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Umorismo in Corsia - Fondazione Ospedale Salesi
Corso di Formazione “ Umorismo in Corsia” UMORISMO IN CORSIA FONDAZIONE OSPEDALE SALESI L’EMERGENZA NEL BAMBINO Il rischio burnout M. Cristina Alessandrelli Dirigente Psicologa Ancona, 5 Settembre 2015 TEST BREVE SUL BURN OUT di B. Potter Istruzioni: Leggi una frase alla volta e scrivi subito il punteggio. Alla fine, somma i punteggi di ogni frase. 1 raramente 2 qualche volta 3 non saprei 4 spesso 5 continuamente 1. Mi sento stanco anche dopo una buona dormita____ 2. Sono insoddisfatto del mio lavoro____ 3. Mi intristisco senza ragioni apparenti ____ 4. Sono smemorato____ 5. Sono irritabile e brusco____ 6. Evito gli altri sul lavoro e nel privato____ 7. Dormo con fatica (per preoccupazioni di lavoro)____ 8. Mi ammalo più del solito ____ 9. Il mio atteggiamento verso il lavoro è “chi se ne frega”? ____ 10. Entro in conflitto con gli altri ____ 11. Le mie performance lavorative sono sotto la norma ____ 12. Bevo o prendo farmaci per stare meglio____ 13. Comunicare con gli altri è una fatica ____ 14. Non riesco a concentrarmi sul lavoro come una volta____ 15. Il lavoro mi annoia ____ 16. Lavoro molto ma produco poco ____ 17. Mi sento frustrato sul lavoro ____ 18. Vado al lavoro controvoglia ____ 19. Le attività sociali mi sfiniscono ____ 20. Il sesso non vale la pena ____ 21. Quando non lavoro guardo la tv ____ 22. Non mi aspetto molto dal lavoro ____ 23. Penso al lavoro, durante le ore libere ____ 24. I miei sentimenti circa il lavoro interferiscono nelle mia vita privata ____ 25. Il mio lavoro mi sembra inutile, senza scopo ____ Ora calcola il punteggio da 25 a 50 E’ tutto OK da 51 a 75 Meglio prendere qualche misura preventiva da 76 a 100 Sei candidato al burnout da 101 a 125 Chiedi aiuto BURNOUT Burned out BURNOUT = «bruciare fuori» bruciato, scoppiato, esaurito 1930 Incapacità di un atleta, dopo alcuni successi, di ottenere ulteriori risultati e/o mantenere quelli acquisiti BURNOUT 1974 à stato di sfinimento o frustrazione conseguente ad un’incapacità di combinarsi e di adattarsi reciprocamente fra una persona e un’organizzazione. Freudenberg 1982 à il Burnout è una sindrome psicologica prolungata dovuta ad una costante esposizione agli elementi stressanti, di tipo sia emotivo sia interpersonale, presenti sul luogo del lavoro. Maslach BURNOUT - Esaurimento emozionale - Depersonalizzazione - Riduzione delle capacità personali (Maslach, 1976, 1982) In passato à solo professioni d’aiuto Oggi à tutte le professioni (Maslach & Leiter, 1997) BURNOUT 3 fattori 1. Esaurimento emotivo (Emotional exhaustion) à La sensazione della persona di avere esaurito le energie psicologiche, fisiche ed emozionali per affrontare l’attività lavorativa. 2. Depersonalizzazione (Depersonalization) à distacco nella relazione con i clienti e con gli utenti mediante un processo di disumanizzazione basato sul trattamento degli altri come oggetti o numeri piuttosto che come persone. 3. Ridotto senso di fiducia professionale (Reduced personal accomplishment) à l’operatore non si sente in grado di stabilire una relazione d’aiuto efficace con i propri utenti, ha poca stima di sé a livello professionale, fino a sentirsi in colpa per non riuscire ad aiutare gli altri. (Maslach & Leiter, 2000) BURNOUT Queste 3 dimensioni hanno relazioni diverse con le variabili lavorative: • Esaurimento emotivo e depersonalizzazione tendono ad essere conseguenze di carichi di lavoro eccessivi o conflitti interpersonali • Il senso di inefficacia tipico della ridotta realizzazione personale appare a causa della mancanza di mezzi e di risorse necessarie allo svolgimento del proprio lavoro. BURNOUT Uno dei motivi per cui oggi si presta attenzione a fenomeni e disagi soggettivi nelle organizzazioni è costituito dal fatto che tali disagi determinano costi (anche economici) oggettivi per l’organizzazione. (Vitale, 2013) BURNOUT Empowerment lavorativo, devianza e burnout: impatto sui risultati di assunzione e mantenimento di uno staff infermieristico (Laschinger et al., 2009) Sul posto di lavoro l’empowerment è stato dimostrato essere un importante precursore di variabili dipendenti correlate positivamente con devianza lavorativa e burnout. In ambito infermieristico, la percezione di empowerment strutturale organizzativa si ipotizza essere fondamentale per uno svolgimento lavorativo sereno e continuativo; al contrario, la mancanza di motivazione e potere, è risultata essere un fattore abilitante per la devianza sul luogo di lavoro, collegata al burnout . Individuo Bun-out Ambiente C’è un legame tra stress e burnout STRESS: fenomeno psicofisiologico fondamentalmente individuale BURNOUT : fenomeno prevalentemente sociale, interfaccia tra individuo e contesto Differenze tra stress e burnout STRESS BURNOUT Riguarda prettamente la sfera individuale ed è caratterizzato da dimensioni fisiche E’ un malessere organizzativo generalizzato e riguarda la sfera emotiva Ha una natura momentanea Ha una natura cronica BURNOUT Cause Il burnout non è un problema dell’individuo in sé, ma del contesto sociale nel quale opera. Quando l’ambiente di lavoro non riconosce l’aspetto umano del lavoro, il rischio di burnout aumenta. La difficoltà di misurarsi con le proprie emozioni e di conseguenza il non riconoscere il problema con conseguente sentimento di rassegnazione rispetto alla vita sono manifestazioni ben evidenti. Il burnout è una sindrome contagiosa che si propaga in maniera altalenante dall’utenza all’équipe, da un membro dell’équipe all’altro e dall’équipe agli utenti e può riguardare quindi l’intera organizzazione. BURNOUT Le cause Maslach e Leiter (1997) hanno elaborato un nuovo modello interpretativo che si focalizza principalmente sul grado di adattamento/disadattamento tra persona e lavoro. La sindrome del burnout ha maggiori probabilità di svilupparsi quando è presente una forte discordanza tra la natura del lavoro e la natura delle persone che svolgono tale lavoro. Queste discrepanze sono da considerarsi come i più importanti antecedenti del burnout e sono sperimentabili in sei ambiti della vita organizzativa: - carico di lavoro, - controllo, - ricompense, - senso comunitario, - equità, - valori. BURNOUT Cause più frequenti 1. Lavoro in strutture mal gestite 2. Scarsa o inadeguata retribuzione 3. Organizzazione del lavoro disfunzionale o patologica 4. Svolgimento di mansioni frustranti o inadeguate alle proprie aspettative 5. Insufficiente autonomia decisionale 6. Sovraccarichi di lavoro BURNOUT Altre cause 1. Mancanza di controllo 2. Gratificazioni insufficienti 3. Crollo del senso di appartenenza 4. Assenza di equità 5. Valori contrastanti BURNOUT Aree sintomatiche 1. Sintomi aspecifici 2. Sintomi somatici 3. Sintomi psicologici BURNOUT Sintomi aspecifici • Irrequietezza • Senso di stanchezza ed esaurimento tutto il giorno • Guardare frequentemente l’ orologio • Notevole affaticamento dopo il lavoro • Apatia • Nervosismo • Insonnia • Eccessivo uso di farmaci • Alto assenteismo BURNOUT Sintomi somatici • • • • • • • • • • • ulcere cefalee aumento o diminuzione ponderale disturbi cardiovascolari difficoltà sessuali problemi di insonnia raffreddori e influenze mal di testa disturbi gastro-intestinali stanchezza necessità di dormire • • • • • • • • • • • dolore alla schiena stanchezza agli arti inferiori dolori viscerali diarrea inappetenza nausea vertigini dolori al petto alterazioni circadiane crisi di affanno crisi di pianto BURNOUT Sintomi psicologici • • • • • • • • • • • stato di costante tensione ansia depersonalizzazione senso di frustrazione depressione demoralizzazione bassa stima di sé senso di colpa sensazione di fallimento ridotta produttività ridotto interesse e disimpegno verso il proprio lavoro • rabbia • risentimento • irritabilità • aggressività • alta resistenza ad andare al lavoro ogni giorno • indifferenza • scoraggiamento • negativismo • isolamento e ritiro (disinvestimento) • sensazione di immobilismo • sospetto e paranoia • rigidità di pensiero • resistenza al cambiamento BURNOUT Sintomi psicologici Crollo delle energie psichiche: l’operatore è apatico, demoralizzato, non riesce a concentrarsi, sviluppa paure immotivate e sensi di colpa, si sente fallito. Crollo della motivazione: il distacco emotivo dal suo lavoro conduce alla perdita della sua capacità empatica e al rifiuto di utenti e colleghi. Caduta dell’autostima: tutti i compiti lavorativi appaiono troppo difficili, insostenibili. Perdita di controllo: l’operatore non riesce più a circoscrivere lo spazio o l’importanza del lavoro nella sua vita; “portarsi il lavoro a casa” BURNOUT Sintomi psicologici • difficoltà nelle relazioni con gli utenti • .perdita di sentimenti positivi verso gli utenti • rimandare i contatti con gli utenti, • respingere le telefonate dei clienti e le visite • avere un modello stereotipato degli utenti • incapacità di concentrarsi o di ascoltare ciò che l’utente sta dicendo • cinismo verso gli utenti • atteggiamento colpevolizzante nei loro confronti e critico nei confronti dei colleghi • evitare discussioni di lavoro con i colleghi • reazioni negative verso familiari e colleghi • preoccupazione per sé • maggiore approvazione di misure di controllo del comportamento come i tranquillanti • seguire in modo crescente procedure rigidamente standardizzate • distacco emotivo • conflitti coniugali e familiari CONSEGUENZE: abuso di alcool, di psicofarmaci o fumo Cosa rinforza il burnout? La mancanza di un riscontro positivo: spesso una volta guariti i pazienti non ritornano. La mancanza di feed back positivi da parte dell’utenza che ci fa sentire ancora di più il fallimento del nostro lavoro BURNOUT BURNOUT Interventi Possono essere utili gli interventi nei quali l’azione è focalizzata sia sull’individuo sia sul luogo di lavoro. Maslach BURNOUT Interventi A livello individuale: • porsi degli obiettivi realistici • variare la routine • fare delle pause • prevenire il coinvolgimento eccessivo nei problemi della vittima • favorire il benessere psicologico e bilanciare frustrazione e gratificazione • applicare tecniche di rilassamento fisico e mentale • separare lavoro e vita privata, per evitare la propagazione del malessere nella vita familiare BURNOUT Interventi A livello sociale: • rafforzare la relazione con amici e familiari allo scopo di compensare i sentimenti di fallimento e frustrazione legati alla vita lavorativa, volontariato, ecc.; • rafforzare le relazioni positive con altri operatori da cui possono derivare riscontri positivi, sostegno, utili confronti. BURNOUT Interventi A livello istituzionale: • incontri con il personale dei diversi livelli per fluidificare i rapporti e risolvere le conflittualità • riorganizzare il lavoro per renderlo più vario e interessante • promuovere il confronto fra le aspettative degli utenti e gli obiettivi del servizio, per evitare equivoci • agire sulle caratteristiche dell’ambiente nel quale il lavoro si svolge • assicurare chiarezza degli obiettivi organizzativi e coerenza tra enunciati e pratiche organizzative BURNOUT Interventi A livello istituzionale: • riconoscimento e valorizzazione delle competenze • comunicazione intraorganizzativa circolare • circolazione delle informazioni • prevenzione degli infortuni e dei rischi professionali • clima relazionale franco e collaborativo • scorrevolezza operativa e supporto verso gli obiettivi • giustizia organizzativa • apertura all’innovazione • stress e conflittualità BURNOUT Interventi A livello organizzativo: • condividere la gestione del carico di lavoro con il gruppo; • creare e alimentare il senso di squadra; • partecipare attivamente al processo decisionale: personalizzazione dello stile, adattamento degli orari; • comunicare: chiarezza dei messaggi; obiettivi realistici e credibili; • riconoscere una ricchezza nelle diversità: cogliere le potenzialità positive nell'incontro con operatori e colleghi; • crescere professionalmente: formazione e cultura dell'approfondimento. BURNOUT Legislazione 1994 - Decreto legislativo 626/94 à attesta la condizione di assenza di rischio o di rischio accettabile. 