne parla. Negli undici manuali pubblicati tra il 1963 e il 1974, giusto due fanno
riferimento alla prefazione di Mussolini pubblicata ne Il Porto Sepolto;64 mentre negli altri gli
autori si concentrano unicamente sulla produzione letteraria di Ungaretti o, se danno spazio
alla sua biografia, non parlano delle sue idee politiche,65 né - pur citando il suo lavoro come
giornalista - nominano il giornale principale per cui egli scriveva, ovvero Il Popolo d’Italia.
A volte quest’approccio può suscitare nel lettore degli interrogativi, come il summenzionato
frammento di Piccioni dimostra: che lo scrittore sia stato sottomesso ai processi di
epurazione, risulta quasi incomprensibile al lettore se non viene precedentemente informato
da Piccioni sull’adesione al fascismo e sul modo (cioè senza concorso) in cui Ungaretti fu
nominato professore di letteratura italiana moderna e contemporanea presso l’università di
Roma. Anche Carlo Salinari crea una lacuna scrivendo che Ungaretti in gioventù frequentò
solo ambienti anarchici e socialisti, senza dire che, fra le molte correnti con cui il poeta era in
contatto, egli scelse il fascismo.66 Se questi aspetti biografici siano stati esclusi
volontariamente o involontariamente, è difficile stabilire.
Fatto sta però che al tempo in cui questi libri furono scritti, il processo della
cosiddetta ‘legittimazione’ dell’opera di Ungaretti procedeva ancora a pieno ritmo, dunque gli
aspetti (sia biografici che formali) che i letterati adesso ritengono importanti non sono
sempre stati considerati come tali:
L’unica conclusione che possiamo trarre dal passato è che tutti i giudizi sono relativi. Ogni
criterio che usiamo, ogni concezione dell’arte, vale lo stesso. O, per essere più concreto [...]:
l’idea nostra di Rembrandt è uguale a quello di Lord Chesterfield che, al momento in cui suo
Gianfranco Contini, La letteratura dell’Italia unita. 1861-1968, Firenze, Sansoni, 1968, p. 795;
Emilio Cecchi, Letteratura italiana del Novecento. A cura di Pietro Citati, Milano, Mondadori, 1972,
p.766.
65
Natalino Sapegno, Compendio di storia della letteratura italiana, Firenze, La Nuova Italia, 1961,
p. 467; Dizionario enciclopedico della letteratura italiana, Bari/Roma, Laterza, 1968, p.364; Storia della
Letteratura Italiana. A cura di Emilio Cecchi e Natalino Sapegno, Milano, Garzanti, 1969, p. 360;
Giovanni Getto, Roberto Alonge, Guido Baldi, Giorgio De Rienzo, Storia della letteratura italiana,
Milano, Rizzoli, 1972, p. 457; Dizionario della letteratura italiana contemporanea, Firenze, Vallecchi, 1973,
p. 910; Lanfranco Caretti e Giorgio Luti, La letteratura italiana per saggi storicamente disposti, Milano,
Mursia, 1973, p. 327-345; Mario Sansone, Storia della letteratura italiana, Milano, Principato, 1976, p.
467; Gianfranco Contini, La letteratura italiana, Firenze, G.C. Sansoni/Milano, Edizioni Accademia,
1974, p. 481.
66
Carlo Salinari, Profilo storico della letteratura italiana, Roma, Editori Riuniti, 1972, p. 301
64
‐ 29 ‐ figlio chiese se dovesse comprare dei quadri del pittore per un buon prezzo, rispose: ‘No,
sono solo delle caricature.’ [...] Esistono concezioni dell’arte di ogni tipo e ci sono delle
persone e istituzioni che diffondono, insegnano e studiano queste concezioni. 67
Inoltre, negli anni Sessanta era troppo prematuro raggiungere un consenso unanime in
merito al valore dell’opera di Ungaretti, tanto più un consenso sull’importanza dell’ideologia
politica dell’autore.
Come già accennato in precedenza, ho trovato il primo riferimento all’adesione di Ungaretti
al fascismo in un libro di storia della letteratura del 1974, un libro che intende presentare la
vita e le opere degli scrittori italiani in ordine cronologico. Proprio per questo motivo,
riguardo a Ungaretti, troviamo scritto, sotto l’anno1919, che egli ‘collabora anche al Popolo
d’Italia, il giornale di Mussolini’ ; sotto il 1923 ‘Edizione de Il Porto Sepolto, con prefazione di
Benito Mussolini’; infine, sotto il 1947:68
Dato l’atteggiamento tenuto durante gli anni del fascismo, la posizione dell’U[ngaretti] viene
attentamente considerata dall’Associazione degli Scrittori, che tuttavia non trova motivo
alcuno di addebito. Inizia anche un procedimento per abolire la cattedra avuta per ‘chiara
fama’. Il Consiglio Superiore dell’Istruzione è favorevole all’abolizione, non così il ministro
Gonella: sentito anche il parere della facoltà, l’U. viene riconfermato nell’insegnamento. 69
È probabilmente la prima volta che in un capitolo su Ungaretti, all’interno di una storia della
letteratura, vengono menzionati in successione il suo lavoro da giornalista per un giornale
fascista, l’introduzione di Mussolini a un suo libro, e il processo di epurazione dopo la guerra
‘dato l’atteggiamento tenuto.’ D’altra parte, un dizionario degli autori italiani contemporanei,
uscito nello stesso anno, non fa maggior luce sulle vicende politiche dell’autore.
Due anni dopo, nel 1976, esce Civiltà nelle lettere, a cura di Giuseppe Petronio.
Nell’intervento su Ungaretti, scritto da Carlo Ossola, incontriamo il desiderio di spiegare
l’adesione al fascismo, dipingendo il quadro di pensiero del poeta:
67
Nico Laan, De sociologie van de literaire smaak, [trad. mia], in: “Literatuur”, nr. 8, Amsterdam,
Amsterdam University Press, 1991, pp. 22-23.
68
Secondo Leone Piccioni (1979), Dai, Dizionario degli autori italiani, (1974), e Andrea Cortellessa
i processi d’epurazioni risalgono al 1947; secondo il libro Lezioni su Giacomo Leopardi, a cura di Mario
Diacono e Paola Montefoschi, essi risalgono al 1944.
69
Dai, Dizionario degli autori italiani. A cura di Bruna Cordati e Mario Farina, Messina/Firenze,
D’Anna, 1974, pp. 1354-1357.
‐ 30 ‐ La rivoluzione nell’‘ordine’ : ecco il sogno politico di Ungaretti reduce; ecco perché, venuto a
mancare lo ‘spirito di coesione, di unità della nazione’ rappresentato dalla borghesia, egli
scelse subito (già dal 1919) il fascismo. Se non si poteva dare unanimità politica tra le forze in
campo, il fascismo garantiva almeno quella unanimità verticale con il passato, con la
tradizione, alla quale il poeta voleva finalmente attingere con l’esperienza incipiente del
Sentimento del Tempo. Si vedano infatti le motivazioni con cui il 13 novembre 1919, antivigilia
delle elezioni, mandava da Parigi (ancora per Il Popolo d’ Italia) la sua adesione al fascismo:
‘Patria e rivoluzione: ecco il grido nuovo [...] Aderisco ai fasci di combattimento, il solo
partito che intende la tradizione e l’avvenire, in modo genuino [...].’70
Lo stesso ragionamento lo ritroviamo nella bibliografia Giuseppe Ungaretti, dello stesso Ossola,
pubblicata nel 1975.
Quattro anni dopo e a distanza di altrettante storie di letteratura che non fanno
riferimento al consenso al regime,71 la Letteratura Italiana Contemporanea afferma quanto segue:
Della stampa si incarica il Ten. Ettore Serra di La Spezia il quale editerà una seconda volta il
libro (nel ’23, a La Spezia, questa volta con pref. di B. Mussolini). Nel ’15 deve aver già
conosciuto il futuro capo del governo fascista perché di quell’anno è la poesia Popolo con
dedica appunto a B. Mussolini: ammirazione (diversa almeno per certi aspetti da altre) che U.
vorrà conservare sino alla fine.72
Da quel momento in poi, in quasi tutte le descrizioni della vita del poeta, si inserisce un
riferimento alle sue tendenze fasciste. Alcuni citano solo il suo lavoro come giornalista per Il
Popolo d’Italia, o la sua ammirazione per Mussolini, altri, invece, provano a trovare una ragione
per l’adesione al fascismo di Ungaretti. In questi tentativi di spiegazione, si possono
distinguere tre filoni principali: uno che spiega l’adesione considerando il contesto storico,
uno (più seguito) che vede il fenomeno come l’effetto naturale del desiderio del poeta di
‘tornare all’ordine’ (spiegazione che peraltro non esclude la prima), e infine uno che
70
Carlo Ossola, Giuseppe Ungaretti, in Giuseppe Petronio, Civiltà nelle lettere, Palermo, Palumbo,
1976, p. 858.
71
Dizionario della letteratura italiana. A cura di E. Bonora, Milano, Rizzoli, 1977, p. 560; Arnaldo
Bocelli, Letteratura del Novecento, Roma, Salvatore Sciascia Editore, 1977, pp. 239-256; G. Paparelli, C.
Scibilia, Letteratura italiana del Novecento, Napoli, Fratelli Conte Editori, 1978, p. 213; Novecento. I
contemporanei. Gli scrittori e la cultura letteraria nella società italiana, Milano, Marzorati, 1979.
72
Letteratura Italiana Contemporanea. Diretta da Gaetano Mariani e Mario Petrucciani, Roma,
Luciano Lucarini Editore, 1980, p. 4.
‐ 31 ‐ suggerisce la tesi che il suo nazionalismo (e fascismo) fosse dovuto al fatto che Ungaretti,
deprivato di una patria vera e propria, si sentisse sradicato.
Il ritorno all’ordine sarebbe stato molto importante per Ungaretti. Come conferma Giorgio
Bárberi Squarotti:
[...] Ungaretti aderisce fin da subito al Fascismo, animato dalla speranza in una realtà nuova,
in una rivoluzione realizzata nell’ordine e ispirata all’antica gloria di Roma e dell’Italia dopo le
delusioni della ‘vittoria mutilata’. Ungaretti non ripudierà mai la propria adesione al Fascismo
e anche nei primi anni del secondo dopoguerra insisterà sulla necessità di una riconciliazione
nazionale.73
Cesare Segre, come molti altri, vede tracce di questo sviluppo in Ungaretti come uomo, ma
anche come poeta, interpretazione che viene sempre ribattuta da Piccione come
‘fuorviante’:74
Il sempre maggior articolarsi della tematica corrisponde però in Ungaretti (fors’anche in
rapporto con il conservatismo culturale del fascismo, cui egli aderiva) a un ritorno alle forme
e ai metri della tradizione, con un barocchismo, sempre d’altissimo livello, che non a torto fu
definito dannunziano.75
Franco Fortini poi, definisce l’adesione in termini letterari piuttosto che politici:
L’adesione di Ungaretti al fascismo fu, in questo senso, adesione a una immagine letteraria
della tradizione patria, identificata con la continuità fra il mondo antico e il cattolicesimo della
Controriforma, fra il paesaggio virgiliano e quello barocco.76
Infine, citiamo Mario Allegri, che, pur spiegando il ritorno all’ordine e l’adesione al fascismo
come un fenomeno sociale molto diffuso tra gli intellettuali di quel periodo, ritiene che
Ungaretti abbia creato una mitologia personale, che a volte conteneva concetti contraddittori:
73
Giorgio Bárberi Squarotti, Giannino Balbis, Giangiacomo Amoretti, Valter Boggione, Storia e
antologia della letteratura, Bergamo, Atlas, 2011, p. 139.
74
Leone Piccioni, Album Ungaretti, cit., p. 172.
75
Cesare Segre, Letteratura, in La cultura italiana del Novecento. A cura di Corrado Stajano,
Roma/Bari, Editori Laterza, p. 377.
76
Franco Fortini, I poeti del Novecento, Roma/Bari, Laterza, 1985, p. 76.
‐ 32 ‐ Tanti pronunciamenti in un’unica direzione insinuano il sospetto di una commensura in
qualche modo istituita retrospettivamente, ricomponendo in categorie astratte (l’amore e la
guerra, l’isola e il deserto, l’esilio e la terra promessa) e in chiave di mitologia personale (il
nomade e il soldato, l’uomo di pena e il naufrago) spezzoni di esperienze disorganiche o di
segno persino contrario (per tutte, l’anarchia e il fascismo) della cui successione egli mostrerà
di possedere, tutto sommato, insufficiente coscienza storica.77
Essendo il pensiero di Ungaretti troppo ambiguo, secondo Allegri il poeta non può essere
considerato strettamente ‘fascistissimo’, come lo caratterizza Alberto Astor Rosa in
Letteratura italiana (Torino, 1989).78 Lo stesso Allegri, tuttavia, nota che per lungo tempo gli
studiosi non hanno osato affrontare le relazioni del poeta con il Duce:
Ancora nessuna indagine ha voluto chiarire questa preistoria dei rapporti tra Ungaretti e
Mussolini, sui quali la critica più affezionata al poeta si mostra tuttora molto suscettibile. 79
L’adesione di Ungaretti al fascismo vista come conseguenza del suo sentirsi senza patria,
viene proposta, per esempio, da M. Guglielminetti:
L’adesione al regime, comunque, è un dato di fatto. Essa ha un’origine traumatica che ci è
nota (la ricerca fin dalla nascità di una patria), e risponde ad una necessità di ‘ordine’ che è di
molti altri intellettuali italiani ed europei del periodo.80
Come altri, anche lui afferma che non si trovano tracce politiche nelle sue poesie:
Si riconferma, così, che tanto il suo fascismo, quanto il suo cattolicesimo, non sono mai
divenuti motivo di confronto esistenziale e culturale, non hanno mai realmente turbato la sua
attività lirica.81
77
Mario Allegri, Giuseppe Ungaretti, in Letteratura italiana. Le Opere. A cura di Alberto Astor Rosa,
Torino, Einaudi, 1995, p. 432.
