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CRIMINALITA` BARI COSIMO FORTUNATO, IL FINTO MALATO
CRIMINALITA’ BARI 5 giugno COSIMO FORTUNATO, IL FINTO MALATO Cosimo Fortunato, 50 anni, luogotenente del clan Parisi. Con gli altri detenuti, nel reparto del Policlinico riservato ai pazienti sottoposti a misure cautelari, arriva persona a vantarsi. Per lui era un merito fingere davanti ai medici di essere ammalato, simulando crisi epilettiche. Le immagini delle telecamere, installate dagli uomini del Gico della guardia di finanza nel reparto del Policlinico, sono in equivocabili. Cosimo Fortunato mentiva e simulava gli attacchi che, per un periodo, lo avevano portato fuori dal carcere. Ora il luogotenente del clan Parisi, una sfilza di accuse sulle spalle, l’ultima estorsione, sfociata in un arresto nel novembre del 2012, resterà in carcere per molto tempo. Il giudice ha respinto l’istanza presentata dalla difesa dell’uomo che, per motivi di salute, aveva chiesto la revoca o un’attenuazione della misura cautelare. Il pm aveva espresso per la seconda volta parere negativo e lo aveva fatto depositando l’informativa del Gico della guardia di finanza. A marzo, però, al giudice arriva una comunicazione del Policlinico. Il pregiudicato può lasciare il reparto per essere trasferito nel centro medico dello stesso Policlinico riservato ai detenuti. E nella nota, l’azienda sanitaria ribadisce come Fortunato sia stato sottoposto ad accertamenti e come <<le crisi epilettiche sono attualmente ben controllate dalla terapia assunta>>. Ma sulla scrivania del giudice viene depositata anche un’altra nota, questa volta del dirigente sanitario del carcere che fa notare come il pregiudicato avesse rifiutato il ricovero nel Centro clinico dell’istituto penitenziario. Il giudice allora dispone una perizia collegiale e i consulenti, nella relazione del 19 aprile, spiegando che le condizioni di salute di Fortunato sono incompatibili con la detenzione in carcere, evidenziando come la principale patologia fosse costituita da crisi epilettiche. Crisi che di fatto fingeva di avere. Nell’informativa, i militari spiegano come <<il Fortunato abbia dissimulato le crisi epilettiche nonché le conseguenze delle stesse (ecchimosi ed escoriazioni al volto e al corpo)>>. Alla fine anche i medici legali, autori della perizia, prendono atto di come <<la maggiore patologia riscontrata, le crisi epilettiche, fosse stata simulata>>. Simulazione che, conclude il giudice, ha tratto in inganno anche i medici dell’ospedale. E le immagini lo provano: prima della visita Fortunato si prepara, procurandosi le piccole ferite che a suo dire erano frutto delle crisi. 6 giugno FAIDA FRA DUE FAMIGLIE Il contesto è quello di una faida familiare senza esclusione di colpi. Combattuta in grande stile e con uno spiegamento di forze non indifferente. E che può contare su basi logistiche in altri quartieri, lontano da San Paquale-Carassi-Picone. Il controllo delle attività illecite, dunque resterebbe solo sullo sfondo. Poggerebbe quindi su rancori personali e vicende private la leva principale che avrebbe azionato lo spietato scambio di regolamenti di conti partito almeno il 15 aprile scorso con l’omicidio di Giacomo Caracciolese avvenuto nel quartiere San Pasquale (ma preceduto forse da altri episodi minori) e culminato domenica 19 maggio con la strage in cui sono stati uccisi Vitantonio Fiore, forse il vero obiettivo dei killer, Antonio Romito e Claudio Fanelli. Sarebbe Blog: osserbari.wordpress.com e-mail: [email protected] Cell. : 3392922301 - 3476839372 questo lo scenario ricostruito sino a questo momento dagli investigatori che stanno facendo luce sugli ultimi fatti di sangue. Un lavoro intenso, senza sosta, quello degli agenti della Squadra mobile di Bari. Alle perquisizioni, a cui abbiamo fatto cenno nei nostri appunti del 5 giugno, se ne sarebbero aggiunte anche delle altre. Attività di indagine mirate perché gli inquirenti avrebbero un quadro già ben preciso dei due fatti di sangue, strettamente collegati tra loro come dimostra l’identità delle prime tre persone iscritte nel registro degli indagati dal Pm antimafia Ciro Angelillis e dal procuratore aggiunto Pasquale Drago, coordinatore della Dda barese. Nel fascicolo sono iscritti Antonio Moretti, di 31 anni, ritenuto molto vicino a Giacomo Caracciolese, ferito anni fa con un colpo di arma da fuoco, Nicola Fumai, di 24 anni, anche lui del quartiere San Pasquale, e Vito Milloni, di 22 anni, parente della vedova Caracciolese. Al momento non è chiaro qual è il ruolo che, secondo gli inquirenti, i tre avrebbero avuto in relazione alla strage di via Piemonte, al San Paolo. L’iscrizione sarebbe legata ad attività tecniche per le quali il Codice impone il provvedimento e che richiedono la presenza di un difensore. Il Pm aveva delegato gli agenti a perquisire in particolare due abitazioni con l’obiettivo di ricercare capi di abbigliamento, giubbotti soprattutto o almeno potenziali corpi di reato che era necessario acquisire per identificare gli autori del triplice omicidio e ricostruire la dinamica sia nella fase preparatoria, sembra piuttosto elaborata, sia in quella dell’esecuzione. Le prove sarebbero state cercate anche in carcere dove è detenuta una quarta persona che, al contrario, non risulta iscritta nel registro degli indagati. L’obiettivo, a quanto pare, è cercare tracce biologiche, impronte, forse sangue da analizzare e confrontare con quanto è stato repertato sul luogo del delitto. Il fascicolo è stato aperto per omicidio plurimo volontario aggravato, tra l’altro, dalla premeditazione e dall’avere agito con metodo mafioso e per detenzione di armi da fuoco. Intanto, il livello di attenzione in città e la tensione sono molto alte. Sarebbero state segnalate auto-vedetta che si spostano da un quartiere all’altro. E c’è chi gira regolarmente armato e con indosso un giubbotto antiproiettili. 