2 La dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri
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2 La dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri
2 SOMMARIO La dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti 1. I soggetti attivi. Continuità normativa con la previgente fattispecie. – 2. La condotta. – 3. L’elemento soggettivo del reato. – 4. Le circostanze; il tentativo. – 5. Il concorso di persone. – 6. Il concorso di reati. 1. I soggetti attivi. Continuità normativa con la previgente fattispecie Il reato di dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti è previsto e punito dall’art. 2, d.lgs. n. 74/2000, il quale così dispone: Normativa «È punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi. Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria. Se l’ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore a euro 154.937,07, si applica la reclusione da sei mesi a due anni». Trattasi della fattispecie sanzionatoria più grave fra quelle regolate dalla normativa di riforma del sistema penale tributario. La gravità della sanzione penale applicabile deriva in concreto dalle molteplici difficoltà che essa crea nell’accertamento dell’imposta dovuta all’Erario, essendo connotata da una particolare frau- 14 Gli illeciti penali in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto dolenza, consistente nell’uso di fatture o di altri documenti per dichiarare passività inesistenti. Rispetto alla previgente disciplina, l’attuale formulazione della norma de qua appare sostanzialmente diversa. In passato, l’art. 4, comma 1, lett. d), d.l. n. 429/1982 (convertito nella legge n. 516/1982), prevedeva infatti la punibilità di chi emetteva o utilizzava fatture o altri documenti per operazioni in tutto o in parte inesistenti, o recanti l’indicazione dei corrispettivi o dell’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale; ovvero, emetteva o utilizzava fatture o altri documenti recanti l’indicazione di nomi diversi da quelli veri, in modo che risultasse impedita l’identificazione dei soggetti cui si riferivano. In linea con la ratio della normativa delle c.d. “manette agli evasori”, il legislatore del 1982 aveva quindi inteso punire anche la semplice condotta prodromica di emissione o utilizzazione di fatture o altri documenti non veritieri, mediante il loro inserimento nella contabilità aziendale, a prescindere dal loro concreto uso in sede di dichiarazione. L’ipotesi di dichiarazione fraudolenta mediante uso di documentazione falsa era invece oggetto di apposita e distinta disposizione, contenuta nell’art. 4, comma 1, lett. f), d.l. n. 429/1982, a norma del quale era punibile chi indicava, nella dichiarazione dei redditi ovvero nel bilancio o rendiconto ad essa allegato, al di fuori dei casi previsti dall’art. 1 del d.l. n. 429/1982, ricavi, proventi od altri componenti positivi di reddito, ovvero spese od altri componenti negativi di reddito in misura diversa da quella effettiva, utilizzando documenti attestanti fatti materiali non corrispondenti al vero, ovvero ponendo in essere altri comportamenti fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento di fatti materiali. Punto di partenza del vigente testo dell’art. 2 è costituito dalla nuova e diversa nozione di “frode fiscale” accolta dal legislatore delegato nel 2000. Questa consiste nella dichiarazione fraudolenta fondata su falsa documentazione, idonea a fornire una falsa rappresentazione contabile della situazione fiscale del contribuente. Come per le altre ipotesi delittuose di cui al d.lgs. n. 74/2000, il bene giuridico tutelato dalla fattispecie in esame coincide con l’interesse dell’Erario alla percezione dei tributi, a differenza di quanto disposto dalla previgente legge del 1982, che proteggeva principalmente l’interesse del Fisco al corretto svolgersi dell’azione di accertamento tributario. Tanto la giurisprudenza quanto la dottrina, subito dopo l’entrata in vigore della riforma del 2000, si sono misurate in un acceso dibattito circa la presunta continuità normativa sussistente fra la vecchia e la nuova formulazione del delitto in esame. Invero, presumibilmente al fine di scongiurare il rischio che potesse giungersi ad una vera e propria “depenalizzazione” del delitto di frode fiscale, come in precedenza disciplinato dall’art. 4, comma 1, lett. d), legge n. 516/1982, la Cassazione, rinvenendo identità di bene giuridico tutelato fra vecchio e nuovo reato, e ravvisando una tipica fattispecie di abrogatio sine abolitione, ha in un primo momento stabilito che: La dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti 15 Giurisprudenza «Vi è continuità normativa fra la frode fiscale mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti ed il delitto di cui all’art. 2 d.lg. n. 74 del 2000. Elemento specializzante di quest’ultimo delitto è l’indicazione degli elementi passivi fittizi supportati dalle f.o.i. [fatture per operazioni inesistenti, n.d.r.] nella dichiarazione annuale. Per nozione di comune esperienza, secondo la quale non si utilizzano delle f.o.i. se non per trasfonderle nelle dichiarazioni annuali, può ritenersi sussistente il dolo, almeno eventuale, sull’anzidetto elemento specializzante, anche nei confronti dell’autore della frode ex art. 4 lett. d) l. n. 516 del 1982». 