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La nuova sfida di simboli e immagini: possibilità di dialogo o scontro

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La nuova sfida di simboli e immagini: possibilità di dialogo o scontro
NUOVA SECONDARIA RICERCA
La nuova sfida di simboli e immagini:
possibilità di dialogo o scontro tra culture?
Rosa Grazia Romano
con l’avvento di internet e la diffusione planetaria del medium digitale, simboli ed immagini sono divenuti elementi focali per la comprensione della realtà. il traghettamento del mondo verso il dominio della cultura dell’immagine sta modificando globalmente la comunicazione ed enfatizzando l’emozionalità a tutti i livelli, sia nei linguaggi che nei contenuti. si registra un uso diffuso di nuove forme
di espressione delle emozioni, apparentemente neutre ed universali, come ad esempio le emoticon ed i selfie, che sembrano facilitare la
comprensione cross-culturale nel mondo ormai globalizzato.
L’articolo, dopo aver riflettuto sugli studi cross-culturali relativi agli aspetti universali e culturali di questi nuovi linguaggi, si sofferma
sui risvolti educativi di questa nuova sfida delle immagini. Mostra come stiano aumentando le possibilità di dialogo, arricchite dall’uso
dei nuovi linguaggi multimediali, ma evidenzia al contempo la presenza di inedite e subdole suggestioni che il potere delle immagini
mette in atto ed a cui è difficile sottrarsi (visibilità ad ogni costo, horror vacui, terrorismo mediatico, etc.). Queste sottili forme di violenza, spia di pericolose fragilità culturali e di diffuse rigidità ideologiche, diventano ormai il vero ostacolo per processi educativi mirati al confronto dialogico ed alla crescita umana.
Symbols and images have always been as universal necessary for understanding the things and the world. But the global spread of the
digital medium, that has led the world towards the era of the image, is changing the common use of language and creating new forms
of expressing emotions, such as emoticons, the selfie, etc.
In the article we wonder about the possibility and the way in which in the globalized world the cohabitation and the interweaving of
cultures enable the development of social symbols and images capable of universal recognition (eg. the facial expressions of emotions).
Finally, the emergence of the new culture of the image is leading us in the era of the violence of visibility at all costs. The article reflects
on the educational implications of this new challenge posed by the image.
Premessa
chi ha responsabilità educative oggi deve riflettere non
soltanto su come il mondo delle immagini prevalga ponderosamente sulle altre forme di comunicazione, ma anche sul fatto che immagini e simboli, generalmente percepiti come immediati e facilmente intuibili, siano invece
ambivalenti e densi di implicazioni non sempre positive.
essi, infatti, non sono elementi univocamente oggettivabili e fruibili, ma risultano sempre strettamente collegati
alla sfera emotivo-affettiva e socio-culturale.
nel presente articolo tenteremo di comprendere sotto
quante variegate forme si presenti oggi la sfida iconica nel
mondo virtuale con particolare riferimento ai nuovi linguaggi che maggiormente traducono e veicolano le emozioni (emoticon e selfie).
cominceremo quindi il nostro discorso ripercorrendo,
con un breve excursus, alcuni aspetti e funzioni che simboli ed immagini svolgono nei processi di crescita umana
ed analizzeremo in che modo essi possano essere utilizzati nelle varie situazioni e nelle varie culture, diventando filtro ma anche leva di forti emozioni.
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Il simbolo come universale
per la comprensione del mondo
nell’etimologia e nella sua storia il termine “simbolo”
– che deriva dal greco συμ (insieme) e βαλλω (getto) –
rimanda al tema dell’unità perché indica il “mettere
insieme” due parti distinte. nell’antica Grecia, infatti,
il simbolo era la “tessera di riconoscimento” (spesso di
terracotta) che due individui o due famiglie o due città
spezzavano, di cui ognuno conservava una parte come
prova dell’avvenuto accordo: il combaciare delle due
parti della tessera provava, quindi, l’esistenza dell’accordo.
anche filosoficamente e linguisticamente il simbolo,
nella sua funzione di “stare al posto di” e di poter essere
scambiato con il “segno”, esprime una convenzionalità
che presuppone un significato condiviso (Peirce).
non meno importante risulta il potere cognitivo ed unificante dei simboli per il fatto che, come sostiene George
herbert Mead, consentono all’individuo di plasmare ed
accogliere elementi nuovi. Gli esseri umani, proprio perché inseriti ed integrati in una collettività, traducono in© Nuova Secondaria - n. 10, giugno 2015 - Anno XXXII
fatti i simboli grazie al confronto col pensiero e l’opinione
di altri esseri umani1.
È stato l’“interazionismo simbolico” a sottolineare come
gli individui agiscono rispetto alle cose sulla base del significato che attribuiscono ad esse e come tale significato,
proprio perché nasce dall’interazione tra gli individui, risulta condiviso. ciò vuol dire che i significati che gli individui attribuiscono alle cose sono sempre dei prodotti
sociali, che si modificano nel tempo e che si costruiscono attraverso dei processi interpretativi2.
Ma è all’inizio degli anni ’20 del secolo scorso che ernst
cassirer delinea una sistematica generale delle forme
simboliche, nell’opera Filosofia delle forme simboliche,
sostenendo che «con “forma simbolica” si deve intendere
quell’energia dello spirito grazie a cui un contenuto spirituale significante viene collegato a un segno sensibile
concreto, venendo intimamente assimilato a quest’ultimo»3. egli spiega che ogni forma simbolica ha la propria origine in una specifica cultura e si incarna in un soggetto che fa proprio il significato del simbolo.
Per cassirer, dunque, i simboli divengono mezzi per conferire ad una entità individuale un valore di universalità,
valore che viene raggiunto per una via totalmente diversa da quella del concetto logico. Questo vale per l’arte
come per la conoscenza, per il mito come per la religione,
realtà tutte che vivono in peculiari mondi di immagini che
creano forme simboliche. il concetto di simbolo diventa,
pertanto, un universale teorico-culturale e la sua peculiarità di universalità formale si dà nel permanere di un determinato significato nel tempo4.
in Linguaggio e mito cassirer scrive: «il mito, l’arte e così
il linguaggio e la conoscenza divengono simboli […] nel
senso che ciascuna di queste forme crea e fa emergere da
se stessa un suo proprio mondo di significato»5. in tal
modo il filosofo tedesco guarda al simbolo come a quel
complesso di fenomeni che manifestano e, al contempo,
incarnano un significato6.
secondo cassirer, quindi, al centro del mondo vi è l’uomo
quale essere vivente che si esprime mediante i simboli
presenti nelle diverse culture. Le diverse forme del sapere
dell’uomo, animal symbolicum, si realizzano non nella determinazione naturale o nell’essere di una cosa data “per
natura”, ma nella libertà e nella differenza delle diverse
culture7.
con ciò egli sottolinea che la “comprensione del mondo”,
non è un semplice recepire i dati in maniera passiva, ma
implica sempre una libertà attiva dello spirito, un’attività
creatrice8. infatti, in Filosofia delle forme simboliche,
sostiene che il simbolo diventa il tramite grazie al quale
è possibile comprendere non solo il linguaggio dell’uomo,
ma l’uomo stesso9.
