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Umorismo in Corsia - Fondazione Ospedale Salesi

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Umorismo in Corsia - Fondazione Ospedale Salesi
 Corso di Formazione
“ Umorismo in Corsia”
UMORISMO IN CORSIA
FONDAZIONE OSPEDALE SALESI
L’EMERGENZA
NEL BAMBINO
Il rischio burnout
M. Cristina Alessandrelli
Dirigente Psicologa
Ancona, 5 Settembre 2015
TEST BREVE SUL BURN OUT di B. Potter
Istruzioni: Leggi una frase alla volta e scrivi subito il punteggio.
Alla fine, somma i punteggi di ogni frase.
1
raramente
2
qualche volta
3
non saprei
4
spesso
5
continuamente
1. Mi sento stanco anche dopo una buona dormita____
2. Sono insoddisfatto del mio lavoro____
3. Mi intristisco senza ragioni apparenti ____
4. Sono smemorato____
5. Sono irritabile e brusco____
6. Evito gli altri sul lavoro e nel privato____
7. Dormo con fatica (per preoccupazioni di lavoro)____
8. Mi ammalo più del solito ____
9. Il mio atteggiamento verso il lavoro è “chi se ne frega”? ____
10. Entro in conflitto con gli altri ____
11. Le mie performance lavorative sono sotto la norma ____
12. Bevo o prendo farmaci per stare meglio____
13. Comunicare con gli altri è una fatica ____
14. Non riesco a concentrarmi sul lavoro come una volta____
15. Il lavoro mi annoia ____
16. Lavoro molto ma produco poco ____
17. Mi sento frustrato sul lavoro ____
18. Vado al lavoro controvoglia ____
19. Le attività sociali mi sfiniscono ____
20. Il sesso non vale la pena ____
21. Quando non lavoro guardo la tv ____
22. Non mi aspetto molto dal lavoro ____
23. Penso al lavoro, durante le ore libere ____
24. I miei sentimenti circa il lavoro interferiscono nelle mia vita privata ____
25. Il mio lavoro mi sembra inutile, senza scopo ____
Ora calcola il punteggio
da 25 a 50
E’ tutto OK
da 51 a 75
Meglio prendere qualche misura preventiva
da 76 a 100
Sei candidato al burnout
da 101 a 125
Chiedi aiuto
BURNOUT
Burned out
BURNOUT = «bruciare fuori»
bruciato, scoppiato, esaurito
1930
Incapacità di un atleta, dopo alcuni successi, di ottenere ulteriori risultati e/o
mantenere quelli acquisiti
BURNOUT
1974
à stato di sfinimento o frustrazione conseguente ad un’incapacità di
combinarsi e di adattarsi reciprocamente fra una persona e
un’organizzazione.
Freudenberg
1982
à il Burnout è una sindrome psicologica prolungata dovuta ad una
costante esposizione agli elementi stressanti, di tipo sia emotivo sia
interpersonale, presenti sul luogo del lavoro.
Maslach
BURNOUT
- Esaurimento emozionale
- Depersonalizzazione
- Riduzione delle capacità personali
(Maslach, 1976, 1982)
In passato à solo professioni d’aiuto
Oggi
à tutte le professioni
(Maslach & Leiter, 1997)
BURNOUT
3 fattori
1. Esaurimento emotivo (Emotional exhaustion) à
La sensazione della persona di avere esaurito le energie psicologiche,
fisiche ed emozionali per affrontare l’attività lavorativa.
2. Depersonalizzazione (Depersonalization) à
distacco nella relazione con i clienti e con gli utenti mediante un processo di
disumanizzazione basato sul trattamento degli altri come oggetti o numeri
piuttosto che come persone.
3. Ridotto senso di fiducia professionale (Reduced personal
accomplishment) à
l’operatore non si sente in grado di stabilire una relazione d’aiuto efficace
con i propri utenti, ha poca stima di sé a livello professionale, fino a sentirsi
in colpa per non riuscire ad aiutare gli altri.
(Maslach & Leiter, 2000)
BURNOUT
Queste 3 dimensioni hanno relazioni diverse con le variabili
lavorative:
•  Esaurimento emotivo e depersonalizzazione tendono
ad essere conseguenze di carichi di lavoro eccessivi o
conflitti interpersonali
•  Il senso di inefficacia tipico della ridotta realizzazione
personale appare a causa della mancanza di mezzi e di
risorse necessarie allo svolgimento del proprio lavoro.
BURNOUT
Uno dei motivi per cui oggi si presta attenzione a fenomeni e
disagi soggettivi nelle organizzazioni è costituito dal fatto che tali
disagi determinano costi (anche economici) oggettivi per
l’organizzazione.
(Vitale, 2013)
BURNOUT
Empowerment lavorativo, devianza e burnout: impatto sui risultati di
assunzione e mantenimento di uno staff infermieristico
(Laschinger et al., 2009)
Sul posto di lavoro l’empowerment è stato dimostrato essere
un importante precursore di variabili dipendenti correlate
positivamente con devianza lavorativa e burnout.
In ambito infermieristico, la percezione di empowerment
strutturale organizzativa si ipotizza essere fondamentale per
uno svolgimento lavorativo sereno e continuativo; al contrario,
la mancanza di motivazione e potere, è risultata essere un
fattore abilitante per la devianza sul luogo di lavoro, collegata
al burnout .
Individuo
Bun-out
Ambiente
C’è un legame tra stress e burnout
STRESS: fenomeno psicofisiologico fondamentalmente individuale
BURNOUT : fenomeno prevalentemente sociale, interfaccia tra individuo e contesto
Differenze tra stress e burnout
STRESS
BURNOUT
Riguarda prettamente la sfera
individuale ed è caratterizzato da
dimensioni fisiche
E’ un malessere organizzativo
generalizzato e riguarda la sfera
emotiva
Ha una natura momentanea
Ha una natura cronica
BURNOUT
Cause
Il burnout non è un problema dell’individuo in sé, ma del
contesto sociale nel quale opera. Quando l’ambiente di
lavoro non riconosce l’aspetto umano del lavoro, il rischio di
burnout aumenta.
La difficoltà di misurarsi con le proprie emozioni e di
conseguenza il non riconoscere il problema con conseguente
sentimento di rassegnazione rispetto alla vita sono
manifestazioni ben evidenti.
Il burnout è una sindrome contagiosa che si propaga in
maniera altalenante dall’utenza all’équipe, da un membro
dell’équipe all’altro e dall’équipe agli utenti e può riguardare
quindi l’intera organizzazione.
BURNOUT
Le cause
Maslach e Leiter (1997) hanno elaborato un nuovo modello
interpretativo che si focalizza principalmente sul grado di
adattamento/disadattamento tra persona e lavoro.
La sindrome del burnout ha maggiori probabilità di svilupparsi
quando è presente una forte discordanza tra la natura del lavoro e la
natura delle persone che svolgono tale lavoro.
Queste discrepanze sono da considerarsi come i più importanti
antecedenti del burnout e sono sperimentabili in sei ambiti della vita
organizzativa:
- carico di lavoro,
- controllo,
- ricompense,
- senso comunitario,
- equità,
- valori.
BURNOUT
Cause più frequenti
1. Lavoro in strutture mal gestite
2. Scarsa o inadeguata retribuzione
3. Organizzazione del lavoro disfunzionale o patologica
4. Svolgimento di mansioni frustranti o inadeguate alle
proprie aspettative
5. Insufficiente autonomia decisionale
6. Sovraccarichi di lavoro
BURNOUT
Altre cause
1. Mancanza di controllo
2. Gratificazioni insufficienti
3. Crollo del senso di appartenenza
4. Assenza di equità
5. Valori contrastanti
BURNOUT
Aree sintomatiche
1. Sintomi aspecifici
2. Sintomi somatici
3. Sintomi psicologici
BURNOUT
Sintomi aspecifici
• Irrequietezza
• Senso di stanchezza ed esaurimento tutto il giorno
• Guardare frequentemente l’ orologio
• Notevole affaticamento dopo il lavoro
• Apatia
• Nervosismo
• Insonnia
• Eccessivo uso di farmaci
• Alto assenteismo
BURNOUT
Sintomi somatici
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ulcere
cefalee
aumento o diminuzione ponderale
disturbi cardiovascolari
difficoltà sessuali
problemi di insonnia
raffreddori e influenze
mal di testa
disturbi gastro-intestinali
stanchezza
necessità di dormire
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dolore alla schiena
stanchezza agli arti inferiori
dolori viscerali
diarrea
inappetenza
nausea
vertigini
dolori al petto
alterazioni circadiane
crisi di affanno
crisi di pianto
BURNOUT
Sintomi psicologici
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stato di costante tensione
ansia
depersonalizzazione
senso di frustrazione
depressione
demoralizzazione
bassa stima di sé
senso di colpa
sensazione di fallimento
ridotta produttività
ridotto interesse e disimpegno verso
il proprio lavoro
•  rabbia
•  risentimento
•  irritabilità
•  aggressività
•  alta resistenza ad andare al lavoro
ogni giorno
•  indifferenza
•  scoraggiamento
•  negativismo
•  isolamento e ritiro (disinvestimento)
•  sensazione di immobilismo
•  sospetto e paranoia
•  rigidità di pensiero
•  resistenza al cambiamento
BURNOUT
Sintomi psicologici
Crollo delle energie psichiche: l’operatore è apatico,
demoralizzato, non riesce a concentrarsi, sviluppa paure
immotivate e sensi di colpa, si sente fallito.
Crollo della motivazione: il distacco emotivo dal suo
lavoro conduce alla perdita della sua capacità empatica e al
rifiuto di utenti e colleghi.
Caduta dell’autostima: tutti i compiti lavorativi appaiono
troppo difficili, insostenibili.
Perdita di controllo: l’operatore non riesce più a
circoscrivere lo spazio o l’importanza del lavoro nella sua
vita; “portarsi il lavoro a casa”
BURNOUT
Sintomi psicologici
•  difficoltà nelle relazioni con gli
utenti
•  .perdita di sentimenti positivi verso gli
utenti
•  rimandare i contatti con gli utenti,
•  respingere le telefonate dei clienti
e le visite
•  avere un modello stereotipato degli
utenti
•  incapacità di concentrarsi o di
ascoltare ciò che l’utente sta dicendo
•  cinismo verso gli utenti
•  atteggiamento colpevolizzante nei
loro confronti e critico nei
confronti dei colleghi
•  evitare discussioni di lavoro con i
colleghi
•  reazioni negative verso familiari e
colleghi
•  preoccupazione per sé
•  maggiore approvazione di misure di
controllo del comportamento come i
tranquillanti
•  seguire in modo crescente
procedure rigidamente
standardizzate
•  distacco emotivo
•  conflitti coniugali e familiari
CONSEGUENZE: abuso di alcool, di psicofarmaci o fumo
Cosa rinforza il burnout?
La mancanza di un riscontro positivo: spesso una
volta guariti i pazienti non ritornano.
La mancanza di feed back positivi da parte
dell’utenza che ci fa sentire ancora di più il
fallimento del nostro lavoro
BURNOUT
BURNOUT
Interventi
Possono essere utili gli interventi
nei quali l’azione è focalizzata
sia sull’individuo sia sul luogo di lavoro.
