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"Corruptio optimi pessima" in formato
COPERTINA TEOLOGIA E FILOSOFIA La scuola inibisce l’apprendimento, la medicina compromette la salute Corruptio optimi pessima di Piero Stefani* Un detto proverbiale recita che il meglio è nemico del bene. Si tratta di una frase che attiene al versante progettuale: quando si intraprende un’attività, non di rado, il perfezionismo si tramuta in danno. Altro è il crinale che trova la propria cifra della corruptio optimi pessima: qui si è di fronte non a un disegno che attiene a quanto ancora non c’è, ma al degrado di quanto già esiste. La cifra più significativa di questo antico detto è che la corruzione attiene all’ottimo, non al bene. Esso non coinvolge una situazione di equilibrio, di «giusto mezzo». La sua dinamica prende le mosse da un estremo che eccede dalla parte positiva. Questa situazione sottintende domande a cui è difficile rispondere e impossibili da evitare. Di fronte alla sentenza sullo stravolgimento del «molto buono» si erge inevitabile il gran monte del perché. Può essere davvero ottimo quel che si corrompe? Il superlativo assoluto non dovrebbe collocare il termine in uno status a cui è ignoto ogni tramonto? All’ottimo non dovrebbe essere riservata la sfera intangibile propria del sommo bene? Quando aveva alle proprie spalle già da qualche anno l’immane macello della guerra dei contadini, Martin Lutero descrisse a 360° la legge della corruzione dell’ottimo. Per quanto l’orizzonte in cui si muove sia globale, è facile però comprendere che quanto più di ogni altra cosa grava sul cuore del Riformatore è il processo che lo coinvolge in prima persona. Lutero sciorina un lungo elenco esteso dalla storia sacra alla profanità quotidiana; tuttavia alla fine a essere tirata in ballo è la sua stessa persona. Il detto inizia parlando della discendenza dei crocifissori di Cristo da Abramo, di Giuda uscito dalla cerchia degli apostoli, dell’Anticristo [il papa] connesso alla Chiesa romana, di Ario scaturito da Alessandria, del Turco da Costantinopoli, di Maometto dagli eremiti dell’Arabia, dei diavoli dagli angeli, degli eretici dalla Chiesa. I tiranni poi derivano dai re, l’adultera viene dalla moglie, lo sterco dal cibo, l’orina dal vino, il pus dal sangue. Infine il vasto panorama si concentra, ad imbuto, su una situazione tanto prossima quanto corredata da una considerazione autogiustificatoria: «da Lutero Müntzer e i sediziosi – perché dunque meravigliarsi se tra noi ci sono dei malvagi e da noi derivano?».1 «Quel ch’è più dolce dà i più amari effetti, / Corrotto giglio pute più che erbaccia (Sweetest things turn sourest by their deeds, /Lilies that fester smell far worse then weeds)». Con questi due versi Shakespeare chiude il suo XIVC sonetto. La potenza dell’espressione propostaci dal sommo drammaturgo consente molte applicazioni, di cui l’elencazione luterana è esemplificazione suggestiva. La frase si è, però, a tal punto impressa nella fervida mente di Ivan Illich fino a farla assurgere al detto più consono per indicare l’influsso esercitato dal cristianesimo organizzato sulla società occidentale.2 A tal proposito quanto conta è comprendere sia il punto di partenza sia il legame che intercor- Università di Bologna 1998. Da sinistra: il Sindaco Vitali, Romano Prodi, Ivan Illich, Paolo Prodi COPERTINA re da esso e quanto ne deriva. Né è indifferente il grado di coinvolgimento con cui si affronta il tema. Non ci sono dubbi che Illich si muova entro un’area che lo coinvolge in prima persona. Ripetendo il giudizio con cui Fabio Milana termina la sua ampia e penetrante postfazione, occorre parlare a suo proposito di una «testimonianza nella Chiesa contro la Chiesa».3 Nella prima lettera di Giovanni si legge che i molti anticristi già venuti sono prova certa dell’approssimarsi dell’ultima ora, essi «sono usciti da noi, ma non erano dei nostri; se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi; sono usciti da noi perché fosse manifesto che non tutti sono dei nostri» (1Gv 2,19). La nota di estraneità qui indicata non rientra nelle corde di chi si sente