La valigetta dimenticata - Museo della Memoria della Svizzera italiana
by user
Comments
Transcript
La valigetta dimenticata - Museo della Memoria della Svizzera italiana
Speciale 11 dicembre 2015 Ada Benini e Armando Albisetti: “Mi ritorna in mente …” La valigetta dimenticata • Dopo la pubblicazione del libro Il Gaggiolo sulla via della salvezza 1 (2014) , abbiamo ricevuto diverse altre testimonianze relative a quel periodo storico. La signora Ada Benini abita a Besazio. Leggendo l’articolo apparso su l’Informatore che raccontava i fatti capitati nel Mendrisiotto dopo l’8 settembre 1943, un intero passato si è riaffacciato alla sua memoria... La valigetta con l’indicazione: 17.9.1943 - ore 7 - sconfinato dal Gaggiolo. uscire. Mio padre era un uomo gioioso ed era contento di essere salvo in Svizzera. La sua serenità traspariva dalle sue lettere che la mamma leggeva a mia sorella ed a me. Mi sono ricordata della valigetta in legno che mio padre portava con sé quando oltrepassò la ramina: era il 17 settembre 1943; non ci si può sbagliare perché la data è scritta sul legno. La conservavo in cantina: sono andata a riprenderla e mi sono commossa. Cercandola, non so come mai, ho ritrovato le fotografie del papà quando era internato a Grossaffoltern (Berna), quasi come fosse lui a guidarmi la mano. Facendo un passo indietro, racconta la fuga dall’Italia. Mio papà, nato nel 1907, si sposò nel 1936 e io nacqui nel ‘37. Era contrario alle scelte di Mussolini. Quando c’eran i raduni, bisognava presentarsi in camicia nera. Lui ne metteva una bianca e la mamma era sempre preoccupata. Mi ricordo la notte che partì e lo straziante abbraccio con la mamma. Superò la rete di confine verso le 7.00 del mattino assieme al suo capo-ufficio presso il Credito Varesino e al proprietario della casa dove abitavamo a Varese. Il ritorno anticipato. Il papà tornò in Italia, passando da Luino, prima della liberazione del 25 aprile; la guerra non era ancora terminata e la mamma non era contenta. Arrivò in treno, valicò la ramina, sicuro che la guerra fosse finita, invece ci furono ancora momenti duri. Il suo rientro fu un momento molto commovente, ci abbracciammo a lungo. Dovette nascondersi in un albergo sul Monte Monarco. Per tenerlo nascosto, lo zio affittò tutta la parte superiore dove il papà viveva con noi bambine. In quell’albergo eravamo abbastanza sicuri, anche perché lì non bombardavano. Ma le emozioni della signora non si fermano qui. È proprio così! Sfogliando il libro ho trovato una Giavanni Tauro, con accanto la valigetta, a Grossaffoto che ritrae mio papà. foltern. Vivevano, lui e il suo amico espatriato, presso Ci fu però un episodio che mi ricordo bene. la famiglia Hänni. Quando il capofamiglia Un pomeriggio, sulla strada che porta all’aldovette entrare in servizio militare chiese ai bergo, la mamma vide arrivare due soldati responsabili dei campi internati due persone tedeschi. Ci disse di far finta di niente, di di assoluta fiducia perché doveva lasciare il continuare a giocare e di essere gentili. Non ristorante a moglie e figlia. Furono scelti capitò niente: i tedeschi erano venuti a fare il papà e il suo amico. Alla sera dovevano una passeggiata, ma ricordo bene il terrore rientrare al campo, ma durante il giorno della mamma, anche perché quella era una aiutavano nel ristorante, contribuendo a zona di partigiani. farlo funzionare. Terminata la guerra, i signori Hänni vennero a Varese ad incontrare Grazie Svizzera! mio padre e il suo amico, avendo di loro un Avevo 18 anni quando incontrai il mio ricordo molto bello. futuro marito. Anche lui venne colpito dalla guerra: era bolognese e suo papà Quelle lettere che giungevano a Ponte perì durante il conflitto. L’avevano scoperto Chiasso. mentre portava le armi ai partigiani viciDa giovane, il papà lavorò come parrucchie- no a Marzabotto e morì d’infarto. Il mio re e questo, da internato, gli servì; tagliava futuro marito aveva 9 anni. Per fortuna i capelli agli altri e i soldi racimolati con la famiglia del papà era benestante e poté le mance li spediva a mia madre. Però studiare. Conseguita la maturità, intendeva arrivavano alla zia Maria, sorella di mio seguire i corsi di ingegneria, ma non ce la padre, che abitava a Ponte Chiasso. Non ho faceva a conciliare il lavoro con lo studio, mai saputo quale fosse il