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il galateo della discussione
IL GALATEO DELLA DISCUSSIONE Di Logon Didonai Introduzione Qualsiasi scambio argomentativo ha delle premesse, che possiamo considerare delle opinioni condivise: senza di esse non esistono discussione o argomentazione, ma solo tentativi di prevaricazione e sopraffazione. Ne porremo due (tratte da Grice 1989). Se rispettiamo queste due premesse accettiamo di dialogare (eventualmente anche in modo competitivo). Se non le accettiamo possiamo fermarci subito, perché stiamo facendo altro. LE PREMESSE DELLA DISCUSSIONE La PRIMA PREMESSA esprime il principio di cooperazione, ed è una condizione necessaria al dialogo. Senza questa assunzione tutto lo scambio (che è argomentazione come cooperazione comunicativa) rischia di fallire e diventa un mero esercizio retorico. La SECONDA PREMESSA fa riferimento al principio di carità interpretativa. Ognuna delle parti deve interpretare le espressioni dell’altra nel modo più accurato e pertinente possibile. Se pratichiamo “l’ostruzionismo lessicale” nei confronti dell’interlocutore (chiedendo ragione di ogni termine o espressione, anche di quelli ovvi e presupposti, o secondari) impediamo lo svolgersi della discussione, ed estendiamo a essa quello che può essere un momento preliminare o incidentale (seppure importante). Talvolta la discussione può però vertere sul problema della definizione; in tal caso, imporre una definizione può voler dire predisporre le condizioni per il proprio prevalere. Violiamo questo principio non solo quando chiediamo conto di ogni espressione o termine ma anche quando li interpretiamo volutamente in modo illecito o inadatto al contesto (tendenzioso o ambiguo). L’argomentazione Seguendo la proposta di Frans H. van Eemeren e Rob Grootendorst (2009), possiamo scomporre in quattro fasi o momenti l’argomentazione utilizzata per sostenere una tesi. Tali momenti non necessariamente seguono l’ordine che forniamo, sebbene non possano prescinderne. All’interno di queste quattro fasi si applicheranno le regole della discussione cortese (o meglio: si rispetteranno dieci divieti). i quattro momenti dell’argomentazione I. Innanzitutto dovremo presentare quanto va detto e conosciuto sulla tesi in questione; II. inoltre, dovremo evitare atteggiamenti erronei nella conduzione della disputa, essi potrebbero infatti precluderci la possibilità del confronto; III. la giustificazione argomentativa vera e propria (utilizzo di un argomento a sostegno della tesi), che prevede un controllo a) dell’uso degli argomenti, b) schemi argomentativi accettati, eventuale confutazione; IV. infine, la conclusione. Argomentazione I. La presentazione della tesi Nel modello base, due interlocutori discutono la tesi di uno di essi, che assumerà il ruolo di protagonista, mentre la controparte della discussione assumerà quello di antagonista. È naturalmente possibile che l’antagonista esprima un dubbio sulla tesi dell’interlocutore o che abbia una propria tesi da sostenere, in tal caso avremo a che fare con un modello più complesso. La tesi deve essere presentata dal protagonista nel modo seguente: I. LA PRESENTAZIONE DELLA TESI 1. enunciazione concisa del problema; 2. delucidazione del significato di alcuni termini (disambiguazione); 3. presentazione della rilevanza del problema: possibili conseguenze della sua soluzione; 4. enunciazione delle soluzioni alternative e loro critica; 5. enunciazione della soluzione che si intende sostenere. Per quanto riguarda la fase di presentazione della tesi è importante rispettare le regole di definizione dei termini impiegati e dell’uso del linguaggio, in modo da evitare oscurità, ambiguità o uso tendenzioso dei termini quando formuliamo le nostre tesi e i nostri argomenti. Dobbiamo anche sforzarci di interpretare nel modo più accurato e pertinente possibile quanto sostenuto dall’interlocutore. Se ci viene richiesto, non possiamo rifiutarci di definire i termini impiegati, in qualunque momento tale richiesta venga formulata. Possiamo così formulare la prima regola della discussione. I. REGOLA GENERALE