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Autenticità culturale dell`architettura

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Autenticità culturale dell`architettura
Arte del costruire
Claudio Renato Fantone
hassan fathy
Autenticità culturale
dell’architettura
Con i suoi progetti e i numerosi scritti, l’architetto egiziano
Hassan Fathy (1900-1989) ha voluto affermare l’ideale di un’architettura autoctona, relativamente economica, in grado di adattarsi meglio alle necessità della gente. Attraverso l’impiego di
materiali “poveri” e tecnologie costruttive tradizionali, Fathy è
riuscito a formulare un lessico semplice, costituito da pochi elementi morfologici propri dell’architettura vernacolare, con cui
ha realizzato composizioni ricche di un’armonia quasi musicale
S
ono probabilmente le sue mirabili gouaches lo strumento più
immediato per avvicinarsi alla
poetica architettonica di Hassan
Fathy. Negli acquerelli è difatti rappresentato, attraverso una tecnica pittorica basata sulla prospettiva schiacciata – chiaramente ispirata alle pitture murali dell’antico Egitto –, un
ideale mondo rurale in cui l’uomo e le
sue costruzioni sono in perfetta armonia con l’ambiente naturale circostante. Le visioni multiple e talvolta
sovrapposte di alberi, animali, figure
umane e edifici non costituiscono
semplici rappresentazioni di un progetto, sebbene integrato con la natura – come avviene, ad esempio, in
molti acquerelli delle opere di F. L.
Wright –, ma possiedono la forza del
mito e quindi raccontano, definendo
un rapporto ‘storico’ con il paesaggio
e conferendo un valore senza tempo
alle architetture di Fathy.
Le volte, le cupole, le logge, con le
loro ombreggiature, sono gli archetipi
architettonici che caratterizzano le
opere del Maestro egiziano.
Sono forme esterne capaci di esprimere l’importanza dello spazio interiore; sono elementi di un sapere costruttivo derivato dalle esigenze di
realizzare riparo e comfort da un clima
caldo arido e di utilizzare materiali
propri di un territorio in gran parte
scarso di legname.
Fathy, al contrario di altri maestri dell’architettura moderna, intende stabilire un legame con il passato. Attraverso un linguaggio vernacolare e funzionale, basato sull’impiego di una serie di elementi e tecniche edilizie proprie dell’architettura tradizionale, egli
indaga a lungo nei suoi studi sugli edifici della vecchia città de Il Cairo e
della Nubia(1). La ricerca di una archi-
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Costruzione della cupola e della volta con la tecnica
nubiana (fonte: archivio Agha Khan Trust for Culture).
AR TE DEL COS TRUIRE
Gouache di Casa Abdal-Razik realizzata da
Fathy (fonte: J.Steel,
1997).
Facciata della moschea
di New Gourna (1946)
(fonte: Archivio AKTC).
tettura autoctona, radicata e in armonia con il luogo, deriva soprattutto
dalla convinzione che essa, al contrario dell’Internazionalismo omogeneizzante e decontestualizzato, sia l’unica
in grado di rispondere nel modo più
efficace, sotto l’aspetto costruttivo,
economico e di prestazione funzionale
alle necessità fisiche, fisiologiche, psicologiche e culturali degli esseri
umani. Architettura, dunque, come
espressione dei costumi e delle tradizioni della comunità. “A tutti i costi –
spiega il Maestro egiziano – ho sempre voluto evitare l’atteggiamento
troppo spesso adottato da architetti e
urbanisti di professione: quello di non
tenere in conto le esigenze della comunità, convinti che tutti i suoi problemi possano essere risolti importando un intellettualistico approccio
urbanistico alle problematiche del costruire. Se possibile, voglio coprire la
distanza che separa l’architettura popolare da quella degli architetti. Ho
sempre voluto stabilire un solido e visibile legame tra queste due architetture, nella definizione delle forme, comune ad entrambe, in cui la gente poteva trovare un punto di riferimento fa-
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CIL 82
miliare da cui ampliare la loro comprensione del nuovo, e con cui l’architetto poteva provare la validità del suo
lavoro in relazione alla gente e al
luogo”(2).
