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Il Crogiolo Spezzato

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Il Crogiolo Spezzato
Il Crogiolo Spezzato
La vera chiave dell'Alchimia.
Di Valerio Petretto.
Il Crogiolo Spezzato – Valerio Petretto © Copyright 2013
Pag. 1
Il Crogiolo Spezzato – Valerio Petretto © Copyright 2013
Pag. 2
Sommario
Prefazione – Pag. 5
PARTE PRIMA: La Conoscenza – Pag. 9
Capitolo I : Ordine dal Caos – Pag. 19
Capitolo II : I Concetti Fondamentali – Pag. 27
Capitolo III : Il Libro dello Splendore – Pag. 43
Capitolo IV : Il Vedanta – Pag. 67
Capitolo V : Gli Alchimisti “Siddha” Tamil – Pag. 77
PARTE SECONDA : La Coscienza – Pag. 105
Capitolo VI : L'equazione della Vita – Pag. 111
Capitolo VII : Il Matrimonio Alchemico – Pag. 115
Conclusioni – Pag. 141
Appendice I : Come fare l'Oro in casa – Pag. 143
Appendice II : Il Cantico del Mahamudra – Pag. 153
Appendice III : Chi sono Io ? di Bhagavan Sri Ramana Maharshi – Pag. 157
Appendice IV : Testi Essenziali Pag. 165
Il Crogiolo Spezzato – Valerio Petretto © Copyright 2013
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Il Crogiolo Spezzato – Valerio Petretto © Copyright 2013
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Prefazione
“...le cose inutili si vendono, le cose preziose si regalano...”
La prima volta che sentii parlare della “Pietra Filosofale” è stata tanti anni fa, avevo
13 anni ed ascoltavo mio padre che commentava la lettura di un libro prestatogli da
non so chi; il libro in questione era “Il Mattino dei Maghi” un saggio pubblicato nel
1960 da Louis Pauwels e Jacques Bergier.
Appena riuscii a leggerlo rimasi estasiato quando arrivai al capitolo che parlava di
Fulcanelli, il grande e famigerato alchimista francese, e della Pietra Filosofale, questa
mistica materia scaturita da un crogiolo, capace di trasmutare il vile piombo in nobile
oro e, ancora più affascinante, capace di trasformare l'alchimista in un essere
illuminato dalla saggezza, irradiato dalla conoscenza e padrone degli elementi grazie
all'Elisir di Lunga Vita.
Rimasi talmente colpito ed affascinato da tale lettura, ero un ragazzino appassionato
di tutto ciò che si può catalogare nell'ambito scientifico, i fenomeni della fisica, della
chimica, l'aerodinamica, erano i miei giochi quotidiani.
Mentre i miei coetanei giocavano a calcio e si scambiavano figurine, io me ne stavo
in casa progettando aeromodelli, leggendo riviste scientifiche, sperimentando gli
specchi ustori o la formula della polvere da sparo per costruire un razzo fatto in casa.
Tanto rimasi colpito da quel libro, ed in particolare dai capitoli sull'alchimia che
quella lettura segnò un marchio indelebile nel mio inconscio; con l'entusiasmo e
l'ottimismo di un tredicenne pieno di curiosità e voglia di imparare, decisi che avrei
dedicato la mia vita a studiare l'Alchimia ed avrei cercato di scoprire il grande
segreto, primo passo “...mi farò regalare il 'Piccolo Chimico' !“, mi dicevo.
Non avevo la minima idea di quanta carta stampata sarebbe passata sotto i miei occhi,
quante parole avrei ascoltato e quanti fallimenti e false informazioni avrei incontrato
nella mia nobile ma difficoltosa ricerca.
Ci sono voluti quasi trent'anni per giungere a questo libro, che e' il risultato della mia
ricerca, nato con lo scopo di portare luce in un campo pieno di ombre, alcune create
appositamente dagli antichi alchimisti, che hanno volutamente scritto in termini
codificati ed incomprensibili i loro concetti e le loro metodologie ma un gran lavoro è
stato anche fatto da molti pseudo esperti e pseudo alchimisti, che hanno interpretato,
manipolato, adattato e travisato tali concetti, a volte a causa di una loro visione errata
e “storpiata” dell'alchimia, altre volte per sfruttare il grande “appeal” che hanno
questi argomenti su un certo tipo di persone affamate di conoscenza, così da poter
vendere i loro libri, conferenze, prodotti di erboristeria e quant'altro.
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Soltanto chi ha compreso che la chiave del mistero si trova al di fuori dei libri di
alchimia, ( volutamente tenuta nascosta a causa della pericolosità dell'argomento,
specialmente in epoca medievale quando la chiesa cattolica romana e la santa
inquisizione non vedevano di buono occhio coloro che, dotati di spirito libero e di
indipendenza intellettuale, non si adagiavano sulla fede dogmatica imposta dalle élite
religiose ma volevano vivere una spiritualità ed una ricerca della conoscenza che
vanno esattamente dalla parte opposta rispetto a ciò che volevano i papi ed i loro
tirapiedi dell'inquisizione ) ha avuto l'occasione di toccare con mano la vera
quintessenza dell'alchimia, il suo scopo, la sua pratica ed i suoi risultati.
Credo che sia giunto il tempo giusto per poter parlare chiaramente di certi argomenti,
non sono d'accordo con il teorema che certe conoscenze debbano rimanere segrete
per evitare che vengano utilizzate per scopi malvagi; la semplice ma sicura
convinzione che coloro che non meritano, coloro mossi da intenti puramente
egoistici, gli “invidiosi” come li chiamavano gli antichi alchimisti, i “soffiatori”
intenti alla inutile ricerca della formula per sintetizzare quintali d'oro per arricchire il
proprio ego, non arriveranno mai a mettere in pratica il famoso e poco compreso
motto alchemico:
V.I.T.R.I.O.L.V.M.
“Visita Interiora Terrae, Rectificando Inveniens Occultum Lapidem, Veram Medicinam”
__________
Questo libro è un mio regalo, ho deciso di non venderlo ma di renderlo disponibile a
chiunque abbia la voglia e la passione di leggerlo e di fare tesoro di ciò che leggerà,
anche se fosse una sola frase o concetto che lasci il segno, che sblocchi il chiavistello,
che illumini per un secondo la sua coscienza, il mio scopo sarà raggiunto.
Esorto il lettore ad avere uno sguardo di insieme dei diversi argomenti trattati in
questo libro cosi da cogliere lo scopo principale del testo: fornire prove ed indizi
della reciprocità tra varie correnti di pensiero filosofico provenienti da diverse regioni
geografiche del mondo e da diversi periodi storici; allo scopo di proporre una teoria
unificata capace di spiegare e semplificare la comprensione dell'Alchimia.
Altra cosa che consiglio fortemente: non accontentatevi delle mie conclusioni,
approfondite i vari temi trattati facendo ricerche personali, verificate e fatevi una
vostra opinione leggendo libri e cercando i testi originali dai quali ho tratto alcuni
brani; dove possibile ho inserito, in appendice, il testo originale tradotto, ma in alcuni
casi trattandosi di testi molto voluminosi ho preferito rimandare al lettore l'onere di
cercarlo e di leggerlo, elencando solamente il titolo e l'autore, nella bibliografia.
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Avevo considerato anche la possibilità di mettere a disposizione tali testi nel mio sito
web, scaricabili gratuitamente, ma siccome non ho mai gradito la “pappa pronta”, ne
riceverla ne darla, ed ho sempre creduto che fondamentalmente se c'è del vero
interesse bisogna rimboccarsi le maniche e fare da soli il “lavoro sporco” allora
esorto il lettore ad attivarsi per uscire dal ruolo passivo del lettore ricevente e
diventare parte attiva della propria ricerca personale, anche perché la maggior parte
dei testi proposti è di dominio pubblico, non protetto da copyright e quindi facilmente
reperibile online sia come pagine web che in formato PDF, TXT ecc.
Buona Lettura e Buona Ricerca.
Valerio Petretto, il 3 gennaio 2013.
Note sul copyright.
Il fatto che questo libro sia distribuito gratuitamente non autorizza nessuno, a parte
l'autore, a trarne benefici quali, ad esempio: la ridistribuzione a pagamento, la copia o
la riscrittura parziale o totale delle informazioni ivi contenute e la loro pubblicazione
attraverso qualsiasi mezzo, cartaceo o elettronico, senza la dovuta autorizzazione
dell'autore ed ogni altra violazione delle leggi sul copyright non è consentita.
In caso tu volessi condividere questo libro con altre persone, amici o parenti, puoi
farlo, copiando il file nella sua forma originale, non parti di esso, non cambiando il
titolo o le note dell'autore, in caso tu volessi citare il libro in rete, sul tuo sito web, in
un blog, su facebook ecc. sarebbe gentile da parte tua se citassi anche l'autore ed il
link al mio sito web http://il-crogiolo.valeriopetretto.com
Il mio sito web, http://il-crogiolo.valeriopetretto.com e la mia email di contatto
[email protected] sono a tua disposizione per qualsiasi aggiornamento,
domande, commenti ecc. rispondo con piacere a tutti. Grazie.
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PARTE PRIMA
La Conoscenza
“Ci sono solo due errori che si possono fare nel cammino verso il vero:
non andare fino in fondo e non iniziare.”
( Gautama Siddharta detto Buddha)
“A tutti noi viene insegnato ad essere colti, non ad essere innocenti o a percepire la
meraviglia dell'esistenza; ci vengono insegnati i nomi dei fiori; degli alberi e non come
entrare in comunicazione con loro, in sintonia con l'esistenza.
L'esistenza è un mistero e non è accessibile a coloro che vogliono sempre analizzare,
selezionare, ma solo a coloro che sono disposti ad innamorarsene, a danzare con lei.”
(Osho)
Introduzione alla prima parte
E' definita in vari modi; l'Alchimia è detta anche “L'arte Regia”, “L'arte delle
bilance”, “La scienza dell'immortalità”, “L'arte del Fuoco”, “L'arte della
fabbricazione della Pietra Filosofale”, ecc.
Viene spesso ed erroneamente elencata tra le “scienze occulte” termine fuorviante; a
causa della moderna concezione di “occultismo”, associato a pratiche spiritiche,
stregoneria, magia e satanismo; per questo motivo preferisco il termine “scienza
ermetica” perché molto più calzante e libera da interpretazioni fuorvianti.
Grazie, o per meglio dire a causa, dei tanti pseudo esperti che hanno preteso di
interpretare letteralmente gli antichi testi alchemici, si è creato quello che definirei il
grande errore di base: credere che l'alchimia sia la scienza per creare l'oro dal
piombo. In realtà l'alchimia occidentale e quella orientale possono tutte essere
definite come “scienza mistica del risveglio alla dimensione spirituale dell'essere
umano”; uno strumento di conoscenza segreta che cercava e cerca di illuminare la via
per una sapienza-trascendente, una saggezza mistica.
Il vero processo alchemico è lungo e complesso, quanto il percorso
dell'autocoscienza; la “Grande Opera” simbolizzata dalla trasmutazione del piombo,
ovvero della materia “vile” nell'Oro filosofale o nella Pietra Filosofale è una metafora
del processo spirituale, non psicologico come molti affermano ( Jung in primis ),
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necessario per raggiungere lo stato di “Illuminazione” paragonabile al Buddha: il
"risvegliato" (buddha è infatti il participio passato del sanscrito budh, prendere
coscienza, svegliarsi) ed indica, secondo il Buddhismo, un essere che ha raggiunto
l'illuminazione (bodhi) e in particolare il massimo grado di essa (samyaksaṃbodhi).
A quanto pare solo pochissimi sono riusciti in questa impresa, almeno che si sappia,
intuisco che chi arriva a tali vette non ami molto farsi pubblicità.
Al di fuori dell'alchimia possiamo elencare Buddha, Tilopa, Naropa, Milarepa ma
anche nostri contemporanei come Osho e Gustavo Rol; tutti esseri che hanno
oltrepassato la barriera della “realtà illusoria” ed hanno compreso i veri segreti
dell'universo e dell'essere umano. I più famosi alchimisti che, pare, abbiano raggiunto
lo stato finale della loro trasmutazione sarebbero, in ordine sparso: il Conte di Saint
Germain, Ermete Trismegisto, Cagliostro, Fulcanelli ed ovviamente il famoso
alchimista Nicolas Flamel, nato a Pontoise, 28 settembre 1330; fu uno scrivano,
libraio e alchimista francese.
Ritratto di Nicolas Flamel
La reputazione di Flamel come alchimista nacque dopo la sua presunta morte, legata
alla leggenda della pietra filosofale in quanto si suppone, leggendo i suoi libri, che
Flamel riuscì a perseguire quelli che sono ritenuti gli obiettivi principali
dell'alchimia: creò la pietra filosofale, in grado di trasformare il piombo, cioè la sua
natura umana, nello stato “aurifero” dell'essere auto-realizzato, illuminato dalla luce
di Dio.
Pare che assieme a sua moglie, Perenelle, Flamel ottenne l'immortalità grazie al
ritrovamento di un antico libro intitolato “Il Manoscritto di Abramo”, che lui descrive
così:
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«La legatura in solido ottone, dentro vi erano figure e caratteri che non erano latini
e neanche francesi… era stato scritto con una matita di piombo su fogli di corteccia
ed era stranamente colorato. Sulla prima pagina, in lettere d’oro, appariva questa
dicitura….Abramo l’Ebreo, Prete, Principe, Levita, Astrologo e Filosofo alla nazione
degli Ebrei dispersa in Francia (o tra i Galli) dall’ira di Dio, augura salute.»
Si suppone che Flamel lo abbia ricevuto da un vecchio Rabbino, un certo Nazard, il
misterioso libro pare che fosse stato scritto da un antico personaggio noto come
Abramo L'Ebreo. Il libro era pieno di “parole cabalistiche” in greco ed ebraico.
Flamel dedicò la sua vita nel tentativo di comprendere il testo, custode di questi
segreti perduti. Viaggiò anche per le università in Andalusia, per consultare le
massime autorità ebraiche e musulmane.
La leggenda racconta che a Santiago de Compostela incontrò un misterioso maestro
ebreo convertito, un certo Leon ( ricordate questo nome è importante ) che gli
insegnò l'arte di comprendere e decifrare il messaggio nascosto contenuto nel suo
manoscritto. Si suppone che il 17 gennaio 1382 Flamel riuscì nella trasmutazione del
piombo in argento e l'anno seguente riuscì a trasmutare il piombo in oro, ovviamente
questa parte è puramente simbolica, la vera trasmutazione che operò fu su se stesso.
Dopo il suo ritorno dalla Spagna, Flamel fu in grado di diventare improvvisamente
ricco: la conoscenza che ricavò durante i suoi viaggi lo resero un maestro dell'arte
alchemica. Si dedicò alla filantropia, donando ospedali e chiese grazie ai ricavi
provenienti dal suo “lavoro alchemico”.
Flamel fece sì che degli arcani simboli alchemici venissero scolpiti sulla sua lapide,
attualmente conservata al Museo Nazionale del Medioevo presso l'Hotel de Cluny di
Parigi. La sua tomba è vuota; alcuni dicono che fu saccheggiata da persone in cerca
dei suoi segreti alchemici. D'altra parte, se Flamel ha di fatto raggiunto il segreto
dell'immortalità, la sua tomba vuota può avere altra spiegazione, molto più
affascinante e piena di mistero. Ci sono teorie sostenute da vari intellettuali che
affermano il fatto che Flamel era in vita fino a qualche anno fa.
Un fatto quantomeno inspiegabile è che nel XVII secolo un archeologo di nome Paul
Lucas, mandato dal re Luigi quattordicesimo in Oriente per effettuare delle ricerche
per conto della Francia, testimoniò in un libro, Voyage dans la Turquie, pubblicato nel
1719, di aver avuto notizie di Flamel da un filosofo, appartenente ad un gruppo di
Sette Saggi, che periodicamente, ogni 20 anni, si trovavano in un luogo del mondo.
In quell'anno si riunivano nella località di Broussa, dove si trovava l'archeologo in
missione. Il saggio gli raccontò che loro possedevano la Pietra Filosofale e di
conseguenza l'Elisir di Lunga Vita, e che anche Flamel, in Occidente, la possedeva ed
era uno dei Sette Saggi. Paul Lucas restò di sasso, apprendendo come quell'uomo
potesse conoscere non solo Flamel ma la maniera in cui avesse ricevuto il Libro di
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Abramo, prima di allora ignorata. Il saggio rivelò che Flamel e Perenelle erano vivi e
si trovavano in India.
La scritta della lapide sulla tomba di Flamel.
Dice: "Feu Nicolas Flamel jadis écrivain a laissé à œuvre de cette église certaines
rentes et maisons dont il avait fait acquisition et achetées à son vivant pour faire
certains service divin et distributions d'argent chacun an par aumônes touchant les
Quinze Vingt, l'Hôtel Dieu et autres églises et hospitaux de Paris. Soient priés ici les
trépassés.”
Traduzione: "Fuoco (luminoso) Nicolas Flamel precedentemente scrivano ha
lasciato ad opera di questa chiesa alcune entrate e case di cui aveva fatto
acquisizione e comperate al suo diletto per fare certo servizio divino e distribuzioni
di denaro ciascun anno per elemosine che toccano i quindici venti(?), l'hotel Dieu ed
altre chiese ed ospedali di Parigi. Siano pregati qui i defunti".
Poi vi sono due righe sotto l'uomo disteso (che ha un cartiglio uscente dalla bocca)
che dicono a grandi linee che terra siamo e in essa ritorniamo.
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Ma torniamo al misterioso “Manoscritto di Abramo” perché questo è un passaggio
chiave, che nessuno, o pochissimi, hanno saputo cogliere.
Il segreto dell'alchimia proviene forse da qualche antica e misteriosa conoscenza
ebraica ?
E, ampliando la domanda, quando e dove è nata l'alchimia ?
Fornire una data precisa della nascita dell'alchimia è piuttosto difficoltoso, i più
superficiali, spesso coloro che la vorrebbero relegare ad una sottospecie di
protochimica, sarebbero ben lieti di poter dimostrare che l'alchimia sia nata nel medio
evo, quando superstizione ed ignoranza la facevano da padrone tra le masse, quando
medici, stregoni, astrologi, e ciarlatani erano difficilmente riconoscibili uno dall'altro;
purtroppo, per questi detrattori della domenica, le cose non stanno così.
Semplicemente andando a ricercare l'etimologia della parola ALCHIMIA ci rendiamo
conto che: Il termine alchimia deriva dall'arabo al-kimiyah, al-kimiyà o al-khimiyah
(‫ الكيمياء‬o ‫)الخيمياء‬, composto dell'articolo al- e della parola kimiyà che significa
"pietra filosofale" e che a sua volta, sembrerebbe discendere dal termine greco
khymeia (χυμεία) che significa "fondere", "colare insieme", "saldare", "allegare", ecc.
(da khumatos, "che è stato colato, un lingotto") che diventa poi “al-Kimya as-sa'
dah”, il cui significato letterale è: “alchimia della beatitudine” .
Un'altra etimologia collega la parola con Al Kemi, che significa "l'arte egizia", dato
che gli antichi Egiziani chiamavano la loro terra Kemi ( terra nera ) ed erano
considerati potenti maghi in tutto il mondo antico. Il vocabolo potrebbe anche
derivare da kim-iya, termine cinese che significa "succo per fare l'oro".
Già da queste prime analisi si può constatare una cosa molto singolare, il termine ha
diverse etimologie; origini provenienti da diverse parti della terra, ma tutte sono
relative allo stesso argomento ! come se arabi, egizi, greci e cinesi si siano messi
d'accordo per coniare una unica parola “globalizzata” per definire lo stesso concetto.
Ma quando nasce l'alchimia ? A quanto pare la risposta più sensata da dare è la
seguente: l'alchimia nasce con l'uomo, da quando egli ha iniziato a porsi domande
come “chi sono io e da dove vengo ?” allo stesso tempo ha incominciato a porsi
un'altro quesito: “posso migliorare me stesso, trasformare la mia natura terrestre e
riunirmi con la divinità ?”
“L'epopea di Gilgamesh”, che è uno dei più antichi poemi conosciuti, scritto in
caratteri cuneiformi su tavolette d'argilla e che narra le gesta di un antichissimo e
leggendario re sumerico, Gilgamesh, alle prese con una delle maggiori inquietudini
innate nell'essere umano: la morte e il suo impossibile superamento, ci fornisce molti
indizi ed una chiave di lettura molto interessante riguardo la nostra ricerca sulle
origini storiche ed una collocazione temporale della nascita dell'alchimia.
L'epopea (o più semplicemente "il Gilgamesh") è anteriore ai poemi omerici (VIII
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sec. a.C.) e persino ai “Veda” indiani (1500 a.C.). Le prime redazioni sumeriche del
poema sono fatte risalire addirittura oltre il 2000 a.C.
Documenti su Gilgamesh sono stati rinvenuti più o meno ovunque in Mesopotamia,
ma anche al di fuori, come in Anatolia (Hattusa, capitale dell'impero ittita) o in
Palestina(Megiddo).
La narrazione prende nome dal protagonista, Gilgamesh, il re sumero di Uruk (Erech
nella Bibbia, attualmente Tell-al-Warka in Iraq), l'eroe che con il compagno Enkidu
affronta avventure di ogni genere, alla ricerca del segreto dell'immortalità.
Per conoscere tale segreto Gilgamesh si rivolge al saggio Utnapishtim, scampato al
diluvio universale; questi gli narra la storia del diluvio e infine gli rivela che in fondo
al mare esiste la pianta dell'eterna giovinezza (o anche pianta della vita o come
vedremo in seguito albero della vita).
Gilgamesh riesce a raggiungerla ma la perde per colpa di un serpente; torna allora a
Uruk dove terminerà i suoi giorni, avendo ormai accettato e compreso che
l'immortalità appartiene solo agli dei e non spetta agli uomini comuni.
Nel poema compaiono molte affinità con i testi biblici e con l'epica classica; si pensa
che alcuni temi fossero largamente diffusi nel mondo antico, e che la loro attestazione
testimoni rapporti culturali fra i popoli, altrimenti non documentati.
Gli elementi essenziali della storia, come l'albero della vita, il serpente, la ricerca
dell'immortalità e molto altro, riconducono esattamente all'Alchimia; leggendo
l'epopea di Gilgamesh si possono notare molti altri indizi in merito, il più importante
consiste nel notare che molte parti dell'epopea, come il racconto del diluvio
universale e dell'arca di Noè, Utnapishtim per i Sumeri siano state poi riprese in toto
ed inserite nella Torah ebraica, l'antico testamento, come parte integrante e
fondamentale della cultura spirituale ebraica.
Se la Mesopotamia è stata veramente, come oramai sembra appurato, la culla della
civiltà moderna, appare ovvio che la ricerca intima e spirituale dell'immortalità fisica
e della coscienza, probabilmente codificata in miti, formule e leggende sotto il
termine “Alchimia”, si sia poi sparsa nel mondo assieme alla cultura, alle arti, alle
scienze.
E' facile intuire che proprio dalla Mesopotamia tale conoscenza abbia avuto facile
gioco nell'essere tramandata in tutto il mondo antico, in quanto la regione tra i fiumi
Tigri ed Eufrate è sempre stata un crocevia commerciale e culturale tra i territori
dell'estremo oriente della Cina e dell'India con l'estremo occidente dell'Europa e
dell'Africa settentrionale, non a caso queste regioni sono state poi le culle delle
maggiori e più avanzate civiltà che abbiano mai vissuto su questo pianeta negli ultimi
5000 o 6000 anni; civiltà che hanno nel loro bagaglio culturale proprio la stessa
Alchimia, con nomi simili nelle diverse lingue dei popoli e con simili scopi, simili
simbologie, simili codificazione usate allo scopo di mantenere segreta questa dottrina
scientifico-filosofica, questa Scienza dell'Anima.
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Detto questo risulta abbastanza probabile che l'alchimia sia per lo meno “transitata”,
se non anche codificata, nel mondo ebraico; considerando anche che si attribuisce a
“Maria l'ebrea”, detta anche “Maria la profetessa” o “Miriam la profetessa”, che visse
tra il I secolo e il III secolo, l'invenzione di diversi strumenti chimici ed è considerata
il primo alchimista non fittizio del mondo occidentale.
Non esistono prove concrete della sua esistenza. E' citata dai primi alchimisti con
molto rispetto e come un fondamentale punto di riferimento. Gli alchimisti del
passato pensavano fosse Miriam, sorella di Mosè e del profeta Aronne, ma le fonti a
sostegno sono deboli.
La menzione più solida di Maria proviene da Zosimo di Panopoli, che scrisse nel IV
secolo i libri più antichi di alchimia conosciuti. Zosimo descrive diversi dei suoi
esperimenti e strumenti. Nei suoi scritti, Maria è pressoché sempre descritta come
vissuta nel passato e una dei "saggi".
Giorgio Sincello presenta Maria come insegnante di Democrito, che incontrò a Menfi
durante l'epoca di Pericle. Il Kitāb al-Fihrist di Ibn al-Nadim la cita come una dei
cinquantadue alchimisti più famosi, conoscendo la preparazione del caput mortuum.
Il filosofo romano Morieno la chiama "Maria la Profetessa" e gli Arabi la
conoscevano come "Figlia di Platone", un nome che nei testi alchemici occidentali
era riservato per lo zolfo bianco.
Nella seconda parte dell'Alessandreide del poeta persiano Nizami, Maria, una
principessa siriana, visita la corte di Alessandro Magno, e impara da Aristotele
diverse cose tra cui “l'arte di creare l'oro”.
Maria scrisse diversi libri di alchimia. Sebbene nessuno dei suoi lavori sia
sopravvissuto nella loro forma originale, i suoi insegnamenti furono citati
doviziosamente da autori ermetici successivi. Lo scritto principale che è
sopravvissuto è un estratto fatto da un anonimo filosofo cristiano, chiamato Il dialogo
fra Maria e Aros sul magistero di Hermes, in cui sono descritte e definite molte
operazioni che saranno in seguito la base dell'alchimia, come la leukosis
(sbiancamento) e xanthosis (ingiallimento).
Diversi aforismi ermetici dell'alchimia sono stati attribuiti a Maria Profetessa. Si dice
che abbia parlato dell'unione degli opposti:
«unisci il maschile e il femminile e troverai quello che si cerca»
Il motto successivo è chiamato assioma di Maria:
«uno diviene due, due diviene tre, e dal terzo viene l'uno come quattro»
Permettetemi l'apertura di una parentesi: lo psicologo Carl Gustav Jung “adottò”
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l'aforisma di Maria la Profetessa, quello dell'unione del maschile al femminile, come
una metafora del suo processo di “individuazione”, uno dei tanti esempi di
incomprensione "accademica" dell'Alchimia.
Jung, pur essendosi occupato di tale scienza nelle sue versioni europee ed arabe,
nonché cinesi, è riuscito solo a trarne e a darne un'immagine completamente distorta:
un processo psicoanalitico per riportare pazienti, affetti da vari generi di psicosi, ad
uno stato di “normalità”.
È divertente notare che Jung non riesce a farsi nessuna idea delle sostanze elencate
dagli alchimisti, né della progressione operativa.
Al fine di dissipare pesanti distorsioni, e per smentire moderni ricercatori che leggono
qualche commento o qualche blanda e superficiale introduzione all'alchimia e poi
pretendono di conoscerne i segreti, è bene precisare ed insistere sul fatto che
l'alchimia non ha niente a che vedere con sogni, fantasie, immagini inconsce e che
l'interpretazione psicoanalitica che ne deriva, la dobbiamo definire completamente
assurda .
Asserire, come fanno Jung ed i suoi estimatori, che per creare l'essere superiore sia
sufficiente “riunire gli aspetti maschile e femminile della personalità” è
semplicemente ridicolo e dimostra quanto non si sia compreso nulla dai testi e dalle
raffigurazioni presenti nei libri alchemici, cosa vuol dire “riunire assieme il maschio e
la femmina” ?
Non basta, infatti, fare qualche esercizio di visualizzazione o di Programmazione
Neuro Linguistica ( PNL ) per arrivare allo stato di Buddha. Magari fosse cosi
semplice ragazzi ! Siddharta Gautama ha compiuto una ricerca interiore lunga una
vita, per raggiungere lo stato di Buddha, non si ottiene nulla in cinque minuti.
