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MADRE ANTONIA LALÌA FIGLIA DI SAN DOMENICO E DI SANTA

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MADRE ANTONIA LALÌA FIGLIA DI SAN DOMENICO E DI SANTA
MADRE ANTONIA LALÌA
FIGLIA DI SAN DOMENICO E DI SANTA CATERINA
Inizio con alcuni cenni biografici della nostra Ven. Madre, che tutti a Misilmeri
conoscono bene.
Madre Maria Antonia Lalìa (al secolo Rachele) nacque a Misilmeri il 20
maggio 1839. A 17 anni Vestì l’abito domenicano nel Collegio di Maria di Misilmeri e
qui ricevette una formazione prevalentemente domenicana, in quanto la fondatrice del
detto Collegio, Madre Crocifissa Calandra, già Terziaria domenicana, gli aveva dato una
particolare impronta, impegnandosi a vivere l'ideale dell'Ordine di San Domenico.
Pur non essendovi ancora un'approvazione canonica, le Collegine infatti avevano
il titolo del “Santissimo Sacramento” e vivevano sotto la Regola di San Domenico e
della Beatissima Maria Vergine del Santissimo Rosario e, dopo l'approvazione
dell'Ordinario di Palermo (5 ottobre 1732), Sr. Maria Crocifissa Calandra fu
canonicamente nominata superiora delle "Conventive del SS. Sacramento, Figlie di
Maria Vergine del SS. Rosario e religiose del Patriarca San Domenico".
Praticamente esse costituivano una comunità di Terziarie Regolari Domenicane,
che però seguivano le Costituzioni del II Ordine di San Domenico e, a differenza degli
altri Collegi di Maria, in cui le Collegine avevano un abito caratteristico e non erano vere
e proprie religiose, nel Collegio di Maria di Misilmeri invece, fin dall'inizio, i membri
della comunità indossavano l'abito domenicano e professavano la stessa Regola di San
Domenico delle claustrali del monastero della “Madonna della Pietà” di Palermo, che
aveva sede nell'artistico palazzo Abbatellis. Persino la formula di professione era quella
comune a tutti i monasteri del II Ordine e si discostava di poco da quella usata per la
professione dei frati.
Per Rachele la Vestizione fu quindi un'occasione preziosa per alimentare il suo
entusiasmo, il suo fervore religioso e l'attaccamento al Fondatore, San Domenico.
Questa devozione completava quella da lei nutrita principalmente verso Gesù e poi
Maria SS.ma e San Giuseppe
Del Santo Padre Domenico e della Santa Madre Caterina da Siena suor
Antonia si sentiva pienamente figlia ed erede e nel continuo riferimento a questi due
modelli ella visse il suo ideale religioso ed apostolico, alimentando così un immenso
amore per l'Ordine di San Domenico, di cui si sentiva membro vivo.
Di Domenico e Caterina condivideva non solo l'anelito contemplativo, ma anche
l'ardente zelo apostolico e quella misteriosa «fame di anime» che aveva reso "itinerante"
sia il Padre dei Predicatori, sia l'umile mantellata senese. Come Domenico e Caterina,
anche lei si fece "penitente" e "mendicante", per unirsi sempre più a Dio e guadagnare a
Cristo i fratelli. Come loro parlava di Dio o con Dio e trascorreva davanti a Gesù
Eucaristia lunghe ore del giorno e della notte. Fin da quando era a Misilmeri, le sue
pratiche ascetiche avevano uno stile cateriniano: il digiuno di un'intera quaresima
sostenuta solo dalla S. Comunione, l'uso di strumenti di penitenza, le flagellazioni a
sangue, le mortificazioni pubbliche per spirito di penitenza e per stimolare le sue
consorelle alla virtù ...
Riscontriamo nella Madre alcuni tratti caratteristici del Fondatore dei Predicatori:
Domenico avrebbe voluto evangelizzare i Cumani … Madre Antonia sognò
incessantemente la Russia … ed offrì a Dio il sacrificio di un ideale infranto, ma lasciato
in eredità alle proprie figlie, nella certezza che esse lo avrebbero realizzato al posto suo.
Come Caterina, la Serva di Dio fu istruita direttamente da Gesù nei suoi intimi
colloqui eucaristici e, quando parlava alle suore per infervorarle all'amore divino, non
esprimeva una dottrina appresa sui libri, ma comunicava la sua esperienza personale di
fede. Come Caterina nutriva una viva devozione a Maria SS.ma, a cui si rivolgeva in
tutti i momenti, soprattutto nelle difficoltà, e venerandola con peculiare tenerezza filiale.
All’età di soli 25 anni suor Antonia divenne responsabile della sua Comunità, che
seppe guidare con amore e fermezza, pur sentendosi l’ultima delle sue Consorelle.
