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caduta dei gravi e moto uniformemente accelerato
La caduta dei gravi e il moto uniformemente accelerato Il problema della caduta dei gravi fu posto per la prima volta come problema scientifico da Aristotele che ne indicava una soluzione conforme ai più generali principi della sua fisica: se gli elementi leggeri salgono naturalmente verso l’alto, al contrario un corpo come una pietra cade verso il basso in quanto tende spontaneamente a raggiungere il suo luogo naturale, cioè il luogo più basso identificato come il centro della Terra. Il corpo in qualche modo desidera la terra, e vi si dirige per trovarvi quiete. Aristotele spiega anche il progressivo aumento della velocità di caduta del grave come un sempre più grande anelito al ricongiungimento con il luogo naturale. Questa spiegazione senz’altro pecca di animismo e antropomorfismo, il grave viene trattato quasi come fosse un essere vivente. Eppure la tesi di Aristotele è gravida di conseguenze nella successiva storia del pensiero scientifico, ad esempio pone l’idea che il grave cada verso il centro della Terra e non genericamente sulla Terra, stesso principio che si ritroverà in Newton. La teoria aristotelica pone anche l’accento sulla velocità progressiva del grave in caduta, cioè viene constatata un’accelerazione in caduta. L’esperienza immediata lascia invece all’occhio l’ingannevole impressione che un grave in caduta mantenga la stessa velocità dal primo istante del moto fino al momento in cui cade a terra. Il problema dell’inizio del moto (de primo instanti) e della sua successiva accelerazione fu affrontato in età medievale dai doctores scolastici così come si ponevano il problema di quantificare i tempi e misurare la velocità di caduta. La questione era delicata: se infatti Archimede aveva matematizzato la statica, invece il compito di matematizzare la cinematica si presentava ancora più difficile perché le cose in movimento sembrano sfuggire al calcolo. Come quantificare l’accelerazione? Questo lo fece Galileo Galilei: misurò quantitativamente ed effettivamente questo aumento di velocità, cercando di precisare i tempi di questa accelerazione progressiva non solo teoricamente ma anche attraverso l’osservazione. Per fare questo fu fondamentale l’esperimento del piano inclinato. La normale caduta di un grave per esempio dal balcone è troppo rapida e ciò rende difficili le misurazioni misurazioni precise, allora Galileo si avvalse del piano inclinato per rallentare i tempi di caduta e rendere più facili le misurazioni. Fece dunque rotolare delle palle di diverso peso su piani inclinati al meglio levigati, ed in questo modo scoprì come la regolarità dell’accelerazione sia sempre la stessa a prescindere dall’inclinazione del piano: la velocità raggiunta dalla palla alla fine del piano inclinato è proporzionale alla radice quadrata dell’altezza da cui parte. Misurò la velocità di caduta considerando lo spazio come unità variabile in riferimento ad un unità fissa temporale, avendo così con velocità crescente spazi via via più grandi. In questo modo Galileo giungerà a dire che il grave in caduta percorre in tempi uguali spazi crescenti seconda la serie crescente dei numeri dispari 1-3-5-7…. e cioè, nella prima unità di tempo t una unità di stanza d , nella seconda tre unità di distanza, nella terza cinque unità, nella quarta sette e così via. In tal modo con t1 abbiamo d1, con t2 abbiamo d 1+3=4, con t3 abbiamo 1+3+5=9, con t4 abbiamo d 1+3+5+7=16… e dunque il grave percorre nella sua caduta spazi proporzionali ai quadrati dei tempi, ovvero l’aumento della distanza d equivale al quadrato del tempo t2. In questo modo Galileo sottopose anche il movimento alla legge del numero, l’importanza dell’operazione è notevole se si pensi che con ciò diviene possibile conoscere in anticipo, cioè prevedere, il tempo esatto in cui un grave , cadendo da una data altezza, toccherà terra. Il vuoto assurdo di Aristotele e la legge di caduta dei gravi Circa la caduta del grave con moto accelerato, Aristotele dice che la velocità di caduta di un grave è direttamente proporzionale al suo peso e dunque aumenta in proporzione ad esso. Allo stesso tempo però la velocità di caduta del grave è per Aristotele inversamente proporzionale alla densità del mezzo (aria, acqua..) che oppone resistenza. Così, secondo Aristotele, la velocità di caduta di un corpo raddoppia se raddoppia il suo peso o se viene dimezzata la densità del mezzo. Anche qui si nota un elemento molto