7 giugno SPARATORIA A SAN PASQUALE Un bossolo in via dei Mille e uno in via Amendola. A poche centinaia di metri di distanza. Sono questi gli unici elementi in mano alla polizia che sta cercando di ricostruire quanto accaduto nella notte tra il 6 e il 7 giugno a Bari. I due bossoli, ritrovati entrambi al quartiere San Pasquale, sarebbero la prova di una sparatoria notturna. A dare l’allarme sono stati i dipendenti dell’Università: hanno trovato un foro nella tapparella al secondo piano dell’istituto di Biologia, al campus, dal lato di via Amendola. Così hanno chiamato il 113. Gli agenti delle volanti e gli esperti della polizia scientifica hanno passato al setaccio l’area e hanno trovato effettivamente un frammento di bossolo: il proiettile sarebbe stato esploso dall’esterno e si sarebbe conficcato nella serranda di un’aula universitaria. Non è stato però l’unico ritrovamento. Subito dopo è arrivata la seconda segnalazione. Un bossolo proprio in via dei Mille, all’altezza del civico 93, davanti ad una pasticceria del quartiere. E’ giallo su quanto successo a Bari, molto probabilmente nella notte. Nessuna telefonata è arrivata alla centrale operativa della questura per segnalare l’esplosione di colpi di arma da fuoco eppure i due bossoli erano lì. Non è chiaro se a sparare sia stata la stessa arma ma è probabile che ci sia un collegamento tra i due ritrovamenti. Negli ospedali, però, nessun ferito. Ciò che è certo è il luogo del ritrovamento: il quartiere San Pasquale. E’ qui che si stanno concentrando le indagini della polizia a caccia dei responsabili del triplice omicidio avvenuto il 19 maggio al San Paolo. L’agguato, a colpi di kalashnikov sarebbe stato, molto probabilmente, una risposta all’omicidio del boss di San Pasquale Giacomo Caracciolesei. E proprio via dei Mille è la strada in cui abitano i Caracciolese. 16 giugno GUERRA TRA CLAN Proseguono senza sosta le indagini sugli ultimi episodi di sangue, su quella che, al di là degli interessi mafiosi, sembra avere anche i contorni della faida. Si indaga sulle connessioni tra l’omicidio di Giacomo Caracciolese, consumato il 5 aprile scorso nel quartiere San Pasquale, e il triplice omicidio del San Paolo, datato 12 maggio, costato la vita a Vitantonio Fiore, Antonio Romito e Claudio Fanelli. Sulla scena dell’omicidio Caracciolese, intorno alle 9 del mattino, si sarebbe trovato proprio Vitantonio Fiore. Con lui, secondo le indiscrezioni, anche suo cognato Donato Cassano. Quest’ultimo, secondo un’ipotesi, sarebbe evaso dagli arresti domiciliari a Pescara per fare segretamente rientro a Bari. A svelarne la presenza nel capoluogo pugliese, l’incidente avvenuto sulla tangenziale, a bordo di una Yamaha rubata, proprio la mattina del 5 aprile. Abbandonata la moto l’uomo aveva chiesto un passaggio ad un automobilista e si era fatto accompagnare al Pronto soccorso del Policlinico per poi svanire nel nulla. A rintracciarlo, dopo alcune settimane, gli investigatori che avevano svolto indagini tecniche sul casco da motociclista dimenticato, nella concitazione, nell’auto del suo soccorritore. Cassano era dunque a Bari in maniera clandestina la mattina di quel 5 aprile. Ed era presumibilmente a San Pasquale con suo cognato Vitantonio Fiore, poi eliminato a distanza di poco più di un mese. Che tra i due episodi ci sia più di una correlazione, agli inquirenti è fin troppo chiaro. Ma chi è Donato Cassano? Svariati i precedenti di polizia, l’uomo è anche l’autore della tentata rapina al distributore Tamoil di Palo del Colle del 5 giugno 2010 finita nel sangue. Era a bordo della moto guidata da Giacomo Buonoamico, rimasto ucciso dai proiettili esplosi dal gestore del distributore Enrico Balducci. I fotogrammi del raid nel distributore dei due rapinatori – ripresi dalle telecamere di sicurezza – mostrano lo stesso Cassano brandire un’arma. Buonamico, a sua volta, è stato per un periodo dipendente dell’<<Audi Zentrum>>, per la quale, in base alla normativa antimafia, è stata decisa nel marzo 2011 la gestione giudiziale. La concessionaria è infatti ritenuta un’attività nella quale, almeno tra il 2008 e il febbraio 2011, si sarebbe infiltrato il clan Parisi Stramaglia. Buonamico e Cassano, tra l’altro, la sera del tragico colpo al distributore Tamoil, avevano consumato un’altra rapina nel supermercato Eurospin, praticamente con le stesse modalità. Cassano ha confessato il colpo a distanza di anni, con una lettera alla Procura. E’ in questo solco dove criminalità organizzata e crimine spicciolo si intersecano, in questo limbo di illegalità diffusa e di enorme disponibilità di armi e soprattutto di denaro (spesso a fronte di dichiarazioni di redditi pari allo zero), che gli investigatori continuano a dragare. Spulciando anche tra i cosiddetti <<personaggi di secondo piano>>, quelli che sembrano avere scarso spessore criminale e che si riscoprono feroci e disposti a tutto. Le indagini continuano anche per chiudere il cerchio intorno a una guerra di mafia che ha ripreso ad affacciarsi sulla scena urbana. 18 giugno SPARATORIA A BITONTO Avvertimento a colpi di arma da fuoco nel tardo pomeriggio del 18 giugno in via Pertini, nella zona 167. Secondo quanto riferito da alcuni testimoni, e poi confermato dalle forze dell’ordine, due uomini a bordo di un scooterone avrebbero fatto fuoco contro un giovane che si trovava in strada, sotto i portici di uno degli stabili di edilizia popolare della zona. I colpi, almeno cinque, non hanno raggiunto il bersaglio umano, che è riuscito a scappare. L’episodio, sul quale indagano i Carabinieri della stazione di Bitonto e della compagnia di Molfetta, riaccende i riflettori sul mondo della criminalità cittadina che ha proprio in via Pertini una dei suoi principali centri dello spaccio da strada: marijuana e hashish, per lo più, destinati a un mercato fatto in parte di ragazzini che arrivano da tutta la provincia per comprare il fumo e l’erba di Bitonto. 