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La personalità dell`atleta vincente
La personalità dell’atleta vincente Pietro Delfini Considerazioni preliminari Per inquadrare l’argomento, mi sembra opportuno riferirmi ad alcune delle conclusioni del capitolo “Personality and the atlete” di Auweele,Y.V., Nys, K., Rzewnicki, Van Mele, V. 1 del Manuale di Psicologia applicata allo Sport, a cura di Singer, Hausemblas e Janelle: La velleità di predire il successo nello sport in modo sempre più accurato è stato il Almeno fino al 1980, la supposizione di predire il successo nello sport era sostenuta (principalmente da principale motivo che ha parte di psicoanalisti e psichiatri) dal fatto che gli incentivato studi e ricerche sportivi di successo sembravano dimostrare un profilo sulla personalità negli sport. di personalità che differiva da quello degli altri sportivi e il profilo della personalità di successo comprendeva, con una certa approssimazione: l’integrazione sociale, la stabilità emotiva, l’ambizione, la capacità di imporsi, la responsabilità, la leadership, la selfconfidence 2, la persistenza (capacità di impegnarsi a lungo, di seguire programmi di preparazione a lunga scadenza) e il livello di ansia. D’altra parte gli psicologi si dimostravano scettici e minimizzavano la rilevanza delle informazioni sulla personalità nel predire il successo nello sport, anche perché non veniva mai fornita una incontestabile evidenza scientifica a dimostrazione dell’esistenza di una relazione certa tra caratteristiche di personalità e successo nello sport, anzi, la maggior parte delle ricerche si dimostrava del tutto carente sotto il profilo metodologico. 1 Singer, R.N:, Hausenblas, H.A., Janelle, C. M., 2001, Handbook of sport psychology, John Wiley & Sons, New York. 2 Negli sportivi la self-confidence indica la fiducia nelle proprie capacità tecnico-tattiche piuttosto che una generica fiducia in se stesso o autostima. 1 Quando invece gli studi erano garantiti da un solido supporto metodologico, l’approccio basato sui tratti di personalità si era dimostrato del tutto insufficiente e gli psicologi della personalità non avevano potuto ottenere migliore successo nel predire il comportamento, specialmente nelle complesse situazioni di gara. La ragione principale risiede nell’uso di strumenti d’indagine come i questionari (basati sull’autodescrizione), che hanno dimostrato un coefficiente medio di validità di circa .30, che riesce a spiegare soltanto il 10% della varianza dei comportamenti rilevanti (ibidem). Questa considerazione ha indotto i ricercatori a maggiore cautela e rigore metodologico e li ha orientati verso approcci più precisi per predire il comportamento agonistico e la performance in particolare. Ciò significa: “specificare le condizioni in base alle quali la misura dei tratti può rimanere utile (alcune persone Per validare i costrutti di personalità nelle situazioni possono essere sportive si preferisce, attualmente, basarsi su tecniche oggetto di previsione; di rilevazioni multivariate; il che implica considerare la soltanto alcuni tratti personalità come un processo in evoluzione, piuttosto possono essere utili; che il risultato di tratti statici difficilmente modificabili. soltanto in situazioni con basso livello di conflittualità o con una debole pressione al conformismo); sviluppare una definizione più accurata delle variabili dell’interazione (ad es.: interazione tra organismi, dinamica o statistica); dover utilizzare nuove e più sofisticate tecniche come meta-analisi e modellamento di un’equazione strutturale; esaminare la combinazione di dati psicologici, fisiologici, antropometrici e relativi ad abilità visuomotorie, nel contesto di progetti di ricerca multidimensionali e di ampio respiro, nel tentativo di spiegare una più ampia porzione della varianza comportamentale.” (ibidem). In sostanza la ricerca ha incominciato a muoversi su percorsi più attinenti all’indagine scientifica, anche per l’esigenza di poter individuare degli strumenti che potessero 2 essere predittivi soprattutto allo scopo di indirizzare al meglio il mental training e il counseling. Ad esempio Magnusson & Toerestad (1993, ibidem, p. 262).) affermano che “per una piena comprensione di come gli individui pensano, provano sensazioni, agiscono, reagiscono agli altri, la teoria della personalità deve inglobare conoscenze provenienti da ricerche effettuate in diverse aree, incluse quelle della percezione, della cognizione, dell’emozione, dei valori e degli obiettivi da raggiungere”. In altri termini, le teorie della personalità, potevano dimostrarsi idonee a comprendere le ragioni dei comportamenti del singolo, ma, da sole, non riuscivano a predire con sufficiente approssimazione i suoi futuri comportamenti. 3 Le principali caratteristiche (abilità) psichiche Daniel Gould & Kristen Dieffenbach 3 hanno pubblicato, sull’International Journal of Sport Psychology, uno studio effettuato su 32 atleti americani vincitori di medaglie olimpiche, allo scopo di esaminare quali fossero , in atleti “vincenti”, le principali caratteristiche psichiche e il loro sviluppo. Furono altresì intervistati 10 loro allenatori e 10 genitori od altre figure significative. I risultati dello studio hanno mostrato che gli atleti si caratterizzavano per: 1. Coping (abilità di fronteggiare e controllare l’ansia) 2. Confidence (fiducia nelle proprie capacità di fornire una prestazione ottimale) 3. Menthal toughness / resiliency (tenacia, ostinazione / elasticità, capacità di ricupero) 4. Sport intelligence 5. Ability to focus and block out distractions 6. Competitiviness 7. Hard-work ethics = etica del lavorare duramente e del sacrificio 8. Ability to set and achieve goals = stabilire e raggiungere gli obiettivi 9. Coachability (disponibilità a farsi allenare) 10. Adaptative perfectiomism = perfezionismo adattativo (non fine a se stesso). 11. High level of dispositional hope = alto livello di speranza basato su una sensazione Non appare sostenibile di essere in grado di eseguire prestazioni di affermare l’esistenza successo seguendo le procedure note. dell’unico set di caratteristiche individuate da Gould e 12. Optimism Dieffenbach e che siano Gli autori si rendono conto che il loro è uno 4 studio nomotetico e, quindi, mentre tutti gli atleti erano caratterizzati da un gran numero delle comuni a tutti gli atleti di alto livello, praticanti tutti gli sport. abilità sopraelencate, neppure uno le possedeva tutte quante. 3 Gould, D., Dieffenbach, K., 2002, Psychological characteristic and their development in Olympic champions, International Journal of sport Psychology, 14: 172 -174. 4 Ossia diretto allo studio delle leggi generali che (come nel nostro caso) regolano il comportamento; in genere il termine nomotetico è usato in contrapposizione a idiografico. 