78
Letteratura italiana. Storia e geografia. A cura di Alberto Astor Rosa, Torino, Einaudi, 1989, p.
609.
79
Mario Allegri, Giuseppe Ungaretti, cit., p. 435.
80
M. Guglielminetti, Lineamenti di storia della letteratura italiana. Dalle origini ai giorni nostri, Firenze,
Le Monnier, 1983, p. 566.
81
Ivi, p. 567.
‐ 33 ‐ Come affrontano la questione i manuali stranieri? Anch’essi seguono più o meno i filoni
descritti qui sopra. In Italienische Literaturgeschichte, Ungaretti è solo un esempio fra i tanti
scrittori italiani che sostenevano il regime fascista.82 Giuseppe Stellardi, in The Oxford
Companion to Italian Literature, nota le stesse contraddizioni nel pensiero e nel comportamento
ungarettiano, al pari di Allegri:
He was [...] a man of contrasts – uprooted emigrant, curious vagabond, cosmopolitan
intellectual on the one hand and, on the other, Fascist academician and standard-bearer of his
nation’s cultural identity, veering between sincerity and ostentation, simplicity and artfulness,
clumsiness and perfection. Such contradictions, nevertheless, do not lead to an ideological or
artistic impasse, but to a tension which is fruitful because it is permanently unresolved.83
Interessante notare che The Cambridge History of Italian Literature descrive il desiderio di tornare
all’ordine come frattura nell’opera di Ungaretti, senza legarla, come fanno quasi tutti gli
studiosi citati, alla nuova situazione politica di quel periodo.84
Dopo l’analisi relativa al contenuto, è utile dare spazio anche alla statistica. Delle 52 storie o
enciclopedie di letteratura italiana che fanno parte del corpus indagato per questa tesi, 25
riferiscono all’adesione di Ungaretti al fascismo, con riferimenti brevi (menzionando per
esempio solo il suo lavoro come giornalista per Il Popolo d’Italia) o più elaborati. Solo 6 di
questi riferimenti appaiono in libri pubblicati prima del 1980 (su un totale di 23 libri), mentre
la maggioranza, cioè 19 riferimenti, la troviamo in libri pubblicati dal 1980 ai nostri giorni.
Dei 25 riferimenti al fascismo, 16 cercano di motivare la simpatia del poeta per il
fascismo. Anche qui, ovviamente, la maggior parte (15) è presente nelle opere apparse dal
1980 in poi. Questo piccolo resoconto numerico dimostra che l’atteggiamento verso le scelte
politiche di Ungaretti è cambiato nel corso del tempo. Sembra, quindi, lecito sostenere che lo
sviluppo recente segue quello internazionale, cioè quello di svelare, o aprire, i lati ‘dissonanti’
del patrimonio letterario.
82
Italienische Literaturgeschichte. Unter mitarbeit von Hans Felten, Stuttgart/Weimar, Verlag J.B.
Metzler, 1992, p. 346.
83
Giuseppe Stellardi, Giuseppe Ungaretti, in: Peter Hainsworth and David Robey, The Oxford
Companion to Italian Literature, Oxford, Oxford University Press, 2002, p. 606.
84
The Cambridge History of Italian Literature. Edited by Peter Brand and Lino Pertile, Cambridge,
Cambridge University Press, 1996, p. 503.
‐ 34 ‐ Biografie
La prima biografia di Ungaretti, Vita di un poeta, esce nel 1970. Il libro è stato ristampato poi
nel 1979 con il titolo Vita di Ungaretti, ma il testo non ha subito dei cambiamenti rispetto alla
prima edizione. La biografia è stata scritta da Leone Piccioni, carissimo amico del poeta,
come descrive il biografo stesso:
De Robertis fu il tramite della mia conoscenza con Ungaretti [...]. Poi, piano piano, tanta
confidenza, sebbene con tanta differenza d’età, e da tanta altezza, da vedere nascere, tra
Ungaretti e me, un rapporto come tra padre-amico e figlio egualmente amico! Insolito,
bellissimo, rapporto!85
E aggiunge:
Non poche delle cose dichiarate da Ungaretti furono dette a me personalmente,
prendendone io appunti. Può darsi che non sempre la memoria di Ungaretti, specialmente
relativamente alle date, sia risultata esatta.86
Piccioni non tralascia di descrivere il rapporto di Ungaretti con il fascismo, ma forse
‘l’insolito rapporto’ tra lui e il poeta gli impedisce di rimanere neutrale nel trattare questo
aspetto biografico. Reagisce in modo quasi emotivo quando entra in discussione con Pier
Vincenzo Mengaldo, che nell’introduzione alle poesie di Ungaretti scelte per la sua antologia
Poeti italiani del Novecento parla di una frattura nell’opera di Ungaretti, ovvero del passaggio da
versi ‘futuristeggianti’ a versi più tradizionali, interpretandolo come un possibile effetto della
bramata restaurazione culturale promossa dal fascismo.87 Qui sopra ho espressamente usato
la parola ‘emotivo’ perchè si tratta dell’unico frammento biografico in cui lo scrittore usa due
punti esclamativi per esprimere il suo pensiero:
Testi alla mano, quali si riferirebbero alla ‘restaurazione fascista’, e quali alla conclusione della
‘esperienza unanime’? Meglio non insistere, e rassegnarci alla circolazione demagogica anche in
questo campo, mossa o da generica volontà distruttiva, o dallo stimolo di favorire qualcuno a
85
Leone Piccioni, Vita di Ungaretti, Milano, Rizzoli, 1979, p. 204.
86
Idem, Album Ungaretti, cit., p. 274.
87
Poeti italiani del Novecento. A cura di Pier Vincenzo Mengaldo, Milano, Mondadori, 200722, p.
388.
‐ 35 ‐ danno di qualcun’altro! E verrà, subito, il ’28, La pietà, gli Inni, la previsioni dei tempi (anche
politici) verso i quali ci si sarebbe avviati!! Se si vogliono trovare versi ungarettiani ‘d’occasione’
fascista, si salti assai più in là: si vada alla Pietà romana del ’33 o all’Epigrafe per un caduto della
Rivoluzione del ’35, versi sempre riproposti, e ci si dica oggi quali contenuti ‘fascisti’ quei versi
contengano!!88
Anche la discussione suscitata dalla prefazione di Mussolioni a Il Porto Sepolto non piace al
biografo: la definisce come ‘quel provinciale gusto del “mormorare” che non manca certo al
nostro mondo letterario.’ 89 Cita tutta l’introduzione del Duce per mostrare che il contenuto
era abbastanza innocente e privo di riferimenti politici (cfr. l’appendice, p.70).
Come abbiamo già visto, molti critici hanno interpretato i versi più tradizionali ne Il sentimento
del tempo come, appunto, uno specchio dei tempi in cui Ungaretti visse. Piccioni si oppone a
questa tesi:
Questa stagione poetica ha subìto una interpretazione fuorviante: sotto il ‘segno di un ritorno
all’ordine’ sarebbe ‘in armonia con le tendenze neoclassiche’ addirittura ‘con la restaurazione
culturale promossa dal fascismo’. In realtà il Sentimento del tempo si genera dalla poesia precedente
e si costituisce attorno al nuovo paesaggio laziale e al barocco romano; dice della pienezza della
vita matura e della conversione alle religione cattolica’.90
Ungaretti, da uomo pieno di contraddizioni qual era, non rese facile la vita del suo biografo.
Nel 1942 accettò la nomina all’Accademia d’Italia, istituzione fascista per antonomasia, ma
allo stesso tempo ospitò (secondo una lettera scritta a Piccione, di cui parlerò nelle prossime
pagine) ebrei nella sua casa. Fu arrestato ‘moltissime volte’91 per il suo comportamento
trasgressivo durante il regime (secondo la stessa lettera), ma non smise mai di parlare con
tenerezza del Duce, come nel 1982, quando in un’intervista affermò: ‘Ah! Mussolini. Bien
sur, je l’ai beaucoup aimé, et la grande partie des Italiens.’92
Questo dualismo, ovviamente, non rende facile dipingere un ritratto trasparente dello
scrittore. E molte volte fu lo scrittore stesso a gettare polvere negli occhi con dichiarazioni
88
Leone Piccioni, Vita di Ungaretti, cit., p. 164.
89
Ivi., p. 140.
90
Ivi., p.172.
91
Leone Piccioni, Ungaretti e il fascismo, cit., p. 166.
92
Anna Vergelli, ‘Un uomo di prim’ordine.’ Giuseppe Ungaretti (documenti e altra corrispondenza inedita),
Roma, Bulzoni, 1990, p. 45.
‐ 36 ‐ contrastanti. Tuttavia, spesso Piccioni può suscitare nel lettore la sensazione che stia
difendendo Ungaretti: il processo d’epurazione per esempio, ‘che fu istituito per togliere il
posto a tutti coloro che l’avevano ottenuto per intrigo politico o che l’avevano usato per
azioni illegali e repressive’,93 viene descritto come un fatto ‘assurdo’94 e come il risultato di
‘un’esplosione della facinorosità’,95 senza però entrare nei dettagli del metodo o della
motivazione del Sindacato degli Scrittori. Le scelte che un individuo deve fare, date le
circostanze sociali e politiche, sono sempre gli stessi percorsi storici: la presa di posizione a
favore degli antifascisti nel ’41-’42 è paragonabile alla scelta di aderire all’interventismo nella
Grande Guerra, sostiene Piccioni.96 E: ‘Se la terminologia odierna non avesse del tutto
snaturato questo tipo di definizioni, sarebbero diventate tutte visioni “di sinistra”!’97
Questa non è certo la sede adatta per mettere in dubbio la validità
dell’argomentazione di Piccioni. Comunque, il modo e il tono in cui egli tratta la questione ci
offre l’occasione di osservare che la relazione di Ungaretti con il fascismo era un argomento
delicato, fonte di discussioni, e dunque trattato da Piccioni con cautela. A volte il biografo,
come abbiamo visto, agisce quasi come se fosse l’avvocato dello scrittore.
Questo ruolo, come da avvocato, che Piccioni si assume, lo vediamo più accentuato nel libro
Ungarattiana, pubblicato dieci anni dopo la biografia. In questo libro, un intero capitolo è
dedicato all’atteggiamento del poeta verso la politica. Queste pagine dimostrano chiaramente
che Piccioni ha voluto proteggere Ungaretti ‘dagli accusatori, da chi ne [della prefazione di
Mussolini a Il Porto Sepolto] ha menato scandalo’.98 Il frammento più significativo è forse il
seguente:
Certuni non hanno mai voluto perdonare ad Ungaretti queste righe di Mussolini. Gli stessi
che si sono dimenticati, invece, di saggi veri e propri sulla Prosa metallica di Mussolini o di scritti
sull’ ‘Estetica del carro armato’, di venerati maestri marxisti italiani – e si sono dimenticati
Giorgio Baroni, Giuseppe Ungaretti. Introduzione e guida allo studio dell’opera ungarettiana. Storia e
Antologia della critica, Firenze, Le Monnier, 1988, p. 17.
94
Leone Piccioni, Vita di Ungaretti, cit., p. 186.
95
Ivi, p. 72.
96
Ivi, p. 85.
97
Ivi, p. 140.
98
Leone Piccioni, Ungarettiana. Lettura della poesia, epistolari inediti, Firenze, Vallecchi, 1980, p.
239.
93
‐ 37 ‐ volentieri anche di tanti atteggiamenti contro gli ebrei di certi attuali nostrani maestri di
democrazia! Di questa sciocchezza mussoliniana, no! [...]99
Il fatto che non ci si sia scordati di questa prefazione, avrebbe avuto molte ripercussioni sulla
vita di Ungaretti. Il biografo sostiene che fu proprio questa la causa per la mancata
assegnazione del premio Nobel: ‘L’accusa fu ricorrente: [...] ripartì, artatamente, dall’Italia
verso Stoccolma quando il suo nome pareva farsi davvero largo verso il Nobel.’100 Questo
presupposto viene ripetuto in un articolo del 1995, in parole che non lasciano dubbi:
Dico, senza tema di smentita, che per motivi politici (e cioè per il suo preteso ‘fascismo’, e
forse per la sua professione di cattolico) gli fu negato il seggio di Senatore a vita, e forse,
come altri hanno detto anche in questo convegno, ci furono interventi politici italiani molto
autorevoli anche per sviare l’Accademia di Stoccolma dall’idea, forse maturata, di assegnare a
Ungaretti il Premio Nobel.101
Questa tesi però è messa in discussione da Rosario Gennaro, che ha raccolto la
corrispondenza fra il poeta e Jean Lescure, il suo traduttore francese e uno dei tramiti per la
diffusione dell’opera ungarettiana in Francia:
Gli anni passano e il Nobel non arriva. Ungaretti critica le scelte della giuria, ad esempio per
avere premiato, nel ’54, ‘un médiocre comme Hemingway.’ Non fa riferimento a fattori più
profondamente ostativi, come quelli ipotizzati dall’allievo e biografo Leone Piccioni.
Contesta infine con durezza, nel ’59, l’incoronazione di Quasimodo, smontando i suoi meriti,
letterari e civili, deplorando un documentato scambio di attenzioni tra il vincitore e membri
della giuria.102
Anche se nell’opera poetica di Ungaretti raramente si può individuare un’angolatura politica,
tre poesie possono essere considerate come l’immaginazione della realtà politica in cui
Ungaretti visse a quei tempi: Popolo, Epigrafe per un caduto della rivoluzione e La pietà romana.