20 giugno SPARATORIA AL CENTRO DI BARI Si torna a sparare, in pieno giorno e tra passanti e bambini che giocano per strada. Il pomeriggio, poco dopo le 18,30 del 20 giugno, due persone a bordo di una moto e col volto coperto dai caschi, hanno esploso una decina di colpi di pistola in via Principe Amedeo, ad angolo con via Ettore Fieramosca, quartiere Libertà, a pochi passi dal Tribunale civile. Obiettivo dei killer il 40enne Cosimo Soloperto, sorvegliato speciale, che proprio in mattinata era stato scarcerato, dopo aver concluso la sua detenzione nel carcere di Lecce. Evidentemente qualcuno attendeva il suo ritorno in libertà per punirlo. Il 40enne è però riuscito a salvarsi, è stato ferito al bacino e ad una gamba ma non è in pericolo di vita. L’uomo è stato trasportato al Policlinico da un’automobile, che lo ha abbandonato davanti al pronto soccorso prima di allontanarsi. La zona dell’agguato è stata immediatamente chiusa dagli uomini della Squadra mobile per poter effettuare i rilievi. Tracce di sangue sono state rinvenute su una moto parcheggiata vicino al marciapiede (nella carrozzeria c’è anche un foro), evidentemente Soloperto si era appoggiato prima dell’arrivo dei sicari. 24 giugno COLPO DI GRAZIA AGLI STRISCIUGLIO? <<Domani non fare venire nessuno…ce la prendiamo con gli operai>>. A volte esordivano così nei cantieri, mettendo in scena con il massimo clamore il solito copione, provato mille e mille volte, in stile sceneggiata napoletana davanti ad un pubblico composto da carpentieri, imbianchini, intonaschisti. Altre volte invece tentavano un approccio più morbido, chiedendo di avere un abboccamento con il padrone, per poi passare al trattamento brutale. Gli scagnozzi della <<Luna>>, accoliti della famiglia malavitosa degli Strisciuglio, nei quartieri Libertà, San Paolo, Carbonara riuscivano ad imporre la legge del ricatto alle imprese che lavorano sulla strada, le più esposte: quelle del mattone, dell’edilizia, delle ristrutturazioni. Un silenzio assordante, forte a volte stridulo come i suoni e le musiche che provenivano dal frequentatissimo ‘H25’ (ex Zenzero) in traversa via Pietro Colletta e dalla discoteca dei vip ‘Gorgeous’ in via della Costituente. I titolari dei due locali alla moda – risulta dalle indagini – sono stati costretti a mettere sul proprio libro paga buttafuori e parcheggiatori legati alla famiglia della Luna, altrimenti le loro belle feste sarebbero state funestate da episodi assai spiacevoli. Ma quel silenzio assordante, fatto di parole non dette, di richieste di aiuto mai formulate, di paura e voglia di non impelagarsi, è stato rotto la mattina del 24 giugno dalle sirene, dal latrato dei cani antidroga, dai passi pesanti degli anfibi degli agenti del Reparto di pronto intervento, dal vociare degli investigatori della squadra mobile, che hanno buttato giù dal letto e portato in galera un piccolo esercito di malavitosi o presunti tali, composto da sottocapi, consiglieri, capo decina (ovvero coloro che hanno il rapporto primario con i propri affiliati), uomini d’onore, soldati e associati al clan Strsciuglio, il cui capofamiglia Domenico Strisciuglio, detto Mimmo “la Luna”, si trova da tempo in carcere. I detective della Polizia dirigente della sezione Criminalità organizzata nella notte tra domenica e lunedì hanno dato esecuzione a 25 ordinanze di custodia cautelare in carcere e 2 agli arresti domiciliari disposte dal giudice delle indagini preliminari e su richiesta del Pm antimafia. Nel corso dell’operazione, sei provvedimenti sono stati notificati in carcere a gente già detenuta per altre questioni ed uno ad un indagato che era agli arresti domiciliari. I destinatari della misura cautelare sono accusati a vario titolo dei reati di associazione mafiosa, associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, estorsioni, porto e detenzione illegale di armi da guerra e comuni da sparo. L’inchiesta denominata <<Bing Bang>> ha coinvolto 81 indagati e condotto in carcere l’articolazione del clan che aveva messo radici al quartiere San Pio, che risulta composta (questi i nomi di spicco) da Giovanni Ballabene, 28 anni; Michele Faccilongo, 48 (finito ai domiciliari), Domenico Mininni, 42; Attilio Santoro, 27 anni; Saverio Sebastiano, 55 (domiciliari). Al quartiere Libertà, Lorenzo Caldarola, 40 anni, detenuto nel carcere di Terni, indicato come uno dei mammasantissima; Nicola Carella, 35, detenuto a San Severo; Angelo Ottomano, 44, detenuto a Benevento; Massimo Emiliano Patruno, 40, rinchiuso nel carcere di Lecce; Francesco Valentino, 43 anni, fratello del pentito Giacomo Valentino e Francesco Lovreglio, 30 anni. Dalla colonia di Carbonara sono finiti in carcere Nicola Telegrafo, 37 anni, considerato figura di primo piano e Silvano Scannicchio, 41 anni, che secondo gli investigatori avrebbe gestito in maniera occulta la società di pulizie la “Futura Servizi” che avrebbe curato i servizi di vigilanza delle due discoteche già citate, mettendo a disposizione parcheggiatori e buttafuori. Non finisce qui. Sempre secondo i detective della Squadra mobile si adoperava per organizzare i servizi di accompagnamento dei parenti dei detenuti, presso le carceri, anche le più lontane. Ci sono poi le colonie, attivissime, di Bitonto e Noicattaro, di cui paleremo appresso. In coda all’elenco degli arrestati i nomi di due complici napoletani, presumibilmente vicini alla Camorra: Giovanni Russo, 29 anni e Saverio Barbato, 28, raggiunto dal provvedimento nella casa circondariale di Napoli Poggioreale. Sarebbero stati, secondo la ricostruzione degli investigatori, in costanti rapporti di affari con i carbonaresi per la compravendita di droga. L’indagine, ha sottolineato il procuratore aggiunto a capo della Dda, <<ha messo assieme le dichiarazioni di molti collaboratori di giustizia. E non ci fermeremo qui. Noi intendiamo riprendere integralmente il controllo del territorio barese sottraendolo al controllo criminale>>. Droga ed estorsioni erano i principali affari di questa organizzazione tentacolare che dopo aver messo radici nei quartieri di Bari, raggiungendo una posizione di supremazia a Libertà, San Paolo, Carbonara, San