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Curare e prendersi cura - IPASVI

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Curare e prendersi cura - IPASVI
Aggiornamento ECM/FVG Collegio IPASVI di Gorizia
“Dalla Formazione all’Organizzazione – dalla teoria alla pratica”
“Curare o prendersi cura”
COLLEGIO PROVINCIALE INFERMIERI PROFESSIONALI
ASSISTENTI SANITARI – VIGILATRICI D’INFANZIA
di Gorizia
Aggiornamento ECM/FVG
“Dalla Formazione all’Organizzazione – dalla teoria alla pratica”
“CURARE O PRENDERSI CURA”
Relatori:
Giuseppina GRACEFFA
Irene LAURENTI
Anna Maria PADOVAN
Monfalcone 27 giugno 2005
Gorizia 28 giugno 2005
Aggiornamento ECM/FVG Collegio IPASVI di Gorizia
“Dalla Formazione all’Organizzazione – dalla teoria alla pratica”
“Curare o prendersi cura”
1) L’ INDIVIDUO
Individuo, dal latino individuus, termine usato per la prima volta da Democrito ad indicare l’ ultimo elemento indivisibile
del mondo fisico, e quindi ritrae il significato di indiviso, che non si può dividere.
L’ individuo può essere pensato per comodità come l’ unione di due elementi fondamentali: la mente ed il corpo, due piani
su cui si esplica la nostra esistenza.
Il corpo rappresenta la prima cosa con cui veniamo in contatto, è la parte fisica che ci permette di entrare in rapporto con il
mondo ed imparare a conoscere unicamente attraverso i cinque sensi. Questa parte è fondamentale per la crescita e il
patrimonio delle sensazioni, ma riduttiva se non trasformata e rielaborata dalla mente.
Accanto ad un elemento standardizzabile come il corpo, infatti esistono altri componenti che rientrano nel modo di essere
ed agire umano e sono agganciati alla soggettività della persona: le parti, si possono classificare in:
•
bio-psico-fisica: la prima sfera con cui entriamo in contatto.
•
sociale: che racchiude la sfera relazionale.
•
mentale: alla quale appartengono tutte le esperienze e i vissuti di una persona.
Queste parti convivono in un delicato equilibrio che viene influenzato dall' ambiente esterno. Essendo l’individuo
influenzato da numerosi fattori, viene risaltata la sua unicità e si dimostra essere irripetibile; di conseguenza anche gli
eventi trascorsi possono essere simili come vissuti, ma mai identici.
2) L’ INFERMIERE
L' infermiere è un professionista avente la capacità di esercitare una funzione complessa, con competenze generali e
specifiche, con responsabilità autonome ed integrate, con disponibilità permanente all’ aggiornamento e la ricerca . Al di
fuori del suo ruolo, non bisogna dimenticarsi che è in prima battuta un individuo che entra in contatto con altri individui.
Molto spesso il cliente avverte delle differenze fra gli operatori e questa diversità percepita il più delle volte non sta nelle
tecniche eseguite, ma in qualcosa di più: nel modo di approcciarsi per proporle, nella sua capacità di andare oltre a ciò che è
solo il fare, per arrivare all' essere professionista.
Ecco allora che la differenza fra le persone non passa attraverso il quanto, ma attraverso il come; il quale a sua volta, nasce
e si sviluppa dai propri sentimenti e dalle proprie emozioni.
Per questo motivo, nel rapporto con gli utenti il professionista deve essere in primo luogo una persona che si conosce, per
poter interagire con l' altro, capire i turbamenti, le incertezze e le tempeste emozionali a cui è sottoposto. In questo modo è
possibile mettersi allo stesso livello della persona, per poter insegnare a controllare e canalizzare nella giusta direzione i
sentimenti venuti a galla.
Le tre colonne portanti di questa professione sono: il rispetto nel rapporto con gli utenti, la consapevolezza della
responsabilità legata alle nostre azioni e la professionalità.
3) RAPPORTO TERAPEUTICO
Ai nostri giorni, ci approcciamo ad un nuovo tipo di utente: molto più critico, sospettoso ed esigente rispetto il passato; di
conseguenza anche noi operatori abbiamo il dovere di “tenerci al passo” per riuscire a soddisfare sempre al meglio le
esigenze degli utenti.
Così nasce un nuovo rapporto terapeutico che si sviluppa e si modifica in base al cliente e alle aspettative con cui si
presenta.