4 C’è anche da considerare che ogni soggetto rappresenta un caso singolo per la modalità secondo la quale i diversi fattori si sono combinati per realizzare il suo sviluppo. Si deve poi sottolineare il fatto che, oltre all’incidenza di tutti i fattori presi in esame, prerogativa degli atleti è di impegnarsi a combattere e superare le avversità per il raggiungimento dell’obiettivo (realizzazione della migliore performance). In altri termini, alla riuscita sportiva concorrono sicuramente i suddetti fattori incidenti, ma può essere altrettanto determinante il livello di motivazione, di impegno e di grinta con cui viene affrontata la pratica di quel dato sport, nell’ambito di uno sviluppo di carriera pluriennale. Mario Gulinelli nella Rubrica “Trainer’s digest” della rivista della Scuola dello Sport - Rivista di cultura sportiva , riferisce i dati contenuti nell’opera collettanea di Hagemann, Tietjens e Strauss 5, secondo i quali gli atleti si debbono allenare intensivamente per almeno dieci anni prima di essere in grado di fornire prestazioni di livello internazionale 6. Tutto sommato, dunque, si può considerare che lo sviluppo di queste caratteristiche psicologiche possono fornire un piccolo barlume per la scoperta di tutti i fattori che concorrono per la completa identificazione della I dati della ricerca psicologica psicologia dell’atleta vincente. suggeriscono che lo sviluppo Pertanto sarà soltanto attraverso un processo a delle caratteristiche psichiche va inteso come un complesso lungo termine che si potranno costruire i presupposti sistema composto da una per il raggiungimento del successo. varietà di fattori influenti. Tale processo coinvolgerà necessariamente sia gli atleti di talento che un sistema di supporto fortemente organizzato comprendente: • il sistema sociale e culturale improntato ad uno stile di vita attivo in cui l’atleta trovi riferimento e sostegno; • la famiglia • lo sviluppo individuale • il personale di supporto all’attività sportiva • lo staff sportivo 5 Hagemann, N., Tietjens, M., e Strass, B., 2007, Psigologie der sportlichen Höchstleistung, Gottinga, Hogrefe. 6 Gulinelli, M., La psicologia della grande prestazione sportiva, SdS, XXVII,2008, 78, 11 – 12. 5 • il processo sportivo (competizione, natura dello sport, programmazione / organizzazione dello sport, allenamento, avversità connesse allo sport) (Gould e Dieffenbach, cit. pp. !88 -199). Ma andiamo ad esaminare più nel dettaglio cosa si intende per ognuna delle caratteristiche che Gould e Dieffenbach hanno evidenziato nella loro ricerca, pur nella consapevolezza dei limiti metodologici della medesima (esiguo numero di soggetti, ad esempio), anche usufruendo delle definizioni di Ellis Cashmore 7: 1. Abilità diCoping (fronteggiare e controllare l’ansia): “un programma deliberato, razionalmente pianificato per fronteggiare le persone e le circostanze che altrimenti potrebbero far insorgere ansia e stress” (Cashmore, p. 45). 2. Confidence (fiducia nelle proprie capacità di fornire una prestazione ottimale): è “un attributo posseduto dai soggetti che credono nelle proprie abilità e capacità di giudizio, che sono sicuri di sé e affidabili e forse, all’occasione, intraprendenti” (Cashmore, p. 72). 3. Menthal toughness/resiliency (tenacia, ostinazione / elasticità, capacità di ricupero) (comprende anche la stàmina )8: “Menthal toughness descrive un’insieme di qualità che comprendono un insolito elevato livello di risolutezza, un rifiuto di essere intimidito, un’abilità a rimanere concentrato in situazioni ad alto livello di pressione, una capacità di mantenere un ottimale livello di arousal nel corso della competizione, un’incrollabile propensione alla competizione anche in caso di infortunio, un’attitudine a non arrendersi una volta battuto, una propensione al rischio quando gli avversari si mostrano indecisi e un’inflessibile, forse ostinata insistenza a portare a termine la competizione piuttosto che dichiararsi battuti” (Cashmore, p. 166 - 167). 4. Sport intelligence (Intelligenza sportiva): lo psicologo Robert Sternberg la definisce come “l’abilità a trovare il significato, e la relativa funzione di adattamento, alle situazioni in cui uno si trova ad operare” (Cashmore, p. 145). 7 Cashmore, E., 2002, Sport psychology – the key concepts, Routledge, London. Stàmina è un termine che secondo Hornby, A.S., 1974, Oxford Dictionery, Oxford University Press, Oxford, sta ad indicare: “vigore, energia, capacità di una persona o di un animale di lavorare indefessamente per un lungo periodo, di sopravvivere ad una malattia, di rimanere esposto (alle condizioni ambientali alle avversità), etc. In senso figurato può anche indicare menthal toghness e forza morale”. Secondo Kent, M., 1994, Oxford Dictionery of Sport Sciente and Medicine, Oxford University Press, Oxford, sta semplicemente ad indicare: “capacità di resistere, endurance”. 8 6 5. Ability to focus and block out distractions (abilità a concentrarsi e tenere fuori le distrazioni): l’abilità di “concentrare l’attenzione auditiva / visiva, o attenzione focale, per mettere in atto gli aspetti selettivi dell’attenzione che gli atleti impiegano in gara” (p. 117) e in allenamento. 6. Competitiviness l’insieme delle caratteristiche che consentono di impegnarsi a fondo per il raggiungimento del successo. Va tenuto presente che la competizione sportiva, nell’odierna accezione, “implica la contrapposizione tra due o più parti per raggiungere il medesimo obiettivo e l’ineluttabile fallimento di una o più parti …. la sconfitta non è sinonimo di fallimento: è uno degli innumerevoli criteri da usare per valutare l’esperienza della gara” (Cashmore, p. 68) 9. 7. Hard-work ethics (etica del lavorare duramente): diretta discendente della Riforma Protestante 10 che aveva promosso ogni forma di individualismo, con particolare riferimento alla piena realizzazione di sé, attraverso l’esaltazione dei valori dell’impresa, del lavoro e del sacrificio per il miglioramento personale (Cashmore, p. 3). 8. Ability to set and achieve goals (abilità nello stabilire e raggiungere gli obiettivi 11 ). 9. Coachability (disponibilità a farsi allenare). In altri termini, è la capacità di “mettersi nelle mani dell’allenatore” accettando e condividendo: a) gli obiettivi intermedi (in vista delle finalità complessive), b) i piani di allenamento individuati e c) i mezzi (quantità, frequenze, procedure) di allenamento. 10. Perfezionismo adattativo (non fine a se stesso o non coattivo): dipende dal livello di commitment 12: una focalizzazione su obiettivi specifici che escludono altri interessi che possano distrarre, che “non coincide con la monomania Il perfezionismo adattativo si basa sulla sensazione della necessità dell’impegno personale e della reiterazione di procedure in concomitanza di sostanziali (un’inflessibile fissazione su una cosa cambiamenti evolutivi, personali, soltanto), ma un orientamento ambientali, sociali e culturali in senso lato. 9 v. “il valore della vittoria” nel capitolo sulla motivazione del corso di Psicologia. Si veda anche: Weber, M., 1970, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Sansoni, Firenze. 