Comments
Description
Transcript
La civiltà delle buone maniere
CULTURA, CIVILTÀ E RELIGIOSITÀ Cortesia e civiltà F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 UNITÀ 1 Una sensibilità diversa da quella moderna 1 L’amor cortese, miniatura tratta da un calendario francese del XV secolo (Parigi, Biblioteca Nazionale). La civiltà delle buone maniere Nel XII e nel XIII secolo, a partire dalla Francia, si diffuse in tutta Europa, nel mondo cavalleresco, un nuovo stile di vita che fu denominato cortese. Con tale espressione si voleva precisare quali atteggiamenti erano considerati corretti all’interno delle corti, cioè negli ambienti aristocratici. L’obiettivo era quello di distinguere nettamente i modi dei cavalieri da quelli dei contadini. Al primo posto, tra i comportamenti giudicati cortesi (o cavallereschi) stava il rispetto per le donne, o meglio la capacità di tenere sotto controllo le proprie passioni sessuali. Con il passar del tempo, vennero fatte numerose altre precisazioni, su tanti altri ambiti dell’esistenza, al fine di mettere in evidenza i comportamenti giusti e bandire quelli sconvenienti. Su questi argomenti, fiorì un vero nuovo filone letterario; all’inizio del Cinquecento, tuttavia, per opera soprattutto dell’intellettuale olandese Erasmo da Rotterdam, il termine medievale cortesia lasciò il posto al latino civilitas, da cui nacquero il francese civilité e l’italiano civiltà, opposto a barbarie, “comportamento selvaggio e ripugnante”. Erasmo compose la sua opera De civilitate morum (Sulla civiltà dei costumi) nel 1530, con l’intento di censurare severamente, e di respingere, una serie di azioni che nessun individuo del XXI secolo penserebbe mai di compiere in pubblico. Proprio i rimproveri di Erasmo, invece, sono il segno evidente che, a quell’epoca, erano ancora molto diffusi tra gli adulti numerosi comportamenti che la sensibilità moderna rifiuta oggi senza mezzi termini. Storicamente parlando, la soglia della ripugnanza si è decisamente spostata, è mutata, al punto che situazioni per noi impensabili si verificavano regolarmente in pubblico. In linea di massima, si potrebbe sinteticamente affermare che il processo di civilizzazione (cioè l’assunzione e la diffusione delle cosiddette buone maniere) è consistito nel rifiuta- APPROFONDIMENTO A La civiltà delle buone maniere IPERTESTO A APPROFONDIMENTO Un problema di dignità re, cancellare, o per lo meno nascondere e relegare dietro le quinte, tutta una serie di azioni che in altri contesti erano svolte in pubblico senza eccessivi problemi. Non sempre questo processo di rimozione o nascondimento è avvenuto sulla base di criteri razionali, primi fra tutti quelli dettati dall’igiene (concetto tutto sommato moderno, imprecisabile prima della scoperta dei virus e dei batteri) o da pericoli oggettivi. Basti pensare al fatto che, nel Medioevo, era prassi normale cuocere gli animali allo spiedo e servirli in tavola interi. Il padrone di casa, pertanto, doveva essere un abile macellaio, capace di tagliare i pezzi di carne, che poi serviva ai convitati; dato che, in altre occasioni, questo onore era lasciato a un ospite illustre, tutti i nobili dovevano possedere questa competenza ed essere in grado, in pubblico, di fronte ai loro pari, di svolgere con disinvoltura e allegria quella singolare mansione. Con il passar del tempo, il taglio dei pezzi di carne fu effettuato dai cuochi, nelle cucine, dietro le quinte; in questo caso, l’igiene o il pericolo non c’entrano. Era un problema di prestigio e di immagine: non parve più dignitoso, ai signori, mostrarsi intenti in un’azione evidentemente giudicata bassa e servile. Le maniere cortesi a tavola DOCUMENTI UNITÀ 1 Il poeta tedesco Tannhäuser compose questi versi nel XIII secolo. Si tratta di consigli offerti a un cavaliere, per non farlo sfigurare a un banchetto di pari, cioè di nobili come lui. Comportarsi in modo sconveniente, da contadino, avrebbe messo l’individuo in cattiva luce nella buona società. IL MEDIOEVO EUROPEO 2 Pare a me uomo bene educato Colui che ben conosce le buone maniere Che mai ha usato cattive maniere E mai ha trasgredito le regole. […] Un uomo nobile non deve servirsi Con un altro dello stesso cucchiaio; quando uomini cortesi lo fanno perdono la loro nobiltà. Non si addice succhiare dal piatto Anche se molti lodano