L’apparente semplicità delle sue composizioni si basa sull’impiego di un
vocabolario ristretto di elementi
morfologici e strutturali – archi parabolici che aprono le murature portanti,
ambienti quadrati coperti a cupola,
vani rettangolari o spazi poco profondi
coperti con volte, corti, logge, torri del
vento – che vengono però articolati
con sapiente raffinatezza e attenzione
all’aspetto distributivo e alla qualità
visiva e microclimatica degli spazi interni. Ne deriva un senso di unità armonica, in cui le varie parti si fondono,
raggiunta, soprattutto nei progetti più
maturi, anche attraverso il ricorso ad
un sistema proporzionale, ispirato da
alcuni studi sugli antichi edifici egizi,
che riconduce il dimensionamento degli spazi alla scala umana(3).
Fathy modula gli ambienti, in pianta e
in alzato, come in un’armonia musicale, sulla base di precisi rapporti matematici (pi greco e sezione aurea),
reintroducendo un astrattismo surreale che riconduce la geometria dell’architettura alle dimensioni ideali del
corpo umano.
Egli è anche fermamente convinto che
gli edifici acquisiscano una sorta di
spiritualità quanto più l’uomo risulta
presente nel loro processo di costruzione. Attraverso la manipolazione diretta della materia – argilla, pietra,
marmo e legno – “l’uomo scopre e
comprende le sue proprietà, e le tecniche danno espressione alle sue aspirazioni verso il divino”(4).
Il manufatto acquisirà allora parte di
quell’energia-conoscenza che l’uomo
ha ricevuto dall’Universo attraverso i
suoi elementi: cielo, sole, luna, vento.
Sia per il valore aggiunto, attribuito al
lavoro manuale, sia per ragioni economiche e ideologiche – il problema
delle residenze dei contadini non poteva essere risolto, a giudizio di Fathy,
con le costose tecnologie costruttive
proposte dall’Occidente basate su calcestruzzo, acciaio e vetro –, l’architetto egiziano ricorre alle tecniche tradizionali che escludono o riducono al
minimo l’intervento di macchinari.
Spessi muri di mattoni di terra cruda e
paglia essiccati al sole, di pietre locali
o di mattoni cotti, cupole e volte costruite con la tecnica nubiana costituiscono il sistema costruttivo, relativamente economico, in grado di assicurare ottimali condizioni di comfort interno senza l’impiego di energia aggiuntiva. Il ricorso alla tecnica nubiana deriva dalla necessità di coprire
gli ambienti, di luci non eccessive
(3-5 metri), senza l’impiego di centine
e con manodopera locale. La resistenza della struttura è assicurata innanzitutto dalla sua forma parabolica,
che sottopone il materiale solo a compressione, e dalla giacitura dei corsi
(archi) di mattoni, ‘appoggiati’ l’uno
sull’altro lungo un piano inclinato,
grazie alla quale il carico è trasferito
sulla spessa parete di chiusura dell’ambiente. Per ridurre il peso e per
una migliore maneggevolezza in fase
costruttiva, la composizione dei mattoni usati per la volta presenta una più
alta proporzione paglia / fango che li
rende molto più leggeri di quelli impiegati per le pareti. Tali coperture,
composte di filari con giunti sfalsati, si
comportano essenzialmente come
delle murature.
Gli aspetti sociale, morfologico, costruttivo e funzionale sono fortemente
correlati nell’architettura islamica e,
pertanto, i singoli elementi di cui lo
stesso Fathy si serve, per ‘comporre’ le
sue opere, svolgono al medesimo
tempo una molteplicità di ruoli.
L’architetto egiziano contesta l’introduzione dall’Occidente di modelli tecnologici e funzionali che snaturino i
costumi abitativi arabi e l’essenza
stessa dell’architettura domestica ricordando il valore culturale intrinseco
di taluni elementi architettonici da tu-
Moschea di New Gourna. Particolare della cupola (fonte: Archivio AKTC).
Gouache delle case del villaggio di New Gourna realizzata da Fathy (fonte: J.Steele, 1997).
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AR TE DEL COS TRUIRE
Assonometria
dell’edificio scolastico
di Faris (fonte: Archivio
AKTC, elaborazione
grafica dell’autore).
Scuola di Faris. Vista
della facciata esterna
(fonte: Archivio AKTC).
telare. “Può sembrare – spiega – che,
dal punto di vista funzionale, il condizionamento meccanico dell’aria sia
stato reso possibile dalla tecnologia
moderna; ma dobbiamo riconoscere
che tali tecnologie hanno anche un
ruolo culturale. Infatti, questo ruolo
può essere ancora più importante
della funzione che esse svolgono, considerando il posto speciale occupato
dalle arti decorative in molte culture.