fortemente partecipe alla dinamiche ecclesiali che è costretto a denunciare. Del resto, è più di un puro simbolo prendere atto che Illich rimase sempre fedele alla linea da lui assunta tra il 1968 e il 1969 (l’epoca del procedimento nei suoi confronti istituito dalla Congregazione della dottrina della fede) che lo condusse a «rinunciare definitivamente a ogni esercizio dei privilegi e dei poteri che gli erano stati conferiti dalla Chiesa», fermi restando gli obblighi derivati dal celibato e dalla recita del breviario. Anzi, dopo la lettura della Corruption si può ipotizzare, con fondamento, che le indagini più note relative allo smascheramento delle istituzioni che diedero a Illich fama mondiale negli anni settanta, ebbero uno stretto legame (allora arduo da cogliere) con le dinamiche innescate dal pervertimento (termine felicemente scelto in italiano per rendere l’inglese corruption) del cristianesimo. Anche quando si può ricostruire a grandi linee il processo di stravolgimento, resta comunque precluso comprendere per davvero lo srotolarsi di una degenerazione che rimanda a una dimensione misteriosa. Per noi è impossibile assumere come un tranquillo dato di fatto che l’ottimo si stravolga. Illich si chiede cosa indicasse la presenza dei profeti attestati dai primi documenti cristiani. Essi non furono né maestri, né predicatori. Quale fu dunque il loro compito specifico? Che cosa avevano da dire alla Chiesa? «Credo che essi dovessero annunciare un mistero, il mistero del male, il mysterium iniquitatis. Annunciavano che la Chiesa era, ovunque fosse, l’am- 20 TEOLOGIA E FILOSOFIA biente nel quale doveva annidarsi l’Anticristo». I profeti indicavano che il male condurrà il mondo alla sua fine la quale, per quanto presente, viene per il momento ritardata. «Ciò che colpisce, nel passaggio delle primissime generazioni cristiane al cristianesimo dell’Europa occidentale, è il fatto che il mistero del male di cui è gravida la Chiesa, e che nell’Antico Testamento non avrebbe trovato alcun posto in cui nidificare, scomparve nell’insegnamento della Chiesa e della preoccupazione dei più».4 L’accento apocalittico e l’appello al mysterium iniquitatis (cfr. 2Ts 2,7), come ricorda Milana, indurranno più di un lettore italiano a pensare a Sergio Quinzio.5 Le differenze tra i due non mancano, ma anche le affinità hanno voce in capitolo. Il punto di partenza di Quinzio potrebbe, per più versi, riassumersi ricorrendo al celebre motto di Alfred Loisy stando al quale Gesù Cristo annunziò il regno e venne la Chiesa. In virtù dell’iniziale dilazione l’anticristicità è intima alla Chiesa che l’ha codificata ricostituendosi come ordine sacro capace di trattenere la fine.6 Dopo i trionfi medioevali, la modernità ricupera, in modo stravolto, l’istanza messianica ebraica; infine, per Quinzio, il dissolversi nichilistico del moderno e lo svuotamento salvifico della Chiesa, chiamata a seguire nella morte il suo Signore, segnano il tempo ultimo e l’approssimarsi di un regno contraddistinto dalla povertà e dalla consolazione del Dio crocifisso. La storia tutta è perciò segnata tanto a fondo dalla fede cristiana da non poter uscire, neanche nel pervertimento, dall’influsso di quel passaggio decisivo. In altre parole, proprio perché la vicenda umana è solcata in maniera indelebile dall’anticristicità, non può darsi alcuna storia semplicemente postcristiana. La maggiore affinità tra Illich e Quinzio si colloca su questo crinale. Il punto di avvio di Ivan Illich non è il regno: è l’incarnazione. Ancor più precisamente è la possibilità, da essa dischiusa, di instaurare un rapporto di fratellanza interumana prima inaccessibile. Il riferimento emerge, in maniera significativa, alla fine di un brano in cui David Cayley ripercorre le tappe più note dell’itinerario intellettuale di Illich. In libri come Descolarizzare la società7 o Nemesi medica8 si insisteva su tre punti fondamentali: le 1981: Ivan Illich, a Montebello moderne istituzioni tendono a vanificare le loro finalità, la scuola inibisce l’apprendimento, la medicina compromette la salute, il carcere produce criminalità; inoltre