1 Cass. pen., sez. III, 27 aprile 2000, n. 6228 . Tale assunto, per quanto approfonditamente argomentato, è stato poi sostanzialmente “sconfessato” dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, le quali hanno affermato l’intervenuta abolitio criminis con riguardo all’ipotesi prodromica di reato di cui all’art. 4, comma 1, lett. d), legge n. 516/1982. Le stesse Sezioni Unite hanno però ravvisato continuità normativa fra il vigente art. 2 d.lgs. n. 74/2000 e la fattispecie prima prevista dalla lett. f) del suddetto art. 4, sul presupposto che: Giurisprudenza «Per la frode fiscale ex art. 4 lett. f) l. n. 516 del 1982 può ravvisarsi, stante l’omologa strutturazione e la sovrapposizione delle due previsioni punitive (salvo per quanto attiene all’estensione dell’attuale incriminazione alla dichiarazione annuale i.v.a., rispetto alla quale non è configurabile un rapporto di successione modificativa tra leggi), una continuità normativa d’illecito con la nuova ipotesi dell’art. 2 comma 1 d.lg. n. 74 del 2000, rispetto alla quale la prima si atteggia come “lex mitior” per i profili del trattamento sanzionatorio e dei termini prescrizionali, sempre che non ricorra l’ipotesi attenuata prevista dall’art. 2 comma 3 del medesimo decreto». 2 Cass. pen., SS.UU., 7 novembre 2000, n. 27 . La particolare gravità del delitto in commento ha fatto sì che, conformemente a quanto previsto dall’art. 9, comma 2, lett. a), n. 1, legge n. 205/1999, il testo di legge vigente non contenesse alcun riferimento ad eventuali soglie di punibilità, bensì prevedesse una semplice diminuzione di pena nell’ipotesi di cui al terzo comma dell’art. 2 (cioè in caso di ammontare dei passivi fittizi inferiore ad € 154.937,07). Soggetto attivo del reato può essere unicamente colui il quale è contribuente ai fini delle imposte dirette e dell’IVA, oppure è amministratore, liquidatore o 1 In questo senso BISORI, Illiceità delle false fatturazioni dopo la depenalizzazione dei reati tributari, in Dir. pen. e processo, 2001, 1, 79, secondo cui potrebbe desumersi l’esistenza di una abrogatio sine abolitione dal fatto che anche oggi, con riguardo al vigente art. 2, è previsto il dolo specifico di evasione delle imposte, è assente una soglia di punibilità ed è in ogni caso autonomamente punita la condotta di emissione di fatture per operazioni inesistenti (art. 8, d.lgs. n. 74/2000). 2 A favore della tesi dell’abolitio criminis anche CORSO, La Cassazione contesta la depenalizzazione dell’utilizzo di fatture false, in Corriere trib., 2000, 26, 1911, e CERQUA, La persistente rilevanza penale dell’utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, in Giur. trib., 2000, 12, 1065. Gli illeciti penali in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto 16 rappresentante del contribuente soggetto ad imposizione (art. 1, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 74/2000). L’ambito soggettivo di applicazione dell’art. 2 appare dunque ampio, potendo riguardare anche i titolari di redditi di lavoro dipendente, di terreni, di fabbricati o comunque di entrate non soggette all’obbligo di tenuta delle scritture contabili, bensì soltanto all’obbligatoria presentazione della dichiarazione annuale. È rilevante (in vista della presentazione in dichiarazione) anche la condotta di chi si limita a detenere la falsa documentazione fiscale previa registrazione nelle scritture contabili obbligatorie, pur se per fini diversi da quelli di prova nei confronti dell’Amministrazione finanziaria. *** All’indomani dell’entrata in vigore del novellato art. 127, d.P.R. 22 dicembre 3 1986, n. 917 (c.d. TUIR) in materia di responsabilità in un consolidato fiscale 4 nazionale, parte della dottrina si è interrogata sull’applicabilità dell’art. 2, in tema di dichiarazione fraudolenta mediante fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, alle ipotesi del c.d. consolidato tributario. In linea di principio, nell’ambito della tassazione consolidata, ai sensi dell’art. 3 Tale norma oggi dispone che «1. La società o l’ente controllante è responsabile: a) per la maggiore imposta accertata e per gli interessi relativi, riferita al reddito complessivo globale risultante dalla dichiarazione di cui all’art. 122; b) per le somme che risultano dovute, con riferimento alla medesima dichiarazione, a seguito dell’attività di controllo prevista dall’art. 36 ter D.P.R. 600/1973, riferita alle dichiarazioni dei redditi propria di ciascun soggetto che partecipa al consolidato e dell’attività di liquidazione di cui all’art. 36 bis del medesimo decreto; c) per l’adempimento degli obblighi connessi alla determinazione del reddito complessivo globale di cui all’art. 122; d) solidalmente per il pagamento di una somma pari alla sanzione di cui alla lettera b) del comma 2 irrogata al soggetto che ha commesso la violazione. 