Psicoterapia psicodinamica dei disturbi di personalità: un
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Psicoterapia psicodinamica dei disturbi di personalità: un
Giovanni Fioriti Editore s.r.l. via Archimede 179, 00197 Roma tel. 068072063 - fax 0686703720. E-Mail [email protected] – www.fioriti.it www.clinicalneuropsychiatry.org res ipsa loquitur Psicoanalisi: diretta da Alessandro Grispini e Benedetta Guerrini Degli’Innocenti Psicoterapia psicodinamica dei disturbi di personalità: un approccio basato sulle relazioni oggettuali di John F. Clarkin, Frank E. Yeomans, Otto F. Kernberg Traduzione di Emanuele Preti, Antonio Prunas e Irene Sarno Edizione italiana a cura di Personality Disorders Lab PRESENTAZIONE DELL’EDIZIONE ITALIANA Nella prefazione gli autori scrivono che questo libro è il frutto dello sforzo di un team di clinici, teorici e ricercatori che da 25 anni esplorano gli orizzonti del trattamento dei disturbi gravi di personalità. In effetti, in questo testo è rintracciabile l’intera storia del Personality Disorders Institute (PDI) del Weill Medical College della Cornell University (www.personalitydisordersinstitute.com), diretto da Otto Kernberg, forse la figura che più ha influenzato la psichiatria e la psicoanalisi degli ultimi decenni. Vi sono però alcuni elementi che possono aiutare il lettore italiano ad accostarsi a questo libro. Va detto innanzitutto che non è il libro di un figura influente, ma rappresenta lo sviluppo tecnico – quindi di trattamento – di un modello teorico che, pur ponendo la mente e il suo funzionamento al centro della comprensione della patologia, ritiene che a una teoria sul funzionamento della mente e al suo trattamento vada applicato il metodo dell’indagine scientifica. Il libro è percorso da un filo rosso, l’evoluzione del pensiero di Otto Kernberg, già molto conosciuto al pubblico italiano. Ma si noterà come le indicazioni tecniche risentano dei cambiamenti teorici, dell’influenza delle ricerche di base e delle indicazioni empiriche. Questo è il quarto volume sulla tecnica della Psicoterapia Focalizzata sul Transfert (TFP) prodotto dal gruppo di Kernberg negli ultimi quindici anni e senza dubbio non sarà l’ultimo dal momento che la teoria del trattamento è costantemente posta in revisione dalle nuove conoscenze, che arrivano dallo scambio costante tra i clinici come dai risultati delle ricerche empiriche. Insieme agli autori abbiamo deciso, a questo proposito, di integrare il manuale con due ulteriori recenti capitoli, a dimostrazione della incessante revisione delle indicazioni terapeutiche. Si tratta in particolare di un capitolo sul processo interpretativo nella TFP e di uno sulle applicazioni della TFP alle personalità narcisistiche. 2 L’indirizzo di lavoro e di ricerca del PDI si inserisce nella tradizione della psichiatria psicodinamica delle patologie della personalità. L’impianto teorico ha similitudini con i contributi di altri scienziati clinici che hanno affrontato da una prospettiva affine il nocciolo di questi disturbi, come Glenn Gabbard, Drew Westen, John Gunderson, Peter Fonagy, per fare soltanto alcuni nomi. A differenza di loro, tuttavia, ci sembra più fermo il tentativo di garantire la priorità della mente sia nella definizione della patologia che nell’organizzazione tecnica della terapia; a differenza di alcuni di loro, indubbiamente, più forte è la convinzione – peraltro suffragata dai più recenti trial controllati – che i pazienti borderline possano cambiare strutturalmente. Al pari di loro, o almeno di alcuni, il PDI ritiene che vi sia necessità di una tecnica altamente operazionalizzata nei suoi principi. Al pari di tutti loro, ritiene che ogni trattamento proposto debba essere necessariamente validato empiricamente, e non sarà né l’unico possibile né il migliore in ogni caso. A differenza di molte scuole di pensiero del secolo scorso, il PDI ritiene che ogni proposta teorica si debba poi collocare nello spazio delle conoscenze scientifiche a disposizione. Kernberg e i suoi collaboratori sono ben consapevoli che i gravi disturbi di personalità, o le Organizzazioni Borderline di Personalità, rappresentano da sempre una sfida per i clinici, la società, e gli individui che