quest’uso Lodano il modo sgarbato in cui l’afferra E ingurgita, come se fosse impazzito. E quegli che a tavola afferra un piatto E divora come se fosse un maiale. E sbava in modo così sudicio E dalla bocca fa udire rumori… Alcuni addentano un boccone di pane E poi lo rituffano nel piatto Come sogliono fare i contadini; ma l’uomo cortese si astiene dal farlo. Qualcuno trova anche comodo, quando ha spolpato un osso, di rimetterlo giù nel piatto; ma questa è una usanza scorretta. […] Commensali a tavola, miniatura tratta da un codice del XIV secolo. Non dovete pulirvi i denti Con il coltello, come molti fanno, e come molte volte si vede fare; Quali chi usa farlo, non è ben educato. […] comportamenti Chi sulla tavola si soffia il naso sono corretti, E poi col dito strofina il moccio, a tavola, secondo è un animale, ve lo assicuro, Tannhäuser? che non conosce le buone maniere. Esiste, per il poeta, Sento dire da molte persone una sostanziale (e se è vero, mi sembra disgustoso) differenza tra che sogliono mangiare senza essersi lavate; animali e contadini ? possano paralizzarsi le loro dita. Giustifica la tua N. ELIAS, Il processo di civilizzazione, il Mulino, Bologna 1988, pp. 216-220, trad. it. G. PANZIERI F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 risposta. La raffigurazione di un banchetto, pannello di cassone del XV secolo attribuito ad Apollonio di Giovanni (Venezia, Museo Correr). IPERTESTO A APPROFONDIMENTO Né posate né stoviglie 3 La civiltà delle buone maniere Come fonte per ricostruire gli usi e i costumi seguiti a tavola, possiamo utilizzare sia i quadri in cui si presenta una scena evangelica ambientata durante un banchetto, sia i numerosi testi che davano consigli di buone maniere ai signori. Nei pasti dei ricchi, spesso prevaleva la carne che – tramontato l’uso di portare in tavola gli animali interi – era offerta su grandi piatti da portata. Ognuno si serviva con le mani; ma il pezzo prescelto non era depositato su un piatto privato, bensì sopra una tavoletta di legno o, più spesso, su una grossa fetta di pane detta quadra. Questa si impregnava di sugo di carne e, alla fine del pasto, veniva distribuita ai poveri. Dopo aver spolpato un osso – si raccomandano vari autori – non bisognava rimetterlo nel piatto comune; così, se ci fosse stato un altro recipiente per le salse, usato da tutti i commensali, non si doveva intingere un boccone di pane che in precedenza era già stato portato alla bocca. Il bicchiere spesso non era collocato di fronte al convitato, ma gli era fornito, colmo, a richiesta, di volta in volta; non sempre si trattava di un bicchiere privato: di qui la frequente raccomandazione, nei manuali, di pulirsi la bocca, prima di accostarla al recipiente, e di pulire quest’ultimo, dopo aver bevuto. Stesso discorso vale per i cibi liquidi; non era da cavalieri portare direttamente alla bocca il recipiente comune servito in tavola. Ci si doveva servire del cucchiaio, che progressivamente si accostò al coltello come seconda posata; in genere, però, era presente un solo cucchiaio per tutta la tavolata e quindi era usato a turno: dopo averlo pulito con un tovagliolo, si precisa nei manuali. Quel medesimo tovagliolo, però, non doveva essere usato per soffiarsi il naso, così come, a maggior ragione, per questo scopo non si doveva usare la tovaglia… La forchetta individuale arrivò per ultima, tant’è che non la troviamo dipinta prima del 1599. A lungo si trattò, come le altre posate, di uno strumento comune, usato solo per prendere i pezzi dal piatto da portata. Si diffuse con molta lentezza, nel Cinquecento, a UNITÀ 1 Comportarsi bene a tavola F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 Secondo il sociologo tedesco Norbert Elias, la rigida regolamentazione del comportamento a tavola – collegato, ovviamente, ai bisogni primari del mangiare e del bere – fa parte di una più vasta strategia a largo raggio, finalizzata a ottenere un ferreo controllo sulla componente animale dell’essere umano. Dai quadri e da varie altre testimonianze, emerge che, nel Medioevo, erano svolte in pubblico diverse attività che oggi, invece, avvengono in segreto, nel riserbo più completo. Alludiamo in primo luogo ai bisogni fisiologici, che spesso erano svolti in pubblico, all’aperto, dove capitava, senza eccessivi problemi di riservatezza. L’uomo