2002 - Articolo 4 del D lgs viene modificato à la valutazione deve riguardare tutti i rischi. 2007 - Legge n.123/07 à attribuisce al governo la delega ad emanare un Decreto legislativo per «riordinare» tutta la normativa sulla tutela della salute e la sicurezza sul lavoro. 2004 - 8 Ottobre 2004 à stipulazione a Bruxelles dell’Accordo Europeo sullo Stress Lavoro - correlato. 2008 - Decreto legislativo n. 81/08 à lo stress lavoro correlato deve essere sottoposto a «valutazione» come rischio. Incontro con la sofferenza “Ha un senso questa sofferenza umana? Che senso ha nella vita dell’uomo? Quale è il senso del mio lavoro?” Come vediamo l’utente? L’utente è visto solo come portatore di problemi da risolvere, o come un soggetto che riceve passivamente il nostro aiuto Sua parte sana, a quella dovremo dare fiducia e potenziarla L’incontro con la vulnerabilità e la fragilità dell’altro può diventare un peso eccessivo, quando si è soli a sopportarlo La nostra risposta può essere : BURNOUT Strategie Ø Confini ben definiti Capacità di distinguere il disagio altrui da quello che deriva dalla partecipazione alla sofferenza altrui è fondamentale per non essere travolti dal dolore e dall’angoscia. Avere confini chiari non solo con l’equipe, ma anche con l’utente vuol dire stabilire contatti strettamente professionali, che non coinvolgano il fruitore della terapia e il terapeuta in altri ruoli alternativi. Ø Acquisire consapevolezza di cosa realmente ci sta stressando. E’ importante identificare le fonti di stress. Ø Modificare la valutazione cognitiva dell’ambiente. Prima di tutto riconosciamo la differenza tra le cose che possiamo controllare e quelle che non possiamo controllare. Ø ALLENAMENTO EMOTIVO Capacità di allenare la nostra mente a familiarizzare con i nostri sentimenti ad avere meno paura …Imparare ad accettarci Riconoscere l’impotenza senza farcene travolgere Dobbiamo sviluppare un allenamento emotivo sull’impotenza Dobbiamo allenarci a ricordare che l’impotenza accompagna la condizione umana! PRINCIPI DELL’INTELLIGENZA EMOTIVA Autoconsapevolezza Controllo delle emozioni Empatia Gestione delle relazioni Ø LAVORO DI SQUADRA Modello circolare organizzativo In questo modello, esiste un leader riconosciuto dall’equipè di lavoro. Le decisioni vengono prese assieme al leader, con libera scelta per quanto riguarda la divisione del lavoro e le valutazioni di tipo obiettivo. Affinchè un gruppo funzioni bene è importante un fine , che vi sia concordanza fra i membri per quanto riguarda questo fine, e che ciascuno abbia motivazioni sufficienti per raggiungerlo. In assenza di obiettivi da raggiungere o in presenza di operatori che sposano altre cause o che hanno scelto un lavoro per un altro, oppure che presentano una immaturità di base con incapacità di adeguarsi ai cambiamenti si produce un gruppo laissez fair, improduttivo ai fini del lavoro. Ø Evitare l'isolamento professionale: FORMAZIONE COSTANTE AGGIORNAMENTO CICLO DELLA FORMAZIONE formazione di base (la semina) esercizio professionale (il nuovo raccolto) esercizio professionale (il raccolto) formazione continua (l’acqua, il sole) Ø SUPERVISIONE Aiuta a fare il punto della situazione correggendo le dinamiche disfunzionali incoraggiando chi soffre ad esprimere i propri vissuti e le proprie emozioni. Ø Coltivare la sfera privata, l'operatore dovrebbe avere un'altra vita oltre a quella professionale, sarebbe importante coltivare i propri interessi che forniscono appagamento e soprattutto ricarica. Ø Avere cura di sé ,mantenere un buon stato di salute tramite una buona alimentazione, esercizio fisico e riposo adeguato. Ø Riflessione personale, riservarsi uno spazio per la riflessione personale. Ø Pensiamo positivo Riconosciamo i nostri successi e cerchiamo di ricompensarci in qualche modo. Poniamoci dei piccoli obiettivi a breve termine. Cerchiamo di non considerare le critiche come un attacco personale, ma in maniera costruttiva, come un’opportunità di crescita. Ø Rivediamo la scala di valori Consideriamo quello che c’è al di fuori del lavoro: FAMIGLIA, AMICI, ALTRI INTERESSI Ø Humor Impariamoci a prenderci meno sul serio, a ridere di noi [email protected] LA CLOWNERIE COME MEDIAZIONE DELLO STRESS IN REALTA' TERAPEUTICHE E COME PERCORSO DI CRESCITA BANDO MINISTERIALE – DIP . PARI OPPORTUNITA' 2010 - 2011 Cap. 1 Come nasce e si definisce la Clownterapia e la figura del Clowndottore Cap. 2 La clownerie come forma di sostegno nel gioco e nella relazione d'aiuto con un bambino (malato) oncologico Cap. 3 Conclusioni: efficacia e prospettive di un approccio multidisciplinare di sostegno del bambino malato LA CLOWNERIE COME MEDIAZIONE DELLO STRESS IN REALTA' TERAPEUTICHE E COME PERCORSO DI CRESCITA Thomas Sydenham, autorevole medico del XVII secolo, era solito affermare che: “L’arrivo di un buon clown esercita, sulla salute di una città, un’influenza benefica superiore a quella di venti asini carichi di medicinali” (Tringale, 1999). “L’umorismo”, scrive Freud, ” E' uno strumento che permette di trarre piacere anche da avvenimenti e circostanze difficili”. Il clowning si sta diffondendo in molti settori dell’educazione e della cura: oltre ad essere un’attività di distrazione in ospedale, più nota perché più pubblicizzata (terapia del sorriso), è diventato uno strumento per avvicinare ragazzi difficili, avvicinare anziani, portatori di handicap psicofisico e mentale, un modo per incontrare popolazioni in situazioni di disagio; una tecnica di educazione psicomotoria nella scuola. La clownerie aiuta a sviluppare l’autostima, favorire l’integrazione fra gruppi, sollecitare l’interesse per i sofferenti e i bisognosi d’aiuto, riscoprire una gestualità e una corporeità spontanea e infantile che consenta una migliore espressione delle emozioni, ridere e far ridere attraverso l’autoironia e la scoperta delle proprie parti comiche. Quando il clown esce dal circo, e si trasforma in un “medico clown” o in un “portatore di pace”, o in un “clown maestro”, anche la sua tecnica deve essere adattata alla situazione. L’enfasi dei gesti si attutisce, il tono della voce si smorza e il clown cerca di cogliere i bisogni dell’altro a cui si rivolge. Il suo messaggio non è necessariamente comico né tende a far ridere ad ogni costo: spesso il clown piange insieme ai sofferenti a cui offre la sua arte, e la sua comicità ha sempre un fondo agrodolce. Non potrebbe essere altrimenti perché la sua è una maschera simbolica della goffaggine e della miseria che fa sorridere gli altri. Un esempio classico è la famosa Gelsomina del film La strada di Fellini: dolcezza struggente, fragilità, ma anche umanità profonda e ingenua la rendono buffa e triste ad un tempo, emblema dei poveri e dei diseredati. Triste o allegro, deriso o malmenato, il clown gioca tutta la sua arte sull’espressività corporea e per questo necessita di un costante addestramento ginnico per affinare la gestualità, l’agilità e la mimica. Si tratta di una ginnastica che punta a riconoscere e ad accettare i difetti di postura, le caratteristiche personali dell’andatura, la rigidità o la difficoltà nell’espressione delle emozioni: sarà quindi necessario un percorso lento e faticoso di presa di coscienza oltre che di apprendimento di tecniche specifiche. E’ molto importante, che il corpo venga considerato, fin dalla prima infanzia come uno strumento fondamentale, coinvolto in tutti i processi psicologici ( Farneti, Carlini, 1981; Argyle,1992). Lecocq, il celebre maestro parigino, collocava la formazione del clown alla fine di una dura scuola di teatro di due anni e sosteneva che non tutti gli attori sono in grado di diventare clown (Lecocq, 2000). Se la comicità del clown appare ingenua, disinibita, infantile, per apparire tale, è necessario un lungo lavoro perché il clown non è un bambino anche se ad esso si ispira. Freud sosteneva che noi sorridiamo o ridiamo dell’ingenuità solo se siamo convinti che chi la commette non è soggetto alle nostre inibizioni, altrimenti ci indigniamo. Per esempio, se un bambino mette un dito nella torta e lo lecca, noi ridiamo, ma se lo fa un adulto, ci irritiamo (Freud, 1975). COME, DOVE, QUANDO E PERCHE' E' NATA LA FIGURA DEL CLOWN DOTTORE. Nel 1986 Michael Christensen, direttore del Big Apple Circus di New York, fondò la prima Clown Care Unit (unità di sostegno sanitaria di clown) che cominciò ad operare in New York, Boston, Los Angeles e San Francisco. Sono stati creati circa 17 progetti negli ospedali pediatrici distribuiti su tutto il territorio Americano con circa 90 clowns operativi e oltre 200.000 bambini assistiti fino ad oggi. I clown dottori sono spesso veri e propri clown, artisti di strada, attori o musicisti che dopo un’attenta selezione e formazione vengono inseriti negli ospedali dove, in collaborazione con il personale medico e paramedico, si attivano per alleviare l’ansia e la paura che attanaglia il bambino ricoverato e la sua famiglia. Un importante apporto al lavoro delle Clown Care Unit sono stati i finanziamenti elargiti dalla Garrett Smith Foundation, una fondazione nata in ricordo di un bambino scomparso a causa di un grave tumore. I clown dottori sono spesso veri e propri clown, artisti di strada, attori o musicisti che dopo un’attenta selezione e formazione vengono inseriti negli ospedali dove, in collaborazione con il personale medico e paramedico, si attivano per alleviare l’ansia e la paura che attanaglia il bambino ricoverato e la sua famiglia. Ci sono anche i dottori clown che ha tra i suoi più estimati componenti Patch Adams, un eccentrico medico che, dopo una durissima gavetta fatta di esperienze forti come il ricovero in un ospedale psichiatrico di sua volontà, decise di