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CRIMINALITA` BARI COSIMO FORTUNATO, IL FINTO MALATO

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CRIMINALITA` BARI COSIMO FORTUNATO, IL FINTO MALATO
CRIMINALITA’ BARI
5 giugno
COSIMO FORTUNATO, IL FINTO MALATO
Cosimo Fortunato, 50 anni, luogotenente del clan Parisi. Con gli altri detenuti, nel reparto del
Policlinico riservato ai pazienti sottoposti a misure cautelari, arriva persona a vantarsi. Per lui era un
merito fingere davanti ai medici di essere ammalato, simulando crisi epilettiche. Le immagini delle
telecamere, installate dagli uomini del Gico della guardia di finanza nel reparto del Policlinico, sono
in equivocabili. Cosimo Fortunato mentiva e simulava gli attacchi che, per un periodo, lo avevano
portato fuori dal carcere. Ora il luogotenente del clan Parisi, una sfilza di accuse sulle spalle,
l’ultima estorsione, sfociata in un arresto nel novembre del 2012, resterà in carcere per molto
tempo. Il giudice ha respinto l’istanza presentata dalla difesa dell’uomo che, per motivi di salute,
aveva chiesto la revoca o un’attenuazione della misura cautelare. Il pm aveva espresso per la
seconda volta parere negativo e lo aveva fatto depositando l’informativa del Gico della guardia di
finanza. A marzo, però, al giudice arriva una comunicazione del Policlinico. Il pregiudicato può
lasciare il reparto per essere trasferito nel centro medico dello stesso Policlinico riservato ai
detenuti. E nella nota, l’azienda sanitaria ribadisce come Fortunato sia stato sottoposto ad
accertamenti e come <<le crisi epilettiche sono attualmente ben controllate dalla terapia assunta>>.
Ma sulla scrivania del giudice viene depositata anche un’altra nota, questa volta del dirigente
sanitario del carcere che fa notare come il pregiudicato avesse rifiutato il ricovero nel Centro clinico
dell’istituto penitenziario. Il giudice allora dispone una perizia collegiale e i consulenti, nella
relazione del 19 aprile, spiegando che le condizioni di salute di Fortunato sono incompatibili con la
detenzione in carcere, evidenziando come la principale patologia fosse costituita da crisi epilettiche.
Crisi che di fatto fingeva di avere. Nell’informativa, i militari spiegano come <<il Fortunato abbia
dissimulato le crisi epilettiche nonché le conseguenze delle stesse (ecchimosi ed escoriazioni al
volto e al corpo)>>. Alla fine anche i medici legali, autori della perizia, prendono atto di come <<la
maggiore patologia riscontrata, le crisi epilettiche, fosse stata simulata>>. Simulazione che,
conclude il giudice, ha tratto in inganno anche i medici dell’ospedale. E le immagini lo provano:
prima della visita Fortunato si prepara, procurandosi le piccole ferite che a suo dire erano frutto
delle crisi.
6 giugno
FAIDA FRA DUE FAMIGLIE
Il contesto è quello di una faida familiare senza esclusione di colpi. Combattuta in grande stile e con
uno spiegamento di forze non indifferente. E che può contare su basi logistiche in altri quartieri,
lontano da San Paquale-Carassi-Picone. Il controllo delle attività illecite, dunque resterebbe solo
sullo sfondo. Poggerebbe quindi su rancori personali e vicende private la leva principale che
avrebbe azionato lo spietato scambio di regolamenti di conti partito almeno il 15 aprile scorso con
l’omicidio di Giacomo Caracciolese avvenuto nel quartiere San Pasquale (ma preceduto forse da
altri episodi minori) e culminato domenica 19 maggio con la strage in cui sono stati uccisi
Vitantonio Fiore, forse il vero obiettivo dei killer, Antonio Romito e Claudio Fanelli. Sarebbe
Blog: osserbari.wordpress.com e-mail: [email protected]
Cell. : 3392922301 - 3476839372
questo lo scenario ricostruito sino a questo momento dagli investigatori che stanno facendo luce
sugli ultimi fatti di sangue. Un lavoro intenso, senza sosta, quello degli agenti della Squadra mobile
di Bari. Alle perquisizioni, a cui abbiamo fatto cenno nei nostri appunti del 5 giugno, se ne
sarebbero aggiunte anche delle altre. Attività di indagine mirate perché gli inquirenti avrebbero un
quadro già ben preciso dei due fatti di sangue, strettamente collegati tra loro come dimostra
l’identità delle prime tre persone iscritte nel registro degli indagati dal Pm antimafia Ciro Angelillis
e dal procuratore aggiunto Pasquale Drago, coordinatore della Dda barese. Nel fascicolo sono
iscritti Antonio Moretti, di 31 anni, ritenuto molto vicino a Giacomo Caracciolese, ferito anni fa con
un colpo di arma da fuoco, Nicola Fumai, di 24 anni, anche lui del quartiere San Pasquale, e Vito
Milloni, di 22 anni, parente della vedova Caracciolese. Al momento non è chiaro qual è il ruolo che,
secondo gli inquirenti, i tre avrebbero avuto in relazione alla strage di via Piemonte, al San Paolo.
L’iscrizione sarebbe legata ad attività tecniche per le quali il Codice impone il provvedimento e che
richiedono la presenza di un difensore. Il Pm aveva delegato gli agenti a perquisire in particolare
due abitazioni con l’obiettivo di ricercare capi di abbigliamento, giubbotti soprattutto o almeno
potenziali corpi di reato che era necessario acquisire per identificare gli autori del triplice omicidio
e ricostruire la dinamica sia nella fase preparatoria, sembra piuttosto elaborata, sia in quella
dell’esecuzione. Le prove sarebbero state cercate anche in carcere dove è detenuta una quarta
persona che, al contrario, non risulta iscritta nel registro degli indagati. L’obiettivo, a quanto pare, è
cercare tracce biologiche, impronte, forse sangue da analizzare e confrontare con quanto è stato
repertato sul luogo del delitto. Il fascicolo è stato aperto per omicidio plurimo volontario aggravato,
tra l’altro, dalla premeditazione e dall’avere agito con metodo mafioso e per detenzione di armi da
fuoco. Intanto, il livello di attenzione in città e la tensione sono molto alte. Sarebbero state segnalate
auto-vedetta che si spostano da un quartiere all’altro. E c’è chi gira regolarmente armato e con
indosso un giubbotto antiproiettili.