moderno è in imbarazzo persino a nominare in pubblico le funzioni dell’apparato urinario o l’espulsione delle feci: al massimo, si concede l’uso di termini medici, considerati neutri, o meglio capaci di neutralizzare la ripugnanza e il disagio che la menzione consapevole di quelle attività produce in una conversazione condotta da gente civile. L’unica licenza – cioè eccezione, almeno parziale, alla regola generale – è concessa ai bambini: nel loro caso, in mancanza di alternative, si accetta che svolgano in pubblico funzioni che invece sarebbero severamente censurate nel mondo adulto. Nel Medioevo, la differenza di comportamento tra adulti e bambini è praticamente ignota; tutti si comportano, in pubblico, in modo, per così dire, infantile. E questo 4 IL MEDIOEVO EUROPEO partire da Venezia, dall’Italia e dalla Spagna. Ma, intorno al 1580, il regno di Francia non la conosceva ancora; anzi, secondo alcuni studiosi, l’uso della forchetta diventò generale, in Europa, non prima del 1750. Durante un banchetto era necessario – e doveroso, precisano i manuali – sciacquarsi più volte le dita; era invece considerata una mancanza di stile gravissima, secondo gli scrittori che si occupano di buone maniere, sedersi a tavola senza essersi lavati oppure, durante il banchetto, grattarsi il collo o le orecchie, e poi subito attingere un boccone dal piatto di tutti. I bisogni elementari dell’essere umano UNITÀ 1 IPERTESTO A APPROFONDIMENTO La forchetta e le mani Maestro del Castello della Manta, La fontana della gioventù, affresco del XV secolo (Manta, Cuneo, Castello). Nel Medioevo i bagni pubblici erano una realtà piuttosto diffusa. F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 questi argomenti “scabrosi” sono esposti a bambini. È segno del fatto che essi, mal- grado la tenera età, erano già a piena conoscenza dei meccanismi legati al sesso e alla procreazione, secondo modalità che scompariranno totalmente nei secoli seguenti e toccheranno il vertice della repressione nei decenni a cavallo tra Ottocento e Novecento. Sosta di un gruppo di pellegrini in una taverna, particolare di pala d’altare, 1446 (chiesa di St. Jakob, Rothenburg do der Tauber). F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 1 IPERTESTO A APPROFONDIMENTO pag. 8 UNITÀ 1 Riferimento storiografico 5 La civiltà delle buone maniere vale anche per altre azioni che, nel mondo adulto, sono di solito sottratte alla vista e alla vita comune. Si pensi, in primo luogo, all’atto dello sputare (che tantissime fonti medievali ci descrivono come normale in tutti gli ambienti, non escluse le chiese) e a quello del dormire. Nelle case e nelle locande del Medioevo, era normale che diverse persone dormissero nella stessa stanza e nello stesso letto, pur essendo estranei. Si pensi invece, per contrasto, all’uso linguistico che si impose a partire dal Settecento, in virtù del quale le dame e i gentiluomini «si ritiravano», cioè letteralmente scomparivano e si dissolvevano, per così dire, nel momento in cui andavano a dormire. Ai nostri giorni, si pensi all’imbarazzo che proviamo a mostrarci in pigiama o al diffuso disagio che molte persone dimostrano, ancor oggi, nei treni notturni dotati di cuccette. Rispetto al Medioevo, l’atto del dormire ha subito, più di tante altre attività umane, uno straordinario processo di privatizzazione o, se si preferisce, di intimizzazione. Secondo Elias, per quanto ci possa apparire strano, anche nei confronti della nudità e del sesso il Medioevo era molto più libero delle età successive; in molte località, funzionarono a lungo bagni pubblici, frequentati da tutti, a cui si andava nudi o seminudi. In molti romanzi cortesi, il cavaliere errante accolto in un castello da signori ospitali riceve, insieme a una cena ristoratrice, un bagno caldo in cui il guerriero è assistito da ancelle prive di ogni imbarazzo e di ogni malizia; non si tratta di prostitute, ma di serve, che svolgono con estrema naturalezza quel particolare compito, anche se di fronte a loro hanno un maschio del tutto privo di indumenti. Inoltre, è per noi sconcertante la facilità con cui Erasmo a Rotterdam, ancora all’inizio del XVI secolo – quando il processo di civilizzazione è già in fase relativamente avanzata – parla in un libro destinato a bambini di 6-8 anni, che ha come argomenti corteggiamento, verginità, amore