costruire la prima clinica del sorriso, l’istituto Gesundheit in West Virginia, dove, oltre alle prestazioni mediche, viene praticata la terapia del sorriso come sostegno terapeutico. La distinzione tra clown dottori e dottori clown è netta ed importante, poiché gli uni sdrammatizzano con l’arte circense e con la “terapia del buon umore” la paura, l’ansia delle pratiche terapeutiche, con specificità professionali del mondo dello spettacolo e delle professioni sociali, mentre i dottori clown sono medici o paramedici che hanno un’esperienza lavorativa di stampo medico alle spalle con un approccio al malato più personalizzato ma di difficile conciliazione con il proprio ruolo professionale. La malattia e il ricovero sono esperienze dolorose e non sono facilmente comprensibili, si vivono in modo molto fisico e la mentalizzazione dell'evento è di difficile applicazione, questo lo sanno bene gli psicologi che assistono questo tipo di malati (bambini), giocando si può rappresentare più e più volte la situazione ansiogena e si insegna a conoscerla e a controllarla, la ripetizione permette di ristabilire uno stato di quiete e di sicurezza. L’ansia è una caratteristica predominante e patologica nelle manifestazioni di stress. L’ansia è vissuta anche come reazione adattiva allo stress, poiché prepara l’organismo all’azione. A livello fisiologico l’ansia si caratterizza per un’alterazione degli apparati e dei sistemi fisiologici interni, con una condizione di simpaticotonia cronica e un respiro in genere affannoso, alto e toracico. Spesso sono presenti modificazioni delle percezioni e del tono muscolare di base in numerosi distretti corporei dell’organismo. I movimenti sono limitati e stereotipati, spesso sono bruschi e a scatti. Mancano in genere quelli morbidi, quelli ampi, quelli forti ma calmi (Rispoli, Università di Napoli 1992). Le finalità del Clown Dottore è di dare sostegno in realtà terapeutiche particolari, di ironizzare sulle pratiche mediche per sdrammatizzare certi stati d’angoscia che possono assalire chi è malato e chi lo assiste, tutto questo per dare vigore all’aspetto della parte sana presente nel malato per influenzare la parte malata ad accelerare i processi di guarigione (Hodgkinson, 1995/2001). 1.2) Cosa fa un Clown Dottore? I Clown Dottori operano principalmente in equipe (coppia), possibilmente maschio e femmina: è questo un meccanismo assai collaudato che consente sia di improvvisare (meccanismo Augusto/Bianco) sia di operare su più fronti (bambino/mamma, genitore o altro parente, comunità), sia di sostenersi vicendevolmente nei più diversi momenti. Come è ampiamente dimostrato, quando il Clown Dottore entra in reparto l'atmosfera della corsia è già mutata. Nei contesti sociali opera anche in forma laboratoriale, come casa famiglia, case di riposo, comunità per minori, carceri e altri contesti di disagio. In detti casi il clown si intende al servizio della persona e quindi opera in una dimensione sociale 1.3) Le principali tipologie di intervento a) Intervento “Visite Clown” Si tratta in genere di un giro di visite compiuto dalla coppia di Clown Dottori, stanza per stanza, in modo da essere efficaci con ogni singolo bambino (e genitore presente). Questa modalità di intervento è quella solitamente più usata anche con pazienti adulti. b) Intervento in affiancamento allo staff durante le terapie mediche Si tratta di una modalità di intervento che utilizza le tecniche di distrazione, in affiancamento allo staff, durante procedure mediche e dolorose come aspirato midollare, puntura lombare, accompagnamento in sala operatoria, interventi prima o dopo l’anestesia. Questo tipo di intervento sta diventando sempre più richiesto dagli operatori sanitari, sperimentando nuovi spazi di impiego del Clown Dottore. c) Gli interventi nei contesti sociali e / o sociosanitari e tutelari. Essi hanno varie tipologie e varie modalità di esecuzione (laboratoriale, finalizzati alla riabilitazione, alla prevenzione, alla crescita personale, alla formazione). 1.4) La definizione del profilo (come richiamato dal Bando Nazionale del Mnistero Pari Opportunità) Il Clown Dottore è una Figura Tecnica Socio Sanitaria di base, e lavora nelle strutture Ospedaliere, Tutelari e Sociali. Il Clown Dottore utilizza gli strumenti del clown, integrandoli con conoscenze psico-socio-sanitarie per facilitare le relazioni all’interno di un sistema, cogliendone le dinamiche relazionali e riformulando la lettura di esse in chiave paradossale, al fine di agire sulle emozioni, trasformandole. E’ una figura basata su una specifica formazione professionale di carattere teorico-pratico. Svolge attività con persone di diverse età, realizza i propri interventi in base ad una specifica formazione professionale con un modello metodologico strutturato, concordando sempre gli obiettivi con le altre figure professionali. 1.5) Le competenze Per svolgere la sua attività, al Clown Dottore sono richieste: Competenze artistiche mutuate dall’arte del clown, dell’umorismo, della comicità, dell’improvvisazione teatrale e della creatività. Capacità relazionali con una adeguata conoscenza psicologica e interculturale. Autonomia e responsabilità secondo metodologie definite e precisi ambiti di intervento operativo. 1.6) La formazione Il percorso formativo proposto deve essere attuato attraverso un corso qualificante di formazione, per accedere al quale si deve aver conseguito il diploma di scuola media superiore e ave sostenuto un colloquio motivazionale e psico-attitudinale. Il corso deve fornire sicuramente delle basi teoriche nelle aree che di seguito vengono indicate , ma si ritiene che una grande parte delle formazione debba derivare dalla pratica, sia in laboratorio, sia nelle strutture, con forme di tirocinio. Affinché la formazione del tirocinante sia completa, saranno necessarie le figure del Tutor (Clown Dottore esperto) e del supervisore psicologico che provvederanno a monitorare le attitudini e le attività. E' necessario che chi svolge questa attività, anche dopo una formazione qualificata, si sottoponga a processi di formazione periodica (con cadenza almeno annuale) e di supervisione costante. Nel percorso formativo dovrebbero essere previste le seguenti aree di competenza (studio ClownFormanet – università di Firenze – prof. Enzo Catarsi, ed GIUNTI OS): AREA ARTISTICA Tecniche di clowning Tecnica di pantomima Tecniche di improvvisazione teatrale Tecniche di lavoro in gruppo Elementi di microprestidigitazione e giocoleria AREA PSICO – SOCIO – SANITARIA Gelotologia Elementi di psicologia Tecniche della comunicazione Studio delle patologie in relazione alle fasce d’età Studio della normativa ospedaliera Norme sulla privacy Norme di igiene Norme di sicurezza sul lavoro (L.n.626) Conoscenze socio-antropologiche ed interculturali Conoscenza dei contesti operativi Sintesi dei requisiti d’accesso alla formazione Scuola media superiore Equilibrio della personalità Buona attitudine all’ascolto Capacità di lavoro in coppia ed in gruppo Attitudine o capacità artistica Responsabilità nel rispetto di norme, regolamenti, privacy e sicurezza in ambito operativo 1.7) Metodologia di lavoro Il Clown Dottore: Programma giorni e orari d'intervento in accordo con gli altri operatori delle strutture Lavora in coppia, con un camice personalizzato e un trucco leggero Programma autonomamente ciascun intervento attraverso strutture e strumenti professionali Utilizza principalmente tecniche di espressione artistiche teatrali Programma con gli altri operatori la necessità dell’intervento, stabilendo sempre luoghi, tempistiche ed eventuali precauzioni Chiede agli utenti il permesso di poter interagire e rispetta l'eventuale diniego Ha come obiettivo quello di mutare lo stato emozionale dell'ambiente, portarlo al climax e concludere l'intervento lasciando l'effetto positivo raggiunto Pone attenzione agli effetti psicologici prodotti dall'intervento agito Ha attenzione alle esigenze reali della persona e del sistema relazionale. 1.8) Ambiti di intervento Oltre all’ambito ospedaliero esistono i settori di intervento legati alla tossicodipendenza, alle strutture protette, alle carceri, alle malattie mentali, all'handicap, agli anziani ed alle emergenze legate alla protezione civile, scuole, etc. Il CLOWN DOTTORE non si sostituisce ad altre figure come l'animatore di reparto, l'art terapista, il musicoterapeuta, il volontario di protezione civile, il volontario di primo soccorso e altro. Il Clown Dottore mantiene una propria specificità e può lavorare in equipe con le sopracitate figure. Si può ridurre lo stress legato alle terapie invasive inserendo i clown dottori nei protocolli medici a sostegno dell'intervento terapeutico, anche nelle pratiche più invasive e dolorose, come dimostrato, per esempio, all'ospedale Mayer di Firenze nel 1998: “Non avevo mai visto né credo che sia stato mai tentato prima niente del genere…la biopsia ossea è un esame molto doloroso, più della puntura lombare o dell’aspirato midollare… Normalmente si fa in sedazione più o meno profonda. Ma in questo caso, abbiamo tentato con Soccorso Clown…e il risultato è stato straordinario, sotto il profilo psicologico e fisico: la bambina non si è mai spaventata, non ha né gridato, né pianto”. Dott. Andrea Messeri, responsabile del Servizio di Terapia del Dolore dell’Ospedale Meyer di Firenze. I medici dell'Ospedale pediatrico Meyer di Firenze affermano che: "L'arrivo dei clown in reparto è un momento di grande gioia per i bambini. Ma non solo. E' ormai dimostrato che diminuendo lo stress da paura e da sofferenza si riduce anche il bisogno di farmaci. I dati più recenti parlano di una riduzione della degenza vicina al 50 %, e del 20 % nell'uso di anestetici". "Attenzione però", avverte la dottoressa Franca Fossati Bellani, pediatra dell'Istituto Nazionale Tumori di Milano, "non commettiamo l'errore di pensare che una risata basti a guarire da una malattia oncologica. Un pagliaccio da solo non può far nulla, se non portare un momentaneo sollievo. Dietro a lui deve esserci un progetto ben preciso". Lo conferma il dottor Moretti dell’osp. Meyer: "Queste esperienze funzionano solo quando si punta al benessere totale del paziente e si stabilisce un'alleanza terapeutica tra medici, genitori, personale paramedico, animatori e clown. E si è davvero pronti ad ascoltare il bambino, a dare spazio alle sue paure, alle sue emozioni". ( Clownterapia – Guarire dal ridere di Anna Alberti - Rivista periodica “Starbene” – Maggio 1999). IL SIGNIFICATO CHE DA' IL BAMBINO ALLA MALATTIA E AL DOLORE Cosa è il vissuto? Il termine vissuto riconduce all’espressione tedesca Erlebnis, cioè esperienza vissuta, dell’esperienza vissuta fanno parte tutti gli eventi positivi e negativi che la persona ha sperimentato e che ha introiettato , il vissuto racchiude sia gli eventi, gli insegnamenti e gli schemi comportamentali genitoriali ed è un bagaglio importante