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LEZIONE “L`ELEMENTO SOGGETTIVO PROF . GIUSEPPE SACCONE

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LEZIONE “L`ELEMENTO SOGGETTIVO PROF . GIUSEPPE SACCONE
LEZIONE:
“L’ELEMENTO SOGGETTIVO”
PROF. GIUSEPPE SACCONE
L’elemento soggettivo
Indice
1 GENERALITÀ ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3 2 LA FUNZIONE DI GARANZIA DEL PRINCIPIO NULLA POENA SINE CULPA ---------------------------- 5 3 LE TEORIE SULLA COLPEVOLEZZA --------------------------------------------------------------------------------- 6 4 LA COSCIENZA E VOLONTÀ O SUITAS DELLA CONDOTTA ------------------------------------------------- 7 4.1 SEGUE: LA SUITAS NEL REATO COLPOSO ----------------------------------------------------------------------------------- 8 5 RAPPORTI TRA IMPUTABILITÀ E COLPEVOLEZZA ---------------------------------------------------------- 10 5.1 SEGUE: IMPUTABILITÀ E REATO -------------------------------------------------------------------------------------------- 11 6 IL DOLO - DEFINIZIONE ------------------------------------------------------------------------------------------------- 13 6.1 SEGUE: GLI ELEMENTI COSTITUTIVI DEL DOLO --------------------------------------------------------------------------- 14 6.2 SEGUE: DOLO E COSCIENZA DELL'ILLICEITÀ PENALE -------------------------------------------------------------------- 17 7 LE SPECIE DI DOLO: A) DOLO ANTECEDENTE, CONCOMITANTE E SUSSEGUENTE -------------- 18 7.1 7.2 7.3 7.4 7.5 SEGUE: B) DOLO DIRETTO E DOLO EVENTUALE --------------------------------------------------------------------------- 19 SEGUE: C) DOLO ALTERNATIVO E DOLO INDETERMINATO. -------------------------------------------------------------- 20 SEGUE: D) DOLO D'IMPETO E DOLO DI PROPOSITO ------------------------------------------------------------------------ 20 SEGUE: D) DOLO DI DANNO E DOLO DI PERICOLO ------------------------------------------------------------------------- 21 SEGUE: D) DOLO GENERICO E DOLO SPECIFICO --------------------------------------------------------------------------- 22 8 IL DOLO CON RIFERIMENTO A PARTICOLARI TIPI DI REATO ------------------------------------------- 23 9 LA COLPA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 25 9.1 9.2 9.3 9.4 9.5 SEGUE: LA SUITAS ----------------------------------------------------------------------------------------------------------- 26 SEGUE: L'INOSSERVANZA DELLE REGOLE DI CONDOTTA ---------------------------------------------------------------- 26 SEGUE: ATTRIBUIBILITÀ E COLPA SPECIFICA ------------------------------------------------------------------------------ 28 SPECIE DI COLPA: A) COLPA GENERICA E COLPA SPECIFICA ------------------------------------------------------------- 29 SEGUE: LA COLPA PROFESSIONALE ---------------------------------------------------------------------------------------- 31 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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L’elemento soggettivo
1 Generalità
Nel moderno diritto penale non è sufficiente che il fatto sia materialmente imputabile al
soggetto perché questi possa essere chiamato a risponderne. Oltre alla commissione o causazione
materiale del fatto-reato occorre che lo stesso gli sia attribuibile anche da un punto di vista
psicologico in modo che possa considerarsi, anche da questo punto di vista, opera sua.
È necessario, cioè, un nesso psichico tra l'agente ed il fatto: la colpevolezza intesa come
l'insieme delle condizioni necessarie per l'attribuzione psicologica del fatto al soggetto.
L'affermazione della necessità di questo ulteriore elemento per la punibilità del soggetto costituisce
una fondamentale conquista di civiltà giuridica che pone che il reato sia riconducibile alla sfera
soggettiva di signoria e controllo dell'agente sul proprio comportamento.
La colpevolezza riassume quindi l'insieme delle condizioni psicologiche per l'imputazione
personale del fatto al suo autore.
Tali condizioni possono così sintetizzarsi:
2
in primo luogo occorre che l'azione possa considerarsi, da un punto di vista materiale, come
azione o fatto proprio dell'agente e non il prodotto delle forze cieche della natura (caso
fortuito e forza maggiore); occorre cioè che l'azione in quanto tale gli sia attribuibile e possa
considerarsi azione propria di quel soggetto; viene qui in considerazione la cd. suitas della
condotta, cioè la coscienza e volontà richiesta, come prerequisito, dall' art. 42 comma primo
c.p. che recita: «nessuno può essere punito per una azione od omissione preveduta dalla
legge come rato se non l'ha commessa con coscienza e volontà»; da questo punto di vista la
teoria della colpevolezza interferisce con la teoria dell'azione perché è chiaro che, per la
punibilità del soggetto occorre innanzitutto una azione che possa qualificarsi come azione
umana propria del soggetto;
3
in secondo luogo occorre che il soggetto si sia determinato coscientemente al compimento
di quella determinata azione, in modo da potergli muovere un rimprovero per averla
commessa. Tale condizione presuppone che il soggetto sia in grado di agire in base ad
impulsi consapevoli e che quindi non sia affetto da malattie o deviazioni della personalità
che alterino il processo motivazionale coartando la sua volontà. Questo secondo profilo
introduce il complesso tema dei rapporti tra imputabilità e colpevolezza di cui si discorrerà
oltre; qui appare opportuno anticipare che l'imputabilità costituisce un presupposto della
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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L’elemento soggettivo
colpevolezza, in quanto solo una persona capace di intendere e di volere può essere
rimproverabile per i suoi comportamenti dolosi o colposi;
4
occorre che al soggetto possa muoversi un rimprovero per aver voluto quel determinato fatto
costituente reato o per non averlo evitato pur essendo prevedibile che dalla sua condotta lo
stesso sarebbe derivato e pur potendolo evitare; se il fatto non è stato voluto e né era
prevedibile ed evitabile nessun rimprovero potrà muoversi al soggetto per averlo posto in
essere; quindi a seconda dell'atteggiamento del soggetto rispetto al fatto (volizione o
causazione per negligenza o leggerezza) ricorrerà il dolo o la colpa;
5
infine non devono ricorrere cause di esclusione della colpevolezza che determinino una
divergenza tra il voluto ed il realizzato; tale divergenza può dipendere da una errata
rappresentazione della realtà, o da un errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato o da
altra causa che, a certe condizioni escludono l'elemento soggettivo.
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L’elemento soggettivo
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La funzione di garanzia del principio nulla
poena sine culpa
La problematica della colpevolezza è strettamente legata alla concezione della pena.
In base alla concezione retributiva, secondo la quale la pena è retribuzione del male
commesso, la colpevolezza legittima la potestà punitiva dello Stato in quanto non ci può essere
pena laddove manchi un male da retribuire. Nel nostro attuale ordinamento, invece, caratterizzato
dal predominio della funzione preventiva (nella duplice prospettiva della prevenzione generale e
speciale) e rieducativa della pena, la colpevolezza oltreché fondamento della potestà punitiva svolge
un fondamentale ruolo di garanzia della libertà individuale contemperando l'efficacia preventiva del
sistema penale con le fondamentali libertà del singolo attraverso il rifiuto della responsabilità per la
sola causazione materiale del fatto1.
Infatti assumere dolo e colpa come presupposto della responsabilità equivale a circoscrivere
la punibilità solo nei limiti di ciò che è prevedibile ed evitabile da parte del soggetto.
Il principio di colpevolezza è poi intimamente connesso alla finalità rieducativa della pena
non essendo pensabile una attività di rieducazione nei confronti del soggetto che ha sì
materialmente causato il fatto ma senza la volontà di cagionarlo e senza manifestare verso il bene
tutelato indifferenza o non curanza.
1
Proprio in base alla ratio garantista del principio di colpevolezza si rafforza la tesi della illegittimità delle
ipotesi di responsabilità oggettiva ancora presenti nel nostro codice. Infatti, in mancanza di coefficienti soggettivi di
imputazione, il soggetto non può essere chiamato a rispondere di eventi che si sottraggono al suo potere di controllo.
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Le teorie sulla colpevolezza
La colpevolezza è stata definita come l'insieme dei requisiti per l'imputazione soggettiva del
fatto al suo autore. Si tratta di una definizione nata dalla esigenza di raccogliere in una nozione
unitaria sia il dolo che la colpa.
Ciò posto in materia si contendono il campo due teorie: la teoria psicologica e la teoria
normativa.
Secondo la concezione psicologica la colpevolezza consiste in un nesso psicologico tra il
soggetto ed il fatto.
In questa prospettiva la colpevolezza, intesa come un nesso psichico, è uguale per tutti i
fatti, per cui non può valere ai fini della gradazione della pena che invece deve basarsi solo su
elementi oggettivi; per la teoria in esame quindi la colpevolezza fonda ma non gradua la
responsabilità, è necessaria per stabilire l'an ma è estranea alla valutazione del quantum di
punibilità.
La teoria così costruisce un concetto di genere idoneo a ricomprendere sia il dolo che la
colpa.
Tuttavia dolo e colpa sono fenomeni irriducibili ad unità essendo il dolo un elemento
psicologico reale (coscienza e volontà) e la colpa invece solo potenziale (prevedibilità).