e persino il comportamento da tenere nei confronti delle prostitute. L’obiettivo di Erasmo è di tipo morale e quindi nelle sue parole non c’è nulla di osceno; anzi, i giovani sono invitati a sapersi dominare, le ragazze a mantenersi vergini fino al matrimonio, le prostitute a redimersi e cambiare vita. Il dato sorprendente, dunque, non è il contenuto morale dei consigli dell’intellettuale olandese, ma la straordinaria naturalezza (e delicatezza) con cui tutti IPERTESTO A APPROFONDIMENTO UNITÀ 1 IL MEDIOEVO EUROPEO 6 La celebrazione della guerra e del combattimento DOCUMENTI Dante collocò l’autore di questo testo, il trovatore Bertran de Born (1140-1215), all’inferno. In effetti, la sua esaltazione della lotta, del combattimento e della gioia che si prova nel momento dell’assalto, non ha nulla di cristiano: è proprio per regolare una simile aggressività dei cavalieri che furono messe a punto le buone maniere. Molto mi piace la lieta stagione di primavera Che fa spuntar foglie e fiori, E mi piace quand’odo la festa Degli uccelli che fan risuonare Il loro canto pel bosco, E mi piace quando vedo su pei prati Tende e padiglioni rizzati, Ed ho grande allegrezza Quando per la campagna vedo a schiera Cavalieri e cavalli armati. Io vi dico che non mi dà tanto gusto Mangiare, bere o dormire, Come quand’odo gridare «all’assalto» Da ambo le parti, e annitrire Cavalli sciolti per l’ombra, E odo gridare: «aiuta, aiuta!» E vedo cader pei fossati Umili e grandi tra l’erbe, E vedo i morti che attraverso il petto Han tronconi di lancia coi pennoncelli. E mi piace quando gli scorridori Mettono in fuga le genti con ogni lor roba, E mi piace quando vedo dietro a loro Gran numero d’armati avanzar tutti insieme, E mi compiaccio nel mio cuore Quando vedo assediar forti castelli E i baluardi rovinati in breccia, E vedo l’esercito sul vallo Che tutto intorno è cinto di fossati Con fitte palizzate di robuste palanche [grossi pali conficcati nel terreno, n.d.r.]. Baroni, date a pegno Castelli, borgate e città, Piuttosto che cessare di guerreggiarvi l’un l’altro. R. CESERANI, L. DE FEDERICIS, Il materiale e l’immaginario. Laboratorio di analisi dei testi e di lavoro critico, II. La cultura della società feudale, Loescher, Torino 1979, pp. 210-211 Spiega l’espressione «Ché niuno è avuto in pregio / Se non ha molti colpi preso e dato». Individua nel testo le espressioni in cui la passione per la lotta e la mischia provoca nell’autore un’esaltazione simile a quella provocata dal desiderio amoroso. Ed altresì mi piace quando vedo Che il signore è il primo all’assalto, A cavallo, armato, senza tema [paura, n.d.r.], Che ai suoi infonde ardire Così, con gagliardo valore; E poi ch’è ingaggiata la mischia Ciascuno dev’essere pronto Volonteroso a seguirlo, Ché niuno è avuto in pregio Se non ha molti colpi preso e dato. Mazze ferrate e brandi [spade, n.d.r.], elmi di vario colore, Scudi forare e fracassare Vedremo al primo scontrarsi E più vassalli insieme colpire, Onde erreranno sbandati I cavalli dei morti e dei feriti. E quando sarà entrato nella mischia Ogni uomo d’alto sangue Non pensi che a mozzare teste e braccia: Meglio morto che vivo e sconfitto! Sulla parte sinistra della miniatura è raffigurato un combattimento tra cavalieri. F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 IPERTESTO A APPROFONDIMENTO Il controllo dell’aggressività Tutti i meccanismi che abbiamo descritto avevano come finalità la limitazione dell’animalità umana. Le fiere selvagge, infatti, non si nutrono di pezzi di carne prece- F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 Riferimento storiografico 2 UNITÀ 1 pag. 9 7 La civiltà delle buone maniere dentemente preparati da qualcun altro, bensì sbranano a morsi la propria preda, staccando i bocconi direttamente dalla carcassa intera: proprio come faceva il padrone di casa in un banchetto medievale (sia pure con l’aiuto di un coltello, e dopo la cottura della bestia). Questa prassi e tutti gli altri comportamenti, che renderebbero l’essere umano molto simile agli animali, vennero sempre più nascosti e/o tenuti sotto stretto controllo. In certi campi, il contributo della Chiesa al processo di civilizzazione fu determinante. Eppure, dietro all’intera operazione, troviamo soprattutto una motivazione di tipo politico. L’intero disegno aveva