© Nuova Secondaria - n. 10, giugno 2015 - Anno XXXII
NUOVA SECONDARIA RICERCA
L’immagine: il darsi delle cose
sotto altra forma
Mutatis mutandis, questa visione del simbolo è applicabile anche a tutta la comunicazione segnica del mondo digitale. se è vero che ogni forma di comunicazione reale
o virtuale deve essere dotata di significato, ne consegue
che gli esseri umani mettono sempre in atto un processo
ermeneutico, attraverso il quale attribuiscono significato
a ciò che l’altro comunica.
Generalmente nelle relazioni e nei processi di interpretazione della comunicazione, il corpo, ma soprattutto il
volto umano ricoprono un ruolo di fondamentale importanza. È il volto, da sempre, la prima immagine, l’interfaccia con cui l’uomo interagisce, sia nei processi comunicativi senza parole, sia in quelli con le parole. Mediante
esso si attuano le dinamiche comunicative più complesse
e si mette in moto il meccanismo dell’interpretazione
delle emozioni e delle intenzioni dell’interlocutore, che
serve all’ascoltatore per comprendere il senso di ciò che
l’emittente esprime.
nelle interazioni virtuali, laddove mancano sia il volto che
la dimensione paraverbale e quella metaverbale del discorso10, si ricorre ad altri elementi (immagini computazionali, emoticon, ecc.) che servono, appunto, a costruire
e codificare il significato in maniera più completa.
Le emoticon11, ad esempio, sono immagini virtuali frutto
di una forma di decostruzione e ricostruzione dell’appa1. G.h. Mead, Mente, sé e società (1934), tr. it. Barbera, Firenze 1966.
2. h. Blumer, Interazionismo simbolico (1969), tr. it. il Mulino, Bologna 2008.
3. e. cassirer, Wesen und Wirkungdes Symbolbegriffs, Wissenschaftlische
Buchgesellschaft, darmstadt, 1956, p. 174.
4. id., Filosofia delle forme simboliche (1923-1929), tr. it. La nuova italia, Firenze 1961, vol. i, p. 47.
5. id., Linguaggio e mito (1929), tr. it. il saggiatore, Milano 1961, p. 18.
6. analogamente, anche habermas, nella Logica delle scienze sociali, sostiene
che i simboli sono necessari all’intelletto per far sì che «nel dato traspaia la traccia di un non-dato. […]. È in quanto rappresentata che la realtà diventa fenomeno» [J. habermas, Logica delle scienze sociali (1967), tr. it. il Mulino, Bologna 1970, pp. 11-12].
7. e. cassirer, Saggio sull’uomo (1944), tr. it. Longanesi, Milano, 1948.
8. e. cassirer, Sostanza e funzione (1910), tr. it. La nuova italia, Firenze 1973.
9. «il simbolo non è il rivestimento meramente accidentale del pensiero, ma il
suo organo necessario ed essenziale. esso non serve soltanto allo scopo di comunicare un contenuto concettuale già bello e pronto ma è lo strumento in virtù
del quale lo stesso contenuto si costituisce ed acquista la sua compiuta determinatezza. L’atto della determinazione concettuale di un contenuto procede di pari
passo con l’atto del suo fissarsi in qualche simbolo caratteristico» [e. cassirer,
Introduzione, in id., Filosofia delle forme simboliche (1923-1929), cit., § ii].
10. Per costruire il significato, l’uomo si serve di tre diversi livelli della comunicazione: quella verbale, che si riferisce al contenuto del discorso; quella paraverbale, che riguarda la qualità della voce (timbro, tono, pausa, volume della
voce) e veicola emotivamente il significato della parola; quella metaverbale o
non-verbale, che si riferisce a ciò che sta oltre le parole (postura, gesti, prossemica, mimica, etc.) e completa il senso del messaggio.
11. il termine emoticon, come tutti i neologismi, nella lingua italiana non ha ancora un preciso genere assegnato dai dizionari, per cui viene usato sia al maschile
che al femminile. nel primo caso, si giustifica il maschile perché vige la regola
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rato mimico facciale, che aiuta a dare senso e forma a ciò
che si vuol dire. seguendo e parafrasando il pensiero di
Pierre Levy12, la virtualizzazione dell’immagine non va
intesa come dematerializzazione, né come disincarnazione, ma come una incarnazione sotto diversa forma.
se così è, internet diventa non solo un medium da utilizzare, ma anche una lente attraverso cui guardare il mondo,
capace di modificare ed alterare la percezione della realtà.
siamo immersi ormai in un contesto multimediale in cui
sono cadute le barriere spazio-temporali: l’hic et nunc si
traduce e si slarga in un hic et ubique, perché con le
nuove tecnologie ciò che è “qui” presente può essere
contemporaneamente presente anche altrove ed “ovunque”. È una deterritorializzazione non più soltanto geografica ma anche semantica, perché segna un distacco dal
luogo e dalla cultura di appartenenza. La virtualizzazione, rendendo l’immagine metaforicamente staccata
dal luogo originario, ne consente infatti il prolungamento
attraverso la sua continua attualizzazione in altri tempi ed
altri luoghi.
L’immagine si rivela, così, come quella possibilità che le
cose si diano in altre forme, proprio perché le cose non si
danno mai nella loro interezza. ogni immagine, rimandando sempre all’originale, è una modifica della percezione che può essere considerata, come il simbolo, una
“struttura di rinvio” (Franzini). un’immagine, infatti,
«non si limita a dire quel che rappresenta, ma dietro il rappresentato c’è un orizzonte invisibile di riferimento»13.