Altri si spingono più in la, appassionati, forse, di pratiche sessuali un po' strane,
affermano che le due parti della personalità ( maschile e femminile ) debbano essere
“riunite” vivendo una sessualità doppia, etero ed homo, un alchimista sarebbe, quindi,
secondo loro un bisessuale e chi non osa dire tanto si limita nell'affermare che “per lo
meno a livello mentale” un essere evoluto dovrebbe essere androgino; dimenticando
forse che la dimensione spirituale non ha sesso, almeno non come lo concepiamo noi.
La psicologia e la psicanalisi, le pratiche rituali e bisessuali promosse anche da
personaggi come Aleister Crowley, magari “aiutate” dall'uso di droghe di vario
genere sono, infatti, completamente fuori strada; in quanto non appartenenti al
dominio della spiritualità e della ricerca dell'illuminazione ma appartenenti solo al
dominio dell'ego sull'uomo; psicologia e psicanalisi invece possono, al massimo e
non credo che neanche ci riescano molto bene, far parte del dominio della cura degli
insani di mente.
Nessuno dei suddetti ha mai compreso in realtà di cosa si sta parlando, la simbologia
alchemica del Sole e della Luna, del Solfo e del Mercurio, del Fuoco e della Terra,
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del Re e della Regina, degli Amanti che si uniscono per creare il Rebis, l'essere
perfetto, le nature opposte che si fondono e mille altri esempi simili, hanno un
significato molto più segreto e complesso, che cercherò di spiegare in questo libro
con l'aiuto degli antichi testi e di una nuova chiave di lettura, rimasta anch'essa
segreta per millenni e che solo negli ultimi anni è stata divulgata ma che pochi hanno
riconosciuto come la VERA CHIAVE DI LETTURA DELL'ALCHIMIA.
E per rivelare ciò dobbiamo tornare a parlare delle origini ebraiche dell'alchimia
europea e di un'altro mito, essenziale alla nostra comprensione di tutto il discorso, la
leggenda del Santo Graal. La ”Sacra Coppa” dalla quale chiunque ne beve un sorso
d'acqua diventa immortale, la coppa o il vaso contenente, secondo la leggenda, il
“sangue di cristo” e secondo altre leggende sarebbe il simbolo del “ventre gravido” di
Maria Maddalena sposa di Jesù, che avrebbe partorito i discendenti del messia...
molti libri sono stati scritti a tale proposito, ed anche Hollywood se ne è interessata.
Parsifal trova il Santo Graal
E' se tutto ciò non fosse vero ? E se il Graal in realtà fosse un antico testo contenente
la chiave di lettura dell'alchimia ? Portato in Europa dai primi cavalieri Templari che
lo trovarono in terra santa, e che tale libro, custodito in gran segreto per secoli, diede
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loro un grande potere, grazie alla conoscenza dell'alchimia ?
Nessuno si è mai posto queste domande ? Qualcuno lo ha fatto, più avanti nel libro
vedremo chi e come, arrivando molto vicino alla soluzione, ma si è perso, poi, al
primo bivio ritornando a parlare di Jung, di matrimonio e di vita di coppia come fosse
la chiave dell'alchimia...una occasione sprecata !
Non è stato facile, riuscire ad organizzare e scrivere in maniera logica tutte le idee
che mi balzavano nella mente, mentre cercavo di definire un ordine logico in cui
sviluppare il discorso. E' un po come una indagine poliziesca, ricercare i vari indizi e
poi collegarli tra loro per avere una idea chiara ed affidabile della verità che stiamo
cercando. Spero di esserci riuscito e spero anche di aver fatto cosa gradita ai tanti
appassionati ricercatori della verità.
Se avrete la pazienza e la costanza di leggere tutto il libro, proverò a dimostrare con
una attenta analisi di ogni particolare, di ogni simbolo e di ogni concetto, come la
chiave qui proposta sia l'unica valida, l'unica dotata di fondamento, l'unica sensata;
prove storiche, simboliche e concettuali dimostreranno la validità dell'opera e
porteranno finalmente la LUCE nell'oscurità'.
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Capitolo I
Ordine dal Caos
Trovare la strada giusta studiando l'alchimia non è cosa facile, il labirinto di Cnosso
in confronto è una passeggiata in giardino; esistono tali e tante teorie al riguardo che
semplicemente elencarle mette i brividi, ecco alcune spiegazioni date dell'alchimia:
Carl Gustav Jung: alchimia sarebbe uguale alla sua psicologia dell'inconscio.
All’interno del suo studio, l’alchimista, veniva a contatto con l’inconscio, anche se
sul piano della realtà materiale egli trafficava con la materia, alla ricerca dell’oro. Per
Jung l’opera alchemica nel suo complesso riguardava la natura della psiche, quello
che avveniva era un processo psicologico di trasformazione, piuttosto che la ricerca
dell’oro. Durante il laborioso processo di creazione della “pietra” si attuavano
proiezioni psichiche che portavano alla luce i contenuti inconsci, spesso perfino in
forma visionaria. La complicata e infinita simbologia alchemica non faceva altro che
descrivere, in modo figurato, il processo di trasformazione della psiche e i relativi
stadi di tale percorso, dal sonno al risveglio psichico. Jung vide in questo simbolismo
un’immagine di ciò che lui stesso aveva definito come processo di individuazione,
una graduale trasformazione ed evoluzione della persona da uno stato di incoscienza
ad uno di coscienza, ed il relativo processo di guarigione che spesso l’accompagna.
Per Jung nell’animo umano alberga una naturale pulsione a realizzarsi, una spinta
verso la realizzazione della piena personalità. Egli chiamò questa pulsione
“l’archetipo dell’individuazione”, un lungo e duro cammino alla ricerca del “se’”.
Ecco cosa affermava:" Occupandomi delle mie fantasie, cominciai a supporre che
l’inconscio si trasforma o determina trasformazioni. Solo dopo che l’alchimia mi fu
divenuta familiare capii che l’inconscio è un processo, e che la psiche si trasforma o
si sviluppa a seconda della relazione dell’io con i contenuti dell’inconscio…
...Attraverso lo studio dei processi individuali e collettivi di trasformazione, e grazie
alla comprensione del simbolismo alchimistico, pervenni al concetto centrale della
mia psicologia: il processo di individuazione ".
Teorie in parte condivisibili ed interessanti ma a mio avviso Jung non fece centro,
date per scontate troppe cose, troppi particolari ed infatti non mi risulta che qualcuno
sia riuscito nell'impresa seguendo le teorie psicanalitiche di Jung.
Samael Awn Weor: alchimia = pratica sessuale simile al tantrismo.
Secondo Weor “...Nell’unione del fallo con l’utero si trova la chiave di ogni potere.
L’importante è che la coppia impari a ritirarsi dall’atto sessuale prima dello
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spasimo, prima dello spargimento seminale. Non si deve spargere il seme né dentro
l’utero, né fuori di esso, né ai lati, né in alcun luogo. [...] La vita umana, di per se
stessa, non ha alcun significato. Nascere, crescere, lavorare duramente per vivere,
riprodursi come un animale e poi morire, questa è realmente una catena di pene che
l’uomo porta intricata nell’anima. Se questa è la vita, non vale la pena di vivere.
Fortunatamente, nelle nostre ghiandole sessuali abbiamo il seme, il grano. Da
questo seme, dal grano, può nascere il superuomo, l’Adam-Cristo, il bambino d’oro
dell’Alchimia Sessuale. Per questo sì, che vale la pena di vivere. Il cammino è la
trasmutazione sessuale. Questa è la scienza di Urano. Esso è il pianeta che controlla
le gonadi o ghiandole sessuali. Esso è il pianeta che governa la costellazione
d’Acquario. [...] L’Alchimia Sessuale è quindi, di fatto, la scienza della nuova Era
dell’Acquario. »; «Quando un uomo e una donna si uniscono sessualmente qualcosa
si crea. In tali istanti di adorazione suprema lui e lei sono realmente un solo essere
androgino, con poteri di creare come gli Dei. Gli Angeli sono realmente androgini,
lui e lei non sono più due, sono uno. In tali istanti lui e lei sono un essere androgino,
un Dio che ha il potere di creare come gli Dei. Gli Elohim sono maschio e femmina.
L’uomo e la donna, uniti sessualmente durante l’estasi suprema dell’amore, sono
realmente un Elohim terribilmente divino. In tali istanti di unione sessuale siamo
realmente nel laboratorium-oratorium della Santa Alchimia.”
Albert Cau: ricercatore francese nel campo della fisica atomica.
Sostiene di aver sintetizzato la pietra filosofale grazie alla scoperta del grande
segreto, la materia prima contenente il fuoco alchemico non sarebbe altro che la
“Pechblende” il minerale contenente Uranio. Secondo Cau sarebbero proprio le
radiazioni naturali emanate dalla pechblende ( ossido di uranio ) in relazione con la
Fluorite, a compiere il processo trasmutativo, che porta alla sintesi dell'elemento che
egli ha denominato “Tritinium”; presente sulla tavola periodica al numero 126.
Cau sostiene che questo elemento super-pesante abbia sia le caratteristiche fisiche che
le capacità trasmutative della pietra filosofale. Nel suo libro “La Pierre Philosophale”
Albert Cau 1995, egli fornisce molte e convincenti argomentazioni al riguardo, solo
che non ha mai fornito prove delle sue scoperte, si è offerto molte volte di dimostrare
la bontà dei suoi lavori, in cambio a quanto pare di lauti compensi; detto ciò sono
convinto che “le cose inutili si vendono ma le cose di valore si regalano” e che finché
qualcuno non avrà ripetuto i suoi esperimenti risulterà difficile dargli totale credito.
Da seguire comunque, molto interessanti i suoi studi.
Art Kunkin: seguendo il filone della “radioattività” di Cau; Kunkin sostiene che
nutrirsi di frutta irradiata da basse concentrazioni di radiazioni sia sufficiente per
prolungare in maniera indefinita la vita umana, e che questa sia la vera chiave
dell'alchimia...ovviamente esperimento questo da evitare assolutamente.
David Hudson: ed il suo “oro di polvere bianca”.
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Per chi non ne avesse mai sentito parlare, cominciamo col dire cos’è. Si tratta, di una
bianca polvere d’oro, ottenuta trattando il metallo con diverse applicazioni di solventi
ed altre manipolazioni abbastanza complesse. David Hudson pare che l'abbia scoperta
in modo involontario trattando alcuni terreni alcalini, negli stati uniti, per renderli
fertili. Questa polvere bianca, definita dallo stesso Hudson “oro allo stato
monoatomico o diatomico” è stata associata, secondo alcuni studiosi della tematica,
ad un elemento imprescindibile per la vita degli annunaki (abitanti del pianeta Nibiru,
da cui deriverebbe la Terra, secondo Zecharia Sitchin), al pane bianco (o di luce)
egizio, alla manna biblica, alla Sacra Arca dell’Alleanza, alla pietra filosofale degli
alchimisti, alla panacea di tutti i mali, all’oro monoatomico, ad un superconduttore
capace di ripristinare il DNA umano, alla materia capace di rendere invisibili,
onniscienti, immortali, e capace di piegare lo spazio-tempo. Roba molto interessante
quindi.
Pare che Gudea, sovrano della città di Lagash, con ampi poteri di fatto in tutta la
Mesopotamia centro-meridionale dal 2144 al 2124 a.C., fece costruire il tempio del
dio Ningirsu, nel quale ci sono molte iscrizioni, alcune delle quali confermerebbero
questa ipotesi:
“Il pastore costruisce il tempio con metallo prezioso... Egli costruisce l'Eninnu con
pietre preziose...”
Altre fonti (Reverend James Baikie) riferiscono però, più precisamente, di polvere
d’oro procurata presso la montagna di Khakku, e altre ancora (John M. Lundquist)
di argento e oro in polvere estratti dalla montagna di Kimash, o di una pietra rossa
(“fire stone”) che si trovava a Melluha .
Questa enigmatica polvere bianca sembra fosse in uso anche presso i babilonesi, che
la chiamavano “an-na”, cioè “pietra di fuoco”. Quando questa pietra veniva
lavorata in pani conici (“shem”) assumeva una forma conica, e quindi il nome di
“shem-an-na”. Anche gli antichi egizi erano a conoscenza di questa polvere mistica.
Loro la chiamavano MFKZT. Lo sappiamo grazie alla spedizione dell’egittologo e
archeologo inglese Sir William Matthew Flinders Petrie (1853–1942).
Questi, nel 1904, era in esplorazione presso l’altipiano del Sinai, sul monte Horeb,
cioè il monte in cui, secondo l'interpretazione letterale della Torah, Dio diede i dieci
comandamenti a Mosè. Oggi il monte è conosciuto col nome di Serabit El Khadim.
Fu qui che egli ritrovò i resti di un antico tempio egizio dedicato alla dea Hator,
risalente probabilmente al 2.600 a.C. Circa. In alcune zone del tempio (correlate
soprattutto alla dodicesima dinastia dei faraoni), e di fronte alla Grotta- Santuario di
Hathor appunto, Flinders Petrie trovò una grande quantità (diverse tonnellate) di
polvere/cenere bianca purissima, priva di residui di carbone o di brace, che non si
riuscì a identificare con certezza. Un’ipotesi era che si trattasse della suddetta “sheman-na. Ciò trovava riscontro in alcune incisioni e geroglifici rinvenuti nel tempio
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stesso: un personaggio alle spalle di Thutmosi IV e la Dea Hator che espone degli
oggetti conici descritti come “pane bianco”; il tesoriere Sobekhotep che porge la
Shem-an-na di forma conica al faraone Amenhotep III; Thutmosi III e Amenonhotep
III che presentano il cono del pane bianco agli Dei. Altre iscrizioni indicavano tale
polvere raggruppata in coni indicati come "pane bianco” o “pane di luce". Facevano
riferimento probabilmente proprio a tale sostanza, chiamandola “mfkzt” Alcuni
studiosi hanno suggerito, in modo forse fantasioso, che questa parola dovrebbe
pronunciarsi "mufkuzt" ed è possibile che il suono di questa parola riprodurrebbe il
rumore generato dal metallo nobile quando viene trasformato in polvere.
Accanto a un corpo fisico, gli Egizi credevano che gli uomini possedessero un "corpo
di luce" (chiamato ka), che si credeva rimanesse in vita nell' aldilà, ma che doveva
anch’esso essere nutrito per svilupparsi e prosperare. Il cibo del ka era la luce, e la
sostanza che generava la luce era la “mfkzt”, o polvere bianca ricavata dall'oro.
Queste scritte comunque suggerivano che sul monte Serabit, probabilmente, si
produceva questa polvere .
Non è neppure un caso che questo ritrovamento si ebbe sul monte Serabit, dove Dio
diede i dieci comandamenti a Mosè. Infatti questa polvere viene nominata proprio
nell'Esodo, come cibo del popolo d'Israele, dopo la fuga dall'Egitto: è la “manna”
(vocabolo molto simile a “shem-an-na”).
“ [...] evaporato lo strato di rugiada, apparì sulla superficie del deserto qualcosa di
minuto, di granuloso, fine come brina gelata in terra. A tal vista i figli d'Israele si
chiesero l'un l'altro: «Che cos'è questo?» perché non sapevano che cosa fosse. E
Mosè disse loro: «Questo è il pane che il Signore vi ha dato per cibo. Ecco ciò che ha
prescritto in proposito il Signore: ne raccolga ognuno secondo le proprie necessità, un
omer a testa, altrettanto ciascuno secondo il numero delle persone coabitanti nella
tenda stessa così ne prenderete». Così fecero i figli d'Israele e ne raccolsero chi più
chi meno. Misurarono poi il recipiente del contenuto di un'omer; ora colui che ne
aveva molto non ne ebbe in superfluo e colui che ne aveva raccolto in quantità
minima non ne ebbe in penuria; ciascuno insomma aveva raccolto in proporzione
delle proprie necessità” Nel Nuovo Testamento è anche scritto: “A colui che prevarrà,
Io darò in cibo la manna segreta. E gli darò una pietra bianca”. La Bibbia ci dice
anche che la manna è contenuta anche nell’Arca dell’Alleanza, che Dio commissionò
a Mosè.
Tutto ciò e' molto interessante ma come sempre mancano prove affidabili che tale oro
monoatomico sia in grado di risvegliare l'essere umano e trasformarlo in un semi-dio;
anche perché Hudson ha mantenuto segreto il procedimento di realizzazione della
polvere bianca d'oro, pur pubblicando alcune domande di brevetto che egli presentò
negli anni '90, tali domande furono rifiutate appunto a causa della scarsa
comprensibilità e dell'impossibilità di riprodurre il fenomeno, Hudson ammetterà poi
che si è ben guardato dallo spiegare in maniera riproducibile questo suo
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procedimento “alchemico”, come sempre accade chi scopre qualcosa vorrebbe per sé
tutti i meriti e tutti i guadagni, perché il dio denaro ci mette sempre lo zampino.
Inoltre le associazioni tra questo materiale ed i testi biblici sono del tutto arbitrarie in
quanto l'interpretazione della bibbia non è mai priva di forzature; non dico che non
sia così, anzi questa storia mi ha sempre interessato ed affascinato, ma sono molte le
incongruenze con l'alchimia, a prescindere da quanto affermi Hudson, non esistono
prove sperimentali attendibili.
Insomma, potrei continuare con i rituali “alchemici” di Crowley, oppure con le teorie
malsane di coloro che scambiano l'alchimia con la preparazione di droghe
allucinogene o chi vorrebbe associare la magia ( nera o bianca ) all'alchimia e così via
in una lunga lista di spazzatura, ma credo che abbiate capito quanta oscurità e
fanatismo esistano in queste tematiche.
Personalmente preferisco mantenere un approccio più ponderato e basato non su idee
personali o su superficiali interpretazioni, ma sullo studio serio e ripetuto nel tempo.
Un punto in comune però esiste, tra tutte queste teorie ( tranne le balordaggini delle
droghe allucinogene e della magia bianca e nera ), la ricerca della via verso il
perfezionamento dell'essere umano, verso un risveglio interiore, una riunione tra
Uomo e Dio.
Ciò che a mio avviso è essenziale capire è il concetto che l'Essere Umano ha in sé
tutto ciò che gli serve per realizzare questa trasformazione; cercare la formula per
sintetizzare un qualche tipo di sostanza, un “elisir” capace di dare l'Illuminazione a
chi lo beve o lo mangia, un po' come sostengono i fautori dell'oro monoatomico o chi
crede nell'elisir di lunga vita ecc. secondo me svia il ricercatore dalla vera sfida.
Grossolano errore perpetuato anche da eminenti esperti di alchimia come Eugène
Léon Canseliet (Sarcelles, 18 dicembre 1899 – Savignies, 17 aprile 1982) è stato uno
scrittore e alchimista francese, sedicente allievo di Fulcanelli, che malgrado avesse un
così eminente maestro non sembra essere mai riuscito a sintetizzare la Pietra
Filosofale ne l'elisir dell'immortalità; curioso che ancora ci siano persone che
continuano a perpetuare questo approccio “materialista” all'alchimia quando i risultati
operativi non sembrano esistere.
Perché cercare qualcuno o qualcosa in grado di donarmi questa illuminazione ?
Perché delegare ad un “agente” esterno ciò che invece posso fare da solo, studiando
me stesso, distruggendo quelle barriere egoistiche che mi impediscono di riconoscere
la divinità che è in me ed in ognuno di noi ?
La differenza è sostanziale, perché chi cerca il “guru”, il “maestro”, la setta, la scuola,
la divinità o la magica polvere in grado di trasformarlo, sta in realtà continuando ad
essere ego, un'ombra in quanto “effetto” dell'altrui azione, dell'altrui “luce” ed
esperienza quindi perpetuando la sua ignoranza pretendendo al contempo di diventare
un filosofo alchemico; tutt'altro intraprendere la strada dell'alchimista, che affronta se
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stesso e grazie alla sua intelligenza e comprensione di determinati fenomeni, attua
una volontà propria in grado di trasformare se stesso.
Qui sta la chiave principale che ci aiuterà a comprendere tutto il discorso, quando
l'alchimista ci dice che “per fare l'oro hai bisogno dell'oro” vuole dirci proprio questo,
per lavorare su te stesso e perfezionare la tua natura, l'unica cosa che serve sei tu,
nessun agente esterno può essere utile allo scopo.
Come trovare, quindi, la chiave interpretativa che ci possa suggerire un metodo di
lavoro efficace ?
I testi alchemici sono strutturati “a più livelli”, scritti appositamente per creare
confusione, chi si accinge ad una prima lettura, ad esempio delle “Dodici chiavi” di
Basilio Valentino o delle bellissime opere del Filalete, per non parlare della “Turba
dei Filosofi” di Arisleo; si trova di fronte ad un incomprensibile muro di gomma, una
specie di “rompicapo nascosto in un indovinello”. Ci vuole molta tenacia ed un po' di
pazzia per insistere e cercare una chiave di lettura, molti hanno rinunciato a capirne i
veri significati bollando l'alchimia come una “cavolata” o una “cosa troppo difficile
da capire”, quindi inutile; questo spiega anche perché tanti sono caduti in errore
interpretando i testi nei più svariati modi.
Per quanto mi riguarda ho evitato di cercare di interpretare i testi alchemici
adattandoli alle mie teorie, in realtà non ho mai avuto una teoria personale riguardo
l'alchimia, mi sono sempre e solo basato sul tentativo di interpretazione e non sul
creare una mia propria spiegazione per poi cercare di adattarla ai testi alchemici, ho
sempre cercato di comprenderne la chiave e non ho mai tentato di fabbricarne una;
per questo motivo, forse, credo di essere riuscito a fare un piccolo passo in più
rispetto a tanti altri studiosi dell'argomento.
Un passaggio essenziale a tale comprensione consiste nel cercare ed elencare,
ordinatamente, tutte le componenti fondamentali, tutti i concetti comuni esistenti in
tutti i libri alchemici scritti dai maggiori e più affidabili alchimisti; operare quindi una
selezione dei punti basilari e comuni e scartare, per ora, tutto il resto.
Intanto mettiamo subito alcuni “punti sulle I”, perché bisogna dire che,
contrariamente a quanto si possa pensare, in primo luogo quasi nessun testo
alchemico parla con dovizia di particolari della pietra filosofale; la maggior parte
degli alchimisti si sono limitati ad una breve ed oscura citazione descrivendola come
un oggetto od agente dotato di proprietà fuori dal comune ma sono rare le descrizioni
di cosa sia in realtà; molto di ciò che crediamo di sapere sulla pietra filosofale è
semplicemente frutto di miti, speculazioni e fantasie.
Quindi per prima cosa direi di fare chiarezza su questo argomento.
Nel testo “La salamandra di Lisieux”, Tomo Primo, pagina 177 e 178 (versione
Italiana tomo II pag 146 e seg.) una eccezione alla regola, la Pietra dei Filosofi è
descritta così:
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«Molte persone istruite qualificano la gemma ermetica con l'appellativo di "corpo
misterioso"; costoro hanno una opinione di essa simile a quella di alcuni spagiristi
del XVII e XVII secolo che la catalogavano nel numero delle entità astratte, chiamate
non-esseri o esseri della ragione. Informiamoci quindi per avere, di questo corpo
sconosciuto un'idea più' vicina possibile alla verità; studiamo le descrizioni, rare e
troppo succinte a nostro parere, lasciateci da alcuni filosofi, e vediamo cosa
raccontano anche alcuni spettatori eruditi e dei testimoni degni di fede.
Diciamo, prima di tutto, che il termine di pietra filosofale significa, secondo il
linguaggio sacro, pietra che porta il segno del sole. Ora, questo segno solare è
caratterizzato dal color rosso che può variare di intensità, come dice Basilio
Valentino: "Il suo colore e' rosso incarnato che va verso il cremisi, oppure colore
rubino su colore di granato; quanto al suo peso, lei pesa molto più di quel che
sembrerebbe dalla quantità".
Il “Cosmopolita” che Louis Figuier crede sia l'alchimista Michele Sendivogius, ci
descrive il suo aspetto traslucido, la sua forma cristallina e la sua fusibilità' in
questo brano: "Se si trovasse il nostro soggetto al suo ultimo stadio di perfezione,
fatto e composto dalla natura; dovrebbe essere fusibile come la cera o il burro, ed il
suo color rosso, la sua diafanità' e limpidezza dovrebbero apparire esteriormente,
allora sarebbe veramente la nostra pietra benedetta". La sua suo fusibilità è tale che
tutti gli autori l'hanno paragonata a quella della cera (64º centigradi); "essa fonde
alla fiamma di una candela", ripetono; alcuni, per questa ragione gli hanno dato
anche il nome di grande cera rossa. A queste caratteristiche fisiche, la pietra unisce
delle potenti proprietà chimiche, il potere di penetrazione o di ingrès, l'assoluta
fissità, l'inossidabilità che la rende incalcinabile, una estrema resistenza al fuoco ed
infine la sua irriducibilità' e la sua perfetta indifferenza nei riguardi degli agenti
chimici.»
Ed alle pagine 182 e 183 (150-151 vers . italiana):
«Lasciamo dunque da parte questi procedimenti e queste tinture. Ciò che e'
importante soprattutto, è ricordare che la pietra filosofale si mostra a noi sotto la
forma di corpo cristallino, diafano, rosso in massa, giallo dopo la polverizzazione,
denso e molto fusibile sebbene sia stabile ad ogni temperatura, e di cui le qualità
caratteristiche la rendono incisiva, ardente, penetrante, irriducibile ed incalcinabile.
Aggiungiamo che è solubile nel vetro fuso, ma si volatilizza istantaneamente quando
la si proietta su di un metallo fuso. Ecco, riunite in un'unica sostanza, delle proprietà
fisico-chimiche che l'allontanano stranamente dalla natura metallica e ne rendono
l'origine molto nebulosa. Ma un momento di riflessione ci trarrà d'impaccio. I
Maestri dell'arte c'insegnano che lo scopo dei loro lavori è triplice. In primo luogo
essi cercano di realizzare la Medicina universale, o pietra filosofale propriamente
detta.
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Ottenuta sotto forma salina, moltiplicata o no, essa è utilizzabile soltanto per la
guarigione delle malattie umane, il mantenimento della salute e la crescita dei
vegetali. Solubile in qualsiasi liquore alcolico, la sua soluzione prende il nome di
Oro potabile (sebbene non contenga il minimo atomo d' oro), perché assume una
magnifica colorazione gialla. Il suo valore curativo e la varietà' del suo impiego
nella terapia ne fanno un aiuto prezioso nel trattamento delle affezioni gravi ed
incurabili. Essa non ha nessuna azione sui metalli, salvo sull'oro e sull'argento con i
quali si fissa dotandoli delle sue proprietà, ma, di conseguenza, non serve
assolutamente per la trasmutazione. Tuttavia, se si supera il limite delle sue
moltiplicazioni, essa cambia forma e, invece di riassumere lo stato solido e
cristallino raffreddandosi, resta fluida come l'argento vivo ed assolutamente
incoagulabile. Allora nell'oscurità, brilla d'una luminosità' dolce, rossa e
fosforescente il cui splendore e' più debole di quello di un ordinario lumino da
notte…
...Infine, se Medicina universale, solida, viene fatta fermentare con l'oro o l'argento
purissimi, per fusione diretta, si ottiene la Polvere di proiezione, terza forma della
pietra. È una massa traslucida, rossa o bianca secondo il metallo prescelto,
polverizzabile, adatta alla trasmutazione metallica. Orientata, determinata e
specificata per il regno minerale, diventa inutile e senza potere sugli altri due regni.»
Ma queste descrizioni sono rare e molto spesso in contraddizione tra i vari autori,
nella “Turba dei Filosofi” ad esempio, la pietra viene descritta come una polvere di
color Porpora, altri affermano sia Rossa come il rubino, altri Bianca; qualcuno dice
che sia come una pietra preziosa chiamandola il “rubino dei saggi” altri una polvere
miracolosa oppure una specie di cera rossa o arancione. Confusione creata anche dai
traduttori che sono stati fuorviati dai trucchetti lasciati li apposta dagli alchimisti, il
color Porpora, che secondo i testi alchemici sarebbe il colore della pietra filosofale è
in realtà un piccolo indovinello, in latino si scrive PURPURIS ma se scindiamo la
parola in due parti ( trucchetto che va utilizzato spesso leggendo i testi alchemici )
otteniamo PUR – PURIS = che tradotto diventa “Assolutamente Puro”. Anche il
Bianco è un colore sinonimo di purezza. La gemma del filosofo, infatti, è la purezza
allo stato assoluto.