2. Ciascuna società controllata che partecipa al consolidato è responsabile: a) solidalmente con l’ente o società controllante per la maggiore imposta accertata e per gli interessi relativi, riferita al reddito complessivo globale risultante dalla dichiarazione di cui all’art. 122, in conseguenza della rettifica operata sul proprio reddito imponibile, e per le somme che risultano dovute, con riferimento alla medesima dichiarazione, a seguito dell’attività di controllo prevista dall’art. 36 ter D.P.R. 600/1973, e dell’attività di liquidazione di cui all’art. 36 bis del medesimo decreto, in conseguenza della rettifica operata sulla propria dichiarazione dei redditi; b) per la sanzione correlata alla maggiore imposta accertata riferita al reddito complessivo globale risultante dalla dichiarazione di cui all’art. 122, in conseguenza della rettifica operata sul proprio reddito imponibile, e alle somme che risultano dovute con riferimento alla medesima dichiarazione, a seguito dell’attività di controllo prevista dall’art. 36 ter D.P.R. 600/1973, e dell’attività di liquidazione di cui all’art. 36 bis del medesimo decreto, in conseguenza della rettifica operata sulla propria dichiarazione dei redditi; c) per le sanzioni diverse da quelle di cui alla lettera b). [ 3. (…).] 4. L’eventuale rivalsa della società o ente controllante nei confronti delle società controllate perde efficacia qualora il soggetto controllante ometta di trasmettere alla società controllata copia degli atti e dei provvedimenti entro il ventesimo giorno successivo alla notifica ricevuta anche in qualità di domiciliatario secondo quanto previsto dall’art. 119». 4 TOMASSINI, Responsabilità penale tributaria nel consolidato e nei distretti, in Corriere trib., 2006, 27, 2116. La dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti 17 122 TUIR, la consolidante è la sola ad avere l’obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi del consolidato. Appare pertanto opportuno distinguere, ai fini che qui interessano, la posizione della consolidante da quella delle singole consolidate. Secondo l’opinione citata, in tanto la consolidante potrà ritenersi penalmente responsabile per il delitto di dichiarazione fraudolenta ex art. 2, d.lgs. n. 74/2000 commesso da una consolidata, in quanto sia dimostrata la sussistenza di un coinvolgimento psicologico dell’ente, a titolo di concorso morale nel reato commesso. In caso contrario, sarà la sola consolidata a rispondere penalmente della propria condotta, nei limiti in cui il suo comportamento abbia prodotto una imposta evasa a livello di gruppo, con superamento delle soglie di punibilità previste dalla legge. In altri termini, secondo tale prospettazione dottrinaria, la consolidante andrebbe esente da responsabilità penale in applicazione dello schema del c.d. “au5 tore mediato” . Tale istituto presuppone che l’autore materiale del reato sia “strumentalizzato” con l’inganno dal deceptor, che induce nel deceptus una falsa rappresentazione della realtà, così da determinarne la condotta criminosa. La non punibilità del deceptor è tuttavia condizionata alla ricorrenza di tutti i presupposti indicati dall’art. 47 c.p. (dovendo pertanto sussistere il c.d. error facti). È dunque necessario che l’errore dell’autore mediato, determinato dall’altrui inganno, verta sul fatto di reato, e non sul precetto penale. Al di là di tali considerazioni, va ricordato che i delitti tributari sono oggi (quasi) tutti punibili a titolo di dolo specifico di evasione delle imposte: pertanto, appare difficile configurare una responsabilità colposa in capo alla consolidante che, pur a fronte della condotta penalmente rilevante di una controllata, si sia limitata ad effettuare la presentazione della dichiarazione, relativa al consolidato fiscale nazionale in ossequio al disposto di legge dell’art. 122 TUIR. 2. La condotta Il comportamento punito in virtù della norma in esame ha una struttura arti6 colata in due fasi . 5 Occorre tuttavia ricordare che la figura dell’autore mediato costituisce un istituto specifico dell’ordinamento tedesco, utilizzato al fine di giustificare la punibilità di quelle ipotesi di concorso di persone che non rientrano nelle fattispecie tipizzate dal codice penale germanico: di qui, per autorevole dottrina, la sua problematica applicazione nell’ordinamento italiano (cfr. sul punto FIANDACA, MUSCO, Diritto penale – Parte generale, Bologna, 2007, 458, sub nota n. 19). 