Fermarsi solo al visibile, alla figura che emerge, rischia
di far perdere lo sfondo, e con esso tutto il senso al di là
del visibile, che però si può scoprire solo attraverso il visibile.
nulla è quindi così enigmatico come il concetto di immagine perché non è mai una semplice riproduzione del
reale, ma una rappresentazione che coglie qualche elemento particolare del reale e lo disvela. essa non è neppure una derealizzazione, ma il mezzo attraverso cui si
esprime l’elemento simbolico, espressivo e spirituale
della percezione. il processo che produce immagini, infatti, è sempre connesso all’attività del nostro sguardo:
guardare non è mera e passiva ricettività, ma capacità di
ordinare il visibile, di organizzare l’esperienza e di darne
significato e senso.
scrive elio Franzini che “l’immagine svela il reale” nel
senso che «l’immagine nasce radicandosi nella nostra
memoria, nell’esperienza stessa della nostra vita quando
affronta il problema dell’“assenza”. […]. La rappresentazione è allora il tempo-spazio grazie al quale si rende
presente l’assente»14.
Ma oggi, nell’«orgia visuale dei nostri tempi massmediatici»15, come e in che senso si può parlare di assenza?
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Probabilmente, la overdose di immagini presenti nel
mondo virtuale fa sì che il vero assente spesso sia proprio
il reale, che la nostra coscienza sfuma e opacizza fino a
renderlo assente.
Le espressioni del viso: aspetti universali e
culturali
Ma torniamo alle immagini che popolano il mondo virtuale della rete frequentato sempre più assiduamente da
internauti, nativi ed immigrati digitali. La loro caratteristica più evidente sembra quella di essere prevalentemente centrate sulle emozioni e sui sentimenti, ormai
sdoganati e non più ritenuti segno di debolezza da relegare
entro i confini di genere (specificità femminile) e neppure
entro licenze riservate a poeti, pittori ed artisti in genere.
oggi, manifestare le proprie emozioni è diventato il modus operandi et comunicandi abituale, tipico soprattutto
di chi si serve di terminali multimediali e di social network. sembra quasi che si stia via via trasformando il comune modo di pensare, da un pensare prevalentemente
per logica ad un pensare per emozioni ed immagini, più
spontaneo e fluido ma anche più soggetto ai meccanismi
della suggestione e del contagio emotivo.
anche il linguaggio delle emozioni e la codificazione
delle immagini delle emozioni si vanno sempre più arricchendo di nuove articolazioni. Grande è l’attenzione
che, ad esempio, viene rivolta all’espressività del corpo e
soprattutto a quella del volto, entrambi percepiti come elementi biologicamente strutturati e, quindi, riconoscibili al
di là e al di sopra dei confini spaziali, etno-culturali e linguistici.
L’universalità della mimica facciale, invero, era stata oggetto di studi già sin dall’inizio del 1800, a partire dalle
ricerche di Bell16 del 1806 e di duchenne17 del 1862, anche se è stato charles darwin ad essere considerato il pio-
che ogni termine straniero dovrebbe essere maschile invariante, ma nell’uso quotidiano non sempre è così (ad es., non si sente mai dire “un t-shirt”). nel secondo
caso, se si accetta la regola di attribuire al nome straniero il genere che esso ha
nella traduzione della lingua italiana, emoticon diventa femminile, poiché le traduzioni italiane sono tutte femminili: emozione/i, faccina/e, icona/e. in questo
testo, quindi, il termine “emoticon” sarà usato al femminile.
12. P. Lévy, Il virtuale (1995), tr. it. cortina, Milano 1997; id., Cybercultura. Gli
usi sociali delle nuove tecnologie (1997), tr. it. Feltrinelli, Milano 1999.
13. e. Franzini, Educazione all’immagine per andar oltre l’apparenza e per recuperare gentilezza e grazia del ‘700, in http://www.laccentodisocrate.it/
Franzini14.html. elio Franzini è ordinario di estetica all’università di Milano.
14. e. Franzini, L’immagine svela il reale, «Pearson», 10 ottobre 2012, in
http://is.pearson.it/magazine/filosofia-limmagine-svela-il-reale/.
15. Ibidem
16. c. Bell, Essays on the Anatomy of Expression in Painting, Longman, London 1806.
17. G.-B.-a.duchenne de Boulogne, The Mechanism of Human Facial Expression (1990), cambridge university Press, cambridge (originale 1862).
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niere di questo tipo di studi. egli sostenne, infatti, che la
mimica delle espressioni facciali non fosse frutto dell’apprendimento della cultura di appartenenza, ma, essendo comprensibile in tutte le culture, ritenne che fosse
universale ed identica per tutte le popolazioni del
mondo18.
Bisogna aspettare però Paul ekman ed i suoi studi sulle
emozioni, più fondati scientificamente, per poter precisare
alcuni aspetti interessanti a riguardo. in un suo famoso
esperimento egli presentò, infatti, dei filmati a studenti
universitari degli stati uniti e del Giappone, i quali visionarono i filmati in due diversi contesti. nel primo contesto, sia gli studenti americani sia quelli giapponesi, ripresi da telecamere nascoste mentre vedono i filmati da
soli, esprimono le loro emozioni attraverso una grande
mole di espressioni facciali, le quali, comparate, mostrano un alto grado di accordo. Questa prima fase dell’esperimento conferma, quindi, la tesi dell’universalità
delle espressioni facciali in un setting sperimentale controllato.
nel secondo contesto, invece, quando gli studenti vengono ripresi mentre vedono i filmati in presenza di uno
sperimentatore, le reazioni divergono. Gli studenti giapponesi, sia durante la visione dei filmati sia durante le interviste successive, tendono a manifestare una minore
varietà di espressioni facciali ed a camuffarle con un sorriso per nascondere le loro emozioni, invece i soggetti
americani continuano a manifestare le loro espressioni
del viso in maniera indifferenziata rispetto al primo contesto19.
da questo esperimento ekman deduce, innanzitutto, che
la mimica facciale e le emozioni sottostanti non sono determinate dalla cultura di appartenenza, ma sono universali ed uguali in tutto il mondo, quindi di origine principalmente biologica. riconosce, invece, che non sono
universali le reazioni alle situazioni in cui si manifestano
le espressioni delle emozioni, perché soggette alle influenze culturali.
secondo la “teoria neuroculturale” di ekman, infatti, oltre l’aspetto panculturale delle espressioni delle emozioni, «esistono una serie di “display rules”, regole sociali
di esibizione delle emozioni, culturalmente apprese, che
prescrivono il controllo e la modificazione delle espressioni emozionali a seconda della circostanza sociale»20.
nella seconda condizione della sperimentazione, la presenza nella stanza di uno sperimentatore metteva in moto
una serie di regole culturalmente apprese, diverse per le
due culture prese in esame, che condizionavano fortemente l’esibizione delle emozioni provate.