11 ambiziosi ma realizzabili. 12 Il termine secondo Cashmore (p. 65) indica un impegno o un coinvolgimento che restringe la libertà d’azione in altri campi. 10 7 adattativo che permette all’atleta di conseguire gli obiettivi connessi al compito, anche senza l’esclusione di altre mete potenzialmente raggiungibili” (Cashmore, p. 66). Si pensi alla necessità della continua ripetizione di gesti, movimenti, fondamentali tecnici, ma anche di situazioni tattiche, ai fini del loro perfezionamento; si pensi anche alla necessità dell’ organizzazione di routine di tempi di allenamento, spesso inseriti in programmazioni pluriennali, che implichino anche il dover tenere conto dell’evoluzione, della maturazione e dello sviluppo complessivo dell’atleta, nel corso della sua carriera sportiva e oltre. 11. High level of dispositional hope (alto livello di disposizione alla speranza): è uno stato psicologico che differisce dalla confidence (più ancorata a una realistica consapevolezza delle proprie capacità tecnico – tattiche e fisiche) e che confina con l’ottimismo. Si definisce come la sensazione individuale di essere in grado di eseguire prestazioni di successo seguendo un percorso già individuato come capace di condurre alla meta. 12. Otptimism (ottimismo): Martin Seligman 13 inquadra il concetto di ottimismo, a partire dal particolare stile esplicativo degli eventi esterni. Infatti, in forza della Teoria dello Stile di Attribuzione causale (TSA) elaborata nel 1960 da Bernard Weiner ( v. tabella) della California University, secondo il quale, per la spiegazione delle cause degli eventi esterni in base alle quali gli individui hanno successo o falliscono, “l’elemento determinante è il modo in cui gli individui pensano alle cause del successo o del fallimento” (Seligman, p. 46). Weiner aveva ipotizzato che gli individui interpretassero la realtà circostante secondo due dimensioni: un locus of control (interno od esterno) e la stabilità (dall’instabilità alla stabilità). 13 Seligman, M.E.P., 1996, Imparare l’ottimismo, Giunti, Firenze. 8 Locus of control Interno Stabile Esterno Abilità Difficoltà del compito Sforzo Fortuna Stabilità Instabile Per la TSA il comportamento umano non è regolato “da uno schema di rinforzo fornito dall’ambiente, ma da uno stato Seligman ha sviluppato la TSA interessandosi, più che alla singola spiegazione addotta a spiegare un mentale interno: il modo in cui gli singolo evento (di fallimento), alle individui spiegano le cause degli eventi abitudini ossia allo stile esplicativo: cioè esterni” (Seligman, p. 47). al modo personale e abituale di spiegare gli eventi secondo tre dimensioni: spaziale (tratti, abilità, umori, sforzi), temporale (sempre, talvolta, mai, ultimamente) e personale (interno o esterno). a) il pessimista ragiona classificando gli eventi positivi attribuendoli a cause specifiche e transitorie come umori, sforzi, talvolta ed esterne a sé (“stavolta ho avuto un colpo di fortuna”, “perché questa volta ho potuto allenarmi con molta intensità e frequenza”, “il mio avversario ha accusato una inspiegabile defaiance”) e quelli negativi in termini di sempre e mai, come elementi costanti e attribuendosene la colpa (cause interne): “le mie caratteristiche non sono adeguate alla performance richiesta”, “le diete con me non funzionano mai”, “sono una schiappa”, “sono insicuro”; b) l’ottimista, invece, lo fa attribuendo gli eventi positivi a cause permanenti, universali ossia in termine di tratti, di abilità possedute, sempre e attribuendosene il merito (ho talento, nei momenti decisivi riesco sempre a dare il meglio di me, sono sempre fortunato) e quelli negativi a cause temporanee e 9 specifiche e in termini di talvolta e ultimamente, qualificandoli con aggettivi e attribuendone la colpa a cause esterne (questa volta non mi ero allenato bene, a volte capita che i giudici sbaglino un verdetto, quell’arbitro è stato ingiusto con me, sono sfortunato quando piove). Seligman (cit., p. 188 -189) al termine del capitolo che illustra le notevoli esperienze condotte con atleti di altissimo livello degli Usa, negli anni ’80, distilla un condensato in pillole, una sorta di vademecum che ogni allenatore dovrebbe possedere, almeno in ordine alla valutazione del livello di riuscita dei propri atleti: 1. L’ottimismo non è un fattore che si può intuire: può essere misurato (tramite un questionario specifico, elaborato da Seligman). Può predire il successo in maniera più accurata del giudizio dell’allenatore o degli allibratori. 2. L’ ottimismo è un criterio di valutazione che può aiutare a scegliere gli atleti da impegnare nella competizione: ad esempio, è preferibile sostituire un atleta pessimista, specie se ha subito una sconfitta in una precedente gara. L’atleta pessimista va impiegato solo dopo che ha vinto l’ultima gara. 3. A parità di condizioni tecnico tattiche, l’atleta ottimista darà maggiori garanzie di riuscita, soprattutto in prospettiva, a lunga scadenza. 4. L’ ottimismo può essere insegnato a partire dalla considerazione: a. delle Avversità b. delle Credenze (il modo in cui tali eventi vengono razionalmente interpretati), c. delle Conseguenze (i sentimenti suscitati e le azioni conseguentemente intraprese). Ovvero, identificando le ABC (Avversità, Credenza 14, Conseguenza) In altri termini, Seligman individua la strategia per modificare gli atteggiamenti pessimistici. Invita a prendere in esame i quotidiani anche piccoli eventi negativi che si verificano nella vita delle persone. Essi (avversità) “mettono in evidenza le loro credenze, le spiegazioni e le interpretazioni” 15, infatti, di fronte ad una avversità, 14 15 In inglese: adversity, belief, consequence, dalle cui iniziali è composto l’acronimo ABC. Seligman (cit. p. 289) 10 solitamente si tenta di trovare l’elemento scatenante, la causa del fenomeno, sulla base delle proprie convinzioni o stile esplicativo. La spiegazione ha la conseguenza di influenzare il corso successivo degli eventi, a seconda dello stile esplicativo utilizzato. Se lo stile esplicativo fa riferimento 16 ad aspetti personali, permanenti e pervasivi (del tipo: “la colpa è mia”, “non faccio mai nulla di buono”, “influirà su ogni mia azione”) l’atteggiamento conseguente sarà inevitabilmente di fuga, di rinuncia, di passività, come di fronte ad un ineluttabile destino avverso. Se, invece, fa riferimento a cause temporanee e specifiche e in termini di talvolta e ultimamente, qualificandole con aggettivi e attribuendone la colpa a cause esterne (“questa volta non ero proprio in forma”,” a volte i giudici sbagliano”, “sono sfortunato quando gareggio di mattina”), la conseguenza sarà un atteggiamento improntato all’iniziativa, all’attività, alla voglia di misurarsi, come per dimostrare di essere più forte delle avversità contingenti e che il contrattempo aveva carattere episodico. Le ABC vengono poi integrate dalle DE (Discussione ed Energizzazione). La Discussione efficace è basata su quattro modalità: 1. Prove 2. Alternative 3. Implicazioni 4. Utilità 1. Prove: si può dimostrare che la spiegazione negativa è scorretta, di entità non rilevante, non definitiva. La tecnica più efficace è cercare di provare le incongruenze e le esagerazioni delle spiegazioni catastrofiche. “L’ottimismo appreso non funziona attraverso una positività ingiustificata verso il mondo, ma attraverso il potere del pensiero non negativo” 17. 