Maslach
BURNOUT
Interventi
A livello individuale:
• porsi degli obiettivi realistici
• variare la routine
• fare delle pause
• prevenire il coinvolgimento eccessivo nei problemi della
vittima
• favorire il benessere psicologico e bilanciare frustrazione
e gratificazione
• applicare tecniche di rilassamento fisico e mentale
• separare lavoro e vita privata, per evitare la propagazione
del malessere nella vita familiare
BURNOUT
Interventi
A livello sociale:
• rafforzare la relazione con amici e familiari allo scopo di
compensare i sentimenti di fallimento e frustrazione legati
alla vita lavorativa, volontariato, ecc.;
• rafforzare le relazioni positive con altri operatori da cui
possono derivare riscontri positivi, sostegno, utili confronti.
BURNOUT
Interventi
A livello istituzionale:
• incontri con il personale dei diversi livelli per fluidificare i
rapporti e risolvere le conflittualità
• riorganizzare il lavoro per renderlo più vario e interessante
• promuovere il confronto fra le aspettative degli utenti e gli
obiettivi del servizio, per evitare equivoci
• agire sulle caratteristiche dell’ambiente nel quale il lavoro si
svolge
• assicurare chiarezza degli obiettivi organizzativi e
coerenza tra enunciati e pratiche organizzative
BURNOUT
Interventi
A livello istituzionale:
• riconoscimento e valorizzazione delle competenze
• comunicazione intraorganizzativa circolare
• circolazione delle informazioni
• prevenzione degli infortuni e dei rischi professionali
• clima relazionale franco e collaborativo
• scorrevolezza operativa e supporto verso gli obiettivi
• giustizia organizzativa
• apertura all’innovazione
• stress e conflittualità
BURNOUT
Interventi
A livello organizzativo:
• condividere la gestione del carico di lavoro con il gruppo;
• creare e alimentare il senso di squadra;
• partecipare attivamente al processo decisionale:
personalizzazione dello stile, adattamento degli orari;
• comunicare: chiarezza dei messaggi; obiettivi realistici e
credibili;
• riconoscere una ricchezza nelle diversità: cogliere le
potenzialità positive nell'incontro con operatori e colleghi;
• crescere professionalmente: formazione e cultura
dell'approfondimento.
BURNOUT
Legislazione
1994 - Decreto legislativo 626/94 à attesta la condizione di assenza di
rischio o di rischio accettabile.
2002 - Articolo 4 del D lgs viene modificato à la valutazione deve
riguardare tutti i rischi.
2007 - Legge n.123/07 à attribuisce al governo la delega ad emanare un
Decreto legislativo per «riordinare» tutta la normativa sulla tutela della
salute e la sicurezza sul lavoro.
2004 - 8 Ottobre 2004 à stipulazione a Bruxelles dell’Accordo Europeo
sullo Stress Lavoro - correlato.
2008 - Decreto legislativo n. 81/08 à lo stress lavoro correlato deve
essere sottoposto a «valutazione» come rischio.
Incontro con la sofferenza
“Ha un senso questa sofferenza umana?
Che senso ha nella vita dell’uomo?
Quale è il senso del mio lavoro?”
Come vediamo l’utente?
L’utente è visto
solo come
portatore di
problemi da
risolvere, o
come un
soggetto che
riceve
passivamente il
nostro aiuto
Sua parte
sana, a quella
dovremo dare
fiducia e
potenziarla
L’incontro con la vulnerabilità e la fragilità dell’altro può
diventare un peso eccessivo, quando si è soli a sopportarlo
La nostra risposta può
essere :
BURNOUT
Strategie
Ø  Confini ben definiti
Capacità di distinguere il disagio altrui da quello che
deriva dalla partecipazione alla sofferenza altrui è
fondamentale per non essere travolti dal dolore e
dall’angoscia.
Avere confini chiari non solo con
l’equipe, ma anche con l’utente
vuol dire stabilire contatti
strettamente professionali, che non
coinvolgano il fruitore della terapia
e il terapeuta in altri ruoli alternativi.
Ø Acquisire consapevolezza di cosa
realmente ci sta stressando. E’ importante
identificare le fonti di stress.
Ø Modificare la valutazione cognitiva
dell’ambiente. Prima di tutto riconosciamo la differenza
tra le cose che possiamo controllare e quelle che non
possiamo controllare.
Ø  ALLENAMENTO EMOTIVO
Capacità di allenare la nostra mente a familiarizzare
con i nostri sentimenti
ad avere meno paura
…Imparare
ad accettarci
Riconoscere l’impotenza senza farcene travolgere
Dobbiamo sviluppare un allenamento emotivo sull’impotenza
Dobbiamo allenarci a ricordare che
l’impotenza
accompagna la condizione umana!
PRINCIPI DELL’INTELLIGENZA EMOTIVA
Autoconsapevolezza
Controllo delle emozioni
Empatia
Gestione delle relazioni
Ø  LAVORO DI SQUADRA
Modello circolare organizzativo
In questo modello, esiste un leader riconosciuto
dall’equipè di lavoro.
Le decisioni vengono prese assieme al leader, con
libera scelta per quanto riguarda la divisione del
lavoro e le valutazioni di tipo obiettivo.
Affinchè un gruppo funzioni bene è importante un
fine , che vi sia concordanza fra i membri per
quanto riguarda questo fine, e che ciascuno abbia
motivazioni sufficienti per raggiungerlo.
In assenza di obiettivi da raggiungere o in
presenza di operatori che sposano altre cause o
che hanno scelto un lavoro per un altro, oppure che
presentano una immaturità di base con incapacità
di adeguarsi ai cambiamenti si produce un gruppo
laissez fair, improduttivo ai fini del lavoro.
Ø  Evitare l'isolamento professionale:
FORMAZIONE
COSTANTE AGGIORNAMENTO
CICLO DELLA FORMAZIONE
formazione di base
(la semina)
esercizio professionale
(il nuovo raccolto)
esercizio professionale
(il raccolto)
formazione continua
(l’acqua, il sole)
Ø  SUPERVISIONE
Aiuta a fare il punto della situazione correggendo le
dinamiche disfunzionali incoraggiando chi soffre ad
esprimere i propri vissuti e le proprie emozioni.
Ø  Coltivare la sfera privata, l'operatore
dovrebbe avere un'altra vita oltre a quella
professionale, sarebbe importante coltivare
i propri interessi che forniscono
appagamento e soprattutto ricarica.
Ø  Avere cura di sé ,mantenere un buon
stato di salute tramite una buona
alimentazione, esercizio fisico e riposo
adeguato.
Ø  Riflessione personale, riservarsi uno
spazio per la riflessione personale.
Ø  Pensiamo positivo
Riconosciamo i nostri successi e cerchiamo di
ricompensarci in qualche modo.
Poniamoci dei piccoli obiettivi a breve termine.
Cerchiamo di non considerare le critiche come un
attacco personale, ma in maniera costruttiva,
come un’opportunità di crescita.
Ø  Rivediamo la scala di valori
Consideriamo quello che c’è al di fuori del lavoro:
FAMIGLIA, AMICI, ALTRI INTERESSI
Ø  Humor
Impariamoci a prenderci meno sul serio,
a ridere di noi
[email protected]
LA CLOWNERIE COME MEDIAZIONE
DELLO STRESS IN REALTA'
TERAPEUTICHE E
COME PERCORSO DI CRESCITA
BANDO MINISTERIALE – DIP . PARI
OPPORTUNITA' 2010 - 2011
Cap. 1
Come nasce e si definisce la Clownterapia e
la figura del Clowndottore
Cap. 2
La clownerie come forma di sostegno nel
gioco e nella relazione d'aiuto con un
bambino (malato) oncologico
Cap. 3
Conclusioni:
efficacia e prospettive di un approccio
multidisciplinare di sostegno del bambino
malato
LA CLOWNERIE COME MEDIAZIONE
DELLO STRESS IN REALTA' TERAPEUTICHE E COME
PERCORSO DI CRESCITA
Thomas Sydenham, autorevole medico del XVII secolo, era solito affermare che:
“L’arrivo di un buon clown esercita, sulla salute di una città, un’influenza benefica
superiore a quella di venti asini carichi di medicinali” (Tringale, 1999).
“L’umorismo”, scrive Freud, ” E' uno strumento che permette di trarre piacere anche da
avvenimenti e circostanze difficili”.
Il clowning si sta diffondendo in molti settori dell’educazione e della cura: oltre ad essere
un’attività di distrazione in ospedale, più nota perché più pubblicizzata (terapia del sorriso), è
diventato uno strumento per avvicinare ragazzi difficili, avvicinare anziani, portatori di handicap
psicofisico e mentale, un modo per incontrare popolazioni in situazioni di disagio; una tecnica
di educazione psicomotoria nella scuola.
La clownerie aiuta a sviluppare l’autostima, favorire l’integrazione fra gruppi, sollecitare
l’interesse per i sofferenti e i bisognosi d’aiuto, riscoprire una gestualità e una corporeità
spontanea e infantile che consenta una migliore espressione delle emozioni, ridere e far ridere
attraverso l’autoironia e la scoperta delle proprie parti comiche.
Quando il clown esce dal circo, e si trasforma in un “medico clown” o in un “portatore di pace”, o
in un “clown maestro”, anche la sua tecnica deve essere adattata alla situazione. L’enfasi dei
gesti si attutisce, il tono della voce si smorza e il clown cerca di cogliere i bisogni dell’altro a cui
si rivolge.
Il suo messaggio non è necessariamente comico né tende a far ridere ad ogni costo: spesso il
clown piange insieme ai sofferenti a cui offre la sua arte, e la sua comicità ha sempre un fondo
agrodolce. Non potrebbe essere altrimenti perché la sua è una maschera simbolica della
goffaggine e della miseria che fa sorridere gli altri. Un esempio classico è la famosa Gelsomina
del film La strada di Fellini: dolcezza struggente, fragilità, ma anche umanità profonda e
ingenua la rendono buffa e triste ad un tempo, emblema dei poveri e dei diseredati.
Triste o allegro, deriso o malmenato, il clown gioca tutta la sua arte sull’espressività corporea e
per questo necessita di un costante addestramento ginnico per affinare la gestualità, l’agilità e
la mimica. Si tratta di una ginnastica che punta a riconoscere e ad accettare i difetti di postura,
le caratteristiche personali dell’andatura, la rigidità o la difficoltà nell’espressione delle emozioni:
sarà quindi necessario un percorso lento e faticoso di presa di coscienza oltre che di
apprendimento di tecniche specifiche.
E’ molto importante, che il corpo venga considerato, fin dalla prima infanzia come uno
strumento fondamentale, coinvolto in tutti i processi psicologici ( Farneti, Carlini, 1981;
Argyle,1992).
Lecocq, il celebre maestro parigino, collocava la formazione del clown alla fine di una dura
scuola di teatro di due anni e sosteneva che non tutti gli attori sono in grado di diventare clown
(Lecocq, 2000).
Se la comicità del clown appare ingenua, disinibita, infantile, per apparire tale, è necessario un
lungo lavoro perché il clown non è un bambino anche se ad esso si ispira.
Freud sosteneva che noi sorridiamo o ridiamo dell’ingenuità solo se siamo convinti che chi la
commette non è soggetto alle nostre inibizioni, altrimenti ci indigniamo. Per esempio, se un
bambino mette un dito nella torta e lo lecca, noi ridiamo, ma se lo fa un adulto, ci irritiamo
(Freud, 1975).
COME, DOVE, QUANDO E PERCHE' E' NATA LA FIGURA DEL CLOWN DOTTORE.