come obiettivo ultimo il controllo dell’aggressività, in un mondo violento – quello feudale – contro cui lo Stato e il potere centrale cercavano via via di riservare a sé il monopolio della forza. Quando si esprimono liberamente, i cavalieri del XII e del XIII secolo non esitano a dichiarare che, per loro, la guerra e l’esercizio della violenza sono una straordinaria fonte di piacere e di gioia. Combattere, uccidere, torturare e mutilare i prigionieri genera in molti di loro non disgusto e orrore, ma eccitazione; tali azioni vengono condotte quasi in stato di ebbrezza e producono brividi di soddisfazione. Nel corso del Medioevo, attivando strategie di vario genere, le autorità cercarono di inibire, o almeno di porre sotto stretto controllo, questa sfrenata aggressività. Innanzi tutto, la violenza fu regolamentata; in certi momenti dell’anno, ad esempio, alcune città permettevano a bande di giovani di compiere stupri di gruppo a danno di prostitute o di altre donne di bassa estrazione sociale. Era violenza istituzionalizzata e ritualizzata, cioè accuratamente delimitata: quelle medesime azioni, tollerate in un tempo preciso e definito, erano invece severamente punite in tutto il resto dell’anno. Seguendo una strategia complementare, si concesse agli individui di guardare la violenza nel suo realizzarsi, ma vietando di prendervi parte attiva. I supplizi pubblici e le esecuzioni svolsero fino al Settecento inoltrato questa funzione. Ancora in pieno XVI secolo, a Parigi era prassi normale bruciare vivi una o due dozzine di gatti, nel corso della popolare festa di San Giovanni; in tale occasione, «la gioia di tormentare un essere vivente si manifestava allo stato puro, scopertamente, senza alcuno scopo o giustificazione razionale» (N. Elias). La folla doveva limitarsi a guardare lo spettacolo della violenza, senza prendervi parte attiva, mentre il privilegio di accendere il rogo era lasciato al re o al principe ereditario. Al livello sociale più alto, però, il potere centrale si sforzò di bloccare gli istinti più brutali e animaleschi disseminando l’intera esistenza di freni inibitori; a tutti i livelli e in tutti i campi, l’individuo doveva essere sempre all’erta e sforzarsi di reprimere la propria dimensione animale, col risultato che in alcuni ambiti – primo fra tutti quello sessuale – è stato necessario, per l’uomo del tardo XX secolo, riscoprire la naturalità di una serie di funzioni e di gesti, per poterli vivere serenamente e parlarne senza imbarazzo, ma con saggezza, come a suo tempo era riuscito a fare Erasmo da Rotterdam. Due ribelli dopo la cattura vengono condotti al patibolo, miniatura del XV secolo. Nel Medioevo era possibile assistere ai pubblici supplizi, ma era vietato partecipare attivamente alla loro realizzazione. IPERTESTO A APPROFONDIMENTO Riferimenti storiografici 1 Naturalezza e disinvoltura verso la sessualità nel Medioevo UNITÀ 1 Nell’Ottocento, i pedagogisti che si occupavano di storia dell’educazione erano sorpresi e sbalorditi quando si imbattevano nei Colloquia, composti da Erasmo da Rotterdam nel 1522. In quell’opera, infatti, il celebre intellettuale olandese parlava con estrema franchezza e naturalezza di numerose questioni legate al sesso, all’amore e alla procreazione, rivolgendosi senza imbarazzo alcuno perfino ai bambini più piccoli. Questa disinvoltura sta a indicare che, all’inizio del Cinquecento, il processo di civilizzazione era ancora in corso. Nei secoli XVIII e XIX, invece, si sarebbe arrivati al completo nascondimento dietro le quinte di tutti le componenti animali dell’uomo (a cominciare dalla sessualità); da quel momento, parlare in pubblico di determinati argomenti sarebbe diventato sconveniente, ripugnante o scandaloso. IL MEDIOEVO EUROPEO 8 Quentin Metsys, Erasmo da Rotterdam, 1517 (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini). A quell’epoca, il saggio di Erasmo [Colloquia, n.d.r.] dovette costituire per un gran numero di persone un’opera fondamentale. Come possiamo spiegare la divergenza tra questa accoglienza positiva e l’atteggiamento dei critici del XIX secolo? In questo saggio, Erasmo parla in effetti di molti argomenti che, con l’avanzare della civiltà, vengono sempre più eliminati dall’orizzonte dei bambini, e che nel XIX secolo non sarebbero stati mai e poi mai oggetto di letture per