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Un uomo `prepolitico` - UvA-DARE
Unuomo‘ prepol i t i co’ L’ ade s i onealf as c i s modi ne l l ac r i t i c ai t al i ana Te s idil aur e as pe c i al i s t i c ai nl i nguaec ul t ur ai t al i ana Nome :Fr e de r i keDoppe nbe r g Re l at or e :Dr .Li ndaPe nni ngs Cor r e l at or e :Dr .Ronal ddeRooy Uni ve r s i t àdiAms t e r dam Fac ol t àdiSc i e nz eUmane 30agos t o201 1 Un uomo ‘prepolitico’ L’adesione al fascismo di Giuseppe Ungaretti nella critica italiana Tesi di laurea specialistica in lingua e cultura italiana Nome: Frederike Doppenberg Relatore: Dr. Linda Pennings Correlatore: Dr. Ronald de Rooy Università di Amsterdam Facoltà di Scienze Umane 30 agosto 2011 Indice Introduzione 1. 2. 3. 3 ‘Libro e Moschetto’. Le vita letteraria durante il regime fascista Il ruolo del libro e dello scrittore 9 Istituzioni letterarie 10 ‘Uomo di pena’.Vita di Ungaretti Alessandria 15 Parigi 17 Roma 20 Brasile 22 Ritorno a Roma 23 Un amore a senso unico. Commenti sull’ideologia politica di Giuseppe Ungaretti Storie e dizionari della letteratura italiana 27 Biografie 35 Monografie 46 Introduzioni 49 Saggi specializzati 51 Conclusione 65 Appendice 69 Bibliografia 70 ‐ 2 ‐ Introduzione La mia poesia la capivano i contadini, miei fratelli in trincea; la capisce il mio Duce, che volle onorarla di una prefazione; la capiranno sempre i semplici e i detti di buona fede [...]. Tutto ciò che di nuovo si fa in Italia e di fuori, porta in poesia l’impronta dei miei sogni e del mio tormento espressivo [...] di una vita durissima come la mia, fieramente italiana e fascista. 1 Giuseppe Ungaretti, in: “Italia Letteraria”, 1932 L’essere poeta di Giuseppe Ungaretti iniziò in un periodo burrascoso della storia italiana. Il poeta, infatti, esordì nella rivista Lacerba nel 1915. Un anno prima, nel 1914, l’Europa si era imbarcata nella prima guerra mondiale, tragico evento a cui anche Ungaretti prese parte come soldato, a solo otto mesi dopo il suo debutto come poeta. Diede espressione agli effetti devastanti della guerra nella sua prima raccolta di poesie, Il Porto Sepolto. Ungaretti trascorse una vita lunga e, essendo nato nel 1888, visse da testimone oculare tutte le tragedie, le bellezze, gli sviluppi, sia nell’arte che nella società, a cui il Novecento diede frutto. E non fu solo un testimone, come già accennato: ne fece parte, nelle trincee della Grande Guerra ma anche come acceso sostenitore del fascismo. È proprio questa partecipazione attiva nella società fascista che voglio indagare in questa tesi. L’adesione del poeta al fascismo non è del tutto un segreto, ma ci si chiede come abbia reagito la critica alle preferenze politiche di Ungaretti, ormai considerato uno dei maggiori poeti italiani, sia in Italia che all’estero. La sua ideologia politica è stata considerata come una macchia sulla carriera del poeta? La critica ha espresso un giudizio etico sulla sua adesione al fascismo nel dopoguerra? Ha giustificato o condannato il suo atteggiamento nei confronti del regime, oppure si astiene da giudizi morali? La sua opera è mai stata letta in chiave politica? 1 Citato da: Robert S. Dombrowski, Ungaretti ed il fascismo, in: L’esistenza ubbidiente, Napoli, Guida, 1984, p. 72. ‐ 3 ‐ Mi sono posta domande simili, durante la ricerca condotta per la mia tesi di laurea, scritta a conclusione dei miei studi di Letteratura olandese nel 2007, tesi dedicata ad una casa editrice socialista, che durante l’occupazione nazista dell’Olanda era nazificata, allo scopo di ‘convertire’ i clienti socialisti al nazionalsocialismo.2 Dopo la liberazione, tuttavia, la suddetta casa editrice volle licenziare tutti i lavoratori che erano rimasti a lavorare lì durante l’occupazione, affinché il mondo esterno capisse il suo desiderio di rinascere ‘puramente’ socialista e liberata dalla presenza di collaborazionisti. Quest’azione va compresa in chiave sociale: subito dopo la liberazione, in Olanda arrivò presto il giorno della resa dei conti. Persone che nutrivano idee nazionalsocialiste destarono il risentimento della massa. Anche da parte del governo c’era il desiderio di fare piazza pulita: nell’anno della liberazione dall’occupazione tedesca, diede vita, per esempio, alla Commissione per l’Epurazione della Stampa, fondata proprio con l’intento di sospendere tutti quelli che avevano collaborato attivamente con l’invasore. 3 L’Olanda ovviamente non era l’unico paese in cui esisteva il desiderio di chiedere conto a tutti quelli che fino alla liberazione avevano supportato l’oppressore. Molto noto è il processo contro Knut Hamsun, scrittore norvegese e vincitore del premio Nobel nel 1920: simpatizzante del nazismo norvegese e tedesco, nel 1948 fu costretto a pagare un’ingente somma al governo norvegese, nonostante fosse già stata riconosciuta la sua infermità mentale. Com’è noto, con un simile processo ebbe a che fare Louis Ferdinand Céline, forse lo scrittore più noto e discusso per il suo pensiero antisemitico. Nel 1950 venne condannato per collaborazionismo nel corso dei processi d’epurazione intentati dal governo francese. Dovette pagare una multa di 50.000 franchi, e fu condannato ad un anno di carcere e alla totale confisca dei suoi beni, essendo stato giudicato colpevole di indignité nationale,4 un termine usato solamente per le persone che: postérieurement au 16 juin 1940, soit sciemment apporté en France ou à l’étranger une aide directe ou indirecte à l’Allemagne ou à ses alliés, soit porté atteinte à l’unité de la nation ou à la liberté des Français, ou à l’égalité entre ceux-ci. 5 2 Frederike Doppenberg, ‘De Arbeiderspers moest blijven marcheeren.’ Een uitgeverij in oorlogstijd, Amsterdam, De Arbeiderspers, 2009, pp. 24-29. 3 Adriaan Venema, Schrijvers, uitgevers & hun collaboratie. Deel 3A, Amsterdam, De Arbeiderspers, 1990, pp. 304-312. 4 Pierre Assouline, L'épuration des intellectuels, Bruxelles, Complexe, 1985, p. 130. 5 “Journal officiel de la Republique française”, 27 dicembre 1944, p. 2078. ‐ 4 ‐ La velocità con cui la società voleva chiudere un capitolo nero della storia rifletteva un’idea che in quasi tutti i paesi europei si radicò in quel periodo. Nei primi anni dopo la seconda guerra mondiale, le nazioni volevano trasmettere l’idea di un popolo che, nonostante avesse vissuto sotto il giogo insopportabile delle orde teutoniche, non aveva mai piegato il capo.6 Poiché l’idea che gran parte della società avesse tenuto alto l’onore era divulgatissima, la discussione sul ruolo della collaborazione si è messa in moto abbastanza tardi. La convinzione che nell’angoscia dell’occupazione e della guerra vivessero solo eroi o collaborazionisti non si è attenuata che negli ultimi tre o quattro decenni, con gli studi, per esempio, di J.C. Blom, Crisis, bezetting en herstel (Amsterdam, 1989), Éric Conan e Henry Rousso, Vichy, un passé qui ne passe pas (Paris, 1994), e Daniel Goldhagen, Hitler’s Willing Executioners (New York, 1996). Riepilogando, il patrimonio, anche quello letterario, era stato fino a tempi recenti considerato un cosiddetto ‘prerogative of the vanquisher’, mentre oggi l’accento si è spostato più sulle questioni di delitto e castigo,7 come dimostratoci per esempio dalla costituzione di musei in memoria dell’Olocausto. Per questi siti, G.J. Ashworth usa il termine ‘dissonant heritage’, patrimonio dissonante, per descrivere cioè un patrimonio controverso.8 Cos’ è esattamente un patrimonio dissonante? Wars, conflicts, triumph over foreigners, the plunder of riches from overseas – these are the stuff of most national histories. Yet wether they are perceived as troubling for contemporary identity may vary considerably; and what was once seen as a sign of a country’s achievement may later come to be understood as a reason of regret. Colonialism, for example, once a source of great national pride for colonising countries has increasingly – though not unequivocally – come to be regarded as a more problemetic and even shameful heritage.9 6 Frank van Vree, In de schaduw van Auschwitz. Herinneringen, beelden, geschiedenis, Groningen, Historische Uitgeverij, 1995, p. 7. 7 Robbert Shannan Peckham, Mourning Heritage. Memory, trauma and restitution, in: Rethinking heritage. Cultures and politics in Europe, Londen, I.B. Tauris, 2003, pp. 207-210. 8 Ashworth, G.J. (et al.), Dissonant heritage. The management of the past as a resource in conflict. Chichester,Wiley, 1996, p. 16. 9 Sharon MacDonald, Difficult heritage. Negotiating the Nazi past and beyond, Abingdon, Routledge, 2009, p. 2. ‐ 5 ‐ Il retaggio degli scrittori nazionalsocialisti o fascisti può essere considerato per antonomasia come patrimonio dissonante, un’eredità che da diversi gruppi è stata interpretata in modi, appunto, differenti. Siccome l’accento, oggi, si è spostato soprattutto sul ruolo che questo difficile patrimonio dovrebbe giocare nella società odierna, di recente diversi studi si sono concentrati sull’eredità e sulle istituzioni letterarie che fino a poco tempo fa erano sempre state considerate ‘macchiate’, come Der Frontbuchhandel 1939-1945 di Hans-Eugen Bühler (Frankfurt am Main, 2002), Literaturpolitik im Dritten Reich di Jan-Pieter Barbian (Monaco di Baviera, 1995), L’édition Française sous l’occupation.1940-1944 di Pascal Fouché (Parigi, 1987) e Inktpatronen di Hans Renders, Lisa Kuitert e Ernst Bruinsma (Amsterdam, 2006). Anche in Italia sono stati pubblicati numerosi studi sui letterati sotto il regime fascista, e non stupisce che non abbiano potuto contare sempre su un’accoglienza calorosa: Al loro apparire le pagine delle Cronache [stampate per la prima volta nel 1966] suscitarono vivaci discussioni e non poche polemiche. Vi si volle vedere, di volta in volta, l’accusa o la difesa del letterato italiano negli anni oscuri del ventennio fascista. In realtà il mio lavoro era stato concepito e portato a termini con intenzioni assai diverse da quelle che gli vennero attribuite. [...] Anzitutto un’esigenza di carattere morale e politico; quindi l’intento di porsi senza pregiudizi di fronte ai testi per coglierne la parola nel suo significato autentico e interpretarne la storia nella sua complessa articolazione.10 Lo sviluppo descritto qui fa presumere che l’atteggiamento verso il ‘patrimonio dissonante’ sia cambiato. Una domanda interessante sarebbe se in Italia si possa individuare un simile cambiamento nel rapporto con l’eredità ‘macchiata’. In questa tesi ho scelto di fare un casestudy per indagare i temi evocati dalle domande poste all’inizio dell’introduzione. Farò un’analisi della reazione della critica all’adesione al fascismo di Giuseppe Ungaretti, basandomi su monografie, articoli, biografie e storie letterarie, per poi indagare i commenti in un contesto più ampio, quello del cambiamento degli atteggiamenti verso un patrimonio dissonante. Quest’analisi sarà preceduta da due capitoli: un primo in cui presenterò il campo letterario italiano durante gli anni del fascismo, e un secondo in cui darò 10 Giorgio Luti, La letteratura nel ventennio fascista. Cronache letterarie tra le due guerre, Firenze, La Nuova Italia, 1972, p. IX ‐ 6 ‐ spazio alla biografia dello scrittore. La tesi sarà terminata, ovviamente, da una conclusione, nella quale cercherò di interpretare i risultati dell’indagine. Per quanto riguarda il corpus di letteratura secondaria che ho consultato, ho scelto di prendere in esame le vaste collezioni della Biblioteca del Dipartimento di Scienze letterarie e filologiche dell’Università di Torino e quella della Facoltà di Lettere dell’Università di Amsterdam. Ovviamente il corpus, soprattutto per quanto riguarda la saggistica, non può essere esaustivo. Penso però che esso possa essere, entro i limiti di questa ricerca, sufficientemente rappresentativo per trarre qualche cauta conclusione. ‐ 7 ‐ 1. ‘Libro e Moschetto’ La vita letteraria durante il regime fascista Del moschetto ci si può sempre fidare; [...] del libro non sempre. Bisogna scegliere. C’è libro e libro: il libro che serve in aggiunta al moschetto e il libro che in aggiunta al moschetto non serve affatto, se non a far vacillare la mano e a deviare il colpo. 11 Alessandro Pavolini Con la ‘Marcia su Roma’ del 28 ottobre 1922, l’Italia s’incamminò verso il periodo più violento nella storia recente del paese. L’evento fu considerato come un primo passo verso l’imporsi formale del governo di Mussolini nel 1925. Rapidamente quasi tutti gli strati sociali erano impregnati della nuova politica: ‘Tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nulla contro lo Stato’ era l’ideale del Duce. Infatti l’aggettivo ‘totalitario’ è un neologismo italiano, inventato per descrivere lo stato sognato dai fascisti.12 Nel Ventennio, il governo provava ad intromettersi nella vita quotidiana degli italiani, e così anche nella vita intellettuale. La fama di Ungaretti prese forma proprio in questo periodo della storia d’ Italia. Pubblicò le sue raccolte più famose durante gli anni del regime fascista, e personalemente fu un acceso sostenitore del fascismo. Per capire meglio la situazione in cui Ungaretti maturò come poeta, è utile soffermarsi brevemente sull’organizzazione della cultura durante gli anni della dittatura. 11 Citato da: Christopher Rundle, Publishing Translations in Fascist Italy, Bern, Peter Lang AG, 1963, p. 182. 12 Richard J.B. Bosworth, L’Italia di Mussolini. 1915-1945, Milano, Mondadori, 2009, p. 218. ‐ 8 ‐ Il ruolo del libro e dello scrittore Alla parola scritta era attribuito un ruolo importante nel consolidamento del regime fascista. Il governo fascista considerava i libri come indispensabile mezzo per comunicare i propri ideali: ‘Generi di prima necessità: pane libro moschetto Mussolini/ di tutto il resto, grazie a Dio, se ne può fare a meno’, così affermò la copertina della rivista Il libro italiano nel 1928.13 Anche Mussolini stesso ne era convinto, indicando il libro ed il moschetto come gli attributi essenziali del fascismo, in un suo discorso del 1935.14 ‘Libro e moschetto, è fascista perfetto’ era lo slogan preferito dei governatori che erano responsabili della politica culturale nel Ventennio, ed il motto valeva soprattutto nell’educazione dei giovani. Siccome non si poteva vincere una guerra solo con i fucili pensavano - tutti i mezzi di comunicazione erano usati per ‘convertire’ il popolo al fascismo: la radio, il cinema, la stampa, ma anche la letteratura. Quale ruolo giocava il libro durante gli anni fascisti, e quale ruolo era assegnato allo scrittore? Mussolini non parlò mai in termini chiari del concetto di cultura. Secondo lui la cultura rappresentava la modernità e la tradizione insieme, in linea con l’idea di una ‘rivoluzione dell’ordine’.15 Ciò non toglie che negli ideali culturali del fascismo si possano tracciare alcune linee essenziali. Prima di tutto era considerato dovere dello scrittore l’essere un ‘milite’, cioè di impegnarsi per la rivoluzione fascista e di diffonderne le idee. È materia piuttosto confusa quali fossero esattemente queste idee, tuttavia certe preferenze verso motivi letterari esistevano, come l’esaltazione della gioventù, la celebrazione della storia gloriosa dell’Impero Romano, l’opposizione forte alla borghesia, e infine la rivolta contro i vecchi modi della società. Un altro motivo importante era la promozione della cosiddetta italianità, da intendersi come una specifica qualità della cultura italiana e del popolo che essa formò, una cultura in cui le risonanze dell’antica Roma ed il Rinascimento italiano non erano mai stati ammutoliti.16 Sulla forma in cui l’arte dovesse essere presentata, non esisteva consenso. Questo creò la situazione in cui sia l’arte moderna, come il futurismo, sia altre forme più tradizionali 13 Il Novecento. Dagli anni Venti agli anni Ottanta (tomo 2). A cura di Giorgio Luti, Padua, Piccin Nuova Libraria, 1993, p. 1234. 14 Richard Collier, Duce! The Rise and Fall of Benito Mussolini. London, Viking Press, 1971, p. 104. 15 Jeffrey T. Schnapp, Epic Demonstrations. In: Richard J. Golsan (ed.), Fascism, Aethetica, and Culture, Hanover/New Hampshire, University Press of New England, 1992, p. 2. 16 Igor Golomstock, Totalitarian art in the Soviet Union, the Third Reich, Fascist Italy, and the People’s Republic of China. New York, Overlook Duckworth, 2011, p. 38. ‐ 9 ‐ trovavano un’accoglienza calorosa nel Ventennio. Anche Ferroni afferma che il panorama culturale del fascismo era piuttosto ampio: Il fascismo riuscì a inscrivere nel suo orizzonte totalitario sia il perbenismo più tradizionalista e il patriottismo più cupamente conservatore, sia il vitalismo più rissoso e scatenato: sembrava poter dare spazio al più vieto classicismo e al più accanito futurismo, alla retorica della romanità e dell’eroismo antico e alla ricerca di modernità, alla più cupa serietà professorale e al mito di una scomposta ed esaltata ‘giovinezza’ , al moralismo più arcigno e severo e allo ‘scandaloso’ estetismo dannunziano [...].17 Il fatto che il fascismo non adottò mai una corrente letteraria ufficiale, distingue il movimento politico da altre correnti totalitarie. Le istituzioni letterarie del Maoismo, del comunismo russo e del nazionalsocialismo, per esempio, erano più repressive riguardo al contenuto dei libri, ma soprattutto alla forma, con una spiccata preferenza per quella tradizionale e popolare.18 Le istituzioni letterarie La letteratura italiana rimase al riparo dal morso totalitario relativamente a lungo. Negli anni Venti non esistevano istituzioni culturali statali dedicate esclusivamente alla divulgazione dei concetti fascisti. Il primo tentativo di canalizzare la propaganda avvenne nel 1925, quando Bologna era il punto d’incontro per 250 intellettuali italiani, tra i quali Filippo Tommaso Marinetti, Luigi Pirandello e Giovanni Gentile, per discutere della nuova cultura. Il risultato fu la fondazione dell’Istituto Nazionale di Cultura Fascista che, pur sostenuto dal governo, non ne era parte. Durante il discorso inaugurale, il filosofo e capo dell’Istituto, Giovanni Gentile perorò la necessità dello Stato di una nuova coscienza. L’Istituto era stato eretto per diffondere gli ideali del fascismo tramite lezioni, pubblicazioni e corsi. Tuttavia, a causa dei tanti conflitti interni, causati da una diversa 17 Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 1992, p. 899. 18 Igor Golomstock, Totalitarian art, cit., p. 48. ‐ 10 ‐ concezione dello scopo e del metodo di lavoro tra il Partito Nazionale Fascista e Gentile, l’Istituto non poté mai crescere in un dinamico organo di propaganda.19 Nel 1929 fu fondata l’Accademia d’Italia, intesa a sostituire prima o poi la Reale Accademia dei Lincei, istituto antico e prestigioso che era stato creato allo scopo di promuovere le scienze. Il compito della nuova Accademia era quello di: promuovere e coordinare il movimento intellettuale italiano nel campo delle scienze, delle lettere e delle arti, di conservare puro il carattere nazionale, secondo il genio e le tradizioni della stirpe e di favorirne l’espansione e l’influsso oltre i confini dello Stato.20 Per poter essere presi in considerazione per una nomina all’Accademia, bisognava avere una tessera del Partito Nazionale Fascista. Molti letterati consideravano l’invito a far parte dell’Accademia come una testimonianza ufficiale di stima. Quando nella seconda parte degli anni Trenta il clima e la legislatura fascista diventarono più repressivi, crebbe l’ambizione da parte dal governo di consolidare la presa sulla propaganda e sullo sviluppo della cultura. Galeazzo Ciano, il delfino di Mussolini e marito di sua figlia, insistette sull’istituzione del Ministero della Cultura Popolare, detto comunemente Minculpop. Prima integrato nel Ministero degli Affari Esteri, ottenne poi lo stato di Sottosegreteria per la Stampa e la Propaganda nel 1935. Due anni dopo, divenne un ministero vero e proprio, ispirato al Ministerium für Volksaufklärung und Propaganda in Germania (dove, d’altronde, solo un piccolo dipartimento era dedicato alla letteratura).21 Gli stati totalitari devono la loro esistenza spesso alla tattica de ‘il bastone e la carota’, il che si traduceva a quel tempo, in campo letterario, con una ricompensa per gli scrittori che creavano arte rispondendo alle aspettative fasciste, e con una sanzione per quelli che erano considerati artisti degenerati o critici. I funzionari del Ministero, però, usavano più spesso la carota che il bastone.22 Proprio nel periodo fascista furono istituiti i primi grandi premi letterari e gli scrittori poterono essere presi in considerazione per un sostegno finanziario 19 A. James Gregor, Italian Fascism and Developmental Dictatorship, Princeton, Princeton University Press 1979, p. 231. 