Aggiornamento ECM/FVG Collegio IPASVI di Gorizia
“Dalla Formazione all’Organizzazione – dalla teoria alla pratica”
“Curare o prendersi cura”
Centrato sul curante
Centrato sull’ utente
Paziente passivo
Utente attivo
Compliance
Autonomia
Aderenza alle prescrizioni
Partecipazione dell’ utente
Pianificazione per il paziente
Pianificazione con utente
Cambio di comportamento
Piene responsabilizzazione
Dipendenza
Indipendenza
Bisogni fissati dal curante
Bisogni definiti dall’ utente
“Paziente”
Cliente-utente
4) LA SALUTE
È un modello che si realizza quando le varie funzioni del corpo interagiscono armonicamente anche in rapporto a ciò che le
circonda.
La salute, come la malattia, rappresenta uno degli estremi della linea chiamata “il continuum salute-malattia”; dove nel
mezzo vi giacciono un’ infinità di sfumature soggettive della tipica espressione dello “star bene”.
Uno dei motivi che rende difficile una definizione per la “salute”, è dato dal fatto che la stessa rientra in un contesto di
percezione soggettiva, tratteggiato di sfumature dello stesso fenomeno, molto diverse da un individuo all' altro.
Probabilmente il segreto sta, oltre che nel conoscere i fenomeni esterni che ci influenzano, nel conoscerci in modo più
approfondito, in modo da saper cogliere ogni segnale che il nostro corpo ci invia.
Arthur Jores, direttore della Clinica Medica dell’ Università di Amburgo, sosteneva che la salute dipende da una felice
disposizione della vita, da un lavoro che permette di utilizzare le proprie capacità, da come ci si sente protetti nell’ ambito
familiare, dal riconoscimento e dalla considerazione ottenuti nell’ ambito sociale.
Da questo contesto dipenderebbe la differente risposta che ognuno ha di fronte ad un patogeno esterno e la conseguente
strada verso la malattia o verso la salute.
5) LA MALATTIA
È la messa in discussione di un ordine che fino a quel momento era in equilibrio.
Classicamente vengono distinte in: malattie acute e croniche.
ü Acuta: necessita di una diagnosi ed un intervento rapido, l’ utente è passivo, l’ operatore si concentra sui
sintomi e compie delle azioni mirate e focalizzate sull’ essenziale.
ü Cronica: silente e spesso incurabile, dall’ andamento progressivo incerto; necessita di un trattamento
continuo, l’ operatore deve instaurare un rapporto di fiducia con l’ utente in quanto quest’ ultimo partecipa
attivamente alla cura gestendola giornalmente.
Ognuno di noi spera di non ammalarsi mai, ma se dovesse accadere, spera pur di affrontare una malattia grave, ma dalla
quale guarire per ritornare in breve tempo alla condizione precedente, senza influenze sulla vita quotidiana. Ci
dimentichiamo però dell' enorme fetta di malattie che si affacciano sulla realtà dei nostri giorni: le malattie croniche, dalle
quali non si può guarire, ma è possibile conviverci a patto di fare della malattia una parte intrinseca della nostra persona,
senza trattarla come un male da espellere.
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“Dalla Formazione all’Organizzazione – dalla teoria alla pratica”
“Curare o prendersi cura”
5) LA CURA
La libertà di cura è un diritto fondamentale di ogni individuo, se lo si sente come assenza di un obbligo di curarsi, con
qualsiasi metodo, efficace o inefficace, ufficiale o alternativo. L’estrema espressione di questa libertà è il rifiuto totale di
cure, il lasciare che la malattia segua il suo corso: questa è la base di ogni libertà e di ogni diritto. Su questa fondamentale
libertà si innesta anche la libertà di scegliere il modo di curarsi e quindi il principio secondo cui nessuno può imporre un
determinato modello di cura.
È vero anche che in questi anni il livello culturale nella popolazione sta crescendo.
L’ esercizio della libertà presuppone la possibilità di scegliere tra alternative che siano comprese nel loro significato:
senza un adeguato livello di istruzione media nella popolazione la libertà di cura non è nemmeno immaginabile come
effettiva opzione per l’ intera popolazione.