Nel 1986 Michael Christensen, direttore del Big Apple Circus di New York, fondò la prima
Clown Care Unit (unità di sostegno sanitaria di clown) che cominciò ad operare in New York,
Boston, Los Angeles e San Francisco. Sono stati creati circa 17 progetti negli ospedali
pediatrici distribuiti su tutto il territorio Americano con circa 90 clowns operativi e oltre 200.000
bambini assistiti fino ad oggi. I clown dottori sono spesso veri e propri clown, artisti di strada,
attori o musicisti che dopo un’attenta selezione e formazione vengono inseriti negli ospedali
dove, in collaborazione con il personale medico e paramedico, si attivano per alleviare l’ansia e
la paura che attanaglia il bambino ricoverato e la sua famiglia.
Un importante apporto al lavoro delle Clown Care Unit sono stati i finanziamenti elargiti dalla
Garrett Smith Foundation, una fondazione nata in ricordo di un bambino scomparso a causa di
un grave tumore. I clown dottori sono spesso veri e propri clown, artisti di strada, attori o
musicisti che dopo un’attenta selezione e formazione vengono inseriti negli ospedali dove, in
collaborazione con il personale medico e paramedico, si attivano per alleviare l’ansia e la paura
che attanaglia il bambino ricoverato e la sua famiglia. Ci sono anche i dottori clown che ha tra i
suoi più estimati componenti Patch Adams, un eccentrico medico che, dopo una durissima
gavetta fatta di esperienze forti come il ricovero in un ospedale psichiatrico di sua volontà,
decise di costruire la prima clinica del sorriso, l’istituto Gesundheit in West Virginia, dove, oltre
alle prestazioni mediche, viene praticata la terapia del sorriso come sostegno terapeutico. La
distinzione tra clown dottori e dottori clown è netta ed importante, poiché gli uni
sdrammatizzano con l’arte circense e con la “terapia del buon umore” la paura, l’ansia delle
pratiche terapeutiche, con specificità professionali del mondo dello spettacolo e delle
professioni sociali, mentre i dottori clown sono medici o paramedici che hanno un’esperienza
lavorativa di stampo medico alle spalle con un approccio al malato più personalizzato ma di
difficile conciliazione con il proprio ruolo professionale.
La malattia e il ricovero sono esperienze dolorose e non sono facilmente comprensibili, si
vivono in modo molto fisico e la mentalizzazione dell'evento è di difficile applicazione, questo lo
sanno bene gli psicologi che assistono questo tipo di malati (bambini),
giocando si può
rappresentare più e più volte la situazione ansiogena e si insegna a conoscerla e a controllarla,
la ripetizione permette di ristabilire uno stato di quiete e di sicurezza.
L’ansia è una
caratteristica predominante e patologica nelle manifestazioni di stress. L’ansia è vissuta anche
come reazione adattiva allo stress, poiché prepara l’organismo all’azione. A livello fisiologico
l’ansia si caratterizza per un’alterazione degli apparati e dei sistemi fisiologici interni, con una
condizione di simpaticotonia cronica e un respiro in genere affannoso, alto e toracico. Spesso
sono presenti modificazioni delle percezioni e del tono muscolare di base in numerosi distretti
corporei dell’organismo. I movimenti sono limitati e stereotipati, spesso sono bruschi e a scatti.
Mancano in genere quelli morbidi, quelli ampi, quelli forti ma calmi (Rispoli, Università di Napoli
1992).
Le finalità del Clown Dottore è di dare sostegno in realtà terapeutiche particolari, di ironizzare
sulle pratiche mediche per sdrammatizzare certi stati d’angoscia che possono assalire chi è
malato e chi lo assiste, tutto questo per dare vigore all’aspetto della parte sana presente nel
malato per influenzare la parte malata ad accelerare i processi di guarigione (Hodgkinson,
1995/2001).
1.2) Cosa fa un Clown Dottore?
I Clown Dottori operano principalmente in equipe (coppia), possibilmente maschio e femmina: è
questo un meccanismo assai collaudato che consente sia di improvvisare (meccanismo
Augusto/Bianco) sia di operare su più fronti (bambino/mamma, genitore o altro parente,
comunità), sia di sostenersi vicendevolmente nei più diversi momenti.
Come è ampiamente dimostrato, quando il Clown Dottore entra in reparto l'atmosfera della
corsia è già mutata.
Nei contesti sociali opera anche in forma laboratoriale, come casa famiglia, case di riposo,
comunità per minori, carceri e altri contesti di disagio.
In detti casi il clown si intende al servizio della persona e quindi opera in una dimensione
sociale
1.3) Le principali tipologie di intervento
a) Intervento “Visite Clown”
Si tratta in genere di un giro di visite compiuto dalla coppia di Clown Dottori, stanza per stanza,
in modo da essere efficaci con ogni singolo bambino (e genitore presente). Questa modalità di
intervento è quella solitamente più usata anche con pazienti adulti.
b) Intervento in affiancamento allo staff durante le terapie mediche
Si tratta di una modalità di intervento che utilizza le tecniche di distrazione, in affiancamento allo
staff, durante procedure mediche e dolorose come aspirato midollare, puntura lombare,
accompagnamento in sala operatoria, interventi prima o dopo l’anestesia. Questo tipo di
intervento sta diventando sempre più richiesto dagli operatori sanitari, sperimentando nuovi
spazi di impiego del Clown Dottore.
c) Gli interventi nei contesti sociali e / o sociosanitari e tutelari.
Essi hanno varie tipologie e varie modalità di esecuzione (laboratoriale, finalizzati
alla riabilitazione, alla prevenzione, alla crescita personale, alla formazione).
1.4) La definizione del profilo (come richiamato dal Bando Nazionale del Mnistero Pari
Opportunità)
Il Clown Dottore è una Figura Tecnica Socio Sanitaria di base, e lavora nelle strutture
Ospedaliere, Tutelari e Sociali.
Il Clown Dottore utilizza gli strumenti del clown, integrandoli con conoscenze
psico-socio-sanitarie per facilitare le relazioni all’interno di un sistema, cogliendone le
dinamiche relazionali e riformulando la lettura di esse in chiave paradossale, al fine di agire
sulle emozioni, trasformandole.
E’ una figura basata su una specifica formazione professionale di carattere teorico-pratico.
Svolge attività con persone di diverse età, realizza i propri interventi in base ad una specifica
formazione professionale con un modello metodologico strutturato, concordando sempre gli
obiettivi con le altre figure professionali.
1.5) Le competenze
Per svolgere la sua attività, al Clown Dottore sono richieste:
Competenze artistiche mutuate dall’arte del clown, dell’umorismo, della comicità, dell’improvvisazione
teatrale e della creatività.
Capacità relazionali con una adeguata conoscenza psicologica e interculturale.
Autonomia e responsabilità secondo metodologie definite e precisi ambiti di intervento operativo.
1.6) La formazione
Il percorso formativo proposto deve essere attuato attraverso un corso qualificante di formazione, per
accedere al quale si deve aver conseguito il diploma di scuola media superiore e ave sostenuto un colloquio
motivazionale e psico-attitudinale.
Il corso deve fornire sicuramente delle basi teoriche nelle aree che di seguito vengono indicate , ma si ritiene
che una grande parte delle formazione debba derivare dalla pratica, sia in laboratorio, sia nelle strutture, con
forme di tirocinio.
Affinché la formazione del tirocinante sia completa, saranno necessarie le figure del Tutor (Clown Dottore
esperto) e del supervisore psicologico che provvederanno a monitorare le attitudini e le attività.
E' necessario che chi svolge questa attività, anche dopo una formazione qualificata, si
sottoponga a processi di formazione periodica (con cadenza almeno annuale) e di supervisione
costante.
Nel percorso formativo dovrebbero essere previste le seguenti aree di competenza (studio
ClownFormanet – università di Firenze – prof. Enzo Catarsi, ed GIUNTI OS):
AREA ARTISTICA
Tecniche di clowning
Tecnica di pantomima
Tecniche di improvvisazione teatrale
Tecniche di lavoro in gruppo
Elementi di microprestidigitazione e giocoleria
AREA PSICO – SOCIO – SANITARIA
Gelotologia
Elementi di psicologia
Tecniche della comunicazione
Studio delle patologie in relazione alle fasce d’età
Studio della normativa ospedaliera
Norme sulla privacy
Norme di igiene
Norme di sicurezza sul lavoro (L.n.626)
Conoscenze socio-antropologiche ed interculturali
Conoscenza dei contesti operativi
Sintesi dei requisiti d’accesso alla formazione
Scuola media superiore
Equilibrio della personalità
Buona attitudine all’ascolto
Capacità di lavoro in coppia ed in gruppo
Attitudine o capacità artistica
Responsabilità nel rispetto di norme, regolamenti, privacy
e sicurezza in ambito operativo
1.7) Metodologia di lavoro
Il Clown Dottore:
Programma giorni e orari d'intervento in accordo con gli altri operatori delle strutture
Lavora in coppia, con un camice personalizzato e un trucco leggero
Programma autonomamente ciascun intervento attraverso strutture e strumenti professionali
Utilizza principalmente tecniche di espressione artistiche teatrali
Programma con gli altri operatori la necessità dell’intervento, stabilendo sempre luoghi,
tempistiche ed eventuali precauzioni
Chiede agli utenti il permesso di poter interagire e rispetta l'eventuale diniego
Ha come obiettivo quello di mutare lo stato emozionale dell'ambiente, portarlo al climax e
concludere l'intervento lasciando l'effetto positivo raggiunto
Pone attenzione agli effetti psicologici prodotti dall'intervento agito
Ha attenzione alle esigenze reali della persona e del sistema relazionale.
1.8) Ambiti di intervento
Oltre all’ambito ospedaliero esistono i settori di intervento legati alla tossicodipendenza, alle
strutture protette, alle carceri, alle malattie mentali, all'handicap, agli anziani ed alle emergenze
legate alla protezione civile, scuole, etc.
Il CLOWN DOTTORE non si sostituisce ad altre figure come l'animatore di reparto, l'art
terapista, il musicoterapeuta, il volontario di protezione civile, il volontario di primo
soccorso e altro.
Il Clown Dottore mantiene una propria specificità e può lavorare in equipe con le
sopracitate figure.
Si può ridurre lo stress legato alle terapie invasive inserendo i clown dottori nei protocolli medici
a sostegno dell'intervento terapeutico, anche nelle pratiche più invasive e dolorose, come
dimostrato, per esempio, all'ospedale Mayer di Firenze nel 1998:
“Non avevo mai visto né credo che sia stato mai tentato prima niente del genere…la biopsia
ossea è un esame molto doloroso, più della puntura lombare o dell’aspirato midollare…
Normalmente si fa in sedazione più o meno profonda. Ma in questo caso, abbiamo tentato con
Soccorso Clown…e il risultato è stato straordinario, sotto il profilo psicologico e fisico: la
bambina non si è mai spaventata, non ha né gridato, né pianto”.
Dott. Andrea Messeri, responsabile del Servizio di Terapia del Dolore dell’Ospedale Meyer di
Firenze.
I medici dell'Ospedale pediatrico Meyer di Firenze affermano che: "L'arrivo dei clown in reparto
è un momento di grande gioia per i bambini. Ma non solo. E' ormai dimostrato che diminuendo
lo stress da paura e da sofferenza si riduce anche il bisogno di farmaci. I dati più recenti
parlano di una riduzione della degenza vicina al 50 %, e del 20 % nell'uso di anestetici".
"Attenzione però", avverte la dottoressa Franca Fossati Bellani, pediatra dell'Istituto Nazionale
Tumori di Milano, "non commettiamo l'errore di pensare che una risata basti a guarire da una
malattia oncologica. Un pagliaccio da solo non può far nulla, se non portare un momentaneo
sollievo. Dietro a lui deve esserci un progetto ben preciso". Lo conferma il dottor Moretti
dell’osp. Meyer: "Queste esperienze funzionano solo quando si punta al benessere totale del
paziente e si stabilisce un'alleanza terapeutica tra medici, genitori, personale paramedico,
animatori e clown. E si è davvero pronti ad ascoltare il bambino, a dare spazio alle sue paure,
alle sue emozioni".