che permette all’individuo di rapportarsi con le nuove esperienze permettendogli di dare una giusta risposta adattiva alla situazione nuova da fronteggiare sia che essa sia negative sia che essa sia positive e ciò è confermato da studi condotti da Eser (1989) che dimostrano come i comportamenti dei bambini siano strettamente legati a quelli dei familiari anche nell’elaborazione del loro stile adattivo, tanto intellettivo quanto emotivo. Rispetto al vissuto di malattia , il significato che il bambino dà ad esso, riconduce alle esperienze passate di malattia , soprattutto al rapporto con la madre e agli atteggiamenti e gli schemi mentali che la famiglia ha strutturato rispetto a situazioni passate di malattia. Il vissuto di malattia cambia in base all’età e tiene conto dello stadio evolutivo nel quale si trova il bambino. PRIMA INFANZIA Il bambino molto piccolo, vive ogni esperienza in modo indifferenziato, ed anche l’esperienza di malattia, è vissuta come dolore generalizzato, OLIVIERO FERRARIS (1989) dice rispetto a questo periodo evolutivo che :<< qualsiasi tensione e bisogno è avvertito come doloroso, non esiste ancora una netta distinzione tra un’esperienza diffusa di disagio e una situazione più nettamente circoscritta>>. Prima dei sei anni, qualsiasi malattia viene percepita come un evento aggressivo e traumatico che viene dall’esterno, anche un dolore lieve viene sentito e percepito come un dolore diffuso e forte carico di angoscia. Il dolore viene investito da paure di mutilazione, aggressione, non sembra esserci la capacità di scindere tra la fantasia e l’evento oggettivo. Qualunque cosa accada al corpo, viene vissuta come se viene dall’esterno, o “dall’imago interiorizzato” di istanze esterne e nella fantasia infantile lo “ star male” coincide con una punizione che viene dall’esterno ed è meritata poiché è la conseguenza dell’essere stati cattivi. Questa visione della malattia così poco oggettiva e legata anche al processo di sviluppo cognitivo e psichico del bambino nella prima infanzia, non si ha la capacità di fare una netta distinzione tra fantasia e realtà ed esperienza oggettiva, A.Freud e T. Bergman fanno osservare dai loro studi che: << è dopo i tre anni che i bambini cominciano a vivere con più consapevolezza la propria malattia>>, e sicuramente questo modo errato di percepire la malattia come un atto punitivo per l’essere stato cattivo, è deleterio per la capacità di recupero del bambino e rischia di sfaldare l’equilibrio interiore rendendo il malato più debole. Di Cagno L. e Ravetto F. affermano che "Nei primi anni di vita (forse sino ai sei - sette anni), qualsiasi affezione che si accompagni a dolore e pena fisica, viene vissuta come proveniente dall'esterno, non localizzata all'interno del proprio organismo, ma come conseguenza di un evento aggressivo inducente una sofferenza di grave entità, tale da sconvolgere spesso drammaticamente le normali abitudini di vita; questo è tanto più evidente quanto maggiori sono in quel momento i meccanismi persecutori e la proiezione” . Il vivere in modo persecutorio la malattia si chiarisce e assume connotati più specifici se si studiano i vissuti legati alle singole patologie , ad esempio sempre rispetto al vissuto di persecuzione che un bambino può vivere, se si prende nello specifico il diabete anche il cibo viene vissuto come un oggetto pericoloso e perde il significato d’affetto, d’ amore. Anche una visita medica può essere vissuta come intrusione pericolosa, Dott. Brunelli (1982) dice: una visita può rivelare pratiche masturbatorie, un clistere può essere vissuto come un atto di seduzione o la puntura crea notevole disagio”, Quindi queste pratiche possono essere vissute come aggressive. Molti bambini sentono rispetto all’essere manipolato paure di evirazione, o invasione, ad esempio è molto consueto nei bambini affetti da fibrosi cistica avere la sensazione , quando vengono “battuti” per il drenaggio, che gli altri non abbiano più rispetto per il suo corpo e che attentano alla sua vita. E’ semplice pensare a come può sentirsi una persona adulta in una condizione di malattia che comporta il non essere auto sufficiente inficiando la sua dignità umana, per un bambino “l’essere manipolato” è più doloroso in quanto viene minacciata la sua appena conquistata indipendenza ed autonomia. Possono manifestarsi paure ,ansie di separazione incubi notturni ,molti bambini manifestano disturbi a livello alimentare, o la paura può manifestarsi sotto forma di comportamenti aggressivi nei confronti dei genitori e dell’ambiente esterno. A mediare la reazione alla propria affezione è anche l’atteggiamento materno nei bambini in età prescolare, il bambino stabilisce un rapporto più esclusivo con la sua figura d’attaccamento, crea con la madre un simbiotico, la sua risposta alla malattia è notevolmente influenzata da come viene vissuta e mediata dalla figura d’attaccamento; ad esempio è consueto osservare come i bambini, vivono serenamente la loro malattia se la madre vive in modo sereno questa esperienza, cioè se la madre ha una buona capacità di “Holding” e quindi riesce a contenere e rielaborare le angosce e le paure restituendole sotto una forma più accettabile al bambino, ma se non c’è una buna capacità contenitiva da parte della madre delle ansie, allora le paure e le angosce provate non assumono nessuna forma accettabile e di conseguenza la reazione del bambino sarà altamente ansiogena. Come riporta R. Gaddini, (1971)"...si possono osservare ripercussioni psicologiche inaspettatamente rilevanti, per condizioni malformative di relativo poco conto, come il criptorchidismo (che non comporta pericoli per la vita, non rende il bambino invalido, non è visibile ed è in genere di facile correzione) e, a paragone, reazioni meno importanti per malattie che sono invece di assai maggior rilievo” . L’ETA’ SCOLARE In questa età, che comprende i bambini che hanno età 7-11 anni, il bambino incomincia a vivere la malattia come un evento oggettivo e non viene vissuto come un atto punitivo per una sua azione sbagliata. Vive la malattia in modo più realistico ed autonomo, attraverso il disegno molti bambini sottolineano i propri organi malati separandoli dall’immagine globale di se, che è un se sano, anche attraverso l’uso di tecniche di drammatizzazione i bambini spesso si identificano con il dottore che chiede un certo tipo di pratica medica essenziale per guarire. Nell’età scolare, il bambino, ingrandisce la sua rete di conoscenze e l’evento che segna questo passaggio è l’entrata a scuola. I bambini, quindi iniziano a passare più tempo fuori casa e acquistano una certa indipendenza dai genitori. La malattia crea diversità tra se e i coetanei, specialmente se essa è cronica , il bambino vive se stesso come un diverso è facile che percepisca la sua condizione di malattia come un’ingiustizia, e molte volte la reazione conseguente a questo stato d’animo è il rifiutare qualsiasi trattamento medico. Sicuramente l’atteggiamento dei genitori può amplificare il vissuto di diversità, quando ad esempio si tende a nascondere la malattia agli altri, ciò non permette al bambino di accettarsi e di sviluppare sentimenti di auto stima. Da studi condotti si è osservato che tendenzialmente i bambini che affrontano un’esperienza di malattia, sviluppano comportamenti regressivi, non adeguati all’età che hanno, questo meccanismo difensivo può aiutare il malato per cercare di arginare l’angoscia rispetto al dolore e rispetto alla malattia. Regredire significa tornare ad uno stadio evolutivo in cui si era passivi, cioè si veniva accuditi e difesi. A volte, il bambino attua meccanismi difensivi dall’ansia, rifugiandosi nella fantasia o assumendo atteggiamenti di ritiro emotivo, inadeguati all’età. L’ADOLESCENZA L’adolescenza è il periodo forse più delicato, molti studiosi dell’età evolutiva la indicano come l’età “critica”. Essa costituisce un periodo complesso, ci si confronta con problemi fondamentali, quali l’acquisizione della propria autonomia, l’identificazione con i compagni, e con il gruppo, la preoccupazione per il proprio aspetto fisico, considerato il “ lascia passare” per entrare in un gruppo ed essere accettati, l’integrazione delle pulsioni sessuali, la ricerca dell’identità e del senso della vita. In adolescenza le problematiche non sono più centrate sull’integrità dell’io. Si suppone, che in uno sviluppo sano l’adolescente abbia superato con successo tutte le tappe evolutive e le difficoltà evolutive che le caratterizzavano, proprio per raggiungere quella che viene definita “integrità dell’io”. Diventa importante riuscire ad essere indipendenti dalla propria famiglia e capaci di risolvere i propri problemi in modo autonomo. L’identita è un concetto che caratterizza questa età, l’adolescente è alla ricerca della sua “individuazione” come persona e c’è in questa età della vita Carpuso (2002) “ un desiderio di affrancamento dalle figure adulte, che vengono sempre più allontanate dallo spazio psichico”. Fare l’esperienza di una malattia, quindi è limitante e frustrante, specialmente se essa è cronica. La reazione al proprio stato di cronicità può essere: o un’aperta ribellione, fino al boicottaggio della terapia; o un atteggiamento passivo e depressivo. Tali reazioni hanno alla base meccanismi difensivi come la negazione, quindi il ragazzo/a, rifiuta la sua condizione fisica, la ignora perché inficia la sua visione di sé e rifiuta le cure mediche. L’altra reazione all’angoscia è reagire ad essa regredendo, il ragazzo/a può cercare attenzioni e protezioni, come dice Oliviero Ferraris: “ Il ragazzo può assume comportamenti da bambino”, invalidando quel processo che Capurso chiama “affrancamento”. Questo comportamento dipendente che il ragazzo cerca di instaurare con gli altri, è negativo ed è di ostacolo alla acquisizione da parte del malato di un atteggiamento autonomo, gli autori sono concordi nell’affermare, che di solito comportamenti regressivi in adolescenza sono di tipo transitorio, assumono costanza nel tempo quando i genitori non trovano altre modalità per fronteggiare i capricci e i ricatti del proprio figlio. Altre reazioni difensive che si manifestano sono: l’isolamento, che permette di avere una sensazione di sollievo immediato, ma che se viene utilizzato in modo abituale, come mezzo per arginare l’angoscia, può condurre il ragazzo/a ad un distacco netto dalla realtà e dalla vita quotidiana, tendenzialmente l’isolamento porta a sviluppare sintomi nevrotici e depressivi. Le reazioni difensive in una condizione in cui l’ansia può raggiungere livelli eccessivi, sono naturali e vanno comunque rispettate, ma l’aiuto che si può dare al ragazzo è trovare modalità di intervento che permettano a difese adattive di prendere il posto di difese non adattive, molte volte se il ragazzo riceve un sostegno dal suo ambiente la negazione ad esempio può essere parziale e quindi assumere un connotato