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Capitolo II
I Concetti Fondamentali
Intanto, per cominciare, definiamo il termine “Filosofico”, ovviamente proviene da
“Filosofia” che deriva dal lat. philosophia(m), dal greco philosophía, comp. di philo‘filo-’ e sophía ‘sapienza’; propr. ‘amore del sapere’.
Dal dizionario Italiano, Filosofia:
1 attività intellettuale che mira a elaborare una concezione complessiva e
razionalmente fondata della realtà del mondo e dell’uomo: filosofia prima,
metafisica; filosofia teoretica, indagine puramente speculativa sul reale; filosofia
morale, etica; filosofia dell’arte, estetica; filosofia della scienza, epistemologia;
filosofia della storia, del linguaggio, del diritto, della religione, della matematica |
storia della filosofia, studio delle dottrine, dei movimenti o dei problemi filosofici
secondo una prospettiva storica.
2 sistema o indirizzo di pensiero: la filosofia di Platone, la filosofia idealistica,
materialistica | ( fig.) l’insieme dei principi a cui ci si ispira: filosofia di vita; filosofia
aziendale.
3 ( fig.) serenità d’animo, saggezza, imperturbabilità: sopportare con filosofia le
avversità; prendere, affrontare qualcosa con filosofia.
Secondo voi c'entra qualcosa con la manipolazione degli elementi, con gli alambicchi
e con la ricerca della formula per trasmutare il piombo in oro ?
Secondo me no; a mio avviso c'entra molto, invece, con la ricerca dell'illuminazione,
del risveglio della coscienza, infatti soltanto l'alchimia occidentale è vista
erroneamente come una specie di pseudo chimica mentre in Asia, ed in special modo
in Cina ed in India dove esiste una grande tradizione alchemica, è un dato di fatto che
l'alchimia si occupi di ricerca spirituale.
Data la definizione di Filosofia, quindi, passiamo a spiegare che i testi alchemici
parlano di una certa e molto misteriosa “Materia Prima” la base di tutto il
procedimento trasmutativo; gli alchimisti si sono ben guardati dallo spiegare, in
maniera comprensibile a tutti, di cosa si tratta; studiando i loro testi si evince che
questa “sostanza” è di tipo “terrestre” cioè sarebbe da ricercare nel mondo in cui
viviamo; sostanza “vile” come la definiscono gli alchimisti per farci capire che
trattasi di una cosa “impura” che grazie all'alchimia verrebbe purificata “Pur Puris”
cosi da diventare la nostra Pietra Filosofale.
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Un po' come una estensione del motto alchemico “VITRIOLVM”, già citato, Basilio
Valentino la descrive cosi nella sua poesia alchemica“De Prima Materia Lapidis
Philosophici”:
“Esiste una pietra, non pregiata,
da cui si ricava un fuoco volatile,
Del quale è fatta la pietra stessa,
composta di bianco e di rosso.
E' una pietra, ma non è una pietra,
Solo in essa agisce la natura,
Ne scaturisce una chiara “polla”,
che abbevera la sua fissa Madre.
Altro non è, dice il filosofo,
che un “duplice mercurio”.
Altro non dico, l'ho nominato,
Faccia buon pro a chi lo riconosce”
Una delle classiche raffigurazioni alchemiche piene di simbolismi
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Propongo ora un breve estratto da: “IL SALTERIO DI ERMOFILO INVIATO A
FILALETE” 1754 J.P. Joubert de la Salette. I miei commenti sono tra parentesi:
“Tutti i filosofi sono d’accordo che l'opera dei saggi, che è la composizione
della pietra, può essere paragonata alla creazione dell'universo. “
( qui l'autore ci consiglia di studiare la genesi dell'universo, perché la chiave sta lì).
“In effetti, quest’opera dello spirito e della saggezza umana...”
( dello spirito umano e della sua saggezza, notare quanto sia importante leggere tra le
righe e fare attenzione ad ogni parola, qui si capisce bene che l'alchimia è un'opera
dedicata allo spirito dell'uomo, niente a che vedere con la proto-chimica )
“...ben rappresenta il lavoro dello spirito e della saggezza divina che ha creato il
mondo...”
( ciò che sta in alto è ciò che sta in basso).
“Ma c'è questa differenza: che Dio crea ogni cosa
senza aver bisogno di nessun oggetto che serva da materia o
di strumenti per la sua operazione, mentre il filosofo ha bisogno
di una materia su cui lavorare e del fuoco
come strumento e conduttore del suo lavoro. ”
( e qui è chiaro il concetto, l'uomo essendo essere creato, ha un solo modo per
ricongiungersi a Dio, trasformare se stesso ).
“L'arte, imitando la natura come la natura imita il creatore,
lavora su un certo caos, o corpo tenebroso,
e separa anzitutto la luce dalle tenebre.”
( Luce e tenebra: lo splendore divino che proviene dalle tenebre, dal caos.)
“E poiché non può creare questa materia,
la riceve dalle mani della natura e del suo autore;
e con questa sola materia compone la sua Grande Opera.”
( L'alchimista non può creare un nuovo sé, puro ed illuminato, dal nulla. Deve
necessariamente trasformare ciò che è. )
“ Fin dal principio il saggio artista non ha altra cura che
prepararla con industria, di separare il sottile dallo spesso
e il fuoco dalla terra, e di trarre da questo caos
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una certa umidità mercuriale, brillante e luminosa
che contiene tutto ciò che egli cerca. ”
( Il concetto della Luce, dello Splendore, viene ripetuto molte volte.)
Se vogliamo riassumere in poche parole la sostanza o la sintesi, della ricerca
Alchemica, possiamo definirla: “La Ricerca di Dio”; perché di questo si parla.
Dimenticatevi le trasmutazioni del piombo in oro, procedure anch'esse possibili e
realizzabili in determinate condizioni, ( vedi appendice I: Come fare l'Oro in casa )
ma che secondo me non hanno nulla a che fare con l'Alchimia, quella vera, e che
hanno fatto dannare molti illusi in cerca di ricchezza, gloria e fama.
L'alchimista Crasselame, nella sua “Ode Alchemica” ve lo spiega in modo esaustivo:
“I
O voi, che a fabricar l’Oro per Arte
Non mai stanchi trahete
Da continuo carbon fiamme incessanti,
E i vostri misti in tanti modi, e tanti
Hor fermate, hor sciogliete,
Hor tutti sciolti, hor congelati in parte,
Quindi in remota parte
Farfalle affumicate, e notte, e giorno
State vegliando a’ stolti fochi intorno;
II
Dall’insane fatiche homai cessate:
Né più cieca speranza
Il credulo pensier col fumo indori.
Son l’opre vostre inutili sudori,
Ch’entro squallida stanza
Sol vi stampan sul volto hore stentate.
A che fiamme ostinate?
Non carbon violento, accesi Faggi
Per l’Hermetica Pietra usano i Saggi...”
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La “Grande Opera” non si realizza in un laboratorio pieno di provette, forni, crogioli
od ampolle; consiste nel trasformare se stessi, purificare la propria essenza dalle
debolezze umane e, tramite una procedura di “inversione di polarità” di cui parlerò
più avanti, fare proprie le caratteristiche divine ed armonizzarle alla condizione
umana.
Ma cosa significa tutto ciò ? Cos'è l'Illuminazione, il Risveglio della Coscienza ?
San Giovanni della Croce diceva:
“l’esperienza mistica è una 'conoscenza amorosa', infusa da Dio, che nello stesso
tempo illumina l’anima e l’infiamma d’amore.”
Osho, invece parla dell'Illuminazione in modo straordinariamente poetico:
“L'uomo di mondo fugge da se stesso mentre il ricercatore fugge in se stesso per
trovare la sorgente della vita, della consapevolezza. E quando scopre la
sorgente della vita, egli non ha scoperto solo la fonte della propria vita, egli ha
scoperto la fonte della vita dell'universo, del cosmo intero. Un'immensa
celebrazione si risveglia in lui. La vita diviene semplicemente una canzone, una
danza, momento dopo momento."
Non a caso si chiama “Illuminazione” perché è la Luce della Coscienza che si
risveglia, diviene cosciente di se stessa; Osho descrive questo fenomeno cosi:
"...la goccia si fonde nell'oceano,
nell'attimo stesso in cui l'oceano si riversa nella goccia..."
La disintegrazione dell'ego avviene quando la coscienza “umana” smette di
essere prigioniera di concetti come “questo” e “quello”, smette di separare se
stessa dal resto del mondo e si fonde nella coscienza Divina, universale,
immortale ed eterna; grazie ad un atto di volontà cosciente dell'alchimista che
“trasmuta se stesso”.
Egli quindi è la “Prima Materia” necessaria al conseguimento della Pietra
Filosofale.
Quindi la coscienza, questo principio fondamentale, questa “energia” capace di fare
“miracoli” esiste già in noi, probabilmente in forma latente o parzialmente attiva, ma
che cosa è ? di cosa si tratta ? Ma soprattutto, come fare per risvegliarla, esiste un
metodo ?
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Il procedimento operativo secondo i testi classici.
L'alchimia tradizionale occidentale parla di due vie operative: la via “breve” o
“secca” nella quale, secondo le interpretazioni materialistiche, si opererebbero
manipolazioni della “materia prima” lavorando prevalentemente con il crogiolo e la
fornace, a temperature di fusione dei metalli e la via “lunga” o “umida”, che invece
sarebbe operata tramite una lunga cottura ( nove mesi ) della materia prima, dissolta
nella “sua acqua” a temperature che si aggirerebbero intorno ai 40 gradi, in un
matraccio sigillato ermeticamente.
Dal “Mutus Liber” la realizzazione del Mercurio Filosofico
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I seguaci di Fulcanelli sostengono che la “via secca” sia l'unica vera via alchemica,
ignorando volutamente il fatto che sia i primi testi Alessandrini, come ad esempio la
“Turba dei Filosofi”, sia la maggior parte dei testi posteriori, parlano esclusivamente
della via “umida”; quindi come potete vedere c'è' molta confusione in merito. Non è
difficile notare che la via umida sia descritta un po come una gestazione, nove mesi in
cui la “materia prima” viene “cotta” ad una temperatura “umana” tra i 36 ed i 40
gradi in un contenitore, il matraccio, che può ricordare anche un grembo materno;
metafora che si può associare ad una “rinascita” dell'alchimista-materia prima, che
prima procede ad una “morte interiore”, il cosiddetto “caput mortuum” o “regime del
nero” cioè alla dissoluzione della sua parte più materiale e terrestre seguita da un
periodo di rigenerazione lungo 9 mesi per poi conseguire una rinascita spirituale, più
prezioso e puro di prima: il Pur Puris, la Pietra dei Saggi.
Le figure simboliche del Crogiolo e del Matraccio sono comunque parallele ed
essenziali, entrambi sono contenitori realizzati con materiale terrestre, terracotta il
primo, vetro il secondo, quindi sabbia fusa, entrambi elementi terrestri “vili” e
popolari come la terra che calpestiamo ogni giorno, manipolati dall'arte del fuoco,
dalla fusione; quindi realizzati per “via secca”.
Per di più questi due oggetti e componenti dell'opera alchemica sono inerti e quindi
agenti riceventi del “fuoco segreto”, misteriosa fonte di energia e calore necessaria
per la cottura del composto alchemico che in realtà è del tutto simile ai contenitori
dove viene inserito.
Il crogiolo ed il matraccio, quindi, sono essi stessi altra metafora della “materia
prima” necessaria all'opera, senza di essi non si può fabbricare nessuna pietra
filosofica; è in loro che avviene il miracolo della natura, accelerato dall'ingegno
dell'alchimista, grande conoscitore dei segreti dell'universo.
Abbiamo visto, quindi il contenitore necessario all'opera alchemica, fatto di Terra.
“Splendor Solis” il Matraccio contenente il Doppio Mecurio “Sole” e “Luna”
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Il secondo e terzo agente operativo vanno descritti assieme: sono il fuoco, non un
fuoco normale, come ci avvertono tutti gli alchimisti, ma un “fuoco segreto” che
nessuno conosce, al di fuori degli alchimisti; e l'acqua, una mistura composta dai due
elementi Oro o Sole o Zolfo e Argento o Luna o Mercurio che compongono questo
“caos” preparato dall'alchimista.
I due elementi, “Zolfo” e “Mercurio”, sono i due agenti della pietra e materiali
necessari per comporre l'opera alchemica. Si dice che queste due “materie” sono in
ogni cosa, sono dovunque ed in ogni tempo.
Lo scopo della cottura alchemica è quello di unirli nella “Perfecta Conjunctio” la
congiunzione perfetta, il “Matrimonio Chimico”.
Il Matrimonio Alchemico in una classica raffigurazione
Ciò ha obbligato tutti i filosofi a dire ed insegnare che bisogna lasciare ogni sorta di
natura estranea e prendere le nature del maschio e della femmina che sono lo zolfo ed
il mercurio, l'agente ed il paziente, l'emittente ed il ricevente, il sole e la luna, il fisso
ed il volatile, il polo positivo e quello negativo o il cielo e la terra contenuti nel caos
dei saggi.
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Il Fuoco invece, anche detto Sale è il mediatore, l'elemento indispensabile all'unione
tra Sole e Luna.
Altro esempio simbolizzante l'unione tra lo Zolfo ed il Mercurio
Ma se l'alchimista ne vuole fare qualcosa, è necessario che prima li separi, che li
purifichi in modo perfetto e che poi li riunisca con un legame più forte di quello che
la natura aveva dato loro in origine. E così, di uno fa due, e di due uno e, in questo
modo, compone un caos artificiale da dove escono fuori di seguito i miracoli del
mondo o dell'arte alchemica.
Quindi dal caos primordiale, creato da Dio o dalla natura, che dir si voglia, l'arte
separa, quindi riconosce e prende coscienza della loro esistenza e purifica la materia e
toglie, in questo modo, tutte le impurità che sono gli ostacoli tenebrosi, contrari alle
operazioni luminose della natura. L'alchimista operando in questo modo genera e fa
uscire da questo caos “Diana” ed “Apollo”, ed avendo unito i due nel “matrimonio
chimico”, egli ne fa il “Mercurio dei saggi” chiamato anche “Rebis” il doppio Re di
cui il padre e la madre sono il sole e la luna.
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Il Mercurio Filosofico secondo Basilio Valentino, notare il caduceo.
Ecco come lo descrive J.P. Joubert de la Salette, parole condivise da tutti i veri
alchimisti :
“Il mercurio dei filosofi è il figlio dello zolfo e dell’argento vivo ( mercurio ),
seguendo la dottrina del Cosmopolita e di tutti i saggi.
È questo mercurio, o argento vivo dei
filosofi, che basta all'artista con il fuoco; e con solo questo mercurio si può fare
un’oro vero e buono a tutta prova. Con quest’oro, tutto di fuoco e pieno di vita,
facendolo rientrare nel suo caos con una nuova soluzione e facendolo uscire di
nuovo, se ne compone un agente che trionfa di ogni impurità metallica. E si può
moltiplicarlo all'infinito, dicono i saggi.
I filosofi parlano spesso del loro caos al quale danno diversi nomi, seguendo
il loro disegno che è di nascondere i loro grandi misteri a quelli che ne sono
indegni. Questo caos, dice Filalete, si chiama il nostro arsenico, la nostra aria, la
nostra luna, il nostro magnete, il nostro acciaio, sotto diverse considerazioni.
Dice anche che è uno spirito volatile ed un corpo ammirevole formato dal
sangue del drago igneo e dal succo della saturnia vegetabile, e questo caos è
come la madre dei metalli ed un principio fecondo da cui si può estrarre senza
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(bisogno dell’) elisir tutto ciò che i saggi ricercano, anche il sole e la luna.
Il caos è il composto dei saggi, Filalete lo chiama acqua, aria, fuoco e terra
minerale, poiché contiene in sé tutti gli elementi che devono tutti uscirne nel
loro ordine, sebbene se ne vedano solamente due, ovvero la terra e l'acqua, dice
il Cosmopolita, e che tutti, infine, devono finire in terra, dice Ermete. Questo è
l’ammirevole composto di cui parla Arnaldo di Villanova nella sua “Lettera al
re di Napoli” e che chiama il fuoco e l'aria dei filosofi, o meglio la pietra che è la
materia prossima a questa aria e a questo fuoco, e che contiene un'umidità che
corre nel fuoco e che è pietra e non è pietra.
Questo composto, secondo Artefio e in verità, è corporale e spirituale, poiché
partecipa del corpo e dello spirito, cioè della porzione più sottile e più morbida
del corpo e dello spirito o dell'acqua. Questo autore e Flamel chiamano questo
composto Corsuffle, Cambar, Duenech. Ma Artefio aggiunge che il suo nome è
acqua permanente, a causa del fatto che non fugge quando è nel fuoco e non
evapora dai corpi, abbracciandoli e rimanendo inseparabilmente con loro.
Questi corpi, dice, sono il sole e la luna che sono cambiati in una quintessenza
spirituale.
I filosofi parlano diversamente di questo composto: gli uni dicono che è fatto
di due cose, come Basilio Valentino ; gli altri vogliono che sia fatto di tre, come
Filalete che insegna che è un accostamento di tre nature differenti, ma di una
stessa origine; altri scrivono che il caos di cui parliamo è simile all’antico caos
composto di quattro elementi che cominciano, dice Flamel, a depositare
l'inimicizia del caos, per fare la pace e la riconciliazione; questo è il pensiero di
Artefio, e tutti hanno detto la verità su ciò. ”
Lo scopo di questa lunga “cottura” è quindi quello di separare, purificare e quindi
riunire i due principi, Sole e Luna, naturalmente contenuti anzi imprigionati nella
Terra della “materia prima”, nel vaso o crogiolo, e quindi la purificazione di questo
caos è estremamente necessaria, come afferma anche Artefio nella “Turba dei
Filosofi”. Solo grazie all'alchimia e per mezzo della sapienza dell'alchimista si trae il
“mercurio dei filosofi” dalle sue “caverne vetrioliche”.
Ogni volta che in alchimia si parla del VETRIOLO, bisogna far riferimento al motto
alchemico “Visita Interiora Terrae Rectificando Inveniens Occultum Lapidem Veram
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Medicinam” che significa “Visita, esplora, le profondità della terra e rettificando,
cioè purificando, scoprirai la Pietra Occulta, la vera medicina” questo motto, se
ridotto Cabalisticamente prendendo le iniziali di ogni parola forma la parola latina
VITRIOLVM, altro nome dato alla prima materia.
Dal Vetriolo, quindi, se ne trae questo vapore mercuriale grazie al “solvente
universale”, il Fuoco segreto o Alkahest, mestruo acidissimo, molto adatto a
dissolvere il corpo da dove è stato estratto lui stesso, con la dottrina di tutti i saggi.
I filosofi dicono che il loro doppio mercurio è rinchiuso ed incarcerato nel caos
minerale, anche detto Antimonio o Stibina, altra analogia con la terra in quanto
l'Antimonio è simbolizzato con Saturno (latino: Saturnus) la divinità romana
dell'agricoltura, quindi della lavorazione della terra, ed identificava l'abbondanza ma
anche i cicli della natura ed il tempo come agente universale.
Il nome del dio è da connettere con la radice indoeuropea sat-', da cui derivano le
parole latine satis e satur, che indicano appunto pienezza, abbondanza, ricchezza,
soddisfazione. Egli rappresentava anche la ciclicità della natura e quindi il mutare
delle cose.
Gli antichi lo facevano derivare da sator ("seminatore"), da satum - supino del verbo
serere ("seminare") , opinione oggi considerata difficilmente accettabile per la
quantità breve della a di satum. Era colui che inventò le orge, appunto perché divinità
dell'abbondanza e delle cose terrene.
Nella mitologia romana corrispondeva alla divinità greca Kronos, che rappresentava
"il tempo". Titano del tempo quindi, figlio di Urano e di Gea (Terra) le due divinità
primordiali, che secondo una parte della mitologia greca, sono state generate da Caos,
dio supremo e onnipresente; in una variante mitologica sono stati prodotti dall'etere
originato da Caos.
L'Antimonio, come ci viene spiegato nelle opere alchemiche, “minerale terrestre” è
composto da una forte componente di Mercurio “impuro e velenoso” che va
purificato e da una certa quantità di Sole, che è latente, inattiva, come morta; a causa
delle impurità del mercurio che lo “avvelenano”.
Grazie ai procedimenti alchemici, la purificazione di questo Mercurio permette al
Sole, lo Zolfo contenuto nell'antimonio, di vivificarsi, unirsi al Mercurio e maturare,
crescere e fortificarsi a tal punto che l'antimonio modificherà la sua natura diventando
la pietra filosofale.
Tale processo di purificazione o anche detto “rettificazione” deve essere condotto
attraverso il Fuoco Segreto; procedimento che esalta Sole e Luna, uniti assieme, ad
uno stato sempre più sottile e perfetto, fino ad essere talmente potente da conferire
salute, immortalità, ricchezza e saggezza all'alchimista, esso stesso identificabile nel
crogiolo o nell'ampolla.
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Difatti i testi alchemici affermano simbolicamente che quando la grande opera
alchemica sarà compiuta, bisogna “rompere” il crogiolo, o il vaso, per “raccogliere”
la pietra filosofale che si sarà formata al suo interno; l'alchimista smette di essere un
vaso e diventa pietra filosofale, fonte di energia, di vita e di luce, l'alchimista diventa
come Dio, si ricongiunge a Dio perché avrà creato l'unione tra il Sole e la Luna,
dentro di sé.
Terminata la cottura all'interno del matraccio-crogiolo avverranno fatti straordinari:
“...l'uovo si apre, il guscio si spezza e allora appare, tra le ceneri...
...il rubino centrale. E' la pietra...”.
Ripulendo il discorso dalle trappole allegoriche degli alchimisti, possiamo dire che la
materia prima, l'essere umano imperfetto, ha in se questo principio fondamentale che
potremmo chiamare “Coscienza Divina” o Anima.
Lo stato latente dell'Anima sarebbe causato dall'interferenza dell'ego, la parte più
terrestre o “umana” legata al concetto di “isolamento” proprio dell'ego, che crea
l'illusione di separazione; stato che è possibile mutare o invertire, grazie ad un
riconoscimento della realtà oggettiva, una presa di coscienza.
Sri Tilopa (928 – 1009) fu un mahasiddha indiano del Buddhismo Vajrayana e
inventore del sistema di pratica spirituale noto come Mahamudra volto al
conseguimento veloce dell'illuminazione. Nel suo breve ma monumentale “cantico
del Mahamudra” ( appendice II ), afferma che:
“Il supremo modo di vedere è trascendere soggetto ed oggetto”
In termini più moderni l'alchimia insegna a trasformare l'ego incosciente in coscienza
divina, abbattere la barriera dell'individualità per scoprire che l'ego non esiste, la
nostra natura è unica; “tutto in uno” come dicevano gli antichi saggi.
Vale quel che affermava il saggio Einstein: il vero valore di un uomo si determina
esaminando in quale misura e in che senso egli è giunto a liberarsi dall’Io.
Ovvero in quale misura si è lasciato alla spalle l’Ego ed i suoi limiti ed è divenuto un
essere consapevole di non essere una porzione ma il tutto.
Ancora dal Mahamudra di Tilopa:
“Smetti di fare qualunque movimento fisico e rimani tranquillo nello stato naturale.
Non hai nulla da dire, i suoni sono vuoti come l'eco.
Non hai nulla a cui pensare, contempla ciò che trascende la mente.
Il corpo umano come una canna di bambù, la coscienza al di là dei pensieri come il
centro dello spazio: rilasciati in questo stato,
senza perdere la consapevolezza né trattenere nulla in mente.
La coscienza senza punti di riferimento è il Grande Sigillo.
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Prendendo dimestichezza con questo stato si ottiene il Sommo Risveglio.”
Ritratto di Tilopa
Qualcuno obietterà: ma cosa c'entra questo con l'alchimia ?
Mi spiace contraddire eminenti esperti di alchimia come Canseliet od i suoi
ammiratori, ma basta andare a leggere la Tavola Smeraldina di Ermete Trismegisto, il
più autorevole alchimista mai esistito, per ritrovare esattamente gli stessi concetti
espressi da Tilopa.
La tavola di smeraldo o tavola smeraldina è un testo sapienziale che secondo la
leggenda sarebbe stato ritrovato in Egitto, prima dell'era cristiana. Il testo era inciso
su una lastra di smeraldo ed è stato tradotto dall'arabo al latino nel 1250.
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Ermete Trismegisto
Esso rappresenta il documento più celebre degli scritti ermetici ed è attribuito allo
stesso Ermete Trismegisto. Esso apparve per la prima volta in versione stampata nel
De Alchemia di Johannes Patricius (1541).
La tradizione vuole che Ermete avesse inciso le parole della Tavola su una lastra
verde di smeraldo con la punta di un diamante e che Sara, moglie di Abramo, la
rinvenisse nella sua tomba (altre versioni indicano come scopritore Apollonio di
Tiana o Alessandro il Grande).
Il testo completo, breve ma monumentale come il Mahamudra:
“Il vero senza menzogna, è certo e verissimo.
Ciò che è in basso è come ciò che è in alto e ciò che è in alto è come ciò che è in
basso per fare i miracoli della cosa una.
E poiché tutte le cose sono e provengono da una, per la mediazione di una, così tutte
le cose sono nate da questa cosa unica mediante adattamento. Il Sole è suo padre, la
Luna è sua madre, il Vento l'ha portata nel suo grembo, la Terra è la sua nutrice.
Il padre di tutto, il fine di tutto il mondo è qui.
La sua forza o potenza è intera se essa è convertita in terra.
Separerai la Terra dal Fuoco, il sottile dallo spesso dolcemente
e con grande industria.
Sale dalla Terra al Cielo e nuovamente discende in Terra e riceve la forza delle cose
superiori e inferiori.
Con questo mezzo avrai la gloria di tutto il mondo e per mezzo di ciò
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l'oscurità fuggirà da te.
È la forza forte di ogni forza: perché vincerà ogni cosa sottile e penetrerà ogni cosa
solida. Così è stato creato il mondo.
Da ciò saranno e deriveranno meravigliosi adattamenti, il cui metodo è qui.
È perciò che sono stato chiamato Ermete Trismegisto, avendo le tre parti della
filosofia di tutto il mondo.
Completo è quello che ho detto dell'operazione del Sole.”
Ora se il lettore compie un piccolo salto, si legge l'appendice II, il Cantico del
Mahamudra, ritrova molte affinità con l'alchimia di Ermete Trismegisto. Provare per
credere.
Altre fortissime affinità sono riscontrabili tra le parole di Ermete Trismegisto ed i
testi Tantrici, in special modo nelle conoscenze del Kundalini Yoga descritte in modo
superbo e poetico nei versi dei maestri Tamil Siddhas, dei quali parlerò più avanti.
Qui prende senso anche l'assioma “unisci il maschio e la femmina”; in primo luogo
perché anche le conoscenze Tantriche descrivono esattamente lo stesso procedimento
operativo, riunire le energie Solari a quelle Lunari e poi perché nella realtà le
distinzioni, le polarità, non esistono, sono illusorie, tutto è uno.
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Capitolo III
Il Libro dello Splendore
Il lettore più esperto non faccia confusione con lo “Splendor Solis”, libro alchemico
datato al 1532-35 ed attribuito a Salomone Trismosin, considerato il maestro di
Paracelso.
Il libro di cui vorrei parlare in questo capitolo è il Sefer ha-Zohar (il Libro dello
Splendore) o semplicemente Zohar (in ebraico ‫ זהר‬Zohar "splendore") è uno dei
testi più importanti della tradizione cabalistica ebraica.
Nel 1999 viene pubblicato un libricino molto interessante, passato pressoché
inosservato: “ Cabbalàe alchimia. Saggio sugli archetipi comuni “, [La Giuntina,
1999 scritto da Arturo Schwarz ].
Per quanto ne sappia si tratta del primo testo trattante in maniera seria ed
approfondita lo studio delle convergenze misteriche, simboliche e storiche tra
Alchimia e Kabbalah ed è stato il mio “primo contatto” con l'argomento Kabbalah.
Il testo è molto interessante e Schwarz coglie molti punti salienti della ricerca
alchemica collegandoli con profitto alla filosofia Kabbalista.