2. Alternative: si può sempre mettere in evidenza che nessun accadimento è determinato da una singola causa. Se un ginnasta ha ottenuto uno scarso punteggio è possibile che ciò sia dovuto ad altre cause, ad una pluralità di 16 17 v. sopra. Ibidem, p. 251. 11 fattori (difficoltà dell’esercizio, tempo di addestramento, capacità personale, valutazione errata della giuria, prestazioni superiori degli altri atleti). Il pessimista è solito attaccarsi pervicacemente alla causa più negativa: quella più permanente, più pervasiva e più personale. 3. Implicazioni: è possibile che la spiegazione addotta sia sostanzialmente corretta. In tal caso, bisogna chiedersi quali sono le possibili implicazioni, evitando, in ogni caso, le catastrofizzazioni. Ad esempio, il ginnasta di prima che adducesse il motivo di una non adeguata capacità tecnica, non significherebbe che non potrebbe migliorarla, o far valere le proprie doti in altri esercizi. 4. Utilità: di fronte alla considerazione di una causa negativa (ad esempio, un’ingiustizia), invece di soffermarsi a pensare ad essa e al turbamento che provoca, è più opportuno chiedersi che cosa se ne ricava di utile ( “mi conviene, ora, pensare se è giusto così?” “risponde al vero?”). Questa tecnica, alternativa alla discussione vera e propria è definita “Distrazione”. Quando l’emergenza incombe o è necessario agire subito, la “Distrazione” sembra la tecnica più opportuna. Conviene, allora, imporsi uno stop, anche tramite un gesto concreto o la parola pronunciata con decisione, e riservarsi di affrontare l’argomento in altro momento. Altra tecnica: se la causa negativa è vera, si possono cercare tutte le possibili soluzioni per cambiarla nel futuro. L’Energizzazione È la risultante della discussione. Questa ha l’effetto di smontare le credenze negative e le “leggende metropolitane” e, pur non cambiando la sostanza dell’avversità che si è verificata, opererà una ristrutturazione cognitiva, per cui l’avversità viene posta sotto una diversa luce. Essa, infatti, perde il carattere personale, permanente e pervasivo che la faceva considerare una catastrofe irreversibile, per collocarla in una prospettiva di miglioramento con un atteggiamento improntato all’iniziativa, all’attività, alla voglia di misurarsi e competere, se non altro per riparare il danno. 12 Il Performance Profile (profilo di prestazione) Piuttosto che l’individuazione delle sole caratteristiche psichiche influenti sulla prestazione, trova una sempre maggiore considerazione un approccio integrato che tenga conto, insieme a queste, di quelle Non ha senso cercare di individuare il tipo psicologico più adatto ad un determinato sport. Ogni atleta, infatti, è un “tipo” unico (e non solo dal punto di vista psicologico): è diverso da tutti gli altri e ognuno utilizza le proprie caratteristiche di personalità e modalità di risoluzione dei problemi per realizzare la sua massima performance. fisiche (forza, resistenza, scioltezza, forma, rapidità, destrezza, agilità, potenza, esplosività), tecniche (specifiche di ogni singolo sport), di coordinazione (equilibrio, tempi di reazione, coordinazione oculo manuale e intersegmentaria, ritmo, scorrevolezza) e strategiche (pianificazione, tattica, goal setting, coping). Risulta più proficuo, allora, definire il performance profile, il profilo della prestazione 18, per determinare quali siano le capacità mentali o cognitive (quali e in che misura), insieme alle caratteristiche fisiche, tecniche e tattiche, necessarie per il raggiungimento della massima performance in un dato sport e quali, quindi, quelle da incrementare nel singolo atleta. “La tecnica del Performance Profiling permette di esplorare e di mettere in rilievo la prospettiva dell’atleta, di condividerla con l’allenatore e di accrescere la consapevolezza dell’atleta” 19. Il Performance Profile si costruisce attraverso una procedura abbastanza semplice, che può essere articolata in tre fasi 20: 1 - Presentazione all’atleta o agli atleti dell’idea di costruire insieme uno strumento capace di evidenziare le sue (o loro) percezioni attuali rispetto allo stato di forma o alla preparazione in vista dell’impegno agonistico. 18 v. Butler, R.J., 1998, (ed. italiana a cura di Bellotti, P. e Pirritano, M.), Psicologia e attività sportiva, Il Pensiero Scientifico, Roma. 19 Pirritano, M. La valutazione delle determinanti psicologiche della prestazione, in: SdS – Rivista di cultura sportiva, XXIV, 2005, 67, 57 – 60, Roma. 20 Butler, R.J., Hardy L., Il profilo della prestazione: teoria e applicazioni, The Sport Psychologist,1995, 6, 253 - 264, (ed. italiana a cura di Pirritano, M.), in: Scuolainforma – Speciale Psicologia per lo sport - Supplemento a SdS - Rivista di cultura sportiva, XVI, 1997, 40, 21 – 27, Roma. 13 L’atleta è reso consapevole che non ci sono risposte giuste o sbagliate a priori, ma la costruzione del suo profilo di prestazione ha lo scopo di mettere in evidenza ciò che per lui (o loro) è importante sia per migliorare la propria consapevolezza che per indirizzare meglio, tramite un’aperta discussione con l’allenatore, le aree su cui sarebbe più proficuo insistere. 2 – Attraverso una sorta di brainstorming con i membri della squadra o dei partecipanti ad un raduno (se si tratta di uno sport individuale), si “elicitano i costrutti” (le caratteristiche di un atleta di élite che pratichi il loro sport). Essenzialmente, al gruppo viene posta questa domanda. – Secondo la vostra opinione quali sono le qualità o le caratteristiche di un atleta di élite che pratichi il vostro sport? – Attraverso una opportuna conduzione del gruppo, generalmente si ottiene un ampio range di qualità che vengono poi mostrate all’intera squadra. Il compito di ciascun atleta sarà poi quello di attribuire un punteggio a ciascuna qualità in base alla rilevanza per il proprio sport. 