adattivo, come sostiene Oliviero Ferraris:” la negazione se è parziale, aiuta la socializzazione di un malato cronico, a fornirgli quella forza necessaria ad attuare validi programmi di vita”, ovviamene negare totalmente la propria malattia crea una frattura tra se e la consapevolezza del proprio stato morboso determinando una scissione che può essere pericolosa. Il corpo subisce cambiamenti con una malattia e tali cambiamenti possono influire a livello psicologico. L’immagine corporea ha un notevole valore a tutti gli stadi evolutivi, essa ha il ruolo di aiutare e contribuire il giusto adattamento del bambino al suo ambiente esterno; gli studi di Wallon e Zazzo sul riconoscimento dell’immagine corporea allo specchio da parte di bambini di un anno di età, dimostrano come questo processo coinvolga molteplici fattori psichici come le emozioni e i fattori cognitivi, per cui, è deleteria una malattia specialmente se è cronica, essa può influire sui fattori psichici e può determinare delle distorsioni nella percezione della propria immagine. Il ragazzo rifiutando la sua malattia e negandola, può arrivare ad attribuire ai suoi difetti una importanza eccessiva. L’affezione viene vissuta come elemento strutturante di se, vivendo in modo non reale il proprio corpo. Fanno notare Oliverio Ferraris e Senatore Pilleri (1980) Che “ a volte il bambino e il ragazzo malato cronico presenta un deterioramento dell’immagine corporea e vive la malattia come fattore svalorizzante”. E sentimenti di inferiorità ed inadeguatezza, sono sentimenti evidenti negli adolescenti, che vivono in una condizione di malattia, possono interferire negativamente nella organizzazione dei concetti di ruolo e di identità e possono ostacolare i processi di socializzazione. I cambiamenti fisici causati dall’affezione, creano dubbi circa la propria funzionalità sessuale per esempio. Più la patologia è complessa più ci sono possibilità di una distorsione della propria immagine corporea proprio perché viene fatto dal malato un processo di uguaglianza tra la malattia ed il corpo, che risulta ed è vissuto come malato ed di conseguenza come inadeguato. Esiste una sacralità del corpo per gli adolescenti che viene tradito dalla malattia e violato per le cure invadenti, è facile notare che i ragazzi a causa di questa sensazione di violazione del proprio corpo possano avere la tendenza a chiudersi in se stessi, come sorta di protezione di ciò che si può ancora vivere come proprio, i sentimenti e l’intimità. EFFETTI COLATERALI DELLA MALATTIA. Separazione, e altri comportamenti Tanti bambini regrediscono a situazioni infantili e riemergono in tali circostanze l’enuresi, l’imbrattarsi con le proprie feci tutte situazioni già affrontate nel proprio percorso di crescita ma che in una situazione frustrante e di alto stress come il fronteggiare una malattia possono ricomparire. Tali cambiamenti possono avvenire dopo una lunga degenza in ospedale che comporta la separazione dai propri genitori, ma dalle ricerche condotte da vari autori sull’effetto della malattia fisica sulla vita psichica si è osservato che per un bambino influisce sul suo stato psichico l’ospedalizzazione, ma è più traumatico se essa è associata ad altri fattori che si correlano alla degenza. Esistono degli effetti che Anna Freud ( 1977), :“definisce effetti collaterali”, che sono importanti da evidenziare per comprendere successivamente quanto una malattia per un bambino o ragazzo può essere traumatica psicologicamente. Quasi sempre in presenza di una malattia l’atteggiamento affettivo dei genitori nei confronti del proprio bambino malato cambia. La maggior parte dei genitori tende a viziare i bambini malati , soddisfanno ogni minima richiesta e capriccio , fa notare A. Freud come nelle famiglie numerose , a causa di una malattia infettiva i bambini raggiungono mete che solo l’eccezionale circostanza fa ottenere , cioè il possesso esclusivo, indiviso della madre che lo cura. In una circostanza come la malattia si perdono le elementari basi dell’educazione non si riesce a privare di nulla i bambini e soprattutto anche i “sani” no non vengono più utilizzati. Il bambino reagisce a tali sconvolgimenti delle regole in modo traumatico no comprendendole e no riuscendo ad orientarsi tra i valori affettivi e morali che sono stati messi in discussione per l’eccezionalità dell’evento. Un altro fattore collaterale è l’effetto dell’assistenza. Per il bambino è una tappa importante riuscire gradualmente ad avere padronanza delle proprie funzioni corporee: l’autonomia nel mangiare, l’imparare a vestirsi lavarsi autonomamente sono tutte conquiste e come sottolinea A. Freud “ è per il bambino una tappa importante dell’Io”. Tutto questo percorso di crescita è legato anche al percorso di autonomia che il bambino fa dalla figura materna, la malattia determina e causa una regressione a comportamenti non adeguati e non giusti per la crescita, cioè a comportamenti passivi, a causa della malattia capita che il bambino bisogne vestirlo, svestirlo, nutrirlo e le capacità acquisite di autogestione vengono disimparate. Molti bambini dopo una malattia hanno dovuto essere educati alla pulizia e al mangiare da soli. Psicologicamente l’assistenza può causare reazioni distinte, infatti ci sono bambini che cercano di opporsi a tale condizione di passività in modo aggressivo e sono pazienti difficili, altri bambini accettano la condizione di passività richiesta dalla loro condizione. Sia in un verso o nell’altro l’assistenza protratta determina un’interruzione nello sviluppo dell’Io. La malattia può portare anche a limitazioni nel proprio movimento, la limitazione è evidente dopo un intervento chirurgico e sono tanti gli autori che hanno osservato le conseguenze di tale limitazione. Ad esempio la Greenacre nel 1944 ha esaminato il significato che può avere un’esperienza,di limitazione nel movimento, postoperatoria per la diminuzione della scarica dell’aggressività. Da varie ricerche sugli effetti che può avere la malattia sul bambino, è emerso che possono esserci varie oscillazioni d’umore, cambiamenti nei rapporti con i genitori la perdita di fiducia in se stessi o possibili reazioni di collera. Thesi Bergmann (1945) da uno studio triennale in un reparto di ortopedia, descrive quali sono i meccanismi di difesa che aiuta il bambino a sopportare il suo stato di immobilità, e ha osservato che più è limitante la propria condizione più il bambino assume un atteggiamento docile, che può tramutarsi in esplosioni di collera se le limitazioni vengono ridotte ma non eliminate e se le prescrizioni mediche si dilungano. L’OSPEDALIZZAZIONE: UN’ESPERIENZA FORTE. C’è un rapporto biunivoco tra malattia e ospedalizzazione ed anche i vissuti e le difese attivate dal bambino nei confronti della sua ospedalizzazione, sono simili a quelli provati per la malattia di cui è effetto.. Molte volte l’ospedalizzazione può acutizzare vissuti depressivi o aggressivi che il bambino o l’adolescente ha maturato dentro se rispetto alla propria malattia. L’ambiente a primo impatto è sempre anonimo e freddo e spesso i reparti di pediatria, si presentano spogli poco colorati, le stanze sono impersonali e gli spazi gioco vengono creati in ambienti di dimensioni ridotte o molte volte, non sono presenti. L’ambiente, il personale medico e paramedico sono elementi che possono influenzare l’idea che il bambino si fa dell’ospedale. All’inizio i medici, il personale ospedaliero vengono vissuti come figure impersonali, ma successivamente associate alla propria malattia e agli interventi medici possono essere caricate di significati negativi, diviene un ambiente minaccioso e traumatico L’ospedale richiama comunemente parole dal connotato negativo. Da una ricerca condotta dall’ABIO di Lodi con la collaborazione della ASL, e gli insegnati di un circolo didattico di scuola elementare e materna, che aveva lo scopo di conoscere le idee e i vissuti che i bambini non malati avevano nei confronti dell’ospedalizzazione. La ricerca ( progetto amico 1998), ha messo in evidenza che nel senso comune se un bambino sente parlare di ospedale , questa parola è associata a: “ persone che stanno male, paura, malattia, punture, cerotti, camici bianchi, tristezza...” e i vissuti comuni rispetto al ricovero e alla paura di esso sono: “ paura di soffrire, lasciare gli amici e il proprio ambiente famigliare, stare da solo in ospedale e essere abbandonato,vedere la faccia preoccupata della mamma...” . Quindi se per un bambino che non vive personalmente l’esperienza di una ospedalizzazione i vissuti legati ad essa sono comunque negativi con alla base emozioni angosciose, è comprensibile come queste emozioni e questi vissuti siano amplificati in bambini malati. Da una raccolta di disegni di bambini ospedalizzati ( progetto amico ABIO 1989), è emerso che l’ospedale procura ansia ed è vissuto come un evento minaccioso e carico di incognite. Alcuni disegni rappresentavano, ( progetto amico, ABIO 1989): “ il medico come uno sceriffo, che fa “ pulizia del male e fa rispettare le regole”; “ l’ospedale viene disegnato al suo esterno, come edificio imponente; altri disegni rappresentano l’interno dell’ospedale come :” dagli spazi ampi e disabitati, e dai colori scuri come il nero e il grigio che richiamano la morte”. Nella vita di un bambino,che è protagonista di tale esperienza, avvengono tanti cambiamenti connessi alle terapie che deve condurre e che limitano lo spazio vitale del ragazzo, ma altri cambiamenti avvengono anche a livello delle relazioni che il bambino instaura ed anche la visione dei genitori, cambia in una condizione di ospedalizzazione. E a questo proposito, Mangini e Rocca, ( 1996) affermano che: “ le relazioni interpersonali a cui il bambino era abituato mutano improvvisamente, si allenta la fiducia nell’onnipotenza dei genitori, il vissuto di abbandono può farsi sempre più presente e tale cambiamento determina un senso di instabilità emotiva e di confusione”. In letteratura, vari autori , hanno condotto studi per comprendere quali sono i fattori che determinano l’instabilità emotiva e la confusione, oltre la malattia e l’ambiente sconosciuto. 