Dopo un lungo e sofferto tirocinio di maternità spirituale, mantenendosi sempre
fedele all'ideale domenicano contemplativo-apostolico, cercherà non solo per sé, ma
anche per le sue figlie, i mezzi idonei a raggiungere tale scopo: le pratiche ascetiche, la
preghiera privata e corale, l'osservanza della vita regolare.
Le sue esperienze spirituali sono a riguardo molto significative.
Il 4 agosto del 1877, solennità del Patriarca San Domenico, "alle ore 10 e mezza
circa del pomeriggio" … vide il santo che aveva in mano delle palme e le consegnava ad
ogni religiosa che si sforzava di osservare fedelmente la Regola. Dopo questa ed altre
visioni simboliche, si sentì ispirata a pregare per la Russia e ad impegnarsi per la causa
dell’unità della Chiesa.
Quest’ansia l’accompagnerà per tutta la vita!
Verso i Padri Predicatori Madre Lalìa ebbe sempre una profonda stima, sentendosi
a loro legata in modo vitale e scelse tra i Domenicani più preparati in campo spirituale ed
intellettuale coloro che avrebbero dovuto dirigere la anima sua e delle sue Consorelle.
Della sua ricchezza interiore fu infatti debitrice ai suoi direttori, in modo
particolare al padre Lombardo e poi al padre Lepidi, ambedue Domenicani saggi, dotti
e prudenti, di grande levatura culturale-teologica, spirituale e morale. Da loro ricevette
direttive, consigli ed orientamenti. Ed essi, pur esaminando con molta prudenza quelle
che lei stessa definiva "fantasie", furono attenti all'opera della grazia divina, senza
mancare di metterla alla prova per poter discernere da quale Spirito fosse animata: nelle
lettere della Madre traspare sempre lo spirito di profonda umiltà da cui era animata ed il
profondo rinnegamento di sé che giunse a farle accettare persino di non poter mai attuare
personalmente il proprio ideale.
Il Domenicano Padre Lombardo, da lei scelto come guida spirituale, restauratore
dell'Ordine Domenicano in Sicilia, comprese subito di avere a che fare con una grande
anima e diede grande peso alla vocazione missionaria della Madre, pienamente inserita
nel carisma proprio dell’Ordine. Egli però cercò di farle capire l'enorme difficoltà, per
non dire l'impossibilità, di fondare un convento di Suore cattoliche a Pietroburgo,
giacché lo Czar di Russia era avverso alla Chiesa Cattolica, ma le promise che avrebbe
fatto il possibile per aiutarla ed avrebbe scritto al Maestro Generale dell'Ordine.
In attesa della risposta le propose un'alternativa alla missione in Russia: perché
non andare in Tunisia? Di questo avrebbe potuto parlare con il Cardinale Lavigerie,
attuale Pastore di quella regione missionaria e tale scelta sembrava più conveniente,
perché in Tunisia c'era allora più libertà religiosa che non in Russia ed il Cardinale
avrebbe accettato volentieri l'aiuto di una comunità religiosa. Inoltre Tunisi era molto
più vicina alla Sicilia e lì c’era una colonia di circa dodicimila italiani, la maggior parte
dei quali erano siciliani ed avevano bisogno di educazione civile e religiosa per sé e per i
loro figli.
Finalmente da parte del Cardinal Celesia giunse l'ordine di partire … ed era
proprio il giorno della festa del Santo Padre Domenico !
Quando Madre Antonia giunse a Roma, pensava che questa fosse la prima tappa
del suo viaggio verso Pietroburgo, ma Dio aveva altri progetti su di lei e proprio nei
locali abbandonati di San Sisto - ceduti dai Domenicani Irlandesi - iniziò la
Congregazione della “Suore Domenicane Missionarie di San Sisto”: era il 17 gennaio
1893.
Per poter comprendere il grande amore filiale che Madre Lalìa nutriva verso il
Padre dei Predicatori, bisogna leggere il brano della sua Cronaca, dove descrive il primo
ingresso a San Sisto:
"Entrammo nella chiesa affatto diserta e nella prodigiosa aula capitolare del Santo
Patriarca Domenico, di cui l'altare e al di sotto della lastra della mensa consacrata da
Benedetto XIII erano tutti pieni di tela di ragni ed in uno squallore indescrivibile. Ciò
per incuria del custode, il quale ci aveva due figlie, che attendevano ad abbigliarsi e
poco o nulla curavano il decoro di tanto preziosissimo e miracoloso santuario.