3 – Rispetto ad ogni costrutto elicitato ogni soggetto si attribuisce un punteggio, (generalmente da 1 a 10) che rappresenti la valutazione del proprio livello attuale per ciascuna caratteristica, rispetto al valore ottimale (quale è quello dall’atleta di élite). Generalmente i costrutti elicitati vengono raccolti in quattro categorie: fisiche, tecniche, attitudinali specifiche e psicologiche. 14 Si pongono così a confronto le valutazioni tra i costrutti ideali (prestazione dell’ipotetico atleta di élite) e quelli individuali. Naturalmente, dove si verificano le maggiori discrepanze c’è l’indicazione, per l’allenatore e per l’atleta, per un intervento mirato. Il Performance Profile è dunque uno strumento flessibile, che consente di mettere anche a confronto la valutazione che l’atleta dà non solo delle proprie caratteristiche rispetto ad un modello, ma anche di due diverse prestazioni (ad esempio quella attuale e la migliore degli ultimi dodici mesi oppure quella ideale o quella ritenuta tale dal suo allenatore). Butler (cit. p. 9) considera, infatti, che “atleta e allenatore vedono in modo diverso la prestazione: un atleta, in genere, considera l’evento dall’interno: il tipo di andatura, la mancanza di fiato, la perdita del ritmo, la temperatura corporea, la tenuta della superficie sotto i piedi, gli indizi di crampi, la velocità della palla, un dolore alla spalla, uscire di misura, piegarsi all’indietro e così via. ….. 15 al contrario, un allenatore di solito osserva dall’esterno. La gamba sinistra che si trascina, l’essere fuori di posizione, l’aver alzato la testa al contatto, incespicare tra gli ostacoli, non anticipare, attaccare precipitosamente, e così via.” (ibidem, p. 9). Inoltre l’atleta di solito attribuisce il verificarsi di una scadente prestazione “ad eventi che non ricadono sotto il suo controllo e che di solito sono esterni a lui. Così, decisioni avverse dell’arbitro, una sconfitta subita da un avversario più in forma quel giorno, Anche durante l’allenamento si può condizioni difficili o la mala sorte, tutto ciò che verificare che atleta ed allenatore abbiano può fornire la giustificazione per una idee non coincidenti: in tal caso la esibizione modesta. … costruzione del profilo di prestazione può invece l’allenatore attribuisce di solito una prestazione al di sotto della media “ a aiutare ad aumentare la reciproca consapevolezza e a riconoscere l’importanza del punto di vista dell’atleta. circostanze che ricadono entro la sfera di controllo dell’atleta, come ad esempio la mancanza di impegno, uno scarso stato di forma, o non aver seguito le fasi di un programma predeterminato” (ibidem, p. 9 – 10) o una scarsa concentrazione. 16 Pensare positivo “L’atleta deve imparare che la mente è qualcosa che serve per pensare e non solo per preoccuparsi.” 21 R. V. Ganslen Nelle situazioni a forte impatto emotivo, come gare sportive, esami, conferenze, riprese televisive, esibizioni in pubblico, è normale che si innalzi il livello di attivazione emozionale. 22 È una sorta di “riscaldamento mentale”. Oltre che normale il fenomeno, entro Mette nelle condizioni di “readiness” certi limiti, è anche auspicabile, (prontezza) che consente, facendo appello a perché, in tal modo, vengono tutte le risorse disponibili, di rispondere al mobilitate le risorse psichiche, creando un positivo stato di allerta che diventa funzionale per affrontare l’emergenza. meglio di fronte alle evenienze che possono anche rivestire carattere di novità e possono anche essere impreviste e imprevedibili. È perciò legittimo che, nell’imminenza di una gara, insorgano preoccupazioni, ansie, timori e paure, ma è del tutto controproducente lasciarsi catturare da tali emozioni e lasciare che esse “montino” come panna fino a diventare “pánico”: una sorta di nebbia lattiginosa che ci avvolge e ci impedisce di approntare soluzioni razionali al problema, che non ci permette di affrontare l’emergenza facendo ricorso alle proprie capacità e che prospetta, come unica possibile soluzione alla situazione divenuta insostenibile, una fuga indecorosa e precipitosa o una resa senza condizioni. Ma il panico non è conseguenza di passate paure, bensì di aspettative di eventi sconosciuti, e perciò minacciosi, i quali innescano reazioni emotive, incontrollate, che si autoalimentano e provocano l’effetto paradossale della mente che si intrappola da sola. Ancora una volta non è il passato, che non si può cambiare, che determina il comportamento, ma il futuro o, meglio, le aspettative di ciò che può avvenire perché “chi soffre di attacchi di panico ha paura di ciò che può accadere, non di ciò che è accaduto” 23. 21 in: Butler, R.J., Psicologia e attività sportiva, cit., p. 77. Si veda: capitolo sull’arousal (attivazione). 23 Nardone, G., 2005, Non c’è notte che non veda il giorno”, TEA, Milano, p. 17. 22 17 Caratteristica dell’atleta di successo è invece di mettere da parte, scotomizzare, i pensieri negativi 24 e di pensare positivo cioè concentrarsi sugli aspetti rilevanti del problema e visualizzare le fasi delle azioni imminenti, per cercare le soluzioni possibili. Un pugile della nazionale italiana una volta, mentre provavamo tecniche di concentrazione e di visualizzazione delle situazioni e delle azioni da compiere sul ring, mi riferì: “ma nello spogliatoio il maestro mi dice di non pensare all’incontro!” . La risposta, ovvia: “il maestro ha ragione!”. La non altrettanto ovvia (per il pugile) spiegazione: “perché il maestro si riferisce ai pensieri negativi, alle preoccupazioni che inevitabilmente ti assalgono nell’imminenza del combattimento. Tu, invece, devi pensare al combattimento, nel senso che devi concentrarti (e in tal modo metti da parte i pensieri negativi) sulle azioni che sei capace di fare e che farai sul ring, sulle sensazioni provate in quel precedente incontro in cui ti sei espresso la massimo. (Come ti sentivi? Cosa provavi? Quali erano le tue sensazioni fisiche? Eri sciolto? Leggero? Ti sembrava di volare sul ring? I colpi partivano da soli? L’avversario si muoveva al rallentatore? Ti sentivi forte? E quale l’atteggiamento mentale? Eri sicuro? Determinato? Consapevole delle tue capacità?)”. Diego Armando Maradona fu intervistato, nell’imminenza dei campionati del mondo, poi vinti dall’Argentina, insieme a due altri grandi campioni di altre due nazioni. Uno dei due (se non ricordo male era Zinedine Zidane) disse che nel corso della stagione aveva subito diversi infortuni che avevano influito negativamente sul suo stato di forma e, quindi, si dichiarava molto dubbioso in ordine al fatto di poter giocare a un buon livello durante i campionati del mondo. L’altro atleta affermò era stremato, infatti era stato impegnato in modo eccessivo, sia per gli impegni internazionali della sua società che della nazionale di appartenenza, tale che attualmente si trovava in uno stato di forma pessimo. Maradona, invece, affermò che lui giocava quel campionato del mondo per dimostrare, ancora una volta, che era lui il migliore. 