Pio, Bari vecchia, San Girolamo, aveva allungato le proprie spire sulla provincia: Bitonto, dove si annidava la cellula criminale più forte, Noicattaro, Capurso, Adelfia. L’organizzazione aveva la capacità di distribuire mediamente un chilo di cocaina pura e 20-25 chili di hascisc al mese, garantendo ai propri venditori una gratifica settimanale che non andava sotto i 200, 250 euro a settimana. Abbiamo detto non solo territori nuovi dove spacciare ma anche nuovi contesti organizzati nei quali assoldare manovalanza e gruppi di fuoco da ingaggiare in caso di regolamenti di conti, giovani rampanti da inviare per intimorire, minacciare aggredire. L’espansione degli Strisciuglio in provincia, secondo gli inquirenti, non si limita ad un’espansione economica ma ha i tratti di una vera espansione coloniale, sul modello della Roma antica: per ogni territorio, sia in città sia fuori città, il clan sceglie uno o più capo decina, normalmente già attivo e rispettato in zona, cui affida la gestione del territorio, con particolare riferimento alla piazza di spaccio. In nome di questa affiliazione, il clan può richiedere l’intervento d’urgenza, il supporto operativo, in sostanza l’intervento armato di chi opera in periferia. Le nuove frontiere della mala barese si sarebbero così aperte anche ad Adelfia, a Noicattaro e a Bitonto. In prima fila, per gli affari sporchi, ci sarebbero i bitontini, giovanissimi emergenti del gruppo criminale che fa capo ai Cipriano, attivo nel centro storico. I sei arrestati a Bitonto, tutti sotto in trent’anni, sono volti noti alla criminalità locale, soprattutto per lo spaccio da strada: si tratta di Vincenzo Caputo, 25 anni, Francesco Colasuonno, 26 anni, Giuseppe Digiacomoantonio, 24 anni, Giuseppe Pastoressa, anche lui ventiquattrenne e i due fratelli Raggi, Donato di 28 anni e Daniele di 24. I nomi di quattro di loro compaiono nel 2010 nelle cronache del blitz della Polizia <<Piazza Sylos>>, che portò alla scoperta, e poi al sequestro, di un chioschetto nel centro storico dove venivano venduti erba e fumo. La droga, sostengono le forze dell’ordine, sarebbe un affare recente per i Cipriano, noti soprattutto per i furti d’auto e in appartamenti. Proprio l’accordo commerciale con gli Strisciuglio avrebbe permesso ai giovanissimi emergenti del gruppo criminale di lanciarsi nel mercato della droga, provocando a cascata scontri a fuoco con i gruppi organizzati attivi in altre zone della città. Efferati e spregiudicati, sarebbero così entrati nelle grazie del clan del capoluogo che li avrebbe chiamati come braccio armato per risolvere questioni con altri clan della città. In particolar modo, la loro opera di intermediazione violenta sarebbe stata richiesta per dirimere divergenze e tensioni con altri gruppi criminali attivi nel quartiere San Paolo. Analoghe dinamiche per l’affiliazione nel quartiere di Carbonara e ad Adelfia, dove il clan del capoluogo poteva contare su legami storici e più solidi. La feroce guerra di mala combattuta fra il 2008 e il 2010 fra i Di Cosola e gli Stramaglia e poi gli arresti della Polizia e dei Carabinieri avrebbero spinto gli Strisciuglio a puntare tutto su Silvano Scannicchio, 41 anni, e soprattutto su Nicola Telegrafo, 37 anni, ritenuto braccio destro del boss Domenico Stgrsciuglio. Al loro fianco, un piccolo esercito di giovani spacciatori. Infine, il capitolo di Noicattaro dove gli agenti di Polizia hanno eseguito altri sei arresti. Anche in questo caso, si tratta di under 30, con precedenti per droga, rapina ed estorsione. In manette Massimiliano Marini, 23 anni, Pasquale Colasuonno, 25 anni. Domenico Porrelli, 26 anni, Francesco Decaro, 30 anni, Giuseppe Magistro, 25 anni. 24 giugno IN CORTE D’APPELLO DIMEZZATE LE PENE AI COMPONENTI DEL CLAN STRISCIUGLIO Per i principali imputati le pene sono state quasi dimezzate. Per quasi tutti gli altri sono state fortemente ridotte. Complessivamente lo scarto è tra gli oltre 250 anni di carcere inflitti in primo grado ai 170 disposti dalla Corte d’Appello di Bari che ritoccano la sentenza di primo grado emessa nel marzo 2012 nei confronti di una trentina di persone: Sul banco degli imputati molti presunti affiliati al clan Strisciuglio, nell’ambito del procedimento in abbreviato denominato ‘Libertà’. Il provvedimento è stato emesso la scorsa settimana. Le riduzioni più significative decise dai giudici di secondo grado riguardano Giovanni Raggi (da 15 a 10 anni); accusato di associazione mafiosa e associazione finalizzata al traffico di droga. Ritoccate le pene anche per Giosuè Perrelli e Nicola Moramarco, ritenuti il braccio armato del gruppo criminale (da 14 anni e otto mesi a nove anni e otto mesi). I dodici anni inflitti dal gup in primo grado per Antonio Raggi , padre di Giovanni e fratello di Angela Raggi, ritenuto uno dei fornitori di droga del clan, sono stati ridotti a nove anni e sei mesi. I fatti contestati nel processo risalgono agli anni 2006-2008, quando il pregiudicato Giacomo Valentino (per lui la pena è stata ridotta da 6 anni e 6 mesi di carcere a 4 anni e 4 mesi con l’attenuante prevista per i collaboratori giustizia), decise di spostare parte dei traffici illeciti in mano agli Strisciuglio dal quartiere Libertà al San Paolo, cercando l’alleanza di Lorenzo Valerio, referente del clan Telegrafo (per quest’ultimo la pena è stata quasi dimezzata, da 13 anni e 7 anni e 10 mesi). Tra i 30 imputati condannati, otto sono i collaboratori di giustizia, tra cui Antonio Passaquindici, Nicola Querini e Vito Valerio (detto Lallà), anche per loro la pena è stata dimezzata e Angela Raggi (da 3 anni e 8 mesi a 2 anni e 6 mesi), moglie del pentito Giacomo Valentino. Dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, intercettazioni e attività investigativa tradizionale: su questi perni poggia l’inchiesta culminata nel blitz del 28 luglio 2010 con cui Carabinieri e Dda infersero un duro colpo al clan capeggiato da Domenico Strisciuglio, già detenuto dal blitz ‘Eclissi’ (si