Questa dolorosissima visita mi fe' versare amarissime lagrime talmente che, fortemente
e dirottamente piangendo, ripetevo con il cuore: - Santo Padre Domenico, fatemi
entrare qui a San Sisto, ed io curerò la pulitezza di questa venerabile santa Aula, e più,
del sacro altare.- Uscendo dissi alla Rev. Madre benedettina: - L'ho trovata -, e con
santo giubilo ripetevo: - L'ho trovata, l'ho trovata. -”
Quando si recò dal Maestro dell'Ordine, dopo aver pregato ardentemente il santo
Patriarca Domenico, egli l’accolse “benignamente e mi diede a sperare l'esito felice;
ma concluse che ne dovea pria farne parola a chi di ragione… Tutto mi sorrideva e
sembrava che da un giorno all'altro ne avessi avuto il sospirato possesso".
Numerose furono le difficoltà che la Madre dovette affrontare, ma esse non
diminuirono il suo profondo attaccamento all’Ordine e il 20 dicembre del 1891, si
rivolse nuovamente al Maestro Generale, perché le concedesse finalmente di andare ad
abitare a San Sisto, "il più venerabile dei locali del nostro santo Ordine Domenicano.”
Per lei ricevere il suo benestare per andare a San Sisto significava anche compiere un
primo passo per essere ammessa, con la piccola comunità che stava per nascere,
nell'Ordine Domenicano e, sostenuta da una grande fede, nulla riuscì a scoraggiarla in
questo intento:
"La meschinella madre generale sempre pregava il glorioso Santo Padre
Domenico e sperava la esecuzione dal Divin Cuore dello Sposo tre volte Santissimo.
Pertanto non lasciava di supplicare chi di ragione".
Ella si sentiva legata vitalmente a tale Ordine ed attese a lungo la grazia di veder
aggregata all'Ordine la propria Congregazione, cosa che ottenne a prezzo di grandi
sacrifici e penose umiliazioni. Seppe attendere l'ora della Provvidenza, sottomessa
all’obbedienza, ma non rassegnata e non si stancava di rivolgersi ai suoi consiglieri
domenicani. Proprio padre Lepidi le "portò, all'apertura di San Sisto, un ramo
dell'arancio di San Domenico di Santa Sabina e disse: Se questo prende, la comunità va
avanti; se secca, la comunità finisce. Era senza radici. Lo piantarono e mise subito tante
foglie grandi e forti."
L' "angelo protettore" di Madre Lalìa fu il Vicario per la città di Roma, il Card.
Lucido Maria Parocchi, che la comprese, l'apprezzò, la protesse, incoraggiando la sua
opera di Fondatrice e di restauratrice del monastero di San Sisto.
Il 30 maggio 1903, la Serva di Dio, forse dietro esplicita richiesta della
Congregazione per i Vescovi e i Regolari, presentò una prima «Memoria» su “La nostra
posizione davanti all'autorità ecclesiastica di Roma”, seguita da un'altra su “La nostra
posizione come terziarie domenicane davanti al Generale dell'Ordine di San
Domenico”.
Ottenuto il Decreto di approvazione la Madre si recò dal Maestro Generale
dell'Ordine Domenicano, P. Andrea Frühwirth, per chiedergli la tanto sospirata grazia e
finalmente, nel 1903, questi concedeva alla Congregazione di San Sisto la tanto attesa
affiliazione:
“Ora che sono accertato di queste condizioni, aderisco ben volentieri alle
reiterate suppliche che mi furono presentate da Lei e dalle sue compagne: intendo
perciò, con la presente, di riconoscere da questo punto le Suore della Casa di S. Sisto
quali vere Figlie di San Domenico, aggregarle all'Ordine nostro e ammetterle alla
partecipazione dei favori, privilegi e beni spirituali di Esso, facendo voti perché il S.
Patriarca Domenico e tutti i Santi dell'Ordine cui è dedicata la solennità di dimani (il
giorno 9), siano loro propizi e le prosperino in ogni bene.”
(Lettera di affiliazione della Congregazione all'Ordine Domenicano 8 /11/1903)
Da quel momento i rapporti con la Curia dell'Ordine si fecero sempre più
familiari, per cui la Congregazione di San Sisto poté godere dei benefici spirituali
annessi all'aggregazione e dell'assistenza dell'Ordine in campo spirituale e liturgico.
È sorprendente constatare la memoria prodigiosa con cui Madre Lalìa racconta
fedelmente gli eventi non solo nella loro successione cronologica, ma anche nei minimi
dettagli, evidenziando gli stati d'animo propri ed altrui, con giudizi sempre sereni ed
obiettivi, anche quando rileva aspetti negativi e rivive vicende dolorose.
L'importanza della Cronaca non è solo storica, ma anche autobiografica. È viva
espressione di un'anima religiosa, tenera e forte insieme, desiderosa di "zelare" la gloria
di Dio, lavorando per la salvezza delle anime, secondo l'ideale proprio di San Domenico
e del suo Ordine. In essa il cuore della Madre parla alle figlie, per consegnare loro in
eredità la sua opera, il suo spirito, il suo intendimento, il suo progetto apostolico, il suo
carisma, il suo patrimonio spirituale ... tutta se stessa.