Quest’osservazione ormai è una communis opinio, sostenuta da molti studiosi ungarettiani. Per
quanto riguarda il primo poema, Popolo, Piccioni nota:
99
Ivi, p. 241.
100
Ivi, p. 239.
101
Leone Piccioni, Ungaretti e il fascismo, cit., p. 164.
102
Giuseppe Ungaretti e Jean Lescure, Carteggio (1951-1966). A cura di Rosario Gennaro,
Firenze, Olschki, 2010, p. XVII.
‐ 38 ‐ Se si rimprovera a Ungaretti questa ‘famigerata’ prefazione, gli si rimprovera anche
duramente di aver tolto alla poesia Popolo la dedica a Mussolini, dopo la guerra. Qualcuno si
può immaginare, nel clima del dopo liberazione, se – anche nel caso in cui Ungaretti l’avesse
voluto – quella dedica poteva rimanere? 103
Del contenuto politico delle altre due poesie, scritte rispettivamente nel 1935 e nel 1932,
Piccioni non è nemmeno convinto, sostenendo che La pietà romana non sarebbe stata mai
considerata come poema politico se non fosse stata pubblicata nella Antologia di poeti fascisti.
Se seguiamo quest’argomentazione, si potrebbe dire lo stesso di Epigrafe per un caduto della
rivoluzione, anch’essa apparsa in suddetta antologia, ma Piccioni di questa si limita a dire che
ognuno ha la libertà di commentarla in chiave politica: ‘si lasci pure questo testo a qualunque
commento “politico” si possa pretendere di mettere insieme!’ 104
Osserva poi che il poeta non ha mai ricevuto un trattamento preferenziale: sebbene lavorasse
per l’ufficio stampa del Ministero degli Esteri, nel 1936 fu costretto ad emigrare in Brasile per
ragioni finanziarie, un viaggio descritto varie volte come un esilio. Usò i legami con Mussolini
solo per uscire dal carcere e per proteggere i suoi amici, come riferisce una lettera del poeta
stesso a Piccioni, una lettera che sebbene non riprodotta in questo libro, forma
evidentemente la matrice sulla quale il biografo si basa:
Quello che ho fatto, per quella specie d’incanto che una volta avevo prodotto su Mussolini e
in lui permaneva, fu di ottenere che fosse liberato dal confino uno dei miei più vecchi amici
[...] Furono mille altri atti dello stesso genere. Durante il Fascismo fui arrestato moltissime
volte [...]. Poi, ero subito liberato. Mussolini è stato, l’ho già detto, sempre debole verso di
me, qualsiasi atteggiamento osassi assumere.105
‘Le moltissime volte’ a cui Ungaretti si riferisce sarebbero state, in realtà, tre arresti, avvenuti
tra il 1928 e il 1942. Il primo arresto fu nel 1928: durante un viaggio in treno, il poeta disse ad
alta voce ad un amico che la situazione in Italia era così pessima da voler fortemente
emigrare in Francia. Sentito da un comandante in abiti civili, venne pertanto condotto in un
103
Leone Piccioni, Ungarettiana, cit., p. 241.
104
Ivi, p. 242.
105
Lettera a Leone Piccioni, 8 maggio 1969, in Leone Piccioni, Ungaretti e il fascismo, cit., pp. 163168.
‐ 39 ‐ ufficio di pubblica sicurezza, dove fu poi accusato di aver espresso ‘apprezzamenti
sfavorevoli’ sul fascismo.106 Il secondo e terzo arresto avvennero nel periodo dopo il 1939,
durante i brevi ritorni dal Brasile: nell’agosto del ’39 fu costretto a rimanere più di una
giornata in una camera di sicurezza del fascio per aver gridato in un ristorante che Mussolini
aveva perso la testa.107 Un altro episodio che lo portò all’incarcerazione fu quando Ungaretti
provò ad aiutare il poeta Umberto Saba e che era costretto a condurre una vita vagabonda
dopo l’entrata in vigore delle leggi razziali nel 1938. Per vie indirette, Ungaretti entrò in
contatto con un prefetto e provò a convincerlo di fare un’eccezione per il suo amico.
L’ufficiale, confrontatosi con la richiesta del poeta, lo arrestò.108
Piccioni commenta queste vicende così:
C’è chi ricorda queste invettive. E c’è chi ricorda certe sue difese personali di Mussolini [...].
E c’è, infine chi – più nel giusto – ha assistito alle prime invettive, ed alle seconde difese,
essendo più in grado di ricostruire il vero carattere ‘non politico’ di Ungaretti.109
Sia nella biografia che in Ungarettiana, Piccioni spiega la scelta politica di Ungaretti seguendo
due strade. Prima di tutto descrive il contesto storico: fra molti intellettuali dell’epoca c’era il
desiderio di cambiamento. Mussolini era considerato come l’uomo giusto per creare un
nuovo ordine in Italia:
Ungaretti sta per credere che possa essere il fascismo a proporre per l’Italia la soluzione che
ponga rimedio all’affarismo ed al clientelismo parlamentare, per ridare unità al popolo e
giustizia alla nazione.110
Inoltre, fa degli esempi di altri scrittori che commisero lo stesso ‘errore ottico’, come Elio
Vittorini e Romano Bilenchi.111
Un’altra opinione che giustifica l’attrazione del fascismo su Ungaretti è legata al fatto
che nel poeta, da emigrante, sarebbe stato presente il forte desiderio di far parte di una
società, di una nazione, e così si sarebbe mostrato in particolare molto sensibile al
106
Leone Piccioni, Vita di Ungaretti, cit., p. 244.
107
Ivi, p. 201.
108
Idem, Album Ungaretti, cit., p. 197.
109
Idem, Ungarettiana, cit., p. 244.
110
Idem, Vita di Ungaretti, cit., p. 142.
111
Ivi, p. 141.
‐ 40 ‐ nazionalismo patrocinato dal fascismo. Inoltre Piccioni ci ricorda che Ungaretti aveva un
carattere da artista, e che la politica in quell’animo poetico non occupava molto spazio:112
Qualunque cosa sia stato scritto, detto o pensato dei rapporti tra Ungaretti e la politica, credo
di poter tranquillamente dire – né a vantaggio né a svantaggio di lui – che tali rapporti sono
stati, complessivamente, scarsi, senza mai impegnare il fondo vero dell’animo e della mente di
quello che, fondamentalmente ed irriducibilmente, restava un poeta, insieme candido e
ricchissimo d’esperienza, bambino ed ‘antico’.113
Nel 1989 esce l’Album Ungaretti, pubblicato da Mondadori: il tono di Piccioni appare qui
meno difensivo, forse per le abbreviazioni del testo effettuate per poter inserire le molte
illustrazioni. Nelle didascalie, la questione viene trattata in formulazioni più chiare, come
vediamo nel seguente frammento: ‘L’adesione al fascismo di Ungaretti poggiò sulla delusione
del combattente per la vittoria mutilata e sull’irredentismo del “diciannovista”.’114
Come abbiamo visto, Piccioni ha descritto il rapporto tra Ungaretti e il fascismo
opponendosi a quelle voci (non esplicitamente menzionate) che diffidavano del poeta per la
sua adesione al fascismo. Resta da indagare se ci sono delle tracce dell’opinione piccioniana
in altre biografie dedicate ad Ungaretti.
La seconda biografia sul poeta, di Carlo Ossola, esce nel 1975. Quello che salta
immediatemente all’occhio è la naturalezza con cui Ossola associa sviluppi personali, poetici
e sociali:
Il ritorno all’ ‘ordine’, comune a molti in quegli anni (e si ricordi Apollinaire ‘Me voici devant
tous un homme plein de sens/[...]/ Pitié pour nos erreurs pitié our nos péchés’), la
prospettiva ‘regolare’ del matrimonio, [...], la necessità di un impiego stabile [...] sono tutti
elementi che possono in parte spiegare questo bisogno di ‘quiete contemplazioni’. Ma ciò
non va inteso come ‘culto dell’ordine’ imposto dalla forza, ma piuttosto come desiderio di
riconquistare la tradizione; sono prospettive tipicamente letterarie che il fascismo poteva
legittimare anche politicamente, nel mito di una ‘civiltà latina’, irradiata dall’Urbe.115
112
Idem, Ungarettiana., cit., p. 244.
113
Ivi, p. 235.
114
Idem, Album Ungaretti, cit., p. 144.
115
Carlo Ossola, Giuseppe Ungaretti, Milano, Mursia, 1975, p. 443.
‐ 41 ‐ Si deduce, pertanto, che Ossola non lega strettamente il ritorno all’ordine con l’adesione del
poeta al fascismo, ma vede in questo un suo desiderio di sviluppo sociale, un desiderio
diffuso tra molti artisti e intellettuali di quell’epoca e che anche il fascismo aveva adottato
come priorità politica. Anche lui riferisce dei non sempre facili rapporti con il regime. Nel
momento in cui il governo italiano rafforzò i legami con la Germania, la simpatia che
Ungaretti dichiarò sempre apertamente nei confronti della Francia non fu del tutto gradita
agli ufficiali.116
Maura del Serra, nella sua biografia di Ungaretti (Firenze, 1977), non ha lo stesso
tono apologetico di Piccioni nei confronti del fascismo di Ungaretti. Spiega l’adesione in
termini di tratti caratteriali e contesto storico:
Ungaretti si è sempre francamente svelato tributario dei miti di rinascita sociale che di volta
in volta gli prospettassero una immediata adesione vitalistica ad una restaurazione della
coscienza comunitaria, appoggiata magari a recuperi mitico-storico della ‘missione’ della
patria, appena e mai definitivamente trovata. Così Ungaretti ha potuto rovesciare il giovanile
e sincero radicalismo anarchico nella nota – e discussa e discutibile ma certo altrettanto
sincera – adesione al fascismo mussoliniano, protratta, sia pur con aperte riserve sul piano
della politica razziale, fino alle disillusioni postbelliche, ed appoggiata a ‘una visione
populistico-nazionalistico-mistica’ del fascismo di tanta intelligencjia ufficiale e avanguardistica
sullo scorcio degli anni ’20, che assunse però in Ungaretti particolari polemiche contro l’
‘esprit bourgeois’.117
Del Serra descrive il rapporto del poeta con la politica come ‘flessibile’, nato dai suoi ‘atavici
spiriti anarchici’, e illustra il comportamento lunatico citando il fatto che il poema Mio fiume
anche tu fu recitato nel 1948 alla fine di un comizio elettorale democristiano, con il permesso
del poeta, il quale fece persino una dichiarazione di voto per la DC, mentre nello stesso
decennio legava il poema a temi puramente cattolici.118
In Ungaretti Andrea Cortellessa ci parla della natura ribelle del poeta, motivandola con il fatto
che egli fu un anarchico, un socialista e un fascista convinto.119 Non ha difficoltà
nell’affermare che Ungaretti scelse il fascismo già nel 1919, e neacnche ha difficoltà notare
116
Ivi, p. 445.
117
Maura del Serra, Giuseppe Ungaretti, Firenze, La Nuova Italia, p. 8.
118
Ivi, p. 11.
119
Andrea Cortellessa, Ungaretti, Torino, Einaudi, 2000, p. 21.
‐ 42 ‐ che il poeta si iscrisse al partito fascista proprio nel 1924, un anno importante nella storia del
fascismo. Questo periodo era molto delicato per il consenso al fascismo, perché il politico
Giacomo Matteotti era appena stato vittima mortale dei fasci di combattimento. In seguito a
questo tragico evento, molti intellettuali decisero di voltare le spalle a Mussolini e al fascismo
– molti infatti descrivono il caso come emblematico per la ‘perdita dell’innocenza’ della
corrente politica, e come uno dei primi esempi chiari degli eccessi di un regime totalitario.
Ciononstante Ungaretti va visto come un uomo ‘prepolitico’ secondo Cortellessa:
…. già in uno dei suoi primi articoli [...] si trovano frasi che mostrano come Ungaretti tenda a
sovrapporre alle vicende politiche i suoi sentimenti e le sue inquietudini di uomo e artista:
‘[...] Estendendo il ragionamento, ci si accorge che la vita di una nazione non è diversa dalla
vita d’un uomo: è semplicemente un’unità più vasta’. E qui si nota come si affacci già il titolo
complessivo che Ungaretti apporrà alla propria opera, Vita d’un uomo, ma soprattutto come,
con tali premesse, il suo pensiero non possa che restare sempre ‘prepolitico’. La vita di una
nazione non è diversa dalla vita d’un uomo. Ogni volta che le scelte politiche di Ungaretti ci
parranno sorprendenti, se non proprio respingenti, dovremo tener conto di questo principio
fondamentale: ogni volta è a sé, alla sua esperienza, che pensa Ungaretti.120
Cortellessa è d’opinione che la scelta per il fascismo sia in gran parte ispirata agli aspetti
antiborghesi e persino ‘rivoluzionari’ che venivano promossi da Mussolini e che trovarono
un orecchio benevolo in Ungaretti.121 Della prefazione di Mussolini dice che è stata più una
sfortuna che una fortuna per la carriera del poeta, perchè ha suscitato tanti rimproveri,
benché il testo di Mussolini lo giudichi come ‘distratto’.
Distratto e indifferente sono parole che si possono anche usare nel contesto degli
ufficiali verso Ungaretti. Scrisse moltissime lettere a Mussolini e ad altri rappresentanti del
regime, ma questo restava sempre un contatto unilaterale, in cui Ungaretti richiedeva di
essere preso sul serio, e pretendeva stima per la grande abilità e il proprio talento, come
dimostra il seguente frammento:
V. E. sa il mio valore di poeta: in Italia uomini come Soffici, Thovez, Papini, Cecchi, Saffi,
De Robertis, Prezolini ecc. hanno stampato in articoli e libri che la mia poesia era forse la più
genuina manifestazione poetica della guerra sofferta, il grido del ‘fante’, il canto dell’ ‘uomo di
Ivi, pp. 74-75.