7 giugno
SPARATORIA A SAN PASQUALE
Un bossolo in via dei Mille e uno in via Amendola. A poche centinaia di metri di distanza. Sono
questi gli unici elementi in mano alla polizia che sta cercando di ricostruire quanto accaduto nella
notte tra il 6 e il 7 giugno a Bari. I due bossoli, ritrovati entrambi al quartiere San Pasquale,
sarebbero la prova di una sparatoria notturna. A dare l’allarme sono stati i dipendenti
dell’Università: hanno trovato un foro nella tapparella al secondo piano dell’istituto di Biologia, al
campus, dal lato di via Amendola. Così hanno chiamato il 113. Gli agenti delle volanti e gli esperti
della polizia scientifica hanno passato al setaccio l’area e hanno trovato effettivamente un
frammento di bossolo: il proiettile sarebbe stato esploso dall’esterno e si sarebbe conficcato nella
serranda di un’aula universitaria. Non è stato però l’unico ritrovamento. Subito dopo è arrivata la
seconda segnalazione. Un bossolo proprio in via dei Mille, all’altezza del civico 93, davanti ad una
pasticceria del quartiere. E’ giallo su quanto successo a Bari, molto probabilmente nella notte.
Nessuna telefonata è arrivata alla centrale operativa della questura per segnalare l’esplosione di
colpi di arma da fuoco eppure i due bossoli erano lì. Non è chiaro se a sparare sia stata la stessa
arma ma è probabile che ci sia un collegamento tra i due ritrovamenti. Negli ospedali, però, nessun
ferito. Ciò che è certo è il luogo del ritrovamento: il quartiere San Pasquale. E’ qui che si stanno
concentrando le indagini della polizia a caccia dei responsabili del triplice omicidio avvenuto il 19
maggio al San Paolo. L’agguato, a colpi di kalashnikov sarebbe stato, molto probabilmente, una
risposta all’omicidio del boss di San Pasquale Giacomo Caracciolesei. E proprio via dei Mille è la
strada in cui abitano i Caracciolese.
16 giugno
GUERRA TRA CLAN
Proseguono senza sosta le indagini sugli ultimi episodi di sangue, su quella che, al di là degli
interessi mafiosi, sembra avere anche i contorni della faida. Si indaga sulle connessioni tra
l’omicidio di Giacomo Caracciolese, consumato il 5 aprile scorso nel quartiere San Pasquale, e il
triplice omicidio del San Paolo, datato 12 maggio, costato la vita a Vitantonio Fiore, Antonio
Romito e Claudio Fanelli. Sulla scena dell’omicidio Caracciolese, intorno alle 9 del mattino, si
sarebbe trovato proprio Vitantonio Fiore. Con lui, secondo le indiscrezioni, anche suo cognato
Donato Cassano. Quest’ultimo, secondo un’ipotesi, sarebbe evaso dagli arresti domiciliari a Pescara
per fare segretamente rientro a Bari. A svelarne la presenza nel capoluogo pugliese, l’incidente
avvenuto sulla tangenziale, a bordo di una Yamaha rubata, proprio la mattina del 5 aprile.
Abbandonata la moto l’uomo aveva chiesto un passaggio ad un automobilista e si era fatto
accompagnare al Pronto soccorso del Policlinico per poi svanire nel nulla. A rintracciarlo, dopo
alcune settimane, gli investigatori che avevano svolto indagini tecniche sul casco da motociclista
dimenticato, nella concitazione, nell’auto del suo soccorritore. Cassano era dunque a Bari in
maniera clandestina la mattina di quel 5 aprile. Ed era presumibilmente a San Pasquale con suo
cognato Vitantonio Fiore, poi eliminato a distanza di poco più di un mese. Che tra i due episodi ci
sia più di una correlazione, agli inquirenti è fin troppo chiaro. Ma chi è Donato Cassano? Svariati i
precedenti di polizia, l’uomo è anche l’autore della tentata rapina al distributore Tamoil di Palo del
Colle del 5 giugno 2010 finita nel sangue. Era a bordo della moto guidata da Giacomo Buonoamico,
rimasto ucciso dai proiettili esplosi dal gestore del distributore Enrico Balducci. I fotogrammi del
raid nel distributore dei due rapinatori – ripresi dalle telecamere di sicurezza – mostrano lo stesso
Cassano brandire un’arma. Buonamico, a sua volta, è stato per un periodo dipendente dell’<<Audi
Zentrum>>, per la quale, in base alla normativa antimafia, è stata decisa nel marzo 2011 la gestione
giudiziale. La concessionaria è infatti ritenuta un’attività nella quale, almeno tra il 2008 e il febbraio
2011, si sarebbe infiltrato il clan Parisi Stramaglia. Buonamico e Cassano, tra l’altro, la sera del
tragico colpo al distributore Tamoil, avevano consumato un’altra rapina nel supermercato Eurospin,
praticamente con le stesse modalità. Cassano ha confessato il colpo a distanza di anni, con una
lettera alla Procura. E’ in questo solco dove criminalità organizzata e crimine spicciolo si
intersecano, in questo limbo di illegalità diffusa e di enorme disponibilità di armi e soprattutto di
denaro (spesso a fronte di dichiarazioni di redditi pari allo zero), che gli investigatori continuano a
dragare. Spulciando anche tra i cosiddetti <<personaggi di secondo piano>>, quelli che sembrano
avere scarso spessore criminale e che si riscoprono feroci e disposti a tutto. Le indagini continuano
anche per chiudere il cerchio intorno a una guerra di mafia che ha ripreso ad affacciarsi sulla scena
urbana.
18 giugno
SPARATORIA A BITONTO
Avvertimento a colpi di arma da fuoco nel tardo pomeriggio del 18 giugno in via Pertini, nella zona
167. Secondo quanto riferito da alcuni testimoni, e poi confermato dalle forze dell’ordine, due
uomini a bordo di un scooterone avrebbero fatto fuoco contro un giovane che si trovava in strada,
sotto i portici di uno degli stabili di edilizia popolare della zona. I colpi, almeno cinque, non hanno
raggiunto il bersaglio umano, che è riuscito a scappare. L’episodio, sul quale indagano i Carabinieri
della stazione di Bitonto e della compagnia di Molfetta, riaccende i riflettori sul mondo della
criminalità cittadina che ha proprio in via Pertini una dei suoi principali centri dello spaccio da
strada: marijuana e hashish, per lo più, destinati a un mercato fatto in parte di ragazzini che arrivano
da tutta la provincia per comprare il fumo e l’erba di Bitonto.