Purtroppo però non mi trovo affatto d'accordo con le conclusioni proposte dall'autore,
quando nel testo arriva a dare una spiegazione a mio avviso errata dell'assioma di
Zosimo “Unisci il maschio e la femmina e troverai ciò di cui si va in cerca [la Pietra
Filosofale] ” affermando che: “Detto in termini moderni, è attraverso l'amore, che
comporta l'unione di marito e moglie , che si raggiunge la consapevolezza.”
Ed ancora, a mio avviso con troppa superficialità il testo di Schwarz cade nella
“trappola” di Jung, quando comincia ad affermare che:
“...Sette secoli prima di Jung, dunque, i Maestri della Cabbalà avevano capito che lo
scopo dell'esistenza è la conoscenza del sé, premessa necessaria allo sviluppo della
personalità individuale; uno sviluppo che non può aver luogo senza che i suoi due
poli opposti si integrino. Per la donna questo significa scoprire e accettare l'aspetto
maschile (l'animus) del suo essere (cioè, la triade delle Sefirot maschili ): per l'uomo,
l'aspetto femminile (l'anima), cioè la triade complementare. Il raggiungimento della
conoscenza del sé che consente di gettate un ponte fra i due poli dell'io è prefigurato
dalle speculazioni cabalistiche sulla struttura dell'anima, sull'importanza del
principio femminile e sulla necessità di riconoscere e accettare l'altro aspetto della
propria personalità un compito quanto mai pressante in una società androcentrica,
gerarchica e autoritaria come la nostra. Soltanto l'individuo, uomo o donna, che
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sappia valutare appieno l'importanza del proprio lato più profondo può sperare di
realizzare tutta la propria potenzialità. ”
Anche questi concetti sicuramente interessanti, riportati e riproposti anche da altri
studiosi, tranne per il fatto che la Kabbalah non è vecchia di sette secoli, ma molto
più antica e che i concetti di “Polarità” e di “Unione delle Polarità”, espressi
simbolicamente nella Kabbalah ma anche nell'Alchimia sotto forma di Zolfo e
Mercurio, Maschio e Femmina, Re e Regina, Sole e Luna, Oro e Argento ecc., non
riguardano parti “sessuate” della personalità, come vorrebbe il caro Jung, ma sono
molto più complessi perché riguardano la spiritualità, la Kabbalah e L'alchimia
insegnano la via per il ricongiungimento con Dio, la via per l'illuminazione, non una
metodologia psicanalitica per avere, in teoria, una personalità più completa; è l'esatto
opposto, Jung parla di “individuazione” cioè “creazione dell'individuo”,
procedimento forse utile a persone affette da psicosi mentre la Kabbalah e L'alchimia
parlano di “divinizzazione” l'unione dell'essere Umano con Dio trascendendo la
personalità, andando oltre i limiti umani, mi pare che sia tutt'altro.
Questo è l'errore fondamentale commesso da molti intelligenti ed acuti studiosi, il
loro è l'ennesimo vicolo cieco in cui si può cadere cercando di comprendere
l'Alchimia senza avere le necessarie conoscenze basilari e senza andare oltre il
concetto di “Essere Umano”. Si parla di spiritualità, non di psicologia e psicoterapia.
Interessato ed affascinato da questa sicuramente valida unione tra Alchimia e
Kabbalah, mi sono messo alla ricerca dei testi originali, perché sono convinto che se
vuoi capire qualcosa di un dato argomento, i commenti e le spiegazioni sono
sicuramente utili ma a volte errati e fuorvianti, nulla in confronto ad una lettura della
fonte, del testo originale.
La mia biblioteca alchemica è vastissima, centinaia di testi di ogni genere in forma
cartacea ma soprattutto in formato elettronico: circa 12 gigabyte di e-books ,
soprattutto dei grandi autori antichi, ma in fatto di Kabbalah non sapevo nulla, e la
ricerca partì dal suo testo più importante, lo Zohar.
Quando mi è capitata tra le mani una versione tradotta e commentata in inglese: “The
Light Of Kabbalah – Introduction to the Book of Zohar, Part I & II, The Spiritual
Secret of Kabbalah ” scritto dal rabbino Yehuda Ashlag (Varsavia, 24 settembre 1884
– 7 ottobre 1954); si può dire senza esagerare che mi si aprì un mondo tutto nuovo
che non conoscevo prima d'ora.
Magicamente tutti i pezzi del puzzle cominciavano a combaciare nella mia mente,
tutti quei libri alchemici che avevo letto...finalmente cominciavo a comprendere i
loro messaggi, i loro significati...una esperienza che ha del magico.
Il termine Zohar è un termine generico che serve da titolo ad un corpus letterario
composito la cui redazione comprende più decenni. In realtà, questo titolo non indica
altro che la parte principale del testo.
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Ci sono molte speculazioni sul vero autore dello Zohar, la prima pubblicazione
“ufficiale” avvenne in Spagna verso il 1270, in un artificioso aramaico letterario
scritto da un intellettuale, rabbino e cabalista ebreo: Moshe Ben Shem Tov de Leon,
che prima del Sefer ha-Zohar, aveva redatto alcune opere in ebraico. Secondo questa
ipotesi, Moshe fece ricorso alla lingua aramaica per far credere che l'opera letteraria
appartenesse all'eminente saggio talmudico del II secolo Shimon bar Yohai; teoria,
quella di attribuire la paternità del testo a quest'ultimo Rabbino del Talmud, più
fedele alla dottrina tradizionale della religione ebraica.
Ci sono indizi contrastanti però, secondo alcuni documenti dell'epoca, invece, gli
assistenti di De Leon affermarono sotto giuramento che De Leon avesse trascritto un
testo molto più antico in aramaico, il cui originale non fu mai ritrovato, mentre altri
presumono che De Leon facesse parte di un ordine segreto e che la pubblicazione
dello Zohar fosse un atto di divulgazione, deciso dall'ordine stesso, di una conoscenza
mantenuta segreta fino a quel momento.
Secondo Yehuda Berg, rabbino ed eminente esperto contemporaneo di Kabbalah:
“...Il grande cabalista spagnolo Moses de Leon di Guadalajara fece una scoperta
sbalorditiva quando, nel XIII secolo, trovò i manoscritti dello Zohar. […] Lo Zohar e
il Libro di Daniele sostenevano che il trattato sarebbe rimasto celato per
milleduecento anni (cento anni per ciascuna delle dodici tribù di Israele), partendo
dal tempo della distruzione del Tempio.
Il Tempio di Gerusalemme fu distrutto dai romani nel 70 a.C. Moses de Leon scoprì
lo Zohar nel 1270: milleduecento anni dopo, come avevano predetto lo Zohar e il
libro di Daniele. ” [ Yehuda berg, Il Potere della Kabbalah Prima edizione TEA
Pratica maggio 2005 ]
Ricordate la storia di Flamel ? Che andò fino in Spagna per parlare con un certo
ebreo di nome LEON che gli insegnò a decifrare il “Manoscritto di Abramo” ?
E se il misterioso Leon non fosse stato altro che un anziano Moses de Leon, che
viveva in Spagna, e che, guarda caso, era un eminente letterato che aveva scritto o
divulgato un'opera Cabalistica di grande portata e che si ricollega in maniera
indubitabile all'alchimia ?
A questo punto bisogna però chiarire un aspetto importante rispondendo a questa
domanda: cos'è la Kabbalah, o Cabbala, ebraica ?
Yehuda Berg, la descrive cosi:
“Immaginate che esista una misteriosa saggezza in grado di svelare e unificare ogni
legge fisica e spirituale dell'esistenza... [...] Immaginate che, in un tempo molto
lontano, una ristretta cerchia di eminenti saggi sia riuscita a comprenderla ed a
tramandarla attraverso testi che furono tenuti nascosti per duemila anni... Infine
immaginate che questa misteriosa saggezza possa svelare tutti i segreti dell'universo,
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dare risposta a ogni domanda, risolvere ogni vostro dilemma... Tale saggezza esiste
davvero, nonostante sia stata tenuta segreta per gran parte della storia dell'umanità.
Essa prende il nome di Kabbalah...”[ Yehuda berg, Il Potere della Kabbalah 2005 ]
Le fonti della Kabbalah risalgono innanzitutto agli scritti gnostici delle sette
giudaiche, fiorenti nell'Egitto ellenistico ed in Palestina, all'inizio dell'era volgare.
Il primo scritto sulla Kabbalah, il Libro della Creazione, appartiene al patriarca
Abramo, 2000 a.c. Circa.
I primi circoli cabalistici veri e propri si svilupparono nel XII secolo soprattutto in
due zone: nelle province della Francia meridionale e della Linguadoca e a Gerona,
una cittadina della Catalogna nel nord della Spagna.
Fra le opere principali ( secoli XII e XIII ) troviamo :
• il Sefer Yesirà (libro della creazione) di autore ignoto,
• il Sefer ha Bahir (libro dell’illuminazione, fine XII o inizio XIII secolo)
attribuito a Nehuniyà ben ha-Qanà (seconda metà del I secolo),
• lo Sheqel ha-qodesh, scritto da Moshe de Leon (1240-1305), il monumentale
Zohar, attribuito anch'esso a Moshe de Leon
• la piccola opera anonima Iggeret ha-qodesh (la lettera santa, XIII sec.), scritta
probabilmente da Yosef Giqatilla (1248-1325), autore di altri due trattati
trecenteschi: Sha'aré ora (porte di luce) e Sod Bar Sheva' (il segreto di
Betsabea).
La Kabbalah, come l'alchimia, venne mantenuta segreta per migliaia di anni, soltanto
nel XVI secolo il cabalista Abraham Azulai (1570- 1643) emanò un decreto,
retroattivo al 1540, che annullava qualsiasi proibizione relativa all'apprendimento
della Kabbalah.
Il Sacro Calice.
La “coppa di cristo” secondo la tradizione usata da Gesù nell'ultima cena, in cui
Giuseppe d'Arimatea conservò il sangue del messia e lo portò in Europa per poi
nasconderlo chissà dove, o per affidarlo alla protezione dei cavalieri templari.
Siamo in epoca contemporanea alla pubblicazione dello Zohar, quando si comincia a
parlare del Graal, con pubblicazioni di romanzi e leggende, la “saga Arturiana”
prende corpo proprio in quei tempi ed è stranamente collegata alla Kabbalah.
Un'altra leggenda parla del significato simbolico della coppa, per nascondere e
proteggere Maria Maddalena, incinta del figlio di Gesù, la coppa sarebbe il suo ventre
materno, mentre il sangue di Jesù sarebbe il figlio portato in grembo, non mi dilungo
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in questa teoria, promossa nel libro “Il santo Graal” (The Holy Blood and The Holy
Grail nell'originale inglese, 1982 ), un controverso e molto interessante saggio scritto
da Michael Baigent, Richard Leigh, e Henry Lincoln, nel quale si portano a sostegno
di questa tesi molti indizi storici, anche se a volte un po' forzati. Libro nel quale
attinse poi a piene mani l'autore del famoso romanzo “Il codice da vinci” (The Da
Vinci Code) il quarto romanzo thriller dello scrittore Dan Brown, scritto nel 2003 e
pubblicato in Italia nel 2004.
Una riproduzione del Graal
Ne Il Santo Graal, Baigent, Leigh, e Lincoln presentarono i seguenti indizi come fatti
a sostegno delle loro tesi:
• esiste una società segreta nota come Priorato di Sion, che ha una lunga storia
risalente al 1099, e ha avuto una lunga serie di illustri Gran Maestri compresi
Leonardo da Vinci, Victor Hugo e Jean Cocteau;
• essa fondò i Cavalieri templari come suo braccio militare e finanziario;
• essa ha il compito di installare la dinastia Merovingia, che governò i Franchi
dal 457 al 751, sul trono di Francia e del resto d'Europa.
Gli autori reinterpretarono i Dossier segreti alla luce del loro interesse a sminuire la
lettura istituzionale della Chiesa Cattolica Romana della storia Giudeo-Cristiana.
Contrariamente alle tesi iniziali franco-israelite di Plantard, secondo cui i merovingi
discendevano soltanto dalla tribù di Beniamino gli autori sostengono che:
• il Priorato di Sion protegge gli appartenenti alla dinastia Merovingia perché
essi possono essere i discendenti del Gesù storico e della sua ipotetica moglie,
Maria Maddalena, fatti risalire al Re Davide;
• la Chiesa ha cercato di eliminare i membri sopravviventi della dinastia e il loro
supposti guardiani, i Catari e i Cavalieri templari, in modo che i papi potessero
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mantenere la cattedra episcopale attraverso la successione apostolica di San
Pietro senza timore che esso venisse usurpato da un antipapa proveniente dalla
successione ereditaria di Maria Maddalena.
Questi pertanto conclusero che gli scopi moderni del Priorato di Sion sono:
• la rivelazione pubblica del Santo Graal - un segreto legato al tesoro perduto del
Tempio di Gerusalemme - che faciliterebbe il ripristino della dinastia
merovingia in Francia;
• l'instaurazione di "Stati Uniti d'Europa" teocratici, come un intreccio di
monarchie popolari, che re-istituzionalizzerebbero la cavalleria, e sarebbero
unificate politicamente e religiosamente attraverso il culto imperiale di un re
sacro merovingio, che occupi sia il trono d'Europa che la Santa Sede;
• il trasferimento del governo dell'Europa e della sua sfera d'influenza al Priorato
di Sion attraverso un parlamento federale.
Baigent, Leigh, e Lincoln incorporarono altresì nel loro libro un trattatello
antisemitico e anti-Massonico noto come Protocolli dei Savi di Sion, concludendo
che esso si riferiva effettivamente alle attività del Priorato di Sion. Essi lo
presentarono come la più persuasiva prova dell'esistenza e delle attività del Priorato
affermando che:
• il testo originale su cui la versione pubblicata dei Protocolli degli Anziani di
Sion si basava non aveva nulla a che fare con la cospirazione sionista. Esso
originava da una struttura massonica appartenente al Rito della Stretta
Osservanza, che incorporava la parola "Sion" nel suo nome;
• dopo un fallito tentativo di guadagnarsi l'influenza alla corte dello Zar Nicola II
di Russia, Sergei Nilus modificò il testo originale per forgiare un trattatello
infiammatorio nel 1903 allo scopi di screditare la cricca esoterica che gravitava
intorno a Papus implicando che essi fossero cospiratori giudaico-massonici;
• alcuni elementi Cristiani esoterici nel testo originale furono ignorati da Nilus e
quindi rimasero immutati nella frottola antisemitica che lui aveva pubblicato.
Nel suddetto libro, gli autori sostengono che il grande potere economico e politico
ottenuto dai cavalieri templari sia da ricondursi al fatto che loro conoscessero il
segreto della linea di sangue di Jesù e che utilizzassero questo segreto come ricatto
verso il vaticano, denaro e potere in cambio del silenzio sulla vera vita di Jesù.
Stesso segreto che, ancora secondo Baigent, Leigh, e Lincoln, sta alla base della
misteriosa storia di Renne-le-Château, quando un umile monaco: Bérenger Saunière
(1852-1917), parroco di Renne-le-Château dal 1885 al 1909, divenne
misteriosamente e repentinamente molto ricco, custode forse del segreto del santo
Graal ed in grado anch'egli di ricattare il vaticano o per lo meno “pagato” per tacere
dalle autorità vaticane.
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Non nego che molti di questi argomenti suscitano domande, interrogativi e misteri
ancora non svelati ma vi stupirà sapere che ci sono forti indizi sul fatto che la
leggenda del Santo Graal sia legata a doppio filo con la Kabbalah e con lo Zohar in
particolare; Yehuda Berg, nel suo “Il potere della Kabbalah” afferma:
“La ricerca del perduto Santo Graal è stata raccontata in
numerosi libri e film, in narrazioni e poemi fin dai tempi
medievali. Il Graal è stato spesso identificato come una
coppa di salvezza, una pietra, una spada rosso sangue e
perfino come una via di trasformazione spirituale.
Le diverse leggende sul Graal sono legate da simboli
comuni: dei cavalieri, una rosa, l'albero della vita e il
castello del Graal. Ma ecco una curiosità: tutte queste
descrizioni o simboli si trovano anche nello Zohar.
Uno degli autori più famosi che hanno scritto del Graal,
Wolfram Von Eschenbach, affermò di aver ricevuto la sua
storia da un mistico spagnolo a Toledo, nel XIII secolo, un
periodo in cui la Kabbalah era la saggezza spirituale più
popolare della Spagna.
Un cabalista francese, Isacco il Cieco, scrisse una lettera
in cui metteva in guardia i cabalisti spagnoli contro la
rivelazione dei segreti cabalistici.
Secondo l'Enciclopedia Cattolica, il resoconto più
dettagliato della vera natura del Graal si trova nell'opera
del XIII secolo Grand Saint Graal. In questo manoscritto
francese medievale il Graal viene chiamato « un libro di
una Luce sorprendente ». Inoltre, la semplice visione del
Graal può guarire e rendere immortali...”
In "Le Grand Saint Graal", autore sconosciuto, il Santo Graal viene associato a un
libro scritto addirittura da Gesù Cristo, alla cui lettura può accedere solo chi è in
grazia di Dio e le verità di fede che esso contiene non potranno mai essere
pronunciate da lingua mortale senza che i quattro elementi ne vengano sconvolti. Se
ciò, infatti, dovesse accadere, i cieli diluvierebbero, l'aria tremerebbe, la terra
sprofonderebbe e l'acqua cambierebbe colore. Da questo si deduce che il libro
contenente il “segreto della coppa” possiede un temibile potere. Interessante vero ?
All’inizio del XIV secolo cominciarono a correre strane voci sull’Ordine dei cavalieri
Templari, che, ben presto, divennero accuse gravissime: apostasia, idolatria,
sacrilegio, sodomia, stregoneria e omicidi rituali. Tra le accuse più gravi mosse ai
Templari vi era anche quella di adorare orribili idoli dopo aver rinnegato Cristo, come
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attestano alcune delle dichiarazioni rese al processo. Un templare morente, Il 14
aprile del 1309, ad una commissione, dichiarò: “Sono stato ricevuto nell’Ordine
quaranta anni fa alla Rochelle dal Fratello de Legione, oggi defunto. Egli mi disse
che bisognava rinnegare Nostro Signore. Non mi ricordo se si servì della parola
Gesù Cristo oppure crocifisso; è tutt’uno, disse lui (sed dixit ipsi testi quod totum est
unum). Io risposi che se anche lo avessi rinnegato sarebbe stato un atto di bocca e
non di cuore; cosa che feci... Il Fratello Legione mi ordinò di sputare su una piccola
croce ed io sputai una volta nella direzione della croce, e non sopra” (Jean MarquèsRivière, Storia delle dottrine esoteriche, Mediterranee, Roma 1984). Pur se con delle
varianti il tenore delle deposizioni continua in tal senso.
Un Cavaliere Templare
Bisogna convenire con gli scrivani ecclesiastici del secolo XIV, tra i quali Angerius
de Béziers, che i cavalieri del Tempio erano depositari di un misterioso culto
connesso forse alla Kabbalah o a qualche misteriosa dottrina segreta ?
Sembrerebbe ormai assodato che in seno all’Ordine si celebrassero rituali
segretissimi.
Sicuramente l’Ordine accolse elementi dottrinari e rituali dell’esoterismo
mediorientale. Subì l’influsso delle confraternite esoteriche ebraiche e musulmane
insieme al disegno di un’unificazione del mondo e di un nuovo ordinamento sociale.
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Le altre gravi accuse, mosse contro l’Ordine, furono quelle di tenere "costumi
deplorevoli" e di adorare i cosiddetti bafometi (teste ed immagini misteriose).
Per quanto concerne questi strani idoli ecco quanto riporta l’accusa lanciata dalla
corte romana:
“Art. 46 - In tutte le provincie essi possedevano idoli, teste con tre facce, con
una sola o anche crani umani.
Art. 47 e sgg. - Nelle loro assemblee e soprattutto nei grandi Capitoli, essi
adoravano l’idolo come un Dio, come il loro Salvatore, affermavano che questa
testa poteva salvarli, che concedeva all’Ordine tutte le sue ricchezze, e che
faceva fiorire gli alberi e germinare le piante della terra. ”
Quindi si parla di una misteriosa “testa” che in qualche maniera esaudiva i loro
desideri.
Va considerato dopo quanto detto, l’androginia dell’idolo chiamato Baphomet, in
quanto, esso aveva la barba ma anche il seno femminile; evidente simbologia
dell'unione tra maschile e femminile, tra polo positivo e polo negativo .
Il suo nome è stato oggetto di diverse interpretazioni. Alcuni lo hanno considerato
"una variante di Maometto (Mahomet, Machomet, Maphomet, Baphomet)" (Massimo
Izzi, Il dizionario illustrato dei mostri, Gremese Editore, Roma 1989). Per altri è "una
abbreviazione di AB PPHibus TEMplum, il Tempio (deriva il suo potere) dai
serpenti".
Tra le numerose scuole e sette di gnostici derivate da i maestri principali della gnosi
Simon Mago, Meandro, Saturnino, Carpocrate, Basilide, Valentino e Marcione, uno
di questi gruppi, gli ofiti, veneravano il Serpente del Paradiso terrestre. Taluni
studiosi, per questo ed altro, affermano che le dottrine templari procedevano dagli
ofiti.
Nei romanzi dei “Cavalieri della Tavola Rotonda”, quando Re Artù abbandona la
spada Excalibur, alla scoperta del tradimento della moglie Ginevra con Lancillotto,
suo fedele amico, iniziano carestie, la gente è ridotta in povertà e fame; Camelot è in
decadenza. Artù è ormai quasi infermo, senza più la guida di Merlino e l'amore di
Ginevra, che pentita si chiude in un convento. Anche Lancillotto vaga senza meta,
disperato per aver tradito il suo Re. Ormai la speranza sembra aver abbandonato ogni
cosa, Morgana e il suo crudele figlio, Mordred, sembrano aver vinto, ma una luce
resta ancora accesa: un cavaliere di nome Parsifal (che precedentemente era stato lo
scudiero di Lancillotto) riesce a trovare il Santo Graal, grazie al quale ridona energia
e vita al morente Artù, e quindi alla sua terra, che con lui è un tutt'uno.
Interessanti affinità con la misteriosa “testa di bafometo” descritta dai Templari,
infatti H. Cornelius Agrippa, nel XVI secolo, disse di loro che erano esperti maghi.
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E se il loro Baphomet fosse stato un talismano prodigioso che, nella sua androginia,
celava l’unione fra le due grandi polarità del cosmo; simbolo quindi di una
conoscenza profonda e potentissima ?
Serge Hutin, a tal proposito, racconta la straordinaria ipotesi di Maurice Magre e cioè
che: "i Templari fossero in possesso di una figura baphometica carica di magico
potere, ...loro sottratta nel corso di uno scontro armato tra i cristiani e i mongoli
invasori" e per l’Ordine fu l’inizio della fine.
L’orientalista Joseph Hammer affermò anche che: "la leggenda medievale del Santo
Graal fosse di origine gnostica, e che i Templari avessero ripreso direttamente dagli
gnostici certi atti di adorazione a cui si supponeva che la leggenda del Graal avesse
dato origine. (...). Il Graal stesso era per Hammer un vaso gnostico, simbolo della
conoscenza gnostica e senza alcun significato cristiano" (Peter Partner, I Templari,
Einaudi, Torino 1993).
La cosa strana, e che a quanto pare nessuno ha mai notato, è che nello Zohar si parla
di una particolare “testa desiderata da tutti i desideri”, riporto qui il testo originale,
alcuni indizi sono sottolineati da me:
“Abbiamo imparato:
Il Libro di CIO’ Che è Nascosto è il libro dell’equilibrio del peso.
Finché NON esistette come peso, NON esisteva come nella visione Faccia a Faccia;
E i Re Primordiali morirono quando le loro corone NON furono trovate,
e la Terra fu nullificata,
finché la Testa desiderata da tutti i desideri formò e comunicò
i rivestimenti di splendore.
Quel peso proviene dal luogo che NON è Egli.
Coloro che esistono come NON sono pesati in YH.
Nel Suo corpo esiste il peso.
[Il] NON unisce e [il] NON inizia.
In YH ascesero, ed in YH ascendono;
Coloro che NON sono, e sono, e saranno.
Il Nascosto all’interno del Nascosto è formato e trovato in:
1) un cranio,
2) che è riempito di Rugiada di Balsamino,
3) un involucro di aria chiara e nascondente,
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4) coloro che sono lana pura, pendono e stanno anche in equilibrio,
5) la volontà di tutte le volontà che è rivelata con le preghiere di quelli di sotto,
6) l’Occhio Aperto che non dorme, ma guarda continuamente, l’Occhio di sotto sta a
significare l’Occhio del fulgore superno,
7) le aperture del pilastro cavo, dal quale il Suo Spirito si precipita verso tutti.
“EGLI creò sei, creò Elohim, il cielo e la Terra.” (Torah B’reshith 1:1)
Bara Shyt, “EGLI creò Sei” sopra di loro.
Essi sono tutti sotto,
e dipendono dai sette del cranio come lontano fino allo splendore di tutti gli
splendori. ”
Come potete capire non è di facile interpretazione, l'enigmaticità del testo è molto
simile a quella dei testi alchemici quindi ci muoviamo in territori inesplorati, però mi
suona almeno curiosa questa similitudine, solo coincidenze ?
Il Vaso, il Fuoco e la Luce Divina.
A questo punto è necessario entrare nel merito e trattare della cosa che ci interessa
maggiormente, la conoscenza segreta custodita nella Kabbalah e nell'Alchimia ed in
particolar modo, in questo capitolo, dei parallelismi esistenti tra i concetti basilari
espressi nei testi alchemici e nello Zohar.
Per fare ciò bisogna esporre un sunto, comprensibile e sufficientemente completo, in
primo luogo la Genesi secondo i Kabbalisti e le sue implicazioni sulla vita umana,
confrontate con le simbologie alchemiche.
Per evitare dubbi sui concetti espressi, eviterò di proporre opinioni personali che
possono essere distorte o travisate, quindi farò semplicemente un sunto di alcuni
passaggi molto importanti della monumentale opera “The Light Of Kabbalah –
Introduction to the Book of Zohar, Part I & II, THE SPIRITUAL SECRET OF
KABBALAH ” scritto dal rabbino YEHUDA ASHLAG agli inizi del XX secolo e
costituente una pietra miliare in quanto prima traduzione Ebraico-Inglese, con
commenti e spiegazioni, mai realizzata.
Stessi concetti riportati, poi, in maniera più semplificata ma non meno illuminante nel
libro “Il potere della Kabbalah” [ Yehuda berg, 2005 ].
Secondo lo Zohar l'universo in cui viviamo si basa su una energia molto particolare,
la più potente di tutte, Kelim il DESIDERIO. Se ci pensate bene, ogni desiderio che
si possa avere, sia di ricchezza, potere, sessualità, cibo, amore, amicizia e quant'altro,
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è basato su una necessità fondamentale: “essere felici”; la Kabbalah chiama questa
felicità “Luce”.
Esistono tre tipologie di desiderio, presenti in ognuno di noi in proporzioni diverse, la
differenza di queste proporzioni determina il nostro carattere, la nostra personalità.
Il primo tipo è un desiderio prettamente animale, volto al soddisfacimento delle
esigenze fisiche quali, fame, sessualità e sopravvivenza.
Esiste poi la seconda tipologia di desideri, collegati ad esigenze come la fama, il
potere e la ricchezza, l'onore ed il prestigio.
E poi esiste la terza tipologia, il desiderio di saggezza, conoscenza, la risposta alle
domande sulla vita, sulla spiritualità.
Prima dell'universo, prima della creazione, lo Zohar ci dice che esisteva solo Dio,
fonte eterna di luce, agente irradiante, eterno emettitore di questa luce, energia in
grado di esaudire ogni desiderio possibile ed immaginabile, amore allo stato puro; il
Sole alchemico, il Maschio, il Re.
Ad un certo punto della sua esistenza, questo essere eterno si rese conto che nessuno
poteva godere della sua luce, perché nulla esisteva a parte Dio stesso; ed egli non si
sentiva perfetto, perché il suo unico desiderio: donare luce ed amore, non veniva
esaudito, donare luce... ma a chi ? Il Re non aveva la sua Sposa.
Il creatore, quindi creò il Sacro Vaso, il Calice, la Coppa Divina, il Graal, ( kli in
ebraico ) la controparte femminile, ricevente, il polo negativo, la Luna alchemica, la
Regina, la sposa primordiale. Tutto questo accadeva prima della creazione
dell'universo.