6 Conformi, in dottrina, PUOTI, SIMONELLI, I reati tributari, Padova, 2008, 73-74, e SOANA, I reati tributari, Milano, 2009, 94-95. Gli illeciti penali in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto 18 In primo luogo, vi è la condotta prodromica di tenuta delle fatture o degli altri documenti per operazioni inesistenti, mediante la loro registrazione e/o detenzione a fini probatori nei confronti dell’Erario. Successivamente, vi è il concreto utilizzo di tali documenti mediante indicazione, in dichiarazione, di elementi passivi fittizi o di attivi inferiori a quelli reali, così fornendo all’Amministrazione finanziaria una falsa rappresentazione della situazione contributiva. *** Particolare importanza assume, con riguardo al delitto de quo, la nozione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. A tal proposito, occorre far riferimento alla definizione “autentica” di fattura, contenuta nell’art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 74/2000. In base alla suddetta norma, sono rilevanti tanto le fatture, quanto tutti quei documenti aventi analogo valore probatorio sotto il profilo fiscale (es.: ricevute, note, conti, parcelle, contratti, documenti di trasporto, note di addebito e di accredito, ecc.), che abbiano ad oggetto operazioni mai avvenute dal punto di vista materiale, e quindi esistenti solo sulla carta. Va poi esaminata la nozione di operazione inesistente. Il concetto di inesistenza dell’operazione fiscalmente rilevante è tradizional7 mente tripartito dalla dottrina con riguardo ad operazioni oggettivamente inesistenti (in quanto mai effettuate, totalmente o parzialmente), sovrafatturazioni (consistenti nell’aumento fittizio di passività in parte esistenti) ed operazioni soggettivamente inesistenti (in quanto concluse fra soggetti in tutto o in parte diversi da quelli che le hanno poste in essere). 8 La Corte di Cassazione , con riguardo all’inesistenza oggettiva di operazioni relative ad imposte dirette, ha recentemente chiarito che essa può essere anche soltanto materiale, e cioè può consistere unicamente in cessioni di beni o in prestazioni di servizi che non sono mai avvenute nella realtà (inesistenza oggettiva totale), oppure sono avvenute per quantità o qualità minori rispetto a quelle dichiarate (inesistenza oggettiva parziale). Attraverso operazioni oggettivamente inesistenti, si produce dunque un costo fittizio che l’utilizzatore dichiara per abbattere imponibile e imposta. L’inserimento in dichiarazione, un’operazione inesistente, ad esempio, può aver9 si nel caso di indicazione di costi di ricerca applicata e di sviluppo : questi, infatti, potrebbero prima essere stati indebitamente iscritti all’attivo del bilancio socie- 7 Per tutti, ANTOLISEI, Manuale di diritto penale – Leggi complementari, Milano, 2008, II, 413. Cass. pen., sez. III, 14 marzo 2010, n. 10394. 9 OLDRÀ, Costi di ricerca e sviluppo a rischio di frode fiscale o di falso in bilancio, in Corriere trib., 2004, 46, 3627. 8 La dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti 19 tario, giustificandoli in relazione ad un progetto di ricerca asseritamente realizzabile, oppure “svalutati” (facendoli risultare come costi effettivi di un progetto in realtà non più realizzabile), al fine specifico di evadere le imposte. L’inesistenza oggettiva si ha pure nell’ipotesi di c.d. sovrafatturazione di operazioni effettivamente avvenute, consistente nella diversità, totale o parziale, tra costi indicati in dichiarazione e costi di fatto sostenuti. Per la giurisprudenza di legittimità, la sovrafatturazione ricorre Giurisprudenza «(…) sia nell’ipotesi di inesistenza relativa (ovvero quando l’operazione vi è stata, ma per quantitativi inferiori a quelli indicati in fattura) sia, infine, nell’ipotesi di sovrafatturazione “qualitativa” (ovvero quando la fattura attesti la cessione di beni e/o servizi aventi un prezzo maggiore di quelli forniti), in quanto oggetto della repressione penale è ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale». Cass. pen., sez. III, 25 ottobre 2007, n. 1996. Potrà poi aversi un’inesistenza soggettiva della prestazione, caratterizzata dalla diversità tra il soggetto che ha effettuato la prestazione e quello indicato in fattura. In tema di inesistenza soggettiva, occorre distinguere fra la c.d. interposizione 10 fittizia e quella c.d. reale . La prima figura ricorre quando l’operazione è in realtà avvenuta, ma fra soggetti diversi da quelli dichiarati, e tutti i soggetti di essa vogliono che gli effetti del negozio si producano nei confronti di una persona diversa da quella che appare nell’atto. L’interposizione fittizia sussiste dunque quando le parti abbiano effettivamente posto in essere un negozio, ma quest’ultimo sia stato oggetto di quella che, in termini civilistici, è definita simulazione relativa soggettiva (che ricorre quando fra le parti sia intervenuto un accordo di fatto diverso da quello risultante ex contractu, in modo da dissimulare il contraente effettivo). Consapevole della frequenza con cui si verificano le fattispecie di interposizione fittizia in ambito tributario, il legislatore ha appositamente introdotto nell’ordinamento una disposizione antielusiva (art. 37, comma 3, d.P.R. n. 600/1973), secondo cui: Normativa «In sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona». 