20 giugno
SPARATORIA AL CENTRO DI BARI
Si torna a sparare, in pieno giorno e tra passanti e bambini che giocano per strada. Il pomeriggio,
poco dopo le 18,30 del 20 giugno, due persone a bordo di una moto e col volto coperto dai caschi,
hanno esploso una decina di colpi di pistola in via Principe Amedeo, ad angolo con via Ettore
Fieramosca, quartiere Libertà, a pochi passi dal Tribunale civile. Obiettivo dei killer il 40enne
Cosimo Soloperto, sorvegliato speciale, che proprio in mattinata era stato scarcerato, dopo aver
concluso la sua detenzione nel carcere di Lecce. Evidentemente qualcuno attendeva il suo ritorno in
libertà per punirlo. Il 40enne è però riuscito a salvarsi, è stato ferito al bacino e ad una gamba ma
non è in pericolo di vita. L’uomo è stato trasportato al Policlinico da un’automobile, che lo ha
abbandonato davanti al pronto soccorso prima di allontanarsi. La zona dell’agguato è stata
immediatamente chiusa dagli uomini della Squadra mobile per poter effettuare i rilievi. Tracce di
sangue sono state rinvenute su una moto parcheggiata vicino al marciapiede (nella carrozzeria c’è
anche un foro), evidentemente Soloperto si era appoggiato prima dell’arrivo dei sicari.
24 giugno
COLPO DI GRAZIA AGLI STRISCIUGLIO?
<<Domani non fare venire nessuno…ce la prendiamo con gli operai>>. A volte esordivano così nei
cantieri, mettendo in scena con il massimo clamore il solito copione, provato mille e mille volte, in
stile sceneggiata napoletana davanti ad un pubblico composto da carpentieri, imbianchini,
intonaschisti. Altre volte invece tentavano un approccio più morbido, chiedendo di avere un
abboccamento con il padrone, per poi passare al trattamento brutale. Gli scagnozzi della <<Luna>>,
accoliti della famiglia malavitosa degli Strisciuglio, nei quartieri Libertà, San Paolo, Carbonara
riuscivano ad imporre la legge del ricatto alle imprese che lavorano sulla strada, le più esposte:
quelle del mattone, dell’edilizia, delle ristrutturazioni. Un silenzio assordante, forte a volte stridulo
come i suoni e le musiche che provenivano dal frequentatissimo ‘H25’ (ex Zenzero) in traversa via
Pietro Colletta e dalla discoteca dei vip ‘Gorgeous’ in via della Costituente. I titolari dei due locali
alla moda – risulta dalle indagini – sono stati costretti a mettere sul proprio libro paga buttafuori e
parcheggiatori legati alla famiglia della Luna, altrimenti le loro belle feste sarebbero state funestate
da episodi assai spiacevoli. Ma quel silenzio assordante, fatto di parole non dette, di richieste di
aiuto mai formulate, di paura e voglia di non impelagarsi, è stato rotto la mattina del 24 giugno dalle
sirene, dal latrato dei cani antidroga, dai passi pesanti degli anfibi degli agenti del Reparto di pronto
intervento, dal vociare degli investigatori della squadra mobile, che hanno buttato giù dal letto e
portato in galera un piccolo esercito di malavitosi o presunti tali, composto da sottocapi, consiglieri,
capo decina (ovvero coloro che hanno il rapporto primario con i propri affiliati), uomini d’onore,
soldati e associati al clan Strsciuglio, il cui capofamiglia Domenico Strisciuglio, detto Mimmo “la
Luna”, si trova da tempo in carcere. I detective della Polizia dirigente della sezione Criminalità
organizzata nella notte tra domenica e lunedì hanno dato esecuzione a 25 ordinanze di custodia
cautelare in carcere e 2 agli arresti domiciliari disposte dal giudice delle indagini preliminari e su
richiesta del Pm antimafia. Nel corso dell’operazione, sei provvedimenti sono stati notificati in
carcere a gente già detenuta per altre questioni ed uno ad un indagato che era agli arresti domiciliari.
I destinatari della misura cautelare sono accusati a vario titolo dei reati di associazione mafiosa,
associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, estorsioni, porto e
detenzione illegale di armi da guerra e comuni da sparo. L’inchiesta denominata <<Bing Bang>> ha
coinvolto 81 indagati e condotto in carcere l’articolazione del clan che aveva messo radici al
quartiere San Pio, che risulta composta (questi i nomi di spicco) da Giovanni Ballabene, 28 anni;
Michele Faccilongo, 48 (finito ai domiciliari), Domenico Mininni, 42; Attilio Santoro, 27 anni;
Saverio Sebastiano, 55 (domiciliari). Al quartiere Libertà, Lorenzo Caldarola, 40 anni, detenuto nel
carcere di Terni, indicato come uno dei mammasantissima; Nicola Carella, 35, detenuto a San
Severo; Angelo Ottomano, 44, detenuto a Benevento; Massimo Emiliano Patruno, 40, rinchiuso nel
carcere di Lecce; Francesco Valentino, 43 anni, fratello del pentito Giacomo Valentino e Francesco
Lovreglio, 30 anni. Dalla colonia di Carbonara sono finiti in carcere Nicola Telegrafo, 37 anni,
considerato figura di primo piano e Silvano Scannicchio, 41 anni, che secondo gli investigatori
avrebbe gestito in maniera occulta la società di pulizie la “Futura Servizi” che avrebbe curato i
servizi di vigilanza delle due discoteche già citate, mettendo a disposizione parcheggiatori e
buttafuori. Non finisce qui. Sempre secondo i detective della Squadra mobile si adoperava per
organizzare i servizi di accompagnamento dei parenti dei detenuti, presso le carceri, anche le più
lontane. Ci sono poi le colonie, attivissime, di Bitonto e Noicattaro, di cui paleremo appresso. In
coda all’elenco degli arrestati i nomi di due complici napoletani, presumibilmente vicini alla
Camorra: Giovanni Russo, 29 anni e Saverio Barbato, 28, raggiunto dal provvedimento nella casa
circondariale di Napoli Poggioreale. Sarebbero stati, secondo la ricostruzione degli investigatori, in
costanti rapporti di affari con i carbonaresi per la compravendita di droga. L’indagine, ha
sottolineato il procuratore aggiunto a capo della Dda, <<ha messo assieme le dichiarazioni di molti
collaboratori di giustizia. E non ci fermeremo qui. Noi intendiamo riprendere integralmente il
controllo del territorio barese sottraendolo al controllo criminale>>. Droga ed estorsioni erano i
principali affari di questa organizzazione tentacolare che dopo aver messo radici nei quartieri di
Bari, raggiungendo una posizione di supremazia a Libertà, San Paolo, Carbonara, San Pio, Bari
vecchia, San Girolamo, aveva allungato le proprie spire sulla provincia: Bitonto, dove si annidava la
cellula criminale più forte, Noicattaro, Capurso, Adelfia. L’organizzazione aveva la capacità di
distribuire mediamente un chilo di cocaina pura e 20-25 chili di hascisc al mese, garantendo ai
propri venditori una gratifica settimanale che non andava sotto i 200, 250 euro a settimana.