Avendo ogni persona delle pecugliarità; caratteristiche sono anche i modi di approcciarsi e convivere con una malattia, per
questo si affrontano tre scenari della cura:
a) Il primo scenario è la restitutio ad integrum o ritorno alla salute, esperienza di malattia in cui, dopo un percorso buio, l'
intervento del professionista, come tecnico competente; ci riporta alla condizione precedente, chiudendo la parentesi aperta
dalla malattia.
b) Il secondo scenario è quello della guarigione sufficiente: guarigione necessaria per vivere con la malattia e nonostante
la malattia. Rappresenta l' accettazione della patologia e la ricerca continua di obiettivi insieme agli operatori con i quali si
instaura un rapporto solido, basato sul rispetto e la stima.
c) L' ultimo scenario è quello della grande salute o la realizzazione del progetto di vita di ognuno. Questo va al di la della
presenza o assenza di malattia, bensì è la realizzazione di un progetto come uomini o donne, è un percorso i nteriore che va
oltre la condizione fisica. In questa visione l' operatore vuole “prendersi cura” e accompagnare l' utente. Accompagnare
significa chiedere all' altro di potersi metter al suo fianco, senza fretta; senza trattenerlo impedendogli di spiccare il volo,
per essergli vicino continuando fino all' ultimo ad offrire le nostre abilità tecniche, la rapidità delle prestazioni, le nostre
conoscenze teoriche e la sensibilità del nostro cuore.
Essere bravi accompagnatori non è una capacità che si può apprendere da manuali,
l' importante è “saper essere” e
“saper divenire”, accettando l' altro hic et nunc, rimanendogli vicino, rispettando i suoi tempi, senza imporre scelte
avventate o che riteniamo giuste solamente perché sono diventate nostre.
6) ACCANIMENTO TERAPEUTICO
Nel momento in cui ci approcciamo ad un utente con una malattia cronica, è molto importante essere consapevoli dei limiti
della medicina per diffidare delle false promesse e porre nella giusta prospettiva i valori e i principi etici.
La capacità della medicina di prolungare la vita per mezzo del supporto della tecnologia, ha fatto sorgere un dibattito
riguardo i limiti che il medico può e deve porsi nei confronti di un malato terminale e la negoziazione necessaria con le
varie persone coinvolte nella scelta ( paziente, genitori, famigliari… ) .
La stessa diatriba è sorta nell’ ambito delle malattie croniche, ponendosi di fronte a pazienti con cui bisogna giungere a
degli accordi affinché la gestione della terapia non sia destinata all’ insuccesso.
La cosa più importante è aver chiaro qual è il nostro obiettivo quando miriamo al compromesso. Non è un’ azione
unilaterale sui pazienti, per cercare di persuaderli e trascinarli sulla nostra strada, ma un’ azione che porta sia l’ operatore
che il paziente a modificare i rispettivi punti di partenza. Il bravo medico non è quello che con parole convincenti induce il
paziente ad assumere la sua posizione, ma quello che vede, riconosce e capisce gli ostacoli che si frappongono sulla via del
paziente per mettere in atto le indicazioni mediche.
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“Curare o prendersi cura”
7) PRENDERSI CURA
L' operatore che decide di affiancare l' utente in un percorso di realizzazione, deve fare molto di più rispetto il semplice
sentire l' altra persona che ci trasmette i suoi dubbi e le sue perplessità, ma deve avvalersi di un ascolto attivo (o
counseling) intendendolo come la capacità di essere presenti rispetto all' altra persona.
Molto spesso, nel processo curativo, ci indaffariamo per garantire una vita più lunga, sarebbe più importante rifiutare l'
inganno dell' onnipotenza e accettare la morte e la sofferenza come simboli del limite umano, per poter indirizzare le nostre
energie nell' aiutare le persone a “stare bene” e “sentirsi bene” riuscendo così ad aggiungere vita agli anni e non anni alla
vita.
Stando accanto alla persona infatti garantiremo gli strumenti affinché si promuova un cambiamento autonomo ed
autodiretto, per raggiungere un risultato profondo e stabile. In questo modo la persona assistita sarà arricchita da una risorsa
in più, avrà fiducia nei propri mezzi e strumenti e diventerà supporto di se stessa.
Durante questo processo bisogna far riferimento e tener conto di diversi punti focali:
•
Relazione d’aiuto: La relazione di aiuto è un metodo di comunicazione professionale attraverso la quale una
persona, non in grado di adattarsi ad una determinata situazione, deve essere assistita affinchè si verifichi questa
“rielaborazione personale”.
Nella relazione è molto importante il valore che l’operatore attribuisce all’ evento vissuto dal soggetto; ed è
altrettanto importante mettere da parte, se non addirittura cancellare,
quei meccanismi che scattano quasi
inconsciamente come il giudizio, l’ aspettativa e i meccanismi di difesa.