20 Michele Ainis e Mario Fiorillo, L’ordinamento della cultura. Manuale di legislazione dei beni culturali, Milano, Giuffrè, p. 55. 21 Per un quadro dell’organizzazione polito-culturale della Germania durante il regime nazionalsocialista, rimando al mio studio, ‘De Arbeiderspers moest blijven marcheeren.’, cit., pp. 24-30. 22 Igor Golomstock, Totalitarian art, cit., p. 120. ‐ 11 ‐ dello Stato. Anche grandi eventi vennero organizzati per puntare l’attenzione sull’importanza del libro, come la Mostra della Rivoluzione Fascista nel 1932 e la Settimana del Libro. ‘La carota’, tuttavia, si era quasi del tutto esaurita verso la fine degli anni Trenta. Nel 1938, in accordo con l’aggravata oppressione (risalgono a quell’anno le leggi razziali), il Ministero diede vita alla Commissione per la bonifica libraria, appunto per implementare la censura con più rigore. La censura si concentrava sui libri sovversivi agli occhi dei fascisti. In pratica voleva dire che libri critici verso il fascismo e i libri scritti da ebrei dovevano essere rimossi dagli scaffali delle librerie.23 Nonostante al crepuscolo del governo ‘il bastone’ fosse usato più severamente, il regime fascista non riuscì mai a tappare completamente la voce artistica, secondo Golomstock, specialmente se messo a confronto con altri governi totalitari: ‘To remain loyal to culture was automatically to be anti-Fascist. To paint still lifes with bottles or to write hermetic verses was in itself a protest,’ wrote Renato Guttuso of the days in his youth. No one however prevented Italian artists from painting still lifes with bottles, and in the most various styles. [...] Artists were able peacefully to exhibit their works, publish them in journals, and offer them for sale on the free market, at home and abroad.24 Infine, anche il Sindacato Nazionale Fascista degli Autori e Scrittori era importante nella vita letteraria italiana. Faceva parte della Confederazione nazionale dei Sindacati fascisti. L’iscrizione era neccessaria per praticare la professione di scrittore, però la forte crescita dei membri verso la metà degli anni Trenta dimostra che l’osservanza di questo requisito divenne più severa con il passar del tempo.25 Un artista che faceva parte del sindacato doveva dichiararsi fedele al regime, ma non necessariamente ai dogmi estetici del fascismo. Il segretario dell’organizzazione era Filippo Tommaso Marinetti, il capo dei futuristi, con grande stupore di Ungaretti, che dopo la fondazione del Sindacato nel 1926, aveva manifestato in un suo articolo nel Mattino la proposta di un leader adeguato: ‘Gli artisti chiedono un capo: Soffici’. Gli scopi del sindacato erano essenzialmente due. Il primo era quello di rafforzare la posizione giuridica degli iscritti: la legge per la protezione del diritto d’autore e altri diritti 23 Francesca Tacchi, Storia illustrata del fascismo, Firenze, Giunti, 2000, p. 98. 24 Igor Golomstock, Totalitarian art, cit., p. 46. 25 Francesca Petrocchi, Scrittori Italiani e fascismo. Tra sindacalismo e letteratura, Roma, Archivio Guido Izzi, 1997, p. 32. ‐ 12 ‐ connessi al suo esercizio risalgono al 1941. Il secondo scopo era quello di essere un tramite per la diffusione degli ideali fascisti. In quest’ultimo campo, collaborava strettamente con il Minculpop, ma la relazione tra le due istituzioni non era sempre affettuosa. Molti progetti iniziati dal governo non furono applauditi dal Sindacato, come La Settimana del Libro, considerata come mezzo inadatto a rappresentare la produzione degli autori italiani.26 Nel 1943 uscì l’ultimo bollettino del Sindacato, che segnava l’addio al fascismo e la riconversione rapida dal fascismo ad un clima nuovo: L’ultimo fascicolo del bollettino sindacale dell’agosto 1943 rispecchia fedelmente la profonda modificazione avvenuta con il tracollo del regime fascista. Liberati dalla ‘mordacchia’, alcuni superstiti animatori dell’attività del Sindacato denunciavano, anche se tardivamente, la ‘tirannica spietata schiavitù imposta alla letteratura italiana’ in ventuno anni di dittatura fascista.27 In genere si può dire che il regime non riuscì mai a dirigere lo sviluppo letterario. Non c’era una rottura vera fra il periodo pre-regime e quello del dopoguerra. Una possibile ragione di questo fenomeno è che da parte del governo poco tempo e pochi mezzi finanziari erano dedicati alla letteratura. Ma la ragione più importante era che la vita culturale in generale non era così ‘totalitarizzata’ come voleva il regime: i fondamenti teoretici delle istituzioni erano oggetto di conflitti d’interesse, e mancava una linea unitaria nello svolgimento delle attività. Le quattro istituzioni descritte in precedenza, furono quelle più grandi e più note, ma esistevano molte altre fondazioni e istituti letterari con lo stesso scopo. La vita culturale dunque, non era organizzata dall’alto in basso, ma era frammentata tra diversi corpi istituzionali: le prerogative di queste istituzioni si sovrapponevano, creando spesso conflitti. Nonostante i fondamenti per una politica centrale fossero stati eretti, la prassi risultò recalcitrante. Il Ministero della Cultura Populare non diventò mai, dunque, un emblema del regime totalitario. 26 Ivi., p. 69. 27 Ivi, p. 117. ‐ 13 ‐ Golomstock dà voce a questa situazione con un linguaggio pittoresco: The hyperactive Italian Duce has been compared with a conductor attempting to play all the instruments of the orchestra, and with a powerful generating station in order to light a single bulb. This last image could be applied to Italian totalitarianism as a whole – certainly in comparison with Stalinism or Hitlerism and their high-voltage incandescence.28 28 Igor Golomstock, Totalitarian art, cit., p. 114. ‐ 14 ‐ 2. ‘Uomo di pena’ Vita di Ungaretti De Maastrichtsche uitgever A.A.M. Stols, bekend om zijn prachtige uitgaven van Nederlandsche, Vlaamsche, Fransche, Engelsche, Spaansche, Grieksche en Latijnsche klassieken, heeft bij zijn bezoek aan de Tentoonstelling der Revolutie in Rome daar de verschillende uitgaven bewonderd, waaronder de editie van den Porto sepolto van Ungaretti, met voorwoord van den Duce.29 Het Vaderland, 8 augustus 1933 Il fatto che già negli anni Trenta un distinto editore olandese ammirasse una raccolta di poesie di Ungaretti mostra la grande fama che il poeta raggiunse nel corso della sua vita, una fama così grande che Luciano Anceschi, nella sua descrizione della poesia del Novecento, si pose la domanda: ‘Dopo Ungaretti e Montale, come proseguire?’30 In questo capitolo descrivo il cammino di Ungaretti verso la celebrità. Alessandria ‘Sono d’Alessandia d’Egitto. Alessandria ha il deserto, ha la notte, ha il nulla, ha i miraggi, la nudità immaginaria che innamora perdutamente’,31 così descrisse Giuseppe Ungaretti la sua città natale. Il poeta nacque l’8 febbraio 1888 ad Alessandria, in Egitto, da genitori originariamente lucchesi. Suo padre lavorava come sterratore al Canale di Suez. Soffrendo di 29 [Durante la sua visita alla Mostra della Rivoluzione fascista, l’editore A.A.M. Stols, di Maastricht - noto per le sue bellissime edizioni di classici olandesi, fiamminghi, francesi, inglesi, spagnoli, greci e latini - ha ammirato diverse pubblicazioni, tra cui l’edizione de Il Porto Sepolto, con prefazione del Duce] Citato da: Salma Chen en S.A.J. van Faassen, Briefwisseling J. Greshoff - A.A.M. Stols, Den Haag, Nederlands Letterkundig Museum en Documentatiecentrum, 1990-1992, p. 200. 30 Luciano Anceschi, Introduzione, in: Lanfranco Caretti e Giorgio Luti, La letteratura italiana per saggi storicamente disposti. Vol 8: Il Novecento, Milano, Mursia, 1973, p. 559. 31 Leone Piccioni, Album Ungaretti, Milano, Mondadori, 1989, p. 49. ‐ 15 ‐ una specie di idroprisia, scomparse prematuramente, nel 1890, quando Giuseppe Ungaretti aveva solo due anni. La famiglia Ungaretti viveva in condizioni modeste ma tranquille, perché la madre gestiva la casa in modo impeccabile. 32 Grazie all’indole tollerante della madre, casa Ungaretti era un continuo andirivieni di gente di ogni risma, da atei ad anarchici, da evasi a vagabondi, tuttavia tutti italiani, e ciò portò Ungaretti a scoprirsi ‘italiano di popolo’.33 Benché la madre fosse analfabeta, riteneva molto importante l’educazione dei figli e cosí Ungaretti frequentò un collegio, e successivamente l’Ecole Suisse Jacot, dove imparò a parlare francese, la seconda ‘madrelingua’ del poeta. Lí fece i primi incontri con la letteratura: lesse Il Mercure de France, una rivista che pubblicava poesie simbolistiche, e i suoi professori gli parlarano di Nietszche. Secondo Leone Piccioni, il biografo di Ungaretti, la sua condizione da emigrato era per il poeta la base per una certa autonomia letteraria. Non conoscendo le diverse polemiche italiane in campo letterario, non fu mai ‘condizionato’ nelle sue preferenze e per questo il suo orizzonte letterario era quasi da sé più internazionale rispetto a quello di altri scrittori italiani dell’epoca. Nutrì sempre una grande ammirazione per Leopardi, Baudelaire e Mallarmé.34 Già nel 1909 fece i suoi primi e cauti passi verso la scrittura, come giornalista per i quotidiani e settimanali italiani destinati agli emigranti in Egitto. I suoi articoli erano per lo più di natura politica, ispirati dai diversi amici anarchici che frequentava in quegli anni. L’infanzia in Egitto ebbe molti echi nella poesia di Ungaretti, non foss’altro per il celeberrimo poema d’apertura ‘In memoria’ de Il Porto Sepolto, dedicato al suo caro amico Mohamed Sceab, tragicamente suicidatosi nell’albergo parigino dove i due avevano alloggiato insieme. Ma anche l’odore, i suoni, il deserto, la musica, e più in particolare, il sentirsi un migrante, e un estraneo ovunque, sono motivi individuabili in quasi tutte le raccolte pubblicate da Ungaretti. Da ventenne, crebbe costantemente in lui il desiderio di terminare gli studi in Francia ed in Italia, nonostante la madre preferisse averlo vicino a sé in Egitto. E cosí, nel 1912, il poeta partì per l’Italia, per poi viaggiare verso la città delle luci, la capitale dell’arte nuova, il luogo d’incontro di molti artisti importanti e noti: Parigi. 32 Leone Piccioni, Album Ungaretti, Milano, Mondadori, 1989, p. 8 33 Ivi, p. 10 34 Ivi, p. 26 ‐ 16 ‐ Parigi A Parigi Ungaretti si iscrisse alla facoltà di Lettere alla Sorbona, dove nel 1914 si laureò. I contatti con gli ambienti culturali iniziarono subito dopo il suo arrivo: tramite amici frequentò la redazione di Phalange, rivista postsimbolista, e cominciò a frequentare i caffè della zona di Boulevard Saint-Germain, tra i quali il mitico Café de Flor, dove incontrò Apollinaire, e quasi tutti gli altri esponenti dell’arte d’avanguardia, come Max Jacobs, Blaise Cendrars, Marcel Proust e Pablo Picasso. Aldo Palazzeschi ricorda il giovane poeta che da ventenne frequentava gli ambienti artistici nella capitale francese: ‘Un giovane biondo, magro, che interveniva poco nella discussione, ma che pareva molto interessato a quello che dicevano gli altri: aveva due piccoli occhi che erano come fessure, e due sopracciglia sulla giovane fronte, che indicavano la sua forza di volontà’35 Il suo amico egiziano, invece, Mohammed Scaeb, non seppe adattarsi bene alla vita veloce e mondana di Parigi e sentendosi un estraneo sia di fronte alla sua patria sia nel nuovo paese, si suicidò nel 1913, all’età di 26 anni, evento alla cui memoria Ungaretti dedicò la prima poesia della raccolta Il Porto Sepolto: Fu Marcel ma non era francese e non sapeva più vivere nella tenda dei suoi [...]36 Verso la fine dell’anno ’13, mentre in tutta Europa aumentava la minaccia di una guerra, si trasferì in Versilia. Bazzicò nei circoli anarchici e interventisti, e fu in questa turbolenta miscela politica che incontrò Mussolini, il quale guidava la campagna interventista e aveva appena fondato il giornale Il popolo d’Italia. ‘Gli uomini a volte s’ illudono e si mettono in fila dietro alle bubbole’,37 commentò Ungaretti dopo il suo sostegno acceso per l’intervento militare dell’Italia nella prima guerra mondiale. Le sue idee politiche non passavano inosservate alle autorità: una volta, mentre 35 Ivi, p. 80 36 Giuseppe Ungaretti, Frammento di In memoria, in: Vita d’uomo, Milano, Mondadori, 2011, p. 59 37 Leone Piccioni, Album Ungaretti, cit., p. 100 ‐ 17 ‐ suonava la marcia reale ‘si vuole che emettesse un suono sconcio con la bocca in segno di disprezzo’38 secondo il rapporto della prefettura, e seguì un arresto per oltraggio. Dopo il suo scarceramento decise di trasferirsi a Milano, dove scrisse la serie delle ‘Ultime’, il preludio de Il Porto Sepolto. Fu proprio in questo periodo che fece il proprio debutto in Lacerba, con la mediazione di uno dei fondatori della rivista, Giovanni Papini. Nel novembre 1915 venne chiamato alle armi. Durante i dieci mesi successivi compose quasi tutte le poesie de Il Porto Sepolto. Le scrisse come si trattasse di un diario di guerra, ma non in senso tradizionale: non documentò le vicende storiche, ma narrò di un ‘umano progredire’. Secondo Ungaretti, il rapporto con l’assoluto era un motivo essenziale della raccolta: Ero un uomo che non voleva altro per sé se non i rapporti con l’assoluto, l’assoluto che era rappresentato dalla morte, non dal pericolo, che era rappresentato da quella tragedia che portava l’uomo ad incontrarsi nel massacro... C’è la presa di coscienza della condizione umana, della fraternità degli uomini nella sofferenza, dell’estrema precarietà della loro condizione...Bisognava dire delle parole decisive, assolute, e allora ecco questa necessità di esprimersi con pochissime parole, di ripulirsi, di non dire che quello che era necessario dire.39 Nelle trincee incontrò Ettore Serra, il futuro editore dell’esordio di Ungaretti, Il Porto Sepolto. La prima edizione uscì presso lo Stabilimento Tipografico Friulano a Udine nel 1916, in modesta stampa di ottanta copie. Il titolo allude a un porto sommerso in Egitto che simboleggiava per il poeta il segreto che esiste nelle persone. Nella raccolta, è possibile individuare le influenze della cerchia dei futuristi che egli frequentava, ma solo per quanto riguarda la forma, come l’abolizione della punteggatura e la scarsa aggettivazione. Papini, molto ammirato dal poeta, fu il primo a recensirlo su Il Resto del Carlino. Nel maggio 1918, cominciò a stancarsi, sia fisicamente che mentalmente, della guerra: ‘Nelle condizioni in cui sono non servo a nulla...non posso più dormire, ho allucinazioni, crisi di pianto’,40 scrisse al suo amico Ardengo Soffici. Con l’aiuto di quest’ultimo, si recò a Parigi dove prese servizio presso Sempre Avanti!, un giornale destinato ai militari italiani. Il 9 novembre dell’anno 1918, finalmente seguì l’armistizio. A parte la gioia per la fine della 38 Rapporto della prefettura della provincia di Lucca, in data 5 ottobre 1914, indirizzato al Ministero degli Interni, in Leone Piccioni, Album Ungaretti, cit., p. 280 39 Leone Piccioni, cit., pp. 109-110 40 Ivi, p. 128 ‐ 18 ‐ guerra, Ungaretti rimase profondamente colpito dalla morte del suo amico francese Guillaume Apollinaire. Subito dopo il suo congedo dal servizio militare, il poeta si interessò alla crescente corrente fascista: Incomincio a risvegliarmi, e quest’ Europa, mio Dio, è un bel brutto pasticcio, così come c’ è rimasta sulle braccia [...] sotto sotto da noi ferve la linfa, che potrebbe ridare quello splendore di fiori che solo da noi fioriscono. Intendo il popolo rimasto, in fondo, il meglio dotato della terra, il più puro, il più vario, il più sentimentale, il più intelligente, il più abile e ingegnoso, il più lavoratore. Ci vuole la costituente. Seguo con attenzione il movimento di Mussolini, ed è, credimi, la buona via. Bisogna voltarsi di là. Ordine ordine ordine, armonia armonia armonia, e per ora non vedo che confusione confusione confusione.41 Una scelta politica che poi esplicita come corrispondente de Il Popolo d’Italia, avendo ricevuto dal fondatore del giornale, Benito Mussolini, l’incarico di seguire la conferenza di pace a Parigi: Aderisco ai fasci di combattimento, il solo partito che intenda la tradizione e l’avvenire in modo genuino. Patria e rivoluzione, ecco il grido nuovo!42 Nonostante la convinta dichiarazione di sostenere il fascismo fosse della prima ora – come lui stesso riferì in molte lettere indirizzate a Mussolini – l’iscrizione al Partito Nazionale Fascista avvenne nel 1924. Riprese la vita che conduceva prima della Grande Guerra, frequentando le cerchie degli artisti italiani, dove incontrò tra altri Giorgio De Chirico ed Amadeo Modigliani. In quegli anni il legame tra lui e l’insegnante Jeanne Dupoix fiorì in un fidanzamento, coronato, nel 1920, dal matrimonio. Jeanne divenne per Ungaretti una compagna sempre fedele e un costante punto di appoggio durante le sue frequenti crisi di nervi. Un anno prima era uscita la sua seconda raccolta, Allegria di naufragi, anche questa in un’edizione limitata. Comprendeva poesie già pubblicate, come tutte le Ultime e Il Porto 41 Lettera di Ungaretti a Giovanni Papini, 12-12-1918, in Andrea Cortellessa, Ungaretti, Torino, Einaudi, 2000, p. 74. 42 Giuseppe Ungaretti, Lettere parigine: La lotta elettorale. Il discorso di Clemenceau. Aderisco alla Patria e alla Rivoluzione, in “Il popolo d’Italia”, 13 novembre 1919, p. 6, citato da: Luciano Rebay, J. Paulhan-G. Ungaretti: Carteggio 1921-1968, in: “Forum Italicum”, vol 21, no. 2, 1987, p 315. ‐ 19 ‐ Sepolto, e tre sezioni nuove: I naufragi, Il girovago e Le prime. Quest’ultima sezione alludeva già alla nuova direzione che Ungaretti prese poi come poeta e che si materializzò ne Il sentimento del tempo. La versione definitiva della raccolta venne pubblicata nel 1931 (dopo una ristampa nel 1923 intitolata Il porto sepolto) e riprese in realtà tutta la produzione ungarettiana fino a quella data. Il titolo della raccolta, Allegria, si riferisce alla forza ‘allegra’ della soppravivenza: sono proprio la distruzione, l’annichilimento e la morte che causano un ritrovamento del proprio valore, che aiutano a trovare se stessi. Ungaretti, infatti, usa spesso l’analogia fra elementi umani e elementi bellici: Reggo il mio cuore che s’ incaverna e schianta e rintrona come un proiettile43 Il periodo dal 1914 a 1920 è interpretato come ‘il primo momento’ nell’opera di Ungaretti. In questa fase il poeta si concentrò molto sull’esperimento linguistico: Un primo momento [...] è caratterizzato da un’assoluta concentrazione linguistica, che riduce al minimo la parola e spezza il ritmo del verso, fino a una insistente sillabazione: si hanno componimenti brevissimi [...], versi essenziali che sconvolgono ogni continuità metricosintattica, con una singolare dizione sincopata.44 Roma All’inizio del 1922 Ungaretti si trasferì a Roma. Cominciarono anni economicamente difficilissimi: nonostante un impiego stabile al Ministero degli Esteri, dove tradusse e redasse per il bollettino estratti dei giornali francesi, alloggiò in abitazioni povere, tormentato da pidocchi, pulci, e varie privazioni. Si lamentava spesso della sua povertà in lettere a Mussolini: 43 Giuseppe Ungaretti, Frammento di ‘Perché?’, in: Vita d’uomo, cit, p. 92. 