121
Ivi, 73.
120
‐ 43 ‐ pena’. In Francia, la critica - devo citar dei nomi? sono i più quotati delle lettere d’oggi:
Paulhan, Aragon, Valéry, Fontainas, Apollinaire, Breton, ecc. - mi hanno riconosciuto con
parole non più usate da lungo tempo verso uno scrittore d’Italia. Meriterei di essere da un
pubblico più vasto conosciuto ed amato. Finora non conosco bene che la fame.122
Ma i politici, di fronte a quest’uomo, capriccioso e difficile da governare, non sapevano come
fare. Conclude così Cortellessa:
È l’inizio di una storia che se non va a suo onore per l’insistenza con la quale richiede un più
diretto coinvolgimento, fa pure capire quanto sui generis sia da considerare la sua adesione al
fascismo: al punto che il regime di uno come lui, in sostanza, non sapeva proprio che
farsene.123
Secondo il critico, l’imbarazzo di fronte alla figura di Ungaretti si dissolse come neve al sole
al ritorno del poeta dal suo soggiorno in Brasile. In quegli anni, mentre il regime stava per
crollare, ognuno che non si era allontanato dal fascismo, veniva stretto al petto.124 Nel caso di
Ungaretti questo abbraccio si materializzò nella nomina tanto attesa ad Accademico d’Italia,
nel 1942. In più gli venne affidato ‘per chiara fama’ l’insegnamento di Storia di Letteratura
Italiana Moderna e Contemporanea all’Università di Roma.
Queste due nomine, che per Ungaretti erano la ricompensa per la stima non
riconosciuta negli anni precedenti, hanno avuto ripercussioni sulla sua vita postbellica. Come
abbiamo già visto nella biografia (p. 24), gli furono intentati diversi processi di epurazione dal
Sindacato degli Scrittori per indagare la sua posizione. Cortellessa chiarisce che soltanto i
grandi nomi venivano sottoposti a indagini di questo genere, ‘non certo si capisce, i
voltagabbana di tutte le stagioni.’125
Tra le righe si legge che il critico sembra un tormentato da un certo senso di ingiustizia di
fronte a queste vicende. Usa la parola ‘voltagabbana’, per quelli che scappano ai processi,
come dire che anche questa categoria di gente dovrebbe essere stata giudicata per il proprio
comportamento durante il regime. Una simile indignazione, tuttavia non così mite, sul
122
Lettera di Ungaretti a Mussolini, 5 novembre 1922. Citato da: Francesca Petrocchi, Giuseppe
Ungaretti e il fascismo, cit., p. 170
123
Andrea Cortellessa, Ungaretti, cit., p. 75
124
Ivi, p. 110
125
Ivi, p. 117
‐ 44 ‐ trattamento giuridico del poeta, l’abbiamo già vista nella biografia di Piccioni. Il processo che
la commisione d’epurazione intentò a Ungaretti ha suscitato commenti non divergenti.
Piccioni chiama il processo ‘assurdo’, nato da rancore e invidie.126 Cortellessa lo chiama
‘triste’ e osserva che i voltagabbana scappano sempre a questi processi, mentre invece i
grande nomi vengono penalizzati.127
Ambedue citano il numero monografico Questi giorni di Luciano Anceschi,128 che ha
curato e pubblicato questa rivista per esprimere solidarietà con Ungaretti durante il difficile
periodo postbellico. ‘Di particolare significato’ era il contributo di Montale, anni dopo
riprodotto ne Il secondo mestiere: 129
Poeta in progress nel significato migliore della parola, Ungaretti ci ha dato, intorno ai limiti e al
senso della libertà poetica, una lezione che conserverà sempre per noi un valore
inestimabile.130
Significativo perchè Montale, come si sa, durante la guerra mostrava un ben altro
atteggiamento verso il regime rispetto a quello tenuto da Ungaretti: sottoscrisse il Manifesto
degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce e visse una vita reclusa per tutto il periodo
che Mussolini rimase al potere. Tuttavia è curioso notare che ambedue gli altri biografi,
Ossola e Del Serra, descrivono i processi in un tono più neutro.
I due biografi, Piccioni e Cortellessa condividono anche l’opinione sulla prefazione a
Il Porto Sepolto di Mussolini: Piccioni la chiama (tra altro) ‘di comodo’,131 Cortellessa
‘sospiratissima’.132
Per il resto, Cortellessa ha più in comune con gli ultimi citati che con Piccioni: anche
lui è d’opinione che il ritorno all’ordine nell’opera di Ungaretti rispecchi un’immagine
d’epoca, anche politica.
Infine, i quattro biografi concordano che solo su un punto è inutile discutere, poichè
chiaro come il sole: Ungaretti è un’ anima libera e indipendente, al di là dell’ideologia che
126
Leone Piccioni, ‘Giuseppe Ungaretti’, in: Letteratura italiana. I contemporanei, Milano, Marzorati
Editore, 1963, p. 880.
127
Andrea Cortellessa, Ungaretti, cit., p. 21.
128
Luciano Anceschi, Questi giorni, nr. 2-3, 5-20 dicembre 1945.
129
Andrea Cortellessa, Ungaretti, cit., p. 143.
130
Eugenio Montale, Il secondo mestiere. Prose 1920-1979, Milano, Mondadori, 1996, pp. 633-634.
131
Leone Piccioni, Vita di Ungaretti, cit., p. 144.
132
Andrea Cortellessa, Ungaretti, cit., p. 78.
‐ 45 ‐ sosteneva. Il termine ‘prepolitico’, usato da Cortellessa per caratterizzare il poeta è una parola
che facilmente potrebbe essere presente in tutte e quattro le biografie.
Monografie
Ungaretti è tra i poeti italiani più ricercati e per questo su di lui è stato pubblicato un infinito
numero di studi, da quelli molto specializzati e dettagliati a quelli più ampi, scritti per
introdurre l’opera del poeta ad un pubblico non accademico. Comincio ad analizzare i
riferimenti al rapporto tra Ungaretti ed il fascismo presenti nei libri del secondo genere.
La prima monografia, scritta da Folco Portinari e pubblicata nel 1972, con lo scopo di
introdurre e guidare il lettore allo studio dell’opera di Ungaretti, non mette in evidenza la
biografia dello scrittore.133 Al contrario, nella seconda monografia, Giuseppe Ungaretti, anche
questa un’introduzione e guida allo studio dell’opera del poeta, Giorgio Baroni descrive un
fenomeno già menzionato dai suoi colleghi: il desiderio di tornare all’ordine, che coincide con
gli ideali letterari e artistici promossi dal fascismo. Secondo il critico, il poeta voleva proprio
una pausa di riflessione e stabilità perché era deluso dopo la Grande Guerra, che non aveva
creato la nuova società tanto ambita da lui e da molti altri. Dopo tanti anni di formazione
nella capitale francese con nuove forme d’arte sul piano letterario, avrebbe sentito la
neccessità dell’ordine perché era stanco dell’avanguardia. I suoi compagni della rivista La
Ronda nutrivano idee simili.134 Dopo Parigi, andò ad abitare nella capitale dell’antichità e del
classicismo, e anche questo fatto, secondo Baroni, motiva il desiderio della tradizione.135
Nelle monografie commemorative, il passato fascista non è mai affrontato.
Ovviamente, un libro pubblicato in onore del suo settantesimo compleanno, con contributi
da scrittori stranieri notevoli come T. S. Eliot, John dos Passos, Saint-John Perse e Marianne
Moore, non era una piattaforma adatta per discutere dei lati controversi dell’autore,136 e
neanche il numero che Andrew Wylie, ormai celebre e leggendario agente letterario, dedicò al
poeta; tanto meno le diverse riviste che pubblicarono degli special su Ungaretti.137
133
Folco Portinari, Giuseppe Ungaretti, Torino, Borla, 1967.
134
Giorgio Baroni, Giuseppe Ungaretti, cit., p.4.
135
Ivi, p. 15.
136
Giuseppe Ungaretti, Il taccuino del vecchio, Milano, Mondadori, 1960.
137
Andrew Wylie, “Giuseppe Ungaretti special issue”, 1970; “La Fiera Letteraria”, 1953,
“Galleria”, 1968; “L’approdo Letterario”, 1972; “Forum Italicum”, 1972.
‐ 46 ‐ Un esempio di studi destinato a un pubblico più specializzato è La critica e Ungaretti di
Giuseppe Faso (Bologna, 1977). Faso, nel suo libro, ha fatto una selezione delle critiche più
significative nello studio ungarettiano: vi troviamo, per esempio, un saggio di Giovanni
Raboni, che si inserisce nella discussione sulla questione del ‘ritorno all’ordine’ del poeta. È
dell’opinione che il nuovo modo di fare poesia possa essere visto in chiave storica, e che il
ritorno coincida non solo con concetti filosofici alla moda all’epoca, ma anche con concetti
politici, predicati dai fascisti:
So benissimo che l’ermetismo di Ungaretti parve rappresantare e in qualche modo
rappresentò, negli anni Trenta in Italia, esattamente l’opposto di ciò cui alludevo poco fa: vale
a dire l’Europa, non l’Italia: il mondo, non la provincia; la novità, non la conservazione. Ma
resta vero, a mio avviso, a lato o al di sotto di questa verità di primo grado, che la ‘riscoperta’
e rimessa in auge della tradizione operata da Ungaretti con gli Inni e le Leggende, con le poesie
della Fine del Crono e con i sei canti della Morte meditata, coincide sottilmente di fatto, su un
piano di agibilissima e forse agevole riscontrabilità ideologica, con la linea culturale che la
controrivoluzione agraria e borghese che Mussolini aveva o avrebbe avuto interesse
d’imporre silenziosamente al paese.138
Un’argomentazione non molto lontana da tutte quelle che leggeremo negli articoli seguenti.
Di tipo più specializzato sono gli studi che trattano di aspetti formali o sostanziali della
poesia di Ungaretti, come quello di Luciano Rebay, Le origini della poesia di Giuseppe Ungaretti.
Nel suo studio elenca tutte le influenze letterarie del poeta. Uno di queste era il futurismo e il
critico ne vede delle tracce soprattutto nella poesia Popolo, tracce che non furono soltanto
ispirate da ambizioni strettamente artistiche, ma anche sociali:
Sicuramente la volontà di sperimentare giocò la sua parte, ma crediamo di non errare
asserendo che la scelta di uno stile futurista per ‘Popolo’ fu dettata soprattutto dalle
circostanze nelle quali la poesia fu composta.
Ungaretti divenne un acceso sostenitore della partecipazione italiana al conflitto, e un
ammiratore di Mussolini. ‘Popolo’ comparve, infatti, con una dedica a Benito Mussolini
quando venne ristampato nell’Allegria di Naufraghi (Firenze, Vallecchi, 1919). Nella prefazione
138
Giovanni Raboni, L’attesa di senso. Inizio di un saggio su Ungaretti, in Giuseppe Faso, La critica e
Ungaretti, Bologna, Cappelli, 1977, p. 229.
‐ 47 ‐ alla successiva edizione della Allegria (Milano, Preda, 1931), Ungaretti confermava che
‘Popolo’ gli era stato suggerito ‘dall’Uomo che s’affacciava allora per la prima volta al suo
cuore’, aggiungendo che gli era di ‘tutte le sue poesie, la più cara’, perché rappresentava per
lui ‘l’immagine della fedeltà’.139
Il fatto che il poeta abbia scelto un tono futurista per la poesia non dovrebbe sorprendere
secondo Rebay, perché erano appunto i rappresentanti di questa corrente letteraria ad
appoggiare l’intervento armato. Gli echi futuristi, a tal proposito, non sono rintracciabile nel
poema, visto che Ungaretti usò estensivamente la lima in questa poesia.140
Un altro libro di questa categoria è La poesia di Ungaretti di Glauco Cambon: l’autore
fa un’analisi interpretativa delle tre raccolte di poesia Allegria, Sentimento del Tempo e Il deserto e
dopo. Inutile dire che in questo tipo di pubblicazione la biografia dello scrittore non è sempre
considerata rilevante, 141 soprattutto negli studi che scelgono un’angolatura formalistica per
l’interpretazione dei testi, come, per esempio, ne Le antitesi nella poesia di Ungaretti a cura di
Silvana Ghiazza. Il libro di Cambon, invece, è l’unica monografia nel corpus di testi
secondari che ho consultato che parte da un’angolatura stretta (analizzando le prose di
viaggio ne Il deserto e dopo) che affronta il passato politico dello scrittore.
Cambon dimostra che Ungaretti non si impegnò mai a fare da semplice
propagandista per il regime fascista. Indagando le prose di viaggio dello scrittore, spesso fatte
su commissione del suo datore di lavoro, ha scoperto che Ungaretti non si comportò mai
come un corrispondente che cantava le lodi del governo, ma anzi provò a inserire le vicende
storiche e sociali nel suo sistema di pensiero personale:
Vi troviamo [..] passi di informazione storica, dettati in parte dalle circostanze politiche di una
era che tendeva a rivendicare all’Italia tutto il rivendicabile. Solo in parte però; perché
Ungaretti era troppo cosmopolita di nascita e di formazione per accondiscendere ai
provincialismi governativi, e i suoi orgogli di italiano certo non scadono mai nella propaganda
dozzinale. Anche là dove ufficialmente gli sarebbe toccato celebrare i fasti del regime [...], ne
Luciano Rebay, Le origini della poesia di Giuseppe Ungaretti, Roma, Edizioni di Storia e
Letteratura, 1962, p. 50.