Abbiamo detto non solo territori nuovi dove spacciare ma anche nuovi contesti organizzati nei quali
assoldare manovalanza e gruppi di fuoco da ingaggiare in caso di regolamenti di conti, giovani
rampanti da inviare per intimorire, minacciare aggredire. L’espansione degli Strisciuglio in
provincia, secondo gli inquirenti, non si limita ad un’espansione economica ma ha i tratti di una
vera espansione coloniale, sul modello della Roma antica: per ogni territorio, sia in città sia fuori
città, il clan sceglie uno o più capo decina, normalmente già attivo e rispettato in zona, cui affida la
gestione del territorio, con particolare riferimento alla piazza di spaccio. In nome di questa
affiliazione, il clan può richiedere l’intervento d’urgenza, il supporto operativo, in sostanza
l’intervento armato di chi opera in periferia. Le nuove frontiere della mala barese si sarebbero così
aperte anche ad Adelfia, a Noicattaro e a Bitonto. In prima fila, per gli affari sporchi, ci sarebbero i
bitontini, giovanissimi emergenti del gruppo criminale che fa capo ai Cipriano, attivo nel centro
storico. I sei arrestati a Bitonto, tutti sotto in trent’anni, sono volti noti alla criminalità locale,
soprattutto per lo spaccio da strada: si tratta di Vincenzo Caputo, 25 anni, Francesco Colasuonno,
26 anni, Giuseppe Digiacomoantonio, 24 anni, Giuseppe Pastoressa, anche lui ventiquattrenne e i
due fratelli Raggi, Donato di 28 anni e Daniele di 24. I nomi di quattro di loro compaiono nel 2010
nelle cronache del blitz della Polizia <<Piazza Sylos>>, che portò alla scoperta, e poi al sequestro,
di un chioschetto nel centro storico dove venivano venduti erba e fumo. La droga, sostengono le
forze dell’ordine, sarebbe un affare recente per i Cipriano, noti soprattutto per i furti d’auto e in
appartamenti. Proprio l’accordo commerciale con gli Strisciuglio avrebbe permesso ai giovanissimi
emergenti del gruppo criminale di lanciarsi nel mercato della droga, provocando a cascata scontri a
fuoco con i gruppi organizzati attivi in altre zone della città. Efferati e spregiudicati, sarebbero così
entrati nelle grazie del clan del capoluogo che li avrebbe chiamati come braccio armato per
risolvere questioni con altri clan della città. In particolar modo, la loro opera di intermediazione
violenta sarebbe stata richiesta per dirimere divergenze e tensioni con altri gruppi criminali attivi
nel quartiere San Paolo. Analoghe dinamiche per l’affiliazione nel quartiere di Carbonara e ad
Adelfia, dove il clan del capoluogo poteva contare su legami storici e più solidi. La feroce guerra di
mala combattuta fra il 2008 e il 2010 fra i Di Cosola e gli Stramaglia e poi gli arresti della Polizia e
dei Carabinieri avrebbero spinto gli Strisciuglio a puntare tutto su Silvano Scannicchio, 41 anni, e
soprattutto su Nicola Telegrafo, 37 anni, ritenuto braccio destro del boss Domenico Stgrsciuglio. Al
loro fianco, un piccolo esercito di giovani spacciatori. Infine, il capitolo di Noicattaro dove gli
agenti di Polizia hanno eseguito altri sei arresti. Anche in questo caso, si tratta di under 30, con
precedenti per droga, rapina ed estorsione. In manette Massimiliano Marini, 23 anni, Pasquale
Colasuonno, 25 anni. Domenico Porrelli, 26 anni, Francesco Decaro, 30 anni, Giuseppe Magistro,
25 anni.
24 giugno
IN CORTE D’APPELLO DIMEZZATE LE PENE AI COMPONENTI DEL
CLAN STRISCIUGLIO
Per i principali imputati le pene sono state quasi dimezzate. Per quasi tutti gli altri sono state
fortemente ridotte. Complessivamente lo scarto è tra gli oltre 250 anni di carcere inflitti in primo
grado ai 170 disposti dalla Corte d’Appello di Bari che ritoccano la sentenza di primo grado emessa
nel marzo 2012 nei confronti di una trentina di persone: Sul banco degli imputati molti presunti
affiliati al clan Strisciuglio, nell’ambito del procedimento in abbreviato denominato ‘Libertà’. Il
provvedimento è stato emesso la scorsa settimana. Le riduzioni più significative decise dai giudici
di secondo grado riguardano Giovanni Raggi (da 15 a 10 anni); accusato di associazione mafiosa e
associazione finalizzata al traffico di droga. Ritoccate le pene anche per Giosuè Perrelli e Nicola
Moramarco, ritenuti il braccio armato del gruppo criminale (da 14 anni e otto mesi a nove anni e
otto mesi). I dodici anni inflitti dal gup in primo grado per Antonio Raggi , padre di Giovanni e
fratello di Angela Raggi, ritenuto uno dei fornitori di droga del clan, sono stati ridotti a nove anni e
sei mesi. I fatti contestati nel processo risalgono agli anni 2006-2008, quando il pregiudicato
Giacomo Valentino (per lui la pena è stata ridotta da 6 anni e 6 mesi di carcere a 4 anni e 4 mesi
con l’attenuante prevista per i collaboratori giustizia), decise di spostare parte dei traffici illeciti in
mano agli Strisciuglio dal quartiere Libertà al San Paolo, cercando l’alleanza di Lorenzo Valerio,
referente del clan Telegrafo (per quest’ultimo la pena è stata quasi dimezzata, da 13 anni e 7 anni e
10 mesi). Tra i 30 imputati condannati, otto sono i collaboratori di giustizia, tra cui Antonio
Passaquindici, Nicola Querini e Vito Valerio (detto Lallà), anche per loro la pena è stata dimezzata
e Angela Raggi (da 3 anni e 8 mesi a 2 anni e 6 mesi), moglie del pentito Giacomo Valentino.
Dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, intercettazioni e attività investigativa tradizionale: su
questi perni poggia l’inchiesta culminata nel blitz del 28 luglio 2010 con cui Carabinieri e Dda
infersero un duro colpo al clan capeggiato da Domenico Strisciuglio, già detenuto dal blitz ‘Eclissi’
(si è a sua volta concluso con numerose condanne). Le pene in primo grado erano comprese tra 15 e
3 anni di reclusione. Condanne inferiori rispetto a quelle richieste dalla Dda. Il gup infatti non aveva
riconosciuto il concorso materiale tra i reati che consente di sommare le pene per reati diversi,
ritenendo, al contrario, di non di non aggiungere le singole pene per reato, in ragione dell’esistenza
del vincolo di continuazione. Alcuni imputati erano stati condannati in quanto componenti della
cellula incaricata di far transitare la droga in carcere, durante i colloqui o con lanci dall’esterno del
penitenziario, documentati dalle intercettazioni. Dalle indagini coordinate dal pm antimafia, che si
riferiscono ad un lasso di tempo compreso tra il procedimento denominato ’Eclissi’ e l’indagine
culminata con gli arresti, è emerso anche il ruolo centrale delle donne, attive nella gestione della
contabilità dei traffici illeciti e collegamento con i detenuti dell’organizzazione, come la figura di
Angela Raggi, organizzatrice, stando alla ipotesi dell’accusa, delle squadre di spacciatori. E oggi
nel filone in corso davanti alla Corte d’Assise di Bari è prevista l’audizione del pentito Giovanni
Amoruso.
12 luglio
FAR WEST IN PIAZZA
A guardarli, sembrano quattro normali ragazzi che, una sera d'estate, sono fermi nella piazza del
paese a chiacchierare davanti alle loro moto. Ma in un attimo si trasformano in killer spietati:
attendono il passaggio in strada dell'esponente del clan rivale, lo puntano, estraggono le pistole e
sparano ad altezza uomo, tra decine e decine di donne, bambini e anziani terrorizzati dall'inferno di
piombo scatenato improvvisamente. La scena da Far west avvenuta in piazza Partigiani d'Italia, a
Bitonto, lo scorso due luglio, è stata registrata da una piccola telecamera di un negozio, grazie a
quelle immagini la squadra mobile di Bari diretta e il pm della Dda hanno individuato e fermato i
presunti autori. Tra di loro c'è anche un minorenne, un ragazzino di appena 16 anni che, al pari degli
altri, impugna l'arma e cerca di centrare l'obiettivo. In manette sono finiti anche il 19enne Michele
Sabba, il sorvegliato speciale di 40 anni Michele Cozzella, e il 23enne Francesco Amendolara,
ritenuti dagli inquirenti vicini al clan Cipriano. Sono loro la «seconda generazione» della
criminalità, «le nuove leve». Non si fanno scrupoli a sparare tra decine di innocenti e sono pronti a
tutto. I quattro fermati devono rispondere di tentato omicidio e porto illegale di arma da sparo, con
l'aggravante di aver favorito un'associazione mafiosa. Non è stata invece individuata la persona in
moto fuggita miracolosamente alla morte e ai 17 proiettili esplosi, ma gli investigatori ipotizzano
che possa trattarsi un affiliato alla cosca rivale, quella dei Conte. Nonostante la piazza quella sera
fosse affollata, nessuno dei testimoni ha dato una mano alla polizia durante le indagini. Gli
investigatori hanno incassato solo tanti "non ho visto". I proiettili si sono andati a conficcare, per
puro caso, in un bidone della spazzatura e sulle vetrine di un centro scommesse e di un negozio. La
Dda barese ha deciso di diffondere il video dell'agguato mancato per provare ad avere dai cittadini
un aiuto nell'identificazione dell'obiettivo dei killer.
13 luglio
SUPER DROGA
Sequestrata a giugno ad un parente di Parisi una “super marijuana” simile all’ecstasy. Infatti è stato
rilevato che la concentrazione del suo principio attivo è quattro volte più potente, senza precedenti
sia a Bari che in Puglia. Un dato preoccupante perché, se consumata anche in piccole dosi, avrebbe
potuto avere gli stessi effetti di una pasticca di ecstasy. Quello che è apparso come un vero e
proprio allarme deriva da una relazione del tossicologo Roberto Gagliano Candela, depositata in
Procura. Si è trattato di una consulenza disposta dal P.M. all’indomani del sequestro di droga
avvenuto il 12 giugno con il fermo ed arresto del ventitreenne Alessandro Lovreglio, nipote per
parte di madre del boss Savinuccio Parisi. Le perquisizioni sono state effettuate in sei diversi
nascondigli si sono risolte con il rinvenimento di 360 grammi di quella droga.
13 Luglio
BARI CROCEVIA DELLA DROGA
Nel panorama del traffico e spaccio di droga a Bari e provincia, si affaccia e prende sempre più
piede la mafia albanese, ormai radicata sul territorio. Utilizza la “manovalanza locale e vende la
“skunk”, la marijuana quattro volte più forte della comune “erba”. Sul mercato può costare al
cliente finale fino a 60 euro al grammo ( 45 euro è invece il costo per grammo sostenuto
dall’organizzazione criminale) contro i 10 euro di costo, sempre al consumatore finale (8 euro per
l’organizzazione criminale) della marijuana normale. Lo hanno accertato i finanzieri del Gico di
Bari al termine di un’indagine complessa ed articolata, avviata nel 2010 e coordinata dai PM
antimafia Marcello Quercia e Carmelo Rizzo, con la quale è stata sgominata un’importante cellula
criminale dedita al traffico internazionale di droga. Dodici i narcotrafficanti albanesi arrestati in
Italia e all’estero. Coinvolti anche due italiani, tra i quali Mauro Todisco di Barletta, trovato in
possesso di 11 chili di skunk e 600 grammi di hashish del valore di 650mila euro. I finanzieri hanno
sequestrato altri 17 chili di eroina e 2,5 chili di cocaina. Il traffico era gestito dall’Albania, dove
c’era la base logistica e dove si incontravano gli affiliati. La droga veniva portata in Grecia, a
Patrasso, per lo stoccaggio, poi imbarcata per l’Italia, passando per Bari. Il referente pugliese è stato
arrestato a Foggia. E’ stato accertato che soltanto una minima parte del carico rimaneva in Puglia; il
resto trasferito nel milanese, dove era stato allestito un vero e proprio laboratorio, destinato al taglio
ed al confezionamento della droga.
