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Beach tennis: mi ci tuffo
TIE BREAK altre racchette Beach tennis: mi ci tuffo... A tu per tu con Michele Balugani, ex maestro, incordatore e negoziante di tennis a Ferrara, che da quasi un ventennio si è oramai dedicato al beach. Ha inventato le prime racchette prima di fondare e diventare amministratore unico di Turquoise, uno dei brand leader delle racchette da spiaggia di MAURO SIMONCINI L a location ideale per un’intervista così sarebbe stata sicuramente il lungomare romagnolo, con dieci o più campi da beach tennis per ogni singolo stabilimento balneare. IL TENNIS - Abbiamo incontrato un grande appassionato, di tennis e (oramai) di beach tennis. Michele Balugani è oggi l’amministratore unico di Turquoise, azienda ferrarese che produce e commercializza racchette ma anche abbigliamento e accessori di beach tennis, lo sport che spopola sulle coste romagnole ma che si sta diffondendo più che rapidamente un po’ dappertutto. Qualche anno fa, diciannove per la precisione, Balugani lavorava nel mondo del tennis, a 360 gradi. “Ho insegnato tennis per una trentina d’anni, cambiando tre circoli, a Ferrara. L’ultimo è stato il Cus, dove abbiamo vinto anche i Campionati Italiani con Giulia Casoni. Non solo, in quegli anni incordavo anche, sia nei tornei più importanti della zona, sia a livello professionistico: ho collaborato con Babolat preparando le racchette di campioni di allora. Poi ho avviato e aperto due-tre negozi specializzati di tennis nella zona e testavo anche le racchette per Match Ball, proprio come fai tu ora”. UN PO’ DI STORIA - Espe- Michele Balugani, amministratore unico di Turquoise 138 I rienze davvero tante, diversificate. Ma comun denominatore il tennis. Fino che... “diciannove anni fa, ero in spiaggia, mi stavo annoiando. E ho pensato: ma che bello sarebbe portare in spiaggia il tennis, gioco tutto al volo, tuffandosi, etc.etc.” Il parto era vicino, agosto del 1994. Non c’era da attendere: “Nell’inverno ho disegnato le prime racchette, ispirandomi in qualche modo al tennis. Lunghezza 45 centimetri, in legno marino multistrato (okumè), il più adatto come peso e risposta a questo tipo di gioco. Il manico era tennistico: stessa forma e stesso numero di facce. Forma non ovale e con fori, per alleggerirla e renderla più facilmente manovrabile, aerodinamica. Colori differenti con logo disegnato (una palma) e la scritta Turquoise. E nell’estate del ’95 mi son presentato in spiaggia con queste prime racchette”. Turquoise è un’isola dei Caraibi della costa Sud, verso le Cayman. Il gioco sarebbe stato solare, le spiagge, il caldo; “quindi ci stava bene una palma. Faccio fatica a dormire e una notte mi è venuto questo: nome e logo. Mi ha aiutato solamente un falegname, dove andavo un po’ tutte le sere do- po cena per i vari esperimenti e prototipi. Problemi vari di peso, di rottura, diversi test sulla forma, di incollaggio del manico, di scelta dei tappi o di foratura, per scegliere la punta adatta senza scheggiare irrimediabilmente il legno. Un po’ tutti mi davano del matto”. Lì però sono nate le prime regole, a partire dal campo “rubato” al beach volley con altezza della rete “abbassata” a 1 metro e 70 centimetri. Primo originario nome beach-volleytennis dopo poco tramutato in beach tennis per una maggiore autonomia e autenticità. La prima novità qualche anno dopo (quattro circa): “Ho disegnato la seconda racchetta di legno con la forma tuttora diffusa nelle racchette da beach. Per capirci tipo isometrica (alla Yonex). Dopo altri tre-quattro anni si è pensato a cambiare i materiali, passando alla fibra e affidandosi a Taiwan per la produzione, ma sempre con lunghezza 45-46 centimetri con forme o tondeggianti o simil-isometriche”. Anche David Ferrer non ha potuto resistere al fascino del beach tennis Nel 2000 si è cominciato a fare qualcosa di più serio, anche a livello di organizzazione di tornei: “I Turquoise Day al Lido di Spina di Ferrara avevano cifre record. 