Perciò quando l’architetto moderno
sostituisce questi elementi decorativi
con apparecchiature di condizionamento dell’aria, egli crea un grande
vuoto nella sua cultura”(5).
Conformemente ai canoni della tradizione araba, secondo cui si deve proteggere l’intimità della famiglia e so-
prattutto della componente femminile
prevedendo una doppia circolazione,
nelle residenze Fathy è attento a separare la zona privata da quella riservata
agli ospiti.
Il fulcro spaziale delle sue case è il
qa’a, l’ambiente centrale a doppia altezza coperto a cupola, dove si può ricevere gli ospiti, pranzare, studiare,
oziare. L’importanza del qa’a è segnalata esternamente contrapponendosi
spesso, con la sua mole, alla prevalente orizzontalità della restante copertura le cui terrazze, come usuale
nelle regioni caldo secche, sono concepite da Fathy come aree per il riposo
notturno estivo. Il qa’a è composto da
una parte centrale (durqa’a), che assicura luce e ventilazione, e da due al-
cove rialzate (iwans).
Fondamentale è il ruolo microclimatico svolto da questo ambiente. Grazie
alla doppia altezza e alla posizione
centrale, protetta dal riscaldamento
solare diretto dagli ambienti attorno,
avviene una differenza di temperatura
fra la zona inferiore e quella superiore. Infatti, a causa dell’esposizione
alla radiazione solare della parte elevata della muratura, l’aria interna
viene riscaldata generando quindi un
flusso convettivo ascendente che fuoriesce attraverso aperture protette da
grigliati richiamando aria fresca nella
zona bassa del durqa’a. Il meccanismo (effetto camino) è completato
dalla presenza del malqaf o presa di
vento, spesso affiancato al qa’a. Que-
Fabbrica di ceramiche (1950). Veduta interna della
cupola e di un laboratorio (fonte: Archivio AKTC).
Casa Hamdi Seif al Nasr (1942). Sezione (fonte:
J.Steel,1997, elaborazione grafica dell’autore).
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CIL 82
sto è un condotto emergente sulla copertura, orientato verso le brezze prevalenti, che cattura grazie alla sua altezza – filtrando in buona parte polveri
e sabbia presenti maggiormente al livello del terreno – e incanala in basso
negli ambienti dell’edificio. Il malqaf
costituisce uno dei sistemi di raffrescamento naturale più antichi del medio oriente e si basa sulle differenze di
pressione causate dal vento.
Fathy, al fine di aumentare l’umidità
dell’aria entrante negli ambienti e realizzare un migliore raffrescamento
evaporativo, dispone all’interno del
malqaf una serie di diaframmi inclinati, formati da due reti metalliche
contenenti carbone umido. Essi, grazie
all’effetto Venturi, incrementano la velocità del flusso d’aria abbassando
conseguentemente la pressione al di
sotto degli schermi rispetto a quella
d’ingresso nel malqaf.
Altrove, come nella Casa Hamdi Seif al
Nasr (1942), l’umidificazione dell’aria
è ottenuta dirigendo la corrente d’aria
attraverso il consueto sistema di diaframmi completato da una pignatta di
terracotta piena d’acqua sospesa all’interno del malqaf, che stilla l’acqua
stessa sopra una lastra di pietra inclinata raffreddante (salsabil).
Il sistema è stato impiegato dall’architetto egiziano anche in altre tipologie
di edifici, come ad esempio nel mercato del villaggio di New Baris (1967),
una comunità agricola nell’oasi di
Kharga. Grazie ad un opportuno orien-
Villaggio di New Baris
(1967). Scorcio della
facciata del mercato e
delle prese di vento
(fonte: Archivio AKTC).
Mercato del villaggio di
New Baris. Sezione
(fonte: Hassan Fathy,
1986, elaborazione
grafica dell’autore).
Pianta di una stradina
del villaggio di New
Baris (1967). Ogni casa
ha la sua corte
(campita in celeste;
fonte: J.Steele, 1997,
elaborazione grafica
dell’autore).
Pianta parziale e
sezione di riferimento
del villaggio di New
Baris (fonte: Hassan
Fathy, 1986,
elaborazione grafica
dell’autore).