ne sono affetti. Numerosi fattori concorrono a renderli un serio problema di salute pubblica. Alla ben nota presentazione clinica dal carattere tumultuoso e drammatico, che vede il susseguirsi di comportamenti autolesivi, esplosioni di rabbia intensa e inappropriata, discontrollo impulsivo, e vistosa instabilità affettiva, corrisponde una pervasiva non-compliance dei soggetti affetti ai trattamenti proposti, con ripetuti drop-out dalle psicoterapie e il conseguente uso intensivo, ma “erratico”, dei servizi psichiatrici generali e dei servizi di emergenza-urgenza. Il disturbo borderline di personalità (DBP), inoltre, presenta una rilevante prevalenza sia nei setting psichiatrici (10-20%) sia nella popolazione generale (16%)1, nonché un rischio di suicidio stimato tra il 5 e il 10%. A fronte di tutto ciò anche i ricercatori americani, che per primi hanno iniziato ad affrontare queste patologie, lamentano che i fondi stanziati per la ricerca sul DBP negli USA dal National Institute of Mental Health siano scandalosamente scarsi; ammontano infatti a meno del 2% di quanto stanziato per la Schizofrenia (che ha una prevalenza dello 0,5%), e a meno del 6% di quanto stanziato per il Disturbo Bipolare (che ha una prevalenza dell’1,5%)2. Eppure, gli studi longitudinali nordamericani hanno mostrato come la remissione sintomatologica non sia né impossibile né infrequente3. Tuttavia, sebbene nel tempo circa l’80% dei pazienti borderline vada incontro a una significativa attenuazione della gravità sintomatologica del disturbo, solo la metà sperimenta un parallelo incremento nel funzionamento psicosociale, che rimane spesso nel range patologico in diverse aree4. Questi pazienti continuano a manifestare una marcata incapacità a perseguire e raggiungere obiettivi lavorativi e personali, e pervasive difficoltà nelle relazioni interpersonali e intime. È ovvio che tali evidenze abbiano importanti implicazioni nella definizione del trattamento. La maggior parte delle psicoterapie empiricamente supportate si sono infatti dimostrate efficaci nel ridurre i sintomi “acuti” del disturbo borderline di personalità e l’utilizzo dei sistemi sanitari, o nel promuovere la remissione del disturbo secondo i criteri nel DSM-IV-TR. Tuttavia, il deficit nell’adattamento relazionale e psicosociale, cioè il livello di integrazione dell’identità, non rappresenta quasi mai un target esplicito del trattamento, tanto che la stessa Marsha Linehan ebbe, anni fa, ad affermare che i pazienti borderline dopo il trattamento “si comportano meglio… ma la loro vita rimane miserabile”. È piuttosto agevole ricondurre un tale profilo deficitario di funzionamento all’assenza di un senso stabile di sé, degli obiettivi e dei valori personali che caratterizza la sindrome di diffusione dell’identità. La TFP si pone specificamente come obiettivo il cambiamento nella struttura di personalità, attraverso l’integrazione delle relazioni oggettuali e dei relativi affetti scissi e polarizzati. Ciò, va ricordato, è diverso dalle altre forme di psicoterapia esplicitamente rivolte alla riduzione dei sintomi del DBP tramite l’apprendimento della capacità di regolazione emotiva (DBT) o l’apprendimento della capacità di mentalizzazione (MBT). A questo proposito sarà utile ricordare alcuni elementi inerenti la storia della TFP. Innanzitutto il modello teorico che la sottende, seppure centrato sulla “patologia della mente”, quindi su concetti e teorizzazioni che riguardano il mondo intrapsichico, ha incluso l’indagine di molte aree, e tutte rilevanti a fornire elementi per spiegare il funzionamento mentale. L’endofenotipo dell’organizzazione borderline di personalità è la sindrome di diffusione dell’identità, concetto che permea l’intero volume. La diffusione dell’identità è un concetto clinico, caratterizzato dall’instabilità dell’esperienza soggettiva, della rappresentazione di sé e degli altri, e l’instabilità stessa è valutata come un tratto di base dell’organizzazione di personalità. La specificità e l’unicità – a nostra convinzione – del gruppo del PDI, è avere 1 Lenzeweger M.F., Lane M.C., Loranger A.W., Kessler R.C. (2007). DSM-IV disorders in the National Comorbidity Survey replication. Biological Psychiatry 62, 553-64. 