D’USO DEL LINGUAGGIO NON È CONSENTITO USARE FORMULAZIONI INSUFFICIENTEMENTE CHIARE O TALMENTE AMBIGUE DA CREARE CONFUSIONE, NÉ INTERPRETARE IN MODO DELIBERATAMENTE TENDENZIOSO LE FORMULAZIONI DELL’ALTRA PARTE. Argomentazione II. La conduzione della discussione Iniziamo la discussione. Essa prevede un confronto tra la tesi argomentata e la critica a tale tesi. Occorre però innanzitutto evitare alcuni atteggiamenti che possono pregiudicare il confronto. Come garantire l’esercizio critico? A) In primo luogo permettendo all’interlocutore di esporre la propria tesi, sempre e comunque; B) in secondo luogo prendendo in considerazione la questione della rilevanza degli argomenti utilizzati. A) Permettere l’espressione della tesi dell’avversario Per quanto riguarda il primo punto (permettere l’espressione della tesi dell’avversario) possiamo formulare 5 regole: II – REGOLA DELLA LIBERTÀ NON È CONSENTITO IMPEDIRE ALLA CONTROPARTE DI AVANZARE O METTERE IN DUBBIO UNA TESI. Le fallacie che derivano dal mancato rispetto della regola della libertà solo le seguenti: Appello alla forza (argomento ad baculum): un interlocutore viene informato che incorrerà in spiacevoli conseguenze se non sarà d’accordo con la tesi avversaria. Appello alla compassione (argomento ad misericordiam): una parte deve accettare la posizione avversa in considerazione dello stato compassionevole dell’interlocutore, della persona o delle persone di cui si parla. appello alle conseguenze (argomento ad consequentiam), si fa leva sulle discordanti conclusioni che derivano dal mantenere una particolare credenza, in modo da dimostrare che questa stessa credenza è falsa. Attacchi personali nei confronti dell’interlocutore al fine di impedirgli di sostenere la sua tesi usando un argomento ad hominem o, peggio, ad personam non è consentito dal principio di cortesia. Screditare un avversario per indebolirne la tesi può essere efficace nella disputa non cooperativa, ma non dobbiamo trascurare il fatto che l’individuo più abbietto può pur sempre formulare una tesi migliore della nostra. La correttezza vuole dunque che ci concentriamo su di un argomento ad rem (concernente la cosa stessa). Chiaramente sarà indispensabile contestualizzare l’argomento, specialmente se l’argomento dell’interlocutore è basato sulla sua (presunta) autorevolezza. In questo caso il dubbio è d’obbligo, in quanto l’autorevolezza fonda uno schema argomentativo. Ma la colpa dell’avversario non deve ricadere sulla tesi, altrimenti ci si avvicina a un confronto tra valori o a un conflitto ideologico, che ne è la versione estrema. Gli attacchi personali sono di tre tipi: 1. attacco personale abusivo (ad personam) – non si ribatte a un’asserzione ma si attacca la persona che l’ha proposta, fino all’insulto e alla calunnia (“sei un cretino, stai zitto, stai dicendo delle cazzate!”); 2. attacco personale circostanziale (ad hominem) – non si attacca l’affermazione, soffermandosi invece sul rapporto tra chi sostiene una tesi e le circostanze in cui questa persona si trova (come puoi parlare di giustizia, visto che sei inquisito?); 3. ritorsione (tu quoque) – chi fa un’affermazione non mette in pratica ciò che sostiene oppure: chi ci accusa commette lo stesso errore. III – REGOLA DELL’OBBLIGO DI DIFESA (DELL’ONERE DELLA PROVA) CHI AVANZA UNA TESI NON PUÒ RIFIUTARSI DI DIFENDERLA QUALORA GLI VENGA CHIESTO DI FARLO. Dal non rispetto di questa regola può derivare una fallacia basata sull’argomento ad ignorantiam, secondo il quale finché non si è dimostrato che una tesi è falsa dobbiamo considerarla come vera, e, reciprocamente, finché non si è dimostrato che è vera dobbiamo considerarla falsa. Ma l’ignoranza, isolata da altre considerazioni, non è una prova, bensì semplice ignoranza (tuttavia l’argomento non è sempre fallace). Di conseguenza, quando una premessa comune non è condivisa, non ci si può sottrarre all’onere della prova derivante dal controllo critico degli argomenti, qualora l’interlocutore lo richieda o metta in dubbio la premessa. Le fallacie commesse sono: scaricare l’onere della prova sulla controparte (invece di