Per la teoria normativa, invece, la colpevolezza è il giudizio di rimproverabilità per l'
atteggiamento antidoveroso della volontà che era possibile non assumere; anziché una realtà
psicologica essa è un dato normativo che esprime il rapporto di contraddizione tra la volontà del
soggetto e la norma. La teoria riesce a dare effettivamente un concetto unitario di dolo e colpa
basato sul dato comune costituito appunto dal loro rapporto di contraddizione con l'ordinamento: il
fatto doloso è il fatto volontario che non si doveva volere per cui si rimprovera al soggetto di averlo
prodotto; il fatto colposo è il fatto volontario che non si doveva produrre per cui si rimprovera al
soggetto di non averlo impedito. In entrambi i casi il soggetto ha agito in modo difforme da come
l'ordinamento voleva che agisse.
In tal modo la colpevolezza vale non solo a fondare ma anche a graduare la punibilità
essendo la volontà diversamente rimproverabile in ragione della maggiore o minore antidoverosità.
Corollario dell'accoglimento della teoria normativa è quello di considerare, come già detto,
l'imputabilità come un presupposto della colpevolezza: un non imputabile (incapace di intendere e
volere) non può essere capace di condotte dolose o colpose rimproverabili.
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La coscienza e volontà o suitas della condotta
L'art. 42 comma primo c.p. stabilisce che «Nessuno può essere punito per una azione od
omissione prevista dalla legge come reato se non l'ha commessa con coscienza e volontà».
La norma indica il coefficiente psichico necessario a fondare la responsabilità penale dal
punto di vista dell'elemento soggettivo. Coscienza e volontà sono attributi della condotta criminosa
esprimendo le condizioni minime richieste dall' ordinamento perché un comportamento possa
L'art. 42 comma primo esprime allora il principio che la condotta, prima ancora che dolosa o
colposa, deve essere umana, essendo tale solo la condotta rientrante nella signoria della volontà e
differenziandosi come tale dagli accadimenti naturali.
In questo senso si deve affermare che la responsabilità penale presuppone innanzitutto la
coscienza e volontà della condotta.
Si ritiene, inoltre, che esso non valga solo per la responsabilità colpevole, non essendovi né
dolo né colpa senza coscienza e volontà della condotta, ma anche per le ipotesi di responsabilità
oggettiva, che se prescindessero anche da tale coefficiente psichico, risulterebbero ancora più
incompatibili con il principio della personalità della responsabilità penale.
La coscienza e volontà non è un inutile duplicato della capacità di intendere e di volere
richiesta per l'imputabilità dall'art. 85 c.p. Infatti mentre questa rappresenta uno status personale
quella riguarda il rapporto specifico tra volontà del soggetto ed un determinato atto.
Fatte queste precisazioni occorre vedere che cosa si intende per coscienza e volontà.
Interpretando il binomio in senso psicologico la dottrina inizialmente ha richiesto un
impulso cosciente della volontà diretto alla produzione del movimento muscolare (azione) o a
conservare lo stato di inerzia (omissione). Questa nozione è tuttavia troppo ristretta in quanto
inidonea a ricomprendere comportamenti pacificamente assoggettati a responsabilità penale
consistenti in atti (cd. automatici) che non si svolgono nel campo della coscienza: si pensi agli atti
riflessi (tosse, starnuto, ritrazione di un arto a seguito di una puntura), gli atti istintivi (il protendere
le braccia per attutire gli effetti di una caduta), gli atti abituali divenuti cioè automatici per
abitudine.
Orbene, in relazione a queste ipotesi, che spesso costituiscono tipiche figure di reato
colposo, non è riscontrabile alcun impulso cosciente della volontà ciò nonostante è certa la
responsabilità penale del fumatore che distrattamente getta il fiammifero a terra presso materiale
infiammabile provocando un incendio per quanto non esista un impulso cosciente perché il
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movimento corporeo è dovuto a processi svoltosi nella parte più interna della personalità e passati
in esecuzione senza attraversare la zona lucida della psiche.
Per non escludere dal campo di applicazione dell'art. 42 comma primo c.p. tutta l'ampia
sfera di comportamenti non sorretti da una coscienza e una volontà reali, la norma è interpretata
estensivamente includendosi anche coscienza e volontà potenziali attraverso il concetto di
imputabilità della condotta attiva o di quella omissiva attraverso un impulso volontario2.
Si è osservato infatti che non tutti gli atti che si svolgono al di sotto della sfera lucida della
coscienza sono indipendenti del voler perché molti di essi possono essere inibiti da un impulso
cosciente della volontà.
4.1
Segue: La suitas nel reato colposo
Con l'espressione «suitas» si indicano entrambe le ipotesi di appartenenza della condotta al
soggetto: quella della volontarietà reale e quella della volontarietà potenziale.
In questo modo, però, l'elemento della coscienza e volontà della condotta ha perduto il
proprio carattere unitario scindendosi in due ipotesi irriducibili sotto il profilo naturalisticopsicologico, essendo il potenziale controllo degli impulsi incoscienti un dato ipotetico normativo.
Questi due modi di essere della suitas rispondono ad una differenza tra reato doloso e reato colposo
già riscontrabile a livello della condotta. Infatti, nel dolo che consiste nella coscienza e volontà del
fatto la condotta sarà cosciente e volontaria in senso psicologico.
Nella colpa, invece, la condotta può essere cosciente e volontaria (es. investimento
involontario in seguito a volontaria condotta imprudente dell'automobilista) come pure cosciente e
involontaria purché evitabile (es. deragliamento del treno per omessa manovra del ferroviere
addormentato). Coscienza e volontà reali o potenziali hanno ad oggetto la condotta tipica; occorre
allora individuare le azioni o le omissioni che costituiscono tale condotta tipica e che in quanto tali
devono essere abbracciate dalla suitas.
La verifica è agevole nei reati a condotta vincolata. Nei reati causalmente orientati è tipico
comportamento attivo od omissivo idoneo a produrre l'evento.
Nei reati commissivi è tale l'ultimo degli antecedenti idoneo a porre in moto il meccanismo
causale senza che sia necessario un ulteriore intervento del soggetto (es. gettare il mozzicone
acceso, premere il grilletto). Tipico può poi essere il primo degli atti causalmente orientati come il
2
Anche la giurisprudenza ha aderito a questa impostazione: «I fatti che si verificano per una deficienza del volere, e
cioè perché la volontà non ha operato come doveva, risalgono per ciò stesso al volere del soggetto agente del quale
rispecchiano un atteggiamento» (Casa. Sez. Un. 18-11-1958).
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porsi al volante da parte dell'automobilista che soffre di attacchi epilettici o il portare con sé il
neonato da parte della madre che soffre di attacchi di sonnambulismo o di sonno agitato essendo già
in quel momento prevedibile il sinistro stradale o il soffocamento.
Nei reati omissivi impropri è tipico il mancato compimento dell'ultima azione impeditiva
dell'evento cioè il non averla posta in essere nel momento in cui l'evento poteva ancora essere
evitato. In ordine ad esso quindi va cercata la coscienza e volontà. Sicché se anche gli atti
precedenti fossero stati incoscienti e volontari perché ad es. realizzati per forza maggiore ma
l'ultimo di essi è stato voluto o era evitabile c'è responsabilità penale, come nel caso della madre che
non avendo alimentato il neonato perché caduta in stato di incoscienza, ripresasi non lo alimenti o
deliberatamente o per negligenza. Al contrario coscienza e volontà e quindi responsabilità penale
non sussistono se, presenti negli atti antecedenti siano, poi, venute meno nell'atto tipico come nel
caso della madre che non alimenti il figlio per farlo morire, ma cade fortuitamente in stato di
incoscienza prima che l'inedia diventi irreparabile.
Vi sono delle cause che escludono la attribuibilità psichica della condotta al soggetto.
Innanzitutto viene in considerazione l'incoscienza indipendente dalla volontà. Si pensi al
delirio febbrile, al sonnambulismo etc. che non risalgono al volere del soggetto in quanto da lui non
create né volontariamente né per un'imprudenza e comunque da lui non prevedibili o insuperabili.
La Cassazione ad es. ha ravvisato la mancanza di suitas nel caso del malore improvviso che
assurge repentinamente senza essere preceduto da alcun segno premonitore determinando perdita o
grave perturbamento della coscienza con impedimento o grave compromissione della forza
motoria3.
La dottrina tradizionale ravvisa anche nel caso fortuito e nella forza maggiore cause di
esclusione della suitas che sono però ricondotte dalla dottrina più recente nell' ambito della
causalità.
3
Mentre il malore improvviso del conducente consiste in una situazione in cui fa difetto ogni coefficiente
psichico e, quindi, è da rapportare all'art. 42 c.p., il quale enuncia le condizioni essenziali perché un fatto umano,
astrattamente costitutivo di reato, divenga penalmente rilevante, il caso fortuito si collega all'art. 45 c.p., che fa
riferimento all'intervento di un fattore causale imprevedibile e, dunque, il soggetto, pur essendosi realizzato un fatto a
lui riferibile psicologicamente e materialmente, non ne risponde per l'operare dell'anzidetto fattore (Cass. Sez. Un. 1711-1980, n. 12093).
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Rapporti tra imputabilità e colpevolezza
In materia si discute se la prima sia o meno presupposto della seconda; se cioè possa aversi
colpevolezza pur in difetto di imputabilità.
¾
La dottrina tradizionale ritiene che la imputabilità non sia presupposto della
colpevolezza per cui questa può ben essere presente nei soggetti non imputabili.