2 Gunderson J. (2009). Borderline personality disorder: Ontogeny of a diagnosis. American Journal of Psychiatry 166, 530-39. 3 Sanislow C.A., Little T.D., Ansell E.B., Grilo C.M., Daversa M., Markowitz J.C., Pinto A., Shea M.T., Yen S., Skodol A.E., Morey L.C., Gunderson J.G., Zanarini M.C., McGlashan T.H. (2009). Ten-year stability and latent structure of the DSM-IV schizotypal, borderline, avoidant, and obsessive-compulsive personality disorders. Journal of Abnormal Psychology 118, 507-19. 4 Zanarini M.C., Frankenburg F.R., Reich D.B., Fitzmaurice G. (2010). Time to attainment for recovery from borderline personality disorder and stability of recovery: a 10-year prospective study. American Journal of Psychiatry 167, 663-67. 3 costruito la dimensione del disturbo di identità nella teoria delle relazioni oggettuali interiorizzate, ma arricchendola con conferme empiriche che giungono dalle ricerche sulla teoria dell’attaccamento, sul temperamento e sulle funzioni neurocognitive. Per fare solo un esempio, è attualmente in corso un progetto di ricerca volto a identificare le relazioni tra il processo di cambiamento nel corso della terapia (quindi l’integrazione della personalità e la strutturazione dell’identità) ed eventuali modificazioni nelle dimensioni temperamentali (la capacità di effortful control), nelle funzioni neurocognitive (attenzione esecutiva) e nell’attivazione di specifiche aree cerebrali (corteccia orbitofrontale) alla risonanza magnetica funzionale. Non sorprende dunque che la diffusione dell’identità, vale a dire l’instabilità dell’esperienza interna, sia attualmente proposta come la dimensione prototipica di tutti i disturbi di personalità nel futuro DSM-V. Ma l’indagine si è mantenuta anche a livello clinico-terapeutico. Sono stati sviluppati strumenti atti a misurare in modo affidabile l’organizzazione di personalità e i rispettivi livelli di funzionamento (quali l’IPO, Inventory for Personality Organization, e la STIPO, Structured Interview of Personality Organization), mentre lo specifico trattamento – cioè la TFP – è stato manualizzato, in diverse edizioni a partire dai primi anni Novanta e tradotto in diverse lingue. Ciò ha reso possibili studi preliminari circa l’efficacia della TFP in pazienti con DBP, che hanno aperto la strada a due trial controllati randomizzati (RCT) indipendenti. Tali RCT hanno sancito lo status evidencebased della TFP, in virtù della sua comprovata efficacia, anche in contesti geografici diversi, al confronto con altri trattamenti attivi (tra cui la DBT, la psicoterapia dinamica supportiva e il trattamento da parte di psicoterapeuti esperti di comunità). È stata proprio l’indagine empirica a validare la specificità dell’azione terapeutica della TFP. La mission della TFP è, come noto, il cambiamento nell’organizzazione di personalità, e non soltanto la riduzione, seppur significativa, dei sintomi clinici (tra cui certo le sue “specializzazioni comportamentali”, cioè gli atti suicidari e parasuicidari, la rabbia, l’impulsività). Il punto centrale, nei progetti di ricerca sulla TFP, è stato individuare un indice quantificabile che rappresentasse la possibile unità di misura del grado di integrazione (o dispersione) dell’identità. La dimensione empirica del concetto di funzione riflessiva, come si è sviluppato nei lavori di Fonagy, risponde senza dubbio a questi requisiti. È proprio la misurazione, nei trial randomizzati, dei cambiamenti nei parametri della funzione riflessiva, che sostiene l’unicità della TFP. Come i lettori potranno leggere nell’aggiornamento di John Clarkin alla fine del capitolo 11, la TFP è infatti l’unica psicoterapia evidence-based per la patologia borderline per cui sia stata dimostrata la specificità e l’efficacia nel promuovere un aumento della funzione riflessiva (o capacità di mentalizzazione) e l’acquisizione di uno stile di attaccamento sicuro. Quale, a questo punto, la possibile agenda per il prossimo futuro? Innanzitutto seguire le tappe verso la definitiva validazione del trattamento, muovendosi dall’efficacy dei trial randomizzati alla misurazione dell’effectiveness direttamente nella comunità. Il PDI ha definito un Practice Research Network che