Pertanto, rispetto al riconoscimento delle emozioni ed alla
loro espressione possiamo affermare che entrano in gioco
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sia aspetti universali, sia aspetti culturali, e questi ultimi
non discreditano l’ipotesi della universalità, ma suggeriscono quella dell’interazione tra fattori biologici e fattori
sociali.
Nuove immagini di emozioni: le emoticon
analoghe considerazioni valgono per le emoticon21, nuove
sintesi iconico-mediatiche delle emozioni, degli stati
d’animo e dei sentimenti che vengono diffusamente utilizzate nella comunicazione digitale. servono in genere ad
accompagnare un testo, e a volte spesso lo sostituiscono,
traducendo in maniera efficace e rapida gli stati d’animo
dell’emittente del messaggio.
Le prime emoticon risalgono agli inizi degli anni ’60 del
secolo scorso. scoprire come dai caratteri dell’alfabeto e
dalla punteggiatura potessero nascere “faccine” che rappresentavano le emozioni è stata all’inizio una novità ed
una forma di divertimento.
oggi le emoticon sono diventate linguaggio comune e
molto usato anche con gli smartphone negli sms o nella
messaggistica istantanea anche perché, inserendo più informazioni in un solo messaggio, consentono di far risparmiare tempo e denaro. soprattutto negli instant message spesso queste immagini segnico-espressive stilizzate
e sintetiche sostituiscono le parole oppure integrano e
completano l’informazione, rappresentando la parte più
empatica e significativa della comunicazione virtuale.
il “chiarimento emotivo” operato dalle emoticon arricchisce la conversazione digitale perché le immagini si riferiscono ormai non soltanto a particolari espressioni sia
del volto (sorrisi, pianti, smorfie, risate con le lacrime,
grugni, etc.), sia della voce (tono entusiastico, minaccioso, arrabbiato, tremolante, etc.) sia delle emozioni
(sorpresa, tristezza, amore, gioia, rabbia, etc.), ma possono
riguardare anche tutta l’esperienza personale, comprese le
varie attività, i movimenti ed i gesti, gli oggetti, gli animali, i segni grafici di varia natura, etc.
Per le loro caratteristiche, le emoticon potrebbero sembrare un momento di involuzione della capacità comunicativa dell’uomo. in realtà si tratta di un recupero di
forme espressive originarie, dal momento che i ‘segni’
18. c. darwin, L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali (1872),
tr. it. Longanesi, Milano 1971.
19. P. ekman, Universal and Cultural Differences in Facial Expression of Emotion, in J. cole (ed.), Nebraska Symposium of Motivation -1971, 1972, vol. 19,
university of nebraska Press, Lincoln, ne, pp. 207-283.
20. d. Matsumoto - M. cortini (2001), La sfida della psicologia (Cross)-Culturale allo studio delle emozioni, in http://siba-ese.unisalento.it/index.php/psy
chofenia/article/viewFile/i17201632vivn6p53/2990, pp. 3-4.
21. il termine “emoticon”, derivato dalla contrazione inglese di “emotional
icon”, significa letteralmente “icona dell’emozione”.
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contengono e traducono il significato di tutto un pensiero,
come accadeva ad esempio con gli ideogrammi o i geroglifici, che rappresentavano un concetto, un’idea, e non
semplicemente un valore fonologico o un suono.
in un certo senso, gli adolescenti e tutti coloro che le
usano nelle chat vogliono soltanto rendere più ricca la loro
comunicazione aggiungendo espressività, comprensibilità
e colore ai propri messaggi22. infatti intrecciano ed integrano l’uso di queste strategie comunicative iconografiche con tutte le altre forme comunicative tecnologicamente sofisticate di cui dispongono, consapevoli che il
destinatario cattura prima le immagini e le emozioni nelle
immagini, piuttosto che le parole.
Per questa capacità di comunicare un messaggio, anche
complesso, con immediatezza e senza bisogno di spiegazioni le faccine e le immagini espressive delle emoticon
sono divenute ormai un codice che solitamente viene
considerato potenzialmente universale e cross-culturale.
anche Facebook, il social network più utilizzato nel
mondo, ha introdotto la possibilità di aggiornare il proprio
status eliminando le parole per utilizzare al loro posto solo
emoticon. evidentemente queste ultime si delineano come
dei ‘segni’ importanti che una persona utilizza ogni giorno
per comunicare i suoi stati d’animo e, come tali, possono
rivelare tanto di lei, dei processi e delle dinamiche in cui
è coinvolta, dei suoi vissuti e delle sue tensioni.
sulla valorizzazione delle emoticon è fondato anche il successo che ha avuto in rete, sulla piattaforma Tumblr, una
pagina come “Emojinalysis”. il suo creatore, dan Brill, in
essa propone che le emoticon usate dal soggetto più frequentemente nella sua comunicazione digitale vengano utilizzate come test per rivelare la personalità di chi scrive, i
suoi umori, i suoi capricci, le sue preferenze rispetto a varie tematiche e, soprattutto, per svelarne gli errori23.
chiunque oggi sia interessato a comprendere lo stato
d’animo ed il comportamento emotivo delle persone non
può più fare a meno di leggere ed interpretare il vasto e
diffuso utilizzo di questo nuovo linguaggio iconico. Lo
fanno già, ad esempio, nell’apparato giudiziario, durante
le indagini conoscitive per scoprire le caratteristiche personologiche dei soggetti indagati, ma anche nel campo
commerciale, per perseguire strategie di marketing più efficaci, per non parlare degli apparati politico-militari
nelle loro operazioni di intelligence.
anche la pedagogia da tempo riflette sugli effetti di questi
nuovi linguaggi e strategie, utilizzati soprattutto dalla net
generation in maniera massiva, per valutarne le conseguenze sia sulla costruzione dell’identità e della personalità, sia sulle capacità espressive ed interpretative messe particolarmente alla prova nelle tante situazioni cross-culturali,
che ormai sono quotidianamente a portata di schermo24.
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ci si chiede, tra l’altro, se la comunicazione cross-culturale risulti sempre facilitata da questo tipo di immagini oppure se, ed eventualmente in che misura, le differenti
esperienze culturali degli interlocutori influenzino il loro
tipo di codifica/decodifica.