tramite per farle allora pensò di venire in Svizzera dove trovò La dogana del Gaggiolo. lavoro a Zurigo; io lo seguii. Ci sposammo, ma io avevo una grande nostalgia e allora tornammo in Ticino. Mio marito è deceduto nel 2008. Eh sì, noi dobbiamo molto alla Svizzera. ************ Armando Albisetti è nato nel 1933 e vive a Morbio Inferiore. Suo papà, guardia di confine; nel 1943 era in servizio alla dogana del Gaggiolo. Sono cresciuto a Besazio dove abitavamo in un appartamento nella casa delle Dogane vicino al valico, ora chiuso, che portava a Clivio. Il territorio italiano dirimpetto a quella dogana venne evacuato e nel ‘40 mio papà trasferito a Stabio-Gaggiolo; vi restammo fino al 1944. La vita al Gaggiolo Oltre al responsabile Corinto Rossi, c’erano sei guardie con le loro famiglie. Ma nella frazione abitava diversa gente. C’era un negozio e anche un’osteria con una sala dove si ballava (era in funzione un “verticale” che suonava mettendoci il soldo (20 cts) e, la domenica, giungeva anche gente dall’Italia. Il cancello era chiuso e lo si apriva per fare passare mezzi e persone. I profughi Per quanto riguarda il grande esodo di italiani, l’impressione è che tutti fossero favorevoli ad accogliere coloro che entravano in Svizzera. Tanti erano ebrei. Una volta ne arrivò uno con un fagotto molto pesante: conteneva tutte monete d’oro. Riuscì ad entrare e disse a mio padre che a Cantello ce n’erano altrettante. Se fosse andato a prenderle avrebbero potuto trovare un accordo…, ma non se ne fece niente; bisognava rigare dritto, senza poi dimenticare che c’erano i tedeschi. Anche se mio padre non sapeva il tedesco, parlava coi tedeschi che pattugliavano il confine sul versante italiano e riuscivano anche a capirsi. Dietro casa c’era il bosco dove noi ragazzi costruivamo la capanna; diverse volte mi è capitato di vedere arrivare persone singole o in gruppo - entravano dai buchi che trovavano nella rete - che ci chiedevano cosa dovevano fare. Noi rispondevamo che dovevano annunciarsi alla guardia. A volte li aiutavamo portandoli in ufficio; le guardie facevano una telefonata a Berna e venivano accettati. Quando li trovavamo nel bosco e dicevamo che li avremmo accompagnati in dogana e da lì a Melano, si spaventavano perché pensavano che sarebbero stati riportati a Milano; poi ci chiarivamo. Ne arrivarono molti. Di regola venivano accettati; capitava che i soldati dessero loro la giacca o qualche altro indumento. Ancora ad Arzo Nel 1944 il papà venne mandato ad Arzo. Non c’era un gran traffico e i tedeschi erano lì vicino, nella casa Luraschi, a Saltrio. Da una finestra della casa doganale che guardava sul ponte limitrofo si vedeva un tavolo di legno, sopra al quale era piazzata una mitraglia che sarebbe entrata in funzione nel caso qualcuno avesse forzato l’entrata. Erano momenti molto critici. Alla fine della guerra, i tedeschi che occupavano casa Luraschi volevano entrare in Svizzera: dopo trattative vennero accettati a condizione di depositare armi e colpi abbandonati. Conservo ancora la tenaglia che i tedeschi usavano per tagliare la rete. Io, con altri ragazzini, in un primo tempo nascondemmo armi e colpi abbandonate nel bosco dai tedeschi. Poi segnalammo alle guardie dove si trovavano le armi, mentre i colpi, che erano tanti, li sotterrammo. Qualche tempo dopo, ci siamo chiesti cosa ne dovevamo fare. Un ragazzo, che lavorava già da un lattoniere, si procurò un paio di tubi e costruì una canna nella quale inserire i colpi. All’inizio mise una piastrina con attaccato un chiodo: tirando la piastrina, il chiodo avrebbe dovuto battere sul colpo e sparare. Quando toccò a me, il colpo rinculò e mi colpì la mano; un macello: sangue, grida, e chi più ne ha ne metta. Fui portato dal Dott. Diener che mi operò. Ancora oggi porto la cicatrice. Il signor Albisetti dispone di un rapporto redatto dal capo-posto della dogana di Arzo che descrive gli avvenimenti capitati tra il 1939 e il 1945. Riportiamo la parte finale che coincide col cessare delle ostilità: • “SITUAZIONE E AVVENIMENTI AL CONFINE 1945”. Alla n/frontiera a partire dal giorno 25.4.1945 si sono registrati degli avvenimenti, come pure un grande Giorno 26. I medesimi informatori unitamente a un ufficiale dei partigiani si recano all’Istituto, ca. le ore 11.15 per stabilire un appuntamento onde trattare