10 5670. Cfr. ANTONACCHIO, Interposizione reale e fittizia nel delitto di frode fiscale, in Fisco, 2005, 36, Gli illeciti penali in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto 20 L’interposizione reale (cui la prevalente dottrina non ritiene applicabile il cita11 to art. 37, comma 3, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600) si ha invece quando gli effetti della vendita si producono realmente in capo all’acquirente, e quindi manca un accordo simulatorio. Pertanto, affinché possano aversi effetti tributari penalmente rilevanti, occorre che una terza persona (di solito un nullatenente) ponga in essere un successivo negozio di trasferimento in favore di un altro soggetto. Nell’interposizione reale, è dunque l’interposto il soggetto passivo dell’obbligazione tributaria, che nasce dal “fatto-presupposto” a sua volta originatosi dal compimento del negozio giuridico con il terzo. Non così nell’interposizione fittizia, ove invece è l’interponente il soggetto passivo della relativa obbligazione tributaria. Sul punto va segnalata un’interessante pronuncia della giurisprudenza di merito, secondo cui: Giurisprudenza «Non può parlarsi di operazioni soggettivamente inesistenti ex art. 2, d.lg. 10 marzo 2000 n. 74, nel caso in cui non si tratti di transazioni simulate, bensì di operazioni reali effettivamente intervenute tra il fornitore nazionale (acquirente comunitario) ed il cessionario italiano, e sia escluso ogni diretto rapporto tra quest’ultimo ed il venditore estero». App. Torino, sez. I, 3 novembre 2008, n. 3775. Trattasi di pronuncia che sicuramente “rompe” con la consolidata giurispru12 denza di legittimità che invece non distingue, ai fini penali tributari, fra ipotesi di interposizione fittizia e reale, ritenendo entrambe punibili, sul presupposto che esse costituiscono operazioni che comunque non consentono di individuare il vero soggetto cui si riferisce la fattura. Non è peraltro mancato chi ha vivacemente criticato l’orientamento giurisprudenziale che afferma in ogni caso l’indetraibilità dell’IVA assolta sugli acquisti, ove la fattura non provenga dal soggetto che ha effettuato la cessione o la presta13 zione. A tal proposito parte della dottrina ritiene, infatti, che in tanto l’IVA debba ritenersi indetraibile, in quanto sia stato previamente ed in concreto verificato che l’acquisto non c’è stato, o che lo stesso sia avvenuto per importo diverso da quello contabilizzato, o che manca l’inerenza tra l’acquisto effettuato e l’attività economica. 11 Ex multis, GALLO, Prime riflessioni su alcune recenti norme antielusive, in Dir. e prat. trib., 1992, 1770. 12 Cfr. Cass. pen., sez. III, 16 dicembre 1986; in questo senso anche PUOTI, SIMONELLI, I reati tributari, cit., 81. 13 BEGHIN, Le frodi IVA e il malleabile principio di neutralità del tributo, in Corriere trib., 2010, 19, 1511, il quale rammenta l’importanza del concetto di neutralità dell’IVA nel quadro dell’attività dell’impresa-contribuente, per la quale il tributo non deve assumere connotazioni – di fatto – “parasanzionatorie”. La dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti 21 14 Per autorevole dottrina , l’inesistenza dell’operazione dovrebbe poi essere valutata caso per caso, a seconda che la c.d. società “cartiera” sia del tutto fittizia, oppure sia reale. In questa seconda ipotesi, infatti, nessuna censura dovrebbe essere mossa, quando l’esistenza delle ragioni economiche e della ragion d’essere della società asseritamente interposta risulta da elementi di fatto del tutto convincenti (quali ad esempio la stipula di affidamenti bancari e garanzie fideiussorie valide, o il possesso di beni immobili, che lasciano presumere l’effettivo esercizio di un’attività economica). Più in generale, il contribuente non dovrebbe essere incriminato per frode fiscale per il semplice fatto di avere avuto rapporti commerciali con una c.d. società cartiera: ciò non dovrebbe automaticamente condurre a ritenere che il destinatario delle fatture (contestate come) false fosse a conoscenza della natura criminale dell’attività economica esercitata. Occorre sempre tener presente che gli “automatismi probatori” propri del contenzioso tributario non possono trovare applicazione diretta ed immediata nel processo penale, che resta invece governato da principi costituzionali e regole a 15 sé stanti, ispirate non già al favor fisci, bensì al favor rei . L’inesistenza dell’operazione indicata in dichiarazione può essere anche solo giuridica: si tratta, per lo più, dei casi in cui la fattura (o il diverso documento ad essa equipollente sul piano fiscale) attesti una cessione di beni od una prestazione di servizi diversa da quella che le parti hanno consapevolmente e volontariamente 16 “dissimulato” . 