24 Come, ad esempio: “l’avversario è troppo forte”, “non mi sento per niente in forma”, “speriamo che l’impianto (la piscina, la palestra, il palazzetto) non sia agibile”, “e se il pullman degli avversari avesse avuto un incidente?”, etc. 18 Richard Butler 25 nel suo volumetto, non a caso sottotitolato Guida pratica per migliorare la prestazione, analizza per sommi capi, ma senza trascurare alcun elemento rilevante, ed identifica la strategia che a partire dall’identificazione dei pensieri negativi condurrà a sviluppare un pensiero positivo. Per Butler “i pensieri negativi possono essere definiti come l’altra faccia della fiducia … la fiducia è intesa sia come la convinzione dell’atleta che avrà successo in gara (autoefficacia), sia come certezza delle proprie capacità di intraprendere un compito (credere in sé). I pensieri negativi possono essere definiti come il contrario ….. Essi rappresentano una stima per difetto dell’efficacia e/o della capacità, che conduce ad un’anticipazione di fallimento” 26. L’identificazione dei pensieri negativi rappresenta il primo passo che si sviluppa attraverso un dialogo con l’atleta nel corso del quale egli potrà riferire: - della sua ultima prestazione - degli interventi per apportare gli eventuali miglioramenti - come pensa di comportarsi nell’imminenza della prossima gara - e gli eventuali ostacoli che egli ritiene si possano frapporre nella realizzazione della sua migliore prestazione. In questa fase è fondamentale rilevare le modalità di espressione che indicano la presenza dei pensieri negativi (Butler, ibidem p. 79 - 80): 1. I non (es.: non alzare la spalla, non uscire di pedana, non restare sul colpo, etc.). Quando si pronuncia una frase come quelle esemplificate il focus dell’attenzione è posto sul corpo principale e viene invece come ignorato il non iniziale. 2. Le limitazioni che l’atleta s’impone nei riguardi delle prossime gare. Esprimono, in genere, dubbi sull’esistenza di condizioni favorevoli alla migliore prestazione (es.: difficilmente oggi potrò dare il massimo, su questa pista non è adatta alle mie caratteristiche, i giudici non sono ben disposti nei riguardi di atleti come me, etc.). 3. Le autosvalutazioni o percezione di propri punti deboli (es.: mi è difficile prendere il tempo all’avversario, la mia volée è spesso troppo lunga, rischio di fare di nuovo una falsa partenza, nei tackle mi capita di arrivare in ritardo, etc.). Le autosvalutazioni possono sortire l’effetto di mettere in ombra le abilità dell’atleta e i suoi punti di forza 25 26 in: Butler, R. J., Psicologia e attività sportiva, cit., pp. 77 - 86. in: Butler, J., Psicologia e attività sportiva, cit., pp. 77 - 78. 19 e prendere la configurazione (in negativo) di vere e proprie profezie che si autoadempiono. 4. Cosa accadrà se non… esprime la preoccupazione di non essere all’altezza. L’atleta continua a ripetersela, non per trovare una risposta (sa già che non c’è), ma per una sorta di coazione, che lo invischia in un loop negativo (es.: se non riesco a capire subito la direzione del vento?, se mi lascio prendere dalla paura che non riuscirò a portare a termine la gara?, se non entrerò in gara dall’inizio?, se l’avversario non mi fa uscire dall’angolo?, etc.). 5. Dubbi su di sé o sulle proprie capacità fisiche, tecniche, tattiche e psichiche (es.: trovo difficoltà a parare i tiri da fuori, il mio attacco spesso è contrato dall’avversario, quando sbaglio mi demoralizzo, etc.). 6. Deludere gli altri: è la sensazione che gli altri disapproveranno e saranno delusi dalla propria prestazione. È in primo piano il timore di essere criticato e disprezzato (es.: il mio allenatore ci contava, i giornalisti non aspettavano altro, ho dimostrato la mia scarsa personalità, etc.). 7. Altre preoccupazioni non contestuali alla gara. Riguardano i rapporti familiari e sociali, gli impegni scolastici e problemi occupazionali, che assediano la mente dell’atleta e gli impediscono di concentrarsi sullo sport. Gli effetti dei pensieri negativi “comprendono: • concentrazione inadeguata: attenzione agli errori; • profezie che si autoadempiono: si finisce per gareggiare nel modo previsto; • riproposizione continua del pensiero attraverso il rinforzo; • domande circolari; • giocare per non perdere: restringere la prestazione a livelli mediocri per evitare rischi; • cercare di compiacere gli altri piuttosto che focalizzarsi sulla prestazione; • stare in uno stato di tensione; • ridurre la fiducia nelle proprie capacità.“ (Butler, ibidem p. 81 - 86). 20 A questo punto Butler (ibidem p. 80 - 81) indica alcune modalità di intervento correlative alle sette identificate sopra, che indicavano la presenza di pensieri negativi, per sviluppare il pensiero positivo. Sviluppare il pensiero positivo 1. rispetto al Non: viene riformulata la frase che era al negativo, incoraggiando l’atleta a pensare quello che, invece, è opportuno fare (tieni la spalla in posizione normale, rilasciata, stai all’interno della pedana, fai seguire il primo colpo da altri, etc.). 2. rispetto alle Limitazioni: credere nel possibile. La prestazione va proposta come una sfida, piuttosto che un cammino obbligato irto di ostacoli. Il pensiero dell’atleta deve essere tutto concentrato su ogni aspetto necessario alla realizzazione della migliore performance. Deve, quindi, chiedersi quale è l’obiettivo finale, la meta sognata e quale quella possibile (si rammenti: obiettivi ambiziosi, il più possibile, purché realizzabili) ed infine cosa occorre per realizzarla: è una vera operazione di goal setting ossia una tecnica che prevede di fare una tabella di marcia, di prefissare l’obiettivo finale (a lungo termine), di frazionarlo in una lunga serie di altri obiettivi, che, a piccole tappe e attraverso mete intermedie, potranno condurre a quella finale. Una serie di continue battaglie (sfide) per vincere la guerra. Efficace può anche essere collocare i risultati ottenuti in una prospettiva di miglioramento o assumere il senso delle proporzioni, ponendosi domande del tipo “qual è la cosa peggiore che mi può accadere?”, “in una scala da 1 a 10 qual è la probabilità che si verifichi?” Un ragazzo timido, che esita a chiedere ad una ragazza un appuntamento, potrebbe considerare che la cosa peggiore che gli potrebbe accadere è che ella gli dica di no. 3. rispetto alle Autosvalutazioni: si devono considerare transitorie, appartenenti al passato (la mia volée spesso era troppo lunga, a volte facevo una falsa partenza). Vanno altresì considerati i possibili miglioramenti (quando mi sarò ben riscaldato entrerò in anticipo): un’altra modalità di affrontare le autosvalutazioni consiste nel metterle a confronto, considerarle effettuate da altri (allenatore, compagni di squadra, stampa, amici) invece che proprie. Forse l’atleta non sarebbe altrettanto benevolo e disponibile ad accettarle. 