queste istituzioni riducono la fiducia che persone e comunità potrebbero riporre in se stesse e inducono a rivolgersi a servizi professionalizzati; infine, esse pongono a repentaglio la capacità individuale sia di godere sia di reggere la condizione umana; per fare un esempio, cure mediche interminabili minano alle fondamenta l’arte umana di affrontare sofferenza e morte. La meno nota opera storiografica successiva svolta da Illich è, dal suo canto, orientata a scoprire l’origine di certezze e di presupposti, dati per scontati, su cui si basano queste istituzioni (è il versante sul quale si riscontrano le maggiori affinità con le ricerche condotte da un suo amico carissimo, Paolo Prodi9). Il presupposto più importate è l’idea che gli esseri umani siano costituiti da bisogni e che la società sia organizzata al fine di soddisfarli al meglio. Qui è lo snodo in cui si innesta il pervertimento del cristianesimo. Ogni spiegazione rimanda in prima istanza al modo in cui Illich intende la rivelazione cristiana e al suo convincimento che essa abbia modificato in modo irreversibile la storia.10 Ricorrendo a un linguaggio per più risvolti sorprendente, in Pervertimento del cristianesimo si afferma «Io penso di poter fornire un’evidenza storica della mia convinzione che quell’angelo, sai, quel Gabriele che appare improvvisamente a quella ragazza ebrea e le dice “Ave”, non possa essere trascurato dallo storico […] Perciò io Lo ascolto come nessuno, prima di questo evento, avrebbe potuto ascoltare un altro, guardare un altro. Ed è di questo che io vivo. Io quindi credo che l’Incarnazione, l’ensarkosis, la parola greca per farsi carne dell’Allah biblico, coranico e cristiano, rappresenti un punto di svolta del nostro modo di vedere quel che accade nel mondo».11 Il farsi carne del Verbo ha cambiato in maniera irreversibile tanto la maniera in cui una persona in carne e ossa guarda al suo prossimo quanto il senso di comunità che può instaurarsi tra le persone. Prendono da qui le mosse una serie di esemplificazioni volte a ripercorrere l’accidentata via che ha condotto all’istituzionalizzazione cristiana di questo tipo di nuove relazioni. In questo contesto la parabola del buon Samaritano - forse il riferimento principe dell’intero volume12 - indica un rapporto con il prossimo e la sua carnalità posto al di là della sfera dell’etica richiesta dalla propria appartenenza a un «noi» collettivo, mentre la conspiratio - la prassi liturgica in base alla quale i fedeli si baciavano reciprocamente sulla bocca per scambiarsi lo Spirito attraverso la carne - fonda un senso di comunità imparagonabile a quelle precedenti. Per essere all’altezza di simili «eccessi» non bisogna muoversi nella logica delle istituzioni. Nelle antiche case cristiane vi era la con- 21 COPERTINA 22 TEOLOGIA E FILOSOFIA suetudine di avere un materasso in più e un po’ di pane di riserva in caso che «il Signore Gesù avesse bussato alla porta», vale a dire un qualunque senza tetto avesse chiesto ospitalità. In tal caso lo si sarebbe accolto e ci si sarebbe presi cura di lui. Un simile comportamento era contrario a ogni prassi conosciuta in vigore nell’Impero romano.13 Ma poi nacquero le istituzioni dedicate all’ospitalità (né è fuori luogo ricordare, a questo punto, l’etimo della parola ospedale) e tutto mutò. Nella sua articolazione di fondo, la Perversione del cristianesimo, illustra e moltiplica esemplificazioni paragonabili a quella ora accennata. Nello specifico la Corruption, nei suoi capitoli centrali, abbozza un’indagine sulla genesi di alcune moderne «categorie del politico» come figlie del pensiero e della prassi ecclesiali del basso Medioevo; colloca l’esperienza dello sguardo entro un progetto di «storia del corpo» correlata all’asserita perdita contemporanea della centralità della carne vivente e senziente; e, infine, percorre la problematica etica di un mondo che ha smarrito la nozione oggettiva del limite e dell’ordine ontologico da esso istituito. In una tarda autoesegesi del proprio percorso, Illich ha fornito una visione complessiva molto coerente del suo ricercare. È possibile - come