difendere la propria tesi si sfida l’antagonista a mostrare che si ha torto); far slittare l’onere della prova (invece di difendere la propria tesi, si forza la controparte a difendere la sua); evadere l’onere della prova (presentando la propria tesi come se fosse auto-evidente, o giurando personalmente su di essa, oppure immunizzandola contro qualsiasi critica, eventualmente dichiarandola sacrosanta). IV – REGOLA DELLA PREMESSA INESPRESSA NON È CONSENTITO ATTRIBUIRE ALLA CONTROPARTE IN MODO SURRETTIZIO PREMESSE IMPLICITE, NÉ RIFIUTARSI DI ASSUMERE L’ONERE DELLA PROVA PER PREMESSE CHE SI SONO LASCIATE INESPRESSE. Una divergenza di opinioni non può essere risolta se il protagonista cerca di sfuggire all’obbligo di difendere una premessa inespressa (negare l’evidenza di una premessa inespressa), né se l’antagonista cerca di deformare una premessa inespressa, per esempio esagerandone la portata; se si vuole invece risolvere tale divergenza allora occorre essere responsabili degli elementi che sono rimasti impliciti, ed eventualmente difenderli, dopo averli esplicitati o dopo che l’antagonista ha espresso i suoi dubbi. V – REGOLA DELLA TESI NON È CONSENTITO CRITICARE UNA TESI CHE NON SIA STATA REALMENTE AVANZATA DALLA CONTROPARTE. Uomo di paglia- si commette questa fallacia quando si critica una tesi non avanzata dall’interlocutore, si fa riferimento alle opinioni del gruppo al quale appartiene, la si rappresenta in modo scorretto, la si cita fuori contesto, la si semplifica eccessivamente o la si esagera. È importante anche attaccare la tesi, non l’interlocutore, perché altrimenti gli si impedirebbe di usare della libertà di esprimere la sua tesi. Gli argomenti ad hominem e ad personam ricadono perciò sotto la regola della libertà, in quanto ne sono una palese violazione. VI – REGOLA DEL PUNTO DI PARTENZA NON È CONSENTITO PRESENTARE QUALCOSA COME PUNTO DI PARTENZA CONDIVISO, SE NON LO È, O NEGARE CHE QUALCOSA SIA UN PUNTO DI PARTENZA CONDIVISO, SE INVECE LO È. La regola del punto di partenza è violata quando: si nega che qualcosa sia un punto di partenza condiviso quando lo è, si afferma che qualcosa è un punto di partenza condiviso ma invece non lo è. Questo avviene quando si formulano slealmente domande presupponendo come dato un punto di partenza che invece non è accettato dall’avversario. Abbiamo così i casi della domanda complessa (plurium interrogationum) e della petizione di principio (petitio principii). B) Evitare l’irrilevanza Abbiamo visto così le regole che, nella conduzione di una discussione, devono garantire agli interlocutori di poter esprimere la loro tesi. Per quanto riguarda il secondo punto (la rilevanza), possiamo formulare una regola generale sulla conduzione della disputa. VII – REGOLA DELLA PERTINENZA NON È CONSENTITO DIFENDERE UNA TESI ATTRAVERSO QUALCOSA CHE NON SIA UN ARGOMENTO O ATTRAVERSO UN ARGOMENTO CHE NON SIA PERTINENTE PER LA TESI IN QUESTIONE. Se un argomento si basa su premesse che non hanno rilievo rispetto alla conclusione, e che non ne possono quindi in alcun modo stabilire la verità, si commette fallacia di rilevanza (Copi & Cohen 1999: 169): il problema è qui l’irrilevanza di quanto si afferma al fine di trarre la conclusione, benché le premesse siano spesso molto rilevanti dal punto di vista della persuasività. Molto spesso questo tipo di argomenti è efficace perché opera prevalentemente sulle passioni o sulle emozioni. Si impedisce con questo all’interlocutore di sostenere la propria tesi attraverso: l’attacco alla persona, l’aggressione di una tesi che non è quella che il nostro avversario sostiene, l’appello alla forza, alla compassione, alle conseguenze, a una minaccia, all’autorità. Quest’ultimo, spesso classificato tra le fallacie, se considerato come schema argomentativo non è sempre tale: se le valutazioni di un esperto (autorità nel suo campo) vengono sottoposte al vaglio critico degli interlocutori, tale appello può essere un argomento valido e convincente, benché, in quanto basato sull’autorità, non dimostrativo bensì solo probabile; diventa fallace se serve solo a impedire che una