16 luglio
BARESI IN AFFARI CON ROMENI
L’organizzazione disarticolata attraverso l’esecuzione delle otto ordinanze di custodia cautelare e al
sequestro del deposito nel territorio di Carbonara ha raccolto e movimento, secondo quanto rilevato
nel periodo di indagine, almeno due tonnellate di rame. È presumibile che il quantitativo sia
superiore. Rame raccattato dai bottini di bande più o meno organizzate composte da cittadini
stranieri, in particolare rumeni che battevano la provincia. I predoni del cosiddetto «oro rosso»
provocano gravi ritardi o interruzione di servizi di pubblica utilità, nel settore dei trasporti e delle
comunicazioni; incidono negativamente sulla vita e sul lavoro delle imprese e delle famiglie.
Questi furti in particolare in danno degli impianti di Enel e Telecom, hanno creato una minaccia
all’ordine e alla sicurezza pubblica. Lo spunto che ha messo in movimento questa indagine poi
condotta con strumenti e modalità tipiche della inchieste sulla criminalità organizzata (ndr,
appostamenti, pedinamenti e una intensa attività tecnica) è nato da una serie di controlli eseguiti dai
militari della stazione di Carbonara. Si è riusciti così a ricostruire l’intera filiera di un traffico di
rifiuti che è stata documentata anche grazie al ritrovamento del libro mastro del deposito di
Carbonara. Il rame veniva trattato in maniera da cancellare i segni distintivi applicati sul metallo da
Telecom ed Enel ma nonostante questo si è riusciti a ricostruire per una parte del rame recuperato la
sua origine.
30 luglio
SI SPARA PER STRADA
C'è tensione negli ambienti criminali di Bitonto. La seconda sparatoria, quasi certamente un
avvertimento, è stata registrata venerdì pomeriggio in via Ammiraglio Vacca, ad una settimana
esatta dai cinque colpi di pistola contro i portici di via Pertini, nella zona 167. Almeno tre colpi di
arma da fuoco sarebbero stati sparati da un’auto in corsa contro una villetta nella zona più periferica
di via Ammiraglio Vacca, oltre l’incrocio con via Traiana, verso via Terlizzi. Gli uomini della
polizia, allertati da diverse segnalazioni anonime giunte in commissariato che riferivano di colpi di
arma da fuoco, hanno proceduto con i rilievi e avviato le indagini. Sono state acquisite le immagini
dei sistemi di videosorveglianza di alcuni esercizi commerciali e ascoltati diversi residenti. Sul
posto, tuttavia, non sono stati trovati bossoli, né fori d’entrata dei proiettili, né tracce di sangue. Due
gli elementi su cui stanno lavorando in queste ore gli agenti del commissariato. In zona, abita una
nota famiglia della criminalità bitontina, il cui capo famiglia è tornato a casa dopo un periodo in
carcere. Potrebbe essere proprio lui, dunque, il destinatario dell’avvertimento, così come già
accaduto in passato. Nell’estate di tre anni fa, sei colpi di 6,75 furono esplosi da un’auto in corsa
contro casa sua. Da allora, nella pacifica e residenziale via Ammiraglio Vacca, non si è registrato
nessun altro episodio degno di nota. Ancora tutta da valutare, poi, la relazione fra l’episodio di
venerdì e l’avvertimento in via Pertini della scorsa settimana. Una moto, quasi certamente uno
scooterone con a bordo due persone, ha fatto fuoco contro i portici di una palazzina delle case
popolari della zona, residenza abituale di numerose vecchie conoscenze delle forze dell’ordine,
quartiere noto in tutta la provincia per lo spaccio di hashish e marijuana. Destinatario delle
pallottole, con ogni probabilità, un pusher o una vedetta, assoldato dai boss del quartiere per
controllare e presidiare la zona. La sparatoria, com'è noto, non ha provocato né vittime né feriti: il
bersaglio è infatti riuscito a scappare. I due episodi potrebbero essere legati fra loro? Potrebbe la
sparatoria di venerdì considerarsi la risposta all’avvertimento di via Pertini? A completare il quadro
su cui lavorano le forze dell’ordine, gli arresti eccellenti di questa settimana, che hanno portato in
carcere 6 giovanissimi esponenti legati a doppio filo con gli Strisciuglio di Bari.
7 agosto
TURISTI VITTIME
Anche vicino al lungomare e al porto di Bari, ora, scatta l’allarme furti. Colpi che riguardano
ancora una volta i turisti o comunque gli stranieri che approdano a Bari anche solo di passaggio e
che lasciano anche solo per poco tempo le proprie vetture per strada. Una coppia di francesi che
avrebbe dovuto imbarcarsi su un traghetto ha lasciato la macchina vicino al lungomare, non distante
dal porto. Quando sono tornati hanno trovato il vetro infranto: dall’auto avevano portato via tutto,
anche tremila euro che avevano lasciato nella valigia e i documenti. Un colpo che per i turisti ha
significato la fine della vacanza con un ritorno a Roma per ottenere un duplicato del passaporto.
Un’altra auto, invece, è stata danneggiata all’interno del porto: ancora una volta i ladri hanno
mandato in frantumi il vetro della vettura per rubare una borsa. E altri casi simili sono stati segnalati
dall’inizio dell’estate. Furti che preoccupano anche e soprattutto per il danno di immagine che il
capoluogo pugliese subisce.
13 agosto
27 A PROCESSO PER ESTORSIONI E DROGA
Inchiesta «Bing bang», penultimo atto. La procura antimafia ha notificato a 27 indagati
presumibilmente vicini alla famiglia malavitosa degli Strisciuglio e ai loro difensori l’avviso della
conclusione delle indagini preliminari per i reati di associazione mafiosa, associazione per
delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, estorsione ai danni di cantieri e
discoteche, porto e detenzione illegale di armi da guerra e comuni da sparo. L’inchiesta ha
coinvolto 81 indagati e condotto in carcere lo scorso mese di giugno le articolazioni del clan che
avevano messo a radici a Libertà, Enziteto, Carbonara e San Paolo.
22 agosto
ALTRA SPARATORIA A BITONTO
A preoccupare gli investigatori è il potenziale di fuoco a disposizione della malavita organizzata.