opportunamente suggerisce Milana che la nota di compattezza qui prospettata sia un po’ sopra le righe; anche se così fosse, è comunque giusto lasciare all’autore la valutazione conclusiva del suo itinerario: «Ho analizzato l’istruzione scolastica come secolarizzazione di un rituale peculiarmente cattolico perché volevo capire il mistero della corruptio optimi. Mi sono addentrato nella storia dell’ospitalità e della cura per contrastare la sterilizzazione della carità, avviata dalla Chiesa, attraverso l’istituzionalizzazione di essa come servizio. Ho scritto sulla degenerazione dell’acqua in H2 0 come esempio della disintegrazione dei corpi e della dissoluzione di una materia da sacramento.14 Mi sono cacciato in un brutto guaio con un pamphlet, Gender15, sulla storia sociale della dualità e la sua erosione da parte della sessualità. Ho scritto questo saggio spinto dall’amore per Nostra Signora, che ha messo al mondo quel Fratello grazie a cui la mia fratellanza con un [altro] uomo […] è sussunta nel mistero della Trinità. Nello scrivere questi libri ho trovato lo stesso misterioso schema ripetersi di continuo. Un dono di grazia veniva trasformato in un orrore moderno: sempre di nuovo la corruptio optimi pessima». (Il testo, citato nella Postfazione a p. 135, proviene da un relazione tenuta da Illich a un gruppo di filosofi cattolici a Los Angeles). Leggendo l’opera di Illich resta, comunque, netta una percezione: la volontà di ripercorrere una storia di pervertimento è mossa anche dall’istanza di non consegnare l’ultima parola alla corruzione dell’ottimo. *Redattore de IL REGNO 1 • Martin Lutero, Discorsi a tavola, n. 564, Einaudi, Torino 1969, 88-89. 2 • I. Illich, Pervertimento del cristianesimo. Conversazioni con David Cayley su vangelo, chiesa, modernità, a cura di F. Milana, Verbarium Quodlibet, Macerata, 2008 ( pp, 155, € 18,00), qui 12. Corruption of Cristianity è il testo di una trasmissione omonima programmato all’inizio del 2000 dalla radio canadese. Trascritta in fascicoli circolava in Europa anche con traduzione tedesca a fronte. Quella italiana , a detta dell’eccellente curatore dell’editore italiano, Fabio Milana, è, in assoluto, la prima edizione in volume. Non si trattò proprio di conversazioni quanto di un montaggio di stralci dei lunghi colloqui intercorsi tra Illich e Cayley tra il 1997 e il 1999. «Verbarium. I libri di Michele Ranchetti» sono dovuti al generoso lascito di Peter Yankl Conzeman, scomparso nel 2005; all’inizio del 2008 anche Ranchetti ci ha lasciato (cf. «Caro lettore» Regno-att. 6,2008). 3 • Pervertimento, 152. 4 • Ivi p. 26. 5 • Cfr. S. Quinzio, Mysterium iniquitatis, Adelphi, Milano 1995. 6 • La categoria di «quello che trattiene», katechon, gode di straordinaria fortuna nel pensiero contemporaneo grazie all’interpretazione propostane da Carl Schmitt. Per un con- fronto tra quest’ultimo uso è quello propostone da Quinzio, cfr. R. Fulco, Il tempo della fine. L’apocalittica messianica di Sergio Quinzio, Diabasis, Reggio Emilia 2007, in particolare 235-248. 7 • Mondadori, Milano 1972. 8 • Nemesi medica. L’espropriazione della salute, Mondatori, Milano 1977; ora Bruno Mondadori, Milano 2004 e Boroli, Milano 2005. 9 • «... mi preme solo chiarire che, dietro questi discorsi e tante affermazioni e accenni, ci sono le conversazioni, gli scambi di idee e l’amicizia fraterna che ho avuto per molti decenni (fino alla sua morte avvenuta nel 2002) con Ivan Illich» P. Prodi, Lessico per un’Italia civile, a cura di P. Venturelli, Diabasis, Reggio Emilia 2008. 38. 10 • Cfr. pp, 13-14 11 • Pervertimento,. 14 12 • Cfr., Ivi, 20-21, 82-83, ecc. 13 Ivi, 23 14 H20 e le acque dell’oblio. Un’inchiesta sul mutamento delle nostre percezioni dello spazio urbano e delle acque che lo ripuliscono, Macroedizione, Umbertine, 1988. 