essi, contro il desiderio di Erasmo espresso con vigore ed esplicitamente dalla dedica al suo figlioccio di sei-otto anni. Come sottolinea il critico del XIX secolo, in questi Colloquia egli presenta un giovane che corteggia una fanciulla; presenta una donna che si lamenta del cattivo comportamento del marito e, inoltre, il saggio contiene anche il colloquio di un giovane con una prostituta. Cionondimeno tali colloqui dimostrano, come il De civilitate morum, quale sia la sensibilità di Erasmo per tutti i problemi che riguardano la regolamentazione degli istinti, anche se non corrispondono affatto alle norme da noi oggi accettate; anzi, rispetto alle norme della società secolare del Medioevo e perfino a quelle della società secolare del suo tempo, costituiscono un notevole passo avanti verso quella repressione degli istinti che, successivamente, il secolo XIX giustificò soprattutto ricorrendo alla morale. […] Per l’osservatore moderno è veramente sorprendente che nei suoi Colloquia Erasmo possa parlare ad un bambino delle prostitute e delle case in cui vivono. Nell’odierno stato di civiltà, ci sembra immorale anche soltanto accennare a tali istituzioni in un libro scolastico. Senza dubbio esse esistevano come enclaves, luoghi appartati, anche nella società del XIX e del XX secolo. Ma il sentimento di angoscia-pudore che fin dalla nostra infanzia circonda il settore sessuale dell’economia degli istinti, così come molti altri, il bando del silenzio con cui lo si colpisce nella vita sociale sono praticamente totali. Nei rapporti sociali non è permesso neppure alludere a certe opinioni e a certe istituzioni; riferirsi ad esse quando si parla con i bambini è un delitto, una profanazione dell’animo infantile, o perlomeno un imperdonabile errore di condizionamento. All’epoca di Erasmo, era invece altrettanto naturale che i fanciulli conoscessero l’esistenza di tali istituzioni. Nessuno si sognava di nasconderle loro. Certamente si cercava di metterli in guardia contro di esse, ed è appunto quanto fa Erasmo. Leggendo i testi di pedagogia dell’epoca, potrebbe sembrare che l’allusione a tali istituzioni rappresentasse la trovata di un singolo scrittore. Ma quando si osservi come i fanciulli vivessero in stretto contatto con gli adulti e quanto limitato fosse il muro dell’intimità tra gli adulti, e quindi anche tra adulti e bambini, allora ci si rende conto del fatto che colloqui come quelli di Erasmo […] si richiamavano direttamente alla realtà della loro epoca. Essi dovevano tener conto del fatto che i bambini erano al corrente di tutto: era del tutto ovvio. Quindi il compito dell’educatore era di mostrar loro in che modo comportarsi nei confronti di tali istituzioni. […] Le donne pubbliche, o come venivano chiamate in Germania le schöne Frauen (belle donne) o Hübscherinnen (belle figliole), costituivano in seno alla città, al pari di ogni altra professione, F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 N. ELIAS, Il processo di civilizzazione, il Mulino, Bologna 1988, pp. 323, 328-331, trad. it. G. PANZIERI 2 Medioevo: una diversa sensibilità, rispetto alla nostra Lo storico olandese Johan Huizinga ha più di altri sottolineato che, per capire davvero il Medioevo, l’uomo moderno deve fare un sforzo, perché deve avvicinarsi a una sensibilità molto diversa da quella che ci è familiare. Quest’ultima si è forgiata molto lentamente, nel corso dei secoli, all’insegna dell’autocontrollo e della moderazione degli impulsi: due atteggiamenti del tutto ignoti all’uomo medievale. Quando il mondo era più giovane di cinque secoli, tutti gli eventi della vita avevano forme ben più marcate che non abbiano ora. Fra dolore e gioia, fra calamità e felicità, il divario appariva più grande; ogni stato d’animo aveva ancora quel grado di immediatezza e di assolutezza che la gioia e il dolore hanno anch’oggi per lo spirito infantile. […] L’uomo moderno non ha generalmente alcuna idea della sfrenata stravaganza e infiammabilità dell’animo medievale. Chi consulti unicamente i documenti ufficiali, giustamente ritenuti come le più sicure fonti per la conoscenza storica, sarà tentato di farsi di quel periodo della storia medioevale un’immagine poco diversa in fondo da una descrizione della politica di ministri e ambasciatori del secolo decimottavo. Ma tale rappresentazione è difettosa