La relazione d’ aiuto avviene attraverso un incontro umano e questo implica che io professionista sia presente, in
modo sincero ed attento, nel vissuto dell’ altra persona.
Persona e professionista devono essere dotati entrambi di quella consapevolezza che li rende capaci di collaborare,
efficacemente ed in armonia, ciascuno nel rispetto del proprio ruolo, alla realizzazione di percorsi di salute
condivisi, coniugando valori ed interessi comuni.
•
Ascolto della persona: La persona ammalata è ansiosa, preoccupata e terrorizzata, per questo ha bisogno di essere
rassicurata e ciò può essere fatto solamente parlandone. Occorre spiegare con semplicità e con attinenza alla verità la
sua condizione, dando spazio alle domande ansiose che non rappresentano un noioso fastidio ma, al contrario, un
punto di partenza per lo sviluppo di un piano di assistenza personalizzato. Il tempo trascorso nell’ ascoltare non
deve essere visto come una perdita di tempo perché costituisce una stima e una solidarietà dalle quali soprattutto
l’utente ne trae vantaggio.
Il rischio maggiore nell’ ascoltare è quello di interpretare, di comprendere qualcosa di simile, di credere di
comprendere, quando invece sono i nostri significati che vengono proiettati sulla situazione dell’ altra persona.
Durante questo momento delicato e privilegiato, bisogna prestare molta attenzione al linguaggio non verbale, il
quale a volte viene tralasciato, ma spesso si rivela essere più importante e più ricco di notizie rispetto quello verbale.
•
Motivazione della persona: La motivazione degli utenti ha un ruolo chiave nel determinare le numerosissime
variazioni della vita quotidiana, che hanno come fine la sorveglianza e la prevenzione delle complicanze di una
determinata malattia cronica.
Accrescere la motivazione rappresenta la frontiera della cura e, per riuscirci, c’è bisogno di nuovi atteggiamenti e
competenze da parte del personale sanitario.
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“Curare o prendersi cura”
Innanzitutto l’ intera equipe deve dimostrarsi motivata ad investire del tempo e delle energie nell’ educazione dell’
assistito; il loro aggiornamento deve essere continuo e condiviso, sia per la necessità di operare in modo corretto,
nell’ interesse della persona, che per evitare la sensazione da parte dell’ utente di un equipe incerta, in disaccordo e
poco all’ avanguardia. E’ necessario, a tal proposito, chiarire un aspetto importante e cioè che gli errori compiuti
dall’ utente non vanno utilizzati per riaffermare la propria autorità, ma per incoraggiare la riflessione e la ricerca di
nuove soluzioni.
Ogni incontro deve essere l’ occasione per inviare messaggi positivi incoraggiando alla cura con obiettivi posti dall’
utente e non per mezzo di minacce presentate dagli operatori.
La motivazione a curarsi è influenzata da numerosi fattori psico-sociali, che è bene conoscere per calibrare
l’intervento; dobbiamo infatti partire da un presupposto, che l’accettazione della malattia non è un risultato
immediato, ma si sviluppa gradualmente, dopo fasi di incredulità, ribellione e depressione; è un processo
paragonabile a quello di accettazione del lutto, in quanto anche qui compaiono livelli di ansia, senso di colpa ed
imbarazzo: fattori che condizionano la capacità e il desiderio di apprendere come curarsi.
Una volontà ben sviluppata rende più efficace ogni sforzo e sostituisce le azioni impulsive con azioni mirate al
raggiungimento razionale di un obiettivo; per questo nessun istinto va represso o condannato, ma è necessario saper
regolarne l’ uso e le manifestazioni.
Dobbiamo essere consapevoli che al nostro interno abbiamo tutte le risorse utili, ma dobbiamo saper rivolgere in
modo corretto la nostra attenzione e volontà per diventare soggetti della nostra vita: “noi siamo ciò che vogliamo
essere”.
•
Qualità della vita: La qualità della vita non è misurabile attraverso semplici parametri quantitativi, che concorrono
a valutare un determinato performance status, ma si devono adottare sistemi che misurino la concezione del vivere
soggettivo di una determinata persona, in relazione al suo adattamento all’ ambiente ed alla soddisfazione dei propri
bisogni.