( Clownterapia – Guarire dal ridere di Anna Alberti - Rivista periodica “Starbene” – Maggio
1999).
IL SIGNIFICATO CHE DA' IL BAMBINO ALLA MALATTIA E AL DOLORE
Cosa è il vissuto?
Il termine vissuto riconduce all’espressione tedesca Erlebnis, cioè esperienza
vissuta, dell’esperienza vissuta fanno parte tutti gli eventi positivi e negativi che
la persona ha sperimentato e che ha introiettato , il vissuto racchiude sia gli
eventi, gli insegnamenti e gli schemi comportamentali genitoriali ed è un
bagaglio importante che permette all’individuo di rapportarsi con le nuove
esperienze permettendogli di dare una giusta risposta adattiva alla situazione
nuova da fronteggiare sia che essa sia negative sia che essa sia positive e ciò
è confermato da studi condotti da Eser (1989) che dimostrano come i
comportamenti dei bambini siano strettamente legati a quelli dei familiari anche
nell’elaborazione del loro stile adattivo, tanto intellettivo quanto emotivo.
Rispetto al vissuto di malattia , il significato che il bambino dà ad esso,
riconduce alle esperienze passate di malattia , soprattutto al rapporto con la
madre e agli atteggiamenti e gli schemi mentali che la famiglia ha strutturato
rispetto a situazioni passate di malattia.
Il vissuto di malattia cambia in base all’età e tiene conto dello stadio evolutivo
nel quale si trova il bambino.
PRIMA INFANZIA
Il bambino molto piccolo, vive ogni esperienza in modo indifferenziato, ed
anche l’esperienza di malattia, è vissuta come dolore generalizzato, OLIVIERO
FERRARIS (1989) dice rispetto a questo periodo evolutivo che :<< qualsiasi
tensione e bisogno è avvertito come doloroso, non esiste ancora una netta
distinzione tra un’esperienza diffusa di disagio e una situazione più nettamente
circoscritta>>.
Prima dei sei anni, qualsiasi malattia viene percepita come un evento
aggressivo e traumatico che viene dall’esterno, anche un dolore lieve viene
sentito e percepito come un dolore diffuso e forte carico di angoscia.
Il dolore viene investito da paure di mutilazione, aggressione, non sembra
esserci la capacità di scindere tra la fantasia e l’evento oggettivo.
Qualunque cosa accada al corpo, viene vissuta come se viene dall’esterno, o
“dall’imago interiorizzato” di istanze esterne e nella fantasia infantile lo “ star
male” coincide con una punizione che viene dall’esterno ed è meritata poiché
è la conseguenza dell’essere stati cattivi.
Questa visione della malattia così poco oggettiva e legata anche al processo di
sviluppo cognitivo e psichico del bambino nella prima infanzia, non si ha la
capacità di fare una netta distinzione tra fantasia e realtà ed esperienza
oggettiva, A.Freud e T. Bergman fanno osservare dai loro studi che: << è dopo
i tre anni che i bambini cominciano a vivere con più consapevolezza la propria
malattia>>, e sicuramente questo modo errato di percepire la malattia come un
atto punitivo per l’essere stato cattivo, è deleterio per la capacità di recupero
del bambino e rischia di sfaldare l’equilibrio interiore rendendo il malato più
debole.
Di Cagno L. e Ravetto F. affermano che "Nei primi anni di vita (forse sino ai sei
- sette anni), qualsiasi affezione che si accompagni a dolore e pena fisica,
viene vissuta come proveniente dall'esterno, non localizzata all'interno del
proprio organismo, ma come conseguenza di un evento aggressivo inducente
una sofferenza di grave entità, tale da sconvolgere spesso drammaticamente le
normali abitudini di vita; questo è tanto più evidente quanto maggiori sono in
quel momento i meccanismi persecutori e la proiezione” .
Il vivere in modo persecutorio la malattia si chiarisce e assume connotati più
specifici se si studiano i vissuti legati alle singole patologie , ad esempio
sempre rispetto al vissuto di persecuzione che un bambino può vivere, se si
prende nello specifico il diabete anche il cibo viene vissuto come un oggetto
pericoloso e perde il significato d’affetto, d’ amore.
Anche una visita medica può essere vissuta come intrusione pericolosa, Dott.
Brunelli (1982) dice: una visita può rivelare pratiche masturbatorie, un clistere
può essere vissuto come un atto di seduzione o la puntura crea notevole
disagio”, Quindi queste pratiche possono essere vissute come aggressive.
Molti bambini sentono rispetto all’essere manipolato paure di evirazione, o
invasione, ad esempio è molto consueto nei bambini affetti da fibrosi cistica
avere la sensazione , quando vengono “battuti” per il drenaggio, che gli altri non
abbiano più rispetto per il suo corpo e che attentano alla sua vita.
E’ semplice pensare a come può sentirsi una persona adulta in una condizione
di malattia che comporta il non essere auto sufficiente inficiando la sua dignità
umana, per un bambino “l’essere manipolato” è più doloroso in quanto viene
minacciata la sua appena conquistata indipendenza ed autonomia.
Possono manifestarsi paure ,ansie di separazione incubi notturni ,molti bambini
manifestano disturbi a livello alimentare, o la paura può manifestarsi sotto
forma di comportamenti aggressivi nei confronti dei genitori e dell’ambiente
esterno.
A mediare la reazione alla propria affezione è anche l’atteggiamento materno
nei bambini in età prescolare, il bambino stabilisce un rapporto più esclusivo
con la sua figura d’attaccamento, crea con la madre un simbiotico, la sua
risposta alla malattia è notevolmente influenzata da come viene vissuta e
mediata dalla figura d’attaccamento; ad esempio è consueto osservare come
i bambini, vivono serenamente la loro malattia se la madre vive in modo
sereno questa esperienza, cioè se la madre ha una buona capacità di
“Holding” e quindi riesce a contenere e rielaborare le angosce e le paure
restituendole sotto una forma più accettabile al bambino, ma se non c’è una
buna capacità contenitiva da parte della madre delle ansie, allora le paure e le
angosce provate non assumono nessuna forma accettabile e di conseguenza
la reazione del bambino sarà altamente ansiogena.
Come riporta R. Gaddini, (1971)"...si possono osservare ripercussioni
psicologiche inaspettatamente rilevanti, per condizioni malformative di relativo
poco conto, come il criptorchidismo (che non comporta pericoli per la vita, non
rende il bambino invalido, non è visibile ed è in genere di facile correzione) e, a
paragone, reazioni meno importanti per malattie che sono invece di assai
maggior rilievo” .
L’ETA’ SCOLARE
In questa età, che comprende i bambini che hanno età 7-11 anni, il bambino
incomincia a vivere la malattia come un evento oggettivo e non viene vissuto
come un atto punitivo per una sua azione sbagliata.
Vive la malattia in modo più realistico ed autonomo, attraverso il disegno molti
bambini sottolineano i propri organi malati separandoli dall’immagine globale di
se, che è un se sano, anche attraverso l’uso di tecniche di drammatizzazione i
bambini spesso si identificano con il dottore che chiede un certo tipo di pratica
medica essenziale per guarire.
Nell’età scolare, il bambino, ingrandisce la sua rete di conoscenze e l’evento
che segna questo passaggio è l’entrata a scuola.
I bambini, quindi iniziano a passare più tempo fuori casa e acquistano una certa
indipendenza dai genitori.
La malattia crea diversità tra se e i coetanei, specialmente se essa è cronica ,
il bambino vive se stesso come un diverso è facile che percepisca la sua
condizione di malattia come un’ingiustizia, e molte volte la reazione
conseguente a questo stato d’animo è il rifiutare qualsiasi trattamento medico.
Sicuramente l’atteggiamento dei genitori può amplificare il vissuto di diversità,
quando ad esempio si tende a nascondere la malattia agli altri, ciò non
permette al bambino di accettarsi e di sviluppare sentimenti di auto stima.
Da studi condotti si è osservato che tendenzialmente i bambini che affrontano
un’esperienza di malattia, sviluppano comportamenti regressivi, non adeguati
all’età che hanno, questo meccanismo difensivo può aiutare il malato per
cercare di arginare l’angoscia rispetto al dolore e rispetto alla malattia.
Regredire significa tornare ad uno stadio evolutivo in cui si era passivi, cioè si
veniva accuditi e difesi.
A volte, il bambino attua meccanismi difensivi dall’ansia, rifugiandosi nella
fantasia o assumendo atteggiamenti di ritiro emotivo, inadeguati all’età.
L’ADOLESCENZA
L’adolescenza è il periodo forse più delicato, molti studiosi dell’età evolutiva la
indicano come l’età “critica”.
Essa costituisce un periodo complesso, ci si confronta con problemi
fondamentali, quali l’acquisizione della propria autonomia, l’identificazione con i
compagni, e con il gruppo, la preoccupazione per il proprio aspetto fisico,
considerato il “ lascia passare” per entrare in un gruppo ed essere accettati,
l’integrazione delle pulsioni sessuali, la ricerca dell’identità e del senso della
vita.
In adolescenza le problematiche non sono più centrate sull’integrità dell’io. Si
suppone, che in uno sviluppo sano l’adolescente abbia superato con successo
tutte le tappe evolutive e le difficoltà evolutive che le caratterizzavano, proprio
per raggiungere quella che viene definita “integrità dell’io”.
Diventa importante riuscire ad essere indipendenti dalla propria famiglia e
capaci di risolvere i propri problemi in modo autonomo.
L’identita è un concetto che caratterizza questa età, l’adolescente è alla ricerca
della sua “individuazione” come persona e c’è in questa età della vita Carpuso
(2002)
“ un desiderio di affrancamento dalle figure adulte, che vengono sempre più
allontanate dallo spazio psichico”.
Fare l’esperienza di una malattia, quindi è limitante e frustrante, specialmente
se essa è cronica.
La reazione al proprio stato di cronicità può essere: o un’aperta ribellione, fino
al boicottaggio della terapia; o un atteggiamento passivo e depressivo.
Tali reazioni hanno alla base meccanismi difensivi come la negazione, quindi il
ragazzo/a, rifiuta la sua condizione fisica, la ignora perché inficia la sua visione
di sé e rifiuta le cure mediche.
L’altra reazione all’angoscia è reagire ad essa regredendo, il ragazzo/a può
cercare attenzioni e protezioni, come dice Oliviero Ferraris: “ Il ragazzo può
assume comportamenti da bambino”, invalidando quel processo che Capurso
chiama “affrancamento”.
Questo comportamento dipendente che il ragazzo cerca di instaurare con gli
altri, è negativo ed è di ostacolo alla acquisizione da parte del malato di un
atteggiamento autonomo, gli autori sono concordi nell’affermare, che di solito
comportamenti regressivi in adolescenza sono di tipo transitorio, assumono
costanza nel tempo quando i genitori non trovano altre modalità per
fronteggiare i capricci e i ricatti del proprio figlio.
Altre reazioni difensive che si manifestano sono: l’isolamento, che permette di
avere una sensazione di sollievo immediato, ma che se viene utilizzato in modo
abituale, come mezzo per arginare l’angoscia, può condurre il ragazzo/a ad un
distacco netto dalla realtà e dalla vita quotidiana, tendenzialmente l’isolamento
porta a sviluppare sintomi nevrotici e depressivi.