2. Fattori Prima di tutto determina angoscia la scarsa conoscenza delle procedure ospedaliere e dell’ospedale, che viene vissuto come una grande struttura affollata, rumorosa e dagli odori intensi e poco piacevoli. Ovviamente tutto ciò contrasta con il proprio ambiente famigliare : “ la propria casa” e destabilizza la propria sicurezza. Altri autori negli anni 50’ hanno condotto ricerche per mettere in evidenza che oltre i fattori angosciosi connessi “all’ambiente ospedale”, l’ospedalizzazione comporta stati depressivi e di apatia legati alla separazione dai genitori. L’angoscia di separazione, è stata oggetto di studio di vari autori, sono famosi gli studi di Spiz sul ricovero di bambini nell’istituzione, i suoi studi mettevano in evidenza come la separazione non fosse un fattore secondario dell’ospedalizzazione, come si credeva all’epoca, in cui c’era la tendenza a ricoverare il bambino senza prolungare i permessi di visita ai genitori, perché avevano notato che i bambini , quando erano soli, erano tranquilli. Le osservazioni della Spiz raccontano di bambini che all’aumentare della degenza in ospedale aumentavano il disinteresse per l’ambiente e per le cure e che passavano lunghi periodi della giornata sdraiati a letto con lo sguardo nel vuoto. James Robertson, condusse dell’osservazioni nei reparti pediatrici, e chiarì che la calma apparente dei bambini era “ il camuffare di una inquietudine, che i bambini provavano all’abbandono da parte dei genitori, e che poteva scaturire in manifestazioni depressive”. In due ricerche diverse sugli effetti della separazione,dei bambini dai genitori, condotte da Robertson nel 1958 e Bowlby nel 1976, si individuano tre stadi di risposte messe in atto da chi si sente abbandonato e che sono state riscontrate in una situazione di ospedalizzazione. Le tre risposte sono la protesta, la rassegnazione, il distacco. La protesta, è una fase iniziale che può durare poche ore o può durare per giorni. Il bambino piange, grida, attendendo il ritorno del genitore. La rassegnazione, è una seconda fase che il bambino vive se non vede ritornare il genitore. L’atteggiamento generale è più calmo, il pianto appare solo ad intermittenza, c’è rassegnazione da parte del piccolo paziente e molte volte tale calma apparente viene interpretata dal personale sanitario come un superamento dello stress dell’abbandono. Il distacco è il terzo stadio, in cui il bambino, sembra essersi adattato alla situazione,è più interessato a ciò che lo circonda ed interagisce. Tuttavia quando il genitore ritorna la risposta del bambino è indifferenza e distacco, il distacco è un meccanismo che mette in atto il bambino per proteggersi dal dolore della separazione. In situazioni di malattia cronica, in cui i bambini sono costretti ad avere un rapporto costante con l’ospedale, è facile che l’indifferenza divenga “cronica”. I numerosi distacchi che hanno vissuto che hanno subito li porta come dice Capurso : “ a non voler più rischiare”, non è più alla ricerca di un contatto umano, e non sente la necessità di instaurare nuovi rapporti intensi con gli altri e questo può essere considerato un meccanismo difensivo che attua il bambino per difendersi dal dolore e dal trauma di una separazione. Rispetto agli anni 50 la gestione dell’ospedalizzazione di un bambino è cambiata, oggi i bambini non vengono più lasciati da soli, ma Capurso, che ha svolto svariate ricerche e osservazioni sul tema bambino ed ospedale, in una di queste osservazioni ha individuato alcuni comportamenti che possono essere letti come risposte agli stadi descritti da Bowlby. Capurso sostiene che: “è facile vedere bambini che sono eccessivamente calmi e che dopo la visita di un parente divengono agitati e nervosi, ciò può essere considerato un riemergere della rabbia che fino a quel momento veniva controllata rimanendo in uno stato di rassegnazione; L’eccessivo interesse per i giochi o il cibo, che Robertson ( 1958), e Bowlby , (1976) Indicano come elementi che caratterizzano la terza fase , possono essere letti come spostamenti dell’affetto; è come se il bambino spostasse i suoi affetti dalle persone ai beni materiali di cui è in possesso. Alcuni bambini hanno comportamenti ipersociali, cioè divengono accoglienti con tutti ed apparentemente non soffrono per la mancanza dei genitori. In realtà l’ipersocialità può essere letta in questo contesto come dice Capurso: “ come un sintomo di distacco eccessivo”. 17 Il bambino disinveste del loro valore affettivo le sue figure genitoriali non è più importante chi si prende cura di lui, una persona vale l’altra. Ci sono casi, rari, di bambini che a causa del lungo ricovero non hanno il desiderio di tornare a casa. Quest’atteggiamento per Capurso (2001), “può essere considerato caratteristico della fase del distacco, e indica chiaramente il conflitto vissuto dal bambino al momento di riprendere la normale vita in famiglia”. Il congedo è un momento delicato per i genitori ed è vissuto con un alto carico d’ansia, perché comporta la presa in carico del malto e la sua gestione in un ambiente che non ha le caratteristiche di un ospedale ed inoltre i genitori fanno fronte a una sensazione d’inadeguatezza rispetto alla loro capacità di offrire cure adeguate al proprio figlio. I bambini percepiscono l’ansia di inadeguatezza dei genitori e molte volte il desiderio di rimanere in ospedale è dettato dalla necessità di mantenere uno stato di calma ed equilibrio che comunque in ospedale si era raggiunto. Quindi l’ospedalizzazione più la condizione di immobilità possono rafforzare la tendenza aggressiva di un bambino che può esprimersi sotto forma di irrequietezza, aumentata irritabilità. UN CLOWN DOTTORE OPERA NELLA RELAZIONE, LEGGE CON OCCHIO ESTERNO QUALI POSSONO ESSERE I BLOCCHI AFFETTIVI CHE POSSONO PROVOCARE ANGOSCIA, SOSTIENE E OPERA IN COLLABORAZIONE CON IL PERSONALE SANITARIO PER FACILITARE LE PROCEDURE TERAPEUTICHE. UN CLOWN DOTTORE E' UN FACILITATORE DI RELAZIONI E SVILUPPA STRATEGIE PER MIGLIORARE LA QUALITA' DEL RICOVERO, TRASFORMANDO UN AMBIENTE DI CURA IN UN LUOGO A MISURA DI PERSONA. Dott. Roberto Flangini Psicologo e clowndottore – ass. Aquilone d'Iqbal Cesena – www.aquiloneiqbal.it Ass. l'Aquilone di Iqbal Sede legale: Via Cavalcavia, 709 - 47522 Cesena ITALY sede operativa: Via Rovescio 2185 - 47522 Bagnile di Cesena ITALY Tel 0547 353968 - FAX 0547 379242 [email protected] Mail personale: [email protected] [email protected] cell. 3496111043 Bibliografia M.Grotjahn Saper ridere-Psicologia dell’umorismo Longanesi E. Rossi Psicobiologia della guarigione psicofisica, Astrolabio 1987 B.Bokun Ridere per vivere Mondadori C. Simmonds e B. Warren La medicina del sorriso Sperling e Kupfer 2003 F. Bottaccioli Psiconeuroimmunologia L’altra Medicina studio, 1995. Bergher Homo Ridens Il Mulino Senatore Pilleri R.,Olivero Ferrarsi A.( 1989) Il bambino malato cronico,aspetti psicologici. Raffaello Cortina Editore,Milano Benedetti, Gaddini R. (1971)La realtà psichica del bambino malato cronico e l’ambiente famigliare e sociale,in “Prospettiva e Pediatria”, (1971) Bondioli. A. 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(1982) “Il self-empowerment come anello di collegamento tra formazione e cambiamento”, in “Quaderno Proposte Risfor”, 1, pp.21-52 Angela Guarino, (2006) “Psiconcologia dell'età evolutiva” edizioni Erickson Giovanni F. Ricci, Domenico Resico, Luca Pino. Con il contributo di Roberto Flangini “Collana ERICA.” (cod.487 .2) ed. FrancoAngeli A. Dionigi – P. Gremigni “ Psicologia dell'Umorismo “ collana Le Bussole ed. Carrocci. ARTICOLI Vagnoli L., Caprilli S., Robiglio A., & Messeri A. (2005). Clown Doctors as a Treatment for Preoperative Anxiety in Children: A Randomized, Prospective Study. Pediatrics [serial online] Oct 1; 116 (4), 563-567, www.pediatrics.aappublications.org Vagnoli L., Caprilli S., Robiglio A., Mangini M., & Messeri A. (2005). The effectiveness of clown intervention in reducing preoperative anxiety of children and parents. The Suffering Child [serial online] Issue 8, June, www.thesufferingchild.net LA CURA DELLA RELAZIONE ED IL TRATTAMENTO NON FARMACOLOGICO DEL DOLORE NEL BAMBINO Dr. S. Di Giuseppe, psicologa dirigente sanitario SOS Centro di Oncoematologia Pediatrica AIEOP 0901, SOD Clinica Pediatrica, Presidio Ospedaliero di Alta Specializzazione “G.Salesi”, azienda Ospedaliero-Universitaria Ospedali Riuniti Ancona Settembre 2015 Fondazione Salesi 1 DOLORE E CANCRO IN PEDIATRIA 1 • L’OMS e l’Associazione Internazionale per lo Studio e la Cura del Dolore hanno così schematizzato i principali tipi di dolore che affliggono i bambini con tumore: • Causato dalla malattia · infiltrazione tumorale dell’osso · infiltrazione tumorale dei tessuti molli · infiltrazione tumorale dei visceri · infiltrazione tumorale delle strutture centrali o periferiche del sistema nervoso, incluso il dolore da compressione midollare 2 DOLORE E CANCRO IN PEDIATRIA 2 • Causato dai trattamenti oncologici · · · · · · dolore post-chirurgico dermatiti radio-indotte gastriti da vomito ripetuto cefalea prolungata post-rachicentesi alterazioni strutturali dell’osso indotte dagli steroidi neuropatie, inclusi il dolore da arto fantasma e la neuropatia da farmaci · infezioni · danni alle mucose 3 TRATTAMENTO DEL DOLORE • I medici dispongono di diversi farmaci somministrati con diverse tecniche per eliminare la sensazione dolorosa durante la cura della malattia e gli effetti collaterali della terapia oncologica. • In questo ambito si ottengono ottimi risultati. 4 TRATTAMENTO DEL DOLORE NELLE PROCEDURE 1. ricerca di un accesso venoso Trattamento:somministrazione di gas (miscela Donopa 50% Ossigeno, 50% Protossido) a cura del personale infermieristico. 2. iniezioni, specie dove oltre il dolore provocato dall’ago c’è quello prodotto dalla sostanza inoculata Trattamento:somministrazione di gas (miscela Donopa 50% Ossigeno, 50% Protossido) 3. punture lombari Trattamento: NARCOSI in presenza di anestesista 4. biopsia ossea ed aspirato midollare Trattamento: NARCOSI 5 SEDAZIONE COSCIENTE CON GAS DONOPA • La sedazione conscia è definita come riduzione dello stato di coscienza indotto farmacologicamente. • Gli effetti clinici sono specifici: lo stato di coscienza è modificato (sedazione cosciente), il soggetto resta vigile, reagisce con l'ambiente e può dialogare con i presenti, mantiene i riflessi protettivi, il respiro è autonomo e normale. Si osserva una risposta adeguata alla stimolazione verbale o a stimoli tattili; le percezioni sensoriali sono modificate. • L'originalità della miscela associa l'azione ansiolitica, euforizzante (“gas esilarante”) con l'effetto antalgico. • La rapidità d'azione (l'effetto interviene in tre minuti) e la reversibilità (in meno di cinque minuti) rappresentano l'altra particolarità. • Gli effetti indesiderabili sono rari e reversibili in qualche minuto e sono rappresentati da nausea e vomito. Eccezionalmente si è osservata una sedazione più profonda, una sensazione di malessere, di ansietà può essere ritrovata nei soggetti che non sono stati ben preparati. 6 BAMBINO E ADULTO DI FRONTE AL DOLORE • Rispetto all’adulto il bambino mostra una maggiore paura ed ansia anticipatoria che amplifica la reazione emotiva alle procedure mediche dalla semplice medicazione fino al prelievo di sangue o iniezione dolorosa. • La reazione di pianto inconsolabile è tipica dei bambini neonati i quali reagiscono indistintamente al prelievo come all’applicazione di un cerotto. La necessità di doverli contenere fisicamente per agevolare le procedure comprensibilmente induce ed aumenta la paura e quindi lo stato di eccitamento e di agitazione psicomotoria. • I trattamenti terapeutici come la chemio e radioterapia sembrano invece incidere più pesantemente sull’adulto rispetto al bambino sia fisicamente che psicologicamente. • L’adolescente mostra una reattività al dolore assimilabile a quella dell’adulto. In oncologia risente maggiormente dell’abbassamento dei valori dell’emoglobina ed ha una simile reattività emetica e vomito anticipatorio, diversamente dai neonati e bambini. 