Ne consegue che un non imputabile può commettere un reato, ma non sarà sottoposto alla
pena (bensì, eventualmente, ad una misura di sicurezza). Si osserva infatti che gli stati psichici che
costituiscono il dolo e la colpa possano riscontrarsi anche negli immaturi e negli infermi di mente.
Inoltre l'imputabilità non è più disciplinata nella parte relativa al reato, ma nel titolo dedicato al reo.
Che la colpevolezza possa sussistere anche senza l'imputabilità si deduce poi dalle norme
che per l'applicabilità delle misure di sicurezza e per la determinazione della loro durata richiedono
la riferibilità psichica del fatto al suo autore e fanno riferimento alla gravità del reato nella
valutazione del quale un gran peso decisorio hanno gli elementi del dolo e della colpa.
La misura di sicurezza non potrebbe ordinarsi né se ne potrebbe stabilire la durata se
facessero difetto gli elementi del dolo e della colpa e poiché le misure di sicurezza si applicano
anche ai non imputabili (in particolare l'art. 224 c.p.) dolo e colpa sono individuabili anche nei
soggetti non imputabili.
a)
In base alla concezione normativa della colpevolezza, invece, non c'è
possibilità di rimprovero se manca la capacità di intendere e di volere per cui in ordine all'
infans e all'amens non è possibile ravvisare una volontà colpevole. Sicché l'imputabilità è
presupposto della colpevolezza; ne consegue che il fatto commesso da un non imputabile
non può costituire reato.
Difatti la colpevolezza si basa o sulla coscienza e volontà dell'evento o sulla prevedibilità e
conoscibilità dello stesso che presuppongono la maturità e la sanità psichica. Intanto si agisce con
dolo se si conosce la realtà e ci si rende conto dell'azione e dei risultati cui essa conduce; intanto si
agisce con colpa in quanto ci si comporti con negligenza o imprudenza pur avendo la possibilità di
agire diversamente mentre il non imputabile non è in grado di rendersi conto dei potenziali eventi
lesivi della sua azione. Senza imputabilità non può aversi colpevolezza, ma tutt'al più pericolosità.
b)
Come già detto, la prima tesi porta a ritenere sussistente il reato anche nei
confronti del non imputabile poiché sussiste colpevolezza anche senza imputabilità. Tuttavia
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essa rivela il suo limite nei casi di errore condizionato dallo stato patologico e ai casi di
totale sfacelo della psiche. Stando alla teoria in esame in questi casi non vi è colpevolezza
per cui l'imputato andrebbe prosciolto senza alcuna misura di sicurezza con grave
pregiudizio per la difesa sociale.
5.1
Segue: Imputabilità e reato
Considerando, invece, la imputabilità quale presupposto della colpevolezza si pone il
problema se senza imputabilità, e quindi senza colpevolezza, sia configurabile o meno il reato.
La risposta dipende dalla soluzione data alla controversia relativa ai rapporti tra imputabilità
e reato. Se si ritiene l'imputabilità presupposto del reato in quanto presupposto della colpevolezza
senza imputabilità non vi è reato, ma mero torto oggettivo. Per chi considera invece l'imputabilità
mero presupposto per l'assoggettabilità alla pena, la mancanza di imputabilità non fa venire meno il
reato, ma integra solo una causa personale di esenzione dalla pena. Questa tesi trova conferma nel
codice, che qualifica come reato anche il fatto del non imputabile.
Ma se il fatto del non imputabile è reato e 1' imputabilità è il presupposto della colpevolezza
non si può dire che la colpevolezza è elemento essenziale del reato poiché vi è reato anche nel fatto
del non imputabile ove la colpevolezza manca.
Elemento essenziale del reato non sarà allora la colpevolezza, ma l'appartenenza psichica del
fatto al soggetto.
La colpevolezza è elemento essenziale del reato nei confronti dei soggetti imputabili mentre
per i non imputabili viene in considerazione il fatto di reato sintomatico di pericolosità. Tuttavia
affinché il fatto di reato posto in essere dal non imputabile sia sintomatico di pericolosità occorre
sempre che gli appartenga psicologicamente e sia proprio di lui in quanto manifestazione della sua
personalità anormale.
Il principio di soggettività del reato, quale riferibilità psichica del fatto dell'agente, ha quindi
una validità generale ma si atteggia diversamente a seconda che si tratti di soggetto imputabile o
meno.
Nel primo caso il collegamento psicologico è dato dalla colpevolezza per cui il soggetto
imputabile non sottostà a pena se non ha realizzato il fatto con dolo o con colpa.
Per i soggetti non imputabili, poiché in ordine ad essi non è concepibile la colpevolezza la
riferibilità psichica è data dall'assenza di cause esterne che escludono la suitas o che escluderebbero
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la riferibilità psichica dell'evento a qualsiasi soggetto imputabile: si pensi al caso dell'infermo di
mente che agisce per un errore non dovuto all'infermità psichica e scusabile in chiunque.
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Il DOLO - Definizione
Il dolo è la forma tipica di colpevolezza. Esso rappresenta il normale criterio della
imputazione soggettiva.
Infatti, a norma dell'art. 42 comma secondo, la responsabilità dolosa costituisce nei delitti la
regola mentre la responsabilità colposa e la preterintenzione costituiscono le eccezioni. Ciò implica
che mentre i delitti dolosi non hanno bisogno di un espresso riferimento al dolo, i delitti colposi e
preterintenzionali richiedono una espressa menzione della colpa o della preterintenzione negli stessi
elementi costitutivi della fattispecie legale.
In ogni caso nel silenzio o in assenza di chiare indicazioni della legge sull'elemento
soggettivo il delitto è doloso.
Il dolo rappresenta altresì la forma più grave di colpevolezza. Infatti chi agisce con dolo
aggredisce il bene protetto in maniera più intensa di chi agisce con colpa.
L' art. 43 c.p. al comma primo statuisce che «il delitto è doloso o secondo l'intenzione
quando l'evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell'azione o dell'omissione e da cui la
legge fa dipendere l'esistenza del delitto, è dall'agente preveduto e voluto come conseguenza della
sua azione od omissione».
Tuttavia, oltre alla definizione dell' art. 43 occorre guardare al complesso delle norme che, in
via positiva o negativa, disciplinano la rilevanza o irrilevanza della rappresentazione e volizione
degli elementi costituivi del reato e che quindi concorrono a determinare gli elementi che debbono
essere o che non occorre che siano conosciuti e voluti affinché si abbia il dolo. Ci si riferisce agli
arti. 5, 47, 59 e 44 c.p.
Sotto il profilo dell'oggetto del dolo la definizione dell' art. 43 comma primo si rivela
insufficiente in quanto fa riferimento solo all' evento, al nucleo del dolo, e non anche agli altri
elementi del fatto.
Nei reati di pura condotta occorre invece che il soggetto abbia voluto l'azione o l'omissione
che di per sé costituisce reato.
La definizione strutturale del dolo, scissa nelle due componenti della previsione e della
volontà, risente di qualche incertezza in quanto si sforza di attuare un compromesso tra le due
concezioni che al tempo del codice Rocco si contendevano il campo: la teoria della
rappresentazione e la teoria della volontà. La teoria della rappresentazione concepiva la volontà e la
rappresentazione come due fenomeni psichici distinti come tali riferibili a dati diversi. I suoi
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sostenitori ritenevano che la volontà potesse avere ad oggetto solo il movimento corporeo
esaurendosi nel dare impulso ai nervi motori mentre il risultato esteriore si reputava che potesse
formare oggetto solo di rappresentazione. In base a tale teoria il dolo consiste nella volontà della
condotta e nella previsione dell'evento.
Nell' intento di elaborare una nozione di dolo comprensiva anche delle ipotesi dolose non
intenzionali tale teoria pecca per eccesso dilatando oltre misura l'ambito del dolo fino a
comprendere quei casi che la coscienza giuridica ed il diritto positivo considerano come ipotesi di
colpa con previsione e che vanno moltiplicandosi con l'accrescersi delle attività pericolose
consentite dall'ordinamento.
La teoria della volontà invece privilegia il momento volitivo del dolo nel convincimento che
possono costituire oggetto di volizione anche i risultati esterni della condotta umana. Tale teoria
non rinuncia al requisito della previsione, ma lo considera assorbito in quello della volontà.
Al di là di queste teorie va rilevato che il codice sicuramente si riferisce al concetto comune
di volontà che, a prescindere dalla sua esattezza da un punto di vista psicologico, viene considerata
tale da comprendere anche i risultati della condotta umana.
6.1
Segue: gli elementi costitutivi del dolo
Secondo l'impostazione tradizionale si distinguono le due componenti psicologiche del dolo:
rappresentazione e volontà.
Rappresentazione e volontà possono avere oggetti diversi in quanto vi sono elementi
costitutivi della fattispecie che possono costituire oggetto sia di volontà sia di rappresentazione
mentre vi sono elementi che possono costituire solo oggetto di rappresentazione: si pensi ad
esempio alle qualifiche del soggetto attivo o passivo.
La rappresentazione deve abbracciare tutti gli elementi costitutivi; se l'agente ignora o erra
su taluni si avrà errore che esclude il dolo.