Rappresentazioni multimediali
e cross-culturali delle emozioni
come hanno dimostrato ormai diversi ricercatori (Jacke,
Youki, schyns25), in realtà le espressioni del volto non
sono del tutto universali perché, per quanto biologicamente radicate, esse sono anche culturalmente situate e
contestualizzate, collegate ad interazioni umane condivise.
si è notato, ad esempio, che tra gruppi di orientali e
gruppi di occidentali, alcune espressioni del volto negative
determinano livelli di riconoscimento più bassi26. Lo studio condotto nel 2009 da r.e. Jacke, c. Blais, c. scheepers, P.G. schyns e r. caldara mostra infatti che gli osservatori orientali utilizzano una strategia di decodifica
specifica della loro cultura (culture-specific decoding
22. La letteratura nazionale ed internazionale sul tema degli adolescenti e l’uso
di internet è ormai molto vasta. Per un approfondimento si possono consultare
tra gli altri: d. Boyd, It’s complicated. La vita sociale degli adolescenti sul web,
tr. it. castelvecchi, roma, 2014; aa.vv., Educare nell’era digitale, 52° convegno di scholé, La scuola, Brescia 2014; B. volpi, Gli adolescenti e la rete, carocci, roma 2014; P. c. rivoltella, Costruttivismo e pragmatica della comunicazione on line. Socialità e didattica in Internet, erickson, trento 2003; c. davies
- J. coleman - s. Livingstone (eds.), Digital Technologies in the Lives of Young
People, routledge, London 2014.
23. Brill dichiara che l’idea di questa pagina è nata proprio mentre stava comunicando in chat con un amico. osservando le emoticon che l’amico utilizzava più
frequentemente, si accorse che le più usate rappresentavano alcool, smiley tristi, volti in difficoltà ed oggetti che esplodevano. da questa preoccupazione per
lo stato d’animo dell’amico nacque l’idea di aiutare altre persone a comprendersi
attraverso le emoticon da loro utilizzate. il magico motto annunciato da dan Brill
è diventato: “dimmi che emoticon usi e ti dirò chi sei”, o – ancora meglio –
“Fammi vedere le tue emoticon più recenti e ti dirò quello che non va nella tua
vita”. il sito Emojinalysis si trova all’indirizzo: http://emojinalysis.tumblr.com/.
24. Per un approfondimento di questa tematica, si vedano tra gli altri: h. Gardner - K. davis, Generazione app. La testa dei giovani e il nuovo mondo digitale (2013), tr. it. Feltrinelli, Milano 2014; M. Prensky, La mente aumentata. Dai
nativi digitali alla saggezza digitale (2012), tr. it. erickson, trento, 2013; s. Livingstone, Ragazzi online. Crescere con Internet nella società digitale (2009),
tr. it. vita e Pensiero, Milano 2010; P. Ferri, Nativi digitali, Bruno Mondadori,
Milano 2011; d. Buckingham (ed.), Digital Generations. Children, Young People, and New Media, routledge, new York 2006.
25. r.e. Jacke - c. Blais - c. scheepers - P.G. schyns - r. caldara, Cultural
Confusions show that Facial Expressions are not Universal, «current Biology», 18(2009), vol. 19, pp. 1543-1548; M. Yuki - W.W. Maddux - t. Masuda,
Are the windows to the soul the same in the East and West? Cultural differences
in using the eyes and mouth as cues to recognize emotions in Japan and the
United States, «Journal of experimental social Psychology», 2(2007), vol. 43,
pp. 303-311.
26. Ibidem. Per maggiori approfondimenti, si vedano anche: r.e. Jacke - o.G.
B. Garrod - P.G. schyns, Dynamic Facial Expressions of Emotion Transmit an
Evolving Hierarchy of Signals over Time, «current Biology», 2(2014), vol. 24,
pp. 187-192; P.G. schyns - L.s. Petro - M.L. smith, Dynamics of Visual Information Integration in the Brain for Categorizing Facial Expressions, «current
Biology», 4(2007), vol. 17, pp. 336-340.
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strategy), che si rivela inadeguata per distinguere in maniera affidabile quelle espressioni facciali delle emozioni
finora considerate universali. attraverso la registrazione
dei movimenti degli occhi, i ricercatori hanno notato che
gli osservatori orientali fissano in modo persistente la regione degli occhi tralasciando la bocca, mentre gli occidentali distribuiscono lo sguardo in modo uniforme in
tutto il viso. La conseguenza è che gli orientali, acquisendo
informazioni poco chiare e per loro ambigue, operano confusioni significative nel riconoscimento delle espressioni
delle emozioni (gioia, tristezza, sorpresa, paura, disgusto,
rabbia, neutralità) rispetto agli occidentali.
i risultati di questo studio, mettendo in discussione l’universalità delle espressioni facciali umane delle emozioni,
non soltanto evidenziano la complessità della comunicazione umana soprattutto quando ci si trova in situazioni
cross-culturali, ma non riconoscono più al famoso Facial
Action Coding System (Facs) (sistema di codifica delle
espressioni Facciali) – elaborato da ekman e Friesen nel
1978 e perfezionato nel 2002 (insieme ad hager)27 – il carattere di sistema di codifica universale ed infallibile.
ecco perché viene confermata come improponibile la
pretesa dei vari universi culturali – tanto occidentale
quanto (medio)orientale – di considerare una immagine
del mondo come unica e validamente riconoscibile per
tutte le realtà culturali e globalizzate. Questo vale ancor
di più quando il confronto riguarda in modo particolare
concetti, parole, comportamenti e simboli relativi ad
aspetti religiosi oppure a principi etici e sociali espressione di contesti culturali diversi: in questi casi, ovviamente, è facile che si verifichino equivoci, fraintendimenti
ed errori circa i significati comunicati.
a supporto di queste considerazioni, basta fare una comparazione tra le emoticon occidentali e quelle orientali:
Stato d’animo
Felicità
tristezza
tristezza con pianto
Occidente
:-)
:)
:,(
:’(
:-(
:(
(^.^)
Oriente
(—_—)
(t_t)
(;_;)
come si può notare, la differenza sostanziale sta innanzitutto nel fatto che gli occidentali usano soprattutto la
bocca per descrivere gli stati emotivi, mentre gli orientali
usano principalmente gli occhi. Lo smile sorridente occidentale ha bocca grande ed occhi piccoli, mentre quello
orientale ha occhi grandi e bocca molto piccola: nella cultura giapponese, infatti, le persone tendono a sorridere
solo con gli occhi e, quando il sorriso viene accennato anche con la bocca, si coprono la bocca con la mano. inoltre, nelle emoticon orientali della felicità, sopra riportate,
la bocca è rappresentata da un puntino o da un piccolo
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tratto orizzontale, a seconda che si riferisca rispettivamente alle donne o agli uomini. Questo si spiega col fatto
che nella tradizione orientale, il galateo vuole che le
donne non espongano i denti mentre sorridono, quindi la
bocca deve restare chiusa e molto piccola28.