è a sua volta concluso con numerose condanne). Le pene in primo grado erano comprese tra 15 e 3 anni di reclusione. Condanne inferiori rispetto a quelle richieste dalla Dda. Il gup infatti non aveva riconosciuto il concorso materiale tra i reati che consente di sommare le pene per reati diversi, ritenendo, al contrario, di non di non aggiungere le singole pene per reato, in ragione dell’esistenza del vincolo di continuazione. Alcuni imputati erano stati condannati in quanto componenti della cellula incaricata di far transitare la droga in carcere, durante i colloqui o con lanci dall’esterno del penitenziario, documentati dalle intercettazioni. Dalle indagini coordinate dal pm antimafia, che si riferiscono ad un lasso di tempo compreso tra il procedimento denominato ’Eclissi’ e l’indagine culminata con gli arresti, è emerso anche il ruolo centrale delle donne, attive nella gestione della contabilità dei traffici illeciti e collegamento con i detenuti dell’organizzazione, come la figura di Angela Raggi, organizzatrice, stando alla ipotesi dell’accusa, delle squadre di spacciatori. E oggi nel filone in corso davanti alla Corte d’Assise di Bari è prevista l’audizione del pentito Giovanni Amoruso. 12 luglio FAR WEST IN PIAZZA A guardarli, sembrano quattro normali ragazzi che, una sera d'estate, sono fermi nella piazza del paese a chiacchierare davanti alle loro moto. Ma in un attimo si trasformano in killer spietati: attendono il passaggio in strada dell'esponente del clan rivale, lo puntano, estraggono le pistole e sparano ad altezza uomo, tra decine e decine di donne, bambini e anziani terrorizzati dall'inferno di piombo scatenato improvvisamente. La scena da Far west avvenuta in piazza Partigiani d'Italia, a Bitonto, lo scorso due luglio, è stata registrata da una piccola telecamera di un negozio, grazie a quelle immagini la squadra mobile di Bari diretta e il pm della Dda hanno individuato e fermato i presunti autori. Tra di loro c'è anche un minorenne, un ragazzino di appena 16 anni che, al pari degli altri, impugna l'arma e cerca di centrare l'obiettivo. In manette sono finiti anche il 19enne Michele Sabba, il sorvegliato speciale di 40 anni Michele Cozzella, e il 23enne Francesco Amendolara, ritenuti dagli inquirenti vicini al clan Cipriano. Sono loro la «seconda generazione» della criminalità, «le nuove leve». Non si fanno scrupoli a sparare tra decine di innocenti e sono pronti a tutto. I quattro fermati devono rispondere di tentato omicidio e porto illegale di arma da sparo, con l'aggravante di aver favorito un'associazione mafiosa. Non è stata invece individuata la persona in moto fuggita miracolosamente alla morte e ai 17 proiettili esplosi, ma gli investigatori ipotizzano che possa trattarsi un affiliato alla cosca rivale, quella dei Conte. Nonostante la piazza quella sera fosse affollata, nessuno dei testimoni ha dato una mano alla polizia durante le indagini. Gli investigatori hanno incassato solo tanti "non ho visto". I proiettili si sono andati a conficcare, per puro caso, in un bidone della spazzatura e sulle vetrine di un centro scommesse e di un negozio. La Dda barese ha deciso di diffondere il video dell'agguato mancato per provare ad avere dai cittadini un aiuto nell'identificazione dell'obiettivo dei killer. 13 luglio SUPER DROGA Sequestrata a giugno ad un parente di Parisi una “super marijuana” simile all’ecstasy. Infatti è stato rilevato che la concentrazione del suo principio attivo è quattro volte più potente, senza precedenti sia a Bari che in Puglia. Un dato preoccupante perché, se consumata anche in piccole dosi, avrebbe potuto avere gli stessi effetti di una pasticca di ecstasy. Quello che è apparso come un vero e proprio allarme deriva da una relazione del tossicologo Roberto Gagliano Candela, depositata in Procura. Si è trattato di una consulenza disposta dal P.M. all’indomani del sequestro di droga avvenuto il 12 giugno con il fermo ed arresto del ventitreenne Alessandro Lovreglio, nipote per parte di madre del boss Savinuccio Parisi. Le perquisizioni sono state effettuate in sei diversi nascondigli si sono risolte con il rinvenimento di 360 grammi di quella droga. 13 Luglio BARI CROCEVIA DELLA DROGA Nel panorama del traffico e spaccio di droga a Bari e provincia, si affaccia e prende sempre più piede la mafia albanese, ormai radicata sul territorio. Utilizza la “manovalanza locale e vende la “skunk”, la marijuana quattro volte più forte della comune “erba”. Sul mercato può costare al cliente finale fino a 60 euro al grammo ( 45 euro è invece il costo per grammo sostenuto dall’organizzazione criminale) contro i 10 euro di costo, sempre al consumatore finale (8 euro per l’organizzazione criminale) della marijuana normale. Lo hanno accertato i finanzieri del Gico di Bari al termine di un’indagine complessa ed articolata, avviata nel 2010 e coordinata dai PM antimafia Marcello Quercia e Carmelo Rizzo, con la quale è stata sgominata un’importante cellula criminale dedita al traffico internazionale di droga. Dodici i narcotrafficanti albanesi arrestati in Italia e all’estero. Coinvolti anche due italiani, tra i quali Mauro Todisco di Barletta, trovato in possesso di 11 chili di skunk e 600 grammi di hashish del valore di 650mila euro. I finanzieri hanno sequestrato altri 17 chili di eroina e 2,5 chili di cocaina. Il traffico era gestito dall’Albania, dove c’era la base logistica e dove si incontravano gli affiliati. La droga veniva portata in Grecia, a Patrasso, per lo stoccaggio, poi imbarcata per l’Italia, passando per Bari. Il referente pugliese è stato arrestato a Foggia. E’ stato accertato che soltanto una minima parte del carico rimaneva in Puglia; il resto trasferito nel milanese, dove era stato allestito un vero e proprio laboratorio, destinato al taglio ed al confezionamento della droga. 