La rappresentazione sufficiente ai fini del dolo non è esclusa dallo stato di dubbio in ordine
ad uno o più elementi della fattispecie. Il dubbio infatti non equivale né ad ignoranza né ad erronea
conoscenza perché il soggetto si rappresenta contemporaneamente il duplice possibile modo di
essere della cosa. Così se il soggetto si impossessa della cosa mobile sottraendola a chi la detiene
nel dubbio che possa essere propria o altrui, agendo nello stato di incertezza, finisce con l'accettare
il rischio che la cosa sia di altri e ciò giustifica, come vedremo, una imputazione per dolo.
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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L’elemento soggettivo
La sufficienza dello stato di dubbio è però da escludere laddove la norma esiga la piena
conoscenza di uno o più elementi del fatto di reato. Così nella calunnia ove è necessario che il
soggetto sappia senza incertezze che l'incolpato è persona innocente.
Va, infine, ricordato che tra gli elementi del fatto ve ne sono alcuni che possono essere solo
rappresentati. Tra gli elementi del fatto suscettibili di sola rappresentazione rientrano tutti gli
elementi precedenti o concomitanti alla condotta quali i presupposti, gli strumenti, il tempo e il
luogo della condotta, le qualifiche del soggetto passivo. Si tratta di dati, infatti, la cui esistenza è
indipendente dalla volontà del soggetto per cui non possono cadere nel raggio della volontà, ma
sono solo oggetto di rappresentazione.
Parimenti oggetto di sola attività intellettiva è l'assenza di cause di giustificazione. L'art. 59
comma quarto infatti stabilisce che se il soggetto non si prefigura di agire in assenza di cause di
giustificazione, ma ritiene che ricorra qualche scriminante, il dolo esula.
In secondo luogo il dolo è volontà di realizzare il fatto tipico.
Non è infatti sufficiente la previsione dell'evento occorrendo anche la volontà del soggetto
diretta a realizzarlo. Se manca tale volontà di commettere il reato, di produrre l'evento, il dolo non
sarà integrato.
Il dolo va poi tenuto distinto dal movente che costituisce la ragione che ha indotto il
soggetto ad agire: es. odio o desiderio di vendetta, che è indifferente per l'ordinamento4.
In applicazione del principio cogitationis poena nemo patitur occorre che la volontà si
traduca in atto integrando almeno gli estremi del tentativo. Il vero problema in ordine al momento
volitivo del dolo consiste nello stabilire in quali casi un risultato esteriore della condotta umana può
dirsi voluto. La delicata controversia va risolta attraverso il criterio del consenso. Si considerano
cioè volute non solo le conseguenze cui l'agente mirava (cd. dolo diretto o intenzionale) ma anche
quelle approvate per l' eventualità che si verificassero, le conseguenze cioè del cui verificarsi ha
accettato il rischio (cd. dolo eventuale).
Quanto all'oggetto del dolo l'art. 43, comma primo, c.p. prevede che rappresentazione e
volontà abbraccino l'evento dannoso o pericoloso.
La scelta legislativa oltreché difettosa è poco felice perché la nozione di evento è
controversa in dottrina. Infatti, se si accoglie la tesi dell'evento in senso naturalistico come risultato
4
Il movente è la causa psichica della condotta umana e costituisce lo stimolo che ha indotto l'individuo ad
agire; esso va distinto dal dolo, che è l'elemento costitutivo del reato e riguarda la sfera della rappresentazione e
volizione dell’evento (Cass. 19.01.1994, n. 466).
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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L’elemento soggettivo
eziologicamente riconducibile all'azione tipica si perviene alla conseguenza di dover ritenere la
definizione legislativa non comprensiva dei reati di pura condotta.
Per questo si è ritenuto in dottrina che il termine evento non vada inteso nel senso di
risultato naturale della condotta, ma nel senso di offesa, cioè di lesione o messa in pericolo
dell'interesse protetto dal diritto, come tale presente in ogni reato sia di evento che di pura condotta.
Di conseguenza per l'esistenza del dolo non basterebbe che l'agente abbia voluto il fatto materiale
ma occorrerebbe altresì che il soggetto abbia previsto e voluto la lesione dell'interesse alla cui tutela
è diretta la norma incriminatrice.
Alla base di questo assunto si porta la rilettura dell'art. 43, comma primo, c.p. in
collegamento con l'art. 49, comma secondo, c.p. reinterpretato nell'ottica della concezione realistica
dell'illecito penale fondata sulla figura del reato impossibile. Cioè, come l'art. 49 assolverebbe la
funzione di integrare la tipicità formale del fatto con il principio di necessaria lesività, l'art. 43 ne
costituirebbe l'espressione dal punto di vista soggettivo: esso infatti imperniando la definizione del
dolo nella rappresentazione e volizione dell'evento dannoso o pericoloso, inteso in senso giuridico
come lesione o messa in pericolo dell'interesse protetto, richiederebbe il riflesso di tale lesione nella
psiche del reo.
In ogni caso a prescindere da problemi dottrinali va detto che oggetto del dolo non è solo
l'evento, ma il fatto tipico costitutivo del reato, il complesso cioè di tutti gli elementi obiettivi della
fattispecie criminosa meno quelli la cui rilevanza è esclusa ai fini di una imputazione a titolo di dolo
come per es. le condizioni obiettive di punibilità.
Fanno quindi parte dell'oggetto del dolo la condotta tipica, l'evento naturalistico, le
circostanze antecedenti e concomitanti tipizzate dalla legge. In questo modo si ricostruisce
l'oggetto del dolo tenendo presenti le diverse caratteristiche strutturali dei reati d'azione e dei reati di
evento.
La ricostruzione del dolo risente quindi delle caratteristiche di struttura dei vari modelli
delittuosi.
Ciò trova conferma nell'art. 47 c.p. che concorre a delineare la figura e la disciplina del dolo:
stabilendo infatti che il dolo è escluso dall'errore sul fatto che costituisce reato, tale articolo
conferma l'assunto che rappresentazione e volontà devono avere ad oggetto il fatto tipico.
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L’elemento soggettivo
6.2
Segue: dolo e coscienza dell'illiceità penale
Il perenne problema dell'oggetto del dolo è se esso abbracci o meno anche la consapevolezza
del disvalore penale del fatto, se cioè il dolo, oltre alla coscienza e volontà del fatto materiale
abbracci la consapevolezza di agire in contrasto con la legge penale o quantomeno illecitamente.
Nel nostro diritto positivo la coscienza dell'illiceità non può ritenersi necessaria per
l'esistenza del dolo poiché in base all'art. 5 c.p. nessuno può invocare a propria scusa l'ignoranza
della legge penale per cui tale ignoranza non esclude il dolo, per quanto il principio incontri il limite
dell'ignoranza inevitabile.
Per superare l'ostacolo posto dalla norma di sbarramento dell'art. 5 c.p. parte della dottrina
ripiega sulla tesi secondo la quale ai fini della sussistenza del dolo sarebbe necessaria la
consapevolezza dell'antisocialità del fatto, della consapevolezza che la condotta contrasta con le
esigenze della vita in comune cioè nel senso che il soggetto deve rendersi conto di far male ad altri,
di ledere interessi che non gli appartengono. La valutazione della coscienza della antisocialità non
va però fatta con riferimento alla valutazione dell'agente, che potrebbe ritenere la sua condotta non
dannosa o socialmente utile, ma alla stregua dei criteri di valutazione della comunità sociale.
Quindi, per l'esistenza del dolo in questa prospettiva non è necessario che il soggetto reputi
antisociale il suo comportamento, ma è sufficiente che egli sappia che è considerato antisociale
dalla collettività. Se l'agente sa che il fatto è vietato è sempre in dolo anche se non sappia
dell'antisocialità del fatto e anche se reputa che la sua condotta è innocua o addirittura socialmente
utile (es. obiettore di coscienza). Tuttavia anche questa impostazione va incontro ad obiezioni
difficilmente superabili. Essa infatti sarebbe sostenibile se alla incriminazione penale preesistesse
sempre una disapprovazione sociale di modo che il soggetto, pur non conoscendo la norma penale,
senta comunque il carattere antisociale del fatto. Tuttavia vi sono reati rispetto ai quali non sussiste
disapprovazione sociale cosicché il soggetto per rendersi conto dell'antisocialità del suo
comportamento dovrebbe conoscere la norma con la conseguenza che il soggetto che ignora la
norma andrebbe scusato; conclusione questa inaccettabile stante il disposto dell'art. 5 c.p.
Quindi se pure è vero che una responsabilità dolosa veramente personale presuppone la
coscienza della offensività del fatto, questa necessità rappresenta tuttavia una meta ideale, una
aspirazione de iure condendo.
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L’elemento soggettivo
7
Le specie di dolo: a) dolo antecedente,
concomitante e susseguente
L'imputazione a titolo di dolo, in omaggio al principio cogitationis poena nemo patitur,
presuppone che la volontà si traduca in realizzazione almeno nello stadio del tentativo punibile.
Infatti la volontà rileva come espressione di un potere di conformazione della realtà e non come
mero dato psicologico. Per questo, in linea di principio, sono privi di rilievo il dolo antecedente ed
il dolo susseguente. Il primo è quello che si riscontra al momento iniziale della condotta. Il secondo
quello che interviene dopo il compimento dell'azione od omissione.
Per principio generale occorre che il dolo sussista al momento del fatto e perduri per tutto il
tempo in cui la condotta rientra nella signoria del soggetto.
Esso cioè deve abbracciare la condotta tipica fino all'ultimo atto (cd. dolo concomitante).