15 Il genere e il sesso. Per una critica storica dell’uguaglianza, Mondadori, Milano 1984. COPERTINA TEOLOGIA E FILOSOFIA Incarnazione e disincarnazione Illich sull’ultimo libro di Quinzio Comincerò raccontandoti perché, venticinque anni fa, diventò così importante per me capire che cosa intendessero le persone, nei tempi passati, quando parlavano del corpo. Come storico – non importa essere teologo – non puoi proprio ignorare l’idea che il Cristianesimo, la fede, il Nuovo Testamento, comunque tu lo voglia chiamare, comincia con verbum caro factum est, o logos sarx egéneto. Se vai a cercare la parola greca logos nel dizionario, trovi che significa “proporzione”, o “proporzionalità”, o “congruenza”, prima di significare ciò che noi definiamo “parola”. La parola di Dio era la relazione tra Dio e se stesso, come in seguito hanno detto i teologi. Ma, qualunque cosa si intenda con questo messaggio, sarx significa palesemente “carne”. C’è quindi qualcosa di buffo nell’aver anche soltanto sollevato la questione: che cosa ha a che fare il corpo con il Cristianesimo e con la Chiesa? È fondamentale. Ma ciò di cui si parla non è il soma, il corpo nel suo insieme, bensì la sua carnalità [fleshiness]. La novità assolutamente unica e folle del Nuovo Testamento consiste nel farsi carne della parola di Dio nel grembo di una ragazzina, di una donna molto giovane. Nel predispormi a parlare con te stamattina, David, forse ho fatto la cosa sbagliata: durante la notte, praticamente insonne, sono andato a riprendere il mio Sergio Quinzio. Quinzio era uno strano personaggio di Pistoia, mio contemporaneo. Era un uomo che aveva studiato per diventare ufficiale della Guardia di Finanza, in Italia, ma, quando sua moglie morì e sua figlia divenne grande, si congedò per ritirarsi in eremitaggio. Studiò greco e latino e divenne un pensatore di alto livello, non scolastico e non accademico. Prima di morire – sfortunatamente, non ci siamo mai incontrati di persona –, mi inviò il suo libretto sul mistero del fallimento di Dio e sulla difficoltà di accettare l’esistenza di un Dio che manca i suoi stessi obiettivi e che ha, per quanto possiamo giudicare noi, dei limiti alla propria onnipotenza. È un libro che intesse brani dell’Antico e del Nuovo Testamento (tradotti con grande cura) con brani tratti da Nietzsche – perché, a mio parere, mai IVAN ILLICH I FIUMI A NORD DEL FUTURO Testamento raccolto da David Cayley Presentazione di Charles Taylor Verbarium • QuodLibet come in Nietzsche lo scandalo del credere cristiano in un Dio onnipotente è stato trattato con tanta intensità e violenza, e in un linguaggio così bello. Nietzsche dice: non posso accettare l’idea di un Dio onnipotente quando guardo il mondo come è. Nietzsche lo dice per ragioni di orgoglio; Sergio Quinzio, questo strano ruminante italiano poco conosciuto, lo dice con la più profonda umiltà e con spirito di preghiera e di adorazione. Quando Paolo parla della parola che si è rivestita di carne, o si è incarnata – noi parliamo ancora dell’Incarnazione, del rivestirsi di carne –, egli parla dello svuotarsi di Dio, di Dio che «si spoglia di sé». La parola greca è kénosis. Nelle conversazioni precedenti ho indicato alcuni possibili temi di ricerca. Ognuno di essi ha già una base di studi accademici, ma nessuno è stato sviluppato nella direzione in cui mi sarebbe piaciuto vederlo fiorire. Un esempio è la mia ipotesi che comprende sia le conseguenze della criminalizzazione del peccato sia la base per comprendere il mondo occidentale. La percezione che oggi abbiamo della persona, della relazione umana, della cosiddetta relazione interpersonale, è stata profondamente corrotta. Quando nel “dovere” si inseriscono delle norme, attraverso la criminalizzazione del peccato, viene nascosto l’aspetto glorioso dell’incontro tra il Palestinese e l’Ebreo. Ciò che Dio disse ai Farisei con la sua parabola era questo: a chiunque cammini lungo la strada è aperta la possibilità di allontanarsene, e di stabilire una relazione, una consonanza, un legame con l’uomo che è stato percosso; farlo, corrisponde alla natura di due esseri umani e permette a questa natura di fiorire in pienezza. Il Samaritano ha la possibilità di stabilire con l’altro uomo una proporzione, una connessione [relatedness] completamente libera, e unicamente condizionata dalla speranza che l’ebreo ferito risponda accettando quella relazione. Estratto dal libro “I fiumi a nord del futuro” 23