Ad un certo punto il Vaso si rese conto che, malgrado tutti i suoi desideri fossero
appagati, ne rimaneva uno, che in quello stato di agente ricevente assoluto, non
poteva essere esaudito, il Vaso voleva creare per se stesso ed in totale autonomia la
luce dell'amore che esaudisce ogni desiderio, il Vaso, in poche parole divenne puro
EGO, ( in questo libro non si parla di ego come qualcosa di cattivo, gli pseudo
gnostici moderni non facciano confusione, Ego è entità distinta da Dio, che anela,
desidera ed attrae a se ciò che desidera).
A quel punto Dio, nella sua totale missione di donare appagamento, smise di donare
la Luce al Vaso ed avvenne una specie di corto circuito, una immensa esplosione che
diede origine all'universo materiale, il Vaso creò un “tappo” uno schermo che
bloccava la luce e si staccò da Dio, si allontanò e venne trasformato in universo,
colmo di esseri viventi e di tutte le meraviglie esistenti in natura; con il preciso scopo
di evolversi per diventare anch'egli come Dio, per ricongiungersi al creatore e per
riunificarsi ad esso in maniera perfetta, cosi' che Dio possa di nuovo riempire il vaso
col suo amore eterno ed essere ricambiato dall'amore del Vaso.
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Ermete Trismegisto mostra l'unione tra il Sole e la Luna grazie al Fuoco Mediatore, il vero segreto dell'Alchimia
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I Sephirot e l'Albero della Vita
Sephirot, Sephiroth, Sefiroth o Sefirot (‫פירֹות‬
ִ ‫ס‬
ְ ), singolare: Sephirah, o anche Sefirah
(‫פיָרה‬
ִ ‫ס‬
ְ "enumerare" in lingua ebraica).
La parola Sefirot è connessa, secondo il Sefer Yetzirah, con sefer (scrittura), sefar
(computo) e sippur (discorso), che derivano dalla stessa radice SFR.
Le Sefirot nella Qabbalah ebraica sono le dieci modalità o gli "strumenti" di Dio (a
cui ci si riferisce con ‫ אור אין סוף‬Or Ein Sof, "Luce Senza Limiti").
Da un punto di vista teologico tali Sefirot o 'Luci Increate' sono dunque considerate
increate ma, in qualità di emanazioni divine, non sono vere e proprie ipostasi e
dunque non possiedono la natura di esseri divini o di manifestazioni rivelate. Inoltre
esse sono anche associate alle situazioni pratiche ed emotive attraversate da ogni
individuo, nella vita quotidiana; le Sefirot sono dieci principi basilari, riconoscibili
nella molteplicità disordinata e complessa della vita umana, capaci di unificarla e
darle senso e pienezza:
“Tua, Signore, è la grandezza (Ghedullah), la potenza (Ghevurah), la bellezza
(Tiferet), la vittoria (Nezakh) e la maestà (Hod), perché tutto (Kol - appellativo di
Yessod), nei cieli e sulla terra, è tuo. Signore, tuo è il regno (Mamlachah - altro nome
di Malkhut); tu sei colui che ti innalzi come testa (Ro'sh - le tre Sefirot superiori) su
ogni cosa. (1Cron, 29,11)”
Attraverso esse Egli può proiettarsi sul mondo e gli uomini. Le Sefirot non sono da
intendersi letteralmente come i gradi di una scala che va dalla Divinità al mondo che
ne è influenzato, sono da intendersi più come i gradi della vita divina, all'interno di
Dio stesso, però Uno, Immutabile e Perfetto; bisogna poi ricordare che secondo lo
Zohar sono correlate alla parola creatrice, ovvero la sapienza dei Nomi di Dio,
soprattutto con riferimento ai cinque Mondi.
L'"Albero della Vita", o "Albero Sefirotico", costituisce la sintesi dei più noti e
importanti insegnamenti della Cabala ebraica. È un diagramma, astratto e simbolico,
costituito da dieci entità, chiamate Sefirot, disposte lungo tre pilastri verticali
paralleli: tre a sinistra, tre a destra e quattro nel centro; il pilastro centrale si estende
al di sopra e al di sotto degli altri due. Osservando la figura, si può notare che le dieci
Sefirot sono collegate da ventidue canali, tre orizzontali, sette verticali e dodici
diagonali. Ogni canale corrisponde ad una delle ventidue lettere dell'abjad ebraico.
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L'albero Sefirotico in una raffigurazione medievale
I tre pilastri dell'Albero della Vita corrispondono alle tre vie che ogni essere umano
ha davanti: l'Amore (o la Grazia, a destra), la Forza (o la Severità, a sinistra), e la
Compassione (al centro). Solo la via mediana, chiamata anche "via regale", ha in sé la
capacità di unificare gli opposti. Senza il pilastro centrale, l'Albero della Vita può
divenire quello della conoscenza del bene e del male (quello biblico). I pilastri a
destra e a sinistra rappresentano inoltre le due polarità basilari di tutta la realtà: il
maschile a destra e il femminile a sinistra, dai quali sgorgano tutte le altre coppie
d'opposti presenti nella creazione.
Le Sefirot sono 10 e non può mai risultarne un numero maggiore (Daat racchiude il
mistero dei canali) anche se da ogni Sefirah derivano molti altri particolari,
comunque sempre correlati ed assimilabili al significato a priori.
Anche se le Sefirot sono 10 e ognuna ha propri attributi, quando se ne menziona una
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si richiamano tutte le altre come per una rete di associazioni:
Numero
o livello
Nomi
Attributi
Corrispondente
parte del corpo
Persona
biblica
Principali associazioni
simboliche
1
Keter
la Corona, la Volontà
Prima, il Divino Nulla
il cranio
Il Messia
l'Inesistenza del
Pensiero, l'Inconoscibile
Chokhmah
la Saggezza, l'Inizio, il
Punto di Partenza, il
Primo Aspetto
discernibile di Dio, il
l'emisfero
Principio Maschile di
cerebrale destro
Dio, il Padre Superiore
che feconda la Sephirah
successiva
Mosè
il Vino, il Pozzo
profondo
3
Binah
la Comprensione, il
Principio Femminile di il cuore e
Dio, l'Utero da cui
l'emisfero
Lea
deriva tutto il resto della cerebrale sinistro
Vita Divina e Terrena
il Palazzo, la Primavera,
il Pentimento, il
Giubileo, la
Cinquantesima Porta
4
Chessed o
Ghedullah
la Benevolenza, la
Clemenza, la
Misericordia, l'Amore
la mano ed il
braccio destri
Abramo
il Sud, il colore bianco,
il Mattino, il Latte,
l'Argento
5
Ghevurah o
Pahad o Din
il Potere, il Timore, la
Giustizia, il Rigore, il
Giudizio
la mano ed il
braccio sinistri
Isacco
il Nord, il colore rosso,
il Crepuscolo, il Sangue
(anche la carne), l'Oro
6
Tiferet o
Rachamin
la Bellezza, la
Compassione, il
il torso
Principio Armonizzante,
la Gloria
Giacobbe
l'Est, il colore verde, il
Cielo, Re Salomone, la
Sposa, la Torah scritta,
l'Albero della Vita, la
Palma
7
Nezach
l'Eternità, la Durata, la
Vittoria
la gamba destra
Mosè
il Ringraziamento, il
Cherubino, la Fonte
della Profezia
8
Hod
la Gloria, la Maestà, la
Regalità
la gamba sinistra Aronne
9
Yessod
la parte maschile
il Fondamento, il Giusto e la parte
Giuseppe
femminile
2
10
Malkuth o
Shekhinah
il Regno, la Presenza, è
l'ultima Sephirah, l'unica la bocca
ricettiva
la Lode, il Cherubino, la
Fonte della Profezia
il Patto, la Pace, il
Bastone, il Sabato
l'Ovest, il colore blu,
Gerusalemme, la Luna,
Rachele e l'Oceano, il Tempio,
Re Davide l'Arcobaleno, la Torah
orale, l'Albero della
Conoscenza, il Cedro
Secondo alcuni autori esiste un'undicesima sefirah chiamata Daat, di natura invisibile,
forse a rappresentare la sintesi delle dieci Emanazioni divine.
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Sarebbe collocata nella parte superiore dell'Albero della Vita, parallelamente a
Tiferet, nell'intersezione tra i sentieri incrociati di Chokhmah e Binah che si
congiungono con Ghevurah e Chessed (Ghedullah).
L'albero Sefirotico completo
Ad ogni Sefirah viene abbinato non solo una serie di attributi ma anche tutta una serie
di corrispondenze che vanno dai colori alle parti del corpo umano ed anche alcuni dei
Nomi di Dio. Il medico e filosofo pugliese Shabbetai Donnolo nel X secolo è tra i
primi ad occuparsi in maniera critica del concetto di sefirot elaborato nel Sépher
Yetziràh, scrivendo il suo commentario Sefer Hackmonì.
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Dal lato del male e nell'ambito del non santo esistono dei corrispettivi opposti e
contrari alle Sefirot, se ne contano dieci. Invero, come afferma anche Chaim Luzzatto
nel testo "138 Aperture di Saggezza", queste ultime non corrispondono sullo stesso
livello ma ad un livello inferiore infatti le conseguenze delle Sefirot non sono, come
nel loro ritirarsi iniziale (cfr Tzimtzum), le deficienze che, aumentando, permisero al
male di essere creato da Dio, ma il loro essere distribuite o correlate nel bene, nella
giustizia ed in tutti gli attributi stessi, anche in corrispondenze gli uni con gli altri, pur
se non in modo illimitato: la causa da cui deriva il nascondimento della perfezione
risulta dallo tzimtzum ma il perfezionamento deve essere raggiunto oltre i limiti ed i
confini prestabiliti tramite lo stesso; infatti il male viene eliminato per l'era
messianica, momento in cui prevale il bene ed il raggiungimento e la realizzazione
della perfezione: dire che le Sefirot del guscio (cfr Altro lato) non equivalgono alle
Sefirot del Santo significa accettare che il male ed il bene sono due cose separate,
l'una da eliminare o convertire e l'altra, il bene, preferibile, da rivelare ed in aumento
con il conseguimento del perfezionamento, via detta Tiqqun.
Considerazioni
Leggendo i testi alchemici è facile cadere nell'errore di credere che il cammino
descritto verso il risveglio della coscienza sia una specie di “ricetta”, una serie di
istruzioni da mettere in pratica in maniera meccanica che portano passo passo al
raggiungimento della mèta finale. Per questo motivo ritengo che la sola alchimia non
basta per definire un quadro esatto e per raggiungere una comprensione più che
corretta di ciò che stiamo trattando.
La ricerca dell'illuminazione è un'avventura interiore molto personale, non ci sono
ricette da seguire ma indizi da cercare, comprendere e fare propri.
Il vero scopo dei testi alchemici, a mio personale avviso, era quello di proporre al
lettore una base filosofica da seguire, un po' come i sermoni di Buddha o il cantico
del Mahamudra. E' ovvio che gli autori dei testi alchemici dovevano fare i conti con
un potere politico-religioso che limitava, se non addirittura bloccava in ogni modo, il
diffondersi di dottrine filosofiche differenti e rivoluzionarie.
Già dai tempi dei Sumeri e poi degli antichi Egizi, la religione occupava anche il
ruolo del “partito politico” nella gestione del potere; in tutta la zona del mediterraneo,
esclusa in parte la civiltà greca in quanto molto più libera, non esisteva una civiltà
nella quale fosse promossa la filosofia del “conosci te stesso”, limitazione che si
estendeva per tutto il medio oriente, mentre nell'Asia estrema le filosofie Buddista,
Taoista, Tamil Siddah e molte altre si erano già da tempo formate basando i loro
insegnamenti proprio sul concetto avveniristico del conoscere se stessi per
raggiungere più alti gradi di coscienza e conoscenza.
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Immaginate un viaggiatore che, proveniente dalla Palestina o dall'Egitto, dove
dominavano caste e sette religiose che, per mantenere un potere assoluto sul popolo,
propugnavano uno o più divinità onnipotenti al cui cospetto l'essere umano doveva
sentirsi come una formica la cui unica possibilità di sopravvivenza era quella di
adorare tali divinità ed i loro potenti sacerdoti che, guarda caso, governavano anche
politicamente e finanziariamente tali civiltà; immaginate, dicevo, che questo
viaggiatore venisse in contatto con un monaco Buddhista o con un Taoista, il quale
gli insegna che non esiste una divinità da temere ed adorare ma esiste una
componente divina in ognuno di noi, che può essere elevata e risvegliata grazie ad un
processo di auto-conoscenza che non è prerogativa di un “sommo sacerdote” o di un
“mediatore tra dio e gli uomini” ma è un percorso che può seguire chiunque, a
prescindere dalla sua cultura e dalla sua ricchezza.
Immaginate poi che questo viaggiatore, studiati e compresi questi concetti
potentissimi e rivoluzionari, decida di divulgare questi insegnamenti nel suo mondo,
nella sua terra, al suo popolo...una bomba ad orologeria che avrebbe messo in
discussione Faraoni, Sacerdoti, Rabbini, Imperatori ed ogni sorta di esponente
politico-religioso che dominava in Europa ed in medio oriente in quei lontani secoli.
L'avvento poi dell'impero romano non fece altro che irrigidire questa politica del
“regnante divino” quando Giulio Cesare “decise” che egli oltre ad essere un dittatore
era anche un discendente di una casta divina, un dio egli stesso, mentre i suoi sudditi
erano semplicemente uomini e donne che dovevano adorarlo e temerlo come
facevano col dio Giove.
Questo quadro dei fatti giustifica pienamente la necessita di dover divulgare dottrine
filosofiche rivoluzionarie e molto pericolose in forma ermetica, segreta ed
incomprensibile a chi non fosse stato iniziato a questi misteri o a chi non fosse dotato
di una acutezza ed una intelligenza tali da riuscire a comprendere le verità celate tra
le righe dei testi ermetici ed alchemici.
La venuta del cristianesimo è una dimostrazione di tali affermazioni, nei primi 300
anni dopo la presunta nascita del Cristo, il cristianesimo è stato perseguitato ed
intralciato in ogni modo, fino a quando, nel 325 col Concilio di Nicea, sotto la
potente influenza dell'imperatore Costantino che con grande acume politico riuscì a
girare le cose a suo favore, il cristianesimo venne codificato ed adattato alle esigenze
politiche dello stesso Imperatore in modo da riportare sotto la sua mano quel potere
religioso e politico che era sfuggito dalle mani dell'impero romano che oramai si
stava sgretolando.
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Le eresie Cristiano-Gnostiche.
Come dimostrano i vangeli apocrifi, la religione cristiana che noi conosciamo è
totalmente differente dal cristianesimo che invase l'impero romano nei primi 300 anni
dopo cristo.
Lo dimostra anche il fatto che altre interpretazioni degli insegnamenti cristiani
vennero combattuti e perseguitati per tutto il medio evo; come ad esempio lo
Gnosticismo Cristiano che fu un'importante movimento del cristianesimo antico,
sviluppatosi soprattutto ad Alessandria d'Egitto nel II-III secolo. Fu una dottrina
originale, diversa dalle elaborazioni teologiche prevalenti nelle altre principali sedi
del cristianesimo antico: Roma, Antiochia e Costantinopoli.
Tale forma di pensiero filosofico-religioso si formò ad Alessandria d'Egitto, città
cosmopolita dell'Impero romano, dove esistevano scuole teologiche neoplatoniche,
cristiane ed ebraiche. Dall'assorbimento dello gnosticismo all'interno della teologica
cristiana nacque la nuova dottrina. Infatti, secondo la «gnosi cristiana», la salvezza
non è affidata ad una divinità esterna a noi, alla sua generosità ed al suo perdono nei
nostri confronti, eterni peccatori inginocchiati supplicando la benedizione; ma
dipende da una forma di conoscenza superiore e illuminata (gnosi), frutto del vissuto
personale e di un percorso di ricerca della Verità.
Il Vangelo Gnostico ( apocrifo ) di Tommaso spiega bene questo concetto
profondamente osteggiato dalla chiesa Romana:
“Disse Gesù: Se coloro che vi guidano vi dicono: 'Ecco! Il Regno è nel cielo',
allora gli uccelli del cielo vi saranno prima di voi.
Se essi vi dicono: 'Il Regno è nel mare',
allora i pesci vi saranno prima di voi.
Ma il Regno è dentro di voi ed è fuori di voi.
Quando conoscerete voi stessi, sarete conosciuti e saprete che
siete figli del Padre Vivente.
Ma se non conoscerete voi stessi, allora sarete nella privazione e sarete
voi stessi privazione. ”
In generale, gli gnostici tendevano ad identificare il Dio dell'Antico Testamento con
la potenza inferiore del malvagio Demiurgo (Satana), creatore di tutto il mondo
materiale, mentre il Dio neotestamentario con l'Eone perfetto ed eterno, il generatore
degli eoni Cristo e Sophia (lo Spirito Santo), incarnati sulla Terra rispettivamente
come Gesù e Maria Maddalena. Dalla concezione docetica insita in gran parte delle
religioni gnostiche, deriverebbe poi il rifiuto della resurrezione del corpo di Gesù,
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poiché dopo la sua morte, egli sarebbe tornato sulla Terra solo nella sua forma divina,
liberato dal corpo materiale.
Tutte queste convinzioni contrastavano fortemente con l'ortodossia del cristianesimo
che andava formandosi in quei primi secoli nei principali centri teologici (Antiochia,
Costantinopoli e Roma). Fu quindi inevitabile che le dottrine gnostiche, che in un
primo tempo si erano diffuse anche all'interno del cristianesimo, incontrassero
l'opposizione delle altre comunità e fossero considerate come eretiche.
In Europa, l'accentuarsi delle tensioni e la forte presa che le religioni gnostiche
avevano sul popolo, specie sulla gente povera, portarono col tempo alle crociate, con
il conseguente sterminio delle varie comunità gnostiche (Albigesi, Ofiti, ecc.). Alcuni
aspetti dello gnosticismo (come l'aspetto ascetico) divennero comunque parte
integrante del patrimonio della Chiesa, anche se principalmente nel Vicino Oriente.
L'unica comunità religiosa di origine gnostica tuttora esistente è quella dei Mandei (o
«Cristiani di san Giovanni»). Tracce della loro esistenza si trovano in documenti
risalenti al III secolo.
Secondo gli studiosi il fondatore dello gnosticismo cristiano fu Clemente
Alessandrino, che nell'anno 190 diede inizio a una serie di lezioni al Didaskaléion o
Scuola di Alessandria, fondata da Panteno appositamente per la formazione degli
aspiranti cristiani (catecumeni). Secondo Clemente, il termine gnosis va interpretato
non tanto nel significato di "conoscenza razionalmente intesa", ma piuttosto come
"illuminazione della mente data dalla fede". Egli delinea una sorta di progressivo
avanzamento dell'umanità, nel cammino verso la conoscenza, per cui, come in
passato i Greci si affidavano alla filosofia e gli Ebrei alla legge, così i Cristiani si
affidano alla fede o "accettazione incondizionata della verità rivelata" (Craveri,
L'eresia, p.23). La visione di Clemente, ridimensionando il contributo della filosofia
su basi razionali, creò i presupposti per il concetto medievale di essa come "ancella
della teologia". La dottrina gnostica di matrice alessandrina ebbe quindi un ulteriore
sviluppo con Origene, discepolo di Clemente e suo successore nella cattedra al
Didaskaléion, noto anche per le travagliate vicende biografiche, che lo videro
addirittura scomunicato, allontanato dal sacerdozio e dalla stessa diocesi di
Alessandria e tacciato di eresia. Aperta una nuova scuola a Cesarea, Origene sviluppò
soprattutto una concezione estremamente originale della Trinità, alternativa a quella
successivamente dogmatizzata dalla Chiesa romana. La spiegazione di Origene delle
tre persone trinitarie le colloca infatti non sullo stesso piano, in orizzontale, bensì in
verticale, come tre aspetti di Dio l'uno discendente dall'altro ed emanati dall'unità
primaria: "un Dio unico [il Padre], che emanava e rendeva visibile il proprio lògos,
cioè il proprio pensiero [Gesù Cristo, il Figlio], e tramite questo esercitava il proprio
influsso, il proprio spirito santificante", sintetizza Craveri. Non va dimenticato il
tentativo da parte di Origene di tutelare il monoteismo cristiano da suggestioni legate
all'idea pagana di "triadi divine", quali, ad esempio, la terna Zeus-Poseidone-Ade o
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ancora la triplice forma di Ecate o le tre Parche o la Triade capitolina.
Gran parte delle religioni cristiano-gnostiche teorizzavano che da Dio Primo Eone
fossero state generate più coppie di eoni composte sempre da un eone maschile e uno
femminile. Da qui dunque la natura sia maschile che femminile di Dio (Dio inteso
come Madre e come Padre assieme).
Dio e gli eoni nel loro complesso formavano il Pleroma.
Gli Eoni dunque rappresentano le varie emanazioni del Dio primo, noto anche come
l'Uno, la Monade, Aion Teleos (l'Eone Perfetto), Bythos (greco per Profondità),
Proarkhe (greco per Prima dell'Inizio), Arkhe (greco per Inizio). Questo primo essere
è anch'esso un eone e contiene in sé un altro essere noto come Ennoia (greco per
Pensiero), o Charis (greco per Grazia), o Sige (greco per Silenzio). L'essere perfetto,
in seguito, concepisce il secondo ed il terzo eone: il maschio Caen (greco per Potere)
e la femmina Akhana (Verità, Amore).
Nella tradizione gnostica, il nome Sophia è, assieme a quello di Cristo, attribuito
all'ultima emanazione di Dio. Nella maggior parte, se non in tutte le versioni della
religione gnostica, Sophia ( la parte femminile, la Coppa, il Vaso ) provoca
un'instabilità nel Pleroma, contribuendo alla creazione della materia. Il dramma della
redenzione di Sophia attraverso Cristo o il Logos è il dramma centrale dell'universo.
Nei codici di Nag Hammadi, Sophia è la syzygy di Gesù Cristo (essendo stata
coemanata con lui, forma un'unità con Cristo), ed è identificata nello Spirito Santo
della Trinità. Nel testo "Sull'Origine del Mondo", Sophia è dipinta come Colei che
generò senza la sua controparte maschile. In questo modo venne originato il
Demiurgo (Satana), ovvero il Dio ebraico Yahweh (anche noto come Yaldabaoth,
Samael, o Rex Mundi per i Catari). Questa creatura, responsabile della creazione
dell'universo materiale, non apparteneva al pleroma e non sarebbe mai dovuta
esistere, poiché appunto Sophia la generò senza il suo syzygy Gesù Cristo, tentando
di aprire una breccia nella barriera tra lei e l'inconoscibile Bythos. Nella creazione del
mondo materiale ad opera Demiurgo però, Sophia riuscì ad infondere la sua Scintilla
Divina (pneuma) nella materia, impermeando dunque il creato della sua Divinità
(Divinità dunque presente nel cosmo e quindi in tutte le forme di vita sotto forma di
anima), e rovinando i piani del Demiurgo. Riaccendendo la scintilla divina che è in
lui infatti, l'uomo si risveglia dagli inganni del Demiurgo e del mondo materiale, e
accede alla Verità oltre la realtà. Cristo giunse sulla terra proprio al fine di risvegliare
negli uomini la loro divinità (la Sophia che è in loro), indicando all'umanità la via per
raggiungere la gnosi ovvero il ritorno al pleroma.
Inoltre Sophia è dipinta anche come Colei che distruggerà Satana / Yaldabaoth /
Yahweh e questo universo di materia con tutti i suoi Cieli.
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Più tardi in "Sull'Origine del Mondo", viene detto:
"Ella [Sophia] li getterà giù nell'abisso. Loro (gli arconti) saranno perduti a
causa della loro cattiveria. Diverranno come vulcani e si consumeranno l'un
l'altro finché non periranno per mano del primo genitore.
Quando questi li avrà distrutti, si rivolgerà contro se stesso e si distruggerà
finché non cesserà di esistere.
Ed i loro cieli precipiteranno uno sull'altro e le loro schiere saranno consumate
dal fuoco. Anche i loro reami eterni saranno rovesciati.
Ed il suo cielo precipiterà e si spezzerà in due. [...] essi precipiteranno
nell'abisso, e l'abisso sarà rovesciato.
La luce vincerà sull'oscurità e sarà come qualcosa che mai fu prima."
Anche il Vangelo di Giuda, recentemente scoperto, tradotto e poi acquistato dalla
National Geographic Society menziona gli eoni e parla degli insegnamenti di Gesù al
loro riguardo. In un passo di tale Vangelo, Gesù deride i discepoli che pregano l'entità
che loro credono essere il vero Dio, ma che è in realtà il malvagio Demiurgo.
Gli gnostici ofiti, o naaseni veneravano il serpente, perché, come narrato nella Genesi
(3,1), era stato mandato da Sophia (o era lei stessa nelle sue sembianze) per indurre
gli uomini a nutrirsi del frutto della conoscenza, al fine di infondere in loro la gnosis
di cui avevano bisogno per svegliarsi dagli inganni del malvagio Demiurgo ed
evolversi a Dio.
Come potete notare ci sono molte somiglianze con gli insegnamenti della Kabbalah
ed i concetti fondamentali dell'Alchimia concernenti la creazione come una
interazione di Polarità opposte, concetti che andrò ad analizzare approfonditamente
nei prossimi capitoli.
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Capitolo IV
Il Vedanta
Vedanta è uno dei sei sistemi ortodossi (darshana) della filosofia indiana, nonché
quello che costituisce la base della maggior parte delle scuole moderne dell'Induismo;
significa in Sanscrito "la conclusione " (anta) dei Veda, la letteratura sacra più antica
dell'India; si utilizza in riferimento alle Upanisad, che erano elaborazioni dei Veda ed
alle scuole nate dallo studio (mimamsa) delle Upanisad.
Per Vedanta si intende anche il Vedanta-Mimamsa (riflessione sul Vedanta), UttaraMimamsa (riflessione sulla parte finale dei Veda) e Brahma-Mimamsa (riflessione sul
Brahman).
I tre testi fondamentali del Vedanta sono:
1. Le Upanisad (le più note, ampie e antiche delle quali sono la Brhadaranyaka, la
Chandogya, la Taittiriya ed la Katha);
2. Il Brahma-sutras (anche denominato Vedanta-sutra), che sono anche delle
brevi, persino singole interpretazioni di una sola parola della dottrina del
Upanisad;
3. Il famoso dialogo poetico, la Bhagavadgita (Canzone del Divino) che, per
l'immensa popolarità, è considerato realizzato a supporto delle dottrine delle
Upanisad.
Esistono diverse correnti di pensiero basate sulle diverse interpretazioni dei testi;
nessuna è prevalsa in maniera predominante sulle altre e parecchie scuole Vedanta si
sono sviluppate e differenziate dalla loro concezione della natura, della relazione e
del grado di identità fra il Sé individuale (jiva) e l'Assoluto (brahman).
Le maggiori correnti di pensiero spaziano dal non-dualismo (Advaita) del filosofo
Samkara (VIII secolo), al teismo (Vishistadvaita) di Ramanuja (XI-XII secolo), al
dualismo (Dvaita) di Madhva (XIII secolo).
Tutte le scuole, tuttavia, mantengono in comune un certo numero di principi basilari:
1. La trasmigrazione del Sé (samsara) e l' opportunità della liberazione dal ciclo
delle rinascite,
2. L'autorità dei Veda sulle modalità di liberazione, che il Brahman è sia la causa
materiale (upadana ) che quella strumentale (nimitta ) del mondo,
3. Il Sé (atman) è l' agente dei propri atti (karma) e quindi il destinatario dei frutti
o delle conseguenze delle azioni (phala).
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L' influenza del Vedanta sul pensiero indiano è stata profonda, di modo che si può
dire che, in una o in un’altra delle sue forme, la filosofia indù è diventata il Vedanta.
A causa della preponderanza di testi Advaita, in Occidente si ha spesso l'errata
convinzione che Vedanta significhi Advaita, mentre questa corrente non-dualistica è
solo una delle molte scuole Veda, benché forse non è del tutto errata questa
convinzione in quanto essere la più importante.
Il primo maestro che espose la verità upanisadica della non dualità in un'opera
pervenuta fino a noi fu Gaudapada.
Tuttavia il nome più illustre nella storia della tradizione dell'Advaita è quello di
Samkara. Il maestro che portò questo nome, il cui significato è "Dispensatore di
Felicità ", fu discepolo di un discepolo di Gaudapada.