Ne deriva che l'eventuale venir meno della volontà in senso strettamente psicologico è privo di
rilevanza dove l'agente non sia più in grado di ridere sullo svolgimento degli accadimenti. Infatti
ponendo in moto il meccanismo causale il reo ha fatto quanto era in lui per il verificarsi del risultato
e il pentimento che poi sopravvenga non può escludere la responsabilità salve le conseguenze del
pentimento operoso.
Quanto al dolo successivo deve ritenersi che esso non comporti responsabilità per l'evento se
il fatto commesso non costituisca di per sé reato giacché il compiacimento per quanto è stato
commesso non può equivalere al dolo. Va però ricordato che dalla propria attività sorge il dovere di
agire per impedire l'evento dannoso che ne può derivare per cui, ove la possibilità di stornarlo
esiste, il soggetto ne risponde a norma dell'art. 40 comma 2 c.p. Si pensi al caso dell'infermiera che,
per un fatale equivoco, somministra un potente veleno ad un paziente e, accortasi dell'errore, omette
intenzionalmente di attivarsi perché il veleno sia neutralizzato. Qui il dolo susseguente non
trasforma in dolosa la precedente azione incolpevole, ma fa sorgere un reato in relazione al fatto che
l'infermiera non ha agito per impedire l'evento come avrebbe dovuto5.
5
Secondo parte della dottrina sarebbe configurabile nel nostro ordinamento anche un cd. dolo generale, il quale
ricorrerebbe quando un evento, oggetto di un precedente comportamento doloso, si produce però a seguito di una
condotta non più dolosa. Ad es. Tizio spara a Caio per ucciderlo. Quest'ultimo cade a terra privo di sensi ed
apparentemente morto. Tizio, credendo che sia deceduto lo seppellisce per occultare il cadavere e Caio muore per
asfissia. Tali casi, secondo la teoria del dolo generale, Tizio dovrebbe rispondere di omicidio volontario.
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L’elemento soggettivo
7.1
Segue: b) dolo diretto e dolo eventuale
Il vero problema in ordine al momento volitivo del dolo consiste nello stabilire in quali casi
un risultato esteriore della condotta umana può dirsi voluto. Innanzitutto si considerano voluti i
risultati cui era diretta la volontà dell' agente cioè quelli che costituiscono uno degli scopi per i quali
l'agente ha operato. La volontà qui ha direttamente di mira l'evento, è diretta alla realizzazione dello
stesso che è certamente voluto (cd. dolo intenzionale o diretto). Tuttavia a volte accade che il
soggetto ha previsto un risultato della sua condotta anche se non ha agito propriamente allo scopo di
determinarlo. Per es. il soggetto voleva infrangere una vetrina, ma ha previsto che dal fatto potesse
derivare il ferimento di una persona. Ebbene il ferimento che ne derivi può dirsi voluto? E in caso
affermativo in base a quale criterio?
La delicata controversia va risolta attraverso il criterio del consenso. Si considerano cioè
volute le conseguenze che l'agente ha approvato per l'eventualità che si verificassero, le
conseguenze cioè del cui verificarsi ha accettato il rischio. Di conseguenza vi è dolo anche quando
la realizzazione del fatto reato, non direttamente avuta di mira dal soggetto, è prevista ed accettata
come possibile conseguenza della propria condotta: la volontà sussiste anche quando il soggetto pur
non agendo per la realizzazione dell'evento ulteriore, o anche sperando che non si verifichi, ne
accetta il verificarsi: si parla in tal caso di dolo eventuale.
Ciò accade anzitutto quando la conseguenza ulteriore del soggetto diretta ad altro fine si
presenti certa. Anzi in questo caso taluni autori parlano di dolo diretto riservando il nome di dolo
eventuale alle conseguenze accettate per loro probabile, eventuale e non certo verificarsi.
Accade altresì in relazione alle conseguenze probabili dell'azione diretta ad altro fine che
parimenti devono ritenersi accettate se il soggetto ha previsto il loro verificarsi ma ciò nonostante
ha deciso di agire anche a costo di determinarle e quindi accettando il rischio della loro
verificazione6.
Con specifico riferimento al dolo eventuale, è da segnalare una pronuncia a Sezioni Unite
della Suprema Corte, in cui si afferma che sussiste tale forma di dolo quando l'agente, ponendo in
essere una condotta diretta ad altri scopi, si rappresenta la concreta possibilità del verificarsi di
ulteriori conseguenze della propria azione e, nonostante ciò, agisce accettando il rischio di
cagionarle; quando invece l'ulteriore accadimento si presenta all'agente come probabile, non si può
6
La giurisprudenza ha enucleato tre distinte figure: dolo intenzionale, dolo diretto e dolo eventuale a seconda
dei vari livelli di intensità dai quali può esse caratterizzata la volontà dolosa.
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L’elemento soggettivo
ritenere che egli, agendo, non si sia limitato ad accettare il rischio dell'evento, bensì che, accettando
l'evento, lo abbia voluto, sicché in tale ipotesi l'elemento psicologico si configura nella forma di
dolo diretto e non in quella di dolo eventuale7.
In conclusione da quanto detto risulta che, per potersi considerare voluto un certo risultato,
non è necessario che esso sia stato il punto di mira dell'attività criminosa: è sufficiente che il reo
l'abbia previsto come possibile accettando il rischio della sua verificazione. Solo se il soggetto, pur
essendosi rappresentato l'evento, ha operato con la sicura convinzione che non si sarebbe verificato,
il medesimo non si considera voluto e la ricorrenza del dolo è esclusa.
7.2
Segue: c) dolo alternativo e dolo indeterminato.
Parte della dotti ma fa rientrare nel dolo eventuale anche le figure del dolo alternativo e del
dolo indeterminato.
Il primo ricorre quando il soggetto si accinge ad agire prefigurandosi la possibilità del
verificarsi di due eventi essendogli indifferente quale dei due si produrrà. Il rischio di verificazione
dell'evento viene visto, nella rappresentazione psichica dell'agente, come una delle possibili
conseguenze della condotta.
Tuttavia la giurisprudenza tende a differenziare il dolo alternativo dal dolo eventuale8
mentre parte della dottrina ritiene che il primo costituisca una ipotesi di dolo diretto.
Il secondo invece si ha quando il soggetto agisce volendo, alternativamente o
cumulativamente, due o più risultati e il contenuto del dolo e il titolo del reato sono determinati
dall'esito effettivamente realizzato: dolus indeterminatus determinatur ab exitu.
7.3
Segue: d) dolo d'impeto e dolo di proposito
Il primo ricorre quando il soggetto decide all'istante, improvvisamente di commettere il
delitto, senza nessun intervallo tra momento ideativo e momento esecutivo; il secondo quando
trascorre un considerevole lasso di tempo tra il sorgere della idea criminosa e la sua concreta
attuazione.
7
Cass. Sez. Un. 12.04.1996, n. 3571
8
Dolo eventuale e dolo alternativo sono incompatibili: il primo è caratterizzato dal fatto che chi agisce non ha il
proposito di cagionare l'evento delittuoso, ma si rappresenta la probabilità, o anche la semplice possibilità, che esso si
verifichi e ne accetta rischio, mentre il secondo è caratterizzato dal fatto che il soggetto attivo prevede e vuole
alternativamente, con scelta sostanzialmente equipollente, l'uno o l'altro evento e risponde per quello effettivamente
realizzato (Cass. Sez. Un. 25-3-1992, n. 3428).
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L’elemento soggettivo
Quest'ultima figura introduce al tema della premeditazione che costituisce circostanza
aggravante dei delitti contro l'integrità fisica e la vita. Essa richiede il concorso di due elementi: uno
cronologico, consistente in un apprezzabile intervallo di tempo tra la risoluzione criminosa e 1'
azione, intervallo che consente al soggetto di riflettere sulla decisione presa e di recedere dal
proposito criminoso: la circostanza che, nonostante ciò il soggetto porti comunque a termine il suo
proposito, senza che i motivi inibitori riescano a prevalere su quelli a delinquere, dimostra una
maggiore capacità criminale dell'agente: l'altro elemento è di tipo psicologico e consiste nel
perdurare nel l'animo del soggetto, senza soluzione di continuità, di una risoluzione criminosa
irrevocabile chiusa ad ogni motivo di resipiscenza9.
È quindi da respingere la tesi tradizionale che vedeva nella freddezza e pacatezza dell'animo
al momento del delitto (frigido pacatoque animo) la caratteristica della aggravante in questione.
L' analisi psicologica dimostra infatti che ogni delitto implica impegno e concitazione.
La premeditazione non richiede neppure la predisposizione dei mezzi potendo consistere
anche senza di essa come nel caso di chi, dopo aver meditato a lungo di uccidere un soggetto
realizza il suo proposito criminoso con il primo oggetto contundente che trova non appena veda il
rivale. La ratio della aggravante va ravvisata nel maggior grado di colpevolezza dimostrata dall'
agente per il permanere del proposito criminoso.
La premeditazione non è conciliabile con il dolo eventuale.
7.4
Segue: d) dolo di danno e dolo di pericolo
È una distinzione che si basa sulle conseguenze volute dal soggetto.
Il primo ricorre se il soggetto volesse ledere il bene protetto dalla norma; il secondo se il
soggetto volesse solo minacciare il bene.