anche la disposizione dei segni nello spazio è differente
a seconda della cultura. Le emoticon in stile occidentale
sono orizzontali, cioè scritte da sinistra a destra con la testa ruotata in senso antiorario di 90 gradi, per cui gli occhi sono sulla sinistra, seguiti dal naso (spesso non incluso) ed infine dalla bocca. invece, le emoticon orientali
sono verticali, generalmente non ruotate, e possono includere caratteri non latini, il che aggiunge ulteriore complessità alla interpretazione. tra le emoticon orientali più
significativamente differenti dalle occidentali, soprattutto
per la forma degli occhi e la prevalenza degli occhi sul resto dei segni, troviamo:
Emoticon orientali
Traduzione dell’emozione
(~_~)
nervoso o imbarazzato
(>_<)
(^_-) (^_~)
(° ° )
(_ _)
(=_=)
(*_*) (@_@)
preoccupato, arrabbiato
occhiolino
confuso
kowtow
stanco
stupefatto
alcune di esse, per quanto differenti, risultano nel complesso decifrabili ma ce n’è qualcuna la cui comprensione
risulta particolarmente difficile per gli occidentali. si
veda, ad esempio, l’emoticon che si riferisce all’immagine
di kowtow, per il popolo cinese la più alta forma di riverenza usata per salutare un superiore o l’imperatore, che
consiste nell’inginocchiarsi e chinare il capo sino a toccare terra. i fruitori estranei a quella tradizione culturale
che provassero a decodificarla, in assenza di una esplicita
informazione sui significati da essa veicolati, non riuscirebbero neppure ad intuire quali emozioni questa immagine cerca di trasmettere.
si conferma, cioè, che queste immagini stilizzate e simboliche, così come le emozioni cui si riferiscono, sono
in gran parte comuni ma, quando incorporano elementi
fortemente culturalizzati, rimangono cariche di molti
tratti di ambiguità che ne precludono una piena fruizione, universale e certa. È sempre possibile, pertanto,
27. P. ekman - W. Friesen, Facial Action Coding System: A Technique for the
Measurement of Facial Movement, consulting Psychologists Press, Palo alto,
1978, versione ampliata e riveduta nel 2002 insieme a J. hager.
28. M. Yuki - W.W. Maddux - t. Masuda, Are the windows to the soul the same
in the East and West?..., cit.
31
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che il divario diventi fonte di incomprensione, frainten- avendone la possibilità in termini tecnologici, tutti posdimento e, a seconda dei contesti, anche di contrappo- siamo agevolmente fissare ogni evento a cui assistiamo o
di cui siamo protagonisti e riproporlo con immagini in una
sizione e scontro29.
documentazione, anche impietosa, che non lascia più
spazi per l’immaginazione. si tratta di immagini e filmati
I selfie e la tentazione di spettacolarizzare
personali postati da molti sui social network senza più ril’esistenza nella vita online
tra le immagini più emblematiche e caratteristiche che servatezza né rispetto, neppure per l’essere umano che
circolano su social network e media elettronici vogliamo soffre o sta morendo, esibite e sfruttate come spettacolo
ricordare, infine, i cosiddetti selfie, scatti fotografici con proprio per attirare più pubblico e più visualizzazioni.
i quali le persone realizzano autoritratti tramite smar- Le immagini virtuali fanno parte ormai di quel processo
tphone o webcam. sono immagini e filmati anch’essi di spettacolarizzazione dell’esistenza che internet, i social
strettamente collegati alla diffusione dell’uso delle nuove network e i media elettronici quotidianamente alimentano
tecnologie digitali e la cui funzione social per i soggetti nel mondo virtuale. accompagnano e suggellano il trasembra essere sostanzialmente quella di comunicazione ghettamento verso il prevalere di quella dimensione estedei propri stati d’animo e di autopromozione della propria tica della vita e della comunicazione che oggi rischia di
imporre la marginalizzazione di ogni altra sfera vitale ed
immagine.
i selfie spesso documentano relazioni amicali o fami- esperienziale.
liari, oppure eventi significativi a cui il soggetto partecipa: in un tempo di grande mobilità e frammentazione come
il più delle volte servono per mantenere vive relazioni af- quello attuale, la diffusione di certe tipologie di selfie non
fettive minacciate da distanze fisiche o da difficoltà logi- costituisce più, quindi, soltanto un banale strumento di dostiche. nelle tante situazioni in cui diventa impossibile cumentazione legato ad una moda culturale. segnala,
l’esperienza diretta degli incontri interpersonali, le im- piuttosto, il diffondersi di una mentalità e di un orientamagini facilitano ed arricchiscono il contatto, comunicano mento narcisistico ed estetizzante che rappresenta, ime suscitano emozioni, evocano sentimenti, rassicurano e plicitamente, la denuncia di quanto problematico sia ormai per la persona entrare in dialogo con gli altri e col
richiamano attenzione.
La loro diffusione potrebbe essere letta quasi come la spia mondo, instaurare una relazione face to face, fare i conti
di una voglia di protagonismo e di relazione che, in una con la diversità e con le difficoltà dell’esistenza.
società frammentata e poco coesa come quella attuale, di- sembra essersi diffuso un nuovo tipo di solitudine legata
venta sempre più difficile soddisfare nell’esperienza quo- proprio all’uso ossessivo degli strumenti di comunicatidiana e che, proprio per questo, si aspetta risposte dalla zione digitali che, mentre la esorcizzano, di fatto ne aggravano il peso e l’ampiezza.
sfera virtuale, trovando in essa un utile surrogato.
i selfie, in fondo, raccontano spesso di persone sole che non è un caso che una delle attività più praticate nella
non vogliono restare nell’isolamento, a cui in qualche fruizione attiva dei social network consista oggi nel(32
modo si sentono condannate, e che vogliono uscire dal- l’upload (caricamento in rete) di foto e video personali
30
l’ombra dell’anonimato cercando interlocutori per i quali milioni di selfie al giorno in italia solo nel 2013) . di que-
esistere.