delle due parti coinvolte nel dialogo possa esprimere e difendere la propria tesi. Non è detto che tali argomenti siano sempre irrilevanti, dipendendo essi piuttosto dalla situazione: lo diventano se sono un mezzo per impedire all’avversario di argomentare o controargomentare; può tuttavia essere importante suscitare il dubbio sulle presunte certezze, al fine di squalificare un’autorità che fa paura (per esempio attraverso il ricorso al ridicolo) o al fine di far aprire gli occhi su qualcosa che viene altrimenti accettato come dogma. La regola della pertinenza esige inoltre che non si faccia ricorso a espressioni enfatiche o alla popolarità dell’argomento, e che non si sposti l’argomentazione dell’avversario su di una posizione più debole. Altrimenti si hanno le seguenti fallacie (Boniolo & Vidali 1999: 685): nella fallacia del linguaggio pregiudizievole si usano termini caricati emotivamente per aggiungere valore alla tesi sostenuta (che forse ne ha poco); quando ci si appella al giudizio del popolo si presenta come vero un enunciato solo perché è ritenuto vero da molte persone (eventualmente da una maggioranza), o tale è ritenuto da influenti settori dell’opinione pubblica (è una forma fallace dell’appello all’autorità); nella fallacia della prevalenza dello stile sulla sostanza il modo in cui un argomento viene presentato è utilizzato per incidere sulla probabilità che la conclusione sia vera; se, invece, un argomento porta a una conclusione diversa da quella che avrebbe dovuto essere raggiunta si commette fallacia di ignoratio elenchi o “conclusione irrilevante” (Giornalista: “Avevate sostenuto che la guerra in Iraq era indispensabile per eliminare le armi di distruzione di massa possedute da Saddam Hussein, ma le armi non c’erano. Proprio come avevano sostenuto gli ispettori dell’ONU. Quindi la guerra era illegittima”. Rumsfeld: “Proprio perché non c’erano abbiamo fatto bene ad attaccare”); è anche possibile attaccare un argomento diverso (di solito più debole o più estremo) da quello presentato dall’oppositore, commettendo la fallacia dell’uomo di paglia. Prima di passare a esaminare le ulteriori regole è opportuno spendere qualche parola per riflettere sul problema della rilevanza. È vero che uno degli attacchi più frequenti, nel contesto delle dispute, è: “Non è questo il punto!” oppure “Non c’entra!”, ma quale sia il punto può essere oggetto di disputa. Del resto la base dell’accusa di irrilevanza è nello stesso contesto del dialogo: ogni argomento presuppone un contesto, uno scopo, un tema o problema del quale si parla. Un’affermazione, una proposizione è messa in questione. È questo ciò che ci autorizza a chiedere che gli argomenti addotti siano rilevanti. Il problema è, naturalmente, se si condividono i criteri di rilevanza. Siccome tale questione concerne in fondo un presupposto, allora approfondiremo il problema nel contesto della presupposizione. Qui ci occupiamo invece ancora delle regole di giustificazione argomentativa. Argomentazione III. La giustificazione A) L’uso degli argomenti Il controllo degli argomenti è una precondizione per l’argomentazione. In primo luogo prenderemo in considerazione la loro validità da un punto di vista logico. VIII – REGOLA DELLA VALIDITÀ GLI INTERLOCUTORI DEVONO UTILIZZARE SOLO .ARGOMENTI LOGICAMENTE VALIDI (O TALI DA ESSERE RESI TALI MEDIANTE L’ESPLICITAZIONE DI UNA O PIÙ PREMESSE). La violazione di questa regola può comportare le seguenti fallacie: Questione complessa (plurium interrogationum): una premessa è contrabbandata in una domanda: “Hai smesso di picchiare tua moglie” presuppone che tu l’abbia picchiata. Qualsiasi risposta a questa domanda presuppone in realtà due domande (e...e...). Appello alle conseguenze (ad consequentiam): per dimostrare che un enunciato è inaccettabile, si fa vedere che da esso deriva qualcosa di inaccettabile. Ma il “se...allora...” non sussiste. Falsa disgiunzione: viene fornito un numero limitato di scelte (o...o...), ma quelle possibili sono più numerose. Petizione di principio (petitio principii): la verità della conseguenza è derivata dalla verità