9
Ai fini della sussistenza dell'aggravante della premeditazione sono necessari due elementi: uno, ideologico o
psicologico, consistente nel perdurare nell'animo del soggetto di una risoluzione criminosa ferma ed irrevocabile; l'altro,
cronologico, rappresentato dal trascorrere fra l’insorgenza e l'attuazione di tale proposito di un intervallo di tempo
apprezzabile, la cui consistenza minima non può essere in astratto rigidamente quantificata ma deve risultare in concreto
sufficiente a far riflettere l'agente sulla decisione presa e a consentire il prevalere dei motivi inibitori su quelli a
delinquere (Cass. 13-6-1997, n. 8974).
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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L’elemento soggettivo
7.5
Segue: d) dolo generico e dolo specifico
Tale ripartizione tiene conto dei motivi che inducono il soggetto ad agire e della loro
rilevanza.
Nel primo caso la legge richiede semplicemente la rappresentazione e la volontà del fatto
descritto nella norma incriminatrice senza che rilevi il fine perseguito dall'agente10; nel secondo la
legge esige che il soggetto abbia agito per un fine particolare la cui realizzazione però non è
necessaria per l'esistenza del reato. Qui la legge dà rilevanza allo scopo dell' azione il cui concreto
raggiungimento non è necessario ai fini della consumazione del reato. Si pensi al fine di uccidere
nel delitto di strage. Perché sussista il reato occorre che il soggetto abbia posto in essere gli atti
idonei a porre in pericolo la pubblica incolumità al fine di uccidere; a questo punto il reato è
perfetto anche se non si verifichi la morte di una o più persone anche se è necessario che il soggetto
abbia agito precipuamente con quell'intento.
10
Si pensi al caso del concorso esterno nel delitto associativo (art. 416 c.p.), per la cui configurabilità non si
richiede, in capo al concorrente, il dolo specifico proprio del partecipe, dolo che consiste nella consapevolezza di far
parte dell'associazione e nella volontà di contribuire a tenerla in vita e a farle raggiungere gli obiettivi che si è prefissati
bensì quello generico, consistente nella coscienza e volontà di dare il proprio contributo al conseguimento degli scopi
dell’associazione (Cass. Sez. Un. 14.12.1995, n.30).
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L’elemento soggettivo
8 Il dolo con riferimento a particolari tipi di
reato
a) Dolo eventuale e reati di pericolo: il dolo eventuale si ritiene compatibile con i reati di
pericolo nel senso che il dolo di pericolo può venir in essere nella forma del reato eventuale. Se in
giurisprudenza talvolta si è esclusa la compatibilità del dolo eventuale con qualche specifico reato
di pericolo (es. strage) ciò è avvenuto sotto il profilo della incompatibilità non con il dolo di
pericolo, ma con il dolo specifico richiesto nel caso concreto. In proposito la Suprema Corte ha
affermato che per la sussistenza del delitto di strage il fine di uccidere proprio perché integra il dolo
specifico del reato non può mai essere surrogato dal dolo eventuale. Pertanto la morte di una o più
persone deve sempre rappresentare lo scopo specificamente perseguito dall'agente e non un evento
che il soggetto, nel volerne uno meno grave, si sia rappresentato come probabile conseguenza per
cui abbia agito anche a costo di determinarlo.
b) Dolo eventuale e calunnia: non sempre il dolo eventuale è sufficiente ad integrare
l'elemento psicologico del reato sussistendo taluni reati che per la loro struttura non sono
compatibili con una imputazione a titolo di dolo eventuale. Tale è il reato di calunnia. Al fine della
sussistenza del dolo qui infatti occorre che il soggetto abbia certa e piena conoscenza della
innocenza dell'incolpato. Alla volontà della incolpazione deve quindi aggiungersi la consapevolezza
che il soggetto è innocente non avendo compiuto il fatto falsamente attribuitogli.
c) Dolo eventuale e reato diverso nel concorso di persone: affinché un partecipe risponda di
un reato diverso posto in essere da un concorrente ex art 116 c.p. non deve neppure rappresentarsi
l'eventualità che l'altro concorrente lo realizzi giovandosi del suo rapporto causale perché altrimenti
si configurerebbe una responsabilità ex art. 110 c.p. a titolo di dolo eventuale. Quindi perché
ricorrano gli estremi della fattispecie di cui all'art. 116 occorre che il soggetto non si rappresenti
neppure in forma di dubbio la commissione del reato diverso perché altrimenti sarà responsabile di
questo a titolo di dolo eventuale ex art. 110 c.p.
d) Dolo eventuale, aberratio ictus plurioffensiva e concorso formale di reati: la aberratio
ictus plurioffensiva costituisce, sotto il profilo soggettivo, un minus rispetto alla corrispondente
ipotesi del concorso formale dei reati presentando la caratteristica che delle due offese cagionate
l'una deve essere dal soggetto voluta mentre l'altra non deve esserlo neppure nella forma estrema del
dolo eventuale. Se infatti per quest'ultima offesa dovesse comunque versarsi in tema di dolo
indiretto si ricadrebbe inevitabilmente nella ipotesi del concorso formale dei reati.
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L’elemento soggettivo
e) Dolo eventuale e premeditazione: l'aggravante della premeditazione si compone di due
elementi essenziali: l'uno cronologico e l'altro psicologico. Il primo consiste in un apprezzabile
intervallo di tempo tra l'insorgenza e l'attuazione del proposito criminoso perché sufficiente a far
desistere l'uomo di media moralità dal progetto medesimo per il prevalere di motivi altruistici su
quelli antisociali. Il secondo si concretizza nel perdurare della risoluzione criminosa, ferma e
irrevocabile, nell'animo dell'agente. L'aggravante della premeditazione non è compatibile con la
forma del dolo eventuale, in quanto se la premeditazione consiste in una intensa volizione del
risultato della condotta, non ne risulta la compatibilità con una situazione psicologica piuttosto
vaga, caratterizzata dall'accettazione da parte dell'agente del rischio della produzione dell'evento
quale è quella in cui si concreta il dolo eventuale.
f) Dolo eventuale e delitto di ricettazione: nel delitto di ricettazione è ravvisabile la figura
del dolo eventuale, consistente nell'associarsi della coscienza e volontà del soggetto attivo, quale
accetti il rischio della provenienza illecita della cosa e cioè quando all'acquirente si presentino in
alternativa le due possibilità ossia che la merce sia di origine lecita ovvero illecita.
g) Dolo nel reato associativo: il dolo nel delitto di partecipazione, semplice o qualificata, ad
un associazione per delinquere non consiste soltanto nella coscienza e volontà di arrecare quel
contributo minimo richiesto dalla norma incriminatrice, ma trattandosi di reato a concorso
necessario e a dolo specifico, nella consapevolezza di partecipare e di contribuire attivamente alla
vita di una associazione nella quale i singoli associati, con pari coscienza e volontà, fanno
convergere i loro contributi, come parte di un tutto, alla realizzazione di un programma comune
divenuto così causa comune dell'agire del singolo ente.
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L’elemento soggettivo
9
La colpa
L’art. 43 c.p. afferma che «il delitto è colposo o contro l'intenzione quando l'evento, anche
se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza, imprudenza o imperizia,
ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline».
Sono quindi elementi caratteristici della colpa in primo luogo la mancanza di volontà
dell'evento; occorre cioè che il soggetto non lo voglia direttamente né accetti il rischio del suo
verificarsi.
Dalla definizione si deduce, inoltre, che occorre che l'evento si sia verificato per
inosservanza di regole cautelari ossia per imprudenza, negligenza o imperizia, ovvero per la
violazione di leggi, regolamenti, ordini o discipline11. La colpa, considerata una forma meno grave
di colpevolezza rispetto al dolo, rappresenta comunque un atteggiamento antidoveroso della volontà
e quindi riprovevole. Il soggetto cioè aveva il dovere e il potere di comportarsi con cautela ed
attenzione mentre ha agito con leggerezza. Ora, visto che gli interessi protetti possono essere
pregiudicati non solo dalla volontà di lederli, ma anche da un comportamento incauto che esprime
scarsa considerazione degli stessi l'agente è meritevole di sanzione punitiva.
Perché il soggetto agente sia rimproverabile occorre pertanto che gli sia attribuibile
l'inosservanza di tali regole di condotta in quanto se ne poteva richiedere il rispetto.
Secondo parte della dominante il reato colposo non rappresenta un quid che si differenzia da
quello doloso solo sub specie dell'elemento soggettivo, ma è un reato che presenta caratteristiche
strutturali proprie che emergono già sul piano dell'elemento oggettivo (condotta, evento e nesso di
casualità) cioè della tipicità per riflettersi poi sul piano della colpevolezza. Quanto alla condotta
assumono rilevanza non solo comportamenti coscienti e volontari ma anche atti riflessi, istintivi,
abituali o dovuti a dimenticanza ma che potevano essere controllati. Quanto al nesso di causalità nei
reati colposi di evento questo deve essere conseguenza di una condotta antidoverosa che violi la
norma cautelare. L'evento deve quindi essere il risultato non tanto dell'azione materiale, ma
dell'azione antidoverosa contrastante con il dovere di diligenza. Deve cioè concretizzarsi nel rischio
11
La colpa punibile, ai sensi dell'art. 43 c.p., si estrinseca non solo nella inosservanza di obblighi imposti da
leggi, regolamenti, ordini o discipline, ma anche in un comportamento negligente, imprudente o imperito o, comunque,
violatore di regole fondamentali di condotta che, apprezzato rispetto sia alla situazione realistica in cui si è svolto
l'episodio criminoso, sia alla relatività della situazione stessa riguardata sotto il profilo della condotta dell'imputato, si
riveli tale da aver determinato un evento delittuoso estraneo alla volontà del predetto (Cass. Pen. 1.3.1991).