La sua data di nascita è naturalmente un mezzo mistero. È consuetudine fissarla nel
788 d.C. e fissare l’820 d.C. come anno di morte. Ma queste date sono state
recentemente messe in discussione da alcuni che posizionano la sua vita molto più
addietro (di circa 1500 anni).
Samkara scrisse ampi commenti sui testi fondamentali del Vedanta, cioè le Upanisad,
la Bhagavadgita e il Brahmasutra. Oltre a commentare la Mandukya-Upanisad spiegò
l'opera di Gaudapada.
Numerosi suoi manuali furono tradotti dal sanscrito in tamil da Sri Ramana, come
Vivekacudamani, Drg-drsya-viveka e Atma-bodha.
La Filosofia Advaita
Nel contesto vedantino la concezione del Sé è parte di una complessa cosmogonia
sacra e rappresenta per antonomasia il Soggetto ultimo della realtà, il Conoscitore del
tutto; esso è colui che esiste oltre il conosciuto, la conoscenza rappresenta lo
strumento che si usa per conoscere ed è perciò oltre il percipiente ed il percepito.
La ricerca del Sé, definito l’Uno senza secondo, implica la conoscenza e
l’accettazione, presa di coscienza, della natura della Realtà, in quanto il Sé
rappresenta la Realtà ultima dell’uomo e di tutte le cose.
Nelle Upanisad si legge che la Realtà ultima è composta da un principio Coscienza
che è il Brahman, l’Assoluto immanifesto, informale e inqualificato, e da un
principio-energia che si manifesta nelle forme qualificate sovrapposte all’Assoluto.
L’Assoluto-Brahman è descritto come non duale, essenza di conoscenza,
incontaminato, supremamente pacificato, senza inizio né fine, senza attività,
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inconoscibile, senza forma, immanifesto, senza nome, immutabile, autorisplendente;
è immortale in quanto mai nato, quindi eterno; onnipresente in quanto non ha un
inizio e non una fine, non localizzabile nello spazio se non nel concetto che è
presente ovunque.
In quanto substrato indifferenziato ed informale del mondo delle forme, Brahman non
ha qualità ed è privo di attributi. Quale realtà suprema, il Brahman trascende ogni
aspetto fenomenico, eppure è alla base di ogni realtà creata: esso tutto include eppure
è al di là del tutto.
La natura consustanziale del Brahman è Sat-Cit-Ananda: lo Spirito Assoluto che
contiene tutto ciò che esiste, ha la natura della Coscienza e della Beatitudine.
Nell’Esistenza (Sat), l’Assoluto testimonia la totalità delle forme e della loro
sostanza, di cui la natura è una intrinseca parte.
Nella Coscienza (Cit), testimonia l’intelligenza che è alla base dell’organizzazione
cosmica e rende ragione della sua armonia.
Nella Beatitudine (Ananda), testimonia la felicità senza oggetto e senza fine
consustanziale alla radice dell’Esistenza e della Coscienza.
Se l’Assoluto è tutto, ovunque e non ammette nulla al di fuori di sé, come è possibile
che esista il relativo, l'individuo separato dal resto del creato ?
Se la Realtà è permanente e quindi non duale, perché esiste la molteplicità del
fluttuante divenire?
La risposta a tali interrogativi richiede il superamento dei confini dell’intelligenza
logico-dualistica dell'Ego e l’intuizione dell’unità della vita che non è più catalogata
in base alla forma, ma diviene un principio fondamentale senza forma dove gli
opposti e le dualità trovano una sintesi e la paradossalità trova una giustificazione.
E’ nella natura dell’Assoluto, che rappresenta la Possibilità universale, non escludere
nulla ed implicare, pertanto, la possibilità dell’esistenza relativa. E’ nella natura del
Tutto contenere la parte, nonché la capacità di assumere la poliedricità e di
rispecchiarsi nelle parti che lo costituiscono.
Ciò che è percepito come diverso non è altro che la somma dei diversi volti presenti
nella stessa Sostanza. Questa è uniforme ed indifferenziata al di là della molteplicità
apparente e può essere percepita solo dalla visione contemplativa, ovvero dall’occhio
del mistico che trascende il mondo della molteplicità e raggiunge le altezze
metafisiche dell'Illuminazione.
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Realtà e Maya
Diversamente dalla scienza occidentale che, seguendo il paradigma meccanicistico,
considera reale solo l’universo materiale, la filosofia Vedanta considera la natura e
tutto il fenomeno dell’universo come una sovrapposizione che vela il suo
immutevole, trascendente e intelligente substrato cosciente. L’universo è in continuo
divenire, è incostante ed impermanente, mentre l’Assoluto che è il principio cosciente
che lo sottende, non diviene, è costante e permanente.
Secondo la sapienza upanishadica, l’errore di considerare reale ciò che è solo una
sovrapposizione al Reale è come scambiare la corda per il serpente, è l’illusione
(maya) determinata dall’ignoranza metafisica (avidya) da cui deriva il dolore
dell’essere umano che si identifica in questa illusione, perdendo la coscienza della
realtà e divenendo Ego.
Nella Tradizione Vedanta, questa illusoria percezione del divenire è attribuita
all’identificazione con le forme manifeste che rende inconsapevoli e separati dal
Reale e dalla sua serena immutabile stabilità.
Tale identificazione, producendo l’illusione del mondo relativo, rende l’essere umano
come il prigioniero della caverna del mito platonico, lontano dalla luce e immerso
nelle ombre mutevoli ed ottenebranti di una pseudo realtà, separato dal suo Principio.
Obiettivo del Vedanta, come anche dell'Alchimia e della Kabbalah, è la
disidentificazione dal relativo e la realizzazione dell’Assoluto.
Dalla Coscienza Assoluta deriva sia il principio divino che la creazione.
Brahman nirguna (senza attributi) è la radice metafisica del Brahman Saguna (con
attributi), come lo Zero lo è dell’Uno.
Quel Supremo Principio è inclusivo di tutti gli attributi degli esseri e persino di quelli
di Dio.
Dal nucleo della vita indifferenziata, lo Zero, origina l’Uno ed il molteplice, il
creatore e l’esistenza differenziata. In altre parole, il principio divino, i mondi celesti
ed umani che comprendono l’universo, esistono sulla base di tale Assoluto
onnipervadente che li contiene.
Nella gerarchia dell’Esistenza, l’Assoluto precede l’universalità del Divino. Nello
Spirito Supremo, Uno ed indivisibile, sono impliciti come propri riflessi il Padre e la
Madre dell’Universo, l’energia vitale che alimenta le forme e le forme stesse. Questa
è la spiegazione filosofica e metafisica del mistero dell’esistenza e da misura della
non-dualità della vita e dell’inscindibilità di tutte le sue dimensioni.
In questa cosmogonia sacra, lo Spirito Assoluto, Dio, l’universo, il Sé dell’essere
umano appaiono come un continuum, come parti di un sistema unitario dove ogni
aspetto non può essere scisso o compreso senza l’altro.
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L’atman
Questa Realtà sottesa ad ogni aspetto del mondo delle forme è, al livello
microcosmico, l’Atman o Sé individuale. L’identità tra Atman e Brahman è enunciata
nella celebre frase della Chandogya Upanisad: “Tat tvam Asi” (Tu sei Quello).
Il Sé individuale è identico al Sé universale escludendo così ogni dualismo, ogni
distacco; concetti questi che cozzano duramente con i dogmatismi religiosi Cristiani
ed Islamici; per trovare Dio non hai bisogno della Chiesa o dei sacerdoti, Dio è in te
in quanto tu sei Dio, ed il giorno in cui te ne renderai conto sarai libero dal giogo
dell'illusione.
“Come l’aria racchiusa nella brocca non è una trasformazione, né una parte
dell’aria esterna ad essa, così il Sé individuale non è né una trasformazione né
una parte del Sé universale.”
(Mandukya Upanisad, III, 7)
Ma il velo di maya porta ad una fallace rappresentazione dell’atman nella Buddhi
(intelletto superiore, vedi oltre Vijnanamayakosa) immaginandolo quale jiva
sperimentatore.
Nell’esempio precedente della brocca potremmo dire che l’aria esterna è il Brahman
mentre quella interna è l’Atman.
Quando l’aria interna (Atman), per effetto di maya, rivolge l’attenzione al jiva-brocca
sembrerà apparire essa stessa jiva-involucro, ma ciò non risponde a realtà perché
l’autentica sua natura è sempre aria; vedi anche il capitolo “L'equazione della Vita”.
Nell’Advaita Vedanta la distinzione tra Atman e jiva è di fondamentale importanza.
Il Jiva è il principio mediante il quale il sonno velante cade sulla natura del puro
Atman, può essere definito l'Ego, cioè quella mancanza di coscienza interiore che
porta ad identificarsi con la forma perdendo la coscienza dell'essenza.
Lo stesso Isvara-Signore è il grande principio della vita, è il Jiva universale che
manifesta con la sua potenza proiettiva (maya) i Jiva individuali.
L’atman è al di là dei Jiva, del grande Jiva e della stessa maya.
L’atman, come l’Assoluto, è non duale, immanifesto, privo di forma, di distinzione,
di movimento e desiderio, non è limitato dal tempo ne dallo spazio.
Anch'esso è della natura della pura Coscienza e Beatitudine e conferisce alle
individualità una natura intelligente che anima il mondo della materia piuttosto che
esserne un prodotto.
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Pag. 71
“L’atman non è soggetto alla nascita, alla decrepitezza,
alla malattia ed alla morte.
Esso è Realtà della più intima natura umana e d’ogni altro essere e non nasce né
viene distrutto quando il corpo viene ucciso.”
(Sarva-Vedanta-Siddhanta-Sarasangraha: s. 459)
Pur essendo fuori dal moto, l’Atman è il governatore della persona umana.
Le guaine, i corpi e gli stati.
“Esiste una Realtà, un’entità assoluta, la quale è l’eterno substrato della coscienza
differenziata, testimone dei tre stati e distinta dai cinque involucri.”
“Se realizzi l’Uno senza secondo – che è sat-cit-ananda, di là da tutte le forme
e da ogni agire – tu porrai fine all’illusione di essere i tre corpi.”
(Vivekacudamani, s. 125, 292)
Nella composizione dell’essere umano si è detto che la Coscienza è il substrato
informale dell’individualità. Quest’ultima è detto essere formata da cinque guaine o
involucri sovrapposti all'Atman. Queste cinque guaine sono:
1. Pranamayakosa
2. Manomayakosa
3. Vijnanamayakosa
4. Annamayakosa
5. Anandamayakosa
Tali guaine compongono tre livelli o corpi, ciascuno pertinente ad uno stato
coscenziale ossia:
1. corpo grossolano pertinente allo stato di veglia (Visva)
2. corpo sottile pertinente allo stato di sogno (Taijasa)
3. corpo causale pertinente allo stato di sonno senza sogni (Prajina)
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Di là dai tre stati ve n’è un Quarto chiamato Turiya, lo stato cioè del non manifesto.
I tre corpi-stati sono spiegati nella Mandukya Upanisad di cui riportiamo il testo
tradotto:
“ Mandukya Upanisad
OM. Questo mondo eterno è tutto:
ciò che era, ciò che è e ciò che sarà, e ciò che è al di là nell'eternità.
Tutto è OM.
Il Brahman è tutto e l'Atman è Brahman. L'Atman, il Sé, ha quattro stati o condizioni.
Il primo è la vita nello stato di veglia della coscienza che si muove verso l'esterno,
che gode dei sette elementi grossolani esteriori.
Il secondo è la vita nello stato di sogno della coscienza che si muove all'interno,
godendo dei sette elementi sottili interiori nella sua stessa luce e solitudine.
Il terzo è la vita nello stato di sonno della coscienza silenziosa dove la persona non
ha desideri né sogni.
Questa condizione di sonno profondo è quella di unità, un ammasso di coscienza
silenziosa fatta di pace e che gode della pace.
Questa coscienza silenziosa è onnipotente, onnisciente, il sovrano interiore, la
sorgente di tutto, l'inizio e la fine di tutti gli esseri.
Il quarto stato è quello dell'Atman nel suo stato più puro: la vita risvegliata della
coscienza suprema.
Non è né coscienza esteriore né coscienza interiore, né semi-coscienza, né coscienza
di sonno, né coscienza e neppure incoscienza. E' l'Atman, lo stesso Spirito, che non
può esser visto o toccato, che è al di sopra di ogni distinzione,
al di là del pensiero e ineffabile.
L'unione con lui è la prova suprema della sua realtà.
E' la fine dell'evoluzione e della non-dualità. E' pace e amore.
Questo Atman è la Parola eterna OM.
E' composto da tre suoni: A, U, e M, che sono i primi tre stati di coscienza, e questi
tre stati sono i tre suoni.
Il primo suono, A, è il primo stato, della coscienza di veglia,
comune a tutti gli uomini.
Lo si trova nelle parole Apti (conseguire), e Adimatvam (esser primo).
Colui che conosce questo ottiene in verità la realizzazione di tutti i suoi desideri, e
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primeggia in tutte le cose.
Il secondo suono, U, è il secondo stato, della coscienza del sogno.
Lo si ritrova nelle parole Utkarsha (che si eleva), e Ubhayatvam (entrambi).
Colui che conosce questo accresce la tradizione della conoscenza e ottiene
equilibrio.
Nella sua famiglia non nascerà mai qualcuno che non
conosca il Brahman.
Il terzo suono, M, è il terzo stato, della coscienza del sonno.
Lo si ritrova nelle parole Miti (misura), e nella radice Mi (finire), che dà luogo ad
Apiti (il fine ultimo).
Colui che conosce questo misura tutto con la mente e ottiene il Fine ultimo.
La parola OM come suono unico è il quarto stato della coscienza suprema.
E' al di là dei sensi ed è la fine dell'evoluzione.
E' non dualità e amore. Va con il suo sé verso il supremo Sé colui che
conosce questo, colui che conosce questo. ”
La prima guaina (Annamayakosa) è quella del corpo grossolano ed è così descritta:
“Questo corpo è il prodotto del cibo e costituisce la guaina del cibo. Vive a
causa del cibo e muore se ne è privo. E’ un miscuglio di pelle, carne, sangue, ossa
e altre relatività; così esso non potrà mai essere l’eternamente puro Atman che
non deve la sua esistenza a nessuno fuorché a se stesso.”
(Vivekacudamani, s. 154)
La sua esistenza dipende dal Prana (energia) assunto sotto forma di cibo, acqua e da
Prana più sottile assunto attraverso l'aria che respira. Il Prana assunto attraverso la
respirazione e' la forma di energia più importante al corpo materiale, infatti senza
cibo la sua sopravvivenza e' possibile fino e oltre 6 settimane, senza acqua 3 giorni,
senza aria , invece, la vita del corpo materiale cessa dopo soltanto 6 minuti.
Il corpo fisico può essere armonizzato anche attraverso la pratica di posizioni mirate
dette asanas.
La seconda guaina (Pranamayakosa) è quella dell’energia vitale. Nella filosofia
Vedantina con il termine Prana si intende il soffio-energia vitale.
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Il cibo grossolano, come detto, è una sorta di Prana cristallizzato.
Questo corpo è simile per dimensione e forma a quello fisico e, come quello fisico ha
una sua struttura fisiologica gestita da “centri energetici”, detti Chakra, dai quali
scorre l’energia attraverso una sorta di rete sottile di “canali di collegamento”, le Nadi
(vedere prossimi capitoli), la cui funzione è quella di distribuire il Prana attraverso le
varie strutture umane. Non esiste una sola particella dell’essere umano che non
funzioni come organo di ricezione, trasformazione e trasmissione dell’energia sottile.
Il corpo eterico pur essendo puramente energetico può essere influenzato dalle
tecniche yoga di respirazione (Pranayama ).
Il terzo involucro (Manomayakosa) è quello che concerne il mentale ed in proposito è
scritto:
“Gli organi di percezione, associati alla mente, formano la guaina fatta di
mente. Essa è causa di distinzione (falsa rappresentazione del reale) e si esprime
con le nozioni del “mio” e dell’ “io” ( Ego ).
Essa, interpenetrando la guaina precedente,
ha il potere di creare le differenziazioni.”
(Vivekacudamani, s. 167)
Tutto l’universo di nomi e forme non è altro che il frutto di Manomayakosa. In altre
parole, quello che noi chiamiamo “mondo reale” è frutto della proiezioni della mente
esattamente come lo è il mondo onirico durante il sonno; l'universo in cui viviamo è
un'illusione, una specie di ologramma.
Naturalmente entrambi i tipi di proiezione risultano reali fintantoché la Conoscenza
non sarà sufficientemente risvegliata.
Un elemento di particolare interesse lega quanto detto al ciclo di morte-rinascita
(samsara). Infatti per la metafisica Vedanta la trasmigrazione avviene per
l’identificazione della coscienza con il mondo dei nomi e delle forme.
L’identificazione con la realtà grossolana crea un moto che permette all’individualità
di generare una forza che rende schiavi delle cose pur vivendo nell’illusione di
possederle. Questa forza tenta disperatamente di sopravvivere, trasmigrando nei vari
mondi, subendo il relativo karma di merito- demerito, attenuandosi e spegnendosi
solo quando cessa quel moto di identificazione.
Fintanto che questo viene alimentato il ciclo morte-rinascita (e con esso la schiavitù
metafisica) non sarà mai spezzato.
La quarta guaina (Vijnanamayakosa) è detta guaina dell’intelletto.
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Quello che rappresenta questo involucro è la cosiddetta Buddhi. Potremmo intendere
questo termine come la più alta facoltà discriminativa che l’individuo possegga,
l’intelligenza sintetica capace di contemplare gli archetipi universali.
Benché molto vicina all’Atman riflettendone il cit (vedi prima), nonostante sia
percezione intuitiva e discernimento immediato essa resta pur sempre un veicolo del
Sé ed è pertanto soggetta a trasmigrazione.
Pertanto se questa resta vincolata al complesso mentale e sensoriale favorisce
l’espansione dell’ego; se viceversa risulta svincolata dal desiderio egoistico essa
favorisce l’Amore e la Comprensione universale.
L’ultima guaina e quella più interna (Anandamayakosa) è quella della Beatitudine.
Di essa si dice essere attiva nel sonno profondo mentre negli altri stati (veglia e
sogno) lo è solo parzialmente. E' sede della facoltà intuitiva ove si fa esperienza della
divinità che vive nel profondo di ogni essere umano. Tale unità di coscienza rifrange
senza riflettere la pura beatitudine dell'Atman, in assenza di qualsiasi dualità. Questa
guaina è composta di beatitudine non generata da alcun eccitamento né da stimoli
sensoriali quindi non dipende da alcun condizionamento formale.
Anche questo corpo causale va superato; esso non può essere il supremo Sé in quanto
ne è pur sempre rivestimento come lo sono le altre guaine-corpi.
Compresi e risolti i cinque involucri ovvero i tre corpi quello che resta è solo il
Testimone, il supremo Atman.
E’ bene tenere a mente che quando si parla del Brahman si allude al Brahman
Nirguna altrimenti noto come Parabrahman, Sat-Cit-Ananda, Uno senza secondo: lo
Zero senza attributi.
Quando invece si parla di Brahma si intende il Brahman Saguna ovvero Isvara: l’Uno
qualificato.
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Capitolo V
Gli Alchimisti “Siddha” Tamil
Nella lingua Tamil ( regione nel sud dell'India ) Siddham significa “colui che è
arrivato” o “colui che ha compiuto il cammino” o più semplicemente “Coscienza”,
riferito al cammino spirituale; secondo il credo Hindu il Siddham o Siddha è un
maestro che ha trasceso l'Ahamkara: (अहंकार) parola sanscrita che significa Ego ed
Egoismo, tutto ciò che è relativo all'identificazione o all'attaccamento al proprio ego.
Tale parola, antichissima in quanto proveniente dalla filosofia Veda di 3000 anni fa, è
composto da Aham che significa “Io” e Kara che si riferisce al concetto di “tutto ciò
che è creato” o “fare”. L'Ahamkara è una delle quattro parti dell'Antahkarana
( struttura interna del Se ); le altre tre parti sono: Buddhi ( la controparte femminile
del termine Buddha ), Citta ( la parte emotiva del Se ) e Manas ( l'Intelletto ).
Negli Uttara Mimamsa, o Vedanta, il dio Krishna insegna ad Arjun che Ahamkara
deve essere rimosso perché il Se non può essere presente, attivo, quando si è nello
stato di Ahamkara.
Il dio Krishna insegna ad Arjun i segreti della spiritualità
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Secondo la filosofia Giainista il Siddham ha eliminato l'Ego trasformando se stesso in
un Sattva, essere risvegliato, attraverso la meditazione; è una anima liberata dalla
prigionia del Karma e dai limiti del corpo; un'Anima al suo stato più puro che risiede
al di fuori dell'universo, nel Siddha-shila.
Un Siddha è anche colui che ha ottenuto i Siddhis, abilità paranormali che emergono
quando si percorre il cammino dei Siddhas e connessi con il raggiungimento
dell'unione con la realtà ( Brahma ), lo spirito perfetto.
I Tamil Siddhas sono un ordine mistico fondato nel sud dell'india le cui origini
risalgono all'ottavo secolo e che si è espanso in tutto il sud dell'Asia, dallo Sri Lanka
al Tibet; la loro filosofia è una sintesi delle più antiche conoscenze presenti in quella
zona dell'Asia: dal Tantrismo al Buddhismo, dall'Induismo al Giainismo.
L'ortodossia religiosa considera i Siddhas come gruppi radicali pericolosi per
l'establishment religioso e politico, in quanto essi condannano, ad esempio, la
separazione del popolo in caste.
La filosofia dei Siddhas insegna che il Dio Shiva, la parte maschile ed attiva della
divinità, rappresenta il fine ultimo e la verità dietro la forma; la Dea Shakty che
invece rappresenta la parte femminile della divinità risiede nel corpo umano e può
quindi essere più facilmente identificata, controllata ed utilizzata ai fini
dell'illuminazione.
L'unione “alchemica” tra Shiva e Shakti
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E' colei che conferisce il potere alla Dea serpente Kundalini, energia femminile che
fluisce nel corpo umano, sia Uomo che Donna, che se utilizzata in maniera
appropriata può potenziare la coscienza del Siddhar e portarlo oltre le limitazioni
dell'ego verso l'unione con l'assoluto, riunificandosi quindi diventando egli stesso,
Shiva.
Questo tipo di nozioni sono fondamentali nella conoscenza tramandata dai Siddha
Tamil che nei miti Hindu sono definiti come una delle 18 categorie di esseri celestiali
in quanto aventi raggiunto uno stato semi divino, grazie alla purificazione delle loro
anime; essi vivono nel cielo tra la terra ed il sole.
In epoche più recenti invece sono stati classificati come esseri umani che hanno
compiuto il cammino dello Yogi verso l'illuminazione.
Lo stesso appellativo, Siddha, non è solo applicato ad una delle 18 categorie di esseri
divini ma anche allo stesso dio Shiva che è Siddha in quanto la vera natura di Dio è
Coscienza; quindi chiunque sia immerso nella presenza divina è Siddha, Coscienza.
Shiva è anche definito come “l'Alchimista Siddha che opera strani miracoli nella città
di Maduray” negli scritti di Perumparrapuliyur Namby risalenti al XII e XIII secolo.
Tutti gli scritti dei Siddha Tamil sono in forma poetica, spesso utilizzando immagini e
concetti tantrici, riferimenti all'energia Kundalini con consigli su come controllare la
potente e pericolosa divina energia femminile attraverso tecniche respiratorie o
recitando i nomi segreti della Dea.
A causa della difficoltà di comprensione delle metafore e simbologie Siddha,
similmente a quanto accaduto con l'Alchimia occidentale, molti studiosi hanno
bollato la filosofia Siddha come semplice mitologia; bisogna dire infatti che la
maggior parte di tali testi non sono mai stati tradotti, a parte alcuni dei quali
accennerò tra qualche paragrafo.
E' nell'ottavo secolo che Tirumular, uno dei 64 santi riconosciuti dalla setta dei Saiva
Siddhanta, scrive il Tirumantiram che definisce pienamente la natura della filosofia
Tamil Siddha.
Il testo diventa il decimo libro del canone dei Saiva Siddhanta, chiamato Tirumurai.
Anche se è l'unico lavoro che descrive in pieno la filosofia dei Saiva Siddhanta, gli
ortodossi di questa “setta” hanno difficoltà ad accettare alcuni dei passaggi in cui si
parla del “culto” della Dea Femminile e del relativo Kundalini Yoga, con le sue
pratiche caratteristiche del Tantrismo. D'altro canto i Siddhas vedono questi passaggi
del testo come i più critici ed importanti nel formulare la dottrina esoterica del
risveglio dell'energia della serpente Kundalini.
Come possiamo leggere nel verso 730, dove descrive il corpo umano come il Tempio
della Dea Shakti, molte sono le affinità con la dottrina Tantrica.
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“Nel tempio di Shakti,
se tu controlli,
la sinistra e la destra,
potrai ascoltare un Liuto,
al centro del tuo viso.
E Shiva verrà fuori ( si manifesterà ),
danzando dolcemente.
Lo giuro sui SADA NANDI,
ho detto il vero.”
La bellissima dea Kundalini
Nel verso appena proposto, secondo le interpretazioni canoniche, Tirumular
( l'autore ) discute le basi del Kundalini Yoga: il respiro controllato trasporta l'energia
vitale Prana, che fluisce attraverso i canali Solare e Lunare collegati alla narice destra
e sinistra e che discendono fino alla base della spina dorsale dove si riuniscono nella
zona del coccige.
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Diagramma della disposizione dei Chakra e dei canali energetici “Nadi”
Il punto di unione è precisamente situato nel Chakra Muladhara, il primo dei sette
Chakra attraverso i quali fluirà l'energia della Kundalini, mossa dal flusso respiratorio
che attiva lo scorrere del Prana attraverso i canali Solare e Lunare che dopo aver
attivato la Kundalini la fanno ascendere attraverso i Chakra, attivandoli ed
energizzandoli. Ogni Chakra attivato dalla Kundalini corrisponde ad un più alto
livello di consapevolezza.
Quando tale potente energia arriverà alla testa, dove risiede l'ultimo Chakra, chiamato
Sahasrara, la coscienza individuale si fonderà con quella divina; è una specie di
viaggio dalla condizione umana a quella divina che comincia solamente quando i due
canali di energia detti Nadi vengono attivati e le due correnti energetiche, Solare e
Lunare, si riuniranno nel centro alla base della spina dorsale; il verso 801 ce ne parla:
“Mano Sinistra,
Mano Destra,
entrambe le mani...
Cambiamento !
Colui che mangia con la mano della venerazione,
non ha bisogno di essere svuotato.
Colui che è cosciente,
capace di abbandonare il sonno,
non ha bisogno di morire,
può vivere per sempre”
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Il termine usato nella traduzione “mano della venerazione” è Tutikai; composto da
Tuti “venerare” e Kai “mano”, una traduzione alternativa è “la proboscide
dell'elefante”, interpretazione ugualmente valida in quanto Ganesha, il Dio Elefante
con le mani risiederebbe anch'esso alla base della spina dorsale nel Chakra
Muladhara dove le correnti Solare e Lunare fluiscono nel canale centrale chiamato
Sushumna: simbolicamente rappresentato a volte con la proboscide di Ganesha
innalzata mentre tiene il Loto dell'Illuminazione, Sahasrara, posto sulla sommità della
testa.
I Nadi, la Kundalini ed il Chakra Sahasrara
Cosa si mangia con la mano della venerazione ? Amrita, il nettare dell'estasi spirituale
ed elisir di lunga vita.
Nella mitologia induista, Amrita è l'acqua della vita eterna. Equivalente dell'Haoma
dell'antico Iran, l'Amrita (letteralmente in sanscrito "immortale" o "non morto") era il
premio più ambito da demoni e dei; il mito narra inoltre che:
“Il dio celeste Indra venne maledetto da un saggio collerico di nome Durvasa, a
causa di un'offerta che la divinità aveva trattato con disprezzo. La maledizione
indebolì così tutti gli dèi, che divennero vulnerabili ad un attacco degli Asura, i
demoni. Il grande Viṣṇu sotto le fattezze di Kurma la tartaruga accorse in aiuto
degli dèi, promettendo di ripristinare il loro potere all'unica condizione che
seguissero il suo piano.