140
Ivi, p. 55
141
Altre monografie di questa categoria che ho consultato: Paola Montefoschi, Ungaretti. Le
eclissi della memoria, Roma, Edizioni Scientifiche Italiane, 1988; Mario Petrucciani, Poesia come inizio.
Altri studi su Ungaretti, Roma, Edizioni Scientifiche Italiane, 1993; Franco Musarra, Risillabare Ungaretti,
Roma/Leuven, Bulzoni/Leuven University Press, 1992; Rosita Tordi, Ungaretti e i suoi maîtres à
penser, Roma, Bulzoni, 1997.
139
‐ 48 ‐ vien fuori una sobria narrazione che poi, accendendosi al contatto dei luoghi carichi di storia
[...], trasfigura tutto in perenne mito dell’uomo, del tempo e degli elementi. 142
Cambon, inoltre, afferma che sebbene i testi all’epoca potessero essere letti in chiave politica,
oggi ci resta un altro valore, cioè un incontro con un poeta che racconta delle esperienze
personali durante i suoi viaggi:
Quale che fosse l’uso che di tali pagine si prefiggessero i governanti di tanti anni fa, l’uso che
a noi lettori odierni è dato di farne le riscatta da ogni avventizio presupposto ideologico. Se
per esempio le corrispondenze dell’inviato speciale Ungaretti dalla Corsica potevano far
comodo ai detentori del potere in vista di futuri programmi d’annessione, per cui importava
tener in vita la causa dell’italianità culturale di tale isola, quella che ci viene incontro dal
taccuino corso è un’esperienza personale, una Corsica ungarettiana, sentita nella sua unicità
insulare. 143
Introduzioni
Un anno prima della morte del poeta, nel 1969, uscì Vita d’un uomo. Pubblicato da
Mondadori, raccoglie tutte le poesie di Ungaretti in un unico volume. Fino ad allora,
l’antologia aveva collezionato ventotto ristampe, una cifra impressionante. Mondadori aveva
cominciato a pubblicare nuove edizioni delle sue raccolte nel 1942, con lo scopo di
pubblicare le opere complete in sei volumi. Il primo volume era una ristampa dell’Allegria. In
ognuno di questi volumi uscito dopo il 1945, l’introduzione non si riferiva alla vita politica
del poeta.144 Questo non dovrebbe sorprendere: i saggi che introducono le antologie non
hanno come soggetto la vita personale del poeta. In più, le edizioni erano curate da Leone
Piccioni, il biografo di Ungaretti, che, come abbiamo visto, benché non oscurasse il passato
fascista di Ungaretti, ha sempre avuto problemi a ricollegare l’opera poetica e la convinzione
ideologica del poeta.
È interessante notare invece che una ristampa de Il Porto Sepolto edita da Marsilio nel
1990 non fa riferimento alcuno all’edizione con la prefazione di Mussolini, nonostante
l’autore dell’introduzione, Carlo Ossola, descrive in dettaglio la genesi e le varie ristampe del
142
Glauco Cambon, La poesia di Ungaretti, Torino, Einaudi, 1976, p. 145.
143
Ibidem.
144
Ho preso in esame Poesie disperse (1945), Il dolore (1947) e Visioni di William Blake (1964).
‐ 49 ‐ libro, compresa quella da Ettore Serra (che conteneva infatti l’introduzione del Duce).145
Anche in un’altra raccolta di componimento ungarettiana, scritto durante il periodo in cui il
poeta era attivo sostenitore del regime, o da essa impegato in diverse attività, non viene
chiarito la vita politica del poeta, neanche con un semplice riferimento.146
Ci sono, tuttavia, due eccezioni. La prima è il libro in cui vengono riprese le lezioni
che Ungaretti tenne all’università di Roma. Nell’introduzione troviamo una tavola
cronologica, che descrive il suo periodo di sospensione dall’università. Nel 1942, dopo il suo
ritorno dal Brasile, il Ministero della Pubblica Istruzione lo nominò professore. Prese servizio
nel dicembre del 1942; a causa dello stato d’assedio di Roma nel 1943, le lezioni furono
sospese fino al 1944. In quel periodo dovette difendersi di fronte ad una commissione
d’epurazione. Dal 31 luglio 1944 non gli fu consentito di stare dietro alla cattedra nelle aule
universitarie – nel 1 agosto 1945 Ungaretti fu riassunto in servizio.147
La seconda eccezione è l’introduzione ad Allegria pubblicata nel 1982, che nomina la
prefazione di Mussolini a Il Porto Sepolto. Si tratta di un’edizione critica, dove la genesi
dell’antologia è un argomento d’interesse. La curatrice del volume, Cristiana Maggi Romano,
afferma che l’edizione del ’42 può essere vista come risultato finale, perché nelle sei riedizioni
successive, è possibile distinguere solo tre ritocchi, una cifra insignificante se si considera il
numero di cambiamenti nelle edizioni precedenti. Non viene precisato, invece, in quale
ristampa questi tre ritocchi siano stati effettuati.Ci interessa in particolare uno di questi
ritocchi: la soppresione della dedica a Mussolini di ‘Popolo’. Nell’edizione del 1945 la dedica
è stata tolta (gli altri due ritocchi che la Maggi Romano menziona non erano ancora stati
eleborati). Inoltre, la nota dell’autore è stata revisionata, un fatto che non viene osservato
dalla Maggi Romano. Il paragrafo seguente, ancora presente nelle edizioni del ’31, del ’36 e
del ’43 è stato soppresso nell’edizione del 1945:
E l’autore è lieto e fiero, dopo tanti anni, di vedere che in un punto il suo animo non muta nè
potrà mutare. Suggerita nel 1915 dall’Uomo che s’affacciava allora per la prima volta al suo
cuore, intitolata a Lui nell’edizione del 1919, e oggi, pure essendo cosa futile davanti alla
Carlo Ossola, Introduzione, in: Giuseppe Ungaretti, Il Porto Sepolto,Venezia, Marsilio, 1990, p.
17.
146
Cfr. Paola Montefoschi, Introduzione, in Giuseppe Ungaretti, Invenzione della poesia. Lezioni
brasiliane di letteratura (1937-1942), Roma, Edizioni Scientifiche Italiane, 1984, pp. 7-35.
147
Giuseppe Ungaretti, Lezioni su Giacomo Leopardi. A cura di Mario Diacono e Paola
Montefoschi, Roma, Presidenza del Consiglio dei Ministri (Dipartimento per l’informazione e
l’editoria), 1989, p. 28.
145
‐ 50 ‐ grandezza delle Sue fatiche, ‘Popolo’ è per il poeta l’immagine della fedeltà, e per questo, fra
tutte le sue poesie, la più cara.148
Naturalmente, questa soppressione è un effetto logico della rimozione della dedica. Un altro
cambiamento riguarda il riferimento all’introduzione di Mussolini:
[edizione ’31/’42] Il Porto Sepolto, insieme ad altre poesie scritte prima e dopo, fu, con
prefazione di Benito Mussolini, nuovamente a cura di Ettore Serra, ristampato a La Spezia
nel 1923.149
[edizione ’45] Il Porto Sepolto, insieme ad altre poesie scritte prima e dopo, fu
nuovamente a cura di Ettore Serra, ristampato a La Spezia nel 1923.150
Nell’edizione del ’45 si ritrova il riferimento che suggerisce che la nota all’edizione del 1931 e
a quella del 1936 sia sempre stata uguale, il che in parte è vero, però qualche cambiamento
rispetto alle edizione precedenti c’è stato, in particolare per quanto riguarda i riferimenti a
Mussolini.
Senza dubbio questi cambiamenti furono un effetto del nuovo clima in Italia, ma
anche frutto delle difficoltà personali del poeta. Nel agosto del 1945 venne subito riammesso
all’Università dopo il processo di epurazione a cui era stato sottoposto. È chiaro, dunque, che
egli non volesse che un libro uscito nello stesso anno riaprisse il discorso sul suo passato
politico.
Questa serie di ritocchi ci pone in evidenza un aspetto che è difficile da interpretare e
che dimostra la contraddizione nelle dichiarazioni del poeta. Come descrive Anna Vergelli
(p.62), Ungaretti era un’uomo che ha ‘sempre dichiarato con coraggio le proprie posizioni
politiche’, un’uomo che nelle sue proprie parole ‘non ha niente da nascondere’.
Saggi specializzati
Nel presente paragrafo discuterò sei saggi dedicati al rapporto tra Ungaretti e il fascismo. Il
primo articolo, di Robert S. Dombrowski, è apparso nel 1984, in uno studio più ampio sul
148
Giuseppe Ungaretti, Allegria. Edizione critica a cura di Cristiana Maggi Romano, Milano,
Mondadori, 1982, pp. 7-8.
149
Ivi, p. 40.
150
Giuseppe Ungaretti, L’Allegria, Milano, Mondadori, 19452, p. 5.
‐ 51 ‐ panorama letterario durante il regime. Il capitolo dedicato ad Ungaretti porta un titolo
significativo: ‘Ungaretti: tra innocenza e fascismo’. Contrariamente a tutti quelli che hanno
spiegato l’adesione del poeta al fascismo come ammirazione per Mussolini, Dombrowski
ritiene che qualcosa in più spinse il poeta a diventare un fascista convinto e che è proprio
all’aspetto ‘totalitario’ del fascismo che si deve la sua adesione integrale.151
Basandosi su vari articoli dello scrittore sul fascismo, Dombrowski afferma che
l’attrazione per il fascismo, e non solo il ‘mussolinismo’, sarebbe stata motivata dal fatto che
si trattava di una corrente profondamente antiborghese. Ciò non toglie che Ungaretti
colorisse quest’aspetto con la sua convinzione ideologica personale:
Il discorso strategico di Ungaretti [...] è tipico dell’ideologia ‘rivoluzionaria’ fascista: cioè,
mistificare la realtà effettiva del regime, impostando l’egemonia in termini di nozioni
interclassiste come ‘popolo’, ‘communità’ e ‘razza’. Ma il taglio ideologico specifico che
Ungaretti dà alla strategia è di stampo cattolico. [...] È una critica della civiltà borghese dal
punto di vista di una Lebensphilosophie di marca cattolica.152
Dombrowski conclude, però, che la maggior parte dei pensieri espressi negli articoli di
Ungaretti sono conciliabili con quelli del fascismo.
Dopo aver tracciato un quadro del pensiero politico del poeta, l’autore propone una
lettura politica delle poesie di Ungaretti – decisione quasi rivoluzionaria se si pensa al rigore
con cui molti studiosi dichiaravano di non poter individuare tracce politiche nella sua opera.
Secondo Dombrowski, il poeta non presenta le poesie in Allegria come un prodotto
dell’immaginazione, ma come descrizioni della vita reale. Inoltre egli distingue nella
comunione con l’Assoluto, un motivo importante nella raccolta, una legame inseparabile con
le vicende storiche, al punto che esiste una coerenza totale fra le poesie e le idee politiche
dello scrittore:
L’idea di una pienezza, o - perduta o, per lo meno, da scoprire - di un’assenza misteriosa delle
cose, difficilmente si separa dal concetto di un’anima nazionale o di una razza mediterranea,
che rimane intatta attraverso le vicende storiche, come difficilmente si separa dal mito di una
società totale in cui gli individui isolati diventano uomini viventi in comunione coll’Assoluto.
151
Robert S. Dombrowski, ‘Ungaretti: tra innocenza e fascismo’, cit., p. 73.
152
Ivi, p. 79.
‐ 52 ‐ La convergenza del poeta con il contesto storico sarebbe ancora più manifesta nel Sentimento
del tempo. Questa raccolta è la realizzazione, come dice il titolo stesso, di un ‘sentimento del
tempo’. E Dombrowski aggiunge:
Non è difficile capire, nella misura in cui Ungaretti si dichiarò fascista, come la sua poesia [...]
possa contribuire alla fondazione ideologica del fascismo. Con questo, non si toglie nulla al
valore della poesia ungarettiana. La originale tecnica dei versi e il risultato sul piano estetico
non perderanno un minimo grado d’importanza. Acquisteranno magari solo un’altra
dimensione da tenere presente se si vuole comprendere pienamente la storicità della sua
singolare esperienza.153
Queste righe sono l’introduzione alla sua conclusione finale, in cui afferma che l’opera di
Ungaretti va letta non solo concentrandosi sui diversi aspetti del linguaggio poetico, ma
anche secondo una fisionomia veramente sociale. ‘Da questa angolazione’, ritiene
Dombrowski, ‘l’interdipendenza tra coscienza artistica e politica si rivela nel modo più
immediato.’
Cinque anni dopo la pubblicazione dell’articolo di Dombrowski, Francesca Bernardini
Napoletano ha curato la corrispondenza tra Corrado Pavolini, critico letterario, e gli scrittori
Vincenzo Cardarelli e Ungaretti. Le lettere di Ungaretti sono precedute da un saggio
intitolato Il lungo viaggio di Ungaretti verso il fascismo.
Nel periodo ’26-’37 Pavolini ed Ungaretti hanno coltivato una corrispondenza non
particolarmente intensa, ma comunque significativa per l’immagine che essa schizza della vita
intellettuale durante il regime. Sia Pavolini che Ungaretti si consideravano intellettuali
militanti, pur trovandosi in situazioni molto diverse: Pavolini era figlio dello stimato filologo
Paolo Emilio, nonchè fratello di Alessandro Pavolini, ministro della Cultura popolare, e
pertanto uno che conosceva come farsi strada negli apparati più alti del potere; Ungaretti,
invece, sebbene riconosciuto come un grande artista, si muoveva ai margini della vita sociale.