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AR TE DEL COS TRUIRE
Casa Fouad Riyad (1967). Pianta e sezioni
(fonte: Hassan Fathy, 1986, elaborazioni grafiche dell’autore).
tamento ai venti dominanti, alla
conformazione del complesso con
zone ombreggiate e alla disposizione
di una serie di prese di vento, Fathy
riesce a climatizzare naturalmente
(con riduzioni di temperatura di circa
15°C, senza l’impiego di costosi dispositivi di aria condizionata) i depositi
delle merci deperibili sistemate al
piano interrato.
Similmente, nella scuola prototipo di
Fares (1957) ciascuna aula è composta
di una zona a pianta quadrata coperta
a cupola per l’insegnamento e una
zona rettangolare coperta a volta dotata di presa di vento per la ventilazione. Questo ambiente, secondo il
progetto originario, doveva contenere
una piccola fontana per il raffrescamento dell’aria entrante. La specificità
funzionale determina, dal punto di vista compositivo, un ritmo serrato formato dall’alternanza di volta e cupola
che si contrappone alle cupole maggiori che, su un piano retrostante, coprono gli ambienti amministrativi e di
riunione dell’edificio scolastico.
Altro spazio basilare dell’architettura
tradizionale islamica, valorizzato nei
progetti di Fathy, è la corte (sahn) –
spesso arricchita da una fontana centrale – che ha un ruolo importante
sotto l’aspetto funzionale, come elemento termoregolatore e simbolico(6).
Essa, difatti, protegge gli ambienti dal
caldo e dall’abbagliamento, filtra le
polveri dell’aria, serve a migliorare la
ventilazione naturale, costituisce il
fuoco visivo e talvolta l’elemento ordinante della circolazione all’interno
dell’edificio.
Le corti, a seguito della forte escursione termica giornaliera, propria dei
Paesi con clima caldo secco, cedendo
di notte verso la volta celeste il calore
accumulato di giorno, diventano pozze
d’aria fresca che si deposita a strati al
piano terra e penetra negli ambienti
adiacenti raffreddando le pareti, i pavimenti, le coperture.
Fathy sfrutta questi meccanismi attraverso abili articolazioni volumetriche
che lasciano le corti all’ombra per
gran parte della giornata in modo tale
che, grazie anche all’inerzia termica
delle massive strutture murarie impieCasa Murad Greiss (1984).
Sezioni (fonte: Archivio AKTC,
elaborazione grafica dell’autore).
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CIL 82
gate, di giorno le temperature di queste e delle stanze circostanti si alzino
lentamente, conservando parte del
fresco accumulato durante la notte.
I moti convettivi sono alla base del
funzionamento bioclimatico di questi
spazi, la cui funzione raffrescante
viene favorita dall’architetto egiziano
ricorrendo ad un altro elemento recuperato dall’architettura vernacolare, il
takhtabush, una sorta di loggia, un
soggiorno esterno coperto, disposto
fra una corte e un giardino retrostante. Il takhtabush si affaccia sulla
corte e comunica con il giardino tramite un grigliato in legno (mashrabiya). Grazie alla differenza di dimensioni e di temperature dei due diversi
luoghi – il più delle volte il giardino è
più grande della corte e quindi meno
ombreggiato – l’aria si riscalda più velocemente nel giardino e, conseguentemente, si genera un flusso d’aria costante tra i due spazi particolarmente
gradito da chi soggiorna nel takhtabush. Lo stesso principio è stato
sfruttato da Fathy a scala urbana nel
villaggio di New Baris disponendo il
takhtabush fra due piazze di grandezza differente.
Osservando le piante e le sezioni degli
edifici progettati dal Maestro egiziano, si può constatare come, pur
adottando moduli geometrici regolari,
Fathy riesca a realizzare una dinamica
percettiva continuamente variata, generata da cambiamenti in sezione e
improvvise visuali che si aprono fra le
massive murature portanti; si rivelano
in sequenza zone variamente rischiarate dalla luce indiretta della corte o
da quella morbida filtrata da pareti
traforate o da piccole aperture e grigliati inseriti nelle coperture.
Analoga sensibilità e attenzione progettuale alla qualità del percorso
Fathy mostra in una scala maggiore
nella pianificazione dei villaggi di New
Gourna (1945-47) e di New Baris. Gli
agglomerati sono difatti composti secondo una gerarchia controllata di
sperimentazione di spazi aperti che
offre agli abitanti una molteplicità di
sensazioni percettive. L’architetto egiziano spiega che “quando si progetta
una città si deve considerare l’uomo
per cui si sta progettando”(7) e immaginarlo quando lascia l’intimità della
Casa Akil Sami (1978). Scorcio della pergola
(fonte: Archivio AKTC).