17 Non così ritiene una parte della giurisprudenza di merito , la quale pone l’accento sulla definizione normativa di operazioni inesistenti, contenuta nel corpo dell’art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 74/2000: perciò devono considerarsi tali (solo) le transazioni non realmente effettuate. Ne consegue che, in caso di mendacio che riguardi esclusivamente la qualificazione giuridica di un’operazione realmente esistita, non può aversi frode fiscale, e si impone dunque l’assoluzione del contribuente. *** Con riguardo alla distinzione fra costi non inerenti alla gestione societaria e costi falsi (cioè imputabili ad operazioni inesistenti), la giurisprudenza di legitti14 CARACCIOLI, Interposizioni e norme antifrode in materia di IVA: profili penali, in Fisco, 2006, 14, 2156. 15 Sempre CARACCIOLI, Sulla prova nei processi per falsa fatturazione in ipotesi di c.d. cartiere parziali, in Fisco, 2005, 37, 5850. 16 Ad esempio, il contribuente può far figurare un mutuo quale prestazione di un servizio, ad es., di leasing; oppure – come si è detto – può effettuare un acquisto non inerente all’attività economica o professionale esercitata, dichiarandolo invece come tale. 17 Trib. Trento, 13 giugno 2007, n. 207. 2. Gli illeciti penali in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto 22 18 mità , in una recente pronuncia, ha chiarito che non è punibile l’amministratore di società che usa fatture false emesse sull’azienda, a fronte di servizi dalla stessa non fruiti. Secondo la Suprema Corte, l’attività di iscrizione di costi fittizi si differenzia infatti da quella di fatturazione per operazioni inesistenti, poiché avviene mediante l’intestazione, in capo alla società, di acquisti di beni e servizi destinati al consumo da parte della persona fisica collegata alla stessa: trattasi cioè di un’operazione commerciale realmente intercorsa tra i soggetti, che risultino essere – da un lato – l’effettivo committente della merce o del servizio e – dall’altro – il cessiona19 rio degli stessi, nella quale il primo abbia effettuato il relativo pagamento . Per il semplice fatto che il cliente (amministratore di società) è in possesso di partita IVA, il fornitore (emittente la fattura) è legittimato a considerarlo soggetto passivo, senza ulteriore indagine sulla destinazione inerente o non inerente dell’acquisto. Pertanto, ove sia provata la non inerenza dei costi rispetto all’attività societaria, e sussista effettivamente l’imputazione di spese non completamente aziendali, tali operazioni saranno punibili a titolo di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici ex art. 3, d.lgs. n. 74/2000, o di dichiarazione infedele ex art. 4, d.lgs. n. 74/2000, ma non per frode fiscale ex art. 2, d.lgs. n. 74/2000. *** In tema di ripartizione dell’onere probatorio, l’inerenza dei costi all’attività imprenditoriale, specie nel caso di attività prodromiche al suo esercizio, può ritenersi provata dall’apparente destinazione a finalità imprenditoriali dell’operazione imponibile, nonché dalla qualità soggettiva del soggetto passivo d’imposta. Per contro, costituisce circostanza sfavorevole al riconoscimento dell’inerenza dei costi all’attività imprenditoriale il fatto che l’operazione, inizialmente programmata dal contribuente, non abbia poi avuto attuazione. In tal caso, parte della dot20 trina sostiene che, in caso di contenzioso tributario, sia onere del contribuente dimostrare che ciò è stato determinato da ragioni intrinseche alla logica imprenditoriale (ad es., a seguito dell’esito negativo di valutazioni di redditività del costo preventivato). Tali considerazioni devono però essere rapportate alle disposizioni che informano il processo penale tributario. In altri termini, occorre sempre considerare 18 Cass. pen., sez. III, 23 gennaio 2009, n. 3203, con nota di CENTORE, Il confine tra costi non inerenti e falsi nella norma penale, in Corriere trib., 2009, 11, 867. 19 Nello stesso senso CARDONE, PONTIERI, Fatture o altri documenti per operazioni soggettivamente inesistenti: l’ipotesi dell’interposizione reale, in Fisco, 2009, 26, 4268. 20 MARCHESELLI, Allegazione e prova dell’inerenza di costi detraibili per spese di impianto, in Corriere trib., 2004, 44, 3489. Cfr., nella giurisprudenza, Cass. civ., sez. V, 18 giugno 2007, n. 14091. La dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti 23 che un conto sono le regole probatorie proprie del contenzioso tributario; altre sono quelle che governano il processo penale (e quindi i procedimenti aventi ad oggetto i reati tributari). Ciò posto, va rilevato che, in sede penale, l’onere della prova del carattere fittizio dei costi indicati nella dichiarazione annuale è a carico del P.M., stante il principio di presunzione di innocenza fino a condanna definitiva, di cui all’art. 27, comma 2, Cost.; diversamente avviene – come si è detto – nel contenzioso tributario, ove invece l’onere della prova della non fittizietà delle fatture ricade sul contribuente, mentre l’Ente impositore potrà limitarsi ad offrire un 21 fumus di elementi suffraganti la tesi della fittizietà delle fatture . In altri termini, in sede di processo penale, in cui i meri indizi risultino essere preponderanti rispetto alle prove, il combinato disposto degli artt. 192 c.p.p. e 530, comma 2, c.p.p. vieta al Giudice di pronunciare