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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L’elemento soggettivo
che la norma cautelare tendeva ad evitare. È dubbia l'esistenza del nesso di causalità quando risulta
che l'evento materialmente causato dal soggetto si sarebbe ugualmente verificato tenendo la
condotta conforme al dovere di diligenza (c.d. comportamento alternativo lecito).
L'evento lesivo deve essere quindi del tipo di quello che la norma cautelare tendeva ad
evitare. Se così non fosse la responsabilità colposa si trasformerebbe in responsabilità oggettiva
basata sul mero versati in re illicita.
9.1
Segue: la suitas
Nel reato colposo assumono rilevanza non solo comportamenti coscienti e volontari, ma
anche comportamenti privi di coscienza e volontà quali coefficienti psicologici reali.
Ma allora cosa significa coscienza e volontà nel reato colposo? A prima vista esulerebbero
gli atti riflessi, automatici, istintivi, abituali. Tuttavia nella prassi giudiziaria essi costituiscono le
ipotesi tipiche di reato colposo. Si deve forse ritenere che nei reati colposi vengono incriminate
delle non azioni? Va detto allora che nel reato colposo esiste azione penalmente rilevante finché è
possibile un rimprovero per colpa. Il concetto di coscienza e volontà va allora differenziato a
seconda che acceda ad un reato colposo o doloso. In quest'ultimo coscienza e volontà indicano
coefficienti psicologici effettivi; nel primo invece indicano ora un dato psicologico effettivo ora un
dato psicologico normativo. Qui l'azione si considera cosciente e volontaria se era dominabile dal
volere. È tale allora l'atto che poteva essere impedito attraverso l'attivazione dei poteri di arresto,
impulso o inibizione. Al soggetto allora si rimprovera di non aver attivato coscienza e volontà che
poteva attivare.
9.2
Segue: l'inosservanza delle regole di condotta
Per quanto riguarda le fonti delle regole cautelari, queste possono avere una fonte sociale o
giuridica. Le prime derivano da massime di esperienza attraverso un giudizio prognostico sulla
pericolosità della attività e sui mezzi necessari per evitare i danni. La loro violazione dà luogo ad
imprudenza, negligenza o imperizia cioè a colpa generica.
Si ha imprudenza quando si viola una regola cautelare di non tenere una certa condotta o di
tenerla con modalità diverse.
Si ha negligenza quando si viola una regola di condotta che richiede un'attività
Si ha imperizia in relazione ad attività che richiedono cognizioni tecniche per cui si tratta di
imprudenza o negligenza qualificate.
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L’elemento soggettivo
Alle regoli cautelari aventi fonti giuridiche si riferisce l'art. 43 c.p. quando parla di
inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (cd. colpa specifica). Il riferimento alla legge
ha ad oggetto solo le norme cautelari il cui fine sia quello di evitare eventi pregiudizievoli per i
terzi.
La regola cautelare può avere diversi contenuti: a volte può imporre di desistere dall'azione
che presenta un rischio troppo elevato: es. chi è stanco deve astenersi dal porsi alla guida di
un'automobile. Altre volte impone di compiere l'azione solo adottando determinate cautele.
Nell'obbligo di diligenza sono compresi anche obblighi di informazione e di controllo: così
chi occupa una posizione sovraordinata in un gruppo deve scegliere con oculatezza i propri
operatori e vigilare sul loro operato. Per quanto riguarda l'identificazione delle regole di condotta
occorre far riferimento al criterio della prevedibilità e prevenibilità secondo la miglior scienza ed
esperienza del momento storico. Tale criterio oggettivo permette di identificare quali regole
cautelari quelle che prescrivono comportamenti non tenendo i quali è prevedibile e tenendo i quali è
prevenibile un evento dannoso secondo la miglior scienza ed esperienza specifiche.
Affinché sussista una responsabilità per colpa non è sufficiente la oggettiva inosservanza
della regola di condotta ma occorre anche che tale inosservanza sia attribuibile al soggetto agente.
In sostanza, per integrare la fattispecie del reato colposo, è necessaria una doppia misura
della colpa: non solo che sia posta in essere una condotta oggettivamente contraria alle regole di
diligenza previste (cd. misura oggettiva della colpa), ma è anche necessario che tale condotta sia
attribuibile dal punto di vista psicologico all'agente, sotto forma di un'omissione da parte sua
dell'esercizio dei poteri di controllo sul decorso causale del fatto (cd. misura soggettiva della colpa).
A tal ultimo proposito occorre distinguere tra colpa generica e colpa specifica.
Nel primo caso si fa riferimento al criterio della prevedibilità ed evitabilità nel senso che un
rimprovero può essere mosso solo quando il soggetto poteva prevedere ed evitare il fatto di reato.
Se questo era imprevedibile o inevitabile nessuna colpa è ravvisabile a carico dell'agente.
In giurisprudenza si è precisato che, ai fini del giudizio di prevedibilità, deve aversi riguardo
alla potenziale idoneità della condotta a dar vita ad una situazione di danno e non anche alla
specifica rappresentazione ex ante dell'evento dannoso, quale si è concretamente verificato in tutta
la sua gravità ed estensione (in tal senso Cass. 6-2-2007, n. 4675).
Il relativo giudizio tiene conto di tutte le circostanze e caratteristiche dell'agente concreto
rapportato all'agente modello della stessa cerchia sociale cui il primo appartiene: homo eiusdem
condicionis ac professionis. Ne consegue che è individuabile una pluralità di agenti-modello in
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L’elemento soggettivo
corrispondenza dei diversi tipi di attività e condizioni (es. automobilista-modello, medico-modello
etc.) e all'interno dei diversi tipi di attività (medico generico, medico chirurgo, medico trapiantista).
Si tiene però conto di ulteriori conoscenze superiori dell'agente concreto nel qual caso
assumerà egli stesso le vesti di agente-modello.
9.3
Segue: attribuibilità e colpa specifica
Per quanto riguarda la colpa specifica si ritiene sufficiente la violazione di una delle regole
poste dall' autorità perché si abbia responsabilità. Ciò perché l' inosservanza di tali regole cautelari
concreta di per sé imprudenza essendo poste al fine di evitare eventi rispetto ai quali il relativo
giudizio di prevedibilità ed evitabilità è stato già operato una volta per tutte dal legislatore.
La colpa però non si estende comunque a tutti gli eventi che ne siano derivati, ma solo a
quelli che la norma mirava a prevenire; occorre cioè che si sia verificato uno di quegli eventi alla
cui prevenzione la norma violata era destinata12. Per cui se l'automobilista viaggia sull'altra corsia
risponde dell'investimento del ciclista che proviene in senso contrario. Se invece urta una pietra che
ferisce un passante risponderà solo di violazione del regolamento stradale.
Il rispetto di queste regole può però non essere sufficiente per escludere la responsabilità
poiché l' osservanza della norma scritta può non esaurire i doveri di diligenza e prudenza del
soggetto. Se infatti è prevedibile che nonostante l'osservanza della norma scritta possa derivare
l'evento il soggetto dovrà attingere ad una regola sociale. Si pensi al caso del soggetto che rispetti il
limite di velocità, ma si renda conto che nelle vicinanze ci sono dei bambini che possono
attraversare improvvisamente la strada. Qui l'osservanza di una regola sociale impone di scendere al
di sotto del limite legale.
Ci si chiede se in capo al soggetto possano gravare obblighi cautelari relativi alla condotta di
terze persone, se cioè egli debba osservare regole precauzionali tese ad evitare comportamenti
dannosi di terzi. In proposito va distinto tra norme cautelari scritte e norme derivanti dagli usi
sociali.
Nel primo caso occorre vedere se tra gli eventi che la norma tende ad evitare vi rientrino i
comportamenti dannosi dei terzi: così se un ordine di servizio impone ad un agente di polizia di
perquisire chiunque si avvicini ad un uomo politico, tale ordine mira proprio ad impedire che terzi
12
Si afferma, in tal senso, in giurisprudenza che, per poter formalizzare l'addebito colposo, non basta soffermare
l'attenzione sulla violazione della regola cautelare, ma è necessario verificare che questa sia diretta ad evitare proprio il
tipo di evento dannoso verificatosi. Diversamente l'agente verrebbe punito per la mera infrazione anche se la regola
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L’elemento soggettivo
possano uccidere l'uomo politico. In tal caso se la perquisizione non viene effettuata o viene
effettuata male l'agente potrà essere chiamato a rispondere di omicidio o lesioni qualora l'uomo
politico subisca un'aggressione.
Al di fuori delle norme scritte che tendono ad evitare comportamenti dannosi di terzi deve
dirsi che la previsione che un proprio comportamento possa agevolare la condotta colposa di terzi
non è sufficiente a far sorgere la responsabilità perché ognuno può confidare nel fatto che i terzi si
comportino diligentemente. Se si presuppone nei terzi l'attitudine ad una autodeterminazione
responsabile ne deriva che ciascuno deve evitare solo i pericoli che derivano dalla propria condotta.