la resa, il colloquio venne stabilito per ore 15.00 dello stesso giorno. I tedeschi anziché attendere l’ora prefissa alle 12.40 abbandonarono l’Istituto con armi e munizioni, dopo aver danneggiata e resa inservibile la mitragliatrice pesante. Praticarono una grande apertura alla rete metallica in prossimità del varco stradale penetrando fino al confine. Con l’ausilio del n/ personale, militari compresi abbiamo trattenuto al confine il gruppo. Alle ore 17.00 i disertori furono definitivamente accettati e fatti proseguire a Mendrisio pretorio a mezzo truppa, con tutti i loro effetti personali, due cani e 7 biciclette. Si tratta di un totale di 39 disertori tedeschi, 20 dei quali prestavano servizio di polizia confinaria. Subito dopo quest’ultimo avvenimento un Cap. dei partigiani si presentava al cancello It. e riferiva che nei dintorni di Viggiù vennero fermati due camion di militari tedeschi intenzionati ad entrare in Svizzera attraverso questo varco. Intraprese le pratiche presso l’autorità competente, dato che la decisione fu negativa, risposi pregando di non insistere e pensare loro stessi all’internamento in Italia. Nel frattempo gli altri partigiani occupavano l’Istituto. Circa mezz’ora dopo sopraggiunsero i due camion tedeschi: arrivati all’altezza dell’Istituto i partigiani aprirono una scarica di fuoco forse per far intendere a noi, che detti tedeschi sono incalzati dal fuoco e che hanno diritto all’ospitalità. Una parte dei tedeschi scesi dai camion praticarono un’apertura attraverso la rete, entrando così in vicinanza del confine politico. Informato il Caposettore, mi rispose di trattenerli oltre confine, poiché probabilmente la loro sorte era quella di restare in Italia. La notte si inoltrava, fu giocoforza chiedere rinforzo. Alle ore 23.00 arrivarono due sezioni di granatieri comandati dal Cap. Regli, il quale dopo accertamenti assunti, distribuiva lungo il confine una sezione mentre l’altra rimaneva in attesa. Il giorno 27. Alle ore 10.00 arrivava il Sig. Col. Cdte. di Corpo Constam. Dopo esame della situazione diede ordine di mettersi in relazione con il Cdo. Ter. 9b. il quale comunicava che aveva ricevuto in quel momento l’ordine di accettarli. Procedemmo al loro disarmo, nonché al ritiro della munizione, alla visita dei sacchi; dopo le formalità ultimate vennero L’Istituto Luraschi di Saltrio afflusso di disertori tedeschi rifugiatisi in Svizzera in cerca d’asilo. Giorno 25. Ore 16.00 abbiamo notato il parroco di Clivio di Saltrio e Viggiù accompagnato dal maresciallo della dogana di Saltrio entrare all’Istituto Luraschi, ove erano accasermati un contingente di militari tedeschi, per riferire probabilmente l’imminente arrivo dei partigiani. Indi i militari tedeschi prendono degli energici provvedimenti di difesa, cioè una parte di detti tedeschi armati di moschetto disarmano i militi neofascisti acquartierati nella caserma delle guardie, sita di fronte all’Istituto. Trasportarono con loro armi e munizioni mentre i militi fascisti indossarono l’abito civile e partirono in direzione di Saltrio. La seconda metà dei militi tedeschi piazzarono armi automatiche attraverso le finestre del primo piano, stabilirono un punto d’osservazione sul tetto del caseggiato nonché di una mitragliatrice pesante. Da parte n/ preparativi di difesa e intensificata sorveglianza. Per tutta la notte i tedeschi restano allarmati pronti per un eventuale attacco di sorpresa. consegnati a un gruppo di militari della comp. Granatieri 30 e fatti proseguire a Mendrisio Pretorio. Si tratta di un contingente di 89 uomini, 4 donne samaritane, 1 cane, 2 camion carichi di viveri e di effetti personali usati. Per ordine dell’ufficio P.P. di Chiasso i viveri nonché gli effetti usati vennero lasciati in possesso dei tedeschi e fatti proseguire con i due camion stessi fino a Mendrisio. Le armi e la munizione consegnata alla truppa per ordine del Cdo. Ter. 9b. dietro ricevuta. Giorno 28. Animazione dei partigiani all’Istituto e arrivo di alcune R.R. guardie al varco. Da parte nostra dopo l’ordine di chiusura totale della frontiera, alle ore 05.30 arriva la Compo. V/94 e ricognizione del confine colla stessa. Servizio a cura di Guido Codoni e Marco Della Casa NOTE 1) Il Gaggiolo sulla via della salvezza, Guido Codoni – Marco Della Casa, Tipografia Stucchi, Mendrisio, 2014.