Dal punto di vista di Pavolini, Ungaretti era come un tutor poetico, uno che poteva
guidarlo nel mondo della poesia.154 Ungaretti, dal canto suo, scriveva lettere a Pavolini per
dare espressione alla sua condizione di povertà, la lotta per il pane quotidiano. La
153
Ivi, p. 89.
154
Francesca Bernardini Napoletano, Il lungo viaggio di Ungaretti attraverso il fascismo, cit., pp. 104105.
‐ 53 ‐ corrispondenza è un esempio di due artisti politicamente impegnati, nonostante fossero in
dissenso sul ruolo dell’artista nella società. Si potrebbe dire che Pavolini, un uomo ‘integrato’
nel regime, era più ortodosso nel suo coinvolgimento rispetto a Ungaretti, il quale aveva un
atteggiamento più anticonformista e – molto importante in quel contesto – più
internazionale nei confronti del fascismo.
Non sorprenderà, dunque, che la corrispondenza fra i due letterati sia nata da una
discussione in merito alla letteratura francese. In un articolo nella rivista Nouvelle Revue
Française, lo scrittore André Suarès, all’epoca considerato al pari di grandi scrittori come
André Gide e Paul Claudel, definiva volgare l’atmosfera politica in Italia, un’opinione che a
Pavolini andò di traverso e a cui reagì pubblicando un’articolo fortemente polemico,
descrivendo la letteratura francese come degenerata e decadente, e gli esponenti di essa
‘intelligenti che stanno a guardare dai balconi e [...] che si limitano a prendere appunti nei
block-notes della rinuncia etica e della malizia letteraria.’155 Da questa citazione emerge già
l’ideale di Pavolini: secondo lui uno scrittore doveva essere engagé, morale, preferibilmente
italiano di nazionalità e la sua opera comprensibile al popolo e subordinata all’impegno
politico.
Proprio quest’ideale crea un conflitto con Ungaretti, acceso difensore della cultura
francese e dell’autonomia dell’artista: per quanto riguarda il primo punto, egli riteneva che
esistesse un legame franco-italiano e che le due nazioni potessero essere considerate come
sorelle. Riguardo al ruolo dell’artista nei confronti dello stato, era disposto a diffondere i
concetti fascisti all’estero, lavorò con piacere come giornalista per giornali fascisti, ma vide
sempre la letteratura come una forma d’arte nella quale lo stato non doveva immischiarsi.
Secondo lui, infatti, l’artista non era un ‘funzionario’ del regime, ma un ‘militante’.156
Ungaretti dovette difendere spesso il proprio sistema di pensiero, come afferma
Bernardini Napoletano:
Due ordini di accuse e polemiche [sono state] costantemente indirizzate ad Ungaretti dagli
intellettuali fascisti: il primo chiamava in causa le simpatie di Ungaretti per la Francia e la
cultura francese; il secondo entrava nel merito della poesia ungarettiana, giudicata difficile,
oscura, incomprensibile, e pertanto disimpegnata, non fascista.157
155
C. Pavolini, ‘Due parole al francese intelligente,’ “Il Tevere”, 16/17 aprile 1926. Citato da:
Francesca Bernardini Napoletano, Il lungo viaggio di Ungaretti attraverso il fascismo, cit., p. 106.
156
Francesca Bernardini Napoletano, Il lungo viaggio di Ungaretti attraverso il fascismo, cit., p.173.
157
Ivi, p.109.
‐ 54 ‐ Sono proprio questi due tratti che non rispondono all’immagine sognata dell’artista fascista, e
che impedirono ad Ungaretti di essere integrato con l’apparato culturale del regime,
nonostante egli si sentisse per forza un servitore del suo paese, da soldato, ma anche in
funzione di letterato, diffondendo durante i suoi viaggi all’estero un’immagine positiva
dell’Italia fascista.
Pertanto, la relazione del poeta col fascismo, secondo Bernardini, ha un senso di
fallimento:
Se da una parte Ungaretti è consapevole dei suoi meriti e del suo valore di poeta, rivendicati
ad ogni occasione, che dovrebbero valergli una carica ufficiale, dall’altra proprio per tali
meriti e per tale valore il poeta deve distinguersi nel ‘bailame’, nel ‘marasma’, nella
‘confusione’. Tale atteggiamento dà la misura della visione che Ungaretti ebbe del fascismo e
della conseguente delusione.158
Questa delusione non è soltanto provocata dall’emarginazione di Ungaretti come figura
pubblica: al poeta dispiacque anche la direzione intrapresa dal fascismo. All’inizio del suo
lungo viaggio attraverso il fascismo, la figura di Mussolini personificava per Ungaretti il
rinascimento, la rivoluzione, l’antiborghesia. Egli vedeva il fascismo come un sistema, un
‘metodo’ per creare una società nuova, per far cadere il malgoverno dei vecchi. Il compito
toccava ai giovani, secondo Ungaretti. Erano loro il simbolo della giustizia fascista, della
rivoluzione, di un’Italia vista come ‘un giovane atleta pieno di grazia e di saggezza, di
seme.’159 E proprio in queste aspettative, Ungaretti rimase deluso. Quando fu licenziato,
scrisse una lettera a Mussolini, sottolineando che non dovevano essere più gli intrighi a
mettere a punto una linea politica:
È ora di lavoro serio e pensi [Amadeo] Giannini160 che ora c’è un Governo forte, che durerà
più anni: e che i ricatti e le intimidazioni, e le tesche non servono più: questa volta c’è un
uomo giusto.161
158
Ivi, p. 114.
159
Giuseppe Ungaretti, Italia, Francia e Jugoslavia, “Il Popolo d’Italia”, 11 febbraio 1919, p. 1.
Citato da: Francesca Bernardini Napoletano, Il lungo viaggio di Ungaretti attraverso il fascismo, cit., p. 105.
160
Cfr. sopra, p. 22.
161
Francesca Bernardini Napoletano, Il lungo viaggio di Ungaretti attraverso il fascismo, cit., p. 115.
‐ 55 ‐ Queste parole costituiscono un’eco di una lettera indirizzata a Soffici, una decina d’anni
prima:
Ho lasciato l’Italia con un’amara impressione. Avevo sperato che i quattordici gatti che hanno
ingegno da noi si sarebbero dati la mano in un’attività comune, e invece non ho trovato che
rancori, pettegolezzi, arrivismi ed altre simili miserie.162
Bernardini, infatti, distingue questo desiderio di una società nuova, di un rinascimento, come
uno dei due fattori pressanti che spinsero Ungaretti all’adesione al fascismo. Questo
rinascimento deve essere visto come un ritorno all’ordine, all’armonia, e una rivoluzione per
una società oligarchica in cui regni la pace.163 Un altro fattore, conseguenza logica del primo,
era la fede incrollabile in Mussolini. Così forte era la fiducia nei cambiamenti che il duce
potesse operare, che Bernardini ritiene che sarebbe più coretto parlare di ‘mussolinismo’,
piuttosto che di fascismo.
La studiosa non vede un abisso incolmabile tra l’attività poetica e politica di
Ungaretti:
Se l’adesione al fascismo si nutre di motivazioni morali oltre che politiche, tra l’attività
giornalistica e quella letteraria non sussiste iato, pur se è ben chiaro che ognuna si sviluppa su
un piano specifico e con modalità ben distinte, senza confusione di competenze e di ambiti;
entrambe tuttavia collaborano a costruire una figura di scrittore che ha recuperato l’aureola
tradizionale [...].164
Come Cortellessa e, come vediamo più tardi, Francesca Petrocchi, la studiosa ammette che a
volte è difficile definire l’atteggiamento del poeta verso il fascismo, soprattutto perchè certe
dichiarazioni ungarettiane si smentiscono a vicenda. Bernardini attribuisce queste
contraddizioni al tempo in cui visse Ungaretti: da un lato era un poeta che sosteneva la
necessità di autonomia artististica, dall’altro lato era un fascista convinto.
In una rivista francese, Comoedia, Giorgio De Chirico e Alberto Savinio parlavano con
molto disprezzo del clima politico e artistico italiano. Pavolini, a suo volta, li accusò di
162
Ivi, p. 127.
163
Ivi, p. 119.
164
Ivi, p. 126.
‐ 56 ‐ ‘internazionalismo giudaico-parigino’. Le due lettere che Ungaretti scrisse per difendere i due
artisti sono un esempio non solo del carattere del poeta, ma anche:
sono documento impressionante di un costume e di un clima letterario e politico così diffuso
da provocare deformazioni e guasti anche in Ungaretti, non conformista da poeta e come
intellettuale, ma da buon fascista pronto a sospendere il suo giudizio di fronte a valutazioni e
a ragioni d’ordine politico: se dunque ‘bisogna sempre, in tutto, portare un granellino
d’umanità’, ed in particolare verso gli artisti che non vanno perseguitati ‘inutilmente’, è
tuttavia fuori discussione che ‘i disfattisti politici’ debbano essere puniti ‘giustamente’.165
Nel 1995, è uscita una raccolta di saggi presentati durante un convegno dedicato ad Ungaretti
nel 1989. Tra i vari contributi v’era anche quello di Leone Piccioni, dedicato alla relazione tra
il fascismo e Ungaretti, in cui spiega, prima di tutto, che il poeta non ebbe mai vantaggi (sia
finanziari, sia sociali) per la sua dichiarata scelta politica:
Gli amici, francesi e italiani, che andavano a trovarlo, notavano che nella stanza in cui si
intratteneva con loro, c’erano diverse catinelle sparse per terra per raccogliere l’acqua che
filtrava dal tetto quando pioveva.
Ecco, dunque, come Ungaretti approfittò del Fascismo!166
Il cuore dell’articolo è formato da una lettera che il poeta scrisse a Piccioni, in cui esprimeva
il suo disgusto per il fatto che l’introduzione di Mussolini a Il Porto Sepolto fosse oggetto di
discussione. In tale lettera, Ungaretti elencava inoltre tutto quello che aveva fatto di
inopportuno agli occhi del regime. Non si era mai iscritto a ‘quel Partito’, dichiarò, era stato
arrestato ‘moltissime volte’, aveva salvato amici dalla prigione, e ci ‘furono mille altri atti dello
stesso genere’.167 Il fatto che Piccioni si è basato, soprattutto, sui documenti personali del
poeta e sulle conversazioni, è già stato menzionato nelle precedenti pagine (cfr p. 36). Il
biografo, però, non approfondisce la questione dell’iscrizione al Partito Nazionale Fascista,
negata da Ungaretti nella lettera a lui indirizzata, mentre secondo vari studiosi il poeta si
iscrisse nel 1924.
165
Ivi, p. 152.
166
Leone Piccioni, Ungaretti e il fascismo, cit., p. 164.
167
Ivi, p. 165.
‐ 57 ‐ Anche di fronte ai numerosi arresti c’è incertezza: Piccioni elenca nella sua
bibliografia tre arresti, che certamente non sono una cifra insignificante, ma una cifra che
comunque non corrisponde alle moltissime volte di cui parla Ungaretti stesso. Vediamo però
che molti critici letterari citano Piccioni quando parlano dei numerosi conflitti del poeta con
l’apparato fascista, tra cui Cortellessa e Anna Vergelli. Entrambi affermano che i suoi
problemi con il regime erano numerosi, citando come esempio gli arresti, ma non riferiscono
altri eventi se non quelli già citati nella biografia di Piccioni.168
Nella stessa raccolta è riprodotto un articolo di Francesca Petrocchi, di cui discuterò
più tardi l’elaborazione pubblicata in volume.
Il quarto articolo è stato scritto da Anna Vergelli. Pubblicato nel 1990, fa parte di un libro
intitolato Un uomo di prim’ordine, che raccoglie vari inediti ungarettiani al fine di dipingere un
quadro più trasparente del suo ruolo di tramite per la cultura francese: vengono dunque citate
frequentemente le lettere tra il poeta e ufficiali del regime, tra cui Mussolini, così delineando
anche il rapporto difficile con gli istituti ufficiali.
Come molti altri, laVergelli spiega l’adesione di Ungaretti al fascismo come uno
sviluppo non proprio tipico dell’individuo, bensì come una tendenza che segna un’ epoca:
È facile ritrovare proprio nella parabola ungarettiana dal giovanile interventismo, attraverso la
crisi e la delusione post-bellica, sino all’adesione ufficialmente entusiasta verso la crescente
prospettiva di una rinnovata coesione d’ordine socio-politico e culturale, gli elementi che
determinarono, all’epoca, quel ‘consenso nazionale’ al fascismo e in particolare al duce, figura
carismatica di sempre maggiore rilievo rispetto al progressivo ‘poco credito del PNF e del
fascismo come ideologia.’169
Negli anni 1925 e 1926, Ungaretti fu invitato a tenere una conferenza in Belgio e Olanda sul
tema Le grandi riforme del Fascismo, secondo il poeta per ‘la grande stima’ che esisteva per lui
all’estero. Poichè il viaggio poteva essere visto come propaganda, ritenne legittimo chiedere
un sostegno a Mussolini. E lo ricevette: una somma di 1.500 lire.170 Ma Ungaretti non
incontrò sempre una collaborazione così cordiale: nel momento in cui il poeta voleva
168
Cfr. Anna Vergelli, ‘Un uomo di prim’ordine.’, cit., p. 101, 119; Cortellessa, Giuseppe Ungaretti,
cit., p. 104.
169
Anna Vergelli, ‘Un uomo di prim’ordine.’ cit., p. 38.
170
Ivi, p. 30.
‐ 58 ‐ prevenire la pubblicazione di un articolo francese, La Terreur Fasciste, un testo ferocemente
antifascista, il poeta non ricevette l’importo da lui richiesto per coprire le spese del viaggio
neccessario per parlare con la redazione della rivista francese a Parigi.