44 Giulio Ferroni, Profilo storico, cit., p. 986. ‐ 20 ‐ Da 9 anni servo il mio paese. L’ho servito in trincea, l’ho servito all’estero, l’ho servito nella stampa e al ministero. Come poeta il mio valore è noto. Non credo che ci sia nessun altro che dopo D’Annunzio possa starmi di fronte. Il governo nazionale significa condanna alla fame di quanti hanno intelligenza?45 Nel 1929 fu costretto a trasferirsi a Marino per ragioni finanziarie. La sua casa diventò un caloroso punto d’incontro per diversi amici stranieri, soprattutto per quelli che aveva conosciuto a Parigi. Pubblicò alcune poesie ne La Ronda, la rivista che segnava il ritorno alla tradizione letteraria. Inoltre pubblicò, nel 1922, un manifesto ideologico in cui spiegava i fondamenti teoretici del fascismo, citando spesso le teorie di Georges Sorel, e, secondo Piccioni ‘il vero tramite culturale dell’adesione di Ungaretti al fascismo.’. Il filosofo francese Sorel ha pubblicato vari libri sull’importanza del mito nella società: il mito sarebbe il veicolo attraverso cui si può mobilizzare il popolo. Il suo libro Réflections sur la violence (1908) ebbe una grande influenza sia sulla teorizzazione del fascismo che su quella del comunismo. Nel 1923 uscì a La Spezia un’edizione numerata de Il porto sepolto, curata da Ettore Serra, con una breve prefazione di Benito Mussolini. Dieci anni dopo fu pubblicata la terza raccolta, Il sentimento del tempo, in cui si incontra un Ungaretti più tradizionale. Da molti critici questa raccolta è percepita come la materializzazione del periodo personale che Ungaretti stava vivendo, ovvero il desiderio di tornare all’ordine: Dopo la vita giovanile irregolare e avventurosa, gli anni Venti rappresentarono per lui un ritorno all’ordine, sia dal punto di vista privato che da quello culturale: alla sua piena adesione al fascismo si accompgnò intorno al 1928 una vera e propria conversione religiosa.46 Secondo Ferroni, questo ritorno avrebbe a che fare con due avvenimenti: prima di tutto il primo incontro con Roma e la sua architettura barocca. Poi, come già accennato, la sua conversione alla fede cattolica, che suscitò in lui l’interesse per la poesia medievale e barocca. Il desiderio di sperimentare, sia per quanto riguarda la forma che il contenuto, fu meno 45 Ungaretti a Mussolini, dicembre 1922, citato da: Francesca Petrocchi, Giuseppe Ungaretti e il fascismo, in: Scrittori Italiani e fascismo. Tra sindacalismo e letteratura. Roma, Archivio Guido Izzi, 1997, p. 173. 46 Giulio Ferroni, Profilo storico, cit., p. 985. ‐ 21 ‐ presente ne Il sentimento del tempo che nelle raccolte precedenti: invece di dare espressione allo ‘svuotamento dell’io’, scelse di ‘muoversi verso la verità e profondità assenti nella vita comune.’47 Nel 1931 venne licenziato dall’impiego presso il Ministero degli Esteri: le ragioni non furono mai chiarite. Un anno prima, Ungaretti era stato arrestato perchè si era lamentato ad alta voce delle condizioni abominevoli in Italia, e così considerava di emigare in Francia. Nonostante il suo capo lo avesse difeso, citando il suo grande merito culturale e il suo comportamento immacolato, un anno dopo ricevette comunque una lettera di licenziamento, motivata da una presunta scarsa resa sul lavoro. Tuttavia, secondo Francesca Bernardini Napoletano, alla base del licenziamento c’era un conflitto con il politico Amedeo Giannini.48 Dagli anni Trenta in poi, cominciò a tradurre diverse opere di scrittori da lui molto ammirati, come Luis de Góngora, William Blake e Saint John Perse. Ebbe inizio, secondo Piccioni, ‘l’autunno dell’età’.49 Nel ’39 e ’40, uscirono articoli di Carlo Bo, Gianfranco Contini, Federico De Robertis e Alfredo Gargiulio, che formarono il preludio di un corpus imponente di articoli e saggi sul poeta. A quel periodo risalirebbe il riconoscimento critico di Ungaretti come una delle voci poetiche più importanti in Italia, ovvero la sua appartenenza alla ‘santissima Trinità’,50 come Montale chiamò i tre grandi innovatori della poesia italiana del Novecento, cioè lui stesso, Umberto Saba e, appunto, Ungaretti. Brasile A causa dei suoi continui problemi finanziari, nel 1937 decise di accettare un posto presso l’università di San Paolo, dove ricoprì la cattedra di Lingua e Letteratura italiana. I corsi universitari si concentrarono sui classici, come Dante, Petrarca e Leopardi. Fu un periodo felice e stravolgente per il poeta. Felice, perché venne accolto dall’università con tutto l’onore a cui aspirava cosí tanto in Italia, riuscendo finalmente a sostenere abbondantemente la sua 47 Ivi, p. 988. 48 Francesca Bernardini Napoletano, Il lungo viaggio di Ungaretti attraverso il fascismo, in V. Cardarelli e G. Ungaretti, Lettere a Corrado Pavolini, Roma, Bulzoni editore, 1989, p. 115. 49 Leone Piccioni, Album Ungaretti, cit., p. 190. 50 Id., p. 192. ‐ 22 ‐ famiglia, e si innamorò perdutamente dei tropici e dei suoi colori brillanti, dei suoi odori e del popolo affascinante. Fu, per altre ragioni, anche un periodo stravolgente, visto che suo fratello e suo figlio, Antonietto, scomparvero nello stesso periodo. Antonietto morì a causa di un attacco di appendicite. Aveva solo nove anni: Nove anni, chiuso cerchio, Nove anni cui né giorni, né minuti Mai più s’aggiungeranno [...] Posso andare, continuamente vado A rivederti crescere Da un punto all’altro Dei tuoi nove anni.51 Quando il Brasile entrò in guerra a fianco degli Alleati, agli italiani lì residenti fu data la possibilità di scegliere tra carcerazione in un campo di concentramento o il rimpatrio in Italia. Ungaretti scelse ovviamente quest’ultima, e così, nel 1942, ritornò a Roma. Ritorno a Roma Al suo ritorno a Roma, trovò una città in stato d’assedio: occupata dai tedeschi, la capitale gemeva sotto il giogo delle persecuzioni razziali, la scarsità di cibo e i bombardamenti. Per Ungaretti, però, giunse un riconoscimento di stima da lui tanto aspettato. Gli venne affidata la cattedra di Letteratura italiana moderna e contemporanea, alla nuova Facoltà di Lettere alla Sapienza. Il governo, inoltre, lo nominò Accademico d’Italia, uno dei più grandi onori nella società dell’epoca. Ispiratosi alle tragedie della guerra, scrisse le poesie ‘Non gridate più’ e ‘Roma occupata’. Nel ’44 arrivò la liberazione dell’Italia, e Ungaretti venne sottoposto ad un’inchiesta da parte del sindacato degli scrittori in merito alle epurazioni. Dopo tre gradi di giudizio, la conclusione fu che al poeta non poteva ‘esser mosso alcun addebito’.52 Ma questa non fu l’unica conseguenza della liberazione dell’Italia dal fascismo per Ungaretti: nel 1942 egli era stato nominato professore senza concorso, e per questo il Consiglio 51 Giuseppe Ungaretti, Frammento di ‘Gridasti: soffoco’, in: Vita d’uomo, cit., p. 303. 52 Leone Piccioni, Album Ungaretti, cit., pp. 224-25. ‐ 23 ‐ Superiore della Pubblica Istruzione ritenne invalida la nomina e lo sospese dall’insegnamento. La decisione non sarebbe potuta essere ritirata se non fosse stato per il ministro Gonella, che lasciò il giudizio finale alla Facoltà stessa e non al Consiglio dei ministri. Nonostante il voto, nel 1945, non fosse unanime, la maggioranza di voti si espresse a favore di Ungaretti. Il poeta, nel frattempo, soffriva di problemi di salute, forse dovuti proprio al periodo stressante. Tuttavia, seppe addatarsi alla nuova situazione: [...] seppe adattarsi al nuovo clima del dopoguerra, ponendosi come grande vecchio della letteratura italiana, rispettato e stimato da tutti, poeta ufficiale, ma pronto a prestare attenzione e simpatia alla nuova letteratura e a ripercorrere con sapienza le forme più diverse della tradizione poetica.53 ‘Il libro che di più amo’, così Ungaretti descrisse la sua raccolta pubblicata nel 1947: Il dolore. Come il titolo già fa supporre, il tema del libro erano le tragedie personali accadute a Ungaretti: la morte di suo figlio e di suo fratello e gli orrori della guerra. Tre anni dopo uscì La terra promessa, con poesie che segnavano l’addio alla giovinezza. In realtà, questa raccolta sarebbe dovuta uscire dopo Il sentimento del tempo, perché ne era la successione logica: il tema principale, infatti, era la creazione di un orizzonte mitico e simbolico. Il poeta, invece, volle pubblicare prima Il dolore, come chiusura di un periodo pieno di disgrazie. All’università stabilì un rapporto molto buono con i suoi allievi: non era in grado (anche volendo) di cacciare via gli studenti che volevano continuamente parlargli. Questo interesse per i giovani, e per il confrontarsi con loro, motivò il suo supporto per la nuova generazione di poeti. Continuò a tradurre opere di scrittori da lui stimati, come nel 1950 Fedra di Jean Racine. Nell’estate del ‘58, la moglie del poeta, Jeanne, si ammalò e, poco dopo, morì. Ungaretti decise, dunque, di trasferirsi a casa di sua figlia. A seguito della morte della moglie, scrisse ‘Per sempre’: 53 Giulio Ferroni, Profilo storico, cit., p. 986. ‐ 24 ‐ E d’improvviso intatta Sarai risorta, mi farà da guida Di nuovo la tua voce Per sempre ti rivedo.54 Cominciò l’epoca della vecchiaia, ma Ungaretti, almeno mentalmente, era ancora pieno di vivacità. Gli piaceva viaggiare per il mondo: ‘Se verrà un tempo in cui mi vedrai fermo a casa per mesi e mesi vorrà dire che sto per andarmene definitivamente.’55 Fortunatamente ebbe molte occasioni per uscire di casa. Nel 1960 fece persino un giro del mondo in un jet e vide New York, il Giappone e Hong Kong. E ormai era un ospite apprezzato di varie università straniere: nel 1964 fu ospite della Colombia University, dove incontrò Allen Ginsberg. Nel 1968, invece, visitò Harvard. Questi sviluppi moderni ebbero delle ripercusioni sulla sua poesia. Nell’inverno della sua vita, il poeta non scrisse più così tanto come prima. Quando compì ottant’anni uscì un’edizione numerata del Dialogo, nove poesie d’amore ispirate alla relazione con la poetessa Bruna Bianco, che aveva cinquant’anni meno di lui. Anche la sua ultima serie di poesie Croazia Segreta: Djuna nacque da un rapporto amoroso con una donna giovane. L’ultimo anno della sua vita sperò, invano, di ricevere il premio Nobel. Tuttavia, venne premiato dall’Università di Oklahoma, per lui comunque una magra consolazione. Durante il suo viaggio negli Stati Uniti per la consegna del premio, si prese una broncopolmonite, malattia dalla quale non si riprese più. Morì nella notte tra l’1 e il 2 giugno 1970. La sua importanza per lo sviluppo della poesia italiana ormai è indiscusso. Giulio Ferroni descrive così la rilevanza del poeta: Ungaretti inserisce, per la prima volta in modo coerente e integrale, la poesia italiana entro le prospettive del simbolismo europeo; trovando un punto d’incontro tra avanguardia e tradizione, la porta a un pieno possesso della modernità, fino ad apparire il poeta ‘moderno’ e novecentesco per eccelenza.56 54 Giuseppe Ungaretti, Frammento di ‘Per sempre’, in idem, Vita d’uomo, cit., p. 326. 55 Leone Piccioni, Album Ungaretti, cit., p. 242. 56 Giulio Ferroni, Profilo storico, cit., p. 985. ‐ 25 ‐ 3. Un amore a senso unico Commenti sull’ideologia politica di Giuseppe Ungaretti Perché dovrei nascondere qualche cosa della mia vita? È pura come un cristallo, coraggiosa come quella d’un leone. Dunque si faccia la nota sulla prefazione di Mussolini di quell’orribile Porto Sepolto. [...] Quello che ho fatto, per quella specie d’incanto che una volta avevo prodotto su Mussolini e in lui permaneva, fu di ottenere che fosse liberato dal confine uno dei miei più vecchi amici. [...] Furono mille altri atti dello stesso genere. Mi pare che basti per quelli che arricciano il naso per una prefazione che non dice nulla [...].57 Giuseppe Ungaretti in una lettera a Leone Piccioni, 8 maggio 1962 Si è spesso detto che la vita personale di Ungaretti sia in netta relazione con la sua produzione scritta. Al contrario di molti poeti francesi da lui amati, che ritengono che ci sia un abisso incolmabile fra un’opera d’arte e il mondo reale, le poesie ungarettiane rivelano quasi sempre quale periodo sentimentale egli stesse vivendo in quel momento: le sue esperienze da soldato nelle trincee, il fascino per l’ordine tradizionale suscitato dal soggiorno a Roma, la morte precoce del figlio, per esempio, hanno delle ripercussioni forti sulla sua poesia. Difficilmente, però, come nota Robert S. Dombrowski, si scoprono dei riferimenti politici nell’opera poetica di Ungaretti: Non dovrebbe sorprendere che nella critica ungarettiana, la questione del fascismo del poeta sia rimasta appena articolata. Due ostacoli sembrano contrastare definitivamente qualunque approccio al problema: la quasi totale mancanza di supporti teorici generali che agevolino 57 Leone Piccioni, Ungaretti e il fascismo, in Giuseppe Ungaretti 1888-1970. A cura di Alexandra Zingone. Roma, Edizioni Scientifiche Italiane, 1995, p. 166. ‐ 26 ‐ l’interpretazione socio-politica della poesia lirica; l’oggetto stesso dell’indagine, l’opera di un poeta in cui sentimento politico ed arte appaiono così divergenti che ravvicinare, o magari riconciliare, i due fenomeni è un’impresa estremamente problematica, se non impossibile.58 Salvo un poema intitolato ‘Popolo’, che a quei tempi era dedicato a Benito Mussolini, ed i suoi articoli scritti per la pubblicazione ne Il Popolo d’Italia, lo scrittore non elaborò mai in rime la sua adesione al fascismo. Persino i critici dell’epoca si vedevano confrontati con l’abisso profondo tra la poesia di Ungaretti e le sue azioni e dichiarazioni politiche. L’osservazione di Mario Puccini è quasi una parafrasi avant la lettre della conclusione summenzionata di Dombrowski: Le passioni che lo interessano sono insomma ancora multiformi [...] egli resta un poeta di situazioni intimiste ed universali, anche quando personalmente la sua azione di uomo si svolge polemica ed italiana, patriottica e locale.59 Nelle pagine succesive descriverò come la critica ha interpretato l’ideologia politica di Giuseppe Ungaretti. Mi concentrerò rispettivamente sui commenti nelle storie e enciclopedie di letteratura italiana, sulle biografie, sulle monografie e, infine, sugli articoli dedicati alla biografia politica dell’autore. Le diverse interpretazioni dei letterati saranno affrontate in ordine cronologico, per rendere più facile l’individuazione di tendenze di sviluppo. La scelta di trattare la critica ungarettiana proprio in quest’ordine è ispirato, ovviamente, dal processo dello zooming: comincerò con le analisi dei frammenti su Ungaretti presenti nelle storie e enciclopedie di letteratura, frammenti che in genere possono essere considerati l’ultima fermata nel viaggio verso la canonizzazione di uno scrittore, per poi finire con gli articoli che si concentrano più specificamente sull’adesione al fascismo. Storie e dizionari della letteratura italiana Non c’è da sorprendersi se una delle prime volte che Ungaretti viene menzionato in una storia di letteratura accada in un’edizione francese. È proprio la Francia il paese in cui lo spirito del poeta si svegliò in Ungaretti ed è la Francia che egli considerò sempre come 58 Robert S. Dombrowski, Ungaretti ed il fascismo, cit., p. 71. 59 Mario Puccini, Il misticismo nella poesia: Ungaretti uomo di pena, in “Bilychnis”, n. 208, 1927, citato da Francesca Petrocchi, Giuseppe Ungaretti e il fascismo, cit., pp. 194-195. ‐ 27 ‐ seconda madrepatria. Trattandosi di un libro pubblicato già nel 1932, l’autore non fa alcun riferimento alla vita del poeta. Interessante, però, notare che anche allora i letterati avevano qualche difficoltà a categorizzare l’opera ungarettiana. Inizialmente si descrisse Ungaretti come uno ‘strapaese’, per poi concludere che: On a beau faire, l’époque est anarchique: malgré toutes les tentatives, la pensée italienne, l’art italien restent individualistes.60 Anche nel Dizionario storico-critico della letteratura italiana, di Vittorio Turri e Umberto Renda, uscito nel 1941 e quindi scritto durante il regime fascista, la biografia di Ungaretti non era argomento d’interesse. Nel breve brano dedicato allo scrittore, però, il fatto che Il Porto Sepolto avesse un’introduzione del Duce non passò sotto silenzio. Anche due successive storie di letteratura da me consultate, non trattano la biografia dello scrittore: né la prima, stampata nel 1948, né la seconda, uscita nel 1962 e presumibilmente una ristampa esatta della prima edizione del 1940,61 fanno alcun riferimento al poeta.62 Il fatto che ambedue le opere non prestino attenzione allo scrittore è facilmente comprensibile: questo genere letterario, infatti, raramente include scrittori comtemporanei, con carriere ancora in piena evoluzione. Il primo riferimento alle vicende personali di Ungaretti, da me trovato, è rintracciabile in Letteratura italiana. I contemporanei (Milano, Marzorati Editore, 1963). Il contributo sul poeta è di Leone Piccioni, già incontrato come biografo di Ungaretti, il quale descrive oltre ai motivi tematici dell’opera ungarettiana, il corso della vita del poeta. Non parla, però, della sua adesione al fascismo, nonostante presti invece attenzione ai processi di epurazione a cui Ungaretti venne sottomesso nel 1947: Nell’immediato dopoguerra Ungaretti fu ancora angustiato e oppresso da uno di quei procedimenti di ‘epurazione’ sotto i quali talvolta si celavano chissà quali delazioni per le più mosse da rancori ed invidie. Fu sottoposto ai tre gradi di giustizio, e tutte e tre le volte, le successive commissioni, composte da rappresentanti di tutti i partiti, dovettero riconoscere nelle loro sentenze ‘che non poteva essergli mosso alcun addebito’.63 60 Henri Hauvette, Littérature italienne, Parigi, Librairie Armand Colin, 1932, p. 568. 61 Francesco Flora, Storia della letteratura italiana, Milano, Mondadori, 1959. 62 A. Galetti e E. Chiòrboli, Letteratura italiana. Storia e antologia, Bologna, Nicola Zanichelli, 1949. 63 Leone Piccioni, Giuseppe Ungaretti, in Letteratura italiana. I contemporanei, Milano, Marzorati, 1963, p. 880. ‐ 28 ‐ Nonostante Ungaretti non abbia mai oscurato il suo passato politico, solo nel 1974 una storia di letteratura ne parla. Negli undici manuali pubblicati tra il 1963 e il 1974, giusto due fanno riferimento alla prefazione di Mussolini pubblicata ne Il Porto Sepolto;64 mentre negli altri gli autori si concentrano unicamente sulla produzione letteraria di Ungaretti o, se danno spazio alla sua biografia, non parlano delle sue idee politiche,65 né - pur citando il suo lavoro come giornalista - nominano il giornale principale per cui egli scriveva, ovvero Il Popolo d’Italia. A volte quest’approccio può suscitare nel lettore degli interrogativi, come il summenzionato frammento di Piccioni dimostra: che lo scrittore sia stato sottomesso ai processi di epurazione, risulta quasi incomprensibile al lettore se non viene precedentemente informato da Piccioni sull’adesione al fascismo e sul modo (cioè senza concorso) in cui Ungaretti fu nominato professore di letteratura italiana moderna e contemporanea presso l’università di Roma. Anche Carlo Salinari crea una lacuna scrivendo che Ungaretti in gioventù frequentò solo ambienti anarchici e socialisti, senza dire che, fra le molte correnti con cui il poeta era in contatto, egli scelse il fascismo.66 Se questi aspetti biografici siano stati esclusi volontariamente o involontariamente, è difficile stabilire. Fatto sta però che al tempo in cui questi libri furono scritti, il processo della cosiddetta ‘legittimazione’ dell’opera di Ungaretti procedeva ancora a pieno ritmo, dunque gli aspetti (sia biografici che formali) che i letterati adesso ritengono importanti non sono sempre stati considerati come tali: L’unica conclusione che possiamo trarre dal passato è che tutti i giudizi sono relativi. Ogni criterio che usiamo, ogni concezione dell’arte, vale lo stesso. O, per essere più concreto [...]: l’idea nostra di Rembrandt è uguale a quello di Lord Chesterfield che, al momento in cui suo Gianfranco Contini, La letteratura dell’Italia unita. 