di sicuro c’è che il numero di selfie scattati aumenta
esponenzialmente ogni giorno di più costituendo ormai
una moda contagiosa che sta mettendo in circolo un patrimonio sterminato di immagini di ogni tipo.
documentano non soltanto esibizioni di competenze positive particolari (artistiche, manipolative, creative, culturali, ecc.) o momenti di storia quotidiana (eventi significativi, tappe della crescita infantile e giovanile, l’evolversi
di una gravidanza, le trasformazioni corporee durante una
malattia, ecc.), ma anche emozioni tumultuose e violente
(approcci seduttivi, atti di prevaricazione, comportamenti
aggressivi, forme di sadismo, ecc.), con l’intento soprattutto di comunicare e suscitare forti emozioni.
in realtà siamo in molti, ormai, ad essere ossessionati dal
bisogno compulsivo di documentare ogni cosa perché,
32
29. ci sembra di poterlo affermare con ancora maggiore convinzione dopo l’attacco terroristico avvenuto il 7 gennaio 2015 contro la sede del giornale satirico
charlie hebdo, a Parigi, innescato da reazioni abnormi a irriguardose vignette
satiriche anti-islamiste. dimostra quanto sia difficile pervenire oggi ad una lettura univoca di simboli ed immagini da parte di soggetti con diversi riferimenti
culturali, sociali, politici e religiosi. ciò che per una persona, un gruppo o un popolo è solo ironia o graffiante espressione di libertà di pensiero, da difendere sempre e comunque, può essere ritenuto da altri un insulto insopportabile o un attacco blasfemo così irriguardoso da mettere in atto inaudite violenze. con
questo non si vogliono né si possono legittimare le reazioni violente e crudeli alle
presunte offese subite da parte di chicchessia verso altri esseri umani, perché ogni
attacco alla dignità ed alla vita umana resta sempre ed in ogni caso un abominio ed un fatto esecrabile, che non fa crescere nessuno e disumanizza tutti, costituendo solo il preludio di processi di morte a catena.
30. censis, 48° Rapporto sulla situazione sociale del Paese 2014, Franco angeli, Milano 2014. «secondo i dati forniti da Global Web index relativi all’italia, il 73% degli utenti che hanno utilizzato i social network nel 2013 ha indicato
di aver caricato fotografie e di aver interagito con i contenuti postati. in italia sono
circa 4 milioni gli utenti che utilizzano instagram, dove il 58% dei contenuti con-
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sta pratica ormai così diffusa il rapporto censis 2014 ha
scritto che costituisce «l’evidenza fenomenologica incontrovertibile della concezione dei media come specchi
introflessi in cui riflettersi narcisisticamente, piuttosto
che strumenti attraverso i quali scoprire il mondo e relazionarsi con l’altro da sé»31.
cioè, la realtà dell’immagine digitale è divenuta ormai un
flusso continuo ed inarrestabile dove l’apparire sta prendendo il posto del rappresentare che, a sua volta, ha
preso il posto dell’essere. Questa cultura della visibilità,
diffusa ed imposta dai mezzi di comunicazione, rende
ogni cosa, evento o soggetto perennemente esposti alla
violenza della visibilità-ad-ogni-costo. si sta creando
quasi un obbligo di visibilità e di esibizione pubblica attraverso le immagini che rischia di impoverire fortemente
il reale nella coscienza delle persone e di far perdere alle
immagini il loro potere immaginifico e fabulatorio. il
mondo diventa così privo di segreto e di mistero e la persona si perde nel flusso ininterrotto di immagini che scorrono32. vince la spettacolarizzazione che riesce ad attrarre consensi e pubblico provocando shock visivo ed
emotivo.
commentando questi processi Fabrizio intonti scrive:
il linguaggio pubblicitario e in generale mediatico si è appropriato anche dei contenuti della fotografia documentaristica
(Baudrillard cita le foto di oliviero toscani) che tradizionalmente mostra e svela la miseria umana, quella “che non vorremmo vedere”. violenza, guerra, fame, malattia, morte: una
volta “estetizzate” all’interno della comunicazione pubblicitaria, vengono “anestetizzate” e neutralizzate, perdono di significato, diventano mere parole, non comunicano più niente del loro
contenuto, riflettono la miseria umana ma non ci toccano. ancora una volta, il discorso, il linguaggio, e quindi il logos, soccombe: si trasforma in semplice medium, supporto delle
immagini e della dittatura della visibilità e dell’estetica, perde
autonomia e dimensione simbolica33.
Immagini e simboli nel mondo virtuale:
risorse e rischi educativi
Questo flusso ininterrotto di immagini digitali34, invadendo la nostra mente, costituisce oggi il vero problema
educativo proprio perché si tratta di una overdose di immagini che presentano aspetti altamente ambivalenti: la
loro chiarezza le rende oscure, la loro crudezza le rende
violente, il non-celamento le rende più difficilmente interpretabili.
Forse di esse non si può neanche dire che siano “immagini”; «non solo perché si danno come cose con cui fare
i conti, ma anche per il fatto che il loro apparire non è
[più] “ontologicamente” legato al visibile»35, ma rimanda
ad altri mondi, ad altre realtà. ciò che oggi si nasconde
dietro la rappresentazione esteriore delle cose è spesso in© Nuova Secondaria - n. 10, giugno 2015 - Anno XXXII
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quietante e sfugge al controllo dell’immediato e dell’educativo.
dietro allo scatto frenetico delle foto e alla riproduzione
impazzita delle immagini si nasconde un processo di progressiva perdita di quel senso del limite che accompagna
e struttura ogni percorso di crescita: quel limite che definisce il potere del singolo, ma che riguarda anche i confini della privacy personale, il senso di responsabilità e la
sfera della trasgressività.
siamo convinti che non è possibile, ma neppure auspicabile, provare a limitare lo scatto frenetico delle foto e la
riproduzione impazzita delle immagini: ognuno ormai
posta ciò che vuole e, se viene bloccato dalla sicurezza di
una delle piattaforme dei tanti social network, può sempre ripostare la foto, magari aprendo un blog personale
dove nessuno riesce più a vietare alcunché.
rimane il problema di cosa comporti oggi l’esondazione
violenta del fiume di immagini e di come si possano evitare i danni che essa causa, sia con interventi di prevenzione sia con opere di bonifica, capaci di riorientare le preziose risorse in essa presenti canalizzandole e
razionalizzandone l’uso in modo efficace.