L'azione intimidatoria avvenuta martedì sera a Bitonto, venti proiettili esplosi da una mitraglietta,
dimostra che i clan possiedono armi militari. I carabinieri hanno acquisito il video della telecamera
che punta su via Pertini, luogo dell'ultima sparatoria, la quarta in un mese e mezzo che si consuma a
Bitonto. Probabilmente, ipotizzano gli investigatori, chi ha sparato ha voluto lanciare un messaggio
a Domenico Conte, ritenuto il capo dell'omonima cosca. Conte, infatti, abita proprio nei palazzi che
affacciano su via Pertini. Ora, però si temono anche ripercussioni su Bari, dove i clan sono in
fibrillazione. Intanto, i cittadini di Bitonto, su Internet, protestano per la mancata sicurezza e
qualcuno si chiede che fine abbiano fatto i rinforzi promessi dal ministro dell'Interno, Angelino
Alfano. I poliziotti e carabinieri sono arrivati in Puglia, ma sono anche già stati trasferiti altrove.
25 agosto
PISTOLA E DROGA IN ASCENSORENASCONDIGLIO DEI CLAN
Un nascondiglio della mala è stato scoperto dai carabinieri nel quartiere Stanic di Bari. I militari del
Nucleo operativo della Compagnia di Bari Centro hanno ritrovato, nascoste fra le travi del vano
ascensore, una pistola semiautomatica Beretta modello 70, calibro 7,65, completa di caricatore con
8 cartucce, con matricola abrasa. E poi, una scatola contenente 16 cartucce dello stesso calibro,
nonché 165 grammi di droga (112 grammi di eroina e 53 di hashish). La droga e la pistola sono
state messe sotto sequestro. L’arma, d’intesa con la Procura della Repubblica di Bari, sarà
sottoposta ad accertamenti tecnico- balistici da parte dei carabinieri della Sezione investigazioni
scientifiche, per accertare se sia stata utilizzata in recenti episodi di sangue.
6 ottobre
«È GUERRA DEI CLAN, MA NON DI MAFIA»
Confermate nella sostanza le accuse della Procura contro gli otto indagati per gli agguati mortali
della scorsa primavera Il giudici del Riesame hanno lasciato in cella i presunti sicari della faida
Caracciolese – Fiore Nel dispositivo i giudici del Tribunale della Libertà hanno dato ragione alla
tesi accusatoria, elaborata sulla scorta del lavoro di indagini svolto dalla Squadra Mobile della
Questura. Hanno fatto breccia anche le argomentazioni portate dai legali degli indagati. Ne è
testimonianza il fatto che, a quanto pare, non sarebbe stata riconosciuta la cosiddetta «aggravante di
aver favorito un clan mafioso», cosa che avrebbe indotto a rivalutare la chiave di lettura dei fatti
così come ricostruiti e interpretati dall’accusa.
9 ottobre
TUTTI ASSOLTI
Ad Altamura non c'è stato alcun intreccio tra mafia, politica e colletti bianchi. A due anni
dall'inchiesta della Dda, è stata letta la sentenza al termine del processo che vedeva alla sbarra
carabinieri, avvocati e politici. Il gup del Tribunale di Bari, ha assolto tutti gli imputati con formula
piena dalle accuse che venivano rivolte dalla Procura barese. In primo grado, al termine del
procedimento celebrato con il rito abbreviato, sono stati ritenuti innocenti sei imputati. L'ipotesi
investigativa dei pm titolari dell'inchiesta, era che il tessuto sociale, economico e persino la
macchina amministrativa di Altamura fossero stati inquinati dalla criminalità organizzata. In
particolare, nell'indagine si sosteneva che il boss Bartolo Dambrosio per diversi anni avesse goduto
del sostegno, copertura e dell'aiuto di forze dell'ordine, amministratori pubblici e imprenditori
locali. Una tesi crollata durante il processo che, ieri, si è chiuso con sei assoluzioni.
13 ottobre
IL CLAN PUNISCE L’ASPIRANTE BOSS 17ENNE
Punito e gambizzato ad appena 17 anni per aver disatteso le regole del clan. Nonostante non sia
nemmeno maggiorenne, il giovane boss in erba puntava a prenderne le redini di un gruppo
malavitoso di Bitonto, ma la sua smania di potere l'ha pagata a caro prezzo: è stato raggiunto da due
o forse tre persone e, dopo la ramanzina verbale e un diverbio, è stato colpito alla gamba con un
proiettile Non è stato facile per i carabinieri ricostruire quanto fosse accaduto, perché nonostante i
testimoni nessuno ha denunciato. Solo quando il ragazzo è stato trasferito a Bari, al Policlinico, i
medici hanno avvertito le forze dell'ordine. Ma intanto erano trascorse più di due ore. Sul luogo
della sparatoria, però, i carabinieri sono riusciti ugualmente a trovare il bossolo e con le immagini
delle telecamere di videosorveglianza dell'ospedale hanno ricostruito almeno gli istanti dell'arrivo
nella struttura sanitaria. Ai militari il ragazzino ha detto solamente di essere stato ferito da due
persone a bordo di uno scooter che avrebbero agito a volto coperto Chi ha ferito il minorenne ha
voluto solo lanciargli un preciso messaggio: «Resta al posto tuo». Una intimidazione mafiosa, un
avvertimento a chi, con ogni probabilità, stava cominciando ad alzare troppo le sue mire,
provocando malumori nella cosca, soprattutto tra i vecchi capi non certo pronti a farsi sostituire. La
gambizzazione - secondo gli inquirenti - altro non è che un modo per scoraggiare il 17enne pronto
alla scalata al potere. Almeno nei suoi programmi criminali. Era un volto conosciuto alle forze
dell'ordine: si era già reso protagonista di azioni criminali. Gli investigatori lo hanno descritto come
una persona violenta e rissosa, con una spiccata personalità... Gli investigatori i militari sembra
abbiano seguono un'altra pista, quella che potesse portare ad una resa dei conti all'interno di uno
stesso gruppo criminale.
15 ottobre
CERTIFICATI PER I BOSS – INCHIESTA SUI MEDICI
L'inchiesta su Cosimo Fortunato, presunto braccio destro del boss Savino Parisi, si allarga. Nei
giorni scorsi, gli investigatori della guardia di finanza, gruppo Gico, si sono presentati con una
delega firmata dalla pm della Dda, Lidia Giorgio, negli uffici della direzione sanitaria del
Policlinico e hanno acquisito le cartelle cliniche e l'intera documentazione. Pile di carte che
ora vengono analizzate dagli inquirenti, obiettivo delle indagini è capire se il 50enne,
considerato dall'Antimafia luogotenente del clan di Japigia, possa essere riuscito ad evitare il
carcere grazie alla collaborazione di medici conniventi. Secondo le indagini svolte dalle
fiamme gialle, Fortunato si sarebbe procurato ecchimosi ed escoriazioni sul viso e sul resto del
corpo per simulare crisi epilettiche ed essere scarcerato. Con questo stratagemma, il 50enne,
oggi ai domiciliari, dopo ogni arresto sarebbe riuscito ad evitare la detenzione dietro le sbarre.