16 campi di gioco, 500 partite in un giorno, addirittura 168 coppie iscritte. Nel 2004 Rai 3, Sky e le prime interviste hanno portato pure i primi sponsor”. Il gioco si è evoluto e ha toccato le varie regioni d’Italia: dall’Emilia Romagna al Lazio, poi in Toscana, nelle Marche e dalla Puglia in tutto il Sud. “Negli ultimi tempi è partito il Veneto e adesso anche Lombardia e Piemonte” ci conferma Balugani. ALLE OLIMPIADI DI RIO? POTENZIALE ENORME “Solo il 10% è stato sfruttato. Secondo me il potenziale è enorme; ci vuole tempo come per tutti gli sport all’inizio, il beach è ancora nuovo, fresco. Non sono stati fatti ancora investimenti importanti e continuativi. Nei miei eventi sono passati McDonald’s, Corona, Carlsberg, Lipton e altri marchi; ma non hanno sposato la causa definitivamente”. Ma i passi da gigante sono stati fatti: “Il beach è arrivato alla Federazione Italiana Tennis, al Cio ed è stato riconosciuto addirittura dall’Itf. Ci sono oggi oltre 120 tornei l’anno nel mondo; si gioca in più di venti nazioni. Ricevo una mail ogni due settimane per l’organizzazione di tornei internazionali all’estero. Perché non resti intentato e non sfruttato quel 10% c’è molto da fare, sia a livello federale sia in termini di sponsor e organizzazione”. E’ un po’ la nostra pecca, una pecca italiana perché “all’este- riguarda donne e juniores”. In spiaggia infatti esistono più scuole estive di beach tennis; la Fit ha inserito una giornata intera dedicata al beach nel Corso Istruttori di primo grado; già da 7-8 anni ci sono molti centri indoor per giocare a beach anche d’inverno, non solo coperture temporanee pressostatiche ma anche strutture semi-fisse, che ovviamente vanno spartite con il volley. ro in molto meno tempo ci stanno in qualche modo raggiungendo, organizzando sempre più tornei internazionali (anche da 15000$ in Brasile per esempio) e alzando anche la qualità dei giocatori”. FIGLIO POVERO DEL TENNIS? - Il beach non va considerato il figlio povero del tennis. “E’ un gioco simile, ma non uguale. Ovviamente chi gioca a tennis può partire avvantaggiato dal punto di vista tecnico, saltando le prime fasi d’apprendimento; e un tennista si diverte sin da subito a disputare una partita, questo sì. Ma per esempio anche i pallavolisti (ancora di più se giocano sulla sabbia) si disimpegnano più che bene”. GIOCO IMMEDIATO - “Uno dei vantaggi di questo sport è l’immediatezza. Giochi e ti diverti da subito, nel senso di tirare la palla di là dalla rete; pure troppo presto, perché molti credono di aver imparato tutto o quasi, subito. Ma è una sensazione positiva per il movimento in generale, perchè ‘ingolosisce’ al gioco, attira nuovi giocatori e stimola la passione. L’incremento più recente dei giocatori Il mix del beach (non è una parolaccia) sembra davvero vincente. “E’ un gioco destinato a funzionare: costa poco; è immediato; si può giocare su tutte le spiagge del mondo”. Il colpo da 90 sarebbe sicuramente averlo come sport - almeno dimostrativo - tra tre anni alle Olimpiadi brasiliane. Ci sono possibilità? “Sì perché i brasiliani sono letteralmente impazziti per questo sport, sono scatenati, hanno qualità di gioco interessanti (tant’è vero che nelle classifiche mondiali dopo gli italiani ci sono loro). Giocano tutti: uomini, donne e ragazzini e si sa, i brasiliani sono nati e particolarmente portati per lo sport e la sabbia e tutto ciò che può essere acrobatico e spettacolare. Addirittura continua Balugani - hanno già disegnato un logo apposito per il beach tennis alle Olimpiadi di Rio 2016. Io personalmente avevo già provato per Londra, ma non ci siamo riusciti; l’occasione di inserirlo dimostrativamente in una pausa del beach volley nelle arene stracolme e con tutte le televisioni collegate è davvero troppo ghiotta. Sarebbe un delitto non approfittarne”. I 139