delle premesse ma in realtà non fa che riformularle in modo appena diverso. Composizione: posto che le parti di un insieme hanno una certa proprietà, se ne deduce che l’insieme ha le stesse proprietà Divisione: poiché il tutto ha una certa caratteristica si sostiene che ogni sua parte abbia tale caratteristica, il che non è sempre vero. Inconsistenza: si affermano proposizioni diverse che non possono essere tutte contemporaneamente vere. Confusione tra condizione necessaria e sufficiente: 1. Affermazione del conseguente: Se A, allora B, ma B, dunque A; 2. negazione dell’antecedente (Se A, allora B, ma non-A, dunque non-B) B) Gli schemi argomentativi Il nostro ragionamento (semplice o complesso) sarà basato su degli schemi argomentativi accettati (deduzione, induzione, ipotesi, definizione, ragionamento analogico, connessioni causali, inferenze basate sulle statistiche, ricorso all’opinione degli esperti). Questa regola fa perciò riferimento alla scelta di un argomento o combinazione di argomenti. Possiamo decidere di non applicare uno schema argomentativo a un particolare caso, ma una volta che l’abbiamo scelto dobbiamo farlo in modo rigoroso, evitando il suo uso improprio. IX – REGOLA DELLO SCHEMA ARGOMENTATIVO NON È CONSENTITO CONSIDERARE DIFESE IN MODO CONCLUSIVO TRAMITE ARGOMENTAZIONI TESI CHE NON SIANO PRESENTATE COME BASATE SU DI UN RAGIONAMENTO FORMALMENTE CONCLUSIVO, QUALORA LA LORO DIFESA NON ABBIA LUOGO ATTRAVERSO SCHEMI ARGOMENTATIVI APPROPRIATI APPLICATI IN MODO CORRETTO. a. Argomentazione sillogistica Il tipo di argomentazione sillogistico richiede, per funzionare, che gli interlocutori ne condividano le premesse (maggiore e minore) e attribuiscano il medesimo significato ai termini (in particolare al medio). Il mancato rispetto delle regole del sillogismo rende solo apparente l’argomentazione sillogistica. È possibile, nell’ambito delle inferenze deduttive, commettere le seguenti fallacie, connesse a violazioni sistematiche delle regole di validità del sillogismo (le illustreremo analiticamente nella parte sulla Logica): fallacia della quaternio terminorum (o dei quattro termini): trattamento illecito dei termini, che si ha quando intenzionalmente o involontariamente, utilizziamo un termine senza accorgerci che viene inteso in due o più sensi diversi); fallacia del medio incluso: si ha quando il termine medio, che si trova solo nelle premesse del sillogismo e ci serve per collegarle, viene incluso nella conclusione); fallacia del medio non distribuito: si ha quando il termine che utilizziamo per connettere le premesse non è mai preso, nemmeno una volta, in tutta la sua estensione (ossia: l’insieme che è denotato da quel termine non è completo); fallacia del latius hos: si ha quando l’estensione dei termini che si trovano nella conclusione è più ampia rispetto a quella degli stessi termini nelle premesse (il che si verifica se è distribuito nella conclusione ma non nelle premesse); fallacia delle premesse negative: si ha quando concludiamo avendo due premesse negative; fallacia delle premesse particolari: si ha quando concludiamo da due premesse particolari; fallacia delle premesse affermative: si ha quando traiamo una conclusione negativa da due premesse affermative; fallacia del peggiorativo: si ha quando non consideriamo il fatto che la conclusione è negativa se c’è una premessa negativa). b. Argomentazione induttiva A volte la disputa sorge perché gli interlocutori non accettano le stesse generalizzazioni o leggi generali del tipo “Tutti gli studenti sono pigri”. Utilizziamo lo schema induttivo solo se siamo d’accordo con l’interlocutore nel considerare il ricorso all’esperienza come ambito autorevole di confronto di eventuali generalizzazioni divergenti. Le seguenti fallacie determinano la scorrettezza delle argomentazioni induttive (cf. Boniolo e Vidali 1999:689): possiamo commettere una fallacia di generalizzazione indebita quando, in un processo induttivo, generalizziamo a partire da un solo caso (secundum quid) o quando il numero degli elementi considerati è troppo esiguo per giustificare la conclusione (enumeratio