sentenza di condanna, se sulla colpevolezza dell’imputato persiste un ragionevole dubbio: il permanere di una lettura alternativa di determinati fatti, anche se assistita da un minor grado di probabilità, genera un dubbio non irragionevole sulla responsabilità dell’imputato, ed 22 impone l’assoluzione . Per contro, ove il giudice del merito ritenga sussistente il disegno criminoso di evasione fiscale ed il reato di dichiarazione fraudolenta – sulla base di una prova logica, fondata su indizi gravi, precisi e concordanti – la relativa pronuncia sarà immune dai vizi denunciati dall’imputato mediante ricorso per Cassazione, e consentirà, al di là di ogni ragionevole dubbio, di pervenire ad un giudizio di respon23 sabilità del ricorrente . La consumazione del reato in esame avviene con la presentazione della dichiarazione fraudolenta, e cioè con l’unico atto mediante il quale – nelle intenzioni del legislatore della riforma penale tributaria – l’interesse erariale alla percezione dei tributi è messo concretamente a repentaglio. Poiché ad ogni dichiarazione corrisponde una potenziale lesione all’interesse erariale, in presenza di più dichiarazioni fraudolente sussiste una pluralità di vio24 lazioni penalmente rilevanti . 21 Così sostiene autorevole dottrina: CORSO, Frode fiscale e ripartizione dell’onere della prova, in Corriere trib., 2009, 7, 507. Contra, peraltro, nella giurisprudenza tributaria di legittimità, Cass. civ., sez. trib., 21 agosto 2007, n. 17799. 22 Cfr., nella giurisprudenza di merito, App. Milano, 10 aprile 2006, n. 1424, con nota di CORSO, Frode fiscale e prova al di là di ogni ragionevole dubbio, in Corriere trib., 2006, 33, 2614. 23 Ad esempio, Cass. pen., sez. III, 6 marzo 2008, n. 18765, ha ritenuto che la coincidenza fra l’importo di fatture contestate, in quanto riferite ad operazioni inesistenti, e la sussistenza di un insieme di assegni circolari tratti da fornitori dalla società contribuente, ed incassati dal legale rappresentante e dai familiari di quest’ultimo, costituisca prova logica sufficiente per addivenire alla condanna della società imputata. 24 MARCHESELLI, Effetti della natura istantanea della dichiarazione fraudolenta in caso di reiterazione del reato, in Corriere trib., 2008, 46, 3699. Gli illeciti penali in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto 24 Nello stesso senso si è attestata la giurisprudenza di legittimità, secondo cui: Giurisprudenza «In caso di frazionamento in successive dichiarazioni annuali delle quote di ammortamento dell’importo di fatture per l’acquisto (inesistente) di beni strumentali, il reato di cui all’art. 2 d.lg. n. 74 del 2000 è integrato da ogni dichiarazione nella quale vengono indicati i corrispondenti elementi passivi fittizi in detrazione dei redditi». Cass. pen., sez. III, 24 settembre 2008, n. 39176. Invero per la Cassazione, se in ipotesi di costo frazionato si ritenesse realizzato il reato solo con la prima dichiarazione (relativa alla prima frazione di costo), si finirebbe per considerare ingiustificatamente irrilevante, dal punto di vista penale, il tentativo di sottrarre all’imposizione il resto del costo (corrispondente alle frazioni di cui alle dichiarazioni successive). Invece, al fine di evitare che vengano a crearsi “zone franche” di punibilità, l’ipotesi di cui alla norma in commento deve ritenersi configurabile anche nel caso di un frazionamento in successive dichiarazioni annuali delle quote di ammortamento dell’importo di fatture per l’acquisto (inesistente) di beni strumentali, ogni qualvolta siano indicati nella singola dichiarazione, i corrispondenti elementi passivi fittizi in detrazione dei redditi. 25 È stato quindi superato quel risalente indirizzo giurisprudenziale secondo cui la fattispecie criminosa di cui all’art. 2, d.lgs. n. 74/2000 si consuma nell’anno in cui le fatture per operazioni inesistenti sono registrate nella contabilità e recepite nella dichiarazione dei redditi, mentre sarebbe irrilevante il loro riutilizzo nelle dichiarazioni dei redditi per gli anni successivi, allorché si verifichi un’ipotesi di ammortamento frazionato di beni nei successivi esercizi. Ribadendo la natura istantanea del reato in esame, sempre la Suprema Corte di Cassazione, in un recente arresto giurisprudenziale, ha statuito che: Giurisprudenza «Il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti si consuma nel momento della presentazione della dichiarazione. (Fattispecie in tema di conflitto, nella quale la Corte ha ritenuto che il luogo della consumazione fosse da individuare in quello di utilizzazione delle fatture, e cioè di presentazione della dichiarazione, e non già in quello di emissione)». 26 Cass. pen., sez. I, 5 marzo 2009, n. 25483 . 25 Cfr. Cass. pen., sez. III, 10 aprile 1991 n. 6088. Conforme Cass. pen., sez. III, 21 novembre 2008, n. 626; in dottrina, PUOTI, SIMONELLI, I reati tributari, cit., 72. 