21 4. rispetto al Cosa accadrà se non…: sostituirlo con dunque se (cosa accadrà se l’avversario non mi farà uscire dall’angolo? Dunque se verrò chiuso all’angolo continuerò nella mia tattica di combattimento): ci si deve dare una strategia. 5. rispetto ai Dubbi su di sé: considerare il rovescio della medaglia (quando sbaglio mi demoralizzo. Non sto sbagliando, sto facendo delle finte) 6. rispetto al Deludere gli altri: essere giudice di se stesso. È impossibile controllare come gli altri pensano. Come la gente critica è una loro modalità, non la tua. Resta fondamentale eseguire la propria prestazione come va fatta e non come si pensa che gli altri vorrebbero che fosse eseguita. Cercare di compiacere gli altri distoglie la concentrazione dalla maniera corretta di farla. 7. rispetto alle Preoccupazioni: vanno messe da parte, impacchettate : non si può pensare di risolverle nell’imminenza della gara. Alcune semplici strategie contemplano di considerare tutti i pensieri negativi o le preoccupazioni, immaginarli, elencarli e, così come sono, rinchiuderli in una scatola (o in una valigia, in una borsa, in un cassetto)e lasciarceli fino alla fine della gara per poi, eventualmente, riconsiderarli in seguito. Infine, a conclusione del capitolo, Butler , a testimonianza del valore dell’ironia per allontanare i pensieri negativi cita alcune frasi di atleti famosi. Ne riporto un paio a titolo d’esempio: “Non accetto il giudizio di nessuno. Non mi sono ancora perfezionato.” (Sonny Liston) “ Se all’inizio non hai successo, riprova, riprova ancora, poi smetti. Sarebbe da stupidi non farlo.” (W. C. Fields) 22 Il flow Un atleta che riesce a indirizzare i suoi pensieri (concentrarsi) in positivo sarà sempre capace di fornire la sua migliore prestazione, starà nello stato di grazia (flow) 27 descritto da Csikszentmihalyi. Nello sport il flow è “uno stato mentale in cui la prestazione atletica sembra scorrere da sé, senza alcun indebito sforzo da parte dell’individuo, il quale prova una serie di sensazioni che, tutte combinate fra loro, producono il flow. Sotto molti aspetti l’esperienza riproduce fedelmente ciò che gli atleti definiscono essere in zona”.28 Molte sono le conditio sine qua non attraverso le quali è possibile sperimentare lo stato di flow. Csikszentmihalyi ne ha identificate ben nove 29: 1. un equilibrio tra la percezione del rischio e l’abilità dell’atleta; 2. fusione tra azione e consapevolezza, un senso di completezza o unione tra mente e corpo; 3. chiarezza dell’obiettivo che si vuole raggiungere, ossia ciò a cui ambisce è così esplicito che l’atleta può vedersi mentre lo sta realizzando nel corso di tutta la prestazione 30; 4. feedback di sensazioni chiare e precise dal proprio corpo e dalla medesima prestazione (e forse anche dall’allenatore e dal pubblico) che mette in grado l’atleta di monitorare continuamente lo sviluppo delle sue azioni; 5. concentrazione sul compito: lo stato di allerta, qui ed ora, è un aspetto cruciale e l’atleta deve essere capace di selezionare le risposte dall’ambiente; 6. senso di controllo: non viene effettuata nessuna forzatura da parte dell’atleta, che dovrebbe sperimentare una completa padronanza dei propri mezzi (confidence) e una sensazione di procedere senza sforzo nella sua azione; 27 Csikszentmihalyi, M,1990, Flow: the psychology of optimal experience, Harper & Row, New York 28 Cashmore, cit., p. 114. 29 Cashmore, cit., p. 115. 30 Un pugile mi ha riferito che nel corso di tutto il combattimento egli aveva “veduto” l’avversario che si muoveva al rallentatore e si era stupito del fatto che questi colpisse dove egli si trovava qualche secondo prima. Gente del pubblico, al contrario, si stupiva di come egli fosse riuscito a spostarsi “al millimetro” infinitesimali frazioni di secondo prima che l’avversario arrivasse a segno. 23 7. mancanza di autocoscienza: dubbi, critiche e giudizi non lo riguardano, non ospita pensieri negativi; 8. trasformazione nella percezione del tempo: distorsioni percettive accompagnano spesso gli stati di flow, come nei mezzofondisti che percepiscono una corsa di lunga durata conclusasi in un lampo o come nei tennisti che “vedono” al pallina come fosse un pallone da spiaggia; 9. esperienza autotelica: il flow è piacevole in sé ed è intrinsecamente riconoscibile dall’atleta. Apprendere a concentrarsi Ovviamente l’abilità a concentrarsi va appresa, allenata e perfezionata. È compito dello psicologo stabilire i metodi, le procedure, i mezzi e i tempi per la sua realizzazione. Si può procedere 31 insegnando preliminarmente una tecnica di rilassamento, che consenta di concentrarsi su segmenti del proprio corpo, come nel training autogeno (ma, nelle prassi dello sport, non si è rivelato necessario soffermarsi a considerare tutte le sequenze e gli esercizi in esso contemplati). Si può quindi passare alla visualizzazione 32 (che è una forma di concentrazione) di situazioni che si verificano immediatamente prima dell’evento agonistico, alternando Molti atleti di alto livello utilizzano forme più o meno raffinate di visualizzazione prima dell’evento agonistico (a volte, anche durante); sicuramente, non tutti hanno appreso tale tecnica da uno psicologo e alcuni l’hanno scoperta da soli. situazioni di focalizzazi one ristretta Gli psicologi hanno, però, sistematizzato l’impiego della tecnica, ad altre in avendo potuto verificarne le procedure, la successione delle differenti cui essa modalità (alternanza del focus attentivo da ristretto ad allargato) e la risulta più durata media dell’esercizio. allargata. 31 Come già accennato nel capitolo su Arousal Stress e Performance. La visualizzazione non è, ovviamente, l’unica modalità di concentrazione. Per quanto riguarda, però, l’esperienza personale, è quella più facile da insegnare e da apprendere da parte degli sportivi e anche quella più diffusa nella pratica. 