Anzitutto era necessario abbandonare l'antica rivalità coi demoni e chiedere loro
aiuto per creare una bevanda preziosa. Vennero così raccolte erbe e piante che
vennero gettate in un mare di latte. Poi venne afferrato il grande serpente Vasuki,
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arrotolato intorno a una montagna posta sopra il guscio di Viṣṇu - Kurma e tirato
con violenza di modo che la montagna, come una zangola, ruotasse su sé stessa e
potesse rimestare l'oceano di latte e le erbe. Per la sofferenza il serpente sputò un
enorme fiotto di veleno: Viṣṇu, in una versione del mito chiede a Śiva di bere il
veleno sino all'ultima goccia prima che tocchi il suolo, in modo da salvare il mondo.
Dopo tutto questo, il mare portò alla luce i suoi preziosi doni. Emersero Surabhi, la
vacca sacra in grado di realizzare i desideri, Varuni la dea del vino, l'albero del
paradiso Parijata che profumò il mondo, il dio lunare Soma nel sembiante della
luna, che successivamente venne ritenuta la dispensa divina per l'Amrita. Inoltre
apparvero Lakshmi, assisa sul loto, dea della bellezza, dell'amore e della buona
sorte, futura moglie di Viṣṇu e il divino dottore Dhanvantari che reggeva in mano
l'Amrita.
Il demone Rahu strappò di mano ad Dhanvantari l'Amrita con lo scopo di berla tutta,
al fine di essere unico per forza e potenza. Viṣṇu intervenne mentre Rahu
sorseggiava il primo sorso: decapitandolo prima che il nettare scendesse nel suo
corpo riuscì ad impedire che il demone diventasse invulnerabile.”
Il Prana, “energia” universale dotata di intelligenza
L'idea che all'origine della vita universale ci sia un'unica energia dotata d'intelligenza,
emanazione diretta e aspetto dinamico del Principio Primo che noi chiamiamo Dio,
ha sempre trovato numerosi conoscitori e sostenitori in ogni epoca e latitudine.
Nella cultura occidentale tale energia originaria viene identificata come “soffio
vitale” o in alcuni casi chiamato “Etere”, quel quid impercettibile ma onnipresente
capace di ordinare, disporre opportunamente, mantenere l'equilibrio, dosare il
cambiamento e infine insufflare la vita stessa.
I Taoisti e gli esperti di Arti Marziali Cinesi chiamano questa stessa energia Chi,
mentre i monaci Zen Giapponesi Ki, gli Indiani la chiamano Prana.
Il termine Prana, dal sanscrito prāṇa (devanāgarī: पाण), significa letteralmente vita e
in seconda istanza viene inteso come respiro e spirito. Nonostante ciò, la tradizione
induista spesso identifica i vari significati della parola come una cosa sola.
Secondo la fisiologia induista, tutti gli esseri viventi, in quanto tali, sono dotati di
prāṇa, la cui conservazione deriva dal corretto svolgimento di tutte le funzioni
psicologiche, emotive e fisiologiche necessarie al mantenimento armonico
dell'equilibrio.
Secondo tale filosofia, uno dei modi più evidenti attraverso cui gli esseri viventi
ottengono prāṇa è dato dalla respirazione che veicola, oltre all'ossigeno (elemento
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grossolano) anche la vitalità (elemento sottile) che traiamo dall'aria.
Nello Yoga e nelle tecniche di guarigione indiane il saper padroneggiare il respiro
assume un ruolo fondamentale, poiché questa funzione viene posta sotto un controllo
consapevole.
Il Prana quindi è la sostanza primordiale, originaria, e le sue caratteristiche sono
Coscienza, Intelligenza e inesauribile capacità di trasformazione.
Secondo la fisica Hindu la natura è composta da due sostanze primordiali:
Il Prana e l'Akasha (o Akash, Ākāśa, आकाश) è il termine sanscrito per indicare l'etere.
Nell'Induismo il termine è utilizzato per indicare l'essenza base di tutte le cose del
mondo materiale.
Akasha è uno dei Panchamahabhuta o "cinque grandi elementi", la cui principale
caratteristica è Shabda, il suono. In hindi il significato di Akasha è cielo.
Per le scuole filosofiche Hindu Nyaya e Vaisheshika l'Akasha è la quintessenza,
substrato della qualità del suono, una sostanza fisica eterna, impercettibile e che tutto
pervade.
Quindi anche noi siamo fatti di Prana che, nella sfera umana, si manifesta con sette
caratteristiche e tonalità corrispondenti ai 7 Chakra evolutivi, proprio come la luce
purissima del sole si scinde nei sette colori passando attraverso un prisma.
La sostanza dell'Universo, la materia prima di cui è costituito, è una sola; il Prana; il
fuoco arde per il Prana, il vento soffia per il Prana, i fiumi scorrono per il Prana, le
onde elettromagnetiche si diffondono per il Prana: Prana è elettrone, forza,
magnetismo, elettricità.
Secondo la tradizione esoterica Tantra il lavoro del Prana si manifesta nel movimento
sistole-diastole e nell'alternarsi delle polarità, nell'inspirazione-espirazione, nella
digestione-escrezione, nell'elaborazione dell'energia sessuale, nella formazione dei
liquidi e così via.
Sempre secondo lo Yoga Tantrico quando l'energia sessuale viene trasmutata
( utilizzata e controllata dalla Coscienza e non dagli Istinti ) elevando così la sua scala
di vibrazione, fornisce al sistema nervoso abbondante Prana che rimane nel cervello,
alimentandolo di energia Vitale.
Pranayama è un termine sanscrito composto da due parole:
Prana = forza vitale, energia vitale, cioè l'essenza della vita stessa. È lo stesso
concetto che i cinesi designano col termine "Chi" e i giapponesi "Ki"
Yama = controllo (altre interpretazioni preferiscono considerare il termine "Ayama",
che ha piuttosto il significato di "estensione").
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Il significato è dunque controllo, estensione dell'energia vitale.
Prana può essere ulteriormente compreso esaminando le due radici di cui è composto:
• Pra significa esistere indipendentemente, esistere precedentemente;
• Ana è la forma abbreviata di "anna", che significa cellula: un atomo, o
molecola, è detto "anu". Ogni forma di vita è composta di atomi, molecole e
cellule, cioè un insieme definito "ana".
Sembra dunque che Prana indichi ciò che esisteva prima di ogni vita atomica o
cellulare.
Così, l'uomo con una visione "mistica" può considerare il Prana come una
manifestazione del divino, mentre chi vuole attenersi a una stretta "razionalità" può
divertirsi a vedere l'analogia del concetto di Prana con quello dei "campi di energia"
che, secondo la fisica subatomica, costituiscono il substrato intangibile della
creazione della materia.
La principale fonte di Prana è in assoluto l'aria che respiriamo, ma esso viene
assorbito anche dai cibi e dalle bevande.
Il Prana nell'aria viene assorbito tramite le mucose del naso e dai recettori nervosi
dell'apparato respiratorio; dai cibi e dalle bevande viene captato dalle terminazioni
nervose della lingua e della gola. Infatti, nello Yoga, grande importanza viene
attribuita sia all'igiene del naso e della lingua, sia a una lenta masticazione e a una
efficace respirazione.
Quindi possiamo senza dubbio rilevare che il Pranayama è una vera e propria
"scienza del respiro".
Evidenziamo tre concetti importantissimi, frutto dell'esperienza degli Yogi in migliaia
di anni:
• l'energia vitale nel nostro essere è veicolata dal respiro;
• è diretta dal mentale: "dove si dirige la mente, là si dirige l'energia";
• la respirazione è l'unica attività corporea che, pur essendo involontaria e quindi
non cosciente per la maggior parte del tempo, può tuttavia essere facilmente
posta sotto il controllo diretto della volontà in qualunque momento.
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Questo ne fa una sorta di cancello di comunicazione privilegiato fra il conscio e
l'inconscio : difatti tutti abbiamo notato che quando la mente è agitata, il respiro è
agitato, viceversa quando il respiro è calmo, la mente è calma.
La conoscenza e l'applicazione della "scienza del respiro" ci conducono dunque
verso:
• l'accrescimento della nostra energia vitale;
• il controllo dei nostri stati emotivi;
• lo stato di concentrazione del mentale.
Il prânâyâma è una parte importante - e tuttavia poco conosciuta - dello yoga. Le sue
tecniche sono state praticate per secoli da appassionati cultori dello yoga in âshrama
remoti e ci sono state tramandate attraverso molte generazioni sia nella pratica sia in
opere manoscritte. Fino a poco tempo fa questa arte e scienza del respiro yogico era
completamente sconosciuta all'uomo comune, così come molte altre antiche arti
indiane. Coloro i quali possedevano questa conoscenza e questa esperienza erano
alquanto restii a rivelarle, a meno che un discepolo dimostrasse, attraverso una serie
di prove, di essere pronto a ricevere tale insegnamento. Durante gli ultimi trent'anni,
tuttavia, la situazione è cambiata, e argomenti come il prânâyâma, la meditazione, e
perfino Kundalini, vengono fatti oggetto di discussione in tutto il mondo, non solo da
parte di maestri di yoga, ma anche da parte di gente comune e di scienziati. Più di
recente varie tecniche dello yoga hanno cominciato ad attirare l'attenzione dei medici,
dei terapeuti, e degli esperti di medicina. Si trovano facilmente medici e pazienti in
grado di raccontare le proprie esperienze circa la cura di varie malattie per mezzo
delle tecniche yoga. È stato provato al di là di ogni dubbio che il prânâyâma è un
metodo molto importante per prevenire e curare vari disturbi. È stato questo fattore,
più di ogni altro, che ha suggerito la stesura di questo libro: il suo scopo è comunicare
all'uomo comune la conoscenza tradizionale di questa grande arte, in modo che essa
possa essere adoperata senza bisogno di molto aiuto esterno, tanto per il
mantenimento quanto per il ripristino della salute. Ci auguriamo che, grazie a questo
libro, il lettore possa avere gli strumenti adeguati per tenere lontane le malattie,
facendo uso delle antiche tecniche del prânâyâma.
Il prânâyâma è il quarto stadio dell'ottuplice yoga negli Yogasûtra di Patañjali: è
questo il più autorevole testo di yoga. La maggior parte degli esperti ritengono che
esso sia stato scritto nel secondo secolo prima di Cristo. Le otto parti dello yoga
trattato nel sistema di Patañjali sono: 1) yama, 2) niyama, 3) âsana, 4) prânâyâma, 5)
pratyâhara, 6) dhâranâ, 7) dhyâna, 8) samâdhi.
II prânâyâma è menzionato anche nella Gîtâ, la quale e di gran lunga il più popolare
libro sullo yoga. Né la Gîtâ ne gli Yogasûtra contengono però una dettagliata
descrizione di come deve essere praticato il prânâyâma: per questo dobbiamo
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rivolgerci ai testi dello hatha-yoga e ad alcune tarde Upanishad denominate YogaUpanishad. Questi testi risalgono approssimativamente al quindicesimo secolo dopo
Cristo o ad epoche posteriori: ma non si deve trarre da ciò la conclusione che le
tecniche del prânâyâma siano note da soli cinquecento anni. Molti riferimenti diretti e
indiretti al prânâyâma (quali effetti produce, perché praticarlo, qual è la sua
importanza) ricorrono nella letteratura vedica, nelle antiche Upanishad, nella Smriti,
nei Purâna e in trattati come lo Yogavâsistha. Ciò dimostra che il prânâyâma e le sue
tecniche erano conosciuti fin dal tempo dei rishi vedici. Sembra però del tutto certo
che la pratica del prânâyâma venisse insegnata a pochissime persone e non abbia mai
avuto una larga diffusione. Anche coloro che l'avevano appresa la seguivano più
come parte di prescrizioni religiose che non come disciplina per il corpo e per la
mente.
II merito di aver reso popolare il prânâyâma come disciplina a sé stante e come
metodo per conservare in buona salute il corpo e la mente spetta ai seguaci dello
hatha-yoga. Essi gli attribuirono un posto molto importante fra le pratiche dello
hatha-yoga e ne descrissero varie tecniche, mettendo in rilievo l’utilità di ciascuna di
esse. Si dice che lo hatha-yoga consiste di quattro categorie principali di esercizi,
vale a dire âsana, prânâyâma, mudrâ e nadânusamdhâna (quest’ultimo significa
divenire consapevoli dei suoni interiori). Queste quattro categorie di esercizi
dovrebbero infine condurre allo stato di samâdhi, il quale conferirebbe al singolo
adepto dello yoga la conoscenza assoluta, o conoscenza del Sé: questa conduce a sua
volta all'emancipazione, cioè alla liberazione dal ciclo delle rinascite.
La filosofia Tantra
Appare nella sua forma definitiva attorno al quarto secolo ma le sue origini paiono
andare indietro di molto tempo; elementi del pensiero Tantrico esistevano già prima
di Tirumular; essa è concepita come una pratica in quanto enfatizza l'aspetto
sperimentale di una esperienza religiosa personale e non come una semplice
enunciazione di dottrine e dogmi come l'ortodossia Shaivita; parallelismo molto
calzante con la Gnosi Cristiana nei confronti dell'ortodossia Cattolica.
Nel tentativo di dimostrare che il Macrocosmo è riflesso nel Microcosmo, il Tantra
enfatizza il concetto che l'Universo nella sua totalità, inclusa la componente Divina
fondamentale, è contenuto nel corpo di ogni individuo.
Un po' come l'Alchimia, anche il Tantra ha sovrapposto simboli universali al corpo
umano appunto per aiutare la comprensione di questi concetti fondamentali.
La spina dorsale, lungo la quale scorre il canale centrale Sushumna, diviene l'asse
cosmico; tutte le divinità che supervedono i meccanismi universali sono nascosti nei
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centri energetici chiamati Chakra.
Il corpulento Dio Ganesha, guardiano del mondo interno, è il custode e patrono del
Kundalini Yoga ed invocato dalla famosa Siddha Avaiyar, la mendicante che nel XIV
secolo scrisse il Vinayagar Agaval; dove scrive come il Dio Elefante con le mani
Ganesha abbia riconciliato la natura dualistica dell'universo, ecco una parte del suo
scritto:
“Egli ha concentrato la mia mente,
chiarificato il mio intelletto,
e poi ha detto:
'Luce ed Oscurità
condividono lo stesso luogo'
Egli mi ha premuto giù,
nella grazia dell'Estasi.
Nel mio orecchio
egli pronuncia illimitata felicità.
Egli ha rivelato Sadashiva ( l'eterno Shiva )
all'interno del suono.
Ha rivelato lo Shiva Lingam ( il Pene di Shiva )
all'interno della Mente.
Ed ha rivelato questo:
Il più piccolo dei piccoli,
il più grande dei grandi,
stanno all'interno,
come la canna da zucchero matura.”
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Il potente dio Ganesha
Nel 1661 circa, Aurangzeb, sovrano dell'impero Mogul, perseguiva il tentativo di
espandere il suo regno attraverso il subcontinente asiatico e liberare le terre dagli
“eretici”; nel contempo stava estendendo la sua protezione ad un oscuro monastero
Hindu, nel Punjab. In quel tempo l'abate di tale monastero era un certo Aanand Nath,
anch'egli un alchimista Natha Siddha, forniva al più grande persecutore dell'Induismo
una regolare scorta di “Mercurio” trattato alchemicamente, promettendo di conferirgli
una prolungata longevità.
Nello stesso periodo, nel profondo sud, l'alchimista Tamil Siddha chiamato Bogar che
presumibilmente è migrato dalla Cina con il suo Guru Kalangi Nathar, aveva creato
un reliquiario dedicato al dio Murugan, in cima alla collina Palani.
Fu lì che egli compose i suoi 7000 versi dedicati al Kundalini Yoga, all'Alchimia ed
alla medicina Siddha.
Nel medio evo, l'Alchimia Indiana divenne molto in voga, come lo è diventato il
Tantra circa mille anni prima. Anche se gli alchimisti Indiani, parallelamente a quelli
Europei medievali, ricercavano la formula per trasformare i metalli vili in oro essi
hanno sempre enfatizzato il concetto che la ricerca alchemica ha lo scopo di
perfezionare il corpo umano e di realizzare l'elisir dell'immortalità; molto similmente
agli Alchimisti Cinesi quelli Indiani vedono la loro esperienza col Kundalini Yoga
come un rispecchiamento del procedimento alchemico.
Nonostante siano passati 900 anni da Tirumular, Bogar è ancora in “battaglia” con
l'energia serpentina, anche nel mezzo dei suoi procedimenti alchemici.
Bogar impersonifica la Kundalini come la consorte di Ganesh, la dea Vallabai:
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“Vallabai, la 'Tinta di Verde',
diverrà servile e si inchinerà.
Lei di indicherà il tempo adatto,
per il relativo Chakra.
Le la base, Muladhara,
è perfetta...
Tu potrai andare ovunque,
vagare liberamente,
attraverso i Tre Mondi.
Il corpo sbiadito,
diverrà calmo e brillante.
Tutte le impurità saranno rimosse,
ed i sei Chakra diverranno visibili all'occhio.
L'alchimia tinta di oro
presterà attenzione ad ogni tua parola.
Nel sonno senza sonno,
tutto il sottile può essere percepito.
Guarda e Osserva.”
Similmente alla Kundalini simbolizzata nella Dea Vallabai “Tinta di Verde”;
nell'Alchimia Occidentale esiste un mistero interessante in quanto molti testi parlano
di una sostanza od agente: il “Leone Verde” in Latino “Leo Viridis” indispensabile
alla pratica Alchemica, che sia la stessa energia Kundalini ?
Michael Maier, nel suo “Atalanta Fugiens”, emblema 37° ce lo descrive così:
“… E’ il fuoco contro natura che devi mirare a scoprire.
E’ così detto perché è contrario alla Natura sfacendo e
struggendo ciò che ella aveva composto con cura preziosa.
Questo fuoco non s’alimenta con olio o spirito di vino,
ma per mezzo d’una materia incombustibile,
di durata e calore costanti,
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è un fuoco senza luce la cui combustione possiede grande virtù ed efficacia;
trovarlo nelle tenebre, giacché non luce, non è piccola impresa,
ed applicarlo convenientemente all’Opera è ancor più difficoltoso”.
Il Leone Verde secondo l'iconografia Alchemica, notare il parallelismo tra le sette stelle che attraversano il suo
corpo ed i Sette Chakra del Kundalini Yoga, che vengono attivati appunto dall'energia Kundalini della Dea
Vallabai “Tinta di Verde”.
In un paragrafo particolarmente oscuro del Bogar, troviamo una sua descrizione di
una esperienza visionaria in cui parla dell'ingestione di una sostanza non ben
identificata e dell'utilizzo di una amalgama di mercurio:
“Il viaggio di Bogar nell'Universo:
come lo stesso principio dell'intelligenza,
Io viaggio nel cosmo.
Shiva lo spiega chiaramente
la natura dell'universo.
Per il bene di tutti gli esseri,
esiste un cammino,
che diventa un veicolo per i cinque sensi.
L'universo che mi è apparso davanti
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ordinato in cinque strati.
Il Nonno ( Tirumular ) ha detto:
'Entra nel Decimo'
Ho preso ciò che mi è stato dato
e l'ho posto nella mia bocca.
...ed un mucchio di
amalgama di mercurio,
le ho legate al mio polso.
Sono uscito !
Entrando nell'universo del Fuoco e della Luce”
Nel 1293 nel suo viaggio di ritorno verso la Cina, Marco Polo si fermò lungo la costa
del Malabar; egli racconta di un incontro con un gruppo di Yogi alchimisti che,
preparando una tintura di mercurio e zolfo gli offrirono di prolungare la vita di 150200 anni. Il Mercurio è visto come fosse il liquido seminale di Shiva, formante una
parte della triade Mercurio, Zolfo e Aria, corrispondente alla triade Luna, Sole e
Vento. Il respiro, controllato tramite le pratiche Pranayama, trasforma l'aria circolante
nel corpo umano in un mediatore spirituale che può unificare le energie Lunari
( Shakty )e Solari ( Shiva ) presenti nel corpo.
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Nelle due immagini precedenti: la prima, una raffigurazione alchemica dell'unione tra Sole e Luna, notare i
“serpenti arrotolati” ed il “fumo” risalire sui lati destro e sinistro.
Seconda immagine: schema completo dei Nadi, dei Chakra e della Kundalini
Esattamente lo stesso procedimento alchemico che simbolicamente descrive l'utilizzo
dell'Aria ( in occidente il Sale, il mediatore, il Vescovo che sposa il Re e la Regina )
per amalgamare lo Zolfo ed il Mercurio allo scopo di creare il Rebis, l'Androgino,
l'esser perfetto.
La pratica alchemica Yogica consiste quindi nell'utilizzare il respiro, guidato dalla
coscienza, per riunificare l'energia femminile Shakty con l'Assoluto ( Shiva ) nel
Chakra della Corona ( altro riferimento al Re ), posto sulla sommità della testa e
chiamato Sahasrara.
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Il Siddha può, grazie all'intercessione della Divinità ( energia ) Femminile, placare e
manipolare il respiro espandendo la Coscienza fino al punto in cui egli diventa ciò
che si chiama Maha Citta, la Grande Consapevolezza che è il Dio Shiva.
Qui propongo uno dei discorsi conclusivi di Bogar, trattante il Kundalini Yoga:
“Invita il Respiro,
lo spazio esterno,
a diventare la tua casa.
Se tu sei risoluto,
mettendolo li,
come se mettessi l'Olio nella Lampada...
loro si Uniranno.
Respiro e Dio
diverranno Uno.
Come il vento diviene respiro,
non esiste Intelligenza Individuale.
La Grande Consapevolezza diventa Shiva.
Lui ed il Respiro diventano Uno.
E' questa Luce che diviene il Respiro
che redime l'Anima.
Sicuramente questa è la Verità
del Shiva. Yoga !”
I sette Chakra
Nel "laboratorio umano" esistono sette elementi (in relazione ai sette Chakra
fondamentali) sottoposti ad un triplice controllo nervoso. I nervi, come agenti della
legge del tre, controllano le sette ghiandole endocrine. I tre differenti controlli nervosi
sono costituiti da:
Il Sistema nervoso cerebro-spinale, agente della funzione cosciente, il Sistema
nervoso del gran-simpatico, agente delle funzioni subcoscienti, inconsce e istintive ed
il Sistema parasimpatico o vago che, sotto la direzione della mente, opera una certa
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funzione di controllo sulle funzioni istintive.
Il Sistema cerebro-spinale è il “trono” dello Spirito Divino, dove scorre l'energia
Kundalini attivata dal Prana e dove sono collegati i sette Chakra.
Il Prana o Energia Cosmica è ricevuto e distribuito dai Chakra che funzionano come
degli accumulatori realizzando il loro lavoro come delle dinamo o delle batterie.
Il Prana ricevuto dai Chakra circola attraverso dei condotti di varia forma e
dimensione chiamati NADI che si diffondono allo stesso modo del sistema nervoso,
venoso o arterioso. E' ad esempio su questi NADI che nell'antichissima civiltà cinese
i medici svilupparono la tecnica dell'agopuntura.
Il termine Nadi proviene dal sanscrito e significa tubo, canale o vena. Tali canali
sarebbero le vie attraverso le quali passa il Prana, inteso come energia vitale o soffio,
per alimentare tutte le parti del corpo.
Si calcola che il numero di questi NADI sia superiore ai 70.000.
I principali sono:
Le tre Nadi principali sono:
• Sushumna è forse il più importante dei canali di energia. Si situa nel
Merudanda (Danda: bastone; Meru: la montagna asse del mondo della
mitologia Indu), ovvero nell'asse cerebrospinale che parte dall'estremità
inferiore del tronco fino ad arrivare all'estremità della testa, la cosiddetta
corona. Sushumna viene descritta come di colore rosso fuoco (Agni)
• Ida, si avvolge intorno al Sushumna trasportando le due polarità energetiche,
che termina nella narice sinistra (parte del corpo a polarità negativo-femminile)
ed è associata all'energia lunare
• Pingala, si avvolge intorno al Sushumna trasportando le due polarità
energetiche, che termina nella narice destra (parte del corpo a polarità positivomaschile) ed è associata all'energia solare
Quella positiva/maschile, è ascendente; l'altra, negativa/femminile, è rivolta verso il
basso. Entrambe terminano nelle narici.
All'interno di Sushumna scorre Vajra, luminosa come Surya (il Sole) mentre ancora
più internamente splende Citrini pallida come Chandra (la Luna).
Al centro il sottilissimo Brahmanadi: di qui Kundalini risvegliata passa dal
Muladhara al Sahasrara.
Questi ultimi individuano due dei molteplici "loti" o Chakra lungo la spina dorsale,
che Sushumna attraversa.
Nadi Pingala e Nadi Ida che partendo dalla regione coccigea salgono lungo la
colonna vertebrale, la regione cervicale e il cranio per terminare nelle fosse nasali. E
precisamente, nell'uomo il Pingala termina nella destra ed Ida nella sinistra: nella
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donna è all'opposto (e cioè Ida a destra e Pingala a sinistra); questi due sono i Nadi
dove scorre il Prana durante le pratiche respiratorie “Pranayama” descritte anche nei
testi Tamil Siddha di cui ho proposto alcuni brani nel capitolo precedente.
Questi tre NADI formano il CADUCEO DI MERCURIO, simbolo di iniziazione e di
guarigione.
“Il serpente di bronzo:
Il popolo venne da Mosè e disse: «Abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro
il Signore e contro di te; supplica il Signore che allontani da noi questi serpenti».
Mosè pregò per il popolo. 8Il Signore disse a Mosè: «Fatti un serpente e mettilo
sopra un'asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita». 9Mosè
allora fece un serpente di bronzo e lo mise sopra l'asta; quando un serpente aveva
morso qualcuno, se questi guardava il serpente di bronzo, restava in vita.”
Bibbia - Numeri 21:4-8
Tutti i Nadi hanno il loro punto di origine in un importante centro denominato Kanda;
viene descritto come un bulbo di forma ovale ricoperto da una membrana. È ubicato
nel corpo astrale, in un punto che si trova ad una distanza intermedia fra i genitali e
l'ano, ma spostato in alto verso l'ultima propaggine del coccige.
Nel corpo fisico, in corrispondenza di questo centro, abbiamo la CAUDA EQUINA:
il midollo spinale si estende dal cervello fino al termine della colonna vertebrale dove
si ramifica in finissimi filamenti nervosi simili alla seta.
I Chakra si manifestano come ‘spirali di energia’ e sono strutture energetiche
estremamente sottili, non percepibili con i cinque sensi ma alla portata delle persone
dotate di particolari sensibilità e poteri psichici. Da alcuni anni la visione della
struttura vibrante dei Chakra è alla portata di tutti grazie all'impiego di sofisticate
apparecchiature elettroniche. Relativamente facile è anche avere esperienza dei propri
Chakra attraverso l'introspezione meditativa opportunamente diretta. è inoltre
possibile conoscere e imparare a riconoscere la natura dei vari Chakra analizzando le
manifestazioni e gli effetti a essi collegabili. Questo è precisamente lo scopo di
questo piccolo manuale, dare a tutti la possibilità di comprendere la natura e lo stato
di salute dei propri Chakra analizzando i fenomeni a essi collegabili. Inoltre vengono
fornite alcune importanti indicazioni per armonizzarli.
Chakra significa ruota, cerchio, nome quanto mai opportuno e che sottolinea la natura
rotante e vorticante dell'energia che si manifesta in questi veri e propri centri della
vita.
Il movimento dell'energia a spirale, cosicché la forma dei Chakra ricorda un imbuto o
un cono o una tromba d'aria; ma da una posizione frontale essi sono visti proprio
come ruote, o fiori, dotati di una ritmica pulsazione centrale.
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Disposizione dei Chakra
L'aggettivo sottile è attribuito alla qualità delle energie che compongono la struttura
di ogni Chakra e che vibrano con intensità crescente passando dal primo (dal basso)
al settimo; sono punti di comunicazione tra il corpo e la mente ed è possibile
indicarne, con un minimo di approssimazione, la localizzazione rispetto alla nostra
struttura anatomica.