1861-1968, Firenze, Sansoni, 1968, p. 795; Emilio Cecchi, Letteratura italiana del Novecento. A cura di Pietro Citati, Milano, Mondadori, 1972, p.766. 65 Natalino Sapegno, Compendio di storia della letteratura italiana, Firenze, La Nuova Italia, 1961, p. 467; Dizionario enciclopedico della letteratura italiana, Bari/Roma, Laterza, 1968, p.364; Storia della Letteratura Italiana. A cura di Emilio Cecchi e Natalino Sapegno, Milano, Garzanti, 1969, p. 360; Giovanni Getto, Roberto Alonge, Guido Baldi, Giorgio De Rienzo, Storia della letteratura italiana, Milano, Rizzoli, 1972, p. 457; Dizionario della letteratura italiana contemporanea, Firenze, Vallecchi, 1973, p. 910; Lanfranco Caretti e Giorgio Luti, La letteratura italiana per saggi storicamente disposti, Milano, Mursia, 1973, p. 327-345; Mario Sansone, Storia della letteratura italiana, Milano, Principato, 1976, p. 467; Gianfranco Contini, La letteratura italiana, Firenze, G.C. Sansoni/Milano, Edizioni Accademia, 1974, p. 481. 66 Carlo Salinari, Profilo storico della letteratura italiana, Roma, Editori Riuniti, 1972, p. 301 64 ‐ 29 ‐ figlio chiese se dovesse comprare dei quadri del pittore per un buon prezzo, rispose: ‘No, sono solo delle caricature.’ [...] Esistono concezioni dell’arte di ogni tipo e ci sono delle persone e istituzioni che diffondono, insegnano e studiano queste concezioni. 67 Inoltre, negli anni Sessanta era troppo prematuro raggiungere un consenso unanime in merito al valore dell’opera di Ungaretti, tanto più un consenso sull’importanza dell’ideologia politica dell’autore. Come già accennato in precedenza, ho trovato il primo riferimento all’adesione di Ungaretti al fascismo in un libro di storia della letteratura del 1974, un libro che intende presentare la vita e le opere degli scrittori italiani in ordine cronologico. Proprio per questo motivo, riguardo a Ungaretti, troviamo scritto, sotto l’anno1919, che egli ‘collabora anche al Popolo d’Italia, il giornale di Mussolini’ ; sotto il 1923 ‘Edizione de Il Porto Sepolto, con prefazione di Benito Mussolini’; infine, sotto il 1947:68 Dato l’atteggiamento tenuto durante gli anni del fascismo, la posizione dell’U[ngaretti] viene attentamente considerata dall’Associazione degli Scrittori, che tuttavia non trova motivo alcuno di addebito. Inizia anche un procedimento per abolire la cattedra avuta per ‘chiara fama’. Il Consiglio Superiore dell’Istruzione è favorevole all’abolizione, non così il ministro Gonella: sentito anche il parere della facoltà, l’U. viene riconfermato nell’insegnamento. 69 È probabilmente la prima volta che in un capitolo su Ungaretti, all’interno di una storia della letteratura, vengono menzionati in successione il suo lavoro da giornalista per un giornale fascista, l’introduzione di Mussolini a un suo libro, e il processo di epurazione dopo la guerra ‘dato l’atteggiamento tenuto.’ D’altra parte, un dizionario degli autori italiani contemporanei, uscito nello stesso anno, non fa maggior luce sulle vicende politiche dell’autore. Due anni dopo, nel 1976, esce Civiltà nelle lettere, a cura di Giuseppe Petronio. Nell’intervento su Ungaretti, scritto da Carlo Ossola, incontriamo il desiderio di spiegare l’adesione al fascismo, dipingendo il quadro di pensiero del poeta: 67 Nico Laan, De sociologie van de literaire smaak, [trad. mia], in: “Literatuur”, nr. 8, Amsterdam, Amsterdam University Press, 1991, pp. 22-23. 68 Secondo Leone Piccioni (1979), Dai, Dizionario degli autori italiani, (1974), e Andrea Cortellessa i processi d’epurazioni risalgono al 1947; secondo il libro Lezioni su Giacomo Leopardi, a cura di Mario Diacono e Paola Montefoschi, essi risalgono al 1944. 69 Dai, Dizionario degli autori italiani. A cura di Bruna Cordati e Mario Farina, Messina/Firenze, D’Anna, 1974, pp. 1354-1357. ‐ 30 ‐ La rivoluzione nell’‘ordine’ : ecco il sogno politico di Ungaretti reduce; ecco perché, venuto a mancare lo ‘spirito di coesione, di unità della nazione’ rappresentato dalla borghesia, egli scelse subito (già dal 1919) il fascismo. Se non si poteva dare unanimità politica tra le forze in campo, il fascismo garantiva almeno quella unanimità verticale con il passato, con la tradizione, alla quale il poeta voleva finalmente attingere con l’esperienza incipiente del Sentimento del Tempo. Si vedano infatti le motivazioni con cui il 13 novembre 1919, antivigilia delle elezioni, mandava da Parigi (ancora per Il Popolo d’ Italia) la sua adesione al fascismo: ‘Patria e rivoluzione: ecco il grido nuovo [...] Aderisco ai fasci di combattimento, il solo partito che intende la tradizione e l’avvenire, in modo genuino [...].’70 Lo stesso ragionamento lo ritroviamo nella bibliografia Giuseppe Ungaretti, dello stesso Ossola, pubblicata nel 1975. Quattro anni dopo e a distanza di altrettante storie di letteratura che non fanno riferimento al consenso al regime,71 la Letteratura Italiana Contemporanea afferma quanto segue: Della stampa si incarica il Ten. Ettore Serra di La Spezia il quale editerà una seconda volta il libro (nel ’23, a La Spezia, questa volta con pref. di B. Mussolini). Nel ’15 deve aver già conosciuto il futuro capo del governo fascista perché di quell’anno è la poesia Popolo con dedica appunto a B. Mussolini: ammirazione (diversa almeno per certi aspetti da altre) che U. vorrà conservare sino alla fine.72 Da quel momento in poi, in quasi tutte le descrizioni della vita del poeta, si inserisce un riferimento alle sue tendenze fasciste. Alcuni citano solo il suo lavoro come giornalista per Il Popolo d’Italia, o la sua ammirazione per Mussolini, altri, invece, provano a trovare una ragione per l’adesione al fascismo di Ungaretti. In questi tentativi di spiegazione, si possono distinguere tre filoni principali: uno che spiega l’adesione considerando il contesto storico, uno (più seguito) che vede il fenomeno come l’effetto naturale del desiderio del poeta di ‘tornare all’ordine’ (spiegazione che peraltro non esclude la prima), e infine uno che 70 Carlo Ossola, Giuseppe Ungaretti, in Giuseppe Petronio, Civiltà nelle lettere, Palermo, Palumbo, 1976, p. 858. 71 Dizionario della letteratura italiana. A cura di E. Bonora, Milano, Rizzoli, 1977, p. 560; Arnaldo Bocelli, Letteratura del Novecento, Roma, Salvatore Sciascia Editore, 1977, pp. 239-256; G. Paparelli, C. Scibilia, Letteratura italiana del Novecento, Napoli, Fratelli Conte Editori, 1978, p. 213; Novecento. I contemporanei. Gli scrittori e la cultura letteraria nella società italiana, Milano, Marzorati, 1979. 72 Letteratura Italiana Contemporanea. Diretta da Gaetano Mariani e Mario Petrucciani, Roma, Luciano Lucarini Editore, 1980, p. 4. ‐ 31 ‐ suggerisce la tesi che il suo nazionalismo (e fascismo) fosse dovuto al fatto che Ungaretti, deprivato di una patria vera e propria, si sentisse sradicato. Il ritorno all’ordine sarebbe stato molto importante per Ungaretti. Come conferma Giorgio Bárberi Squarotti: [...] Ungaretti aderisce fin da subito al Fascismo, animato dalla speranza in una realtà nuova, in una rivoluzione realizzata nell’ordine e ispirata all’antica gloria di Roma e dell’Italia dopo le delusioni della ‘vittoria mutilata’. Ungaretti non ripudierà mai la propria adesione al Fascismo e anche nei primi anni del secondo dopoguerra insisterà sulla necessità di una riconciliazione nazionale.73 Cesare Segre, come molti altri, vede tracce di questo sviluppo in Ungaretti come uomo, ma anche come poeta, interpretazione che viene sempre ribattuta da Piccione come ‘fuorviante’:74 Il sempre maggior articolarsi della tematica corrisponde però in Ungaretti (fors’anche in rapporto con il conservatismo culturale del fascismo, cui egli aderiva) a un ritorno alle forme e ai metri della tradizione, con un barocchismo, sempre d’altissimo livello, che non a torto fu definito dannunziano.75 Franco Fortini poi, definisce l’adesione in termini letterari piuttosto che politici: L’adesione di Ungaretti al fascismo fu, in questo senso, adesione a una immagine letteraria della tradizione patria, identificata con la continuità fra il mondo antico e il cattolicesimo della Controriforma, fra il paesaggio virgiliano e quello barocco.76 Infine, citiamo Mario Allegri, che, pur spiegando il ritorno all’ordine e l’adesione al fascismo come un fenomeno sociale molto diffuso tra gli intellettuali di quel periodo, ritiene che Ungaretti abbia creato una mitologia personale, che a volte conteneva concetti contraddittori: 73 Giorgio Bárberi Squarotti, Giannino Balbis, Giangiacomo Amoretti, Valter Boggione, Storia e antologia della letteratura, Bergamo, Atlas, 2011, p. 139. 74 Leone Piccioni, Album Ungaretti, cit., p. 172. 75 Cesare Segre, Letteratura, in La cultura italiana del Novecento. A cura di Corrado Stajano, Roma/Bari, Editori Laterza, p. 377. 76 Franco Fortini, I poeti del Novecento, Roma/Bari, Laterza, 1985, p. 76. ‐ 32 ‐ Tanti pronunciamenti in un’unica direzione insinuano il sospetto di una commensura in qualche modo istituita retrospettivamente, ricomponendo in categorie astratte (l’amore e la guerra, l’isola e il deserto, l’esilio e la terra promessa) e in chiave di mitologia personale (il nomade e il soldato, l’uomo di pena e il naufrago) spezzoni di esperienze disorganiche o di segno persino contrario (per tutte, l’anarchia e il fascismo) della cui successione egli mostrerà di possedere, tutto sommato, insufficiente coscienza storica.77 Essendo il pensiero di Ungaretti troppo ambiguo, secondo Allegri il poeta non può essere considerato strettamente ‘fascistissimo’, come lo caratterizza Alberto Astor Rosa in Letteratura italiana (Torino, 1989).78 Lo stesso Allegri, tuttavia, nota che per lungo tempo gli studiosi non hanno osato affrontare le relazioni del poeta con il Duce: Ancora nessuna indagine ha voluto chiarire questa preistoria dei rapporti tra Ungaretti e Mussolini, sui quali la critica più affezionata al poeta si mostra tuttora molto suscettibile. 79 L’adesione di Ungaretti al fascismo vista come conseguenza del suo sentirsi senza patria, viene proposta, per esempio, da M. Guglielminetti: L’adesione al regime, comunque, è un dato di fatto. Essa ha un’origine traumatica che ci è nota (la ricerca fin dalla nascità di una patria), e risponde ad una necessità di ‘ordine’ che è di molti altri intellettuali italiani ed europei del periodo.80 Come altri, anche lui afferma che non si trovano tracce politiche nelle sue poesie: Si riconferma, così, che tanto il suo fascismo, quanto il suo cattolicesimo, non sono mai divenuti motivo di confronto esistenziale e culturale, non hanno mai realmente turbato la sua attività lirica.81 77 Mario Allegri, Giuseppe Ungaretti, in Letteratura italiana. Le Opere. A cura di Alberto Astor Rosa, Torino, Einaudi, 1995, p. 432. 78 Letteratura italiana. Storia e geografia. A cura di Alberto Astor Rosa, Torino, Einaudi, 1989, p. 609. 79 Mario Allegri, Giuseppe Ungaretti, cit., p. 435. 80 M. Guglielminetti, Lineamenti di storia della letteratura italiana. Dalle origini ai giorni nostri, Firenze, Le Monnier, 1983, p. 566. 81 Ivi, p. 567. ‐ 33 ‐ Come affrontano la questione i manuali stranieri? Anch’essi seguono più o meno i filoni descritti qui sopra. In Italienische Literaturgeschichte, Ungaretti è solo un esempio fra i tanti scrittori italiani che sostenevano il regime fascista.82 Giuseppe Stellardi, in The Oxford Companion to Italian Literature, nota le stesse contraddizioni nel pensiero e nel comportamento ungarettiano, al pari di Allegri: He was [...] a man of contrasts – uprooted emigrant, curious vagabond, cosmopolitan intellectual on the one hand and, on the other, Fascist academician and standard-bearer of his nation’s cultural identity, veering between sincerity and ostentation, simplicity and artfulness, clumsiness and perfection. Such contradictions, nevertheless, do not lead to an ideological or artistic impasse, but to a tension which is fruitful because it is permanently unresolved.83 Interessante notare che The Cambridge History of Italian Literature descrive il desiderio di tornare all’ordine come frattura nell’opera di Ungaretti, senza legarla, come fanno quasi tutti gli studiosi citati, alla nuova situazione politica di quel periodo.84 Dopo l’analisi relativa al contenuto, è utile dare spazio anche alla statistica. Delle 52 storie o enciclopedie di letteratura italiana che fanno parte del corpus indagato per questa tesi, 25 riferiscono all’adesione di Ungaretti al fascismo, con riferimenti brevi (menzionando per esempio solo il suo lavoro come giornalista per Il Popolo d’Italia) o più elaborati. Solo 6 di questi riferimenti appaiono in libri pubblicati prima del 1980 (su un totale di 23 libri), mentre la maggioranza, cioè 19 riferimenti, la troviamo in libri pubblicati dal 1980 ai nostri giorni. Dei 25 riferimenti al fascismo, 16 cercano di motivare la simpatia del poeta per il fascismo. Anche qui, ovviamente, la maggior parte (15) è presente nelle opere apparse dal 1980 in poi. Questo piccolo resoconto numerico dimostra che l’atteggiamento verso le scelte politiche di Ungaretti è cambiato nel corso del tempo. Sembra, quindi, lecito sostenere che lo sviluppo recente segue quello internazionale, cioè quello di svelare, o aprire, i lati ‘dissonanti’ del patrimonio letterario. 82 Italienische Literaturgeschichte. Unter mitarbeit von Hans Felten, Stuttgart/Weimar, Verlag J.B. Metzler, 1992, p. 346. 83 Giuseppe Stellardi, Giuseppe Ungaretti, in: Peter Hainsworth and David Robey, The Oxford Companion to Italian Literature, Oxford, Oxford University Press, 2002, p. 606. 84 The Cambridge History of Italian Literature. Edited by Peter Brand and Lino Pertile, Cambridge, Cambridge University Press, 1996, p. 503. ‐ 34 ‐ Biografie La prima biografia di Ungaretti, Vita di un poeta, esce nel 1970. Il libro è stato ristampato poi nel 1979 con il titolo Vita di Ungaretti, ma il testo non ha subito dei cambiamenti rispetto alla prima edizione. La biografia è stata scritta da Leone Piccioni, carissimo amico del poeta, come descrive il biografo stesso: De Robertis fu il tramite della mia conoscenza con Ungaretti [...]. Poi, piano piano, tanta confidenza, sebbene con tanta differenza d’età, e da tanta altezza, da vedere nascere, tra Ungaretti e me, un rapporto come tra padre-amico e figlio egualmente amico! Insolito, bellissimo, rapporto!85 E aggiunge: Non poche delle cose dichiarate da Ungaretti furono dette a me personalmente, prendendone io appunti. Può darsi che non sempre la memoria di Ungaretti, specialmente relativamente alle date, sia risultata esatta.86 Piccioni non tralascia di descrivere il rapporto di Ungaretti con il fascismo, ma forse ‘l’insolito rapporto’ tra lui e il poeta gli impedisce di rimanere neutrale nel trattare questo aspetto biografico. Reagisce in modo quasi emotivo quando entra in discussione con Pier Vincenzo Mengaldo, che nell’introduzione alle poesie di Ungaretti scelte per la sua antologia Poeti italiani del Novecento parla di una frattura nell’opera di Ungaretti, ovvero del passaggio da versi ‘futuristeggianti’ a versi più tradizionali, interpretandolo come un possibile effetto della bramata restaurazione culturale promossa dal fascismo.87 Qui sopra ho espressamente usato la parola ‘emotivo’ perchè si tratta dell’unico frammento biografico in cui lo scrittore usa due punti esclamativi per esprimere il suo pensiero: Testi alla mano, quali si riferirebbero alla ‘restaurazione fascista’, e quali alla conclusione della ‘esperienza unanime’? Meglio non insistere, e rassegnarci alla circolazione demagogica anche in questo campo, mossa o da generica volontà distruttiva, o dallo stimolo di favorire qualcuno a 85 Leone Piccioni, Vita di Ungaretti, Milano, Rizzoli, 1979, p. 204. 86 Idem, Album Ungaretti, cit., p. 274. 87 Poeti italiani del Novecento. A cura di Pier Vincenzo Mengaldo, Milano, Mondadori, 200722, p. 388. ‐ 35 ‐ danno di qualcun’altro! E verrà, subito, il ’28, La pietà, gli Inni, la previsioni dei tempi (anche politici) verso i quali ci si sarebbe avviati!! Se si vogliono trovare versi ungarettiani ‘d’occasione’ fascista, si salti assai più in là: si vada alla Pietà romana del ’33 o all’Epigrafe per un caduto della Rivoluzione del ’35, versi sempre riproposti, e ci si dica oggi quali contenuti ‘fascisti’ quei versi contengano!!88 Anche la discussione suscitata dalla prefazione di Mussolioni a Il Porto Sepolto non piace al biografo: la definisce come ‘quel provinciale gusto del “mormorare” che non manca certo al nostro mondo letterario.’ 89 Cita tutta l’introduzione del Duce per mostrare che il contenuto era abbastanza innocente e privo di riferimenti politici (cfr. l’appendice, p.70). Come abbiamo già visto, molti critici hanno interpretato i versi più tradizionali ne Il sentimento del tempo come, appunto, uno specchio dei tempi in cui Ungaretti visse. Piccioni si oppone a questa tesi: Questa stagione poetica ha subìto una interpretazione fuorviante: sotto il ‘segno di un ritorno all’ordine’ sarebbe ‘in armonia con le tendenze neoclassiche’ addirittura ‘con la restaurazione culturale promossa dal fascismo’. In realtà il Sentimento del tempo si genera dalla poesia precedente e si costituisce attorno al nuovo paesaggio laziale e al barocco romano; dice della pienezza della vita matura e della conversione alle religione cattolica’.90 Ungaretti, da uomo pieno di contraddizioni qual era, non rese facile la vita del suo biografo. Nel 1942 accettò la nomina all’Accademia d’Italia, istituzione fascista per antonomasia, ma allo stesso tempo ospitò (secondo una lettera scritta a Piccione, di cui parlerò nelle prossime pagine) ebrei nella sua casa. Fu arrestato ‘moltissime volte’91 per il suo comportamento trasgressivo durante il regime (secondo la stessa lettera), ma non smise mai di parlare con tenerezza del Duce, come nel 1982, quando in un’intervista affermò: ‘Ah! Mussolini. Bien sur, je l’ai beaucoup aimé, et la grande partie des Italiens.’92 Questo dualismo, ovviamente, non rende facile dipingere un ritratto trasparente dello scrittore. E molte volte fu lo scrittore stesso a gettare polvere negli occhi con dichiarazioni 88 Leone Piccioni, Vita di Ungaretti, cit., p. 164. 89 Ivi., p. 140. 90 Ivi., p.172. 91 Leone Piccioni, Ungaretti e il fascismo, cit., p. 166. 92 Anna Vergelli, ‘Un uomo di prim’ordine.’ Giuseppe Ungaretti (documenti e altra corrispondenza inedita), Roma, Bulzoni, 1990, p. 45. ‐ 36 ‐ contrastanti. Tuttavia, spesso Piccioni può suscitare nel lettore la sensazione che stia difendendo Ungaretti: il processo d’epurazione per esempio, ‘che fu istituito per togliere il posto a tutti coloro che l’avevano ottenuto per intrigo politico o che l’avevano usato per azioni illegali e repressive’,93 viene descritto come un fatto ‘assurdo’94 e come il risultato di ‘un’esplosione della facinorosità’,95 senza però entrare nei dettagli del metodo o della motivazione del Sindacato degli Scrittori. Le scelte che un individuo deve fare, date le circostanze sociali e politiche, sono sempre gli stessi percorsi storici: la presa di posizione a favore degli antifascisti nel ’41-’42 è paragonabile alla scelta di aderire all’interventismo nella Grande Guerra, sostiene Piccioni.96 E: ‘Se la terminologia odierna non avesse del tutto snaturato questo tipo di definizioni, sarebbero diventate tutte visioni “di sinistra”!’97 Questa non è certo la sede adatta per mettere in dubbio la validità dell’argomentazione di Piccioni. Comunque, il modo e il tono in cui egli tratta la questione ci offre l’occasione di osservare che la relazione di Ungaretti con il fascismo era un argomento delicato, fonte di discussioni, e dunque trattato da Piccioni con cautela. A volte il biografo, come abbiamo visto, agisce quasi come se fosse l’avvocato dello scrittore. Questo ruolo, come da avvocato, che Piccioni si assume, lo vediamo più accentuato nel libro Ungarattiana, pubblicato dieci anni dopo la biografia. In questo libro, un intero capitolo è dedicato all’atteggiamento del poeta verso la politica. Queste pagine dimostrano chiaramente che Piccioni ha voluto proteggere Ungaretti ‘dagli accusatori, da chi ne [della prefazione di Mussolini a Il Porto Sepolto] ha menato scandalo’.98 Il frammento più significativo è forse il seguente: Certuni non hanno mai voluto perdonare ad Ungaretti queste righe di Mussolini. Gli stessi che si sono dimenticati, invece, di saggi veri e propri sulla Prosa metallica di Mussolini o di scritti sull’ ‘Estetica del carro armato’, di venerati maestri marxisti italiani – e si sono dimenticati Giorgio Baroni, Giuseppe Ungaretti. Introduzione e guida allo studio dell’opera ungarettiana. Storia e Antologia della critica, Firenze, Le Monnier, 1988, p. 17. 94 Leone Piccioni, Vita di Ungaretti, cit., p. 186. 95 Ivi, p. 72. 96 Ivi, p. 85. 97 Ivi, p. 140. 98 Leone Piccioni, Ungarettiana. Lettura della poesia, epistolari inediti, Firenze, Vallecchi, 1980, p. 239. 93 ‐ 37 ‐ volentieri anche di tanti atteggiamenti contro gli ebrei di certi attuali nostrani maestri di democrazia! Di questa sciocchezza mussoliniana, no! [...]99 Il fatto che non ci si sia scordati di questa prefazione, avrebbe avuto molte ripercussioni sulla vita di Ungaretti. Il biografo sostiene che fu proprio questa la causa per la mancata assegnazione del premio Nobel: ‘L’accusa fu ricorrente: [...] ripartì, artatamente, dall’Italia verso Stoccolma quando il suo nome pareva farsi davvero largo verso il Nobel.’100 Questo presupposto viene ripetuto in un articolo del 1995, in parole che non lasciano dubbi: Dico, senza tema di smentita, che per motivi politici (e cioè per il suo preteso ‘fascismo’, e forse per la sua professione di cattolico) gli fu negato il seggio di Senatore a vita, e forse, come altri hanno detto anche in questo convegno, ci furono interventi politici italiani molto autorevoli anche per sviare l’Accademia di Stoccolma dall’idea, forse maturata, di assegnare a Ungaretti il Premio Nobel.101 Questa tesi però è messa in discussione da Rosario Gennaro, che ha raccolto la corrispondenza fra il poeta e Jean Lescure, il suo traduttore francese e uno dei tramiti per la diffusione dell’opera ungarettiana in Francia: Gli anni passano e il Nobel non arriva. Ungaretti critica le scelte della giuria, ad esempio per avere premiato, nel ’54, ‘un médiocre comme Hemingway.’ Non fa riferimento a fattori più profondamente ostativi, come quelli ipotizzati dall’allievo e biografo Leone Piccioni. Contesta infine con durezza, nel ’59, l’incoronazione di Quasimodo, smontando i suoi meriti, letterari e civili, deplorando un documentato scambio di attenzioni tra il vincitore e membri della giuria.102 Anche se nell’opera poetica di Ungaretti raramente si può individuare un’angolatura politica, tre poesie possono essere considerate come l’immaginazione della realtà politica in cui Ungaretti visse a quei tempi: Popolo, Epigrafe per un caduto della rivoluzione e La pietà romana. Quest’osservazione ormai è una communis opinio, sostenuta da molti studiosi ungarettiani. Per quanto riguarda il primo poema, Popolo, Piccioni nota: 99 Ivi, p. 241. 100 Ivi, p. 239. 101 Leone Piccioni, Ungaretti e il fascismo, cit., p. 164. 102 Giuseppe Ungaretti e Jean Lescure, Carteggio (1951-1966). A cura di Rosario Gennaro, Firenze, Olschki, 2010, p. XVII. ‐ 38 ‐ Se si rimprovera a Ungaretti questa ‘famigerata’ prefazione, gli si rimprovera anche duramente di aver tolto alla poesia Popolo la dedica a Mussolini, dopo la guerra. Qualcuno si può immaginare, nel clima del dopo liberazione, se – anche nel caso in cui Ungaretti l’avesse voluto – quella dedica poteva rimanere? 103 Del contenuto politico delle altre due poesie, scritte rispettivamente nel 1935 e nel 1932, Piccioni non è nemmeno convinto, sostenendo che La pietà romana non sarebbe stata mai considerata come poema politico se non fosse stata pubblicata nella Antologia di poeti fascisti. Se seguiamo quest’argomentazione, si potrebbe dire lo stesso di Epigrafe per un caduto della rivoluzione, anch’essa apparsa in suddetta antologia, ma Piccioni di questa si limita a dire che ognuno ha la libertà di commentarla in chiave politica: ‘si lasci pure questo testo a qualunque commento “politico” si possa pretendere di mettere insieme!’ 104 Osserva poi che il poeta non ha mai ricevuto un trattamento preferenziale: sebbene lavorasse per l’ufficio stampa del Ministero degli Esteri, nel 1936 fu costretto ad emigrare in Brasile per ragioni finanziarie, un viaggio descritto varie volte come un esilio. Usò i legami con Mussolini solo per uscire dal carcere e per proteggere i suoi amici, come riferisce una lettera del poeta stesso a Piccioni, una lettera che sebbene non riprodotta in questo libro, forma evidentemente la matrice sulla quale il biografo si basa: Quello che ho fatto, per quella specie d’incanto che una volta avevo prodotto su Mussolini e in lui permaneva, fu di ottenere che fosse liberato dal confino uno dei miei più vecchi amici [...] Furono mille altri atti dello stesso genere. Durante il Fascismo fui arrestato moltissime volte [...]. Poi, ero subito liberato. Mussolini è stato, l’ho già detto, sempre debole verso di me, qualsiasi atteggiamento osassi assumere.105 ‘Le moltissime volte’ a cui Ungaretti si riferisce sarebbero state, in realtà, tre arresti, avvenuti tra il 1928 e il 1942. Il primo arresto fu nel 1928: durante un viaggio in treno, il poeta disse ad alta voce ad un amico che la situazione in Italia era così pessima da voler fortemente emigrare in Francia. Sentito da un comandante in abiti civili, venne pertanto condotto in un 103 Leone Piccioni, Ungarettiana, cit., p. 241. 104 Ivi, p. 242. 105 Lettera a Leone Piccioni, 8 maggio 1969, in Leone Piccioni, Ungaretti e il fascismo, cit., pp. 163168. ‐ 39 ‐ ufficio di pubblica sicurezza, dove fu poi accusato di aver espresso ‘apprezzamenti sfavorevoli’ sul fascismo.106 Il secondo e terzo arresto avvennero nel periodo dopo il 1939, durante i brevi ritorni dal Brasile: nell’agosto del ’39 fu costretto a rimanere più di una giornata in una camera di sicurezza del fascio per aver gridato in un ristorante che Mussolini aveva perso la testa.107 Un altro episodio che lo portò all’incarcerazione fu quando Ungaretti provò ad aiutare il poeta Umberto Saba e che era costretto a condurre una vita vagabonda dopo l’entrata in vigore delle leggi razziali nel 1938. Per vie indirette, Ungaretti entrò in contatto con un prefetto e provò a convincerlo di fare un’eccezione per il suo amico. L’ufficiale, confrontatosi con la richiesta del poeta, lo arrestò.108 Piccioni commenta queste vicende così: C’è chi ricorda queste invettive. E c’è chi ricorda certe sue difese personali di Mussolini [...]. E c’è, infine chi – più nel giusto – ha assistito alle prime invettive, ed alle seconde difese, essendo più in grado di ricostruire il vero carattere ‘non politico’ di Ungaretti.109 Sia nella biografia che in Ungarettiana, Piccioni spiega la scelta politica di Ungaretti seguendo due strade. Prima di tutto descrive il contesto storico: fra molti intellettuali dell’epoca c’era il desiderio di cambiamento. Mussolini era considerato come l’uomo giusto per creare un nuovo ordine in Italia: Ungaretti sta per credere che possa essere il fascismo a proporre per l’Italia la soluzione che ponga rimedio all’affarismo ed al clientelismo parlamentare, per ridare unità al popolo e giustizia alla nazione.110 Inoltre, fa degli esempi di altri scrittori che commisero lo stesso ‘errore ottico’, come Elio Vittorini e Romano Bilenchi.111 Un’altra opinione che giustifica l’attrazione del fascismo su Ungaretti è legata al fatto che nel poeta, da emigrante, sarebbe stato presente il forte desiderio di far parte di una società, di una nazione, e così si sarebbe mostrato in particolare molto sensibile al 106 Leone Piccioni, Vita di Ungaretti, cit., p. 244. 107 Ivi, p. 201. 108 Idem, Album Ungaretti, cit., p. 197. 109 Idem, Ungarettiana, cit., p. 244. 110 Idem, Vita di Ungaretti, cit., p. 142. 111 Ivi, p. 141. ‐ 40 ‐ nazionalismo patrocinato dal fascismo. Inoltre Piccioni ci ricorda che Ungaretti aveva un carattere da artista, e che la politica in quell’animo poetico non occupava molto spazio:112 Qualunque cosa sia stato scritto, detto o pensato dei rapporti tra Ungaretti e la politica, credo di poter tranquillamente dire – né a vantaggio né a svantaggio di lui – che tali rapporti sono stati, complessivamente, scarsi, senza mai impegnare il fondo vero dell’animo e della mente di quello che, fondamentalmente ed irriducibilmente, restava un poeta, insieme candido e ricchissimo d’esperienza, bambino ed ‘antico’.113 Nel 1989 esce l’Album Ungaretti, pubblicato da Mondadori: il tono di Piccioni appare qui meno difensivo, forse per le abbreviazioni del testo effettuate per poter inserire le molte illustrazioni. Nelle didascalie, la questione viene trattata in formulazioni più chiare, come vediamo nel seguente frammento: ‘L’adesione al fascismo di Ungaretti poggiò sulla delusione del combattente per la vittoria mutilata e sull’irredentismo del “diciannovista”.’114 Come abbiamo visto, Piccioni ha descritto il rapporto tra Ungaretti e il fascismo opponendosi a quelle voci (non esplicitamente menzionate) che diffidavano del poeta per la sua adesione al fascismo. Resta da indagare se ci sono delle tracce dell’opinione piccioniana in altre biografie dedicate ad Ungaretti. La seconda biografia sul poeta, di Carlo Ossola, esce nel 1975. Quello che salta immediatemente all’occhio è la naturalezza con cui Ossola associa sviluppi personali, poetici e sociali: Il ritorno all’ ‘ordine’, comune a molti in quegli anni (e si ricordi Apollinaire ‘Me voici devant tous un homme plein de sens/[...]/ Pitié pour nos erreurs pitié our nos péchés’), la prospettiva ‘regolare’ del matrimonio, [...], la necessità di un impiego stabile [...] sono tutti elementi che possono in parte spiegare questo bisogno di ‘quiete contemplazioni’. Ma ciò non va inteso come ‘culto dell’ordine’ imposto dalla forza, ma piuttosto come desiderio di riconquistare la tradizione; sono prospettive tipicamente letterarie che il fascismo poteva legittimare anche politicamente, nel mito di una ‘civiltà latina’, irradiata dall’Urbe.115 112 Idem, Ungarettiana., cit., p. 244. 113 Ivi, p. 235. 114 Idem, Album Ungaretti, cit., p. 144. 115 Carlo Ossola, Giuseppe Ungaretti, Milano, Mursia, 1975, p. 443. ‐ 41 ‐ Si deduce, pertanto, che Ossola non lega strettamente il ritorno all’ordine con l’adesione del poeta al fascismo, ma vede in questo un suo desiderio di sviluppo sociale, un desiderio diffuso tra molti artisti e intellettuali di quell’epoca e che anche il fascismo aveva adottato come priorità politica. Anche lui riferisce dei non sempre facili rapporti con il regime. Nel momento in cui il governo italiano rafforzò i legami con la Germania, la simpatia che Ungaretti dichiarò sempre apertamente nei confronti della Francia non fu del tutto gradita agli ufficiali.116 Maura del Serra, nella sua biografia di Ungaretti (Firenze, 1977), non ha lo stesso tono apologetico di Piccioni nei confronti del fascismo di Ungaretti. Spiega l’adesione in termini di tratti caratteriali e contesto storico: Ungaretti si è sempre francamente svelato tributario dei miti di rinascita sociale che di volta in volta gli prospettassero una immediata adesione vitalistica ad una restaurazione della coscienza comunitaria, appoggiata magari a recuperi mitico-storico della ‘missione’ della patria, appena e mai definitivamente trovata. Così Ungaretti ha potuto rovesciare il giovanile e sincero radicalismo anarchico nella nota – e discussa e discutibile ma certo altrettanto sincera – adesione al fascismo mussoliniano, protratta, sia pur con aperte riserve sul piano della politica razziale, fino alle disillusioni postbelliche, ed appoggiata a ‘una visione populistico-nazionalistico-mistica’ del fascismo di tanta intelligencjia ufficiale e avanguardistica sullo scorcio degli anni ’20, che assunse però in Ungaretti particolari polemiche contro l’ ‘esprit bourgeois’.117 Del Serra descrive il rapporto del poeta con la politica come ‘flessibile’, nato dai suoi ‘atavici spiriti anarchici’, e illustra il comportamento lunatico citando il fatto che il poema Mio fiume anche tu fu recitato nel 1948 alla fine di un comizio elettorale democristiano, con il permesso del poeta, il quale fece persino una dichiarazione di voto per la DC, mentre nello stesso decennio legava il poema a temi puramente cattolici.118 In Ungaretti Andrea Cortellessa ci parla della natura ribelle del poeta, motivandola con il fatto che egli fu un anarchico, un socialista e un fascista convinto.119 Non ha difficoltà nell’affermare che Ungaretti scelse il fascismo già nel 1919, e neacnche ha difficoltà notare 116 Ivi, p. 445. 117 Maura del Serra, Giuseppe Ungaretti, Firenze, La Nuova Italia, p. 8. 118 Ivi, p. 11. 119 Andrea Cortellessa, Ungaretti, Torino, Einaudi, 2000, p. 21. ‐ 42 ‐ che il poeta si iscrisse al partito fascista proprio nel 1924, un anno importante nella storia del fascismo. Questo periodo era molto delicato per il consenso al fascismo, perché il politico Giacomo Matteotti era appena stato vittima mortale dei fasci di combattimento. In seguito a questo tragico evento, molti intellettuali decisero di voltare le spalle a Mussolini e al fascismo – molti infatti descrivono il caso come emblematico per la ‘perdita dell’innocenza’ della corrente politica, e come uno dei primi esempi chiari degli eccessi di un regime totalitario. Ciononstante Ungaretti va visto come un uomo ‘prepolitico’ secondo Cortellessa: …. già in uno dei suoi primi articoli [...] si trovano frasi che mostrano come Ungaretti tenda a sovrapporre alle vicende politiche i suoi sentimenti e le sue inquietudini di uomo e artista: ‘[...] Estendendo il ragionamento, ci si accorge che la vita di una nazione non è diversa dalla vita d’un uomo: è semplicemente un’unità più vasta’. E qui si nota come si affacci già il titolo complessivo che Ungaretti apporrà alla propria opera, Vita d’un uomo, ma soprattutto come, con tali premesse, il suo pensiero non possa che restare sempre ‘prepolitico’. La vita di una nazione non è diversa dalla vita d’un uomo. Ogni volta che le scelte politiche di Ungaretti ci parranno sorprendenti, se non proprio respingenti, dovremo tener conto di questo principio fondamentale: ogni volta è a sé, alla sua esperienza, che pensa Ungaretti.120 Cortellessa è d’opinione che la scelta per il fascismo sia in gran parte ispirata agli aspetti antiborghesi e persino ‘rivoluzionari’ che venivano promossi da Mussolini e che trovarono un orecchio benevolo in Ungaretti.121 Della prefazione di Mussolini dice che è stata più una sfortuna che una fortuna per la carriera del poeta, perchè ha suscitato tanti rimproveri, benché il testo di Mussolini lo giudichi come ‘distratto’. Distratto e indifferente sono parole che si possono anche usare nel contesto degli ufficiali verso Ungaretti. Scrisse moltissime lettere a Mussolini e ad altri rappresentanti del regime, ma questo restava sempre un contatto unilaterale, in cui Ungaretti richiedeva di essere preso sul serio, e pretendeva stima per la grande abilità e il proprio talento, come dimostra il seguente frammento: V. E. sa il mio valore di poeta: in Italia uomini come Soffici, Thovez, Papini, Cecchi, Saffi, De Robertis, Prezolini ecc. hanno stampato in articoli e libri che la mia poesia era forse la più genuina manifestazione poetica della guerra sofferta, il grido del ‘fante’, il canto dell’ ‘uomo di Ivi, pp. 74-75. 121 Ivi, 73. 120 ‐ 43 ‐ pena’. In Francia, la critica - devo citar dei nomi? sono i più quotati delle lettere d’oggi: Paulhan, Aragon, Valéry, Fontainas, Apollinaire, Breton, ecc. - mi hanno riconosciuto con parole non più usate da lungo tempo verso uno scrittore d’Italia. Meriterei di essere da un pubblico più vasto conosciuto ed amato. Finora non conosco bene che la fame.122 Ma i politici, di fronte a quest’uomo, capriccioso e difficile da governare, non sapevano come fare. Conclude così Cortellessa: È l’inizio di una storia che se non va a suo onore per l’insistenza con la quale richiede un più diretto coinvolgimento, fa pure capire quanto sui generis sia da considerare la sua adesione al fascismo: al punto che il regime di uno come lui, in sostanza, non sapeva proprio che farsene.123 Secondo il critico, l’imbarazzo di fronte alla figura di Ungaretti si dissolse come neve al sole al ritorno del poeta dal suo soggiorno in Brasile. In quegli anni, mentre il regime stava per crollare, ognuno che non si era allontanato dal fascismo, veniva stretto al petto.124 Nel caso di Ungaretti questo abbraccio si materializzò nella nomina tanto attesa ad Accademico d’Italia, nel 1942. In più gli venne affidato ‘per chiara fama’ l’insegnamento di Storia di Letteratura Italiana Moderna e Contemporanea all’Università di Roma. Queste due nomine, che per Ungaretti erano la ricompensa per la stima non riconosciuta negli anni precedenti, hanno avuto ripercussioni sulla sua vita postbellica. Come abbiamo già visto nella biografia (p. 24), gli furono intentati diversi processi di epurazione dal Sindacato degli Scrittori per indagare la sua posizione. Cortellessa chiarisce che soltanto i grandi nomi venivano sottoposti a indagini di questo genere, ‘non certo si capisce, i voltagabbana di tutte le stagioni.’125 Tra le righe si legge che il critico sembra un tormentato da un certo senso di ingiustizia di fronte a queste vicende. Usa la parola ‘voltagabbana’, per quelli che scappano ai processi, come dire che anche questa categoria di gente dovrebbe essere stata giudicata per il proprio comportamento durante il regime. Una simile indignazione, tuttavia non così mite, sul 122 Lettera di Ungaretti a Mussolini, 5 novembre 1922. Citato da: Francesca Petrocchi, Giuseppe Ungaretti e il fascismo, cit., p. 170 123 Andrea Cortellessa, Ungaretti, cit., p. 75 124 Ivi, p. 110 125 Ivi, p. 117 ‐ 44 ‐ trattamento giuridico del poeta, l’abbiamo già vista nella biografia di Piccioni. Il processo che la commisione d’epurazione intentò a Ungaretti ha suscitato commenti non divergenti. Piccioni chiama il processo ‘assurdo’, nato da rancore e invidie.126 Cortellessa lo chiama ‘triste’ e osserva che i voltagabbana scappano sempre a questi processi, mentre invece i grande nomi vengono penalizzati.127 Ambedue citano il numero monografico Questi giorni di Luciano Anceschi,128 che ha curato e pubblicato questa rivista per esprimere solidarietà con Ungaretti durante il difficile periodo postbellico. ‘Di particolare significato’ era il contributo di Montale, anni dopo riprodotto ne Il secondo mestiere: 129 Poeta in progress nel significato migliore della parola, Ungaretti ci ha dato, intorno ai limiti e al senso della libertà poetica, una lezione che conserverà sempre per noi un valore inestimabile.130 Significativo perchè Montale, come si sa, durante la guerra mostrava un ben altro atteggiamento verso il regime rispetto a quello tenuto da Ungaretti: sottoscrisse il Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce e visse una vita reclusa per tutto il periodo che Mussolini rimase al potere. Tuttavia è curioso notare che ambedue gli altri biografi, Ossola e Del Serra, descrivono i processi in un tono più neutro. I due biografi, Piccioni e Cortellessa condividono anche l’opinione sulla prefazione a Il Porto Sepolto di Mussolini: Piccioni la chiama (tra altro) ‘di comodo’,131 Cortellessa ‘sospiratissima’.132 Per il resto, Cortellessa ha più in comune con gli ultimi citati che con Piccioni: anche lui è d’opinione che il ritorno all’ordine nell’opera di Ungaretti rispecchi un’immagine d’epoca, anche politica. Infine, i quattro biografi concordano che solo su un punto è inutile discutere, poichè chiaro come il sole: Ungaretti è un’ anima libera e indipendente, al di là dell’ideologia che 126 Leone Piccioni, ‘Giuseppe Ungaretti’, in: Letteratura italiana. I contemporanei, Milano, Marzorati Editore, 1963, p. 880. 