16 luglio BARESI IN AFFARI CON ROMENI L’organizzazione disarticolata attraverso l’esecuzione delle otto ordinanze di custodia cautelare e al sequestro del deposito nel territorio di Carbonara ha raccolto e movimento, secondo quanto rilevato nel periodo di indagine, almeno due tonnellate di rame. È presumibile che il quantitativo sia superiore. Rame raccattato dai bottini di bande più o meno organizzate composte da cittadini stranieri, in particolare rumeni che battevano la provincia. I predoni del cosiddetto «oro rosso» provocano gravi ritardi o interruzione di servizi di pubblica utilità, nel settore dei trasporti e delle comunicazioni; incidono negativamente sulla vita e sul lavoro delle imprese e delle famiglie. Questi furti in particolare in danno degli impianti di Enel e Telecom, hanno creato una minaccia all’ordine e alla sicurezza pubblica. Lo spunto che ha messo in movimento questa indagine poi condotta con strumenti e modalità tipiche della inchieste sulla criminalità organizzata (ndr, appostamenti, pedinamenti e una intensa attività tecnica) è nato da una serie di controlli eseguiti dai militari della stazione di Carbonara. Si è riusciti così a ricostruire l’intera filiera di un traffico di rifiuti che è stata documentata anche grazie al ritrovamento del libro mastro del deposito di Carbonara. Il rame veniva trattato in maniera da cancellare i segni distintivi applicati sul metallo da Telecom ed Enel ma nonostante questo si è riusciti a ricostruire per una parte del rame recuperato la sua origine. 30 luglio SI SPARA PER STRADA C'è tensione negli ambienti criminali di Bitonto. La seconda sparatoria, quasi certamente un avvertimento, è stata registrata venerdì pomeriggio in via Ammiraglio Vacca, ad una settimana esatta dai cinque colpi di pistola contro i portici di via Pertini, nella zona 167. Almeno tre colpi di arma da fuoco sarebbero stati sparati da un’auto in corsa contro una villetta nella zona più periferica di via Ammiraglio Vacca, oltre l’incrocio con via Traiana, verso via Terlizzi. Gli uomini della polizia, allertati da diverse segnalazioni anonime giunte in commissariato che riferivano di colpi di arma da fuoco, hanno proceduto con i rilievi e avviato le indagini. Sono state acquisite le immagini dei sistemi di videosorveglianza di alcuni esercizi commerciali e ascoltati diversi residenti. Sul posto, tuttavia, non sono stati trovati bossoli, né fori d’entrata dei proiettili, né tracce di sangue. Due gli elementi su cui stanno lavorando in queste ore gli agenti del commissariato. In zona, abita una nota famiglia della criminalità bitontina, il cui capo famiglia è tornato a casa dopo un periodo in carcere. Potrebbe essere proprio lui, dunque, il destinatario dell’avvertimento, così come già accaduto in passato. Nell’estate di tre anni fa, sei colpi di 6,75 furono esplosi da un’auto in corsa contro casa sua. Da allora, nella pacifica e residenziale via Ammiraglio Vacca, non si è registrato nessun altro episodio degno di nota. Ancora tutta da valutare, poi, la relazione fra l’episodio di venerdì e l’avvertimento in via Pertini della scorsa settimana. Una moto, quasi certamente uno scooterone con a bordo due persone, ha fatto fuoco contro i portici di una palazzina delle case popolari della zona, residenza abituale di numerose vecchie conoscenze delle forze dell’ordine, quartiere noto in tutta la provincia per lo spaccio di hashish e marijuana. Destinatario delle pallottole, con ogni probabilità, un pusher o una vedetta, assoldato dai boss del quartiere per controllare e presidiare la zona. La sparatoria, com'è noto, non ha provocato né vittime né feriti: il bersaglio è infatti riuscito a scappare. I due episodi potrebbero essere legati fra loro? Potrebbe la sparatoria di venerdì considerarsi la risposta all’avvertimento di via Pertini? A completare il quadro su cui lavorano le forze dell’ordine, gli arresti eccellenti di questa settimana, che hanno portato in carcere 6 giovanissimi esponenti legati a doppio filo con gli Strisciuglio di Bari. 7 agosto TURISTI VITTIME Anche vicino al lungomare e al porto di Bari, ora, scatta l’allarme furti. Colpi che riguardano ancora una volta i turisti o comunque gli stranieri che approdano a Bari anche solo di passaggio e che lasciano anche solo per poco tempo le proprie vetture per strada. Una coppia di francesi che avrebbe dovuto imbarcarsi su un traghetto ha lasciato la macchina vicino al lungomare, non distante dal porto. Quando sono tornati hanno trovato il vetro infranto: dall’auto avevano portato via tutto, anche tremila euro che avevano lasciato nella valigia e i documenti. Un colpo che per i turisti ha significato la fine della vacanza con un ritorno a Roma per ottenere un duplicato del passaporto. Un’altra auto, invece, è stata danneggiata all’interno del porto: ancora una volta i ladri hanno mandato in frantumi il vetro della vettura per rubare una borsa. E altri casi simili sono stati segnalati dall’inizio dell’estate. Furti che preoccupano anche e soprattutto per il danno di immagine che il capoluogo pugliese subisce. 13 agosto 27 A PROCESSO PER ESTORSIONI E DROGA Inchiesta «Bing bang», penultimo atto. La procura antimafia ha notificato a 27 indagati presumibilmente vicini alla famiglia malavitosa degli Strisciuglio e ai loro difensori l’avviso della conclusione delle indagini preliminari per i reati di associazione mafiosa, associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, estorsione ai danni di cantieri e discoteche, porto e detenzione illegale di armi da guerra e comuni da sparo. L’inchiesta ha coinvolto 81 indagati e condotto in carcere lo scorso mese di giugno le articolazioni del clan che avevano messo a radici a Libertà, Enziteto, Carbonara e San Paolo. 