A questo principio vi sono però delle eccezioni. Anzitutto in certe ipotesi il soggetto non
può attendersi dal terzo un comportamento responsabile: si pensi al caso di chi presti una macchina
ad un minore sprovvisto di patente. Qui il soggetto non può pretendere dal terzo un comportamento
diligente per cui se gli presta una macchina viola una norma cautelare che impone di non mettere a
disposizione il veicolo di soggetti non abilitati che non hanno attitudine alla guida. Il soggetto allora
è in colpa e risponde del fatto colposo del guidatore che è proprio quell'evento che la norma
cautelare mirava ad evitare.
La seconda eccezione si ha quando il soggetto ha lo specifico obbligo di impedire che
provochi danni a terzi, un soggetto incapace che è sotto la sua vigilanza. In caso di lavoro di gruppo
ciascuno è destinato a svolgere la sua specifica mansione e non risponde delle azioni degli altri. Chi
ha una posizione gerarchica deve però svolgere un controllo ed intervenire quando ha ragione di
dubitare che taluno dei componenti del gruppo non tenga un comportamento improntato a diligenza.
Se, al di fuori di questi casi e di quelli previsti dalla legge in cui la norma cautelare ha
proprio la funzione di evitare i pericoli connessi al comportamento dei terzi, il soggetto non è tenuto
ad impedire comportamenti colposi altrui per quanto prevedibili, a maggior ragione non è tenuto ad
impedire comportamenti dolosi che sono frutto di libera determinazione per cui a maggior ragione
vige il principio dell'autoresponsabilità.
9.4
Specie di colpa: a) colpa generica e colpa specifica
Di tale distinzione si è già parlato a proposito della violazione delle regole cautelari.
b) colpa cosciente e colpa incosciente
cautelare aveva tutt'altro scopo, cioè verrebbe sanzionato il mero versari in re illicita con la previsione dì una sorta di
responsabilità oggettiva (in tal senso, Cass. 6-2-2007, n. 4675).
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Il dato caratterizzante la colpa è costituito dalla non volontà del fatto tipico. Tuttavia in
relazione all'elemento conoscitivo può accadere che il soggetto abbia concretamente previsto il
verificarsi dell'evento; questa previsione non è necessariamente incompatibile con la colpa per cui
non comporta automaticamente che l'azione sia dolosa.
In proposito occorre sempre guardare all'atteggiamento della volontà dell'agente rispetto all'
evento pure se previsto; se cioè il rapporto tra volontà ed evento si pone in termini di
contraddizione, nel senso che il soggetto non vuole la verificazione della stesso, si avrà pur sempre
colpa.
Con riferimento a tali casi si parla di colpa cosciente. In tali casi il soggetto agisce
nonostante la concreta previsione che dalla sua azione potrà derivare l'evento di reato ma è convinto
che lo stesso non si verificherà; egli non accetta il rischio del suo verificarsi, e quindi non lo
vuole13, in quanto è sicuro di riuscire ad evitarlo. La colpa cosciente costituisce una aggravante
comune per delitti colposi.
Il difetto di accettazione del rischio distingue la colpa cosciente dal dolo eventuale.
Quest'ultimo infatti si contraddistingue dalla colpa cosciente per l'elemento della volontà, in quanto
in entrambe le ipotesi il soggetto si rappresenta l'evento antigiuridico che è conseguenza della sua
azione o omissione, ma mentre nel primo caso agisce, accettando il rischio che l'evento possa
verificarsi, nel secondo caso agisce, nella certezza che l'evento non si verificherà ed, in ogni caso,
egli non vuole, neanche per ipotesi, che l'evento si verifichi.
La giurisprudenza alcune volte ha fondato la differenza sul grado di probabilità di
verificazione dell'evento previsto14; in realtà ciò che conta è solo l'atteggiamento della volontà
mentre la maggiore o minore probabilità di accadimento può rilevare ai fini della prova
dell'atteggiamento psicologico del soggetto.
La colpa cosciente si differenzia poi dalla colpa incosciente in cui il soggetto non si rende
conto di poter ledere con la sua azione interessi altrui.
c) colpa propria e colpa impropria
Si definiscono di colpa impropria quei casi in cui l'evento è voluto ma l'agente risponde di
reato colposo (art. 55, eccesso colposo nelle cause di giustificazione; art. 59 ultimo comma, erronea
13
In tema di elemento soggettivo del reato, il dato differenziale tra dolo eventuale e colpa cosciente, prima
ancora che nel momento volitivo, sta nella previsione del fatto di reato che, nel dolo eventuale, si propone come incerto
ma concretamente possibile e, per conseguenza, ne viene accettato il rischio. Nella colpa con previsione, invece, la
verificabilità dell'evento rimane come ipotesi astratta, che nella coscienza dell'agente non viene percepita come
concretamente realizzabile e perciò non può essere, in qualsiasi modo, voluta.
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L’elemento soggettivo
supposizione dell'esistenza di cause di giustificazione; art. 47 errore di fatto determinato da colpa)
mentre caratteristica della colpa (propria) è la non volontà dell'evento.
Tale categoria è contestata poiché anche nei casi di cd. colpa impropria l'agente non vuole il
fatto di reato ad es. chi uccide credendo di agire in presenza di una scriminante non vuole il fatto di
omicidio.
9.5
Segue: la colpa professionale
Per molto tempo si è discusso se il comportamento del professionista nell'esercizio della sua
professione debba essere valutato secondo le regole generali, nel senso che lo stesso può essere
chiamato a rispondere di qualunque negligenza, imprudenza etc., oppure se anche in sede penale
possa trovare applicazione l'alt. 2236 c.c. in base al quale egli deve essere chiamato a rispondere
solo per colpa grave, con la conseguente esclusione di responsabilità per i fatti commessi con colpa
lieve o media. In passato la giurisprudenza ritenne applicabile la norma in questione sul presupposto
che le attività professionali richiedono la soluzione di problemi di notevole difficoltà tecnica per cui
devono essere valutate con una certa elasticità ai fini della configurabilità di un comportamento
colposo. Tale orientamento, oltre ad essere criticato in dottrina, diede luogo anche ad una eccezione
di incostituzionalità per la disparità di trattamento che introduceva tra i cittadini.
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 166 del 1973 dichiarò non fondata la questione in
quanto la particolare valutazione della colpa professionale rispondeva a due opposte esigenze: da un
lato quella di non mortificare l'attività complessa con il rischio di una incriminazione penale;
dall'altro quella di non indulgere verso atteggiamenti improntati a leggerezza e negligenza.
Tuttavia si precisava che la più elastica valutazione concerneva esclusivamente la colpa per
imperizia mentre quella per negligenza ed imprudenza andava invece valutata secondo i consueti
criteri. La giurisprudenza tuttavia si è attestata sulla negazione di qualunque rilevanza a criteri
differenziati di valutazione pur riconoscendo la necessità di una maggiore elasticità in caso di
attività complesse. Si è infatti affermato che la norma dell'art. 2236 c.c. secondo cui il prestatore
d'opera è esonerato dall'obbligo del risarcimento del danno quando la prestazione implichi la
soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, salvo che il fatto sia stato commesso con dolo o
colpa grave, è diretta unicamente a disciplinare l'obbligo del risarcimento nel rapporto contrattuale
citato, nonché in caso di responsabilità aquiliana, ma in nessun caso può essere estesa
14
Il dato differenziale tra dolo eventuale e colpa cosciente va rinvenuto nella previsione dell'evento.
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L’elemento soggettivo
all'ordinamento penale al fine di determinare un'ipotesi di non punibilità per fatti commessi con
grado di colpa non grave15.
La dottrina più moderna ritiene sia preferibile far riferimento al concetto di colpa speciale
relativamente a quelle attività giuridicamente autorizzate perché socialmente utili anche se rischiose
(es. attività medica, stradale, sportiva etc.).
Per queste attività ai fini della sussistenza della colpa non è possibile utilizzare i criteri della
prevedibilità e evitabilità poiché in tal modo si finirebbe per imputare al soggetto ogni conseguenza
dannosa prevedibile e prevenibile astenendosi dall'attività: ad es. il medico può prevedere, anche
con percentuale statistica, l'esito infausto dell'intervento chirurgico. In tali casi occorre, invece, far
riferimento alle leges artis, scritte (ex. normativa stradale, antinfortunistica) o non scritte (ex. regole
dell'arte medica) fissate dalla miglior scienza ed esperienza del settore la cui finalità è quella di
contenere il rischio connesso a tali attività pertanto la colpa sussiste solo in caso di danni prevedibili
ma prevenibili attraverso l'inosservanza delle leges artis.
Si è, infine, sostenuto che la condotta imprudente del paziente che abbia richiesto con ritardo
le cure non esclude il concorso di cause, ai sensi dell' art. 41 cod. pen., ove il sanitario, anziché
contrastare il processo patologico in atto, differisca l'intervento terapeutico che si prospetti come
necessario ed urgente alla luce di un evidente quadro clinico (Cass. 4-10-2000, n. 10482).
15
Fattispecie in tema di responsabilità penale del medico. Così Cass. 18-12-1989 in Riv. Pen., 1991, 565.
A riguardo va detto che la casistica riguardante la responsabilità professionale in campo sanitario è molto
ampia. Si è affermato, tra l'altro, che ai fini della colpa professionale dell'esercente una professione sanitaria non si
richiede una grande perizia, ma quel minimo che ci si deve attendere dall'esercente la professione medica; nel caso di
medico specialista, invece, in considerazione dell'acquisita specializzazione, si deve richiedere con maggiore severità
l'uso della massima prudenza e diligenza (Cass. 21-10-1983, n. 8784).
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