127 Andrea Cortellessa, Ungaretti, cit., p. 21. 128 Luciano Anceschi, Questi giorni, nr. 2-3, 5-20 dicembre 1945. 129 Andrea Cortellessa, Ungaretti, cit., p. 143. 130 Eugenio Montale, Il secondo mestiere. Prose 1920-1979, Milano, Mondadori, 1996, pp. 633-634. 131 Leone Piccioni, Vita di Ungaretti, cit., p. 144. 132 Andrea Cortellessa, Ungaretti, cit., p. 78. ‐ 45 ‐ sosteneva. Il termine ‘prepolitico’, usato da Cortellessa per caratterizzare il poeta è una parola che facilmente potrebbe essere presente in tutte e quattro le biografie. Monografie Ungaretti è tra i poeti italiani più ricercati e per questo su di lui è stato pubblicato un infinito numero di studi, da quelli molto specializzati e dettagliati a quelli più ampi, scritti per introdurre l’opera del poeta ad un pubblico non accademico. Comincio ad analizzare i riferimenti al rapporto tra Ungaretti ed il fascismo presenti nei libri del secondo genere. La prima monografia, scritta da Folco Portinari e pubblicata nel 1972, con lo scopo di introdurre e guidare il lettore allo studio dell’opera di Ungaretti, non mette in evidenza la biografia dello scrittore.133 Al contrario, nella seconda monografia, Giuseppe Ungaretti, anche questa un’introduzione e guida allo studio dell’opera del poeta, Giorgio Baroni descrive un fenomeno già menzionato dai suoi colleghi: il desiderio di tornare all’ordine, che coincide con gli ideali letterari e artistici promossi dal fascismo. Secondo il critico, il poeta voleva proprio una pausa di riflessione e stabilità perché era deluso dopo la Grande Guerra, che non aveva creato la nuova società tanto ambita da lui e da molti altri. Dopo tanti anni di formazione nella capitale francese con nuove forme d’arte sul piano letterario, avrebbe sentito la neccessità dell’ordine perché era stanco dell’avanguardia. I suoi compagni della rivista La Ronda nutrivano idee simili.134 Dopo Parigi, andò ad abitare nella capitale dell’antichità e del classicismo, e anche questo fatto, secondo Baroni, motiva il desiderio della tradizione.135 Nelle monografie commemorative, il passato fascista non è mai affrontato. Ovviamente, un libro pubblicato in onore del suo settantesimo compleanno, con contributi da scrittori stranieri notevoli come T. S. Eliot, John dos Passos, Saint-John Perse e Marianne Moore, non era una piattaforma adatta per discutere dei lati controversi dell’autore,136 e neanche il numero che Andrew Wylie, ormai celebre e leggendario agente letterario, dedicò al poeta; tanto meno le diverse riviste che pubblicarono degli special su Ungaretti.137 133 Folco Portinari, Giuseppe Ungaretti, Torino, Borla, 1967. 134 Giorgio Baroni, Giuseppe Ungaretti, cit., p.4. 135 Ivi, p. 15. 136 Giuseppe Ungaretti, Il taccuino del vecchio, Milano, Mondadori, 1960. 137 Andrew Wylie, “Giuseppe Ungaretti special issue”, 1970; “La Fiera Letteraria”, 1953, “Galleria”, 1968; “L’approdo Letterario”, 1972; “Forum Italicum”, 1972. ‐ 46 ‐ Un esempio di studi destinato a un pubblico più specializzato è La critica e Ungaretti di Giuseppe Faso (Bologna, 1977). Faso, nel suo libro, ha fatto una selezione delle critiche più significative nello studio ungarettiano: vi troviamo, per esempio, un saggio di Giovanni Raboni, che si inserisce nella discussione sulla questione del ‘ritorno all’ordine’ del poeta. È dell’opinione che il nuovo modo di fare poesia possa essere visto in chiave storica, e che il ritorno coincida non solo con concetti filosofici alla moda all’epoca, ma anche con concetti politici, predicati dai fascisti: So benissimo che l’ermetismo di Ungaretti parve rappresantare e in qualche modo rappresentò, negli anni Trenta in Italia, esattamente l’opposto di ciò cui alludevo poco fa: vale a dire l’Europa, non l’Italia: il mondo, non la provincia; la novità, non la conservazione. Ma resta vero, a mio avviso, a lato o al di sotto di questa verità di primo grado, che la ‘riscoperta’ e rimessa in auge della tradizione operata da Ungaretti con gli Inni e le Leggende, con le poesie della Fine del Crono e con i sei canti della Morte meditata, coincide sottilmente di fatto, su un piano di agibilissima e forse agevole riscontrabilità ideologica, con la linea culturale che la controrivoluzione agraria e borghese che Mussolini aveva o avrebbe avuto interesse d’imporre silenziosamente al paese.138 Un’argomentazione non molto lontana da tutte quelle che leggeremo negli articoli seguenti. Di tipo più specializzato sono gli studi che trattano di aspetti formali o sostanziali della poesia di Ungaretti, come quello di Luciano Rebay, Le origini della poesia di Giuseppe Ungaretti. Nel suo studio elenca tutte le influenze letterarie del poeta. Uno di queste era il futurismo e il critico ne vede delle tracce soprattutto nella poesia Popolo, tracce che non furono soltanto ispirate da ambizioni strettamente artistiche, ma anche sociali: Sicuramente la volontà di sperimentare giocò la sua parte, ma crediamo di non errare asserendo che la scelta di uno stile futurista per ‘Popolo’ fu dettata soprattutto dalle circostanze nelle quali la poesia fu composta. Ungaretti divenne un acceso sostenitore della partecipazione italiana al conflitto, e un ammiratore di Mussolini. ‘Popolo’ comparve, infatti, con una dedica a Benito Mussolini quando venne ristampato nell’Allegria di Naufraghi (Firenze, Vallecchi, 1919). Nella prefazione 138 Giovanni Raboni, L’attesa di senso. Inizio di un saggio su Ungaretti, in Giuseppe Faso, La critica e Ungaretti, Bologna, Cappelli, 1977, p. 229. ‐ 47 ‐ alla successiva edizione della Allegria (Milano, Preda, 1931), Ungaretti confermava che ‘Popolo’ gli era stato suggerito ‘dall’Uomo che s’affacciava allora per la prima volta al suo cuore’, aggiungendo che gli era di ‘tutte le sue poesie, la più cara’, perché rappresentava per lui ‘l’immagine della fedeltà’.139 Il fatto che il poeta abbia scelto un tono futurista per la poesia non dovrebbe sorprendere secondo Rebay, perché erano appunto i rappresentanti di questa corrente letteraria ad appoggiare l’intervento armato. Gli echi futuristi, a tal proposito, non sono rintracciabile nel poema, visto che Ungaretti usò estensivamente la lima in questa poesia.140 Un altro libro di questa categoria è La poesia di Ungaretti di Glauco Cambon: l’autore fa un’analisi interpretativa delle tre raccolte di poesia Allegria, Sentimento del Tempo e Il deserto e dopo. Inutile dire che in questo tipo di pubblicazione la biografia dello scrittore non è sempre considerata rilevante, 141 soprattutto negli studi che scelgono un’angolatura formalistica per l’interpretazione dei testi, come, per esempio, ne Le antitesi nella poesia di Ungaretti a cura di Silvana Ghiazza. Il libro di Cambon, invece, è l’unica monografia nel corpus di testi secondari che ho consultato che parte da un’angolatura stretta (analizzando le prose di viaggio ne Il deserto e dopo) che affronta il passato politico dello scrittore. Cambon dimostra che Ungaretti non si impegnò mai a fare da semplice propagandista per il regime fascista. Indagando le prose di viaggio dello scrittore, spesso fatte su commissione del suo datore di lavoro, ha scoperto che Ungaretti non si comportò mai come un corrispondente che cantava le lodi del governo, ma anzi provò a inserire le vicende storiche e sociali nel suo sistema di pensiero personale: Vi troviamo [..] passi di informazione storica, dettati in parte dalle circostanze politiche di una era che tendeva a rivendicare all’Italia tutto il rivendicabile. Solo in parte però; perché Ungaretti era troppo cosmopolita di nascita e di formazione per accondiscendere ai provincialismi governativi, e i suoi orgogli di italiano certo non scadono mai nella propaganda dozzinale. Anche là dove ufficialmente gli sarebbe toccato celebrare i fasti del regime [...], ne Luciano Rebay, Le origini della poesia di Giuseppe Ungaretti, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1962, p. 50. 140 Ivi, p. 55 141 Altre monografie di questa categoria che ho consultato: Paola Montefoschi, Ungaretti. Le eclissi della memoria, Roma, Edizioni Scientifiche Italiane, 1988; Mario Petrucciani, Poesia come inizio. Altri studi su Ungaretti, Roma, Edizioni Scientifiche Italiane, 1993; Franco Musarra, Risillabare Ungaretti, Roma/Leuven, Bulzoni/Leuven University Press, 1992; Rosita Tordi, Ungaretti e i suoi maîtres à penser, Roma, Bulzoni, 1997. 139 ‐ 48 ‐ vien fuori una sobria narrazione che poi, accendendosi al contatto dei luoghi carichi di storia [...], trasfigura tutto in perenne mito dell’uomo, del tempo e degli elementi. 142 Cambon, inoltre, afferma che sebbene i testi all’epoca potessero essere letti in chiave politica, oggi ci resta un altro valore, cioè un incontro con un poeta che racconta delle esperienze personali durante i suoi viaggi: Quale che fosse l’uso che di tali pagine si prefiggessero i governanti di tanti anni fa, l’uso che a noi lettori odierni è dato di farne le riscatta da ogni avventizio presupposto ideologico. Se per esempio le corrispondenze dell’inviato speciale Ungaretti dalla Corsica potevano far comodo ai detentori del potere in vista di futuri programmi d’annessione, per cui importava tener in vita la causa dell’italianità culturale di tale isola, quella che ci viene incontro dal taccuino corso è un’esperienza personale, una Corsica ungarettiana, sentita nella sua unicità insulare. 143 Introduzioni Un anno prima della morte del poeta, nel 1969, uscì Vita d’un uomo. Pubblicato da Mondadori, raccoglie tutte le poesie di Ungaretti in un unico volume. Fino ad allora, l’antologia aveva collezionato ventotto ristampe, una cifra impressionante. Mondadori aveva cominciato a pubblicare nuove edizioni delle sue raccolte nel 1942, con lo scopo di pubblicare le opere complete in sei volumi. Il primo volume era una ristampa dell’Allegria. In ognuno di questi volumi uscito dopo il 1945, l’introduzione non si riferiva alla vita politica del poeta.144 Questo non dovrebbe sorprendere: i saggi che introducono le antologie non hanno come soggetto la vita personale del poeta. In più, le edizioni erano curate da Leone Piccioni, il biografo di Ungaretti, che, come abbiamo visto, benché non oscurasse il passato fascista di Ungaretti, ha sempre avuto problemi a ricollegare l’opera poetica e la convinzione ideologica del poeta. È interessante notare invece che una ristampa de Il Porto Sepolto edita da Marsilio nel 1990 non fa riferimento alcuno all’edizione con la prefazione di Mussolini, nonostante l’autore dell’introduzione, Carlo Ossola, descrive in dettaglio la genesi e le varie ristampe del 142 Glauco Cambon, La poesia di Ungaretti, Torino, Einaudi, 1976, p. 145. 143 Ibidem. 144 Ho preso in esame Poesie disperse (1945), Il dolore (1947) e Visioni di William Blake (1964). ‐ 49 ‐ libro, compresa quella da Ettore Serra (che conteneva infatti l’introduzione del Duce).145 Anche in un’altra raccolta di componimento ungarettiana, scritto durante il periodo in cui il poeta era attivo sostenitore del regime, o da essa impegato in diverse attività, non viene chiarito la vita politica del poeta, neanche con un semplice riferimento.146 Ci sono, tuttavia, due eccezioni. La prima è il libro in cui vengono riprese le lezioni che Ungaretti tenne all’università di Roma. Nell’introduzione troviamo una tavola cronologica, che descrive il suo periodo di sospensione dall’università. Nel 1942, dopo il suo ritorno dal Brasile, il Ministero della Pubblica Istruzione lo nominò professore. Prese servizio nel dicembre del 1942; a causa dello stato d’assedio di Roma nel 1943, le lezioni furono sospese fino al 1944. In quel periodo dovette difendersi di fronte ad una commissione d’epurazione. Dal 31 luglio 1944 non gli fu consentito di stare dietro alla cattedra nelle aule universitarie – nel 1 agosto 1945 Ungaretti fu riassunto in servizio.147 La seconda eccezione è l’introduzione ad Allegria pubblicata nel 1982, che nomina la prefazione di Mussolini a Il Porto Sepolto. Si tratta di un’edizione critica, dove la genesi dell’antologia è un argomento d’interesse. La curatrice del volume, Cristiana Maggi Romano, afferma che l’edizione del ’42 può essere vista come risultato finale, perché nelle sei riedizioni successive, è possibile distinguere solo tre ritocchi, una cifra insignificante se si considera il numero di cambiamenti nelle edizioni precedenti. Non viene precisato, invece, in quale ristampa questi tre ritocchi siano stati effettuati.Ci interessa in particolare uno di questi ritocchi: la soppresione della dedica a Mussolini di ‘Popolo’. Nell’edizione del 1945 la dedica è stata tolta (gli altri due ritocchi che la Maggi Romano menziona non erano ancora stati eleborati). Inoltre, la nota dell’autore è stata revisionata, un fatto che non viene osservato dalla Maggi Romano. Il paragrafo seguente, ancora presente nelle edizioni del ’31, del ’36 e del ’43 è stato soppresso nell’edizione del 1945: E l’autore è lieto e fiero, dopo tanti anni, di vedere che in un punto il suo animo non muta nè potrà mutare. Suggerita nel 1915 dall’Uomo che s’affacciava allora per la prima volta al suo cuore, intitolata a Lui nell’edizione del 1919, e oggi, pure essendo cosa futile davanti alla Carlo Ossola, Introduzione, in: Giuseppe Ungaretti, Il Porto Sepolto,Venezia, Marsilio, 1990, p. 17. 146 Cfr. Paola Montefoschi, Introduzione, in Giuseppe Ungaretti, Invenzione della poesia. Lezioni brasiliane di letteratura (1937-1942), Roma, Edizioni Scientifiche Italiane, 1984, pp. 7-35. 147 Giuseppe Ungaretti, Lezioni su Giacomo Leopardi. A cura di Mario Diacono e Paola Montefoschi, Roma, Presidenza del Consiglio dei Ministri (Dipartimento per l’informazione e l’editoria), 1989, p. 28. 145 ‐ 50 ‐ grandezza delle Sue fatiche, ‘Popolo’ è per il poeta l’immagine della fedeltà, e per questo, fra tutte le sue poesie, la più cara.148 Naturalmente, questa soppressione è un effetto logico della rimozione della dedica. Un altro cambiamento riguarda il riferimento all’introduzione di Mussolini: [edizione ’31/’42] Il Porto Sepolto, insieme ad altre poesie scritte prima e dopo, fu, con prefazione di Benito Mussolini, nuovamente a cura di Ettore Serra, ristampato a La Spezia nel 1923.149 [edizione ’45] Il Porto Sepolto, insieme ad altre poesie scritte prima e dopo, fu nuovamente a cura di Ettore Serra, ristampato a La Spezia nel 1923.150 Nell’edizione del ’45 si ritrova il riferimento che suggerisce che la nota all’edizione del 1931 e a quella del 1936 sia sempre stata uguale, il che in parte è vero, però qualche cambiamento rispetto alle edizione precedenti c’è stato, in particolare per quanto riguarda i riferimenti a Mussolini. Senza dubbio questi cambiamenti furono un effetto del nuovo clima in Italia, ma anche frutto delle difficoltà personali del poeta. Nel agosto del 1945 venne subito riammesso all’Università dopo il processo di epurazione a cui era stato sottoposto. È chiaro, dunque, che egli non volesse che un libro uscito nello stesso anno riaprisse il discorso sul suo passato politico. Questa serie di ritocchi ci pone in evidenza un aspetto che è difficile da interpretare e che dimostra la contraddizione nelle dichiarazioni del poeta. Come descrive Anna Vergelli (p.62), Ungaretti era un’uomo che ha ‘sempre dichiarato con coraggio le proprie posizioni politiche’, un’uomo che nelle sue proprie parole ‘non ha niente da nascondere’. Saggi specializzati Nel presente paragrafo discuterò sei saggi dedicati al rapporto tra Ungaretti e il fascismo. Il primo articolo, di Robert S. Dombrowski, è apparso nel 1984, in uno studio più ampio sul 148 Giuseppe Ungaretti, Allegria. Edizione critica a cura di Cristiana Maggi Romano, Milano, Mondadori, 1982, pp. 7-8. 149 Ivi, p. 40. 150 Giuseppe Ungaretti, L’Allegria, Milano, Mondadori, 19452, p. 5. ‐ 51 ‐ panorama letterario durante il regime. Il capitolo dedicato ad Ungaretti porta un titolo significativo: ‘Ungaretti: tra innocenza e fascismo’. Contrariamente a tutti quelli che hanno spiegato l’adesione del poeta al fascismo come ammirazione per Mussolini, Dombrowski ritiene che qualcosa in più spinse il poeta a diventare un fascista convinto e che è proprio all’aspetto ‘totalitario’ del fascismo che si deve la sua adesione integrale.151 Basandosi su vari articoli dello scrittore sul fascismo, Dombrowski afferma che l’attrazione per il fascismo, e non solo il ‘mussolinismo’, sarebbe stata motivata dal fatto che si trattava di una corrente profondamente antiborghese. Ciò non toglie che Ungaretti colorisse quest’aspetto con la sua convinzione ideologica personale: Il discorso strategico di Ungaretti [...] è tipico dell’ideologia ‘rivoluzionaria’ fascista: cioè, mistificare la realtà effettiva del regime, impostando l’egemonia in termini di nozioni interclassiste come ‘popolo’, ‘communità’ e ‘razza’. Ma il taglio ideologico specifico che Ungaretti dà alla strategia è di stampo cattolico. [...] È una critica della civiltà borghese dal punto di vista di una Lebensphilosophie di marca cattolica.152 Dombrowski conclude, però, che la maggior parte dei pensieri espressi negli articoli di Ungaretti sono conciliabili con quelli del fascismo. Dopo aver tracciato un quadro del pensiero politico del poeta, l’autore propone una lettura politica delle poesie di Ungaretti – decisione quasi rivoluzionaria se si pensa al rigore con cui molti studiosi dichiaravano di non poter individuare tracce politiche nella sua opera. Secondo Dombrowski, il poeta non presenta le poesie in Allegria come un prodotto dell’immaginazione, ma come descrizioni della vita reale. Inoltre egli distingue nella comunione con l’Assoluto, un motivo importante nella raccolta, una legame inseparabile con le vicende storiche, al punto che esiste una coerenza totale fra le poesie e le idee politiche dello scrittore: L’idea di una pienezza, o - perduta o, per lo meno, da scoprire - di un’assenza misteriosa delle cose, difficilmente si separa dal concetto di un’anima nazionale o di una razza mediterranea, che rimane intatta attraverso le vicende storiche, come difficilmente si separa dal mito di una società totale in cui gli individui isolati diventano uomini viventi in comunione coll’Assoluto. 151 Robert S. Dombrowski, ‘Ungaretti: tra innocenza e fascismo’, cit., p. 73. 152 Ivi, p. 79. ‐ 52 ‐ La convergenza del poeta con il contesto storico sarebbe ancora più manifesta nel Sentimento del tempo. Questa raccolta è la realizzazione, come dice il titolo stesso, di un ‘sentimento del tempo’. E Dombrowski aggiunge: Non è difficile capire, nella misura in cui Ungaretti si dichiarò fascista, come la sua poesia [...] possa contribuire alla fondazione ideologica del fascismo. Con questo, non si toglie nulla al valore della poesia ungarettiana. La originale tecnica dei versi e il risultato sul piano estetico non perderanno un minimo grado d’importanza. Acquisteranno magari solo un’altra dimensione da tenere presente se si vuole comprendere pienamente la storicità della sua singolare esperienza.153 Queste righe sono l’introduzione alla sua conclusione finale, in cui afferma che l’opera di Ungaretti va letta non solo concentrandosi sui diversi aspetti del linguaggio poetico, ma anche secondo una fisionomia veramente sociale. ‘Da questa angolazione’, ritiene Dombrowski, ‘l’interdipendenza tra coscienza artistica e politica si rivela nel modo più immediato.’ Cinque anni dopo la pubblicazione dell’articolo di Dombrowski, Francesca Bernardini Napoletano ha curato la corrispondenza tra Corrado Pavolini, critico letterario, e gli scrittori Vincenzo Cardarelli e Ungaretti. Le lettere di Ungaretti sono precedute da un saggio intitolato Il lungo viaggio di Ungaretti verso il fascismo. Nel periodo ’26-’37 Pavolini ed Ungaretti hanno coltivato una corrispondenza non particolarmente intensa, ma comunque significativa per l’immagine che essa schizza della vita intellettuale durante il regime. Sia Pavolini che Ungaretti si consideravano intellettuali militanti, pur trovandosi in situazioni molto diverse: Pavolini era figlio dello stimato filologo Paolo Emilio, nonchè fratello di Alessandro Pavolini, ministro della Cultura popolare, e pertanto uno che conosceva come farsi strada negli apparati più alti del potere; Ungaretti, invece, sebbene riconosciuto come un grande artista, si muoveva ai margini della vita sociale. Dal punto di vista di Pavolini, Ungaretti era come un tutor poetico, uno che poteva guidarlo nel mondo della poesia.154 Ungaretti, dal canto suo, scriveva lettere a Pavolini per dare espressione alla sua condizione di povertà, la lotta per il pane quotidiano. La 153 Ivi, p. 89. 154 Francesca Bernardini Napoletano, Il lungo viaggio di Ungaretti attraverso il fascismo, cit., pp. 104105. ‐ 53 ‐ corrispondenza è un esempio di due artisti politicamente impegnati, nonostante fossero in dissenso sul ruolo dell’artista nella società. Si potrebbe dire che Pavolini, un uomo ‘integrato’ nel regime, era più ortodosso nel suo coinvolgimento rispetto a Ungaretti, il quale aveva un atteggiamento più anticonformista e – molto importante in quel contesto – più internazionale nei confronti del fascismo. Non sorprenderà, dunque, che la corrispondenza fra i due letterati sia nata da una discussione in merito alla letteratura francese. In un articolo nella rivista Nouvelle Revue Française, lo scrittore André Suarès, all’epoca considerato al pari di grandi scrittori come André Gide e Paul Claudel, definiva volgare l’atmosfera politica in Italia, un’opinione che a Pavolini andò di traverso e a cui reagì pubblicando un’articolo fortemente polemico, descrivendo la letteratura francese come degenerata e decadente, e gli esponenti di essa ‘intelligenti che stanno a guardare dai balconi e [...] che si limitano a prendere appunti nei block-notes della rinuncia etica e della malizia letteraria.’155 Da questa citazione emerge già l’ideale di Pavolini: secondo lui uno scrittore doveva essere engagé, morale, preferibilmente italiano di nazionalità e la sua opera comprensibile al popolo e subordinata all’impegno politico. Proprio quest’ideale crea un conflitto con Ungaretti, acceso difensore della cultura francese e dell’autonomia dell’artista: per quanto riguarda il primo punto, egli riteneva che esistesse un legame franco-italiano e che le due nazioni potessero essere considerate come sorelle. Riguardo al ruolo dell’artista nei confronti dello stato, era disposto a diffondere i concetti fascisti all’estero, lavorò con piacere come giornalista per giornali fascisti, ma vide sempre la letteratura come una forma d’arte nella quale lo stato non doveva immischiarsi. Secondo lui, infatti, l’artista non era un ‘funzionario’ del regime, ma un ‘militante’.156 Ungaretti dovette difendere spesso il proprio sistema di pensiero, come afferma Bernardini Napoletano: Due ordini di accuse e polemiche [sono state] costantemente indirizzate ad Ungaretti dagli intellettuali fascisti: il primo chiamava in causa le simpatie di Ungaretti per la Francia e la cultura francese; il secondo entrava nel merito della poesia ungarettiana, giudicata difficile, oscura, incomprensibile, e pertanto disimpegnata, non fascista.157 155 C. Pavolini, ‘Due parole al francese intelligente,’ “Il Tevere”, 16/17 aprile 1926. Citato da: Francesca Bernardini Napoletano, Il lungo viaggio di Ungaretti attraverso il fascismo, cit., p. 106. 156 Francesca Bernardini Napoletano, Il lungo viaggio di Ungaretti attraverso il fascismo, cit., p.173. 157 Ivi, p.109. ‐ 54 ‐ Sono proprio questi due tratti che non rispondono all’immagine sognata dell’artista fascista, e che impedirono ad Ungaretti di essere integrato con l’apparato culturale del regime, nonostante egli si sentisse per forza un servitore del suo paese, da soldato, ma anche in funzione di letterato, diffondendo durante i suoi viaggi all’estero un’immagine positiva dell’Italia fascista. Pertanto, la relazione del poeta col fascismo, secondo Bernardini, ha un senso di fallimento: Se da una parte Ungaretti è consapevole dei suoi meriti e del suo valore di poeta, rivendicati ad ogni occasione, che dovrebbero valergli una carica ufficiale, dall’altra proprio per tali meriti e per tale valore il poeta deve distinguersi nel ‘bailame’, nel ‘marasma’, nella ‘confusione’. Tale atteggiamento dà la misura della visione che Ungaretti ebbe del fascismo e della conseguente delusione.158 Questa delusione non è soltanto provocata dall’emarginazione di Ungaretti come figura pubblica: al poeta dispiacque anche la direzione intrapresa dal fascismo. All’inizio del suo lungo viaggio attraverso il fascismo, la figura di Mussolini personificava per Ungaretti il rinascimento, la rivoluzione, l’antiborghesia. Egli vedeva il fascismo come un sistema, un ‘metodo’ per creare una società nuova, per far cadere il malgoverno dei vecchi. Il compito toccava ai giovani, secondo Ungaretti. Erano loro il simbolo della giustizia fascista, della rivoluzione, di un’Italia vista come ‘un giovane atleta pieno di grazia e di saggezza, di seme.’159 E proprio in queste aspettative, Ungaretti rimase deluso. Quando fu licenziato, scrisse una lettera a Mussolini, sottolineando che non dovevano essere più gli intrighi a mettere a punto una linea politica: È ora di lavoro serio e pensi [Amadeo] Giannini160 che ora c’è un Governo forte, che durerà più anni: e che i ricatti e le intimidazioni, e le tesche non servono più: questa volta c’è un uomo giusto.161 158 Ivi, p. 114. 159 Giuseppe Ungaretti, Italia, Francia e Jugoslavia, “Il Popolo d’Italia”, 11 febbraio 1919, p. 1. Citato da: Francesca Bernardini Napoletano, Il lungo viaggio di Ungaretti attraverso il fascismo, cit., p. 105. 160 Cfr. sopra, p. 22. 161 Francesca Bernardini Napoletano, Il lungo viaggio di Ungaretti attraverso il fascismo, cit., p. 115. ‐ 55 ‐ Queste parole costituiscono un’eco di una lettera indirizzata a Soffici, una decina d’anni prima: Ho lasciato l’Italia con un’amara impressione. Avevo sperato che i quattordici gatti che hanno ingegno da noi si sarebbero dati la mano in un’attività comune, e invece non ho trovato che rancori, pettegolezzi, arrivismi ed altre simili miserie.162 Bernardini, infatti, distingue questo desiderio di una società nuova, di un rinascimento, come uno dei due fattori pressanti che spinsero Ungaretti all’adesione al fascismo. Questo rinascimento deve essere visto come un ritorno all’ordine, all’armonia, e una rivoluzione per una società oligarchica in cui regni la pace.163 Un altro fattore, conseguenza logica del primo, era la fede incrollabile in Mussolini. Così forte era la fiducia nei cambiamenti che il duce potesse operare, che Bernardini ritiene che sarebbe più coretto parlare di ‘mussolinismo’, piuttosto che di fascismo. La studiosa non vede un abisso incolmabile tra l’attività poetica e politica di Ungaretti: Se l’adesione al fascismo si nutre di motivazioni morali oltre che politiche, tra l’attività giornalistica e quella letteraria non sussiste iato, pur se è ben chiaro che ognuna si sviluppa su un piano specifico e con modalità ben distinte, senza confusione di competenze e di ambiti; entrambe tuttavia collaborano a costruire una figura di scrittore che ha recuperato l’aureola tradizionale [...].164 Come Cortellessa e, come vediamo più tardi, Francesca Petrocchi, la studiosa ammette che a volte è difficile definire l’atteggiamento del poeta verso il fascismo, soprattutto perchè certe dichiarazioni ungarettiane si smentiscono a vicenda. Bernardini attribuisce queste contraddizioni al tempo in cui visse Ungaretti: da un lato era un poeta che sosteneva la necessità di autonomia artististica, dall’altro lato era un fascista convinto. In una rivista francese, Comoedia, Giorgio De Chirico e Alberto Savinio parlavano con molto disprezzo del clima politico e artistico italiano. Pavolini, a suo volta, li accusò di 162 Ivi, p. 127. 163 Ivi, p. 119. 164 Ivi, p. 126. ‐ 56 ‐ ‘internazionalismo giudaico-parigino’. Le due lettere che Ungaretti scrisse per difendere i due artisti sono un esempio non solo del carattere del poeta, ma anche: sono documento impressionante di un costume e di un clima letterario e politico così diffuso da provocare deformazioni e guasti anche in Ungaretti, non conformista da poeta e come intellettuale, ma da buon fascista pronto a sospendere il suo giudizio di fronte a valutazioni e a ragioni d’ordine politico: se dunque ‘bisogna sempre, in tutto, portare un granellino d’umanità’, ed in particolare verso gli artisti che non vanno perseguitati ‘inutilmente’, è tuttavia fuori discussione che ‘i disfattisti politici’ debbano essere puniti ‘giustamente’.165 Nel 1995, è uscita una raccolta di saggi presentati durante un convegno dedicato ad Ungaretti nel 1989. Tra i vari contributi v’era anche quello di Leone Piccioni, dedicato alla relazione tra il fascismo e Ungaretti, in cui spiega, prima di tutto, che il poeta non ebbe mai vantaggi (sia finanziari, sia sociali) per la sua dichiarata scelta politica: Gli amici, francesi e italiani, che andavano a trovarlo, notavano che nella stanza in cui si intratteneva con loro, c’erano diverse catinelle sparse per terra per raccogliere l’acqua che filtrava dal tetto quando pioveva. Ecco, dunque, come Ungaretti approfittò del Fascismo!166 Il cuore dell’articolo è formato da una lettera che il poeta scrisse a Piccioni, in cui esprimeva il suo disgusto per il fatto che l’introduzione di Mussolini a Il Porto Sepolto fosse oggetto di discussione. In tale lettera, Ungaretti elencava inoltre tutto quello che aveva fatto di inopportuno agli occhi del regime. Non si era mai iscritto a ‘quel Partito’, dichiarò, era stato arrestato ‘moltissime volte’, aveva salvato amici dalla prigione, e ci ‘furono mille altri atti dello stesso genere’.167 Il fatto che Piccioni si è basato, soprattutto, sui documenti personali del poeta e sulle conversazioni, è già stato menzionato nelle precedenti pagine (cfr p. 36). Il biografo, però, non approfondisce la questione dell’iscrizione al Partito Nazionale Fascista, negata da Ungaretti nella lettera a lui indirizzata, mentre secondo vari studiosi il poeta si iscrisse nel 1924. 165 Ivi, p. 152. 166 Leone Piccioni, Ungaretti e il fascismo, cit., p. 164. 167 Ivi, p. 165. ‐ 57 ‐ Anche di fronte ai numerosi arresti c’è incertezza: Piccioni elenca nella sua bibliografia tre arresti, che certamente non sono una cifra insignificante, ma una cifra che comunque non corrisponde alle moltissime volte di cui parla Ungaretti stesso. Vediamo però che molti critici letterari citano Piccioni quando parlano dei numerosi conflitti del poeta con l’apparato fascista, tra cui Cortellessa e Anna Vergelli. Entrambi affermano che i suoi problemi con il regime erano numerosi, citando come esempio gli arresti, ma non riferiscono altri eventi se non quelli già citati nella biografia di Piccioni.168 Nella stessa raccolta è riprodotto un articolo di Francesca Petrocchi, di cui discuterò più tardi l’elaborazione pubblicata in volume. Il quarto articolo è stato scritto da Anna Vergelli. Pubblicato nel 1990, fa parte di un libro intitolato Un uomo di prim’ordine, che raccoglie vari inediti ungarettiani al fine di dipingere un quadro più trasparente del suo ruolo di tramite per la cultura francese: vengono dunque citate frequentemente le lettere tra il poeta e ufficiali del regime, tra cui Mussolini, così delineando anche il rapporto difficile con gli istituti ufficiali. Come molti altri, laVergelli spiega l’adesione di Ungaretti al fascismo come uno sviluppo non proprio tipico dell’individuo, bensì come una tendenza che segna un’ epoca: È facile ritrovare proprio nella parabola ungarettiana dal giovanile interventismo, attraverso la crisi e la delusione post-bellica, sino all’adesione ufficialmente entusiasta verso la crescente prospettiva di una rinnovata coesione d’ordine socio-politico e culturale, gli elementi che determinarono, all’epoca, quel ‘consenso nazionale’ al fascismo e in particolare al duce, figura carismatica di sempre maggiore rilievo rispetto al progressivo ‘poco credito del PNF e del fascismo come ideologia.’169 Negli anni 1925 e 1926, Ungaretti fu invitato a tenere una conferenza in Belgio e Olanda sul tema Le grandi riforme del Fascismo, secondo il poeta per ‘la grande stima’ che esisteva per lui all’estero. Poichè il viaggio poteva essere visto come propaganda, ritenne legittimo chiedere un sostegno a Mussolini. E lo ricevette: una somma di 1.500 lire.170 Ma Ungaretti non incontrò sempre una collaborazione così cordiale: nel momento in cui il poeta voleva 168 Cfr. Anna Vergelli, ‘Un uomo di prim’ordine.’, cit., p. 101, 119; Cortellessa, Giuseppe Ungaretti, cit., p. 104. 169 Anna Vergelli, ‘Un uomo di prim’ordine.’ cit., p. 38. 170 Ivi, p. 30. ‐ 58 ‐ prevenire la pubblicazione di un articolo francese, La Terreur Fasciste, un testo ferocemente antifascista, il poeta non ricevette l’importo da lui richiesto per coprire le spese del viaggio neccessario per parlare con la redazione della rivista francese a Parigi. Secondo Vergelli, Ungaretti non ricevette questa somma perché i rapporti tra lui e il regime si erano raffreddati a seguito dell’episodio avvenuto nel treno dove il poeta venne arrestato per aver dichiarato ad alta voce che aveva intenzione di emigrare in Francia.171 L’incidente ebbe conseguenze anche su piano lavorativo: il direttore dell’Ufficio stampa, in seguito all’arresto, scrisse un’appasionata lettera in cui difendeva il comportamento immacolato del poeta e il suo valore come letterato, e si opponeva ad un eventuale licenziamento.172 In realtà, però, fu una ‘resa scarsa’ la ragione ufficiale per cui nel 1931 Ungaretti venne destituito.173 La notizia gli venne recapitata in forma di lettera dal tono ironico: Non voglio discutere sui servizi da Lei resi al Paese e al Fascismo, ma qui Ella era stato assunto per compiere un determinato lavoro, che non ha mai compiuto. Da tre anni, circa, da quando cioè vi presto servizio anch’io, non ho mai avuto il piacere di vederla lavorare. Dunque è evidente che il Suo era un servizio speciale, da me ignorato, diverso da quello per il quale aveva un regolare compenso, anche se – come Ella afferma, e come non ho difficoltà a credere – non lavorava per il compenso stesso. Perciò era mio dovere provvedere al Suo licenziamento, come ho provveduto con la lettera che Le confermo.174 Vergelli vede nel licenziamento di Ungaretti un esempio del ‘reciproco complesso atteggiamento’.175 Afferma che nonostante ‘la fedeltà dichiarata e dovuta’, nonostante il rapporto ‘cordiale’ con il duce, egli fu licenziato. Fatto sta, però, che anche il suo primo capo, che si oppose ardentemente ad un licenziamento, dovette ammettere che il suo modo di lavorare poteva suscitare qualche protesta: 171 Non è da escludere una motivazione più banale: potrebbe essere che il regime ha interpretato la richiesta di Ungaretti come un modo economico per visitare i suoi amici francesi; amicizie e di cui il suo datore di lavoro era al corrente. 172 Anna Vergelli, ‘Un uomo di prim’ordine.’, cit., p. 14. 173 Secondo Bernardini invece non erano i rendimenti scarsi la motivazione per il suo licenziamento, ma un conflitto con Amedeo Giannini. Cfr. Francesca Bernardini Napoletano, Il lungo viaggio di Ungaretti attraverso il fascismo, cit., p. 115. 174 Lettera di Ferretti a Giuseppe Ungaretti, 16 aprile 1931, citato da Anna Vergelli, ‘Un uomo di prim’ordine’, cit., p. 118. 175 Anna Vergelli, ‘Un uomo di prim’ordine’, cit., p. 45. ‐ 59 ‐ E, se per lealtà devo osservare che scarso è il suo rendimento dal punto di vista del servizio, egli è stato tuttavia trattenuto in ufficio in vista appunto dei suoi precedenti politici, del suo valore individuale come letterato e come poeta e infine delle condizioni sue, cui si è innanzi accennato. In tutti i casi è da escludersi che si possa, in occasione dell’incidente attuale, procedere al licenziamento dell’Ungaretti.176 Si possono distinguere più contraddizioni nell’atteggiamento del regime verso Ungaretti: al poeta non fu mai offerto un contratto fisso, nè gli fu fornito un nuovo lavoro dopo il licenziamento, ma, allo stesso tempo, poté contare sul supporto del suo capo a seguito del suo arresto, fu aiutato a trovare una casa migliore, e al suo licenziamento ricevette la somma di 10.000 lire ‘con lo scopo preciso di aiutare [...] la sua opera letteraria, ostacolata da esigenze di carattere economico.’177 Un rapporto dunque, caratterizzato da contraddizioni, secondo Vergelli, quello tra Ungaretti ed il fascismo. Ritiene che i favori del regime erano destinati ‘più al poeta che all’uomo’;178 perché il regime realizzava fin troppo bene che nell’Ungaretti poeta aveva trovato un sostenitore pregevole dell’ideologia fascista. Dell’uomo Ungaretti, invece, il regime ‘non sapeva proprio che farsene’ – per ripetere la conclusione di, citata a pagina 44. Queste sfumature erano doverose nei confronti di Ungaretti, conclude la studiosa, per sottolineare che non è possibile categorizzare lo scrittore moralmente o eticamente: Un ‘homme’ [...] qui a toujours brûlé sa vie pour quelque chose de bien plus grand que l’homme [...]’, vissuto in una difficile epoca storica, che ha visto coinvolti con il potere alcuni dei più prestigiosi nomi della nostra cultura: da D’Annunzio a Pirandello, da Cecchi a Soffici, alla Serao, senza che per questo la loro opera ne sia risultata sminuita, sebbene più chiaramente ridimensionata eliminando, come ha giustamente sottolineato Guarnieri, quella ‘volontà della celebrazione’ a tutti i costi, quella ‘esemplarità posta in termini moralistici’ che degenera sovente nell’ ‘agiografia’, nell’‘apologia edificante’ del tutto estranea, sempre, alla complessa vicenda umana del poeta. 176 Il direttore dell’ufficio stampa a s.n., 23 luglio 1928, citato da: Anna Vergelli,‘Un uomo di prim’ordine’, cit., p.101. 177 Anna Vergelli,‘Un uomo di prim’ordine’, cit., p. 121. 178 Idem, p. 122. ‐ 60 ‐ Doverosa ancor più nei confronti dello scrittore che, a differenza di altri, ha sempre dichiarato con coraggio le proprie posizioni politiche e non.179 Una simile conclusione è tratta da Francesca Petrocchi, nel suo studio Scrittori italiani e fascismo (Roma, 1997). In questo libro, un capitolo si focalizza ‘sull’itinerario dei rapporti tra Ungaretti e Mussolini’.180 Petrocchi ricollega il fascismo di Mussolini con concetti soreliani, e non è la prima a farlo: Evidente è l’attrazione verso le matrici soreliane del nascente fascismo (il sindacalismo rivoluzionario del socialismo mussoloniano): si guardi al termine ‘religione’ così prossimo al ‘mito’ d’accezione soreliana, cui Ungaretti unisce al sistema ‘tradizionale’ della politica italiana.181 Già Piccioni ha rinviato a Georges Sorel, in merito al fascismo di Ungaretti;182 uno dei libri di Sorel, Réflections sur la violence, avrebbe ispirato il fascismo e il comunismo perché proclamava il sindacalismo rivoluzionario e ‘il mito’ dello sciopero generale. Diversi critici hanno affermato l’influenza di Georges Sorel sul poeta, alcuni hanno anche sottolineato che Mussolini stesso era un grande ammiratore dei suoi libri. Anche Bernardini, per esempio, vede un rapporto tra i ‘miti’ proposti da Sorel e la mitologia personale di Ungaretti.183 Di fronte alla prefazione mussoliniana, molto discussa, Petrocchi aggiunge la novità che non fu né il suo editore Ettore del Serra (come affermato da Piccioni) né il suo amico Soffici (come affermato dall’editore) a contattare Mussolini, ma il poeta stesso, come ci dimostra una lettera del 5 novembre 1922: L’Italia nuova deve sapere dare di più al valore. Vuole V.E. che la rinnovata italianità sta consacrando, innalzare anche la mia fede? [...] Poche righe di prefazione da parte di V.E. – quando le gravi cure dello Stato le daranno un momento di tregua – sarebbe per me, agli occhi di tutti, un gran segno d’onore.184 179 Ivi, p. 145. 