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Parcheggio omicida
codice di Lorenzo Borselli di Michele Leoni* dottrina della strada Parcheggio omicida I l 5 maggio 2011 i giornali hanno riportato una notizia che destava scalpore in quanto si trattava di un caso del tutto inedito. La notizia era la condanna per concorso in omicidio colposo di una donna che aveva parcheggiato la propria auto in divieto di sosta. Il GUP di Milano le aveva inflitto sei mesi di reclusione per aver contribuito, impedendo la visuale, a provocare la morte di un motociclista investito da un’auto che non aveva rispettato la precedenza. In particolare, l’auto non aveva concesso la dovuta precedenza e, a una velocità di circa 25 kmh, aveva impegnato un incrocio in quanto la sua visuale era parzialmente ostruita dalla vettura che si trovava in sosta irregolare. Vi era quindi stato lo scontro con il motociclista, che arrivava a una velocità di 91 kmh (ossia, a sua volta, a una velocità decisamente pericolosa). Da parte di chi aveva parcheggiato vi era stata violazione dell’articolo 158 del codice della strada, che prescrive a ogni automobilista di assicurarsi che dal luogo scelto per parcheggiare “non possa derivare pericolo per l’incolumità delle persone”. Quindi la condanna per concorso in omicidio colposo. Si è parlato anche di “sentenza decisamente innovativa”. In realtà non si tratta di un caso così inedito. Innanzi tutto perché la negligenza addebitata alla persona qui condannata per il parcheggio scorretto si fonda sulla violazione di una precisa norma di legge. Questa persona si è quindi accollata la responsabilità di una conseguenza causalmente riferibile alla sua azione (od omissione) colpevole, come di tutte le conseguenze causalmente riferibili alla sua condotta, come è fisiologico che sia in diritto. Poi perché la giurisprudenza già aveva affrontato questa tematica adottando decisioni e formulando massime. Con la sentenza n. 8435 dell’8.9.1993, infatti, la Corte di Cassazione aveva affermato che: “in tema di responsabilità colposa, quando l’imminenza e gravità di una situazione di pericolo sia percepibile con estrema facilità, chiarezza e prevedibilità e possa conseguentemente essere evitata con diligenza anche minima, va esclusa la colpa di colui che abbia realizzato una astratta concausa dell’evento dovendosi ritenere interrotto il nesso tra la causa remota e l’accaduto”. La fattispecie riguardava una vicenda in cui l’esecutore di lavori di manutenzione di una autostrada aveva parcheggiato il proprio veicolo sulla corsia di emergenza. In questo caso la Corte aveva osservato che “la perfetta visibilità e la completa e tempestiva avvistabilità dell’ingombro interrompeva il nesso causale”. Quindi era possibile che fosse riconosciuta una responsabilità per concorso in omicidio colposo da parte di chi, al contrario, avesse parcheggiato in modo da pregiudicare la perfetta visibilità e la completa e tempestiva avvistabilità del proprio veicolo e di ciò che esso poteva nascondere. Lo stesso identico principio è stato ribadito a livello di massima, se pure ad altro proposito, da ultimo con la sentenza n. 19630 del 25.5.2010. 24 Ancora più di recente, la Suprema Corte si è poi diffusamente soffermata su questo tema con la sentenza 32202 del 20.8.2010, chiarendo che: “poiché le norme sulla circolazione stradale impongono severi doveri di prudenza e diligenza proprio per fare fronte a situazioni di pericolo, anche quando siano determinate da altrui comportamenti irresponsabili, la fiducia di un conducente nel fatto che altri si attengano alle prescrizioni del legislatore, se mal riposta, costituisce di per sé condotta negligente. Ciò vale in particolare, ai fini che interessano, proprio con riferimento alle disposizioni del codice della strada di cui all’art. 140 (gli utenti della strada devono comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione stradale ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale) e art. 141 (obbligo di adeguare la velocità alle concrete condizioni della circolazione e obbligo di conservare sempre il controllo del veicolo), che dimostrano che la misura della diligenza che si pretende nel campo della circolazione dei veicoli è massima, richiedendosi a ciascun utente, al fine di controbilanciare l’intrinseca pericolosità della specifica attività considerata, una condotta di guida di assoluta prudenza della quale fa parte anche l’obbligo di preoccuparsi delle possibili irregolarità di comportamento di terze persone. Da ciò conseguendo che il principio dell’affidamento, nello specifico campo della circolazione stradale, trova un opportuno temperamento nell’opposto principio secondo cui l’utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente di altri utenti purché rientri nel limite della prevedibilità. Tale principio è qui calzante a fronte dell’argomento difensivo che vorrebbe radicare nella condotta del conducente sfavorito dal diritto di precedenza ogni responsabilità dell’incidente, quasi che il conducente avente diritto di precedenza non avesse, nonostante tale diritto, l’obbligo di assumere una condotta adeguatamente prudenziale all’approssimarsi di intersezioni ove possano provenire dei veicoli”. Le pronunce in tema, peraltro, non finiscono qui. Anche con la sentenza n. 10676 dell’11.2.2010, la Corte, se pure ancora ad altro proposito, aveva osservato tout court, proprio in un caso di omicidio colposo, che: “l’automobilista il quale per colpa consistita in violazione di regole di prudenza e delle norme sulla circolazione, sbandi ripetutamente e si arresti, alla fine, ponendosi di traverso sulla carreggiata di una strada (tanto più se a rapido scorrimento) - pone in essere, con la sua condotta, una condizione necessaria dell’arresto del traffico e delle successive eventuali collisioni sempre che non sia ravvisabile l’intervento di fattori anomali, eccezionali ed atipici che interrompano il legame di imputazione del fatto alla sua condotta colposa sì da relegarlo a mera occasione. In tal caso, il conducente pone in essere un fattore causale originario di rischio (ostruzione della carreggiata) dei successivi eventi collisivi, e l’eventuale condotta colposa (eccessiva velocità o mancato rispetto Le norme sulla circolazione stradale impongono severi doveri di prudenza e diligenza proprio per fare fronte a situazioni di pericolo della distanza di sicurezza) dei guidatori dei veicoli sopraggiunti, seppure sinergica, non può ritenersi da sola sufficiente a determinare l’evento non essendo qualificabile come atipica ed eccezionale ma potendo, bensì, collocarsi nell’ambito della prevedibilità”. Dunque, nulla di nuovo sotto il sole. Le norme richiamate trovano applicazione non solo nei casi più eclatanti e “teatrali” di manovre in caso di emergenza, ma anche in tutte le evenienze in cui un’ostruzione della visibilità sia determinata da un veicolo che già da tempo si trovi in situazione di quiete. Ovviamente, per essere riconosciuti colpevoli di tutto ciò che può poi avvenire, occorre anche una buona dose di “chiaroveggenza”. Occorre cioè, nel momento in cui si parcheggia, immedesimarsi nelle situazioni antagoniste degli utenti della strada che potrebbero sopraggiungere e, magari, ipotizzare anche che si tratti di persona con riflessi non eccezionali, ma semplicemente nella norma. Per non correre rischi, comunque, la cosa migliore sarebbe rinunciare al parcheggio in divieto di sosta e rassegnarsi a parcheggiare distante. Non dimentichiamo che l’insidia può nascondersi ovunque, anche alle spalle di una vettura parcheggiata a ridosso di un marciapiede, vicino a un muro, in un luogo isolato. Dietro, infatti, potrebbe esserci un bambino che gioca a nascondino. *Presidente di Sezione Tribunale di Bologna 25