Casa Stopplaere (1950).
Pianta del progetto
preliminare (fonte: J.Steele,
1997, elaborazione grafica
dell’autore). La zona
privata e quella pubblica
sono separate e collegate
con una galleria illuminata
da lucernai e una loggia fra
le due corti. Il percorso
risulta caratterizzato da
variazioni luminose e
visive.
sua casa per passare alla strada laterale, quando attraversa quella principale e raggiunge infine la piazza centrale del nucleo urbano secondo una
gradazione di scale spaziali simile ad
un crescendo musicale che s’inverte –
in un decrescendo – nel suo ritorno
verso casa.(8)
Fathy concepisce “l’unità nella varietà
e non nell’uniformità … In Natura, non
ci sono due uomini uguali. Anche se
essi sono gemelli e fisicamente identici, essi differiscono nei loro sogni.
L’architettura della casa sorge dal sogno; questo spiega perché nei villaggi
costruiti dai loro abitanti noi non troviamo due case identiche”.(9)
Nell’attuale periodo di forte globalizzazione, che impone modelli di vita e
tecnologie estranee alle tradizioni dei
luoghi, riuscendo purtroppo a snaturare persino le antiche abitudini sociali, appare quanto più efficace il
messaggio lanciato da Fathy di salvaguardare invece le diversità culturali.
Le ragioni etiche si accompagnano a
quelle economiche e ambientali, giacché molti materiali e manufatti importati dall’Occidente, oltre che costosi in
termini energetici, si rivelano spesso
dannosi per le economie dei Paesi in
via di Sviluppo.
In conclusione, le architetture e le parole del Maestro egiziano inducono a
riflettere sulla natura dell’uomo e rappresentano, per certi versi, un monito
contro la convinzione diffusa che la
semplicità sia sinonimo di povertà.
Con Fathy si riscoprono i valori originari del costruire e dell’abitare, la potenzialità plastica delle coperture e la
multifunzionalità delle aperture – illu-
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minare schermando, offrire visuali,
ventilare –; si comprende allora che
l’unità non è data dalla somma delle
parti ma dalla loro interazione e, ammirando la pacata atmosfera che pervade gli spazi da lui creati, che la complessità è nella semplicità. ¶
Si ringrazia la Fondazione Aga Khan Trust
for Culture per le immagini gentilmente
fornite.
Note
1. “Il risultato dell’interazione uomo/ambiente costituisce la cultura e ha condotto
ad una molteplicità di culture generate da
diversi popoli in differenti ambienti. L’architettura vernacolare è una delle più concrete manifestazioni di questa interazione”, da Hassan Fathy, Natural Energy
and Vernacular Architecture, The University
of Chicago Press. 1986.
2. Brano tratto da Hassan Fathy, op. cit.
3. Si tratta delle tesi dell’archeologo
R.A.Schivaller de Lubicz sulle relazioni esistenti fra la forma planimetrica degli edifici
dei faraoni e le proporzioni umane.
4. Hassan Fathy, op. cit.
5. Id.
6. Spiega Fathy che “…i quattro angoli
della corte rappresenterebbero le quattro
colonne che sostengono la cupola del
cielo, il solo benevolo elemento della natura che l’arabo osserva. Sappiamo anche,
secondo l’aerodinamica, che il vento che
soffia sopra la casa non entrerà nella corte,
ma passerà sopra e creerà risucchi all’interno. Perciò il cortile conserverà l’aria fresca che vi si è depositata, e l’aria si diffonderà nelle camere e sulle pareti raffreddando la casa. Ciò rappresenta il dono di
Dio che viene dal cielo e spiega perché in
Islam la Divinità risiede nel cielo. Perciò la
casa a corte non nasce solamente da qualcosa di spirituale, ma aggiunge lo spirituale al funzionale”. Brano tratto da AA.VV,
Hassan Fathy, ed. Mimar Book, 1985.
7. James Steel, An architecture for people.
The complete work of Hassan Fathy, The
American University in Cairo Press, 1977.
8. Id.
9. AA.VV, Hassan Fathy, op. cit.
AR TE DEL COS TRUIRE
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