Secondo Vergelli, Ungaretti non ricevette questa somma perché i rapporti tra lui e il
regime si erano raffreddati a seguito dell’episodio avvenuto nel treno dove il poeta venne
arrestato per aver dichiarato ad alta voce che aveva intenzione di emigrare in Francia.171
L’incidente ebbe conseguenze anche su piano lavorativo: il direttore dell’Ufficio stampa, in
seguito all’arresto, scrisse un’appasionata lettera in cui difendeva il comportamento
immacolato del poeta e il suo valore come letterato, e si opponeva ad un eventuale
licenziamento.172
In realtà, però, fu una ‘resa scarsa’ la ragione ufficiale per cui nel 1931 Ungaretti
venne destituito.173 La notizia gli venne recapitata in forma di lettera dal tono ironico:
Non voglio discutere sui servizi da Lei resi al Paese e al Fascismo, ma qui Ella era stato
assunto per compiere un determinato lavoro, che non ha mai compiuto.
Da tre anni, circa, da quando cioè vi presto servizio anch’io, non ho mai avuto il
piacere di vederla lavorare. Dunque è evidente che il Suo era un servizio speciale, da me
ignorato, diverso da quello per il quale aveva un regolare compenso, anche se – come Ella
afferma, e come non ho difficoltà a credere – non lavorava per il compenso stesso. Perciò era
mio dovere provvedere al Suo licenziamento, come ho provveduto con la lettera che Le
confermo.174
Vergelli vede nel licenziamento di Ungaretti un esempio del ‘reciproco complesso
atteggiamento’.175 Afferma che nonostante ‘la fedeltà dichiarata e dovuta’, nonostante il
rapporto ‘cordiale’ con il duce, egli fu licenziato. Fatto sta, però, che anche il suo primo capo,
che si oppose ardentemente ad un licenziamento, dovette ammettere che il suo modo di
lavorare poteva suscitare qualche protesta:
171
Non è da escludere una motivazione più banale: potrebbe essere che il regime ha
interpretato la richiesta di Ungaretti come un modo economico per visitare i suoi amici francesi;
amicizie e di cui il suo datore di lavoro era al corrente.
172
Anna Vergelli, ‘Un uomo di prim’ordine.’, cit., p. 14.
173
Secondo Bernardini invece non erano i rendimenti scarsi la motivazione per il suo
licenziamento, ma un conflitto con Amedeo Giannini. Cfr. Francesca Bernardini Napoletano, Il lungo
viaggio di Ungaretti attraverso il fascismo, cit., p. 115.
174
Lettera di Ferretti a Giuseppe Ungaretti, 16 aprile 1931, citato da Anna Vergelli, ‘Un uomo di
prim’ordine’, cit., p. 118.
175
Anna Vergelli, ‘Un uomo di prim’ordine’, cit., p. 45.
‐ 59 ‐ E, se per lealtà devo osservare che scarso è il suo rendimento dal punto di vista del servizio,
egli è stato tuttavia trattenuto in ufficio in vista appunto dei suoi precedenti politici, del suo
valore individuale come letterato e come poeta e infine delle condizioni sue, cui si è innanzi
accennato.
In tutti i casi è da escludersi che si possa, in occasione dell’incidente attuale,
procedere al licenziamento dell’Ungaretti.176
Si possono distinguere più contraddizioni nell’atteggiamento del regime verso Ungaretti: al
poeta non fu mai offerto un contratto fisso, nè gli fu fornito un nuovo lavoro dopo il
licenziamento, ma, allo stesso tempo, poté contare sul supporto del suo capo a seguito del
suo arresto, fu aiutato a trovare una casa migliore, e al suo licenziamento ricevette la somma
di 10.000 lire ‘con lo scopo preciso di aiutare [...] la sua opera letteraria, ostacolata da esigenze
di carattere economico.’177
Un rapporto dunque, caratterizzato da contraddizioni, secondo Vergelli, quello tra
Ungaretti ed il fascismo. Ritiene che i favori del regime erano destinati ‘più al poeta che
all’uomo’;178 perché il regime realizzava fin troppo bene che nell’Ungaretti poeta aveva
trovato un sostenitore pregevole dell’ideologia fascista. Dell’uomo Ungaretti, invece, il
regime ‘non sapeva proprio che farsene’ – per ripetere la conclusione di, citata a pagina 44.
Queste sfumature erano doverose nei confronti di Ungaretti, conclude la studiosa, per
sottolineare che non è possibile categorizzare lo scrittore moralmente o eticamente:
Un ‘homme’ [...] qui a toujours brûlé sa vie pour quelque chose de bien plus grand que
l’homme [...]’, vissuto in una difficile epoca storica, che ha visto coinvolti con il potere alcuni
dei più prestigiosi nomi della nostra cultura: da D’Annunzio a Pirandello, da Cecchi a Soffici,
alla Serao, senza che per questo la loro opera ne sia risultata sminuita, sebbene più
chiaramente ridimensionata eliminando, come ha giustamente sottolineato Guarnieri, quella
‘volontà della celebrazione’ a tutti i costi, quella ‘esemplarità posta in termini moralistici’ che
degenera sovente nell’ ‘agiografia’, nell’‘apologia edificante’ del tutto estranea, sempre, alla
complessa vicenda umana del poeta.
176
Il direttore dell’ufficio stampa a s.n., 23 luglio 1928, citato da: Anna Vergelli,‘Un uomo di
prim’ordine’, cit., p.101.
177
Anna Vergelli,‘Un uomo di prim’ordine’, cit., p. 121.
178
Idem, p. 122.
‐ 60 ‐ Doverosa ancor più nei confronti dello scrittore che, a differenza di altri, ha sempre
dichiarato con coraggio le proprie posizioni politiche e non.179
Una simile conclusione è tratta da Francesca Petrocchi, nel suo studio Scrittori italiani e fascismo
(Roma, 1997). In questo libro, un capitolo si focalizza ‘sull’itinerario dei rapporti tra
Ungaretti e Mussolini’.180 Petrocchi ricollega il fascismo di Mussolini con concetti soreliani, e
non è la prima a farlo:
Evidente è l’attrazione verso le matrici soreliane del nascente fascismo (il sindacalismo
rivoluzionario del socialismo mussoloniano): si guardi al termine ‘religione’ così prossimo al
‘mito’ d’accezione soreliana, cui Ungaretti unisce al sistema ‘tradizionale’ della politica
italiana.181
Già Piccioni ha rinviato a Georges Sorel, in merito al fascismo di Ungaretti;182 uno dei libri di
Sorel, Réflections sur la violence, avrebbe ispirato il fascismo e il comunismo perché proclamava
il sindacalismo rivoluzionario e ‘il mito’ dello sciopero generale. Diversi critici hanno
affermato l’influenza di Georges Sorel sul poeta, alcuni hanno anche sottolineato che
Mussolini stesso era un grande ammiratore dei suoi libri. Anche Bernardini, per esempio,
vede un rapporto tra i ‘miti’ proposti da Sorel e la mitologia personale di Ungaretti.183
Di fronte alla prefazione mussoliniana, molto discussa, Petrocchi aggiunge la novità
che non fu né il suo editore Ettore del Serra (come affermato da Piccioni) né il suo amico
Soffici (come affermato dall’editore) a contattare Mussolini, ma il poeta stesso, come ci
dimostra una lettera del 5 novembre 1922:
L’Italia nuova deve sapere dare di più al valore. Vuole V.E. che la rinnovata italianità sta
consacrando, innalzare anche la mia fede? [...] Poche righe di prefazione da parte di V.E. –
quando le gravi cure dello Stato le daranno un momento di tregua – sarebbe per me, agli
occhi di tutti, un gran segno d’onore.184
179
Ivi, p. 145.
180
Francesca Petrocchi, Giuseppe Ungaretti e il fascismo, cit., p. 167.
181
Ivi, p. 168.
182
Leone Piccioni, Vita di Ungaretti, cit., p. 142
183
Francesca Bernardini Napoletano, Il lungo viaggio di Ungaretti attraverso il fascismo, cit., p. 121.
184
Lettera di Ungaretti a Mussolini, 5 novembre 1922, citato da Francesca Petrocchi, Giuseppe
Ungaretti e il fascismo, cit., p. 170.
‐ 61 ‐ Secondo Petrocchi, sono gli aspetti antiborghesi che formano il cardine dell’attrazione del
fascismo su Ungaretti. Il poeta aspettava con impazienza un cambiamento politico, e credette
profondamente che Mussolini potesse dare un taglio alla politica di malgoverno. Infine, come
notano molti altri, egli era molto ricettivo per la creazione dei miti, come per esempio la
glorificazione del passato romano.185
Ma la studiosa fa notare che quest’adesione era l’effetto di un ventaglio di circostanze:
Nel caso di Ungaretti è certo un’adesione che si motiva su ragioni ideologiche ma anche
psicologiche, personali, private, collegate alle difficile situazione ‘professionale’ del poeta: che
non esclude, oltretutto, un divario tra giudizio ‘privato’ e atteggiamento ‘ufficiale’, gravato da
elementi caratteriali, umorali.
Una posizione che, quando si passa ad esaminare i giudizi privati di Ungaretti
sull’effetiva realtà culturale del fascismo, può non esser lontana.186
Petrocchi in questo brano afferma che la scelta politica di Ungaretti era ispirata da un
groviglio di aspetti. Nello stesso tempo prova ad individuare il fondamento logico della sua
convinzione.
Petrocchi, come altri, sottolinea il fatto che l’adesione deve essere vista alla luce del
contesto storico. Interpreta la frase che Ungaretti usò per descrivere il duce: ‘S’è messo a
capo d’una generazione’ come una che è ‘in linea con le posizioni espresse da alcuni
intellettuali della sua generazione’.187 La mitizzazione di Mussolini era diffusissima in quegli
anni, in tutti gli strati della società. Però descrive l’iscrizione al Partito Nazionale Fascista,
proprio il 30 agosto del 1924, come una vera ‘scelta di campo’.188
Infine, anche lei vede come punto fondamentale il fatto che il poeta non nacque in
Italia, individuando il suo senso di sradicamento come una delle cause della sua ‘opera
missionaria’ per mantenere vivo il sentimento d’italianità, esibita da lui negli articoli per i
giornali del Ventennio.
Ungaretti desiderò così ardentemente un riconoscimento da parte delle istituzioni
letterarie in quegli anni che la sua integrazione con la politica deve essere letta in questo
185
Francesca Petrocchi, Giuseppe Ungaretti e il fascismo, cit., pp. 175-182.
186
Ivi, p. 181.
187
Ivi, 182.
188
Ivi, p. 204.
‐ 62 ‐ chiave. ‘Il governo nazionale significa condanna alla fame di quanti hanno intelligenza?’,189
chiese a Mussolini. Questa domanda diventò una specie di mantra nella corrispondenza tra
lui e il duce. Domande o richieste di questo tipo le scrisse più volte a Mussolini, come nel
dicembre del 1922: ‘Non fate soffrire un uomo che ama voi e la vostra causa.’190
Non c’è da sorprendersi che fosse proprio lui ad esprimersi con chiarezza a favore
della fondazione dell’Accademia d’Italia, sia nei giornali, dove difese i principi fondamentali
dell’istituto (‘la nostra Accademia non nasce di salotto, nasce da una rivoluzione di
popolo’),191 che nelle sue lettere a Mussolini a cui scrisse persino una lettera di
autocandidatura:
Il nome D’Annunzio è sacro a tutti noi. E il primo.
In pittura, ci sono Soffici e Carrà.
Tra i giovani poeti, c’è il sottoscritto.192
Una richiesta rinnovata si trova anche in una lettera di tre anni dopo: ‘Mio Duce, redattore
del Popolo d’Italia nel 1919, diciannovista, chiedo l’insigne onore di non essere dimenticato
nella lista di quelli che vi furono fedeli sin dalla prima ora.’193 Dopo la nominazione non
verificatasi subito dopo la fondazione dell’Istituto, Ungaretti reagì in modo ironico, ma
deluso: ‘Se continua di questo passo bisognerà proprio dire che, in materia d’arte, il fascismo
non solo non cambia nulla, ma accredita i peggiori.’194
Ma il poeta provò anche in altri modi a mostrarsi come un participante attivo al
dibattito culturale di un certo livello. Nel 1927 propose una riunione tra i redattori de La
Nouvelle Revue Française e Mussolini per valutare la possibilità di un rapporto più stretto con il
fascismo. Ma Mussolini si rifiutò, ostentando, nelle parole di Petrocchi, ‘insofferenza e
189
Lettera di Ungaretti a Mussolini, dicembre 1922, citato da: Francesca Petrocchi, Giuseppe
Ungaretti e il fascismo, cit., p. 173.
190
Lettera di Ungaretti a Mussolini, 23 dicembre 1922, citato da: Francesca Petrocchi, Giuseppe
Ungaretti e il fascismo, cit., p. 177.
191
Giuseppe Ungaretti, A proposito dell’Accademia, in “Il Mattino”, 28-29 gennaio 1926, citato da
Francesca Petrocchi, Giuseppe Ungaretti e il fascismo, cit., p. 187.
192
Lettera di Ungaretti a Mussolini, 26 gennaio 1926, citato da: Francesca Petrocchi, Giuseppe
Ungaretti e il fascismo, cit., p. 205.
193
Lettera di Ungaretti a Mussolini, 18 febbraio 1929, citato da: Francesca Petrocchi, Giuseppe
Ungaretti e il fascismo, cit., p. 197.
194
Lettera di Ungaretti a Soffici, 8 giugno 1926, citato da: Francesca Petrocchi, Giuseppe Ungaretti
e il fascismo, cit., p. 207.