Le reazioni difensive in una condizione in cui l’ansia può raggiungere livelli
eccessivi, sono naturali e vanno comunque rispettate, ma l’aiuto che si può
dare al ragazzo è trovare modalità di intervento che permettano a difese
adattive di prendere il posto di difese non adattive, molte volte se il ragazzo
riceve un sostegno dal suo ambiente la negazione ad esempio può essere
parziale e quindi assumere un connotato adattivo, come sostiene Oliviero
Ferraris:” la negazione se è parziale, aiuta la socializzazione di un malato
cronico, a fornirgli quella forza necessaria ad attuare validi programmi di vita”,
ovviamene negare totalmente la propria malattia crea una frattura tra se e la
consapevolezza del proprio stato morboso determinando una scissione che
può essere pericolosa.
Il corpo subisce cambiamenti con una malattia e tali cambiamenti possono
influire a livello psicologico.
L’immagine corporea ha un notevole valore a tutti gli stadi evolutivi, essa ha il
ruolo di aiutare e contribuire il giusto adattamento del bambino al suo ambiente
esterno; gli studi di Wallon e Zazzo sul riconoscimento dell’immagine corporea
allo specchio da parte di bambini di un anno di età, dimostrano come questo
processo coinvolga molteplici fattori psichici come le emozioni e i fattori
cognitivi, per cui, è deleteria una malattia specialmente se è cronica, essa può
influire sui fattori psichici e può determinare delle distorsioni nella percezione
della propria immagine.
Il ragazzo rifiutando la sua malattia e negandola, può arrivare ad attribuire ai
suoi difetti una importanza eccessiva. L’affezione viene vissuta come elemento
strutturante di se, vivendo in modo non reale il proprio corpo. Fanno notare
Oliverio Ferraris e Senatore Pilleri (1980) Che “ a volte il bambino e il ragazzo
malato cronico presenta un deterioramento dell’immagine corporea e vive la
malattia come fattore svalorizzante”.
E sentimenti di inferiorità ed inadeguatezza, sono sentimenti evidenti negli
adolescenti, che vivono in una condizione di malattia, possono interferire
negativamente nella organizzazione dei concetti di ruolo e di identità e possono
ostacolare i processi di socializzazione.
I cambiamenti fisici causati dall’affezione, creano dubbi circa la propria
funzionalità sessuale per esempio.
Più la patologia è complessa più ci sono possibilità di una distorsione della
propria immagine corporea proprio perché viene fatto dal malato un processo di
uguaglianza tra la malattia ed il corpo, che risulta ed è vissuto come malato ed
di conseguenza come inadeguato.
Esiste una sacralità del corpo per gli adolescenti che viene tradito dalla malattia
e violato per le cure invadenti, è facile notare che i ragazzi a causa di questa
sensazione di violazione del proprio corpo possano avere la tendenza a
chiudersi in se stessi, come sorta di protezione di ciò che si può ancora vivere
come proprio, i sentimenti e l’intimità.
EFFETTI COLATERALI DELLA MALATTIA.
Separazione, e altri comportamenti
Tanti bambini regrediscono a situazioni infantili e riemergono in tali circostanze
l’enuresi, l’imbrattarsi con le proprie feci tutte situazioni già affrontate nel
proprio percorso di crescita ma che in una situazione frustrante e di alto stress
come il fronteggiare una malattia possono ricomparire.
Tali cambiamenti possono avvenire dopo una lunga degenza in ospedale che
comporta la separazione dai propri genitori, ma dalle ricerche condotte da vari
autori sull’effetto della malattia fisica sulla vita psichica si è osservato che per
un bambino influisce sul suo stato psichico l’ospedalizzazione, ma è più
traumatico se essa è associata ad altri fattori che si correlano alla degenza.
Esistono degli effetti che Anna Freud ( 1977), :“definisce effetti collaterali”, che
sono importanti da evidenziare per comprendere successivamente quanto una
malattia per un bambino o ragazzo può essere traumatica psicologicamente.
Quasi sempre in presenza di una malattia l’atteggiamento affettivo dei genitori
nei confronti del proprio bambino malato cambia.
La maggior parte dei genitori tende a viziare i bambini malati , soddisfanno ogni
minima richiesta e capriccio , fa notare A. Freud come nelle famiglie numerose ,
a causa di una malattia infettiva i bambini raggiungono mete che solo
l’eccezionale circostanza fa ottenere , cioè il possesso esclusivo, indiviso della
madre che lo cura.
In una circostanza come la malattia si perdono le elementari basi
dell’educazione non si riesce a privare di nulla i bambini e soprattutto anche i
“sani” no non vengono più utilizzati.
Il bambino reagisce a tali sconvolgimenti delle regole in modo traumatico no
comprendendole e no riuscendo ad orientarsi tra i valori affettivi e morali che
sono stati messi in discussione per l’eccezionalità dell’evento.
Un altro fattore collaterale è l’effetto dell’assistenza.
Per il bambino è una tappa importante riuscire gradualmente ad avere
padronanza delle proprie funzioni corporee: l’autonomia nel mangiare,
l’imparare a vestirsi lavarsi autonomamente sono tutte conquiste e come
sottolinea A. Freud “ è per il bambino una tappa importante dell’Io”.
Tutto questo percorso di crescita è legato anche al percorso di autonomia che il
bambino fa dalla figura materna, la malattia determina e causa una regressione
a comportamenti non adeguati e non giusti per la crescita, cioè a
comportamenti passivi, a causa della malattia capita che il bambino bisogne
vestirlo, svestirlo, nutrirlo e le capacità acquisite di autogestione vengono
disimparate.
Molti bambini dopo una malattia hanno dovuto essere educati alla pulizia e al
mangiare da soli.
Psicologicamente l’assistenza può causare reazioni distinte, infatti ci sono
bambini che cercano di opporsi a tale condizione di passività in modo
aggressivo e sono pazienti difficili, altri bambini accettano la condizione di
passività richiesta dalla loro condizione.
Sia in un verso o nell’altro l’assistenza protratta determina un’interruzione nello
sviluppo dell’Io.
La malattia può portare anche a limitazioni nel proprio movimento, la limitazione
è evidente dopo un intervento chirurgico e sono tanti gli autori che hanno
osservato le conseguenze di tale limitazione.
Ad esempio la Greenacre nel 1944 ha esaminato il significato che può avere
un’esperienza,di limitazione nel movimento, postoperatoria per la diminuzione
della scarica dell’aggressività.
Da varie ricerche sugli effetti che può avere la malattia sul bambino, è emerso
che possono esserci varie oscillazioni d’umore, cambiamenti nei rapporti con i
genitori la perdita di fiducia in se stessi o possibili reazioni di collera.
Thesi Bergmann (1945) da uno studio triennale in un reparto di ortopedia,
descrive quali sono i meccanismi di difesa che aiuta il bambino a sopportare il
suo stato di immobilità, e ha osservato che più è limitante la propria condizione
più il bambino assume un atteggiamento docile, che può tramutarsi in
esplosioni di collera se le limitazioni vengono ridotte ma non eliminate e se le
prescrizioni mediche si dilungano.
L’OSPEDALIZZAZIONE: UN’ESPERIENZA FORTE.
C’è un rapporto biunivoco tra malattia e ospedalizzazione ed anche i vissuti e
le difese attivate dal bambino nei confronti della sua ospedalizzazione, sono
simili a quelli provati per la malattia di cui è effetto..
Molte volte l’ospedalizzazione può acutizzare vissuti depressivi o aggressivi
che il bambino o l’adolescente ha maturato dentro se rispetto alla propria
malattia.
L’ambiente a primo impatto è sempre anonimo e freddo e spesso i reparti di
pediatria, si presentano spogli poco colorati, le stanze sono impersonali e gli
spazi gioco vengono creati in ambienti di dimensioni ridotte o molte volte, non
sono presenti.
L’ambiente, il personale medico e paramedico sono elementi che possono
influenzare l’idea che il bambino si fa dell’ospedale.
All’inizio i medici, il personale ospedaliero vengono vissuti come figure
impersonali, ma successivamente associate alla propria malattia e agli
interventi medici possono essere caricate di significati negativi, diviene un
ambiente minaccioso e traumatico
L’ospedale richiama comunemente parole dal connotato negativo.
Da una ricerca condotta dall’ABIO di Lodi con la collaborazione della ASL, e gli
insegnati di un circolo didattico di scuola elementare e materna, che aveva lo
scopo di conoscere le idee e i vissuti che i bambini non malati avevano nei
confronti dell’ospedalizzazione.
La ricerca ( progetto amico 1998), ha messo in evidenza che nel senso
comune se un bambino sente parlare di ospedale , questa parola è associata a:
“ persone che stanno male, paura, malattia, punture, cerotti, camici bianchi,
tristezza...” e i vissuti comuni rispetto al ricovero e alla paura di esso sono: “
paura di soffrire, lasciare gli amici e il proprio ambiente famigliare, stare da solo
in ospedale e essere abbandonato,vedere la faccia preoccupata della
mamma...” .
Quindi se per un bambino che non vive personalmente l’esperienza di una
ospedalizzazione i vissuti legati ad essa sono comunque negativi con alla base
emozioni angosciose, è comprensibile come queste emozioni e questi vissuti
siano amplificati in bambini malati.
Da una raccolta di disegni di bambini ospedalizzati ( progetto amico ABIO
1989), è emerso che l’ospedale procura ansia ed è vissuto come un evento
minaccioso e carico di incognite.
Alcuni disegni rappresentavano, ( progetto amico, ABIO 1989): “ il medico
come uno sceriffo, che fa “ pulizia del male e fa rispettare le regole”; “
l’ospedale viene disegnato al suo esterno, come edificio imponente; altri disegni
rappresentano l’interno dell’ospedale come :” dagli spazi ampi e disabitati, e dai
colori scuri come il nero e il grigio che richiamano la morte”.
Nella vita di un bambino,che è protagonista di tale esperienza, avvengono tanti
cambiamenti connessi alle terapie che deve condurre e che limitano lo spazio
vitale del ragazzo, ma altri cambiamenti avvengono anche a livello delle
relazioni che il bambino instaura ed anche la visione dei genitori, cambia in
una condizione di ospedalizzazione. E a questo proposito, Mangini e Rocca,
( 1996) affermano che: “ le relazioni interpersonali a cui il bambino era abituato
mutano improvvisamente, si allenta la fiducia nell’onnipotenza dei genitori, il
vissuto di abbandono può farsi sempre più presente e tale cambiamento
determina un senso di instabilità emotiva e di confusione”.
In letteratura, vari autori , hanno condotto studi per comprendere quali sono i
fattori che determinano l’instabilità emotiva e la confusione, oltre la malattia e
l’ambiente sconosciuto.
2. Fattori
Prima di tutto determina angoscia la scarsa conoscenza delle procedure
ospedaliere e dell’ospedale, che viene vissuto come una grande struttura
affollata, rumorosa e dagli odori intensi e poco piacevoli.
Ovviamente tutto ciò contrasta con il proprio ambiente famigliare : “ la propria
casa” e destabilizza la propria sicurezza.
Altri autori negli anni 50’ hanno condotto ricerche per mettere in evidenza che
oltre i fattori angosciosi connessi “all’ambiente ospedale”, l’ospedalizzazione
comporta stati depressivi e di apatia legati alla separazione dai genitori.
L’angoscia di separazione, è stata oggetto di studio di vari autori, sono famosi
gli studi di Spiz sul ricovero di bambini nell’istituzione, i suoi studi mettevano in
evidenza come la separazione non fosse un fattore secondario
dell’ospedalizzazione, come si credeva all’epoca, in cui c’era la tendenza a
ricoverare il bambino senza prolungare i permessi di visita ai genitori, perché
avevano notato che i bambini , quando erano soli, erano tranquilli.