imperfecta); è anche possibile che gli esempi scelti per la nostra generalizzazione siano non solo pochi, ma addirittura non rappresentativi, in quanto considerevolmente diversi dall’insieme a cui si vorrebbe estendere la generalizzazione (esempio non rappresentativo); o che la conclusione adeguata di una discussione induttiva venga negata malgrado l’evidenza del contrario (controevidenza) ovvero, che non si prenda in considerazione un’evidenza che comprometterebbe l’inferenza induttiva (fallacia di esclusione). c. Argomentazione analogica Affine allo schema induttivo è quello analogico, che anzi lo rende possibile, infatti non potremmo generalizzare a partire da alcuni casi se non riconoscessimo le loro analogie. Tuttavia è possibile che si instauri una falsa analogia, se, per esempio, si argomenta che poiché A ha la qualità P, allora anche B deve avere la qualità P, ma capita che A e B siano manifestamente differenti, benché, forse, possiedano entrambi la qualità P. d. Ricorso a generalizzazioni statistiche Una generalizzazione statistica si trova di fronte al medesimo problema dell’induzione. La conclusione di una generalizzazione viene presentata sempre come vera, in riferimento alla totalità degli individui osservati, essendo però evidente che non sarà mai vera per tutti gli individui, ma solo per una percentuale, maggiore o minore. Il calcolo delle probabilità sarebbe lo strumento di controllo adeguato a una generalizzazione di questo tipo (il “quantificatore” dovrebbe essere non tutti o qualche, bensì il 92% o lo 0,23%). Quali scorrettezze rischiamo di commettere, argomentando in base a statistiche e generalizzazioni? È possibile commettere la fallacia di accidente, quando una regola generale viene applicata là dove occorrerebbe invece considerare l’eccezione, oppure di accidente converso, quando si applica un ragionamento basato sull’eccezione dove invece occorrerebbe applicare la regola. È possibile commettere anche errori di valutazione o selezione del campione statistico, errori nella formulazione delle domande, errori di calcolo. È possibile che le informazioni necessarie per una adeguata valutazione dei dati non ci vengano fornite o che i risultati vengano manipolati. e. Argomentazione causale Si ricorre a questo schema argomentativo quando si vuole risalire dagli effetti alle cause o discendere dalle cause agli effetti. Il problema principale è che gli elementi che influiscono su un evento sono sempre numerosi, quindi spesso l’argomentazione causale può essere fonte di divergenze su quale sia l’elemento determinante. In ogni caso si tratta di un metodo utile per selezionare gli elementi causalmente efficaci da quelli inefficaci, nonché per circoscriverli. I metodi induttivi di John Stuart Mill servono per mettere alla prova le ipotesi causali. Se i nessi causali sono scorretti si hanno le seguenti fallacie: post hoc ergo propter hoc –supporre un evento sia un effetto di un altro solo perché è temporalmente successivo (un caso particolare è quello in cui un evento sembra essere causa di un altro mentre entrambi sono effetti di una causa comune); irrilevanza causale – individuare come causa un evento che può essere concausa ma è concausa irrilevante; direzione sbagliata – invertire la relazione tra causa ed effetto (l’effetto è preso per la causa); causa complessa – considerare un evento che è effetto di un numero di eventi maggiore di quelli che sono stati individuati (a volte si instaura una relazione circolare, per cui l’effetto è esso stesso parte della causa); non causa pro causa – la causa è semplicemente errata o (almeno) dubbia. f. Ipotesi o schema esplicativo È possibile argomentare utilizzando una spiegazione degli eventi, consistente nella sostituzione di un elemento con altri elementi (vedi anche la definizione). Vi sono molteplici modelli possibili di spiegazione, ma, se l’ipotesi formulata deve essere accettabile all’interno delle nostre regole argomentative, occorre evitare le seguenti fallacie: assenza di explanandum – la spiegazione è un argomento fallace se ciò che deve essere spiegato non è effettivamente