La Madre Antonia Lalìa e S. Caterina da Siena
Come abbiamo già detto, Madre Lalía guardava al S. Padre Domenico ed a S.
Caterina da Siena come ai suoi modelli, certa che la sua vocazione fosse insita nello
stesso carisma generale dell'Ordine dominicano: ardente zelo apostolico e desiderio
intenso di salvare le anime. E questo spirito trasmetterà alle sue figlie, chiamate ad
essere educatrici e missionarie, prima di tutto con la santità di vita, con deliberata e forte
volontà di non commettere alcuna mancanza volontaria. Esse dovranno avere una piena
umiltà di cuore e di volontà, per poter “abbracciare volontariamente ogni tipo di
disprezzo, ogni sofferenza ed ogni fatica, riconoscendosi meritevoli di qualunque
umiliazione non solo per i propri peccati ed imperfezioni, ma anche per i peccati degli
altri, ad esempio di Gesù Cristo.”
L'ideale missionario, diretto in un primo momento verso una realizzazione esterna,
gradualmente comincia ad interiorizzarsi ed ad approfondirsi, prendendo una nuova
fisionomia, quella ecumenica.
La Madre stessa descrive nei particolari questa nuova chiamata:
“Oggi, giorno di Pentecoste fui spinta a pregare per l'unità delle Chiese separate dalla
Chiesa Cattolica, apostolica, romana . Pregai con tutta l'anima e l'effusione del mio
povero spirito, energicamente mi sentii ispirata a consegnarmi tutta per l'unità delle
menzionate chiese. Mi fu fatto conoscere che, come la nostra Santa Madre Caterina era
stata strumento per ristabilire qui a Roma il Papato, in ugual maniera io sarei
strumento dell'unità di dette Chiese separate dal seno materno della nostra sacra Chiesa
unica e sola Maestra di ineffabile verità. Io volendo assecondare detta sacra
ispirazione, soggetta alla sacra obbedienza, mi dedico col pensiero, con le opere e col
discorso al su ricordato sacro fine. Perciò, sin d’ora, intendo pregare in tutti i minuti
della mia vita futile, e per quanti sono i momenti dell’eternità, perché venga e presto la
sospirata e santa unione di tutte le chiese sotto il regime del Pastore universale, il Santo
Romano Pontefice.”
(SD, vol. 7, pp. 13-14)
Tutti quelli che hanno scritto o parlato della Madre Sr. Antonia Lalìa, hanno
riconosciuto che era imbevuta di spirito domenicano e soprattutto che S. Caterina da
Siena era la Maestra e il modello della sua vita interiore e della sua azione apostolica. Di
Caterina subì soprattutto il fascino spirituale, desiderando essere erede della sua
missione e difendendo perciò il ruolo della donna nella chiesa.
Come abbiamo accennato prima, a somiglianza di Caterina, la Madre che non aveva
una grande cultura scolastica, aveva appreso molto dalle prediche, dalle pie letture fatte a
Misilmeri, e sopratutto da Gesù stesso che la istruiva nell’orazione. Quando Lei parlava
alle sue suore per infervorarle all'amore divino o scriveva le sue lettere al Re di Francia o
allo Czar della Russia, al Papa, a Sacerdoti o alle sue religiose, e quando scriveva le sue
preghiere, non esprimeva una dottrina appresa sui libri, ma la sua stessa vita interiore, la
sua esperienza spirituale, il fervore della sua fede e del suo amore, e lo faceva con una
certa proprietà teologica che ci stupisce.
Come Caterina, anche lei si sentì «figlia della Chiesa», particolarmente vicina al
Santo Padre, Pastore supremo di quell'ovile in cui avrebbe voluto veder riunite tutte le
altre chiese, nel superamento di ogni scisma e divisione, per il trionfo dell' unità.
La Madre, come Caterina, era obbediente ai confessori e ai consiglieri spirituali,
anche quando contraddicevano alle sue ispirazioni o ai suoi aneliti missionari. Chiedeva
loro consigli e aiuti per fare sempre la volontà di Dio, quella volontà che adorava,
secondo la frase da lei spesso ripetuta: «Quanto degna sei d'amore, o Divina Volontà».
Donna volitiva, tenace, risoluta a fare ciò che riteneva voluto da Dio, come Caterina
era «virile», ma anche ricca di tenerezza, affettuosa, materna. Anche quando si mostrava
rigida ed esigente, per eliminare ciò che non è secondo Dio, lo faceva sempre con
quell'amore di cui era ricco il suo cuore. Mamma forte, dunque, ma insieme umilissima.