22 agosto ALTRA SPARATORIA A BITONTO A preoccupare gli investigatori è il potenziale di fuoco a disposizione della malavita organizzata. L'azione intimidatoria avvenuta martedì sera a Bitonto, venti proiettili esplosi da una mitraglietta, dimostra che i clan possiedono armi militari. I carabinieri hanno acquisito il video della telecamera che punta su via Pertini, luogo dell'ultima sparatoria, la quarta in un mese e mezzo che si consuma a Bitonto. Probabilmente, ipotizzano gli investigatori, chi ha sparato ha voluto lanciare un messaggio a Domenico Conte, ritenuto il capo dell'omonima cosca. Conte, infatti, abita proprio nei palazzi che affacciano su via Pertini. Ora, però si temono anche ripercussioni su Bari, dove i clan sono in fibrillazione. Intanto, i cittadini di Bitonto, su Internet, protestano per la mancata sicurezza e qualcuno si chiede che fine abbiano fatto i rinforzi promessi dal ministro dell'Interno, Angelino Alfano. I poliziotti e carabinieri sono arrivati in Puglia, ma sono anche già stati trasferiti altrove. 25 agosto PISTOLA E DROGA IN ASCENSORENASCONDIGLIO DEI CLAN Un nascondiglio della mala è stato scoperto dai carabinieri nel quartiere Stanic di Bari. I militari del Nucleo operativo della Compagnia di Bari Centro hanno ritrovato, nascoste fra le travi del vano ascensore, una pistola semiautomatica Beretta modello 70, calibro 7,65, completa di caricatore con 8 cartucce, con matricola abrasa. E poi, una scatola contenente 16 cartucce dello stesso calibro, nonché 165 grammi di droga (112 grammi di eroina e 53 di hashish). La droga e la pistola sono state messe sotto sequestro. L’arma, d’intesa con la Procura della Repubblica di Bari, sarà sottoposta ad accertamenti tecnico- balistici da parte dei carabinieri della Sezione investigazioni scientifiche, per accertare se sia stata utilizzata in recenti episodi di sangue. 6 ottobre «È GUERRA DEI CLAN, MA NON DI MAFIA» Confermate nella sostanza le accuse della Procura contro gli otto indagati per gli agguati mortali della scorsa primavera Il giudici del Riesame hanno lasciato in cella i presunti sicari della faida Caracciolese – Fiore Nel dispositivo i giudici del Tribunale della Libertà hanno dato ragione alla tesi accusatoria, elaborata sulla scorta del lavoro di indagini svolto dalla Squadra Mobile della Questura. Hanno fatto breccia anche le argomentazioni portate dai legali degli indagati. Ne è testimonianza il fatto che, a quanto pare, non sarebbe stata riconosciuta la cosiddetta «aggravante di aver favorito un clan mafioso», cosa che avrebbe indotto a rivalutare la chiave di lettura dei fatti così come ricostruiti e interpretati dall’accusa. 9 ottobre TUTTI ASSOLTI Ad Altamura non c'è stato alcun intreccio tra mafia, politica e colletti bianchi. A due anni dall'inchiesta della Dda, è stata letta la sentenza al termine del processo che vedeva alla sbarra carabinieri, avvocati e politici. Il gup del Tribunale di Bari, ha assolto tutti gli imputati con formula piena dalle accuse che venivano rivolte dalla Procura barese. In primo grado, al termine del procedimento celebrato con il rito abbreviato, sono stati ritenuti innocenti sei imputati. L'ipotesi investigativa dei pm titolari dell'inchiesta, era che il tessuto sociale, economico e persino la macchina amministrativa di Altamura fossero stati inquinati dalla criminalità organizzata. In particolare, nell'indagine si sosteneva che il boss Bartolo Dambrosio per diversi anni avesse goduto del sostegno, copertura e dell'aiuto di forze dell'ordine, amministratori pubblici e imprenditori locali. Una tesi crollata durante il processo che, ieri, si è chiuso con sei assoluzioni. 13 ottobre IL CLAN PUNISCE L’ASPIRANTE BOSS 17ENNE Punito e gambizzato ad appena 17 anni per aver disatteso le regole del clan. Nonostante non sia nemmeno maggiorenne, il giovane boss in erba puntava a prenderne le redini di un gruppo malavitoso di Bitonto, ma la sua smania di potere l'ha pagata a caro prezzo: è stato raggiunto da due o forse tre persone e, dopo la ramanzina verbale e un diverbio, è stato colpito alla gamba con un proiettile Non è stato facile per i carabinieri ricostruire quanto fosse accaduto, perché nonostante i testimoni nessuno ha denunciato. Solo quando il ragazzo è stato trasferito a Bari, al Policlinico, i medici hanno avvertito le forze dell'ordine. Ma intanto erano trascorse più di due ore. Sul luogo della sparatoria, però, i carabinieri sono riusciti ugualmente a trovare il bossolo e con le immagini delle telecamere di videosorveglianza dell'ospedale hanno ricostruito almeno gli istanti dell'arrivo nella struttura sanitaria. Ai militari il ragazzino ha detto solamente di essere stato ferito da due persone a bordo di uno scooter che avrebbero agito a volto coperto Chi ha ferito il minorenne ha voluto solo lanciargli un preciso messaggio: «Resta al posto tuo». Una intimidazione mafiosa, un avvertimento a chi, con ogni probabilità, stava cominciando ad alzare troppo le sue mire, provocando malumori nella cosca, soprattutto tra i vecchi capi non certo pronti a farsi sostituire. La gambizzazione - secondo gli inquirenti - altro non è che un modo per scoraggiare il 17enne pronto alla scalata al potere. Almeno nei suoi programmi criminali. Era un volto conosciuto alle forze dell'ordine: si era già reso protagonista di azioni criminali. Gli investigatori lo hanno descritto come una persona violenta e rissosa, con una spiccata personalità... Gli investigatori i militari sembra abbiano seguono un'altra pista, quella che potesse portare ad una resa dei conti all'interno di uno stesso gruppo criminale. 