Le osservazioni della Spiz raccontano di bambini che all’aumentare della
degenza in ospedale aumentavano il disinteresse per l’ambiente e per le cure e
che passavano lunghi periodi della giornata sdraiati a letto con lo sguardo nel
vuoto.
James Robertson, condusse dell’osservazioni nei reparti pediatrici, e chiarì che
la calma apparente dei bambini era “ il camuffare di una inquietudine, che i
bambini provavano all’abbandono da parte dei genitori, e che poteva scaturire
in manifestazioni depressive”.
In due ricerche diverse sugli effetti della separazione,dei bambini dai genitori,
condotte da Robertson nel 1958 e Bowlby nel 1976, si individuano tre stadi di
risposte messe in atto da chi si sente abbandonato e che sono state riscontrate
in una situazione di ospedalizzazione.
Le tre risposte sono la protesta, la rassegnazione, il distacco.
La protesta, è una fase iniziale che può durare poche ore o può durare per
giorni.
Il bambino piange, grida, attendendo il ritorno del genitore.
La rassegnazione, è una seconda fase che il bambino vive se non vede
ritornare il genitore.
L’atteggiamento generale è più calmo, il pianto appare solo ad intermittenza,
c’è rassegnazione da parte del piccolo paziente e molte volte tale calma
apparente viene interpretata dal personale sanitario come un superamento
dello stress dell’abbandono.
Il distacco è il terzo stadio, in cui il bambino, sembra essersi adattato alla
situazione,è più interessato a ciò che lo circonda ed interagisce.
Tuttavia quando il genitore ritorna la risposta del bambino è indifferenza e
distacco, il distacco è un meccanismo che mette in atto il bambino per
proteggersi dal dolore della separazione.
In situazioni di malattia cronica, in cui i bambini sono costretti ad avere un
rapporto costante con l’ospedale, è facile che l’indifferenza divenga “cronica”.
I numerosi distacchi che hanno vissuto che hanno subito li porta come dice
Capurso : “ a non voler più rischiare”, non è più alla ricerca di un contatto
umano, e non sente la necessità di instaurare nuovi rapporti intensi con gli altri
e questo può essere considerato un meccanismo difensivo che attua il bambino
per difendersi dal dolore e dal trauma di una separazione.
Rispetto agli anni 50 la gestione dell’ospedalizzazione di un bambino è
cambiata, oggi i bambini non vengono più lasciati da soli, ma Capurso, che ha
svolto svariate ricerche e osservazioni sul tema bambino ed ospedale, in una di
queste osservazioni ha individuato alcuni comportamenti che possono essere
letti come risposte agli stadi descritti da Bowlby.
Capurso sostiene che: “è facile vedere bambini che sono eccessivamente calmi
e che dopo la visita di un parente divengono agitati e nervosi, ciò può essere
considerato un riemergere della rabbia che fino a quel momento veniva
controllata rimanendo in uno stato di rassegnazione;
L’eccessivo interesse per i giochi o il cibo, che Robertson ( 1958), e Bowlby ,
(1976)
Indicano come elementi che caratterizzano la terza fase , possono essere letti
come spostamenti dell’affetto; è come se il bambino spostasse i suoi affetti
dalle persone ai beni materiali di cui è in possesso.
Alcuni bambini hanno comportamenti ipersociali, cioè divengono accoglienti
con tutti ed apparentemente non soffrono per la mancanza dei genitori.
In realtà l’ipersocialità può essere letta in questo contesto come dice Capurso:
“ come un sintomo di distacco eccessivo”.
17
Il bambino disinveste del loro valore affettivo le sue figure genitoriali non è più
importante chi si prende cura di lui, una persona vale l’altra.
Ci sono casi, rari, di bambini che a causa del lungo ricovero non hanno il
desiderio di tornare a casa.
Quest’atteggiamento per Capurso (2001), “può essere considerato
caratteristico della fase del distacco, e indica chiaramente il conflitto vissuto dal
bambino al momento di riprendere la normale vita in famiglia”.
Il congedo è un momento delicato per i genitori ed è vissuto con un alto carico
d’ansia, perché comporta la presa in carico del malto e la sua gestione in un
ambiente che non ha le caratteristiche di un ospedale ed inoltre i genitori fanno
fronte a una sensazione d’inadeguatezza rispetto alla loro capacità di offrire
cure adeguate al proprio figlio.
I bambini percepiscono l’ansia di inadeguatezza dei genitori e molte volte il
desiderio di rimanere in ospedale è dettato dalla necessità di mantenere uno
stato di calma ed equilibrio che comunque in ospedale si era raggiunto.
Quindi l’ospedalizzazione più la condizione di immobilità possono rafforzare la
tendenza aggressiva di un bambino che può esprimersi sotto forma di
irrequietezza, aumentata irritabilità.
UN CLOWN DOTTORE OPERA NELLA RELAZIONE, LEGGE CON OCCHIO ESTERNO
QUALI POSSONO ESSERE I BLOCCHI AFFETTIVI CHE POSSONO PROVOCARE
ANGOSCIA, SOSTIENE E OPERA IN COLLABORAZIONE CON IL PERSONALE SANITARIO
PER FACILITARE LE PROCEDURE TERAPEUTICHE.
UN CLOWN DOTTORE E' UN FACILITATORE DI RELAZIONI E SVILUPPA STRATEGIE PER
MIGLIORARE LA QUALITA' DEL RICOVERO, TRASFORMANDO UN AMBIENTE DI CURA IN
UN LUOGO A MISURA DI PERSONA.
Dott. Roberto Flangini
Psicologo e clowndottore – ass. Aquilone d'Iqbal Cesena – www.aquiloneiqbal.it
Ass. l'Aquilone di Iqbal
Sede legale: Via Cavalcavia, 709 - 47522 Cesena ITALY
sede operativa: Via Rovescio 2185 - 47522 Bagnile di Cesena ITALY
Tel 0547 353968 - FAX 0547 379242
[email protected]
Mail personale:
[email protected]
[email protected] cell. 3496111043
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Giovanni F. Ricci, Domenico Resico, Luca Pino. Con il contributo di Roberto
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ARTICOLI
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The effectiveness of clown intervention in reducing preoperative anxiety
of children and parents. The Suffering Child [serial online] Issue 8, June,
www.thesufferingchild.net
LA CURA DELLA RELAZIONE ED IL
TRATTAMENTO NON
FARMACOLOGICO DEL DOLORE
NEL BAMBINO
Dr. S. Di Giuseppe, psicologa dirigente sanitario
SOS Centro di Oncoematologia Pediatrica AIEOP 0901, SOD Clinica Pediatrica,
Presidio Ospedaliero di Alta Specializzazione “G.Salesi”,
azienda Ospedaliero-Universitaria Ospedali Riuniti Ancona
Settembre 2015 Fondazione Salesi
1
DOLORE E CANCRO IN PEDIATRIA 1
• L’OMS e l’Associazione Internazionale per lo Studio e la Cura
del Dolore hanno così schematizzato i principali tipi di dolore
che affliggono i bambini con tumore:
• Causato dalla malattia
· infiltrazione tumorale dell’osso
· infiltrazione tumorale dei tessuti molli
· infiltrazione tumorale dei visceri
· infiltrazione tumorale delle strutture centrali o periferiche del
sistema nervoso, incluso il dolore da compressione midollare
2
DOLORE E CANCRO IN PEDIATRIA 2
• Causato dai trattamenti oncologici
·
·
·
·
·
·
dolore post-chirurgico
dermatiti radio-indotte
gastriti da vomito ripetuto
cefalea prolungata post-rachicentesi
alterazioni strutturali dell’osso indotte dagli steroidi
neuropatie, inclusi il dolore da arto fantasma e la neuropatia da
farmaci
· infezioni
· danni alle mucose
3
TRATTAMENTO DEL DOLORE
• I medici dispongono di diversi farmaci somministrati con diverse
tecniche per eliminare la sensazione dolorosa durante la cura
della malattia e gli effetti collaterali della terapia oncologica.
• In questo ambito si ottengono ottimi risultati.
4
TRATTAMENTO DEL DOLORE NELLE
PROCEDURE
1. ricerca di un accesso venoso
Trattamento:somministrazione di gas (miscela Donopa 50% Ossigeno,
50% Protossido) a cura del personale infermieristico.
2. iniezioni, specie dove oltre il dolore provocato dall’ago c’è quello
prodotto dalla sostanza inoculata
Trattamento:somministrazione di gas (miscela Donopa 50% Ossigeno,
50% Protossido)
3. punture lombari
Trattamento: NARCOSI in presenza di anestesista
4. biopsia ossea ed aspirato midollare
Trattamento: NARCOSI
5
SEDAZIONE COSCIENTE CON GAS
DONOPA
• La sedazione conscia è definita come riduzione dello stato di
coscienza indotto farmacologicamente.
• Gli effetti clinici sono specifici: lo stato di coscienza è modificato
(sedazione cosciente), il soggetto resta vigile, reagisce con
l'ambiente e può dialogare con i presenti, mantiene i riflessi
protettivi, il respiro è autonomo e normale. Si osserva una
risposta adeguata alla stimolazione verbale o a stimoli tattili; le
percezioni sensoriali sono modificate.
• L'originalità della miscela associa l'azione ansiolitica,
euforizzante (“gas esilarante”) con l'effetto antalgico.
• La rapidità d'azione (l'effetto interviene in tre minuti) e la
reversibilità (in meno di cinque minuti) rappresentano l'altra
particolarità.
• Gli effetti indesiderabili sono rari e reversibili in qualche minuto e
sono rappresentati da nausea e vomito. Eccezionalmente si è
osservata una sedazione più profonda, una sensazione di
malessere, di ansietà può essere ritrovata nei soggetti che non
sono stati ben preparati.
6
BAMBINO E ADULTO DI FRONTE AL
DOLORE
•
Rispetto all’adulto il bambino mostra una maggiore paura ed ansia
anticipatoria che amplifica la reazione emotiva alle procedure mediche dalla
semplice medicazione fino al prelievo di sangue o iniezione dolorosa.
•
La reazione di pianto inconsolabile è tipica dei bambini neonati i quali
reagiscono indistintamente al prelievo come all’applicazione di un cerotto. La
necessità di doverli contenere fisicamente per agevolare le procedure
comprensibilmente induce ed aumenta la paura e quindi lo stato di eccitamento
e di agitazione psicomotoria.
•
I trattamenti terapeutici come la chemio e radioterapia sembrano invece incidere
più pesantemente sull’adulto rispetto al bambino sia fisicamente che
psicologicamente.
•
L’adolescente mostra una reattività al dolore assimilabile a quella dell’adulto. In
oncologia risente maggiormente dell’abbassamento dei valori dell’emoglobina
ed ha una simile reattività emetica e vomito anticipatorio, diversamente dai
neonati e bambini.
7
TALVOLTA I BAMBINI NEGANO IL
DOLORE
• I bambini ed adolescenti malati terminali possono talvolta
negare o minimizzare deliberatamente il loro dolore, per evitare
l’ennesimo ricovero o ulteriori preoccupazioni dei genitori.
8
GLI INTERVENTI NON
FARMACOLOGICI PER IL CONTROLLO
DEL DOLORE
• Sono tecniche psicologiche di supporto che, integrate ai
farmaci, permettono di ottenere risultati molto efficaci per i
bambini che devono essere sottoposti a varie procedure.