L'umiltà é la virtù, che M. Lalla praticò costantemente e in tutti i suoi aspetti, durante la
sua vita e specialmente nei quattro anni del suo esilio a Ceglie Messapico, conclusosi
con la sua santa morte.
La «meschinella Lalìa», come si definiva, riuscì con la mitezza, l'abbassamento, il
rinnegamento di sé, la sottomissione e l'obbedienza ai Superiori e ai confessori, ad
acquistare tanta umiltà da praticarla con un'estrema disinvoltura, come se fosse divenuta
una sua «seconda natura» ... ed il Signore, che dona la sua grazia agli umili, la rese forte
fino all'eroismo, in qualunque prova, proprio come S. Caterina.
Egli le concesse di compiere le imprese più ardite, confidando solo in Lui; la fece
docile e sottomessa alle Autorità della Chiesa in ogni occasione; la fece amante della
penitenza e capace di accomodarsi a tutto, di accettare tutto, senza mai lamentarsi di
niente; le insegnò ad amare la povertà; a vestirsi dimessamente con abiti rattoppati ma
puliti, a sopportare la mancanza anche del necessario, sorretta da una incrollabile fiducia
nella Divina Provvidenza.
Riuscì a comprendere e compatire le sue suore, persino le meno virtuose, fino al
punto che la sua umiltà venne giudicata debolezza nel governo della Congregazione, per
cui ne fu esonerata ed allora recitò il “Te Deum” di ringraziamento, come faceva dopo
ogni prova, che sapeva accogliere come una grazia preziosa. Secondo S. Caterina
l'umiltà e la carità vanno di pari passo e sono il fondamento della santità; fu così anche
per la Madre. L'amore di Dio e dei fratelli, che palpitava nel suo cuore materno,
consacrato con tre voti, di povertà, castità e obbedienza, si manifestò nel suo
ardentissimo desiderio della gloria di Dio e della salvezza degli uomini; nel suo amore e
nella sua dedizione alla Chiesa e al «dolce Cristo in terra»; nel fondare la
Congregazione delle Suore Domenicane di S. Sisto, dedite all'educazione delle fanciulle
e infiammate anche di spirito missionario, di vera «fame per le anime»; nel voto da lei
fatto a Misilmeri (27 aprile 1877) di andare missionaria in Russia per istituirvi una scuola
cattolica e per operare la riunione degli Ortodossi alla Chiesa Cattolica; voto che
desiderò sempre attuare nella sua vita e lasciò in eredità alle sue suore, assieme alla
bellissima preghiera per l'unione dei cristiani da lei composta.
L'ansia ecumenica per l'unità della Chiesa accomuna in modo singolare Madre Lalìa
a S. Caterina: l'umiltà e la carità della Madre trovarono alimento, come per S. Caterina,
non solo nell’assidua meditazione della passione e morte del Salvatore, ma anche nella
devozione all'Eucarestia: la sua passione, il centro irradiatore di tutta la sua vita, il
segreto della sua pace e della sua forza, era Gesù presente nel mistero Eucaristico.
Davanti a Lui si tratteneva a lungo, in adorazione, per consultare la sua SS.ma Volontà,
che Ella voleva attuare in ogni circostanza, rifuggendo dalla volontà propria.
Come Caterina, Madre Lalìa era infatti affamata dell'Eucarestia e, dopo aver
ricevuto la S. Comunione rimaneva per molto tempo in un profondo raccoglimento, che
le suore si guardavano bene dal disturbare allontanandosi silenziose dopo la S. Messa.
Ella rimaneva sola, come rapita in estasi ed in quei colloqui intimi col suo Gesù,
cresceva ogni giorno di più nel suo amore per Lui e per le anime, nel desiderio di operare
e patire per Lui e per la sua Chiesa, nella volontà di farlo conoscere e amare dalle sue
suore, dalle alunne dei suoi istituti, da quanti poteva incontrare nel suo cammino. E sul
suo volto pallido, quasi diafano, si leggeva la luce di chi aveva fissato lo sguardo
dell'anima nel «mare pacifico» della divina purità e bellezza.
Come S. Caterina, Madre Lalìa ebbe - come abbiamo già detto - anche una grande
devozione a Maria SS.ma, di cui invocava l'intercessione e la «presenza», in tutti i
momenti del suo cammino spirituale e nell’iter delle sue opere, specialmente quando si
presentavano difficoltà. Maria era la Regina del SS.mo Rosario, l'Immacolata
Concezione, la Mamma celeste, la Madonna di S. Sisto, alla quale chiedeva con insistenza di impetrarle il dono più prezioso: la somma grazia del Divino Amore. E della
Madre di Gesù seppe imitare la virtù per cui piacque all'Eterno Padre, ossia l'umiltà.