7 TALVOLTA I BAMBINI NEGANO IL DOLORE • I bambini ed adolescenti malati terminali possono talvolta negare o minimizzare deliberatamente il loro dolore, per evitare l’ennesimo ricovero o ulteriori preoccupazioni dei genitori. 8 GLI INTERVENTI NON FARMACOLOGICI PER IL CONTROLLO DEL DOLORE • Sono tecniche psicologiche di supporto che, integrate ai farmaci, permettono di ottenere risultati molto efficaci per i bambini che devono essere sottoposti a varie procedure. • Lo scopo è quello di focalizzare la mente del bambino e la sua attenzione lontano dallo stato di dolore legato alla procedura. • La distrazione, il rilassamento muscolare, l’immaginazione guidata sono tecniche semplici da imparare e possono essere usate con i bambini, anche piccoli.. • Ogni tecnica presuppone una precedente conoscenza del bambino e dei genitori; è inoltre importante che ogni bambino scelga la tecnica preferita e la personalizzi. • In certi casi è necessaria una preparazione specifica e precedente all’applicazione durante la procedura dolorosa. 9 SCHEMA DI TECNICHE NON FARMACOLOGICHE A SECONDA DELL’ETÀ DEL BAMBINO. ETA’ E METODI • • • • • 0-2 anni Contatto fisico con il bambino: toccare, accarezzare, cullare. Ascoltare la voce della mamma, che usa un tono pacato, tonalità bassa, ritmo rallentato dell’eloquio contemporaneamente catturando lo sguardo del neonato. Musica, guardare giocattoli sopra la culla. 2-4 anni Contatto fisico con il bambino: toccare, accarezzare, cullare. Ascoltare la voce della mamma, che usa un tono pacato, tonalità bassa, ritmo rallentato dell’eloquio. Giocare con pupazzi, raccontare storie, leggere libri, respirazione e bolle di sapone, guanto magico. 4-6 anni Contatto fisico con il bambino: toccare, accarezzare, cullare. Ascoltare la voce della mamma, che usa un tono pacato, tonalità bassa, ritmo rallentato dell’eloquio. Respirazione, racconto di storie, gioco con pupazzi, parlare dei luoghi preferiti, guardare la televisione, guanto magico, visualizzazione, coinvolgimento. 6-11 anni Musica, respirazione, contare, parlare dei luoghi preferiti, guardare la TV, visualizzazione, gioco dell’interruttore. 11–13 anni Musica, respirazione, visualizzazione, gioco 10 dell’interruttore. DESCRIZIONE - RESPIRAZIONE: favorire la respirazione nel bambino lo aiuta ad allontanare la paura e il dolore causato per esempio da un prelievo. Si incoraggia a buttare fuori la paura e il dolore con una nuvola rossa; oppure si usano le bolle di sapone. Si lavora sia sulla fase della inspirazione che su quella della espirazione. - RILASSAMENTO: a partire dal ritmo respiratorio si possono dare indicazioni al bambino su come rilassare la muscolatura delle braccia, delle gambe fino al collo. - - - - VISUALIZZAZIONE: nella “visualizzazione” il bambino viene prima fatto rilassare, poi è guidato a immaginare una situazione e/o un luogo preferiti in cui vorrebbe trovarsi. Concentrandosi sui particolari di ciò che ha immaginato, il bambino distoglie l’attenzione dall’angoscia, dalla paura e anche dal dolore da procedura. Questa tecnica è assimilabile all’induzione di una trance ipnotica. Tecnica della visualizzazione: posizione comoda: il bambino preferibilmente deve stare seduto o disteso; invitare il bambino alla respirazione: (parlare lentamente ed a voce bassa seguendo il suo ritmo respiratorio) “Facciamo insieme 3 respiri lenti e profondi. Senti l’aria che entra fresca nel naso ed esce calda”; chiudere gli occhi; rilassamento: “Rilassa tutto il tuo corpo, in tutte le sue parti. Lascia che ogni muscolo si rilassi ad ogni respiro.” “Adesso lascia andare via la tua mente. Immagina di essere lontano da questa stanza, in un posto bello, quello che preferisci. Un posto dove sei già stato o dove vorresti essere. Guarda intorno a te in questo posto bello e vedi i colori che ci sono … senti i profumi … ascolta i suoni … guarda le persone che ci sono. Guarda tranquillamente tutto ciò che succede intorno a te e rilassati in questo posto fantastico. Sei lontano da questa stanza e lontano da quello che succede al tuo corpo.”; ritorno “Adesso, se sei pronto, veniamo via dal posto fantastico torniamo nella stanza. Conterò fino a 3. 1 inizia a tornare nella stanza; 2 senti la sedia (o il letto) sotto di te; 3 apri gli occhi. 11 Chiedere al bambino come è andata. Discutere – se ne ha voglia – sul posto visitato. - DESENSIBILIZZAZIONE: per il bambino più grande (dai 9 anni in poi) si usa “la tecnica dell’interruttore”: dopo il rilassamento si invita il paziente a visualizzare nella sua mente un interruttore in grado di abbassare la sensibilità al dolore della zona cutanea dove sarà fatta la procedura. Per tutti i bambini, soprattutto i più piccoli è molto efficace le “tecnica del guanto magico”. Tecnica dell’interruttore: Si spiega al bambino in termini semplici come è possibile desensibilizzare una zona del corpo attraverso la concentrazione: “I nervi del tuo corpo mandano i messaggi di dolore al tuo cervello che le elabora e li rimanda indietro al corpo. Possiamo focalizzare l’attenzione sugli interruttori che controllano l’invio dei messaggi di dolore. E possiamo girare questi interruttori così che il corpo riceve un diverso messaggio e meno dolore”. Poi si induce il rilassamento e si fa concentrare sull’interruttore: “ adesso concentrati, trova l’interruttore nella tua testa che comanda la parte del tuo corpo dolorante. Fammi un cenno con la testa quando l’hai trovato. Nota il colore e il tipo dell’interruttore e abbassalo … grado dopo grado … a ogni livello nota che il dolore si abbassa … continua ad abbassarlo e poi starai molto meglio. Tecnica del guanto magico: Nella tecnica del “guanto magico” si simula di calzare un guanto invisibile, massaggiando dolcemente la mano, in cui verrà posizionato l’ago, in modo da desensibilizzarla dal dolore. 12 - DISTRAZIONE E COINVOLGIMENTO: la distrazione prevede l’uso di oggetti quotidiani del bambino che, entrando nel contesto ospedaliero, catturano la sua attenzione allontanando la paura e l’ansia del dolore. Usando libri tridimensionali, video, giochi (anche personali, portati da casa) durante la procedura dolorosa, il bambino verrà impegnato mentalmente in attività a lui gradite. Molto gradite, soprattutto dai piccoli, sono le bolle di sapone. Il coinvolgimento consiste nel rendere partecipe il paziente durante la procedura dolorosa o paurosa, per esempio anche le più semplici come la rimozione del cerotto. 13 - RILASSAMENTO MUSCOLARE: il rilassamento muscolare è usato per diminuire la tensione fisica e mentale. E’ efficace soprattutto con adolescenti e bambini più grandi poiché coinvolge il rilassamento dei muscoli scheletrici volontari. Gradualmente ogni muscolo è teso e poi rilassato in modo sistematico. L’attenzione è focalizzata sul respiro è ciò rende consapevole il soggetto delle sensazioni 9 di tensione e poi del rilassamento. Questa tecnica è usata prima di una procedura che provoca ansia. La consapevolezza delle proprie tensioni crea uno stato di maggiore rilassamento, in modo che la procedura sarà eseguita in modo più facile. Esercizio di rilassamento muscolare: Mettiti più comodo possibile. Sistemati sulla tua sedia o nel tuo letto fino a che non ti senti a tuo agio. Chiudi gli occhi quando sei pronto. Prendi un respiro profondo con il naso e buttalo fuori lentamente. Prendi ancora aria e buttala fuori lentamente. Adesso focalizza la tua attenzione sulla mano, stringi il pugno forte e ora rilascialo. Focalizza ora la tua attenzione sui muscoli del braccio, punta il gomito sulla sedia o sul letto, spingilo forte e ora rilascia il braccio. Inizia a rilassare i muscoli della testa e del collo. Alza le tue sopracciglia più che puoi, tieni in tensione i muscoli più che puoi e poi rilassali e lasciali andare. Socchiudi gli occhi e raggrinza il naso, tieni in tensione i muscoli più che puoi e poi rilassali e lasciali andare. Tieni i denti uniti e fai una specie di sorriso, , tieni in tensione i muscoli più che puoi e poi rilassali e lasciali andare. Abbassa il tuo mento fino al petto, tieni in tensione i muscoli più che puoi e poi rilassali e lasciali andare. Prendi un respiro, trattienilo, trattienilo manda le tue spalle indietro, adesso rilassati e lascialo andare. Spingi indentro il tuo stomaco, trattienilo, trattienilo e adesso rilassa i tuoi muscoli e lascialo andare. Solleva una gamba tienila in alto poi rilassati e appoggiala sul letto o per terra. Solleva l’altra gamba tienila in alto poi rilassati e appoggiala sul letto o per terra. Punta le dita dei piedi verso il soffitto, tienili in tensione, puntali ancora, poi rilassali e lasciali andare. Fai un altro respiro profondo con il naso e lascialo andare lentamente con la bocca, prendi ancora una respiro profondo con il naso e lascialo andare lentamente con la bocca. Nota adesso come senti i tuoi muscoli rilassati. 14 PERCHÉ FUNZIONANO LE TNF Le basi neurologiche I neuroni specchio sono una classe di neuroni specifici che si attivano sia quando si compie un'azione, sia quando la si osserva mentre è compiuta da altri. I neuroni dell'osservatore "rispecchiano" il comportamento dell'osservato, come se stesse compiendo l'azione egli stesso. La scoperta di neuroni specchio localizzati in entrambe la regioni parietali frontali inferiori del cervello delle scimmie risale agli anni ’80, ed e’ stata confermata anche nell’uomo nel 1990 a Parma da Rizzolatti e Gallese, nel 1995 a Padova, da Fadiga e Fogassi. I neuroni specchio sono stati per la psicologia quello che la scoperta del DNA è stato per la biologia. Nell'uomo, oltre ad essere localizzati in aree motorie e premotorie, i neuroni specchio si trovano anche nell’area di Broca e nella corteccia parietale inferiore. Questi neuroni sono certamente importanti per la comprensione delle azioni di altre persone e quindi per l'apprendimento attraverso l'imitazione, implicato nell’uso delle TNF. Nell'uomo non è necessaria una effettiva interazione con gli oggetti: i suoi neuroni-specchio si attivano anche quando l'azione è semplicemente mimata. 