in un punto essenziale: vi manca la crudezza di colore della violenta passionalità che animava popoli e principi. Senza dubbio c’è anche oggi un elemento passionale nella politica; ma, tranne nei giorni di rivoluzione e di guerra civile, esso urta i più contro freni e ostacoli; è in certo modo costretto entro i limiti fissi del complicato meccanismo della vita sociale. Nel XV secolo l’affetto immediato prorompe ancora in tal misura, che il calcolo utilitario ne è completamente alterato. Se poi all’affetto si accompagna il senso della propria potenza, come nel caso dei principi, allora esso opera con doppia potenza. […] L’attaccamento al principe aveva un carattere infantile e impulsivo; era un dovere spontaneo di fedeltà e di solidarietà, un allargamento dell’antico forte sentimento che univa i soci nel giuF.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012 IPERTESTO A APPROFONDIMENTO UNITÀ 1 Che cosa significa l’espressione «bando del silenzio»? Quali ambiti della vita riguarda, nel XIX secolo e, a lungo, anche nel Novecento? In quale senso la posizione sociale della prostituta era, nel Medioevo, simile a quella del carnefice? Che cosa significa affermare che, nel corso del tempo, diversi ambiti della vita hanno subito un processo di privatizzazione? In che senso, nel Medioevo, erano pubblici? 9 La civiltà delle buone maniere una corporazione con diritti e doveri ben precisi. E, come ogni altro gruppo professionale, a volte entravano in conflitto contro la concorrenza sleale. Ad esempio, nel 1500 in una città tedesca esse andarono dal borgomastro per lamentarsi di un’altra casa nella quale si praticava in segreto quel commercio per il quale soltanto la loro casa era pubblicamente autorizzata. Il borgomastro diede loro il permesso di entrare nella casa in questione, ciò che esse fecero mettendo tutto a soqquadro e bastonando la tenutaria. Un’altra volta si impadronirono di una concorrente strappandola alla sua casa e costringendola a vivere nella loro. In una parola, la loro posizione sociale era analoga a quella del carnefice, cioè infima e spregiata ma totalmente pubblica e non circondata dalla segretezza. Anche questa forma di relazione extraconiugale tra uomo e donna non era ancora stata relegata dietro le quinte. Entro certi limiti, questa situazione valeva anche per le relazioni sessuali in generale, comprese quelle all’interno del matrimonio. Basterebbero le consuetudini in occasione dei matrimoni per darcene una prova. Il corteo giungeva alla camera nuziale preceduto dalle damigelle d’onore. La sposa veniva da esse svestita, e doveva deporre tutti i suoi ornamenti. Quindi i due sposi dovevano mettersi a letto sotto gli occhi dei testimoni, affinché il matrimonio fosse considerato valido. Li mettevano a letto insieme. «Una volta entrati a letto, il diritto è acquisito», si diceva. Nel tardo Medioevo le usanze mutarono gradatamente, cosicché i due sposi potevano sdraiarsi sul letto vestiti. Chiaramente, le usanze non erano le stesse in tutti gli strati sociali e in tutti i paesi. Tuttavia sappiamo che, ad esempio a Lubecca, gli antichi costumi perdurarono fino al primo decennio del XVII secolo. Ancora nella società assolutistica francese di corte, lo sposo e la sposa venivano condotti a letto dagli ospiti, si svestivano e gli ospiti porgevano loro la camicia. Tutti questi esempi provano quanto fosse differente lo standard del pudore riguardo ai rapporti tra i sessi, e ancora una volta mettono in luce il carattere specifico delle norme sul pudore che lentamente si affermarono nel XIX e nel XX secolo. Da quel momento, anche tra gli adulti tutto ciò che concerne la vita sessuale venne in larga parte privatizzato e relegato dietro le quinte; ciò rese possibile e anche necessario tenere a lungo nascosto ai bambini, con maggiore o minore successo, questo aspetto della vita. Nelle fasi precedenti, i rapporti tra i sessi, al pari di tutte le altre istituzioni ad essi connesse, erano assai più strettamente inseriti nella vita pubblica; per questo è più che mai comprensibile che fin da piccoli i bambini avessero familiarità con questo aspetto della vita. Anche rispetto al condizionamento, cioè alla necessità di adeguarli alle norme di vita degli adulti, non c’era nessun bisogno di circondare questo aspetto della vita di tanti tabù e di tanta