A Caterina possiamo paragonarla per la sua grande devozione a S. Domenico e per
il suo anelito di diffusione della verità evangelica, riprendendo come Lui «l'ufficio del
Verbo», con l’impegno di imitarlo nella contemplazione della passione di Cristo
crocefisso per la salvezza del mondo.
Numerose sono dunque le concordanze tra S. Caterina e la Madre Lalìa: il culto
della presenza di Dio onorato con la preghiera mentale e vocale, le visioni o «sogni»,
come li chiamava la Madre, e le estasi con cui veniva attratta dal suo Signore, uniscono
le due Domenicane che chiudono entrambe la loro esistenza terrena con quello che
sembrerebbe un “fallimento” agli occhi del mondo.
S. Caterina aveva avuto la missione divina di riformare la Chiesa e per questo aveva
ottenuto dal Papa Gregorio XI il ritorno della sede pontificia da Avignone a Roma … ma
sotto il successore Urbano VI scoppiava lo scisma che sembrò il fallimento della
missione di S. Caterina ... mentre lei si sforzava in tutti i modi, con la preghiera e con la
sofferenza, di far riconoscere il vero Papa e ricondurre tutti i cristiani all'unico ovile di
Cristo. Con la preghiera e la sofferenza portava sulle sue deboli spalle la navicella di
Pietro e morì il 29 aprile 1380, offrendo la sua vita per la Chiesa, senza vederne l'unità.
In verità tutte e due, Caterina Benincasa e Antonia Lalìa, avevano ardentemente
desiderato il martirio e Gesù le esaudì a modo suo, facendole entrambe martiri d'amore
per la Chiesa.
Madre Lalìa aveva coltivato persino il progetto di unirsi ad altre religiose
domenicane per vivere secondo lo spirito e la missione di “Santa Caterina da Siena” ed
essere disponibili ad eventuali richieste del Sommo Pontefice di andare in qualunque
Paese a istruire e catechizzare le fanciulle infedeli. Pur mantenendosi nella sua umiltà era
pronta a tutto e tutto trovava facile. A chi le diceva che i tempi sono difficili e nulla
permettono, rispondeva che "erano più tempi di empietà quando uscì in campo il nostro
santo Patriarca e la nostra santa Madre Caterina". E con indomito coraggio diceva: "Il
Papa in seno alla Chiesa Cattolica Romana racchiude tutti i divini tesori compartiti
nella creazione e santa rivelazione, e meritati da Gesù Cristo in dono allo umano
genere, a misura del quando e del quanto ordinerà largirglieli. Perciò io non chiedo
altro che il mio, ed il Santo Padre accordandomi l'istituzione delle Missionarie legittime
eredi della Santa Madre Caterina da Siena, non mi concederà o darà altro in ciò, che il
mio, anzi il puro mio".
Ella intuì questa verità, applicandola alla missione della donna nella Chiesa, con uno
sguardo profetico sui tempi:
- Se Dio mi dà una vocazione, una grazia, una missione, il Papa ha il compito di
amministrare e di concedermi ciò che è già mio, in forza di una divina destinazione."La missione della donna - continua - gliela diede Dio stesso, in persona di Maria là nel
Paradiso terrestre, allora quando intimò al serpente infernale, che la donna gli sarebbe
stata nemica, e la donna gli avrebbe schiacciato il capo superbo. Perciò la donna
cristiana, erede legittimissima della Immacolata Maria, in Maria si ebbe la grazia della
possanza, tanto necessaria alla donna missionaria. Più, la donna si ebbe la missione, e
perciò la grazia di Gesù Cristo, di chiamare qual strumento missionario tra gl'infedeli,
lo annunziò la Samaritana quando annunziò il Messia ai suoi compaesani e li condusse
da Gesù Cristo, al pozzo di Giacobbe, vero simbolo dell'indeficiente grazia, che in sé
racchiudeva Gesù Cristo, perché vero Messia. Più, la donna si ebbe confermata la
missione di Magistero e di ambasciatrice da Gesù risorto allora quando apparve alla
Maddalena e la mandò agli Apostoli dicendole: Vade autem ad fratres meos et dic eis:
Ascendo ad Patrem meum et Patrem vestrum, Deum meum et Deum vestrum (Giov. 20, 17)
... ai nostri tempi ed in persona della nostra Santa Madre Caterina da Siena, il
medesimo Dio continuò e confermò la missione della donna, sì nel Magistero, sì di
Ambasciatrice, sì nella possanza di sua Divina Missione. Nel Magistero, quando la
stessa Santa Madre parlò al Concistoro dei Cardinali presente il Papa Urbano VI. Di
Ambasciatrice, quando al Papa Gregorio XI intimò a nome di Dio il ritorno nella città
santa; ed ai re e ai sudditi si fece interprete dei Divini Voleri. La possanza di sua
Missione, allora quando col profetico svelamento del voto fatto secreto, da Gregorio XI
ottenne il ritorno del Santo Padre in Roma, voluto da Dio, e la pace alla Chiesa lottante.