Spesso tendiamo a credere che una persona, affetta da una malattia cronica o colpita da un grave handicap, veda
ridursi progressivamente la sua qualità di vita fino a raggiungere uno stato appena sufficiente. Non potrebbe essere
pensata cosa più errata! Il nostro errore nasce dal non aver considerato che, dal punto di vista dei processi soggettivi
di elaborazione delle condizioni di malattia, esistono diverse reazioni di adattamento che portano al superamento
delle fasi di rabbia, colpa e sofferenza, per ritornare ad un adattamento con l’ ambiente e quindi ad una buona
qualità di vita.
Il concetto di qualità della vita (QdV) emerge prepotentemente nel panorama delle scienze mediche occidentali in
questo ultimo decennio. È un sentire comune, un perseguire un unico obiettivo partendo dal presupposto che
allungare la vita è un fine incompleto se il quantum di vita, guadagnato con il progresso della medicina, non si
accompagna ad una qualità di vita degna di un essere umano.
•
Educazione: Una delle sfide maggiori della medicina contemporanea consiste nel colmare il distacco presente fra i
progressi della scienza, e la cura delle singole persone affette da malattie croniche.
Dal punto di vista operativo, la prima cosa da fare quando si insegna è porre degli obiettivi, concordando con l’
allievo, in questo caso l’utente, ciò che vuole imparare. Tali obiettivi devono essere chiari, concreti, pertinenti,
dettagliati e a portata dell’ utente, in quanto l’ apprendimento non mira a far sì che l’ utente ricordi o sappia eseguire
una determinata tecnica, ma vuole che egli faccia proprie le conoscenze acquisite per poter mutare il rapporto con la
malattia.
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“Dalla Formazione all’Organizzazione – dalla teoria alla pratica”
“Curare o prendersi cura”
Per coinvolgere attivamente l’ interessato, l’ insegnamento deve essere più pratico e meno teorico, centrato sulle
esperienze precedenti che devono essere riconsiderate per aiutarlo a costruire riflessioni, analisi, comprensione e
soluzione dei problemi posti dalle nuove circostanze. Il miglior metodo per insegnare consiste nello stabilire un
dialogo con la persona per comprendere la sua realtà e conoscere le sue esperienze.
Serve molto tempo per l’ ascolto della persona, che va incoraggiata ad esprimersi, sia adottando un atteggiamento
disponibile, sia riformulando i concetti che esprime, adottando cioè la tecnica del “rispecchiamento”, per invitarlo a
chiarirli sempre meglio. Tutto il personale deve adottare un linguaggio semplice e facilmente comprensibile, anche
in base alle conoscenze della persona.
Questa educazione continua dovrebbe diventare la pietra angolare di tutta l’ attività terapeutica eseguita dal
personale.
Se ci poniamo in modo attento e critico nei confronti di quello che è l’ aspetto tradizionale dell’ educazione
dobbiamo cominciare la nostra riflessione partendo dal significato intrinseco del vocabolo…
Educare deriva dal latino educare, composto da ex+ducere e quindi “trarre fuori” o “condurre”.
Il suo scopo, a differenza dell’ insegnare, non mira ad impartire rigidamente delle conoscenze o competenze, ma
vuole guidare e formare l’ utente sviluppando ed affinando le facoltà e le qualità insite nella persona.
Agendo in questo modo dovremmo riuscire a valorizzare le potenzialità stesse del cliente con la consapevolezza che
andremo a stimolare una risorsa propria, che potrà tornargli utile anche in altri momenti. Dovremo coinvolgere la
persona nel processo affinché produca un cambiamento sostanziale ed utile alla condizione preesistente.
Standogli accanto garantiremo gli strumenti necessari perché possa promuovere il cambiamento nella sua esistenza,
tramite un percorso di apprendimento autonomo ed autodiretto. Garantire l’autonomia alla persona, un obiettivo
complesso, forse ambizioso, ma fattibile e raggiungibile da parte di un professionista disposto a immergersi nel
ruolo del facilitatore, canalizzando nella giusta direzione gli strumenti del cliente e resistendo alla tentazione di
aiutare la persona, rischiando così di mettersi al centro del processo.
Quando ci approcciamo ad educare un utente in questi termini, i tempi possono essere più o meno lunghi e l’
impegno da parte nostra sarà sicuramente maggiore, ma saremo consapevoli che il ritorno sarà più alto e sarà dato
dalle gratificazioni di vedere nell’ altro un risultato profondo e stabile e di aver arricchito una persona con una
risorsa in più, che potrà tornargli utile nei momenti di bisogno. La persona, infatti, avrà fiducia nei propri mezzi e
strumenti e diventerà supporto di se stesso.
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