interessante nella fisica aristotelica: Aristotele riconosce correttamente la funzione di resistenza e attrito dell’aria. E’ vero anche che egli attribuisce contraddittoriamente nella sua fisica due opposti ruoli all’aria, di impossibile propulsione e spinta nel moto dei proietti (oggetti lanciati, tipo freccia dall’arco) e al contrario di resistenza alla caduta dei gravi: l’aria che da una parte è forza propulsiva diventa ostacolo altrove. Vediamo ora come il riconoscimento del ruolo dell’attrito dell’aria e il fatto di esperienza comune, e cioè che i corpi più pesanti toccano terra prima di quelli più leggeri, porta lo Stagirita ad un’importante affermazione: ragionando per assurdo dice che tale priorità del pesante verrebbe meno e sarebbe impossibile non appena si sottraesse l’aria e si postulasse il vuoto . Vale a dire che: se esistesse il vuoto, allora la velocità di caduta sarebbe identica per tutti i corpi e non dipenderebbe dal loro peso, ma questo è assurdo, dunque il vuoto non esiste. Ancora una volta, come già sul principio di inerzia, egli respinge una conclusione che oggi noi sappiamo essere corretta, e questo per non volere ammettere il vuoto. D’altronde Aristotele aveva compreso anche che i corpi celesti non pesano, e per questo li aveva fatti di etere leggerissimo che consentiva loro di rimanere avvinti alle sfere mobili che li trasportavano senza cadere sulla Terra. Torniamo all’ipotesi per assurdo di Aristotele sui gravi in caduta nel vuoto con la stessa velocità a prescindere dal peso. Questa ipotesi per assurdo,prima di diventare legge fisica in Galileo, farà un lungo cammino , passando innanzitutto dall’atomismo epicureo. Infatti Epicureo che invece ammetteva uno spazio vuoto e infinito, non avrà alcun timore di trarre da questo assunto quelle implicazioni che Aristotele trasse solo per considerarle assurde. Mentre infatti Democrito pensava che gli atomi vorticassero casualmente nel vuoto, Epicuro invece pensava che essi cadessero sì a causa del loro peso ma con la stessa velocità del tutto indipendente dal peso, proprio come l’ipotesi per assurdo di Aristotele. La teoria di Epicureo, che richiede il clinamen per spiegare gli scontri atomici, prevede che gli atomi siano equiveloci “quando procedano attraverso il vuoto senza cozzare contro nulla:perché quando non vi siano ostacoli, il pesante non si muoverà più velocemente del piccolo e leggero, e nemmeno il piccolo si muoverà più veloce del grande …..” Quando dunque Galileo porrà la corretta legge di caduta dei gravi, certamente ha alle spalle un lungo processo intellettuale che a quella legge si avvicina alquanto. Riprendendo e rafforzando questi ragionamenti egli dovrà solo rovesciare l’ipotesi per assurdo di Aristotele e ammettere il vuoto quantomeno come condizione ideale in assenza di attrito, per formulare il suo principio per i quali i gravi cadono nel vuoto alla stessa velocità indipendentemente dal peso. Il grande merito di Galileo è consistito nel trasformare una consapevolezza cui si era da più parti pervenuti nel fulcro e nell’asse portante di una nuova fisica. Secondo problema : Dove cade il grave? L’esperienza dava una risposta: cade lungo una traiettoria perpendicolare, verticale. (Importanza della precisione delle misure) . La questione sembrava non esserci: la Terra è ferma perché se ruotasse il grave cadrebbe spostato a ovest (senso inverso alla rotazione) e invece cade perpendicolarmente. Galileo: non è vero, anche se la Terra ruotasse il grave non cadrebbe spostato a ovest ma lungo la verticale , anzi, a ben vedere addirittura spostato verso est. Perché? Per il principio di relatività enunciato da Galileo che dice :” E’ impossibile distinguere sulla base di misure meccaniche un sistema in moto rettilineo uniforme da uno in quiete”. I moti che avvengono in un mezzo che si muove di moto rettilineo uniforme non differiscono in nessun modo da quelli che avvengono in un mezzo in quiete: cioè , se non ci sono accelerazioni, che la Terra si muova o stia ferma è esattamente la stessa cosa. Anche l’atmosfera terrestre ed il grave in caduta partecipano al moto di rotazione terrestre e quindi fanno parte di un sistema inerziale che non si distingue da uno in stato di quiete. Il grave cadrebbe dunque lungo la verticale anche supponendo una Terra in moto uniforme. Ma il moto della Terra è circolare e la velocità lineare di rotazione terrestre varia con l’altitudine e la latitudine, questo fatto fa piegare la traiettoria di caduta del grave verso EST ma giammai verso ovest.