• Lo scopo è quello di focalizzare la mente del bambino e la sua
attenzione lontano dallo stato di dolore legato alla procedura.
• La distrazione, il rilassamento muscolare, l’immaginazione
guidata sono tecniche semplici da imparare e possono essere
usate con i bambini, anche piccoli..
• Ogni tecnica presuppone una precedente conoscenza del
bambino e dei genitori; è inoltre importante che ogni bambino
scelga la tecnica preferita e la personalizzi.
• In certi casi è necessaria una preparazione specifica e
precedente all’applicazione durante la procedura dolorosa.
9
SCHEMA DI TECNICHE NON
FARMACOLOGICHE A SECONDA
DELL’ETÀ DEL BAMBINO.
ETA’ E METODI
•
•
•
•
•
0-2 anni  Contatto fisico con il bambino: toccare, accarezzare,
cullare. Ascoltare la voce della mamma, che usa un tono pacato,
tonalità bassa, ritmo rallentato dell’eloquio contemporaneamente
catturando lo sguardo del neonato. Musica, guardare giocattoli sopra
la culla.
2-4 anni  Contatto fisico con il bambino: toccare, accarezzare,
cullare. Ascoltare la voce della mamma, che usa un tono pacato,
tonalità bassa, ritmo rallentato dell’eloquio. Giocare con pupazzi,
raccontare storie, leggere libri, respirazione e bolle di sapone,
guanto magico.
4-6 anni  Contatto fisico con il bambino: toccare, accarezzare,
cullare. Ascoltare la voce della mamma, che usa un tono pacato,
tonalità bassa, ritmo rallentato dell’eloquio. Respirazione, racconto di
storie, gioco con pupazzi, parlare dei luoghi preferiti, guardare la
televisione, guanto magico, visualizzazione, coinvolgimento.
6-11 anni  Musica, respirazione, contare, parlare dei luoghi
preferiti, guardare la TV, visualizzazione, gioco dell’interruttore.
11–13 anni  Musica, respirazione, visualizzazione, gioco
10
dell’interruttore.
DESCRIZIONE
- RESPIRAZIONE: favorire la respirazione nel bambino lo aiuta ad allontanare la paura e il dolore
causato per esempio da un prelievo. Si incoraggia a buttare fuori la paura e il dolore con una
nuvola rossa; oppure si usano le bolle di sapone. Si lavora sia sulla fase della inspirazione che su
quella della espirazione.
- RILASSAMENTO: a partire dal ritmo respiratorio si possono dare indicazioni al bambino su
come rilassare la muscolatura delle braccia, delle gambe fino al collo.
-
-
-
- VISUALIZZAZIONE: nella “visualizzazione” il bambino viene prima fatto rilassare, poi è guidato
a immaginare una situazione e/o un luogo preferiti in cui vorrebbe trovarsi. Concentrandosi sui
particolari di ciò che ha immaginato, il bambino distoglie l’attenzione dall’angoscia, dalla paura e
anche dal dolore da procedura. Questa tecnica è assimilabile all’induzione di una trance ipnotica.
Tecnica della visualizzazione:
posizione comoda: il bambino preferibilmente deve stare seduto o disteso;
invitare il bambino alla respirazione: (parlare lentamente ed a voce bassa seguendo il suo ritmo
respiratorio) “Facciamo insieme 3 respiri lenti e profondi. Senti l’aria che entra fresca nel naso ed
esce calda”;
chiudere gli occhi;
rilassamento: “Rilassa tutto il tuo corpo, in tutte le sue parti. Lascia che ogni muscolo si rilassi ad
ogni respiro.” “Adesso lascia andare via la tua mente. Immagina di essere lontano da questa
stanza, in un posto bello, quello che preferisci. Un posto dove sei già stato o dove vorresti essere.
Guarda intorno a te in questo posto bello e vedi i colori che ci sono … senti i profumi … ascolta i
suoni … guarda le persone che ci sono. Guarda tranquillamente tutto ciò che succede intorno a te
e rilassati in questo posto fantastico. Sei lontano da questa stanza e lontano da quello che
succede al tuo corpo.”;
ritorno “Adesso, se sei pronto, veniamo via dal posto fantastico torniamo nella stanza. Conterò
fino a 3.
1 inizia a tornare nella stanza;
2 senti la sedia (o il letto) sotto di te;
3 apri gli occhi.
11
Chiedere al bambino come è andata. Discutere – se ne ha voglia – sul posto visitato.
- DESENSIBILIZZAZIONE: per il bambino più grande (dai 9 anni in
poi) si usa “la tecnica dell’interruttore”: dopo il rilassamento si invita il
paziente a visualizzare nella sua mente un interruttore in grado di
abbassare la sensibilità al dolore della zona cutanea dove sarà fatta la
procedura.
Per tutti i bambini, soprattutto i più piccoli è molto efficace le “tecnica
del guanto magico”.
Tecnica dell’interruttore:
Si spiega al bambino in termini semplici come è possibile
desensibilizzare una zona del corpo attraverso la concentrazione: “I
nervi del tuo corpo mandano i messaggi di dolore al tuo cervello che le
elabora e li rimanda indietro al corpo. Possiamo focalizzare l’attenzione
sugli interruttori che controllano l’invio dei messaggi di dolore. E
possiamo girare questi interruttori così che il corpo riceve un diverso
messaggio e meno dolore”.
Poi si induce il rilassamento e si fa concentrare sull’interruttore: “
adesso concentrati, trova l’interruttore nella tua testa che comanda la
parte del tuo corpo dolorante. Fammi un cenno con la testa quando
l’hai trovato. Nota il colore e il tipo dell’interruttore e abbassalo … grado
dopo grado … a ogni livello nota che il dolore si abbassa … continua
ad abbassarlo e poi starai molto meglio.
Tecnica del guanto magico:
Nella tecnica del “guanto magico” si simula di calzare un guanto
invisibile, massaggiando dolcemente la mano, in cui verrà posizionato
l’ago, in modo da desensibilizzarla dal dolore.
12
- DISTRAZIONE E COINVOLGIMENTO: la distrazione prevede
l’uso di oggetti quotidiani del bambino che, entrando nel
contesto ospedaliero, catturano la sua attenzione allontanando
la paura e l’ansia del dolore.
Usando libri tridimensionali, video, giochi (anche personali,
portati da casa) durante la procedura dolorosa, il bambino verrà
impegnato mentalmente in attività a lui gradite.
Molto gradite, soprattutto dai piccoli, sono le bolle di sapone.
Il coinvolgimento consiste nel rendere partecipe il paziente
durante la procedura dolorosa o paurosa, per esempio anche le
più semplici come la rimozione del cerotto.
13
- RILASSAMENTO MUSCOLARE: il rilassamento muscolare è usato per diminuire la
tensione fisica e mentale. E’ efficace soprattutto con adolescenti e bambini più grandi poiché
coinvolge il rilassamento dei muscoli scheletrici volontari. Gradualmente ogni muscolo è teso
e poi rilassato in modo sistematico.
L’attenzione è focalizzata sul respiro è ciò rende consapevole il soggetto delle sensazioni 9 di
tensione e poi del rilassamento. Questa tecnica è usata prima di una procedura che provoca
ansia. La consapevolezza delle proprie tensioni crea uno stato di maggiore rilassamento, in
modo che la procedura sarà eseguita in modo più facile.
Esercizio di rilassamento muscolare:
Mettiti più comodo possibile. Sistemati sulla tua sedia o nel tuo letto fino a che non ti senti a
tuo agio. Chiudi gli occhi quando sei pronto. Prendi un respiro profondo con il naso e buttalo
fuori lentamente. Prendi ancora aria e buttala fuori lentamente. Adesso focalizza la tua
attenzione sulla mano, stringi il pugno forte e ora rilascialo. Focalizza ora la tua attenzione sui
muscoli del braccio, punta il gomito sulla sedia o sul letto, spingilo forte e ora rilascia il
braccio. Inizia a rilassare i muscoli della testa e del collo. Alza le tue sopracciglia più che puoi,
tieni in tensione i muscoli più che puoi e poi rilassali e lasciali andare. Socchiudi gli occhi e
raggrinza il naso, tieni in tensione i muscoli più che puoi e poi rilassali e lasciali andare. Tieni i
denti uniti e fai una specie di sorriso, , tieni in tensione i muscoli più che puoi e poi rilassali e
lasciali andare. Abbassa il tuo mento fino al petto, tieni in tensione i muscoli più che puoi e poi
rilassali e lasciali andare. Prendi un respiro, trattienilo, trattienilo manda le tue spalle indietro,
adesso rilassati e lascialo andare. Spingi indentro il tuo stomaco, trattienilo, trattienilo e
adesso rilassa i tuoi muscoli e lascialo andare. Solleva una gamba tienila in alto poi rilassati e
appoggiala sul letto o per terra. Solleva l’altra gamba tienila in alto poi rilassati e appoggiala
sul letto o per terra. Punta le dita dei piedi verso il soffitto, tienili in tensione, puntali ancora,
poi rilassali e lasciali andare. Fai un altro respiro profondo con il naso e lascialo andare
lentamente con la bocca, prendi ancora una respiro profondo con il naso e lascialo andare
lentamente con la bocca. Nota adesso come senti i tuoi muscoli rilassati.
14
PERCHÉ FUNZIONANO LE TNF
Le basi neurologiche
I neuroni specchio sono una classe di neuroni specifici che si attivano sia quando
si compie un'azione, sia quando la si osserva mentre è compiuta da altri.
I neuroni dell'osservatore "rispecchiano" il comportamento dell'osservato,
come se stesse compiendo l'azione egli stesso.
La scoperta di neuroni specchio localizzati in entrambe la regioni parietali frontali
inferiori del cervello delle scimmie risale agli anni ’80, ed e’ stata confermata anche
nell’uomo nel 1990 a Parma da Rizzolatti e Gallese, nel 1995 a Padova, da Fadiga
e Fogassi. I neuroni specchio sono stati per la psicologia quello che la
scoperta del DNA è stato per la biologia.
Nell'uomo, oltre ad essere localizzati in aree motorie e premotorie, i neuroni
specchio si trovano anche nell’area di Broca e nella corteccia parietale inferiore.
Questi neuroni sono certamente importanti per la comprensione delle azioni
di altre persone e quindi per l'apprendimento attraverso l'imitazione, implicato
nell’uso delle TNF. Nell'uomo non è necessaria una effettiva interazione con
gli oggetti: i suoi neuroni-specchio si attivano anche quando l'azione è
semplicemente mimata.
15
NEURONI SPECCHIO ED EMOZIONI 1
• Se ci troviamo di fronte ad un volto atteggiato a tristezza o
viceversa vi scorgiamo l’indizio di un sorriso, ecco che una
catena di neuroni, i cosiddetti neuroni specchio, si attiva nel
nostro cervello mettendoci nella condizione di imitare nel nostro
corpo e nella nostra mente l’emozione, la sensazione o l’atto in
corso.
• L’imitazione di quell’emozione, di quella sensazione, di
quell’atto consentono l’esatta comprensione dello stato d’animo
dell’altro essere umano e quindi le sue intenzioni. È come se il
nostro cervello creasse dentro di sé una copia di quella
persona, allo scopo di capire il suo pensiero e di entrare in
piena sintonia con lei.
16
NEURONI SPECCHIO ED EMOZIONI 2
• Imitare le emozioni del simile dà al bambino l’opportunità di
identificarsi, stabilendo con il proprio simile un contatto senza
mediazioni.
• Il bambino empatico legge con singolare immediatezza i
desideri degli adulti.