o completamente dato; explanans minato – ciò che deve essere spiegato è dato, ma è stato preventivamente manipolato, o non permette una buona generalizzazione; explanans non controllabile – ciò con cui si spiega un fenomeno non può essere controllato; explanans ad hoc – l’ipotesi non spiega altro che il fenomeno stesso. In senso più generale, occorrerà evitare di sviluppare la spiegazione secondo il procedimento paranoico-ideologico (tipico dell’inquisizione), che è un’imitazione dell’ipotesi e del metodo scientifico. g. Schema di ricorso all’autorità Il ricorso all’autorità e all’esperto, se ha luogo in modo ponderato, è un tipo di argomentazione imprescindibile, in alcuni contesti particolarmente tecnici o specialistici. Nel contesto delle regole dialogiche esistono due fallacie tipiche, le quali rendono inutilizzabile un tale ricorso all’interno di un dialogo argomentativo: ad verecundiam – l’autorità citata non è qualificata (il testimonial pubblicitario), oppure gli esperti sono in disaccordo, o la fonte, pur essendo un esperto, non ha parlato in tale veste e il suo campo di specializzazione non ha alcuna relazione con l’oggetto in questione; autorità sconosciuta – non si cita la fonte delle informazione. C) La confutazione All’argomentazione, sviluppata secondo gli schemi argomentativi presentati, può seguire una controargomentazione, mirante alla confutazione dell’avversario, la quale può poggiare anch’essa sugli stessi schemi argomentativi e articolarsi come segue: a) si attacca argomentando che il problema è mal posto; b) che i termini impiegati nell’argomentazione sono stati usati impropriamente o in modo ambiguo; c) che il problema o la tesi che ne indica la soluzione sono irrilevanti; d) che una delle altre tesi è migliore; e) che la tesi è mal posta. Oppure si fa vedere che: a. b. l’avversario è incorso in una o più fallacie, cioè errori nell’applicazione degli schemi argomentativi; l’argomento è irrilevante. Argomentazione IV. Conclusione Se non abbiamo impedito all’avversario di esporre la sua tesi, se abbiamo chiarito i termini del problema e rispettato le regole concernenti l’uso degli argomenti e gli schemi argomentativi, se, eventualmente, siamo riusciti a confutare la posizione del nostro interlocutore, possiamo allora concludere. X – REGOLA DELLA CONCLUSIONE NON È CONSENTITO CONTINUARE A SOSTENERE UNA TESI CHE NON SIA STATA DIFESA IN MODO CONCLUSIVO O CONTINUARE A DUBITARE DI UNA TESI CHE SIA STATA DIFESA IN MODO CONCLUSIVO. Siamo perciò di fronte a due regole complementari: 1. Se un punto di vista non è stato difeso in modo conclusivo, allora chi lo propone deve ritirarlo; 2. Se un punto di vista è stato difeso in modo conclusivo, allora chi vi si oppone non deve più metterlo in dubbio. Il problema è che non si sa esattamente quando e se un’argomentazione è davvero conclusiva, talvolta una tesi prevale storicamente, anche se inizialmente è perdente (vedi il caso di Galilei), oppure prevale dal punto di vista pragmatico (sarà falsa, ma è più utile, forse anche più semplice). Si possono però tenere in considerazione alcuni casi nei quali un dibattito viene assegnato a una delle parti (Boniolo & Vidali 1999: 691): 1. quando questa arriva a una conclusione che si basa su una premessa accettata dalla parte antagonista o prova la propria tesi a partire dalle posizioni dell’antagonista; 2. oppure quando l’antagonista: a. contraddice la sua tesi principale o afferma una tesi contraddittoria rispetto alla sua tesi principale o è condotto a contraddire una tesi precedentemente ammessa o presupposta o derivata da qualcuna delle sue affermazioni e non riesce a togliere la contraddizione; b. non offre a favore della propria tesi ragioni ammesse o, avendo l’onere della prova, lo fa slittare sull’avversario; c. non offre risposte ai problemi che egli stesso riconosce come rilevanti; d. nega alcune premesse generalmente riconosciute nell’ambito dell’argomento trattato (e non è in grado di addurre prove o ragioni per questa negazione); e. nega una delle premesse da lui stesso ammesse (talvolta per non entrare in contraddizione).