In verità tutta la vita di detta Eroina da Siena è stata una continuata, santa Missione
...".
"Subito arrivata a Roma [...] per la prima volta umile pregai all'altare dove
gloriosamente riposa il beato corpo di Santa Caterina da Siena, e, mentre da indegna
pregavo, intesi un odore assai profumato per tutto il tempo che ivi pregai; ma credevo
che i fiori che vi erano posti d'innanzi fossero naturali e pertanto esalavano il grato e
molto assai odore che io vi sentiva; talmente ciò credeva che dissi a chi mi stava vicino:
Oh come erano odoriferi i fiori che ornavano la preziosa urna della Santa Madre
Caterina! Subito mi si fece osservare che non erano stati i fiori che sì soave profumo
esalavano, perché non erano naturali, ma artificiali. Io restai umiliata, grata ed
ammirata del come il santo corpo sì frescamente olezzava tanto odore soavissimo".
Tutte con l'aiuto di Dio saremo collegine domenicane eredi della santa Madre
Caterina da Siena, Missionarie. Cioè io e le postulanti, quando saranno professe e piene
dello Spirito del santo apostolato partiremo per la santa Missione, ed altre che il buon
Dio manderà in uno alle due collegine che verranno da [ Misilmeri ....] qui a San Sisto a
formarne altre e così essere molto il numero delle nostre Collegine Missionarie.
Sommetto che la prova della presente casetta diede il risultato a me ed al Rev.mo
nostro Padre Direttore che io mi accingessi a detta opera con le mie collegine
Domenicane e con postulanti che sin dalle radici saranno pure Domenicane, e la
Benedettina che avrebbe voluto farsi Domenicana. Io non la volli per mia compagna in
detta opera, sebbene mi offriva mezzi [materiali], per il rispetto dovuto al santo suo
Patriarca Benedetto. Ma se Dio vorrà cosa di lei, la faccia benedettina giusto la sua
professione. Così, senza mescolanza di varie radici, l'opera riuscirà più forte e più
tranquilla. Mi aggrazi ora perciò a permettere che vengano almeno due collegine di
Misilmeri per presto cominciare vera e perfetta vita religiosa in San Sisto. Se no, contro
mia voglia, sono costretta a ritornare e lasciare l'opera in sospeso, perché non voglio
affatto stare in questa attuale casa che non è totalmente religiosa e perciò priva di
Gesù Sagramentato (sic) e dei santi esercizi della vita santa religiosa".
(Lettera del 3 dicembre 1892: SD, vol. 3, pp. 711-712)
“Dovendo essere eredi della nostra Santa Madre Caterina, bisogna prima di tutto
ereditarla nella brama ardente che la medesima nutriva per il martirio, perciò non
mancare le religiose al martirio effettivo, quando Dio darà loro tanta preziosa grazia,
ma restare il merito del martirio affettivo a quelle nostre religiose alle quali il buon Dio
non largirà la grazia del martirio effettivo. È per questo che io chiedo aiuto, acciò, con
la grazia del Signore, fatighiamo a formare religiose a seconda il detto programma.”
"La prego a tener presente il mio scopo, quale si è di noi essere suore domenicane
missionarie, con l'osservanza della regola primitiva, con i voti semplici perpetui, eredi
della serafica Madre Caterina da Siena, e nulla c'importa che chiamino Terziarie. Il
nostro programma è farci tutte a tutti per guadagnare tutti allo Sposo Divino”.
(Lettera del 17 aprile 1899: SD, vol. 4/I, p. 248)
Ed ancora nella spiritualità domenicana si innesta pienamente l’ulteriore sviluppo
ecumenico del carisma laliano:
“Oggi, giorno di Pentecoste, mentre in me sussistevano le specie sacramentali
della santa Eucaristia, fui spinta a pregare per la riunione delle Chiese dissidenti alla
santa Chiesa cattolica, apostolica, romana, perciò sotto il regime del nostro santo
Romano Pontefice. Pregai con tutto l'animo e l'effusione del mio povero spirito, mi sentii
efficacemente ispirata a votarmi tutta per l'unione delle suddette chiese. Mi fu dato
conoscere che, come la nostra santa Madre Caterina era stata strumento per ristabilire
qui a Roma il Papato, ugualmente io fossi strumento della riunione di dette Chiese
dissidenti al seno materno della nostra santa Chiesa unica e sola Maestra d'infallibile
verità. Io volendo secondare detta santa ispirazione, sottomessa alla santa obbedienza,
mi dedico con il pensiero, con l'opera e con la preghiera al su ripetuto santissimo fine.