26 La dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti 27 25 28 Tanto in dottrina , quanto in giurisprudenza , l’ipotesi di cui all’art. 2, d.lgs. n. 74/2000 è stata pure considerata di pericolo concreto, sul presupposto che per la sua integrazione non è richiesta evasione d’imposta. In questo senso, si è ritenuto che la fattispecie in argomento possa restare integrata anche quando, ad esempio, gli elementi passivi fittizi incrementino una perdita riportata a nuovo, i cui effetti, in termini di evasione fiscale, potranno aversi in un successivo esercizio. 3. L’elemento soggettivo del reato Il delitto in esame è punito a titolo di dolo specifico: è quindi richiesta la finalità di conseguire un’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto. L’art. 1, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 74/2000, definisce il fine di evadere le imposte come quello che consente Normativa «di conseguire un indebito rimborso o il riconoscimento di un inesistente credito d’imposta (…)». Il dolo specifico sussiste, dunque, quando non è stata neppure prospettata un’esclusiva finalità extraevasiva della condotta del contribuente. In altri termini, la condotta di utilizzo di fatture deve essere strumentalmente idonea a conseguire l’indebito risparmio fiscale: è quindi necessario che l’evasione sia un fine della condotta, rientrando così nell’intenzione dell’agente. Il fine di evasione, ad esempio, non sussiste ove l’obiettivo del contribuente, nel periodo di imposta considerato, non appaia tanto quello di evadere le imposte, quanto piuttosto quello di cercare di “tamponare” gravi carenze contabili, creando almeno una parvenza di regolarità nella tenuta della contabilità aziendale. Manca il dolo di evasione pure nel caso in cui risulti documentato (attraverso documenti contabili, ai quali corrispondono regolari pagamenti, ad es. con assegni bancari) che una determinata operazione, relativa all’acquisto di beni inerenti l’esercizio dell’attività di impresa, si è realmente perfezionata. Peraltro, la precipua finalità di evasione non esclude affatto la compatibilità di tale specifico elemento psicologico con altri scopi (più o meno leciti, e più o meno evidenti), avuti di mira dall’autore del reato. Ciò consente, ad esempio, che, in 27 LO MONTE, Prime osservazioni sul progetto di decreto legislativo ai sensi dell’art. 9 l. n. 205/99 di riforma dei reati tributari, in Rass. trib., 2000, 139; GOLINO, Prime riflessioni sulla riforma delle sanzioni penali tributarie, in Fisco, 2000, 1643. 28 Cass. pen., sez. II, 11 gennaio 2007, n. 5656; vedasi anche la già citata Cass. pen., sez. III, 27 aprile 2000, n. 6228. Gli illeciti penali in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto 26 relazione alla medesima condotta, al contribuente possano essere contestati, oltre alla frode fiscale, anche i reati di truffa aggravata (nelle ipotesi di cui agli artt. 640 c.p. e 640 bis c.p.) e di falso in bilancio (artt. 2621 e 2622 c.c.: sul punto, si veda 29 infra) . Bisogna poi tener presente che l’attuale formulazione dell’art. 2, d.lgs. n. 74/2000 non contempla più, fra gli scopi dell’agente, l’agevolazione all’evasione altrui: pertanto, il fatto di chi abbia utilizzato fatture per operazioni soggettivamente inesistenti al solo fine di agevolare l’evasione di terzi (e non la propria) è 30 oggi privo di rilevanza penale . 4 Le circostanze; il tentativo Il reato di dichiarazione fraudolenta ex art. 2, d.lgs. n. 74/2000 prevede un’ipotesi base, al comma 1, ed una ipotesi attenuata, al comma 3, ove la pena è fortemente ridotta nei casi in cui gli elementi passivi fittizi, documentati con fatture false, siano complessivamente inferiori a € 154.937,07. Il legislatore ha preferito non inserire alcuna soglia di punibilità in relazione al delitto in esame, limitandosi a prevedere una circostanza attenuante speciale e ad effetto speciale (che quindi, ai sensi dell’art. 63 c.p., importa una diminuzione di pena superiore ad un terzo). Secondo il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, Giurisprudenza «Il delitto di cui all’art. 2, comma terzo, del D.Lgs. n. 74 del 2000 è circostanza attenuante e non fattispecie autonoma di reato». Cass. pen., sez. III, 8 maggio 2008, n. 25204. 31 Peraltro, nell’ambito della medesima sezione della Corte di Cassazione vi è attualmente contrasto sul punto, atteso che è stato pure ritenuto che l’art. 2, comma 3 in esame costituisca un’ipotesi autonoma ed attenuata di frode fiscale, sulla scorta della necessità di evitare gli effetti – testualmente definiti “perversi” – del giudizio di equivalenza o prevalenza delle attenuanti. Quest’ultimo orientamento, per quanto motivato da comprensibili ragioni di tutela sostanziale degli interessi erariali, non appare condivisibile sul piano strettamente giuridico, per un duplice ordine di motivi. 29 Cfr. SOLDI, Interposizione inconsapevole di società di leasing nell’emissione di fatture per operazioni inesistenti, in Riv. dir. trib., 2008, 5, 62. 30 Uff. indagini preliminari Milano, 8 giugno 2000. 31 Cass. pen., sez. III, 6 marzo 2008, n. 23064.