La via d’uscita che propone Jean Baudrillard, ad esempio,
è l’invito al silenzio, da opporre al rumore ormai chiassoso
delle immagini. un silenzio che diventa una pausa nello
scorrere continuo, un’assenza che disvela l’horror vacui
dell’uomo postmoderno. Ma, come scrive Gillo dorfles,
se vogliamo sopravvivere bisogna far sì che l’horror vacui lasci il posto all’horror pleni36. scrive infatti:
divisi al giorno nel mondo (32 milioni giornalmente nel 2013) sono autoritratti
fotografici, i cosiddetti selfie» sono dati pubblicati dall’ultimo rapporto del censis del dicembre 2014 che denunciano la sempre più diffusa “solitudine dei soggetti” nel nostro Paese ed i tanti “dispositivi di introflessione di un popolo di singoli narcisisti e indistinti” [<http://www.censis.it/censis/browse/5?shadow
_evento=121053 > , <2_-_Fenomenologico_201>, p. 10].
31. Ibi, p. 11.
32. Per un approfondimento del confine tra pubblico e privato nell’era di internet, si veda tra gli altri: r.G. romano, Per un’etica pedagogica del virtuale nel
mondo globalizzato, «Quaderni di intercultura», 2014,vi, pp. 20-38, in
http://cab.unime.it/journals/index.php/qdi/issue/current/showtoc.
33. F. intonti, “Apocalittici e integrati” dell’immagine, Baudrillard, il fotografofilosofo, in «filosofia.it», consultabile all’indirizzo http://www.filosofia.it/ar
gomenti/apocalittici-e-integrati-dell-immagine-baudrillard-il-fotografo-filosofo.
L’autore è co-fondatore del progetto “filosofia.it” della rai.
34. Per un approfondimento sul discorso delle immagini digitali, si vedano tra
gli altri: r. diodato, On the sense of Aesthetic Experience, in «reM», december 2014, vi, n. 2, pp. 89-99; v. neri, L’immagine nel web. Etica e ontologia,
carocci, roma 2013; v. Flusser, Immagini. Come la tecnologia ha cambiato la
nostra percezione del mondo (1985), tr. it. Fazi, roma, 2009; c. renzi, Forza
delle immagini. Ripensare l’immaginario nell’agire educativo, rubbettino, soveria Mannelli 2008; r. Farné, Diletto e giovamento: le immagini e l’educazione,
utet università, torino, 2006.
35. v. cuomo, L’immagine digitale, «Kainòs», 1(2001), in http://www.kainos.
it/Pages/interventi%20forum.html.
36. G. dorfles, Horror pleni. La (in)civiltà del rumore, alberto castelvecchi,
roma 2008.
33
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L’uomo non si è ancora accorto di aver saturato quasi completamente la sua possibilità di neocreazioni d’immagini. ci troviamo di fronte al più colossale e ubiquitario “inquinamento
immaginifico” cui la nostra civiltà abbia mai assistito. L’eccesso
di stimolazioni visive e auditive dovute ai giornali, ai fumetti,
ai film, alla pubblicità ecc., ma anche alla normale segnaletica
del traffico, alle scritte luminose, hanno fatto sì che non resti
quasi più nulla di libero da segni: da segnali, da icone, da indici37.
ci sembra importante questo richiamo al recupero del
“tempo diastematico”, quel tempo della pausa che riuscirebbe a dare nuovamente senso e capacità creativa all’uomo e potere evocativo alle immagini.
Ma non è sufficiente solo il tempo del silenzio. È altrettanto importante ricostruire un tempo della parola, quella
parola però capace di rompere il fluire incessante di parole vacue, che squarcia il silenzio e cerca di spiegare, nel
senso etimologico di “levare le pieghe” (ex-plicare) dalle
cose, dai concetti, dalle trappole iconiche sempre più
suggestive ed accattivanti.
soltanto fornendole nuovi strumenti logici, psicologici e
spirituali la persona potrà capire le cose e le immagini, conoscerle, destrutturarle, decifrarle ed interpretarle, senza
rimanere catturata dalle emozioni che esse prepotentemente ed efficacemente cercano di provocare in lei, condizionandola fino ad irretirla (si pensi, ad esempio, alle
immagini orribili che scientemente il terrorismo jihadista
sta usando come armi per paralizzare, con la paura, le reazioni dei nemici occidentali).
sono le immagini e le emozioni le nuove e più potenti armi
del nostro tempo, quelle che stanno condizionando lo sviluppo delle coscienze e dei sentimenti al punto da erodere
le basi stesse della nostra civiltà, quelle di fronte alle quali
stiamo diventando sempre più inermi e sguarniti.
Mediante le immagini si convincono i soggetti più fragili
a percepire e vivere la vita come uno spettacolo, un set sul
quale esibirsi o esibire parti di sé, un reality show su cui
giocare la rappresentazione di un potere che spesso è tale
solo perché riesce a ridicolizzare o umiliare gli altri (es.
atti di bullismo, esecuzioni capitali, stragi, ecc.).
sono l’instant messaging, le chat, i social network i nuovi
luoghi, o meglio i luoghi-senza-luoghi, in cui oggi le
persone ed i gruppi tessono relazioni, formano le loro convinzioni, decidono quando, come e perché filtrare immagini e simboli. La comunicazione multimediale, che da
essi viene arricchita ma anche resa composita e controversa, è aperta potenzialmente in senso transculturale ed
universale ma – allo stesso tempo – è sempre esposta alla
possibilità di diventare potente veicolo di disorientamento, divisioni e violenza.
È urgente rendersi conto che la potente forza emotiva che
scaturisce da simboli ed immagini è ormai a disposizione
di chiunque voglia intervenire, sia per aprire e rafforzare
il fronte del dialogo o, all’opposto, per allargare le crepe
e le fratture che le tante fragilità hanno già prodotto nei
sistemi sociali, culturali, economici e politici.
chiunque operi oggi in campo socio-educativo, quindi,
non può non sentirsi impegnato a lavorare con/su immagini e simboli, sia per svelare le trappole annidate nei tanti
meandri della rete (“ragnatela”) e della comunicazione
massmediale, sia soprattutto per insegnare a riconoscere
quell’umanità delle persone che sta sempre al di là e al
di sopra dei simboli.
Rosa Grazia Romano
Università degli Studi di Messina
37. G. dorfles, L’intervallo perduto, einaudi, torino 1980; dal 2006 skira, Milano, cap. i, par. 4.
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