L'epilessia, difatti, è una patologia che è considerata non compatibile con il regime carcerario,
il detenuto che ne soffre, quindi, sconta la pena o la custodia cautelare ai domiciliari o, in
alcuni casi, addirittura può essere revocata la misura. Il presunto trucco, però, è stato scoperto
dagli investigatori del Gico che, insospettiti, hanno filmato di nascosto Fortunato mentre era
ricoverato nel centro detenuti del Policlinico in seguito ad un'altra (presunta) crisi epilettica.
Nelle immagini si vedrebbe l'uomo che si reca in bagno e, per diversi minuti, si strofina con
violenza volto e corpo con un asciugamano per procurarsi le ecchimosi, per poi uscire e
gettarsi a terra per simulare un attacco epilettico. Sulla base dell'informativa della finanza, il
PM diede parere negativo alla richiesta di revoca. Il, GIP, dopo aver visionato la nuova
documentazione e averla trasmessa ai due consulenti che erano stati nominati, rigettò l'istanza
che era stata presentata dalla difesa di Fortunato. «In base alle registrazioni audio e video scriveva il giudice nel provvedimento - i verbalizzanti hanno riferito (non sono allegati
all'informativa né i nastri né i video) di avere potuto verificare come il Fortunato abbia
dissimulato le crisi epilettiche, nonché le conseguenze delle stesse (ecchimosi ed escoriazioni
al volto ed al corpo), giungendo anche a vantarsi con i co-detenuti della sua attività
simulatoria». Dalla sua, però, Fortunato ha diverse perizie che sostengono che "le condizioni di
salute" sono "incompatibili con lo stato detentivo" e che la "principale patologia" è "costituita
dalle ricorrenti crisi epilettiche". La Procura, su questo punto, vuole vederci chiaro e capire se i
medici sono stati tratti in inganno oppure qualcuno ha aiutato Fortunato - e altri detenuti - a
farla franca.
16 ottobre
SCATTA LA PAX MAFIOSA
Il silenzio delle pistole fa gli affari più proficui. È la legge dei saggi, quella sperimentata in Sicilia
ed importata in Puglia, a Bari, dove i clan hanno scelto di non farsi più la guerra. La “pax mafiosa”,
estesa a tutta la città, sarebbe stata siglata una decina di giorni fa, in un incontro al quale avrebbero
partecipato i capi di tutte le organizzazioni criminali del circondario barese. Un doppio incontro, in
realtà: nel primo, di natura più ristretta, al quale avrebbero preso parte solo alcuni boss baresi, quelli
storici e con un maggiore spessore criminale. Il gotha dei mafiosi avrebbe concordato di ammonire
coloro che hanno il grilletto facile, garantendo in città quel silenzio così utile ai business illeciti, più
gestibili quando le forze dell’ordine sono “distratte”, lontane dal territorio. E in quest’ottica hanno
poi convocato coloro che da anni sono in guerra, nello stesso tempo vittime e autori di vendette
incrociate, nomi che richiamano intere famiglie e che si sono resi protagonisti di cruenti fatti di
sangue. I Telegrafo e i Mercante, ad esempio, la cui scena è il quartiere San Paolo, i Campanale e i
Lorusso, che dividono il rione San Girolamo. A questi ultimi in particolare, sarebbe stato rivolto
l’invito a sotterrare per il momento le armi, a dimenticare le vendette. Proprio a San Girolamo,
infatti, nelle ultime settimane, gli investigatori avrebbero registrato movimenti sospetti. Il feroce
omicidio del capoclan Felice Campanale, del 28 agosto scorso, nelle intenzioni degli affiliati,
doveva essere vendicato con un’azione eclatante. Per il momento rinviata
1 novembre
UCCISO NEL 2007 PERCHE’ POTEVA PARLARE
I carabinieri del nucleo investigativo di Bari hanno arrestato, in esecuzione di un’ordinanza di
custodia cautelare emessa dal gip del Tribunale di Bari e su richiesta della Direzione Distrettuale
Antimafia, il 24enne Giuseppe Digiacomantonio, il 27enne Salvatore Ficarelli e il 32enne Giusuè
Perrelli, ritenuti vicini al clan Strisciuglio. I tre sono accusati di omicidio, tentato omicidio,
occultamento di cadavere, porto di armi, con l’aggravante della mafiosità. I fatti risalgono al luglio
2007. In via Amendolagine a Bitonto, quattro persone a bordo di una Fiat Uno sparano con una
mitraglietta contro due scooter: il 37enne Domenico Conte, capoclan di Bitonto, rimane illeso,
muore invece il 29enne Vito Napoli. È la guerra tra clan: gli Strisciuglio vogliono prendersi la
piazza dello spaccio di Bitonto in mano ai Conte-Cassano. L’agguato avviene a pochi metri dalla
stazione dei carabinieri, un militare riesce ad annotare la targa. Gli investigatori risalgono al
proprietario dell’auto: è Giuseppe Dellino. Il 29enne, scoperto, viene nascosto a Triggiano, ma lì i
suoi compagni decidono di farlo fuori. “I ragazzi che stavano insieme non si fidavano perché aveva
paura – confessa poi il pentito degli Strisciuglio Giacomo Valentino, referente del gruppo e
mandante dell’omicidio di Napoli – mi rompevano la testa ‘che dobbiamo fare?’ Facciamolo
sparire. Anche se non lo volevo ammazzare, gli volevo bene”. Dellino però viene ucciso e buttato in
un pozzo per paura che parli.
14 dicembre
ANZIANI TRUFFATI
L'aumento dei reati commessi in danno di persone avanti negli anni (fenomeno in crescita
esponenziale al ritmo dello 0,3 % per anno). Una 49enne, di Bari, «vecchia» conoscenza delle forze
dell’ordine è stata arrestata e accusata, di furto aggravato e di sostituzione di persona in danno di
ben sette anziani. Stando alla ricostruzione degli investigatori «la terza età» era per lei, presunta
frodatrice e gabbamondo di vecchio corso una sorta di «specializzazione criminale». Secondo la
versione dei carabinieri, la donna era solita avvicinare le vittime spacciandosi per funzionaria di enti
pubblici, a volte Inps e volte Asl. L’hanno lasciata entrare in casa e su sua richiesta le avrebbero
addirittura consegnato il denaro che custodivano gelosamente.
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