coinvolgerà i gruppi di lavoro che, nel mondo, hanno deciso, come il PDlab (www.pdlab.it), di applicare la TFP e hanno ricevuto il training formativo. Come sostiene John Clarkin: “Nonostante i risultati dei trial clinici randomizzati, abbiamo ancora quesiti cui rispondere: dobbiamo affinare il training dei terapeuti TFP, indagare i fattori di moderazione coinvolti nel cambiamento strutturale che avviene in terapia, quali effetti produce la TFP trasversalmente in gruppi di pazienti eterogenei, per quanto tutti affetti da un grave disturbo di personalità; quali aspetti del cambiamento della personalità si manifestano prima; quale ruolo gioca il livello di aderenza del terapeuta alla TFP nel timing del processo del cambiamento”. Citiamo soltanto alcuni punti della comunicazione sullo stato dell’arte che Clarkin ha riservato ai gruppi internazionali di TFP soltanto per esprimere quanto la necessità di proseguire nell’affinamento del processo scientifico di validazione rimanga il nucleo dell’attenzione di chi si occupa di TFP. Aspetto ulteriore è l’attenzione tecnica a forme diverse di psicopatologia. L’intervento sui disturbi narcisistici pone quesiti teorico-tecnici di assoluto rilievo (e di qui la decisione, insieme ai colleghi del PDI, di inserire, nella seconda parte del volume, uno specifico capitolo sul trattamento delle personalità narcisistiche). Sarebbe doveroso, a questo punto, fare riferimento a ciò che sta avvenendo nella preparazione dell’Asse II del DSMV, ma evidenti ragioni di spazio ce lo impediscono. Rimane l’invito, ai lettori interessati, a seguire il dibattito avviato, in opposizione alle prime indicazioni della task force per il DSM-V, da scienziati clinici che hanno speso una vita nello studio e nel trattamento di questa popolazione di pazienti (e non parliamo soltanto di Kernberg né soltanto di TFP), dibattito in cui si pongono in luce le limitazioni e le incongruenze di proposte diagnostiche che trascurano la ricchezza di conoscenze delle scienze cliniche5. Altro punto rilevante nell’agenda della neonata International Society for Transference Focused Psychotherapy (ISTFP), e oggetto di molte riflessioni nei gruppi internazionali, è l’attenzione alle realtà locali. A nostro avviso la realtà culturale, nonché la politica sanitaria, del nostro Paese obbliga il PDlab a riflettere su specificità sconosciute a molte altre parti del mondo. Innanzitutto il dato scientifico è che in Italia la ricerca sulla patologia dei gravi disturbi di personalità è pressoché inesistente, e le poche evidenze disponibili circa il suo decorso e trattamento sconfortanti: gli utenti con disturbi di personalità mostrano una probabilità considerevolmente maggiore, rispetto ai soggetti affetti da 5 Si veda a questo proposito, Shedler J., Beck A., Fonagy P., Gabbard G., Gunderson J., Kernberg O., Michels R., Westen D. (2010). Personality disorders in DSM-5. American Journal of Psychiatry 167, 9, 1026-8. 4 psicosi, di drop-out inappropriato dai servizi pubblici di salute mentale6, suggerendo che tali servizi siano a oggi impreparati ad affrontarne la complessità clinica; coerentemente, i pazienti con DBP trattati nel contesto del Sistema Sanitario Nazionale italiano sembrano presentare bassi tassi di remissione7, inferiori rispetto a quanto riportato da recenti studi longitudinali statunitensi. A questo va aggiunto il dato, di politica sanitaria, che non prevede, in pratica, l’intervento di terze agenzie al sostegno finanziario di un trattamento psicoterapeutico di media durata. Ciò restringe il campo di osservazione della popolazione clinica, limitata a chi può sostenere l’onere finanziario della psicoterapia. D’altro canto, da più parti e in particolare nell’operatività dei Servizi Pubblici, si rende evidente la necessità di gestire quadri patologici diversi dalle richieste dell’utenza abituale. Sembra, in sostanza, che gli elementi disfunzionali di natura comportamentale, relazionale e sociale, tipici dei disturbi di personalità, abbiano fatto prepotentemente ingresso nella realtà clinica pubblica. Per quanto orientati all’applicazione e alla ricerca di un trattamento psicoterapico fortemente strutturato, è ovvio che, facendo riferimento a un modello