segretezza come divenne invece necessario nelle fasi successive della civilizzazione, in conformità alle diverse norme di comportamento affermatesi. IPERTESTO A APPROFONDIMENTO UNITÀ 1 Una scena di una battaglia tratta da pagina miniata di un codice del 1250. IL MEDIOEVO EUROPEO 10 In quale errore può cadere lo storico che consulti solo i documenti ufficiali? Spiega l’espressione «elemento passionale nella politica»? Che cosa significa affermare che bisogna studiare i conflitti tra i partiti del Tardo Medioevo da un «punto di vista politicopsicologico»? ramento dinanzi al tribunale e i vassalli al loro signore, e che nella faida e nella lite divampava senza freno e misura. Era solidarietà di partito, non solidarietà statale. Il tardo Medioevo è l’età delle grandi lotte di parte. In Italia i partiti si consolidano già nel ’200, in Francia e nei Paesi Bassi sorgono dappertutto nel ’300. Chiunque studi la storia di quei tempi, rimane colpito dal modo poco convincente con cui la storiografia moderna cerca di far derivare quei partiti da cause economico-politiche. I contrasti economici che si pongono a base di quella spiegazione, sono mere costruzoni schematiche che non si possono, colla migliore volontà, ricavare dalle fonti. Nessuno vorrà negare l’esistenza anche di ragioni economiche in questi raggruppamenti dei partiti: tuttavia, insoddisfatti del risultato di cotali dimostrazioni, si ha ben il diritto di domandarsi se, almeno per ora, per spiegare le lotte di parte del tardo Medioevo, un punto di vista politico-psicologico non presenti maggiori vantaggi che non uno politico-economico. […] La cieca passione con cui la gente si dava al partito, al signore, oppure anche alle proprie querele personali, era in parte anche la manifestazione di quell’inflessibile, rigido senso di giustizia che era proprio dell’uomo medioevale, quella convinzione incrollabile che ogni azione esiga il suo guiderdone [contraccambio, retribuzione, ricompensa, n.d.r.]. Il senso di giustizia era ancora per tre quarti pagano; era bisogno di vendetta. È vero che la Chiesa aveva cercato di raddolcire la coscienza giuridica insistendo sui sentimenti di mansuetudine, di pace, di perdono, ma con ciò non aveva modificato il vero senso del diritto. Lo aveva piuttosto esasperato, aggiungendo al bisogno di ammenda l’odio per il peccato. E per gli spiriti turbolenti, il peccato purtroppo spesso non è che [è soltanto, è unicamente, n.d.r.] ciò che fa il proprio nemico. […] Il delitto era una minaccia per la società e un insulto alla maestà divina. In tal modo la fine del Medioevo ha visto prosperare, in modo sbalorditivo, una giustizia atroce e la crudeltà giudiziaria. Non si dubitava, nemmeno per un momento, che il malfattore avesse meritato la sua pena. Si risentiva un’intima soddisfazione per gli esemplari atti di giustizia eseguiti dallo stesso principe. Di quando in quando le autorità si davano a campagne di una severità atroce, ora contro masnade di briganti, ora contro streghe e fattucchiere, ora contro la sodomia. Ciò che ci colpisce nella crudeltà giudiziaria del tardo Medioevo, non è la perversità morbosa, ma il gaudio bestiale e ottuso, il diletto da fiera che il popolo ci provava. I cittadini di Mons comprano un capobanda di briganti a un prezzo altissimo per il solo piacere di vederlo squartare, cosa «di cui il popolo fu più gioioso, che se un nuovo corpo santo fosse risuscitato». Nel 1488, durante la prigionia di Massimiliano a Bruges, l’aculeo [il patibolo per il supplizio, n.d.r.] è posto su un palco nel mercato sotto gli occhi del re prigioniero, e il popolo non si sazia mai di vedere torturare i magistrati sospetti di tradimento e, per quanto essi supplicano di essere giustiziati, vi si oppone per poter godere più a lungo delle loro torture. Fino a quali estremi, per niente cristiani, giungesse proprio la mescolanza di fede e desiderio di vendetta, lo dimostra la consuetudine dominante in Francia e in Inghilterra, di rifiutare ai condannati non solo il viatico [l’ultima comunione, n.d.r.], ma anche la confessione: non si volevano salvare le loro anime; anzi, si voleva aggravare l’affanno mortale colla certezza delle pene infernali. J. HUIZINGA, L’autunno del Medioevo, Sansoni, Firenze 1985, pp. 3, 19-21, 25-26, trad. it. B. JASINK F.M. Feltri, La torre e il pedone © SEI, 2012