15 NEURONI SPECCHIO ED EMOZIONI 1 • Se ci troviamo di fronte ad un volto atteggiato a tristezza o viceversa vi scorgiamo l’indizio di un sorriso, ecco che una catena di neuroni, i cosiddetti neuroni specchio, si attiva nel nostro cervello mettendoci nella condizione di imitare nel nostro corpo e nella nostra mente l’emozione, la sensazione o l’atto in corso. • L’imitazione di quell’emozione, di quella sensazione, di quell’atto consentono l’esatta comprensione dello stato d’animo dell’altro essere umano e quindi le sue intenzioni. È come se il nostro cervello creasse dentro di sé una copia di quella persona, allo scopo di capire il suo pensiero e di entrare in piena sintonia con lei. 16 NEURONI SPECCHIO ED EMOZIONI 2 • Imitare le emozioni del simile dà al bambino l’opportunità di identificarsi, stabilendo con il proprio simile un contatto senza mediazioni. • Il bambino empatico legge con singolare immediatezza i desideri degli adulti. • L’attivazione del sistema dei neuroni specchio quindi consente al soggetto di ricostruire, esperire e perciò comprendere l’emozione altrui attraverso una simulazione incarnata, che genera nell’osservatore delle rappresentazioni interne degli stati corporei associati a quelle stesse azioni, emozioni e sensazioni, “come se” stesse compiendo un’azione simile o provando una simile emozione o sensazione. 17 NEURONI SPECCHIO ED EMOZIONI 3 • EMPATIA: deriva dal greco en e patheo, ossia “dentro” e “sentire”. • Per empatia si intende dunque l’attitudine della psiche a sentire dentro di sé le emozioni, i sentimenti e le intenzioni che animano la psiche delle persone con le quali entriamo in contatto 18 NEURONI SPECCHIO ED EMOZIONI 4 • Le basi fisiologiche dell'emotività e del comportamento sono simili in tutti i mammiferi (Valzelli 1970). • Il sistema limbico comprende una serie di formazioni nervose che influiscono sulla vita affettiva ed emozionale, sulla memoria a breve termine e sulla regolazione di risposte viscerali, in particolare quelle immediate (da stress), sulla modulazione delle risposte di aggressività e sul riconoscimento della paura. In parte interviene anche nei comportamenti più elaborati, attraverso talamo e tronco cerebrale. 19 NEURONI SPECCHIO ED EMOZIONI 5 • Ora percezione, azione e cognizione non possono più essere concepite come funzioni separate. • Nella nostra specie il sistema dei neuroni specchio, oltre alla comprensione delle azioni e delle intenzioni degli altri, si trova anche alla base della capacità di replicare intenzionalmente le azioni osservate o di impararne di nuove. • Si tratta di una conoscenza sensoriale e motoria, diversa da quella concettuale e linguistica e tuttavia non meno importante, in quanto su di essa poggiano molte delle nostre capacità cognitive. 20 NEURONI SPECCHIO ED EMOZIONI 6 • I neuroni specchio possono aiutare a comprendere le basi neuronali dell'empatia, dell'altruismo, dell'apprendimento, della comprensione dell'intenzionalità, della comunicazione e dello sviluppo del linguaggio, aiutando a cogliere i collegamenti fra scienze biologiche e psicologiche, tra filosofia, sociologia, pedagogia e antropologia. 21 ALCUNE FUNZIONI CEREBRALI Possiamo dire approssimativamente che il lobo frontale è più specializzato per programmare ed eseguire il movimento, quello parietale per la percezione delle sensazioni somatiche, quello occipitale per la visione, quello temporale per l'udito, l'apprendimento e la memoria. Ogni emisfero è in rapporto con la metà controlaterale del corpo e i due emisferi non sono simmetrici e completamente equivalenti. 22 L’IMITAZIONE Il circuito fondamentale o nucleare dell'imitazione è costituito dalle aree del solco temporale superiore e dal sistema di neuroni specchio (Giro frontale infero posteriore, adiacente corteccia premotoria ventrale e parte rostrale del lobo parietale inferiore). 23 APPRENDIMENTO PER IMITAZIONE • L'apprendimento per imitazione avverrebbe attraverso connessioni di questo circuito nucleare con la corteccia prefrontale dorsolaterale e forse altre aree premotorie. • L'imitazione come forma di rispecchiamento sociale avverrebbe attraverso connessioni di questo circuito nucleare con il sistema limbico. 24 SIMULAZIONE E’ l’aspetto cruciale per la comprensione in prima e terza persona del comportamento sociale, implica l'attivazione di centri motori o viscero motori corticali. Inoltre, quando segue anche l'attivazione di centri a valle, si ha lo sviluppo di uno specifico comportamento che può essere un’ azione o uno stato emotivo. Gallese, Goldman ed al. definiscono quindi la simulazione come la capacità cerebrale, basata sulle peculiarità del sistema dei neuroni specchio, di unire direttamente l'esperienza personale e quella osservata (prima e terza persona). 25 SIMULAZIONE 1 • Azioni senza carica emotiva possono anche essere comprese senza elicitare la loro corrispettiva rappresentazione motoria, così come possono essere riconosciute le emozioni. • Il riconoscimento dell'emozione altrui è fondamentalmente diverso da quello basato sulla simulazione interna, perché non genera una conoscenza esperienziale. • Il senso di questa simulazione positiva è sicuramente più vicino al significato latino di simulare: come se, insieme, simile , e in un certo senso imitare, rappresentare, darsi l'aspetto . • Può essere considerato un processo finalizzato alla conoscenza, attraverso la capacità di essere simili all'altro per ottenere una migliore comprensione di una situazione o di uno stato di cose. Risulta evidente il nesso con l'empatia. 26 • Grazie per l’attenzione! Silvia Di Giuseppe 27 La terapia del dolore in oncoematologia pediatrica: tra mito e realtà Dr.ssa Valeria Petroni Oncoematologia - Clinica Pediatrica A.O.U. Ospedali Riuniti Ancona La terapia del dolore in oncoematologia pediatrica: tra mito e realtà Il dolore Il dolore è un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di danno. La terapia del dolore in oncoematologia pediatrica: tra mito e realtà Il dolore È, fra tutti, il sintomo che più mina l’integrità fisica e psichica della persona malata e più angoscia e preoccupa i suoi familiari, con un notevole impatto sulla qualità della vita durante e dopo la malattia. La terapia del dolore in oncoematologia pediatrica: tra mito e realtà Il dolore: miti e realtà Mito Realtà I bambini più piccoli non sentono dolore Il sistema nervoso dei bambini è immaturo e non è in grado di percepire ed esperire il dolore come negli adulti Il sistema nervoso centrale alla 24 settimana di età gestazionale possiede le capacità anatomiche e neurochimiche di condurre lo stimolo doloroso: • i neonati dalle 36 settimane di età gestazionale possono sentire e modulare il dolore; •i pretermine sentono dolore e in più hanno immaturità dei sistemi di modulazione. I bambini sono in grado di tollerare meglio il dolore rispetto agli adulti. I bambini più piccoli esperiscono maggiori livelli di dolore rispetto a bambini più grandi La tolleranza al dolore aumenta con l’età. La terapia del dolore in oncoematologia pediatrica: tra mito e realtà Il dolore: miti e realtà Mito Realtà I bambini si abituano al dolore o alle procedure dolorose. I bambini esposti a ripetute procedure dolorose spesso manifestano un aumento dell’ansia e della percezione di dolore. I bambini non ricordano il dolore. I bambini sottoposti a ricorrenti stimoli dolorosi possono sviluppare instabilità emotiva, difficoltà nello stabilire rapporti interpersonali, incapacità a tollerare dolore anche di minima intensità. Il dolore è una esperienza La severità del dolore può essere misurata grazie “soggettiva” e quindi non può essere all’utilizzo di scale differenziate a seconda dell’età del realmente misurato bambino. Il comportamento dei bambini riflette l’intensità del loro dolore. I bambini sono unici nel loro modo di far fronte al dolore. Il comportamento dei bambini non è un indicatore specifico del loro livello di dolore La terapia del dolore in oncoematologia pediatrica: tra mito e realtà Il dolore: misurazione Scala Flacc: per bambini d’età inferiore ai 3 anni, o per bambini che per deficit motori o cognitivi non possono fornire una valutazione soggettiva del dolore. La terapia del dolore in oncoematologia pediatrica: tra mito e realtà Il dolore: scala Wong-Baker e Numerico – Verbale Scala con le facce di WongBaker per bambini d’età superiore a 3 anni Scala Numerico – Verbale per bambini d’età superiore uguale 8 anni. ...una scala speciale… …di un’autrice speciale! La terapia del dolore in oncoematologia pediatrica: tra mito e realtà Il dolore: scala analgesica OMS La terapia del dolore in oncoematologia pediatrica: tra mito e realtà Il dolore: la terapia tra miti e realtà Mito Realtà La somministrazione di farmaci analgesici può causare dolore Attualmente ci sono farmaci analgesici somministrabili per via orale, nasale transdermica e rettale L’ uso di farmaci oppioidi nel bambino po’ creare dipendenza Non ci sono evidenze di bambini che sono diventati dipendenti dopo la somministrazione di farmaci oppiacei Il rischio di depressione respiratoria nel bambino utilizzando oppioidi è maggiore del beneficio Il rischio è simile nel bambino e nell’adulto (0,1%) La terapia del dolore in oncoematologia pediatrica: tra mito e realtà Il dolore: la terapia • • • • Via preferenziale di somministrazione: orale Somministrazioni ad orario Approccio terapeutico sequenziale Trattamento individualizzato Programma terapeutico concordato con paziente e genitori collaborazione positiva valutazione e gestione della terapia Il dolore: la terapia con farmaci non oppiodi I classici FANS • • • • • Ac. Acetilsalicilico Ketorolac Naprossene Ketoprofene Nimesulide Inibitori selettivi delle COX-2 • Celecoxib Paracetamolo La terapia del dolore in oncoematologia pediatrica: tra mito e realtà Il dolore: la terapia con farmaci oppioidi Oppioidi Minori Oppioidi maggiori • Tramadolo • Codeina • Morfina • Oxicodone • Fentanil • Metadone La terapia del dolore in oncoematologia pediatrica: tra mito e realtà Il dolore: la terapia con farmaci oppioidi Effetti Collaterali Vantaggi • Tolleranza • Dipendenza fisica e psichica • Depressione respiratoria (dose correlata) • Gastroenterici • Urinari • Neurologici • Lunga esperienza clinica • Azione analgesica efficace ed intensa • Effetto sedativo • Assoluta reversibilità con il naloxone La terapia del dolore in oncoematologia pediatrica: tra mito e realtà Il dolore: la terapia con la Cannabis Sativa Cannabinoidi (dronabinolo e nabilone ) • Effetti collaterali chemioterapia e tumore stesso • Vantaggi Antiemetico Stimolazione appetito Sedativo ed ansiolitico Analgesico • Effetti collaterali Tachicardia Ipotensione Aumento peristalsi Rilssamento muscolare Tolleranza La terapia del dolore in oncoematologia pediatrica: tra mito e realtà Il dolore: la terapia non farmacologica Immaginazione Distrazione Ipnosi Musica Massaggio La terapia del dolore in oncoematologia pediatrica: tra mito e realtà Il dolore: la terapia non farmacologica ACCOGLIERE E TRATTARE IL DOLORE IL GIOCO TERAPEUTICO (operatore ludico, ludoteca del riuso) FAVOLE DELLA BUONANOTTE MUSICOTERAPIA ARTETERAPIA CLOWN-DOTTORI La terapia del dolore in oncoematologia pediatrica: tra mito e realtà Il dolore globale La terapia del dolore in oncoematologia pediatrica: tra mito e realtà GRAZIE Conferenza per l’analisi condivisa della mortalità e morbilità 9 Dicembre 2010