180 Francesca Petrocchi, Giuseppe Ungaretti e il fascismo, cit., p. 167. 181 Ivi, p. 168. 182 Leone Piccioni, Vita di Ungaretti, cit., p. 142 183 Francesca Bernardini Napoletano, Il lungo viaggio di Ungaretti attraverso il fascismo, cit., p. 121. 184 Lettera di Ungaretti a Mussolini, 5 novembre 1922, citato da Francesca Petrocchi, Giuseppe Ungaretti e il fascismo, cit., p. 170. ‐ 61 ‐ Secondo Petrocchi, sono gli aspetti antiborghesi che formano il cardine dell’attrazione del fascismo su Ungaretti. Il poeta aspettava con impazienza un cambiamento politico, e credette profondamente che Mussolini potesse dare un taglio alla politica di malgoverno. Infine, come notano molti altri, egli era molto ricettivo per la creazione dei miti, come per esempio la glorificazione del passato romano.185 Ma la studiosa fa notare che quest’adesione era l’effetto di un ventaglio di circostanze: Nel caso di Ungaretti è certo un’adesione che si motiva su ragioni ideologiche ma anche psicologiche, personali, private, collegate alle difficile situazione ‘professionale’ del poeta: che non esclude, oltretutto, un divario tra giudizio ‘privato’ e atteggiamento ‘ufficiale’, gravato da elementi caratteriali, umorali. Una posizione che, quando si passa ad esaminare i giudizi privati di Ungaretti sull’effetiva realtà culturale del fascismo, può non esser lontana.186 Petrocchi in questo brano afferma che la scelta politica di Ungaretti era ispirata da un groviglio di aspetti. Nello stesso tempo prova ad individuare il fondamento logico della sua convinzione. Petrocchi, come altri, sottolinea il fatto che l’adesione deve essere vista alla luce del contesto storico. Interpreta la frase che Ungaretti usò per descrivere il duce: ‘S’è messo a capo d’una generazione’ come una che è ‘in linea con le posizioni espresse da alcuni intellettuali della sua generazione’.187 La mitizzazione di Mussolini era diffusissima in quegli anni, in tutti gli strati della società. Però descrive l’iscrizione al Partito Nazionale Fascista, proprio il 30 agosto del 1924, come una vera ‘scelta di campo’.188 Infine, anche lei vede come punto fondamentale il fatto che il poeta non nacque in Italia, individuando il suo senso di sradicamento come una delle cause della sua ‘opera missionaria’ per mantenere vivo il sentimento d’italianità, esibita da lui negli articoli per i giornali del Ventennio. Ungaretti desiderò così ardentemente un riconoscimento da parte delle istituzioni letterarie in quegli anni che la sua integrazione con la politica deve essere letta in questo 185 Francesca Petrocchi, Giuseppe Ungaretti e il fascismo, cit., pp. 175-182. 186 Ivi, p. 181. 187 Ivi, 182. 188 Ivi, p. 204. ‐ 62 ‐ chiave. ‘Il governo nazionale significa condanna alla fame di quanti hanno intelligenza?’,189 chiese a Mussolini. Questa domanda diventò una specie di mantra nella corrispondenza tra lui e il duce. Domande o richieste di questo tipo le scrisse più volte a Mussolini, come nel dicembre del 1922: ‘Non fate soffrire un uomo che ama voi e la vostra causa.’190 Non c’è da sorprendersi che fosse proprio lui ad esprimersi con chiarezza a favore della fondazione dell’Accademia d’Italia, sia nei giornali, dove difese i principi fondamentali dell’istituto (‘la nostra Accademia non nasce di salotto, nasce da una rivoluzione di popolo’),191 che nelle sue lettere a Mussolini a cui scrisse persino una lettera di autocandidatura: Il nome D’Annunzio è sacro a tutti noi. E il primo. In pittura, ci sono Soffici e Carrà. Tra i giovani poeti, c’è il sottoscritto.192 Una richiesta rinnovata si trova anche in una lettera di tre anni dopo: ‘Mio Duce, redattore del Popolo d’Italia nel 1919, diciannovista, chiedo l’insigne onore di non essere dimenticato nella lista di quelli che vi furono fedeli sin dalla prima ora.’193 Dopo la nominazione non verificatasi subito dopo la fondazione dell’Istituto, Ungaretti reagì in modo ironico, ma deluso: ‘Se continua di questo passo bisognerà proprio dire che, in materia d’arte, il fascismo non solo non cambia nulla, ma accredita i peggiori.’194 Ma il poeta provò anche in altri modi a mostrarsi come un participante attivo al dibattito culturale di un certo livello. Nel 1927 propose una riunione tra i redattori de La Nouvelle Revue Française e Mussolini per valutare la possibilità di un rapporto più stretto con il fascismo. Ma Mussolini si rifiutò, ostentando, nelle parole di Petrocchi, ‘insofferenza e 189 Lettera di Ungaretti a Mussolini, dicembre 1922, citato da: Francesca Petrocchi, Giuseppe Ungaretti e il fascismo, cit., p. 173. 190 Lettera di Ungaretti a Mussolini, 23 dicembre 1922, citato da: Francesca Petrocchi, Giuseppe Ungaretti e il fascismo, cit., p. 177. 191 Giuseppe Ungaretti, A proposito dell’Accademia, in “Il Mattino”, 28-29 gennaio 1926, citato da Francesca Petrocchi, Giuseppe Ungaretti e il fascismo, cit., p. 187. 192 Lettera di Ungaretti a Mussolini, 26 gennaio 1926, citato da: Francesca Petrocchi, Giuseppe Ungaretti e il fascismo, cit., p. 205. 193 Lettera di Ungaretti a Mussolini, 18 febbraio 1929, citato da: Francesca Petrocchi, Giuseppe Ungaretti e il fascismo, cit., p. 197. 194 Lettera di Ungaretti a Soffici, 8 giugno 1926, citato da: Francesca Petrocchi, Giuseppe Ungaretti e il fascismo, cit., p. 207. ‐ 63 ‐ mancanza assoluta d’interesse’ di fronte al poeta.195 Come già sappiamo, quasi tutti i tentativi del poeta per ottenere stima e rispetto risultarono vani, almeno fino al 1942, quando finalmente fu onorato con la nomina all’Accademia. La reazione di Ungaretti è significativa. Nonostante tutti i suoi sforzi, il desiderio di integrazione nell’organizzazione culturale ufficiale non si materializzò mai prima del 1942. Il contatto tra il duce e Ungaretti, cosí conclude Petrocchi, era a senso unico.196 Nonostante Ungaretti, nei suoi articoli, si impegnasse a tradurre i concetti fascisti per un pubblico più vasto e nonostante ritenesse giusto che gli artisti si affannassero per lo stato, ebbe sempre una decisa avversione per l’ingerenza di quest’ultimo nel mondo dell’arte: L’arte è un fatto misterioso, lo Stato può sempre preparare le condizioni favorevoli alla sua fioritura e al perfezionamento della sua qualità, ma lo Stato non potrebbe mai fabbricare artisti con lo stampino. Se una certa libertà dell’arte venisse violata, sarebbero giorni neri per l’arte.197 Ovviamente questo concetto ungarettiano non si ricollegava facilmente agli ideali della politica culturale fascista, dove all’artista era assegnato l’incarico di mettersi al servizio dello Stato. L’Accademia per esempio non risultò solo un’istituto per far ‘fiorire’ le arti senza condizionamenti, come lo sognava Ungaretti, ma un prolungamento del Regime, come dimostra la richiesta del giuramento di fedeltà al fascismo nel 1934.198 Come mai, allora, il poeta decise di accettare la nomina all’Accademia dopo tante delusioni? Questa rimane una domanda a cui è difficile rispondere in modo inequivoco, dice Petrocchi: Anzi, direi che il curriculum vitae che sintetizza la sua fondamentale operosità poetica ed artistica, in qualche modo cozzi tragicamente con l’estremo atto strumentale con il quale il regime – ormai sull’orlo del baratro, in una Italia ferita dal conflitto mondiale – pone sul capo del ‘milite fedele’ (e solo dopo gli anni brasiliani in cui egli ha riassunto le spoglie dell’emigrante, del transplanté) la nobile feluca dell’Accademia nell’autunno del 1942.199 Francesca Petrocchi, Giuseppe Ungaretti e il fascismo, cit., p. 199 196 Francesca Petrocchi, Giuseppe Ungaretti e il fascismo, cit., p. 208 197 Giuseppe Ungaretti, Arte, affari e abracadabra, in “Il Resto del Carlino”, 21 luglio 1928, citato da Francesca Petrocchi, Giuseppe Ungaretti e il fascismo, cit., p. 195 198 Francesca Petrocchi, Giuseppe Ungaretti e il fascismo, cit., p. 208 199 Ivi, p. 209 195 ‐ 64 ‐ Conclusione Nato negli ultimi decenni dell’Ottocento, proprio alle soglie del nuovo secolo, Giuseppe Ungaretti può essere considerato per antomasia un poeta novecentesco. Grazie alle sue poesie, considerate rivoluzionarie rispetto ai tempi, egli ha lasciato un’impronta fondamentale sulla storia della letteratura italiana del Novecento. Ungaretti, ovviamente, ha vissuto il diciannovesimo secolo non solo da poeta, ma anche da uomo: era sensibile alle idee di filosofia e politica dominanti nella sua epoca, a tal punto da convertirsi con fervore al fascismo. La domanda che mi sono posta in questa tesi è come la critica italiana ha trattato l’adesione al fascismo del poeta. Come viene concepita la sua relazione con il regime fascista? Il primo punto che emerge dall’analisi della saggistica è che la questione in genere è stata trattata con delicatezza, come risulta soprattutto dalla lettura della biografia del poeta, opera di Leone Piccioni. Il biografo sembra a volte assumere il ruolo di avvocato, nei confronti di Ungaretti, difendendolo da attacchi categorizzanti, ovvero dai tentativi di valutare il comportamento politico del poeta sul piano morale. Da questo fatto possiamo già trarre due conclusioni preliminari. Prima di tutto che la posizione politica del poeta è stato oggetto di discussione; e inoltre che c’è stata una tendenza ad offrire un quadro più variegato dell’impegno politico del poeta. Il tono difensivo usato da Piccioni dimostra che il fascismo di Ungaretti ha portato a delle riflessioni critiche, il che dimostra come la sua scelta venisse giudicata dal punto di vista morale. Ci siamo chiesti, dunque, se si trovano tracce di questo dibattito negli studi letterari dedicati allo scrittore. È un fatto noto che il lavoro degli studiosi di letteratura non si svolga isolatamente dagli dagli sviluppi della società. Il governo italiano subito dopo la guerra voleva trasmettere l’idea che la società fosse composta da buoni e cattivi, da eroi e traditori, e non c’era molto spazio per sfumature. La rigida distinzione fra queste due categorie era diffusa in tutta l’Europa liberata, ed era un riflesso del desiderio di voltare velocemente la pagina di una storia drammatica. ‐ 65 ‐ È Piccioni, in particolare, che rifiuta decisamente una categorizzazione di Ungaretti in tal senso. Egli non cerca di rappresentare il poeta come un eroe, ma si oppone con fervore alla sua annoverazione nell’altro campo, quello dei cosiddetti ‘cattivi’. Piccioni, tuttavia, chiaramente non è l’unico a reagire ai giudizi di natura etica mossi nei confronto del comportamento di Ungaretti. Anna Vergelli, per esempio, fa notare che la vicenda umana del poeta è troppo complessa per permettere giudizi morali. Infine Andrea Cortellessa trae una simile conclusione, sostenendo che le scelte politiche fatte da Ungaretti, benché ‘sorprendenti’ o magari ‘respingenti’, debbano essere viste alla luce dell’indole ‘prepolitica’ dello scrittore. 200 Il carattere dei contributi esaminati dimostra che il passato politico dell’autore non è stato condannato dalla critica del dopoguerra. Tuttavia, come già osservato, la critica ha sentito la neccessità di approfondire, precisare e interpretare le scelte politiche del poeta. Divergono però i modi in cui l’adesione ungarettiana al fascismo è stata interpretata. Nel corpus indagato, il primo articolo dedicato a questo argomento risale al 1984. Nonostante esista un consenso sull’abisso fra la vita politica del poeta e la sua attività lirica, l’autore, Robert S. Dombrowski ha audacemente proposto una lettura dell’opera di Ungaretti che tenga conto del complesso pensiero politico del poeta. Il suo discorso, però, non ha trovato risonanza negli articoli successivi. Mentre il punto di partenza di Dombrowski è sempre l’opera del poeta, in altri studi sono i documenti d’archivio a formare la base di dipingere un’immagine politica del poeta. Molte lettere di Ungaretti hanno dato l’opportunità ai critici di delineare un quadro completo del suo atteggiamento verso il Duce ed il clima politico. Bernardini Napoletano ha indagato le lettere del poeta a Corrado Pavolini, un fascista più ortodosso di Ungaretti. Da esse emerge l’immagine di un poeta che, benchè fascista convinto, aveva comunque delle idee piuttosto scomode alla situazione politica dell’epoca. A questo proposito, sono importanti le sue idee di letteratura, che erano fortemente orientate all’estero, e che a volte creavano polemiche con colleghi-artisti in Italia. A causa di queste discussioni, la ricompensa del regime per la sua devozione alla causa fascista si è materializzata solo a distanza di molti anni, ovvero nel 1942. Anche Vergelli parte dalla lettura e dall’analisi di diversi documenti d’archivio, specialmente di lettere inedite. Come Bernardini, conclude che l’amore che Ungaretti nutriva per il fascismo non era sempre corrisposto. Francesca Petrocchi, infine, arriva a una conclusione simile. La studiosa prende in esame delle lettere scritte dal poeta a Mussolini, 200 Cortellessa, cit., p. 75. ‐ 66 ‐ piene di supplichevoli richieste finanziarie e pretese di riconoscimento: ‘Non una delle richieste [...] venne accolta da Mussolini’, osserva Petrocchi. La relazione di Ungaretti con il fascismo era dunque, come sostengono tutti gli studiosi citati, complessa e ambigua. Nei vari studi esaminati viene proposta una spiegazione della preferenza politica del poeta. Gli studiosi seguono due filoni: in primo luogo, affermano che l’attività politica dell’autore deve essere vista in un contesto storico, in cui l’adesione al fascismo era sostenuta ampiamente. Un secondo fattore non trascurabile è poi il carattere fortemente antiborghese del poeta, che giustificherebbe la scelta di aderire al fascismo della prima ora. È notevole anche la cautela con cui è descritta la filosofia politica dello scrittore, chiaramente a causa dell’estrosità del soggetto stesso: il pensiero di Ungaretti risulta estremamente complesso e pieno di contraddizioni. Il suo atteggiamento era talmente ambiguo che anche i funzionari del governo di allora ‘non sapevano che fare’ con quest’uomo che da un lato celebrava l’italianità e dall’altro si rivolgeva alla cultura d’oltralpe. Una ambiguità, peraltro, che vediamo ancora riflessa nei contributi odierni. Questa difficoltà a dipingere un quadro teoretico del pensiero politico ungarettiano, è rafforzata dall’opinione comune che esiste sulla produzione scritta di Ungaretti: secondo molti essa è priva di risonanze letterarie fasciste. Pur convinti della mancanza di riferimenti fascisti concreti, gli studiosi concordano nell’affermare che il titolo della sua terza raccolta, Il sentimento del tempo, può essere interpretato letteralmente. Molti critici ritengono che questo rifletta l’epoca storica di Ungaretti e rappresenti dunque anche una traduzione delle tendenze politiche del fascismo. Abbiamo visto che le storie letterarie e le introduzioni all’opera di Ungaretti riflettono queste varie tendenze e conclusioni della critica. Gli studiosi spiegano l’adesione del poeta ponendola in relazione al contesto storico, senza oscurare però la complessità dell’interpretare le ragioni della sua scelta solo alla luce delle vicende storiche. Ungaretti viene presentato sia come un ‘emigrante sradicato, vagabondo curioso e intellettuale cosmopolita’, sia come un ‘accademico fascista e alfiere dell’identità culturale italiana.’201 201 Enciclopedia della letteratura italiana Oxford-Zanichelli. A cura di Peter Hainsworth e David Robey, Bologna, Zanichelli, 2004, p. 811. ‐ 67 ‐ Una domanda più ampia che è stata posta in questa tesi è se l’atteggiamento della critica italiana nei confronti del ‘patrimonio dissonante’ sia paragonabile all’approccio internazionale alla stessa questione. Secondo Golomstock, l’organizzazione della vita culturale in Italia durante gli anni del regime non era quella tipicamente totalitaria. L’artista, in piena contraddizione con la situazione presente in altri regimi dittatoriali, era abbastanza libero di scegliere la forma individuale in cui esprimersi. Per questa ragione, l’eredità letteraria del Ventennio è difficilmente paragonabile a quella di altri regimi totalitari. Un’analisi dei riferimenti all’adesione di Ungaretti al fascismo, presenti nelle enciclopedie letterarie e nelle storie di letteratura, dimostra quanto anche in Italia lo sviluppo nel dopoguerra di una critica orientata a categorizzare tutto in bene e male sia paragonabile a quello avvenuta all’estero. Il fatto che i primi articoli esplicitamente dedicati alla biografia politica di Ungaretti abbiano fatto la loro prima comparsa negli anni ’80, ci dimostra che anche la critica italiana ha avuto bisogno di tempo prima di esaminare in modo approfondito e oggettivo l’atteggiamento degli intellettuali durante il Ventennio. Questo fenomeno si inserisce chiaramente nelle tendenze internazionali nei confronti del ‘patrimonio dissonante’. ‐ 68 ‐ Appendice Prefazione a La porta sepolta di Benito Mussolini, 1923 Non saprei proprio dire in questo momento come Giuseppe Ungaretti sia entrato nel cerchio della mia vita. Deve essere stato durante la guerra o imminentemente dopo. Ricordo che fu per qualche tempo corrispondente del Popolo d’ Italia da Parigi. Non era un corrispondente politico e nemmeno un minuto raccoglitore delle cronache francesi: di quando in quando i suoi articoli affrontavano dei problemi che sembravano trascurati. Si trattava di anticipazioni o di indagini fatte da un nuovo punto di vista. Poi a revoluzione fascista compiuta, seppi per caso che egli era all’ufficio stampa del Ministero degli Esteri. Confesso che la cosa mi parve paradossale. Sulle prime: perché poi pensandoci mi accorsi che non sempre burocrazia e poesia, burocrazia ed arte sono termini inconciliabili. Mi pare che Guy de Maupassant fosse un impiegato dell’amministrazione francese: ed uno dei poeti più interessanti della Francia contemporanea è nella carriera diplomatica. Ma dopo tanto tempo il burocrate non ha ucciso il poeta: e lo dimostra questo libro di poesia. Il mio compito non è di recensirlo: coloro che leggeranno queste pagine si troveranno di fronte ad una testimonianza profonda della poesia fatta di sensibilità, di tormento, di ricerca, di passione e di mistero.202 Benito Mussolini 202 Giuseppe Ungaretti, Allegria, cit., p. XLII ‐ 69 ‐ Bibliografia Ainis, Michele e Mario Fiorillo 2008 L’ordinamento della cultura. Manuale di legislazione dei beni culturali. Milano, Giuffrè Editore Allegri, Mario 1995 ‘Giuseppe Ungaretti’. In: Letteratura italiana. Le Opere. A cura di Alberto Astor Rosa. Torino, Einaudi, pp. 431-455 Anceschi, Luciano, 1953 Lirica del Novecento. Firenze, Valecchi Ashworth, G.J., J.E. Turnbridge 1996 Dissonant heritage. The management of the past as a resource in conflict. Chichester, Wiley Assouline, Pierre 1985 L’épuration des intellectuels. Bruxelles, Complexe Astor Rosa, Alberto 1989 Letteratura italiana. Storia e geografia. 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