15 ottobre CERTIFICATI PER I BOSS – INCHIESTA SUI MEDICI L'inchiesta su Cosimo Fortunato, presunto braccio destro del boss Savino Parisi, si allarga. Nei giorni scorsi, gli investigatori della guardia di finanza, gruppo Gico, si sono presentati con una delega firmata dalla pm della Dda, Lidia Giorgio, negli uffici della direzione sanitaria del Policlinico e hanno acquisito le cartelle cliniche e l'intera documentazione. Pile di carte che ora vengono analizzate dagli inquirenti, obiettivo delle indagini è capire se il 50enne, considerato dall'Antimafia luogotenente del clan di Japigia, possa essere riuscito ad evitare il carcere grazie alla collaborazione di medici conniventi. Secondo le indagini svolte dalle fiamme gialle, Fortunato si sarebbe procurato ecchimosi ed escoriazioni sul viso e sul resto del corpo per simulare crisi epilettiche ed essere scarcerato. Con questo stratagemma, il 50enne, oggi ai domiciliari, dopo ogni arresto sarebbe riuscito ad evitare la detenzione dietro le sbarre. L'epilessia, difatti, è una patologia che è considerata non compatibile con il regime carcerario, il detenuto che ne soffre, quindi, sconta la pena o la custodia cautelare ai domiciliari o, in alcuni casi, addirittura può essere revocata la misura. Il presunto trucco, però, è stato scoperto dagli investigatori del Gico che, insospettiti, hanno filmato di nascosto Fortunato mentre era ricoverato nel centro detenuti del Policlinico in seguito ad un'altra (presunta) crisi epilettica. Nelle immagini si vedrebbe l'uomo che si reca in bagno e, per diversi minuti, si strofina con violenza volto e corpo con un asciugamano per procurarsi le ecchimosi, per poi uscire e gettarsi a terra per simulare un attacco epilettico. Sulla base dell'informativa della finanza, il PM diede parere negativo alla richiesta di revoca. Il, GIP, dopo aver visionato la nuova documentazione e averla trasmessa ai due consulenti che erano stati nominati, rigettò l'istanza che era stata presentata dalla difesa di Fortunato. «In base alle registrazioni audio e video scriveva il giudice nel provvedimento - i verbalizzanti hanno riferito (non sono allegati all'informativa né i nastri né i video) di avere potuto verificare come il Fortunato abbia dissimulato le crisi epilettiche, nonché le conseguenze delle stesse (ecchimosi ed escoriazioni al volto ed al corpo), giungendo anche a vantarsi con i co-detenuti della sua attività simulatoria». Dalla sua, però, Fortunato ha diverse perizie che sostengono che "le condizioni di salute" sono "incompatibili con lo stato detentivo" e che la "principale patologia" è "costituita dalle ricorrenti crisi epilettiche". La Procura, su questo punto, vuole vederci chiaro e capire se i medici sono stati tratti in inganno oppure qualcuno ha aiutato Fortunato - e altri detenuti - a farla franca. 16 ottobre SCATTA LA PAX MAFIOSA Il silenzio delle pistole fa gli affari più proficui. È la legge dei saggi, quella sperimentata in Sicilia ed importata in Puglia, a Bari, dove i clan hanno scelto di non farsi più la guerra. La “pax mafiosa”, estesa a tutta la città, sarebbe stata siglata una decina di giorni fa, in un incontro al quale avrebbero partecipato i capi di tutte le organizzazioni criminali del circondario barese. Un doppio incontro, in realtà: nel primo, di natura più ristretta, al quale avrebbero preso parte solo alcuni boss baresi, quelli storici e con un maggiore spessore criminale. Il gotha dei mafiosi avrebbe concordato di ammonire coloro che hanno il grilletto facile, garantendo in città quel silenzio così utile ai business illeciti, più gestibili quando le forze dell’ordine sono “distratte”, lontane dal territorio. E in quest’ottica hanno poi convocato coloro che da anni sono in guerra, nello stesso tempo vittime e autori di vendette incrociate, nomi che richiamano intere famiglie e che si sono resi protagonisti di cruenti fatti di sangue. I Telegrafo e i Mercante, ad esempio, la cui scena è il quartiere San Paolo, i Campanale e i Lorusso, che dividono il rione San Girolamo. A questi ultimi in particolare, sarebbe stato rivolto l’invito a sotterrare per il momento le armi, a dimenticare le vendette. Proprio a San Girolamo, infatti, nelle ultime settimane, gli investigatori avrebbero registrato movimenti sospetti. Il feroce omicidio del capoclan Felice Campanale, del 28 agosto scorso, nelle intenzioni degli affiliati, doveva essere vendicato con un’azione eclatante. Per il momento rinviata 1 novembre UCCISO NEL 2007 PERCHE’ POTEVA PARLARE I carabinieri del nucleo investigativo di Bari hanno arrestato, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del Tribunale di Bari e su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, il 24enne Giuseppe Digiacomantonio, il 27enne Salvatore Ficarelli e il 32enne Giusuè Perrelli, ritenuti vicini al clan Strisciuglio. I tre sono accusati di omicidio, tentato omicidio, occultamento di cadavere, porto di armi, con l’aggravante della mafiosità. I fatti risalgono al luglio 2007. In via Amendolagine a Bitonto, quattro persone a bordo di una Fiat Uno sparano con una mitraglietta contro due scooter: il 37enne Domenico Conte, capoclan di Bitonto, rimane illeso, muore invece il 29enne Vito Napoli. È la guerra tra clan: gli Strisciuglio vogliono prendersi la piazza dello spaccio di Bitonto in mano ai Conte-Cassano. L’agguato avviene a pochi metri dalla stazione dei carabinieri, un militare riesce ad annotare la targa. Gli investigatori risalgono al proprietario dell’auto: è Giuseppe Dellino. Il 29enne, scoperto, viene nascosto a Triggiano, ma lì i suoi compagni decidono di farlo fuori. “I ragazzi che stavano insieme non si fidavano perché aveva paura – confessa poi il pentito degli Strisciuglio Giacomo Valentino, referente del gruppo e mandante dell’omicidio di Napoli – mi rompevano la testa ‘che dobbiamo fare?’ Facciamolo sparire. Anche se non lo volevo ammazzare, gli volevo bene”. Dellino però viene ucciso e buttato in un pozzo per paura che parli. 14 dicembre ANZIANI TRUFFATI L'aumento dei reati commessi in danno di persone avanti negli anni (fenomeno in crescita esponenziale al ritmo dello 0,3 % per anno). Una 49enne, di Bari, «vecchia» conoscenza delle forze dell’ordine è stata arrestata e accusata, di furto aggravato e di sostituzione di persona in danno di ben sette anziani. Stando alla ricostruzione degli investigatori «la terza età» era per lei, presunta frodatrice e gabbamondo di vecchio corso una sorta di «specializzazione criminale». Secondo la versione dei carabinieri, la donna era solita avvicinare le vittime spacciandosi per funzionaria di enti pubblici, a volte Inps e volte Asl. L’hanno lasciata entrare in casa e su sua richiesta le avrebbero addirittura consegnato il denaro che custodivano gelosamente.