‐ 63 ‐ mancanza assoluta d’interesse’ di fronte al poeta.195 Come già sappiamo, quasi tutti i tentativi
del poeta per ottenere stima e rispetto risultarono vani, almeno fino al 1942, quando
finalmente fu onorato con la nomina all’Accademia. La reazione di Ungaretti è significativa.
Nonostante tutti i suoi sforzi, il desiderio di integrazione nell’organizzazione culturale
ufficiale non si materializzò mai prima del 1942. Il contatto tra il duce e Ungaretti, cosí
conclude Petrocchi, era a senso unico.196
Nonostante Ungaretti, nei suoi articoli, si impegnasse a tradurre i concetti fascisti per
un pubblico più vasto e nonostante ritenesse giusto che gli artisti si affannassero per lo stato,
ebbe sempre una decisa avversione per l’ingerenza di quest’ultimo nel mondo dell’arte:
L’arte è un fatto misterioso, lo Stato può sempre preparare le condizioni favorevoli alla sua
fioritura e al perfezionamento della sua qualità, ma lo Stato non potrebbe mai fabbricare
artisti con lo stampino. Se una certa libertà dell’arte venisse violata, sarebbero giorni neri per
l’arte.197
Ovviamente questo concetto ungarettiano non si ricollegava facilmente agli ideali della
politica culturale fascista, dove all’artista era assegnato l’incarico di mettersi al servizio dello
Stato. L’Accademia per esempio non risultò solo un’istituto per far ‘fiorire’ le arti senza
condizionamenti, come lo sognava Ungaretti, ma un prolungamento del Regime, come
dimostra la richiesta del giuramento di fedeltà al fascismo nel 1934.198
Come mai, allora, il poeta decise di accettare la nomina all’Accademia dopo tante
delusioni? Questa rimane una domanda a cui è difficile rispondere in modo inequivoco, dice
Petrocchi:
Anzi, direi che il curriculum vitae che sintetizza la sua fondamentale operosità poetica ed
artistica, in qualche modo cozzi tragicamente con l’estremo atto strumentale con il quale il
regime – ormai sull’orlo del baratro, in una Italia ferita dal conflitto mondiale – pone sul capo
del ‘milite fedele’ (e solo dopo gli anni brasiliani in cui egli ha riassunto le spoglie
dell’emigrante, del transplanté) la nobile feluca dell’Accademia nell’autunno del 1942.199 Francesca Petrocchi, Giuseppe Ungaretti e il fascismo, cit., p. 199
196
Francesca Petrocchi, Giuseppe Ungaretti e il fascismo, cit., p. 208
197
Giuseppe Ungaretti, Arte, affari e abracadabra, in “Il Resto del Carlino”, 21 luglio 1928, citato
da Francesca Petrocchi, Giuseppe Ungaretti e il fascismo, cit., p. 195
198
Francesca Petrocchi, Giuseppe Ungaretti e il fascismo, cit., p. 208
199
Ivi, p. 209
195
‐ 64 ‐ Conclusione
Nato negli ultimi decenni dell’Ottocento, proprio alle soglie del nuovo secolo, Giuseppe
Ungaretti può essere considerato per antomasia un poeta novecentesco. Grazie alle sue poesie,
considerate rivoluzionarie rispetto ai tempi, egli ha lasciato un’impronta fondamentale sulla
storia della letteratura italiana del Novecento. Ungaretti, ovviamente, ha vissuto il
diciannovesimo secolo non solo da poeta, ma anche da uomo: era sensibile alle idee di
filosofia e politica dominanti nella sua epoca, a tal punto da convertirsi con fervore al
fascismo. La domanda che mi sono posta in questa tesi è come la critica italiana ha trattato
l’adesione al fascismo del poeta. Come viene concepita la sua relazione con il regime fascista?
Il primo punto che emerge dall’analisi della saggistica è che la questione in genere è
stata trattata con delicatezza, come risulta soprattutto dalla lettura della biografia del poeta,
opera di Leone Piccioni. Il biografo sembra a volte assumere il ruolo di avvocato, nei
confronti di Ungaretti, difendendolo da attacchi categorizzanti, ovvero dai tentativi di
valutare il comportamento politico del poeta sul piano morale.
Da questo fatto possiamo già trarre due conclusioni preliminari. Prima di tutto che la
posizione politica del poeta è stato oggetto di discussione; e inoltre che c’è stata una tendenza
ad offrire un quadro più variegato dell’impegno politico del poeta. Il tono difensivo usato da
Piccioni dimostra che il fascismo di Ungaretti ha portato a delle riflessioni critiche, il che
dimostra come la sua scelta venisse giudicata dal punto di vista morale. Ci siamo chiesti,
dunque, se si trovano tracce di questo dibattito negli studi letterari dedicati allo scrittore.
È un fatto noto che il lavoro degli studiosi di letteratura non si svolga isolatamente
dagli dagli sviluppi della società. Il governo italiano subito dopo la guerra voleva trasmettere
l’idea che la società fosse composta da buoni e cattivi, da eroi e traditori, e non c’era molto
spazio per sfumature. La rigida distinzione fra queste due categorie era diffusa in tutta
l’Europa liberata, ed era un riflesso del desiderio di voltare velocemente la pagina di una
storia drammatica.
‐ 65 ‐ È Piccioni, in particolare, che rifiuta decisamente una categorizzazione di Ungaretti in
tal senso. Egli non cerca di rappresentare il poeta come un eroe, ma si oppone con fervore
alla sua annoverazione nell’altro campo, quello dei cosiddetti ‘cattivi’. Piccioni, tuttavia,
chiaramente non è l’unico a reagire ai giudizi di natura etica mossi nei confronto del
comportamento di Ungaretti. Anna Vergelli, per esempio, fa notare che la vicenda umana del
poeta è troppo complessa per permettere giudizi morali. Infine Andrea Cortellessa trae una
simile conclusione, sostenendo che le scelte politiche fatte da Ungaretti, benché
‘sorprendenti’ o magari ‘respingenti’, debbano essere viste alla luce dell’indole ‘prepolitica’
dello scrittore. 200
Il carattere dei contributi esaminati dimostra che il passato politico dell’autore non è
stato condannato dalla critica del dopoguerra. Tuttavia, come già osservato, la critica ha
sentito la neccessità di approfondire, precisare e interpretare le scelte politiche del poeta.
Divergono però i modi in cui l’adesione ungarettiana al fascismo è stata interpretata.
Nel corpus indagato, il primo articolo dedicato a questo argomento risale al 1984.
Nonostante esista un consenso sull’abisso fra la vita politica del poeta e la sua attività lirica,
l’autore, Robert S. Dombrowski ha audacemente proposto una lettura dell’opera di Ungaretti
che tenga conto del complesso pensiero politico del poeta. Il suo discorso, però, non ha
trovato risonanza negli articoli successivi.
Mentre il punto di partenza di Dombrowski è sempre l’opera del poeta, in altri studi
sono i documenti d’archivio a formare la base di dipingere un’immagine politica del poeta.
Molte lettere di Ungaretti hanno dato l’opportunità ai critici di delineare un quadro completo
del suo atteggiamento verso il Duce ed il clima politico. Bernardini Napoletano ha indagato
le lettere del poeta a Corrado Pavolini, un fascista più ortodosso di Ungaretti. Da esse emerge
l’immagine di un poeta che, benchè fascista convinto, aveva comunque delle idee piuttosto
scomode alla situazione politica dell’epoca. A questo proposito, sono importanti le sue idee
di letteratura, che erano fortemente orientate all’estero, e che a volte creavano polemiche con
colleghi-artisti in Italia. A causa di queste discussioni, la ricompensa del regime per la sua
devozione alla causa fascista si è materializzata solo a distanza di molti anni, ovvero nel 1942.
Anche Vergelli parte dalla lettura e dall’analisi di diversi documenti d’archivio,
specialmente di lettere inedite. Come Bernardini, conclude che l’amore che Ungaretti nutriva
per il fascismo non era sempre corrisposto. Francesca Petrocchi, infine, arriva a una
conclusione simile. La studiosa prende in esame delle lettere scritte dal poeta a Mussolini,
200
Cortellessa, cit., p. 75.
‐ 66 ‐ piene di supplichevoli richieste finanziarie e pretese di riconoscimento: ‘Non una delle
richieste [...] venne accolta da Mussolini’, osserva Petrocchi. La relazione di Ungaretti con il
fascismo era dunque, come sostengono tutti gli studiosi citati, complessa e ambigua.
Nei vari studi esaminati viene proposta una spiegazione della preferenza politica del poeta.
Gli studiosi seguono due filoni: in primo luogo, affermano che l’attività politica dell’autore
deve essere vista in un contesto storico, in cui l’adesione al fascismo era sostenuta
ampiamente. Un secondo fattore non trascurabile è poi il carattere fortemente antiborghese
del poeta, che giustificherebbe la scelta di aderire al fascismo della prima ora.
È notevole anche la cautela con cui è descritta la filosofia politica dello scrittore,
chiaramente a causa dell’estrosità del soggetto stesso: il pensiero di Ungaretti risulta
estremamente complesso e pieno di contraddizioni. Il suo atteggiamento era talmente
ambiguo che anche i funzionari del governo di allora ‘non sapevano che fare’ con
quest’uomo che da un lato celebrava l’italianità e dall’altro si rivolgeva alla cultura d’oltralpe.
Una ambiguità, peraltro, che vediamo ancora riflessa nei contributi odierni.
Questa difficoltà a dipingere un quadro teoretico del pensiero politico ungarettiano, è
rafforzata dall’opinione comune che esiste sulla produzione scritta di Ungaretti: secondo
molti essa è priva di risonanze letterarie fasciste. Pur convinti della mancanza di riferimenti
fascisti concreti, gli studiosi concordano nell’affermare che il titolo della sua terza raccolta, Il
sentimento del tempo, può essere interpretato letteralmente. Molti critici ritengono che questo
rifletta l’epoca storica di Ungaretti e rappresenti dunque anche una traduzione delle tendenze
politiche del fascismo.
Abbiamo visto che le storie letterarie e le introduzioni all’opera di Ungaretti riflettono
queste varie tendenze e conclusioni della critica. Gli studiosi spiegano l’adesione del poeta
ponendola in relazione al contesto storico, senza oscurare però la complessità
dell’interpretare le ragioni della sua scelta solo alla luce delle vicende storiche. Ungaretti viene
presentato sia come un ‘emigrante sradicato, vagabondo curioso e intellettuale cosmopolita’,
sia come un ‘accademico fascista e alfiere dell’identità culturale italiana.’201
201
Enciclopedia della letteratura italiana Oxford-Zanichelli. A cura di Peter Hainsworth e David
Robey, Bologna, Zanichelli, 2004, p. 811.
‐ 67 ‐ Una domanda più ampia che è stata posta in questa tesi è se l’atteggiamento della critica
italiana nei confronti del ‘patrimonio dissonante’ sia paragonabile all’approccio internazionale
alla stessa questione.
Secondo Golomstock, l’organizzazione della vita culturale in Italia durante gli anni
del regime non era quella tipicamente totalitaria. L’artista, in piena contraddizione con la
situazione presente in altri regimi dittatoriali, era abbastanza libero di scegliere la forma
individuale in cui esprimersi. Per questa ragione, l’eredità letteraria del Ventennio è
difficilmente paragonabile a quella di altri regimi totalitari. Un’analisi dei riferimenti
all’adesione di Ungaretti al fascismo, presenti nelle enciclopedie letterarie e nelle storie di
letteratura, dimostra quanto anche in Italia lo sviluppo nel dopoguerra di una critica orientata
a categorizzare tutto in bene e male sia paragonabile a quello avvenuta all’estero.
Il fatto che i primi articoli esplicitamente dedicati alla biografia politica di Ungaretti
abbiano fatto la loro prima comparsa negli anni ’80, ci dimostra che anche la critica italiana
ha avuto bisogno di tempo prima di esaminare in modo approfondito e oggettivo
l’atteggiamento degli intellettuali durante il Ventennio. Questo fenomeno si inserisce
chiaramente nelle tendenze internazionali nei confronti del ‘patrimonio dissonante’.
‐ 68 ‐ Appendice
Prefazione a La porta sepolta di Benito Mussolini, 1923
Non saprei proprio dire in questo momento come Giuseppe Ungaretti sia entrato nel cerchio
della mia vita. Deve essere stato durante la guerra o imminentemente dopo. Ricordo che fu
per qualche tempo corrispondente del Popolo d’ Italia da Parigi. Non era un corrispondente
politico e nemmeno un minuto raccoglitore delle cronache francesi: di quando in quando i
suoi articoli affrontavano dei problemi che sembravano trascurati. Si trattava di anticipazioni
o di indagini fatte da un nuovo punto di vista. Poi a revoluzione fascista compiuta, seppi per
caso che egli era all’ufficio stampa del Ministero degli Esteri. Confesso che la cosa mi parve
paradossale. Sulle prime: perché poi pensandoci mi accorsi che non sempre burocrazia e
poesia, burocrazia ed arte sono termini inconciliabili. Mi pare che Guy de Maupassant fosse
un impiegato dell’amministrazione francese: ed uno dei poeti più interessanti della Francia
contemporanea è nella carriera diplomatica. Ma dopo tanto tempo il burocrate non ha ucciso
il poeta: e lo dimostra questo libro di poesia. Il mio compito non è di recensirlo: coloro che
leggeranno queste pagine si troveranno di fronte ad una testimonianza profonda della poesia
fatta di sensibilità, di tormento, di ricerca, di passione e di mistero.202
Benito Mussolini
202 Giuseppe Ungaretti, Allegria, cit., p. XLII
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Fly UP