• L’attivazione del sistema dei neuroni specchio quindi consente
al soggetto di ricostruire, esperire e perciò comprendere
l’emozione altrui attraverso una simulazione incarnata, che
genera nell’osservatore delle rappresentazioni interne degli stati
corporei associati a quelle stesse azioni, emozioni e sensazioni,
“come se” stesse compiendo un’azione simile o provando una
simile emozione o sensazione.
17
NEURONI SPECCHIO ED EMOZIONI 3
• EMPATIA: deriva dal greco en e patheo, ossia “dentro” e “sentire”.
• Per empatia si intende dunque l’attitudine della psiche a sentire
dentro di sé le emozioni, i sentimenti e le intenzioni che animano la
psiche delle persone con le quali entriamo in contatto
18
NEURONI SPECCHIO ED EMOZIONI 4
• Le basi fisiologiche dell'emotività e del comportamento sono
simili in tutti i mammiferi (Valzelli 1970).
• Il sistema limbico comprende una serie di formazioni nervose
che influiscono sulla vita affettiva ed emozionale, sulla memoria
a breve termine e sulla regolazione di risposte viscerali, in
particolare quelle immediate (da stress), sulla modulazione delle
risposte di aggressività e sul riconoscimento della paura. In
parte interviene anche nei comportamenti più elaborati,
attraverso talamo e tronco cerebrale.
19
NEURONI SPECCHIO ED EMOZIONI 5
• Ora percezione, azione e cognizione non possono più essere
concepite come funzioni separate.
• Nella nostra specie il sistema dei neuroni specchio, oltre alla
comprensione delle azioni e delle intenzioni degli altri, si trova
anche alla base della capacità di replicare intenzionalmente le
azioni osservate o di impararne di nuove.
• Si tratta di una conoscenza sensoriale e motoria, diversa da
quella concettuale e linguistica e tuttavia non meno importante,
in quanto su di essa poggiano molte delle nostre capacità
cognitive.
20
NEURONI SPECCHIO ED EMOZIONI 6
• I neuroni specchio possono aiutare a
comprendere le basi neuronali dell'empatia,
dell'altruismo, dell'apprendimento, della
comprensione dell'intenzionalità, della
comunicazione e dello sviluppo del
linguaggio, aiutando a cogliere i collegamenti
fra scienze biologiche e psicologiche, tra
filosofia, sociologia, pedagogia e
antropologia.
21
ALCUNE FUNZIONI CEREBRALI
Possiamo dire approssimativamente che il lobo frontale è più
specializzato per programmare ed eseguire il movimento, quello
parietale per la percezione delle sensazioni somatiche, quello
occipitale per la visione, quello temporale per l'udito,
l'apprendimento e la memoria. Ogni emisfero è in rapporto con
la metà controlaterale del corpo e i due emisferi non sono
simmetrici e completamente equivalenti.
22
L’IMITAZIONE
Il circuito fondamentale o nucleare dell'imitazione è costituito
dalle aree del solco temporale superiore e dal sistema di
neuroni specchio (Giro frontale infero posteriore, adiacente
corteccia premotoria ventrale e parte rostrale del lobo parietale
inferiore).
23
APPRENDIMENTO PER IMITAZIONE
• L'apprendimento per imitazione avverrebbe attraverso
connessioni di questo circuito nucleare con la corteccia
prefrontale dorsolaterale e forse altre aree premotorie.
• L'imitazione come forma di rispecchiamento sociale avverrebbe
attraverso connessioni di questo circuito nucleare con il sistema
limbico.
24
SIMULAZIONE
E’ l’aspetto cruciale per la comprensione in prima e terza
persona del comportamento sociale, implica l'attivazione di
centri motori o viscero motori corticali. Inoltre, quando segue
anche l'attivazione di centri a valle, si ha lo sviluppo di uno
specifico comportamento che può essere un’ azione o uno stato
emotivo.
Gallese, Goldman ed al. definiscono quindi la simulazione
come la capacità cerebrale, basata sulle peculiarità del
sistema dei neuroni specchio, di unire direttamente
l'esperienza personale e quella osservata (prima e terza
persona).
25
SIMULAZIONE 1
• Azioni senza carica emotiva possono anche essere comprese
senza elicitare la loro corrispettiva rappresentazione motoria,
così come possono essere riconosciute le emozioni.
• Il riconoscimento dell'emozione altrui è fondamentalmente
diverso da quello basato sulla simulazione interna, perché non
genera una conoscenza esperienziale.
• Il senso di questa simulazione positiva è sicuramente più vicino
al significato latino di simulare: come se, insieme, simile , e in
un certo senso imitare, rappresentare, darsi l'aspetto .
• Può essere considerato un processo finalizzato alla
conoscenza, attraverso la capacità di essere simili all'altro per
ottenere una migliore comprensione di una situazione o di uno
stato di cose. Risulta evidente il nesso con l'empatia.
26
• Grazie per l’attenzione!
Silvia Di Giuseppe
27
La terapia del dolore in
oncoematologia pediatrica:
tra mito e realtà
Dr.ssa Valeria Petroni
Oncoematologia - Clinica Pediatrica
A.O.U. Ospedali Riuniti Ancona
La terapia del dolore in oncoematologia pediatrica: tra mito e realtà
Il dolore
Il dolore è un’esperienza sensoriale ed emozionale
spiacevole associata a danno tissutale, in atto o
potenziale, o descritta in termini di danno.
La terapia del dolore in oncoematologia pediatrica: tra mito e realtà
Il dolore
È, fra tutti, il sintomo
che più mina l’integrità
fisica e psichica della
persona malata e più
angoscia e preoccupa i
suoi familiari, con un
notevole impatto sulla
qualità della vita durante
e dopo la malattia. La terapia del dolore in oncoematologia pediatrica: tra mito e realtà
Il dolore: miti e realtà
Mito
Realtà
I bambini più piccoli non sentono dolore
Il sistema nervoso dei bambini è immaturo e
non è in grado di percepire ed esperire il
dolore come negli adulti
Il sistema nervoso centrale alla 24 settimana di
età gestazionale possiede le capacità
anatomiche e neurochimiche di condurre lo
stimolo doloroso:
• i neonati dalle 36 settimane di età
gestazionale possono sentire e modulare il
dolore;
•i pretermine sentono dolore e in più hanno
immaturità dei sistemi di modulazione.
I bambini sono in grado di tollerare meglio il
dolore rispetto agli adulti.
I bambini più piccoli esperiscono maggiori livelli
di dolore rispetto a bambini più grandi
La tolleranza al dolore aumenta con l’età.
La terapia del dolore in oncoematologia pediatrica: tra mito e realtà
Il dolore: miti e realtà
Mito
Realtà
I bambini si abituano al dolore o
alle procedure dolorose.
I bambini esposti a ripetute procedure dolorose spesso
manifestano un aumento dell’ansia e della percezione di
dolore.
I bambini non ricordano il dolore.
I bambini sottoposti a ricorrenti stimoli dolorosi possono
sviluppare instabilità emotiva, difficoltà nello stabilire
rapporti interpersonali, incapacità a tollerare dolore
anche di minima intensità.
Il dolore è una esperienza
La severità del dolore può essere misurata grazie
“soggettiva” e quindi non può essere all’utilizzo di scale differenziate a seconda dell’età del
realmente misurato
bambino.
Il comportamento dei bambini
riflette l’intensità del loro dolore.
I bambini sono unici nel loro modo di far fronte al dolore.
Il comportamento dei bambini non è un indicatore
specifico del loro livello di dolore
La terapia del dolore in oncoematologia pediatrica: tra mito e realtà
Il dolore: misurazione
Scala Flacc: per bambini
d’età inferiore ai 3 anni, o
per bambini che per
deficit motori o cognitivi
non possono fornire una
valutazione soggettiva del
dolore.
La terapia del dolore in oncoematologia pediatrica: tra mito e realtà
Il dolore: scala Wong-Baker e Numerico – Verbale
Scala con le facce di WongBaker per bambini d’età
superiore a 3 anni
Scala Numerico – Verbale per bambini d’età superiore uguale 8 anni.
...una scala speciale…
…di un’autrice speciale!
La terapia del dolore in oncoematologia pediatrica: tra mito e realtà
Il dolore: scala analgesica OMS
La terapia del dolore in oncoematologia pediatrica: tra mito e realtà
Il dolore: la terapia tra miti e realtà
Mito
Realtà
La somministrazione di farmaci analgesici
può causare dolore
Attualmente ci sono farmaci analgesici
somministrabili per via orale, nasale
transdermica e rettale
L’ uso di farmaci oppioidi nel bambino po’
creare dipendenza
Non ci sono evidenze di bambini che sono
diventati dipendenti dopo la somministrazione di
farmaci oppiacei
Il rischio di depressione respiratoria nel
bambino utilizzando oppioidi è maggiore del
beneficio
Il rischio è simile nel bambino e nell’adulto
(0,1%)
La terapia del dolore in oncoematologia pediatrica: tra mito e realtà
Il dolore: la terapia
• 
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Via preferenziale di somministrazione: orale
Somministrazioni ad orario
Approccio terapeutico sequenziale
Trattamento individualizzato Programma terapeutico
concordato con paziente e
genitori
collaborazione positiva
valutazione e gestione
della terapia
Il dolore: la terapia con farmaci non oppiodi
I classici FANS
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Ac. Acetilsalicilico
Ketorolac
Naprossene
Ketoprofene
Nimesulide
Inibitori selettivi delle COX-2
•  Celecoxib
Paracetamolo
La terapia del dolore in oncoematologia pediatrica: tra mito e realtà
Il dolore: la terapia con farmaci oppioidi
Oppioidi Minori
Oppioidi maggiori
• Tramadolo
• Codeina
• Morfina
• Oxicodone
• Fentanil
• Metadone
La terapia del dolore in oncoematologia pediatrica: tra mito e realtà
Il dolore: la terapia con farmaci oppioidi
Effetti Collaterali
Vantaggi
• Tolleranza
• Dipendenza fisica e psichica
• Depressione respiratoria
(dose correlata)
• Gastroenterici
• Urinari
• Neurologici
• Lunga esperienza clinica
• Azione analgesica efficace
ed intensa
• Effetto sedativo
• Assoluta reversibilità con
il naloxone
La terapia del dolore in oncoematologia pediatrica: tra mito e realtà
Il dolore: la terapia con la Cannabis Sativa
Cannabinoidi (dronabinolo e nabilone )
• Effetti collaterali chemioterapia e
tumore stesso
• Vantaggi
Antiemetico
Stimolazione appetito
Sedativo ed ansiolitico
Analgesico
• Effetti collaterali
Tachicardia
Ipotensione
Aumento peristalsi
Rilssamento muscolare
Tolleranza
La terapia del dolore in oncoematologia pediatrica: tra mito e realtà
Il dolore: la terapia non farmacologica
Immaginazione
Distrazione
Ipnosi
Musica
Massaggio
La terapia del dolore in oncoematologia pediatrica: tra mito e realtà
Il dolore: la terapia non farmacologica
ACCOGLIERE E TRATTARE IL DOLORE
IL GIOCO TERAPEUTICO
(operatore ludico, ludoteca del riuso)
FAVOLE DELLA BUONANOTTE
MUSICOTERAPIA
ARTETERAPIA
CLOWN-DOTTORI
La terapia del dolore in oncoematologia pediatrica: tra mito e realtà
Il dolore globale
La terapia del dolore in oncoematologia pediatrica: tra mito e realtà
GRAZIE
Conferenza per l’analisi condivisa della mortalità e morbilità
9 Dicembre 2010
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