32 24 Il vincitore della medaglia d’oro ai Giochi Olimpici invernali di Torino, Armin Zoeggler (oro anche a Salt Lake City, argento a Nagano e bronzo a Lillehammer), seduto nello slittino, in attesa del segnale di partenza, ha fatto precedere le sue discese dalla visualizzazione di tutta la pista di ghiaccio, curva dopo curva. Ripercorrendola con gli “occhi della mente”, ha accompagnato la visualizzazione aprendo, ad ali di aeroplano, le braccia che si inclinavano in curva, mimando gli spostamenti del baricentro (e rievocando le relative cinestesie) ottimali per l’assetto più idoneo al mantenimento della traiettoria più efficace, per sviluppare la massima velocità. Anche l’attore Tom Cruise (nel film “L’Ultimo Samurai”) dà una bella dimostrazione della tecnica dell’immagery cinestetica. Prima dell’ultimo duello di scherma con i bastoni, contro il samurai che lo aveva sempre battuto e umiliato nei precedenti incontri, immagina, cioè “visualizza” tutta la sequenza di azioni, conseguenti a quelle dell’avversario e in anticipo delle medesime, che avrebbe dovuto compiere subito dopo. Il risultato di parità, inaspettato, imprevedibile e conseguito contro il campione locale, gli fa guadagnare la considerazione e la stima dell’avversario e degli altri guerrieri. Nel film avviene tutto dopo una sola prova di visualizzazione. Nella realtà (più complessa) dello sport possono essere invece necessari anni di allenamento (come per le altre abilità tecniche) per raggiungere le capacità di nitida visualizzazione cinematica e cinestetica. Tornando sui nostri teatri, anzi sulle nostre piste d’atletica, ognuno di voi, assistendo ad una gara di salto in alto (o anche in lungo o con l’asta), avrà notato come il saltatore, in procinto di partire, compia con i piedi, ad occhi chiusi, una serie di “rullate”, spostando alternativamente il peso del corpo dall’arto che sta indietro a quello davanti, dai talloni fino alla punta dei piedi e come, dopo un certo numero di tali azioni, le accompagni con una serie di movimenti di assenso del capo (che stanno ad indicare il numero dei passi che dovrà compiere per arrivare all’asticella) e come, con uno slancio delle braccia verso l’avanti – alto, simuli l’impulso che il corpo riceverà dopo l’ultimo appoggio. Lo sforzo di visualizzazione delle azioni e la concentrazione sulle relative cinestesie e sensazioni 33 ottiene lo scopo di mettere da parte i pensieri negativi e, nello stesso tempo, di attivare le facoltà percettive dell’atleta, in una sorta di riscaldamento (worming-up) mentale. Viene anche richiesto all’atleta di rievocare sensazioni relative a recenti esperienze agonistiche molto positive e di esprimerle con due aggettivi uno relativo all’ambito fisico (sciolto, forte, veloce, resistente, etc.) e l’altro a quello più propriamente psichico (sicuro, determinato, consapevole, calmo, tranquillo, etc.). I due aggettivi saranno le parole chiave (trigger words) che dopo allenamento continuo potranno riuscire a innescare quelle sensazioni che esse indicano e potranno essere usate per autoindurre quegli stati d’animo, nei momenti immediatamente precedenti la gara, nelle brevi pause della stessa (a gioco fermo), prima di riprendere le ostilità. Allo stesso modo che la luce o il suono del campanello, nell’esperimento di Pavlov, provocavano l’emissione della risposta condizionata (salivazione). 33 L’atleta, oltre che “vedere” deve anche “sentire” il movimento. 25 Accanto all’utilizzo della visualizzazione sopra accennato 34 la metodica viene anche utilizzata per 35 : • affinare una tecnica • preparare la gara prosegue inserendo esercizi di • prevedere ogni eventualità visualizzazione di fasi dell’evento (compreso l’imprevedibile) agonistico in modo da attivare • anticipare mentalmente la L’allenamento alla concentrazione (caricare) maggiormente l’atleta. prestazione • superare problemi e difficoltà È prerequisito indispensabile per la riuscita che l’esercitazione di visualizzazione sia eseguita rispettando le condizioni richieste: 1. Una volta individuato l’oggetto della visualizzazione, è necessario farla precedere da una fase di rilassamento che “ incrementa la capacità dell’individuo di assorbire informazioni e trattenere idee nuove. Inoltre, l’atleta ha bisogno di sentirsi a proprio agio, chiudere gli occhi, regolare il rimo del respiro” (Butler, p. 121). 2. Va, successivamente, stimolata la percezione con tutti i sensi, in modo che siano esattamente configurati, nel complesso delle sensazioni che provocano, tutti i dettagli del contesto in cui prende corpo la scena od azione da visualizzare. 3. Si cerca, poi, di cogliere gli elementi significativi dell’esperienza come se la si stesse osservando con i propri occhi (prospettiva interna) o come se si vedesse se stesso in azione al medesimo modo che si guardasse un film (prospettiva esterna). 4. Ci si impegna, a questo punto, a sentire il movimento visualizzato, cioè attribuire alla sua immagine cinematica (la sequenza spaziale del gesto o dei movimenti, come verrebbero proiettati in un film) tutto l’insieme delle percezioni, delle sensazioni e delle emozioni, che accompagnano la sua evoluzione spaziale e ne fanno una rappresentazione cinestetica. In questa 34 Si veda anche il capitolo su Stress Ansia e Performance. La visualizzazione viene definita, nella letteratura anglosassone, imagery. 35 in: Butler, R. J., Psicologia e attività sportiva, cit., pp. 121 - 128. 26 fase la visualizzazione viene appunto definita imagery cinestetica 36 . La prospettiva interna facilita l’ imagery cinestetica e trova maggiore facilità di applicazione negli sport a mappa definita dove è essenziale collocare esattamente gli interventi muscolari e le relative propriocezioni, al fine di costruire l’immagine di un gesto il più vicino possibile alla massima espressione personale, come se la si stesse effettivamente eseguendo. Mentre con la prospettiva esterna trovano maggior giovamento gli atleti di sport a mappa prevalentemente elastica dove, più di come viene eseguita l’azione, è importante quando, cioè la scelta del tempo, nella prospettiva tattica, quindi essi, più che sulle cinestesie, cercheranno di focalizzarsi sullo sviluppo diacronico e spaziale delle azioni. 5. L’abilità da eseguire va immaginata nell’effettiva sequenza temporale in cui si svolge l’azione reale. Gli atleti tecnicamente più bravi sono anche quelli che fanno riscontrare i minori margini di errore, rispetto al tempo di esecuzione del gesto visualizzato. 6. È necessario esercitarsi fino a quando l’abilità viene percepita come eseguita correttamente. In seguito, si potrà adottare la tecnica di visualizzazione in ogni situazione in cui è indicata (v. sopra). La tecnica di imagery può veramente fare la differenza quando: • è regolarmente esercitata; • fa parte del medesimo programma di allenamento fisico tecnico e tattico, anche se gli atleti tendono a sottovalutarla; • durante i periodi di inattività, per infortunio, pausa dell’attività, prima di addormentarsi, nei trasferimenti e quando si è in periodo di scarsa forma. 36 Si confronti quanto detto, a tale proposito nel capitolo sull’ Apprendimento Motorio. 27 Domande di riepilogo 1. Per comprendere cosa un atleta pensa, agisce, prova, reagisce agli altri e alle situazioni, quale tipo di approccio sembra oggi più consigliabile? 2. Quali elementi vanno considerati? 3. Come può essere possibile costruire i presupposti per il raggiungimento del successo? 4. Tra le dodici caratteristiche di Gould e Dieffenbach se ne indichino le quattro ritenute più importanti, indicando il perché. 5. Cosa intende spiegare la TSA? 6. Come ragiona l’ottimista? 7. Quale è la strategia di Seligman per modificare gli atteggiamenti pessimistici? 8. Come si costruisce un Performance Profile? 9. Per Butler come si identificano i pensieri negativi? 10. E come si sviluppa il pensiero positivo? 28