Perciò, sin d'ora, intendo pregare in tutti i minuti della mia vita e per quanti sono i
momenti dell'eternità, perché venga presto la sospirata e santa unione di tutte le chiese
sotto il regime del Pastore universale, il santo romano pontefice. A tal fine e per
l'adempimento di ciò dedico me, le mie care consorelle presenti e future, tutti i miei ed i
loro desideri, tutti i miei ed i loro pensieri, tutte le mie e le loro aspirazioni, tutti i miei
ed i loro sacrifici, tutte le mie e le loro operazioni tutte le mie e le loro umiliazioni, tutte
le mie e le loro espropriazioni, tutte le mie e le loro sante gioie, tutti i miei ed i loro
contenti, tutti i miei ed i loro battiti di cuore, tutte le mie e le loro sante osservanze della
santa regola professata, tutti i miei ed i loro passi, tutti i miei ed i loro movimenti delle
mani, degli occhi e di tutti quanti i nostri fragili corpi. Tutto ciò ed altro intendo offrire
assieme al sacratissimo Cuore di Gesù e dentro le ardentissime fiamme dello Spirito.”
Solo da un'anima assetata della salvezza delle anime e piena di fede potevano
scaturire simili accenti ed in questo si dimostrava pienamente in linea con la spiritualità
domenicana ed in modo particolare fedele imitatrice di Santa Caterina da Siena.
Anche a Roma, ciò che la sosteneva era l'ideale missionario e domenicano e questo
volle infondere nella nuova famiglia alla quale, venendo nella Città eterna, volle dare
vita. Infatti lo stile di vita della nuova comunità di San Sisto fu sin dal primo momento
improntato alla intensa preghiera, espressa nella meditazione, l'ufficio divino, rosario e
"preghiera per la riunione delle Chiese dissidenti"; alla fedeltà alle osservanze regolari;
e nello stesso tempo con una costante "disposizione interiore alla missione", con un
programma ben preciso, uguale per tutte le sue suore: "essere pronte a partire per
l'estero e morirvi martiri per amore dello Sposo Divino".
In tutto questo lavorio interiore il suo costante punto di riferimento era Santa
Caterina, quale modello vivo di consacrazione a Dio e di dedizione apostolica. Ecco
perché alle giovani postulanti di S. Sisto ella chiedeva che fossero “fervorose e pronte a
perdere la vita per Gesù Cristo», "risolutissime" a farsi sante, a morire alla propria
volontà, pronte a "fare in tutto la santa obbedienza", e soprattutto desiderose di "amare
ardentemente Gesù Cristo", disposte ad abbracciare la sua Croce, per "patire per
amore di Lui.”
Dopo aver avuto i locali, avrebbe voluto chiedere alla Congregazione di
Propaganda fide un sussidio quotidiano e qualche maestra che, a titolo gratuito,
insegnasse le varie lingue alle Collegine missionarie. Queste collegine venivano proposte
come "eredi della nostra prima Missionaria santa Caterina da Siena".
Questa "donna forte" della Sicilia ancora oggi appare come splendido modello
nell'attuazione del carisma contemplativo-apostolico del santo Patriarca Domenico e
della grande Senese Caterina per il mondo femminile.
Dopo un’intensa attività apostolica quando ormai le Case si moltiplicavano e le
nuove fondazioni facevano sperare una messe abbondante, il sigillo della croce diede
l’impronta soprannaturale all’opera della Madre ed il 27 aprile 1910, esonerata dal
Governo della Congregazione, dovette lasciare Roma e scelse l'Istituto di Ceglie
Messapico ove era meno conosciuta, e dove rimase fino alla morte.
Rimase nel silenzio, nella solitudine, nell'umiliazione, nella sofferenza: non poteva
fare più nulla … il suo sembrava un fallimento! … Ma lei continuò a pregare, a patire, a
offrire atti di amore al Signore e di sottomissione alla sua santissima volontà, a credere
che la sua Congregazione sarebbe fiorita ed avrebbe attuato il suo ardito disegno
missionario per la salvezza degli uomini, per l'unità dei cristiani, per il bene della Chiesa.
Il 9 aprile 1914, all’età di 75 anni, dopo 57 anni di vita religiosa, vissuta
intensamente ed arricchita anche da varie esperienze mistiche e carismatiche, rendeva
serenamente la sua anima a Dio.
E alla sua morte tutti l’acclamarono santa!
Le sue spoglie ora riposano a Roma, presso la Casa Generalizia delle Suore
Domenicane Missionarie di San Sisto.
Suor M. Sara Calandra o.p.
Priora Generale
Suore Domenicane Missionarie di San Sisto
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