teorico del funzionamento normale e patologico, il PDlab si lasci coinvolgere in questa riflessione. La risposta che possiamo dare non è certo limitata a suggerire qualche forma di finanziamento al trattamento di pazienti che non ne abbiano le possibilità. Crediamo al contrario che, nella sua specificità, la realtà sanitaria italiana possa offrire l’opportunità di un’applicazione del modello delle relazioni oggettuali alla gestione clinica di questi pazienti. In altri termini, non vediamo perché non ipotizzare un tipo di case management improntato al funzionamento della mente, cioè a definire e organizzare, almeno in parte, in senso dinamico la gestione clinica. Riteniamo infatti che l’avanzamento delle conoscenze teoriche, la loro validazione empirica e la loro traduzione in operatività terapeutica siano tali da rendere applicabile il modello delle relazioni oggettuali proposto dal PDI a diversi ambiti del trattamento psichiatrico di pazienti con organizzazione patologica di personalità. Parma, Aprile 2011 Personality Disorders Lab www.pdlab.it 6 Percudani M., Belloni G., Contini A., Barbui C. (2002). Monitoring community psychiatric services in Italy: differences between patients who leave care and those who stay in treatment. British Journal of Psychiatry 180, 254-59. 7 De Panfilis C., Politi V., Fortunati R., Cazzolla R., Scaramuzzino M., Marchesi C., Maggini C. (2010). Two-year follow-up of borderline patients in Italy: a preliminary report on prognosis and prediction of outcome. International Journal of Social Psychiatry, Jul 5 [Epub ahead of print]. 5 Gli autori John F. Clarkin, Ph.D., è co-direttore del Personality Disorders Institute del New York Presbyterian Hospital, Westchester Division e Clinical Professor of Psychology in Psychiatry al Joan and Sanford I. Weill Medical College e alla Graduate School of Medical Sciences, Cornell University, New York. È stato presidente dell’International Society for Psychotherapy Research. Frank E. Yeomans, M.D., Ph.D., è Clinical Associate Professor of Psychiatry al Weill Medical College, Cornell University e Direttore del Training al Personality Disorders Institute del New York Presbyterian Hospital, Westchester Division, White Plains, NY. È direttore del Personality Studies Institute di New York. Al Personality Studies Institute, dove dirige il gruppo di lavoro sulla Transference-Focused Psychotherapy, il dott. Yeomans unisce la pratica clinica alle attività di ricerca, supervisione e insegnamento. È stato autore e coautore di numerosi articoli e diversi testi sulla ricerca e la tecnica in psicoterapia, quali A Primer on Transference-Focused Psychotherapy for the Bordeline Patient e Psychotherapy for Borderline Personality. Otto F. Kernberg, M.D., è Direttore del Personality Disorders Institute del New York Presbyterian Hospital, Westchester Division e Professore di Psichiatria al Joan and Sanford I. Weill Medical College e alla Graduate School of Medical Sciences, Cornell University, New York. È analista con funzioni di training e supervisore al Columbia University Center for Psychoanalytic Training and Research ed è stato presidente dell’International Psychoanalytic Association. I curatori Il Personality Disorders Lab (PDLab) (www.pdlab.it) è un’associazione di clinici e ricercatori interessati allo studio della personalità e al trattamento dei suoi disturbi, composta da psichiatri e psicologi psicoterapeuti che lavorano in città diverse (Parma, Milano, Lecco) e in diversi contesti istituzionali (pratica privata, università, sanità pubblica). Abbiamo condiviso il training alla TFP, organizzato e implementato dal Personality Disorders Institute del Weill Medical College e dal Personality Study Institute di New York. Il PDLab fa parte di un network mondiale di istituzioni clinico-scientifiche che condividono l’applicazione della TFP. Il gruppo è composto da: Sergio Dazzi (Presidente), Fabio Madeddu (Vicepresidente), Susanna Brambilla, Beatrice Cassani, Chiara De Panfilis, Valentina di Mattei, Romolo Gadaldi, Alvise Orlandini, Emanuele Preti, Antonio Prunas, Monica Rabaglia, Irene Sarno. Copertina di Massimiliano Maggi prezzo: € 46,00 p.453 [email protected] www.fioriti.it ISBN: 978-88-95930-33-6