I 7 Chakra principali, di cui ci stiamo occupando, sono disposti lungo la colonna
vertebrale sino alla fossetta del cranio, in stretta relazione con il sistema endocrino e
nervoso. Attraverso di essi e per loro tramite il corpo e la mente sono in costante
comunicazione e formano una unità complessa e armonica. Quando invece il sistema
dei Chakra è parzialmente danneggiato o interrotto, le relazioni tra corpo e mente si
fanno difficili e imprecise, non c'è più corrispondenza tra pensiero, azione ed
emozione, tra volere, fare e desiderare. Corpo e mente sono allora sperimentate come
due entità distinte, si prova un senso di estraneità verso se stessi, le proprie
sensazioni, i propri gesti e pensieri.
Come una pianta privata della luce il corpo si indebolisce e si ammala mentre il
pensiero, persi i suoi riferimenti fisici, si consuma vorticando inutilmente negli
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infiniti spazi della mente.
L'insieme dei 7 Chakra è un complesso sistema di relazione e integrazione tra
differenti manifestazioni energetiche e livelli di coscienza. In tale sistema energia e
coscienza sono da intendersi come aspetti complementari, come le due facce di una
medaglia. Il compito dei 7 Chakra è quello di caratterizzare l'energia cosmica e
dotarla di particolari funzioni perché ogni Chakra, come vedremo, contiene in sé la
struttura eterica di numerose manifestazioni, atteggiamenti, modi di concepire la
realtà e di affrontare gli impegni che la vita pone sul nostro cammino.
Ogni Chakra può essere squilibrato, equilibrato o risvegliato.
Se un Chakra è squilibrato ci troviamo in una situazione di potenziale pericolo,
possiamo facilmente ammalarci in funzione dell'energia specifica di quel centro
vitale. Un Chakra equilibrato è invece un fattore di benessere, si avrà un flusso di
energia forte e regolare con ottima salute degli organi corrispondenti. Un Chakra si
dice invece risvegliato quando c'è completa coscienza delle sue energie. Anche il
sistema dei sette Loti nel suo complesso può essere squilibrato, equilibrato o
risvegliato. Inoltre ogni singolo Loto ha una naturale caratterizzazione rispetto alle tre
qualità fondamentali dell'energia (Guna). Nella tradizione Indiana queste qualità sono
conosciute come Sattva (leggerezza), Rajas (dinamicità), Tamas (pesantezza). Queste
tre qualità fondamentali caratterizzano l'energia dei Chakra, come specificato più
avanti.
Ognuno dei 7 loti è come una lampadina colorata con uno dei 7 colori, quando
l'energia arriva in quantità sufficiente si accendono e rivelano una particolare visione
della realtà. Quando si entra in una stanza buia non si riesce a comprendere la natura
degli oggetti che ci circondano, ma appena si accende la luce tutto diviene evidente e
non c'è bisogno di riflettere, basta guardarsi attorno. Così quando un Chakra si
risveglia, anche parzialmente, molte cose prima incomprensibili appaiono evidenti,
tanto che ci pare impossibile non averle notate prima.
I sette Chakra sono i seguenti, nell'ordine dal basso verso l'alto:
Muladhara Chakra (o centro basale, plesso radicale, Chakra della radice)
Questo centro sottile dai 4 petali viene collocato tra l'ano ed i testicoli o la vagina, nel
perineo. Sarebbe collegato a reni e ghiandole surrenali. Le sue funzioni fisiologiche
riguarderebbero la produzione del sangue e delle ossa e le attività riproduttive.
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Perdite materiali (p.e. una perdita in borsa) chiuderebbero questo Chakra. Da questo
Chakra arriverebbe una "energia terrestre" e la sua chiusura produrrebbe la
sensazione che "manchi la terra sotto i piedi".
Ha come simbolo geometrico il triangolo con un vertice in basso racchiuso in un
quadrato, emblemi il primo dell'organo sessuale femminile e il secondo dell'elemento
Terra; in esso dorme Kundalini. Il loto presenta quattro petali. Il suo Mantra-seme è
Lam, La divinità preposta a questa ruota è Brahma, la sua energia vitale prende il
nome di Savitri o sposa del creatore.
Il significato del nome di questo Chakra è «radice», ovvero principio-energia capace
di assicurare sviluppo e nutrimento a ogni cosa. È orientato verticalmente con
l'apertura dell'imbuto verso la Terra. La sua funzione principale sarebbe legata al
corpo materiale, all'istinto di sopravvivenza e produrrebbe un senso di armonia fisica
e mentale in rapporto alla natura, soddisfacendo i bisogni primordiali quali il cibo,
l'acqua, l'aria, il riposo. Poiché ha solo un polo, tenderebbe ad essere un po' più
grande degli altri Chakra.
Swadhisthana Chakra (o centro pelvico)
Questo centro sottile gravita attorno al Nabhi, come un satellite, delimitando così la
regione del Void. È il solo Chakra mobile. È situato sotto il ventre, circa due dita
sotto l'ombelico, alla base del canale destro, Pingala Nadi. Controllerebbe l'apparato
riproduttore, le gonadi, le ovaie, l'utero, la vescica, la prostata. Grazie ad esso l'uomo
e la donna godrebbero ed offrirebbero piacere sessuale. E' descritto come un centro
molto energetico, soprattutto nell'uomo che durante l'orgasmo emetterebbe con lo
sperma una grande quantità di energia (in Cina l'eiaculazione viene anche chiamata
"piccola morte").
Ha come simbolo geometrico la falce di luna racchiusa in un cerchio, emblema
dell'elemento Acqua; i petali del loto sono sei. La divinità preposta è Varuna, la sua
energia vitale o Shakti è Sarasvati. Le ghiandole endocrine che sarebbero associate a
questo Chakra sono le gonadi ed ovaie. È di colore arancio, è bipolare ed orientato
orizzontalmente. Svadhisthana è legato al mondo materiale, al piacere fisico, alla
gioia di vivere, al desiderio. Un suo cattivo funzionamento deriverebbe da conflitti
nella sfera sessuale, come tradimenti, abusi, litigi.
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Manipura Chakra (o del plesso solare)
Questo centro è chiamato anche Nabhi e si trova nella regione del plesso solare
appena sotto il diaframma. Viene associato al benessere individuale e collettivo,
all'accettazione del prossimo, alla forza di volontà individuale. Sarebbe legato allo
stomaco, all'intestino, al fegato, alla colecisti, alla milza, al pancreas. Si bloccherebbe
a causa di grandi spaventi (con contrazione dello stomaco) o per reazione a situazioni
o persone che non vengono accettate e tale blocco provocherebbe incapacità di
rimanere calmi, scoppi d'ira, iperattività, disturbi di origine nervosa. L'elemento di
questo Chakra è il fuoco. Ha come simbolo geometrico il triangolo equilatero. I petali
del loto sono dieci. Il mantra-seme è Rang, la sua energia vitale è Bhadrakali. È di
colore giallo, è bipolare ed orientato orizzontalmente.
Anahata Chakra (o centro del petto o del cuore)
Questo Chakra sarebbe situato al livello del plesso cardiaco, dietro lo sterno, nell’asse
del midollo spinale. In esso, fino all'età di 12 anni, sarebbero prodotti gli anticorpi,
inviati nel "sistema sottile" (un concetto della filosofia indiana la cui esistenza non ha
però riscontro scientifico) contro gli attacchi esterni a corpo e psiche. Lo sviluppo
non corretto o il blocco del Chakra del cuore causerebbero sentimenti d’insicurezza.
Da questo Chakra centrale dipenderebbero tutti gli altri. Sarebbe la sede dello Spirito,
la fonte della forza onnipotente, manifestata in Shiva. Tale Chakra viene associato ad
una personalità sana e dinamica, piena di amore e compassione e all'amore per la
famiglia. Si chiuderebbe in caso di conflitti in famiglia, abbandono, perdita di un
caro. Tale chiusura si ripercuoterebbe col tempo su cuore e polmoni e causerebbe
polmoniti, asma, malattie cardiache. Questo Chakra sarebbe associato anche al timo.
Ha come simbolo geometrico il doppio triangolo incrociato. I petali del loto sono
dodici. Il Bija-Mantra è Vam, la divinità è Isana e la sua energia vitale è
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Bhuvanesvari. È di colore verde, bipolare, orientato orizzontalmente e il suo
elemento è l'aria.
Vishudda Chakra (o centro della gola)
Questo Chakra si situerebbe a livello del pomo d'Adamo nell'uomo e nell'incavo della
gola nella donna e sarebbe responsabile del funzionamento del collo, della lingua,
della nuca, della bocca, delle orecchie, del naso, dei denti. Attraverso esso si
attuerebbe la comunicazione con gli altri e con le divinità e sarebbe la fonte dei
mantra che si cantano. A livello fisiologico, controllerebbe il funzionamento della
tiroide. Con il Chakra aperto la persona comunicherebbe con voce chiara e ferma,
mentre si chiuderebbe quando viene bloccata l'espressione della propria personalità e
quando c'è insoddisfazione per il proprio lavoro o per i propri studi. La chiusura
causerebbe mancanza di voce, torcicollo e malattie della gola e della tiroide.
Questo Chakra ha 16 petali, ha come simbolo geometrico il triangolo equilatero nel
quale è inscritto un cerchio, emblema dell'elemento etere (Akasa). Il Mantra-seme è
Ham. La divinità preposta è Sadasiva e la sua energia vitale è Sakini. È di colore blu,
bipolare, orientato orizzontalmente. Quando sviluppato, conferirebbe infatti il potere
di esprimersi e parlare in modo estremamente persuasivo e convincente.
Ajna Chakra (o centro frontale o terzo occhio)
Questo centro nel corpo fisico è rappresentato dall’incrocio dei due nervi ottici nel
nostro cervello (il "chiasmo ottico") e controllerebbe il funzionamento della
ghiandola pituitaria e gli occhi. Un affaticamento eccessivo della vista (per cinema,
televisione, computer o lettura di libri) nuocerebbe a questo Chakra che sarebbe
anche danneggiato dai cattivi pensieri. Influenzerebbe il mesencefalo. Questo Chakra
permetterebbe di pensare al futuro, creare progetti, di sviluppare percezioni
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extrasensoriali come la capacità di vedere senza l'uso del senso della vista, di
raggiungere stati mistici, di percepire la cosiddetta aura (un presunto campo che
circonderebbe le persone, ignoto alla scienza, da non confondere con ciò che viene
chiamato aura in medicina) e di viaggiare nel cosiddetto "piano astrale". Il Chakra si
chiuderebbe in caso di delusioni per la mancata realizzazione di un progetto di vita.
Gli squilibri si manifesterebbero attraverso incubi, fenomeni psichici incontrollati o
sgradevoli, mancanza completa di sogni, confusione mentale e con malattie collegate
alla vista e mal di testa frontale.
Sui due petali del loto vi sono le lettere Ham e Ksam. Contiene la rappresentazione
della sacra sillaba Om, sintesi di tutti i mantra. La divinità preposta è Shambhu e la
sua Shakti è Siddha-Kali. È di colore viola, bipolare, orientato orizzontalmente.
Sahasrara Chakra (o centro coronale o dei mille petali)
Sarebbe situato nella ghiandola pineale e costituito dalla riunione dei sei Chakra.
Sarebbe uno spazio incavo, sui bordi del quale si troverebbero mille nervi. Questi
nervi si potrebbero vedere sezionando il cervello trasversalmente. Prima della
realizzazione del sé questo centro è chiuso dall'ego e dal superego. Illuminato dal
risveglio della Kundalini, diventerebbe simile a un fascio di fiamme dai sette colori
che si integrano creando infine una fiamma di colore cristallo chiaro. Ciò
corrisponderebbe alla libertà assoluta, alla gioia dello spirito, alla serenità, alla
relazione tra la coscienza dell'individuo e quella dell'universo. Questo Chakra si
chiuderebbe in caso di "quasi svenimento" per evitare la perdita di coscienza e la
fuoriuscita dell'anima. Fisicamente si manifesterebbe con vitiligine e vertigini e nel
campo psicologico con noia, insoddisfazione, odio verso Dio.
Ha nel suo cuore un loto più piccolo a dodici petali in cui è inscritto il triangolo
chiamato Kamakala, che simbolicamente raffigura la sede della Shakti Suprema, cioè
la "forza cosmica" non individualizzata. Nei mille petali del loto sono contenute tutte
le lettere dell'alfabeto sanscrito. È di colore bianco ed è orientato verticalmente con il
relativo imbuto che punta verso il cielo.
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Il Settenario Metallico.
L'alchimia nei testi più importanti e basilari non tratta di questo argomento, non
elenca i Sette Metalli ma parla solo di Oro, Argento e Mercurio; questo argomento
viene maggiormente trattato da quei testi Alchemici più indirizzati verso la medicina
e l'astrologia. Un interesse al riguardo può essere giustificato solamente
accomunando questi concetti ai sette Chakra dello Yoga Tantrico, per correttezza
intellettuale li accenno qui di seguito.
L'ordine in cui ho disposto questi metalli rispecchia il loro grado di perfezionamento
durante la “cottura” Alchemica, cioè durante il procedimento di purificazione della
materia più vile, il Piombo o l'Antimonio che dir si voglia.
Secondo gli alchimisti l'oro e l'argento sono i metalli più perfetti, mentre il piombo è
il più lontano dalla perfezione. Tutti i metalli, se non fossero estratti dalla miniera,
tenderebbero a diventare oro; l'estrazione infatti blocca il processo evolutivo dei
metalli, fermandoli ad un certo stadio ed ottenendo quindi i vari metalli elencati
sopra.
Per questo motivo si afferma che l'Opera alchemica consiste essenzialmente nel far
compiere ad un metallo imperfetto quel cammino evolutivo che, se non fosse stato
interrotto, lo avrebbe portato a diventare oro. Questa affermazione deve essere intesa
sia nel suo senso letterale che in un senso simbolico: perché anche l'uomo viene
considerato un essere imperfetto che però, grazie all'Opera alchemica, può
raggiungere il massimo grado di perfezione che è concesso alla sua natura.
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Una questione di equilibrio.
Osservando la realtà con sguardo sereno e distaccato è facile rendersi conto di come
la necessità primaria e fondamentale, tanto per ogni singola esistenza come per
l'intero universo, è quella di mantenersi in un corretto equilibrio di forze pur nel
continuo mutamento di forme e condizioni.
Abbiamo affrontato tale argomento studiando diversi approcci, dalla ricerca
dell'unione del Sole con la Luna nell'Alchimia Europea ai concetti trattanti il Vaso e
la Luce della Kabbalah per poi studiare la ricerca dell'unione tra Shiva e Shakti nella
Filosofia Tantra, riassumerli adesso mi pare esercizio inutile ma possiamo trarre una
conclusione fondamentale affermando che:
Il Creato è un miracolo di equilibrio dinamico prodotto dall'interazione di due Forze
fondamentali, strumenti della Coscienza Divina.
Il concetto di equilibrio dinamico è intrinseco alla vita stessa; acquisirlo anche con il
supporto di un'attenta riflessione è indispensabile alla comprensione di qualsiasi
fenomeno.
È un concetto fondamentale nello studio e nella comprensione dei Chakra, che
rappresentano un insieme completo e sinergico in costante equilibrio dinamico, tale
che ogni variazione in uno dei ‘loti’ si riflette inevitabilmente su ogni altro.
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PARTE SECONDA
La Coscienza
“Voi non potete raggiungere il vostro scopo senza inclinazione e senza pazienza e senza
avere il coraggio di attendere, perché chi non avrà pazienza non penetrerà in quest’arte. Voi
cercate un grande segreto; perché dunque non volete darvi da fare?”
Turba Philosophorum
Introduzione alla seconda parte.
Il puzzle prende forma e spero che anche il lettore stia condividendo la visione di
questa teoria unitaria ed unificatrice.
Molto c'è da dire ancora, nella prima parte abbiamo viaggiato nello spazio e nel
tempo per esaminare alcune delle filosofie più significative ed interessanti che
assieme all'Alchimia hanno sempre destato interesse in quelle persone come me che
ricercano una verità che è oltre la barriera della vita materialista e superficiale che in
questi anni sta prendendo sempre più piede nella società.
Appare oramai ovvio che questo non è il classico libro di Alchimia dove vengono
scritte migliaia di parole per la maggior parte incomprensibili; troppi sono stati gli
autori moderni che vantando chissà quali maestri o chissà quali conoscenze segrete
hanno semplicemente tirato l'acqua al loro mulino mettendo mano ad una grande
quantità di testi originali traducendoli e “spiegandoli” in maniera astrusa.
Personalmente sono arrivato a dubitare persino della veridicità delle presunte
conoscenze di alcuni di questi sedicenti esperti di Alchimia.
Per arrivare alla verità bisogna essere rivoluzionari nell'approccio ed andare oltre le
opinioni preconfezionate; perché mi devo accontentare di leggere un commento o una
introduzione di Canseliet relativo a qualche antico testo Alchemico, quando alla fine
mi accorgo che egli non mi ha dato alcuno strumento utile alla comprensione o alla
soluzione del problema ma ha solamente fatto in modo che io sia spinto ad acquistare
il suo prossimo libro con la speranza che lì ci sia qualche indizio importante che,
ovviamente e puntualmente, mancherà ?
Parliamoci chiaro, se personaggi come Fulcanelli avevano veramente la conoscenza
che davano ad intendere di avere...la loro reticenza nel rivelarla ed il fatto che tale
conoscenza non è stata tramandata può essere vista un po' come una colpa, almeno
dal mio punto di vista; qualcuno potrà obbiettare affermando che Fulcanelli avesse
tramandato queste conoscenze a Canseliet, ma questo non è un fatto comprovato in
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quanto fu solo Canseliet ad affermare di essere il discepolo di Fulcanelli e si da il
caso che, fino a prova contraria, Canseliet sia morto senza riuscire a creare la Pietra
Filosofale fonte di Ringiovanimento e di Lunga Vita...allora dove sta la verità ?
Non oso addentrarmi nel tema “chi era Fulcanelli” e se era o no un vero Alchimista;
anche su questo argomento esistono mille e una teoria e sinceramente ritengo che
finché non salta fuori una prova di qualche genere, l'argomento è interessante ma
inutile ai fini della nostra ricerca, per il gusto della curiosità e per proporre argomenti
poco conosciuti mi limito solo ad accennare alcune interessanti questioni proponendo
lo stralcio di un interessante articolo:
Di Enrica Perucchietti pubblicato sulla rivista
Hera n° 50 (febbraio 2004) :
“L'AFFAIRE FULCANELLI
Il frontespizio de Il Mistero delle cattedrali.
Il disegno è opera di Canseliet
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Recentemente, Geneviève Dubois (autrice di Fulcanelli. Svelato l'enigma del più
famoso alchimista del XX secolo – Ed. Mediterranee) ha identificato Fulcanelli con
Jean-Julien Champagne, alchimista, artista e pittore parigino, maestro di Canseliet.
Champagne avrebbe però goduto di una ventennale e feconda collaborazione con
René Schwaller de Lubicz, esoterista ed egittologo a cui avrebbe "rubato" l'idea e i
manoscritti originali de Il Mistero delle cattedrali e Le Dimore Filosofali per dettarli
all'ignaro Canseliet che li avrebbe fatti pubblicare in buona fede.
Schwaller de Lubicz giunse a Parigi nel 1910. A questo periodo risale l'incontro con
Champagne. Quest'ultimo aveva ritrovato, all'interno di un raro esemplare degli
scritti di Newton, un manoscritto che conteneva il segreto delle manipolazioni
alchemiche che avevano permesso la realizzazione dei colori blu e rossi utilizzati
nelle vetrate della cattedrale di Chartres. Invano tentò di decifrarlo. Proprio in quel
periodo decise di avvicinare De Lubicz, il cui interesse per l'alchimia era noto, e gli
propose la lettura del manoscritto e un'eventuale collaborazione. Questi ne rimase
colpito e, nonostante non stimasse Champagne, decise di stipulare un accordo con
lui: Schwaller avrebbe versato una somma mensile al pittore, in cambio della quale
Champagne avrebbe lavorato all'aspetto operativo. Nessuno avrebbe dovuto sapere
di questo patto. Champagne proseguì nei suoi esperimenti anche dopo lo scoppio
della Prima Guerra Mondiale, che vide la mobilitazione di De Lubicz in un
laboratorio dell'esercito. Fu proprio nel 1916 che l'allora sedicenne Eugène
Canseliet venne presentato a Champagne, divenendone presto allievo. Secondo la
Dubois, Champagne avrebbe ordito per tutta la vita la trama destinata a consacrare
il mito di Fulcanelli. In molti hanno dubitato anche della sincerità di Canseliet, ma
la Dubois lo scagiona: egli credeva veramente che le opere pubblicate fossero di
Champagne, mentre il vero autore era René Schwaller de Lubicz.
Canseliet si rese conto dell'inganno solo dopo la morte di Champagne e, deluso,
scrisse una lettera a De Lubicz biasimando il comportamento del suo "maestro".
Canseliet, che ha rivestito un ruolo fondamentale nella trasmissione del mito e delle
opere di Fulcanelli, sarebbe stato dunque una pedina inconsapevole.
Nel settembre del 1922 assistette alla prima trasmutazione operata da Fulcanelli
nella centrale del gas di Sarcelles trasmutazione che, sebbene non segnasse il
compimento dell'Opera, ne costituiva una fase importante.
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René Schwaller de Lubicz e Jean Julien Champagne
Una delle prove a sostegno dell'identificazione di Fulcanelli con Schwaller de Lubicz
è la testimonianza di Canseliet della partenza del leggendario alchimista nel 1922 e
del suo ritorno nel 1952. Schwaller partì da Parigi proprio nel 1922 e tornò
definitivamente in Europa, dopo il suo soggiorno in Egitto, nel 1952. Le date
coincidono. Durante gli anni della guerra passati a Parigi, Schwaller aveva redatto
un manoscritto su un argomento che gli stava molto a cuore: le cattedrali gotiche e il
simbolismo alchemico. Lo mostrò a Champagne che gli propose di sottoporre il
lavoro a un editore. De Lubicz, fiducioso, gli consegnò il manoscritto. Diversi giorni
dopo, Champagne glielo restituì informandolo che non poteva essere pubblicato. Nel
frattempo De Lubicz si accingeva a partire per la Svizzera con la moglie Isha, dove
fondò una stazione scientifica denominata Suhalia, una specie di monastero
iniziatico fornito di un avanzatissimo laboratorio chimico, di una stamperia, di un
osservatorio astronomico e dell'attrezzatura necessaria per le ricerche. Durante il
suo soggiorno in Svizzera (7 anni), De Lubicz continuò a spedire regolarmente la
rendita promessa a Champagne, il quale nascondeva ai suoi allievi, Canseliet e
l'inseparabile amico e collega Pierre Dujols, i suoi rapporti con Schwaller:
nessuno avrebbe potuto così sospettare che negli scritti di Champagne si
nascondesse la penna di De Lubicz.
Grazie agli appunti di quest'ultimo sui rapporti tra Notre-Dame de Paris e il
simbolismo ermetico, giovandosi della collaborazione e della straordinaria
erudizione dell'amico Dujols, Champagne diede inizio alla stesura dell'opera. Fu
così che il 15 giugno 1916, Le Mystère des Chatédrales venne pubblicato a Parigi,
sotto lo pseudonimo di Fulcanelli, da Jean Schémit con grande stupore di De Lubicz
che, riconosciuto il suo lavoro, avrebbe riferito in una lettera indirizzata ad André
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Vandenbroeck: «Fulcanelli ha preso le mie idee, me l'ha fatta». Schwaller De Lubicz,
secondo Vandenbroeck, chiamava sempre Champagne col nome di Fulcanelli.
Secondo la Dubois, Dujols, uomo di saldi principi, era all'oscuro della provenienza
delle annotazioni presentategli da Champagne. Quando Pierre Dujols morì, nel
1926, la moglie consegnò a Champagne l'intero schedario redatto dal marito sui
monumenti a carattere alchemico. E ancora prima, malato e costretto a letto, Dujols
aveva affidato a Canseliet il compito di ordinare gli appunti e di redigere l'opera che,
una volta sottoposta alla revisione di Champagne, venne pubblicata nel 1930 con il
titolo di Les Demeures Philosophales.
Eugène Canseliet e Pierre Dujols
Nel 1930, dopo diciannove anni di ricerche, Champagne e Schwaller de Lubicz
riuscirono finalmente a ottenere in laboratorio la fabbricazione dei blu e dei rossi
delle vetrate, come quelli che si possono osservare nella Cattedrale di Chartres. Il
successo dell'opera avrebbe dovuto condurre all'ottemperamento del patto stipulato
vent'anni prima, secondo il quale le strade dei due si sarebbero definitivamente
separate e De Lubicz avrebbe smesso di inviare al collaboratore il versamento della
mensilità. Ma Champagne cambiò atteggiamento: raggiunto uno stato di costante
eccitazione, decise di continuare su questa strada e di ripetere l'operazione. Per un
anno Champagne, che si scoprì malato, mantenne la parola data e non fece allusioni
alle loro ricerche di laboratorio. Però desiderava svelare tutto ai suoi discepoli e
avvertì De Lubicz dell'intenzione. Quest'ultimo tornò a Parigi nel 1931. Quando si
incontrarono, De Lubicz ricordò a Champagne il patto e gli propose, in cambio del
suo silenzio, di continuare ad aiutarlo finanziariamente. Nell'agosto del 1932
Champagne inviò una lettera a De Lubicz in cui precisava la data della riunione con
i discepoli. Pochi giorni prima di questa data, De Lubicz tornò a Parigi, si diresse da
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Champagne e lo trovò a letto con la pelle nera: aveva una gamba in cancrena. Dopo
aver riflettuto Champagne si mostrò pentito e chiese all'amico di portar via tutte le
carte dei suoi lavori e il manoscritto che aveva dato origine alla loro collaborazione.
Fu il loro ultimo incontro, perché Champagne morì l'indomani, il 26 agosto 1932.
Tre giorni dopo venne seppellito nel cimitero di Arnoiulle-les-Gonesse. La sua
lapide, che è stata successivamente tolta o rubata, recava questo epitaffio:
APOSTOLUS HERMETICAE SCIENTIAE, le cui iniziali sono le stesse che
compaiono nelle firma di Fulcanelli.
Ma se dietro il nome del leggendario alchimista si nascondeva davvero Champagne
(e se gli scritti firmati con lo pseudonimo di Fulcanelli erano opera del sodalizio tra
Champagne, Dujols e Canseliet e dell'inganno ordito dal primo nei confronti di
Schwaller De Lubicz), risulta difficile comprendere alcune successive testimonianze
di Canseliet. Quest'ultimo, venuto a conoscenza del misfatto dopo la morte di
Champagne, scrisse una lettera a De Lubicz in cui confessava tutto il rammarico per
la condotta del maestro. Non si spiega innanzitutto il motivo per cui, saputa la verità
sull'origine delle opere di Fulcanelli, Canseliet sia rimasto fedele alla memoria di
Champagne. Scoperta la verità avrebbe dovuto, plausibilmente, interrompere l'opera
di promozione della fama dell'alchimista. E invece rimase sempre fedele alla
memoria di Fulcanelli.”
La mia opinione in merito è semplice: tutti questi segreti non hanno senso in
quest'epoca in cui persino le conoscenze esoteriche dei Tantra, del Kundalini Yoga e
del Taoismo sono alla portata di tutti e che, guarda caso, la simbologia Alchemica
tanto sembra accostarsi sia a queste filosofie Orientali che alle conoscenze della
Kabbalah un tempo segrete; questo mi porta a ritenere in definitiva che Fulcanelli,
Canseliet ed il loro amici non avessero nessun segreto da rivelare.
Ma a noi poco importa, la nostra ricerca è indirizzata in noi stessi e non nel
comprendere le strategie commerciali degli altri; l'Alchimia insegna ad essere Solari,
Attivi e Causativi nella Vita, e ciò significa anche Generosi; un essere risvegliato che
ha compiuto il suo cammino è anche un essere che sente la necessità di DARE e non
di RICEVERE, quindi chi sfrutta l'Alchimia per fare quattro soldi o per diventare
famoso non è un vero Alchimista ma un ciarlatano.
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Capitolo VI
L'equazione della Vita
Il vero fulcro del discorso sta proprio in questa frase, come poter definire la Vita, nel
suo senso più generale, con una equazione ad esempio ?
Lungi dall'addentrarmi nel mondo astruso dei numeri e della matematica, ma ritengo
che possa essere di aiuto definire una “formula” o per meglio dire uno schema
primario, essenziale per rispondere a domande come: “chi siamo” e “quale è lo scopo
della nostra vita”.
Tutte le filosofie o dottrine che ricercano una trasformazione del Se', che sia
Alchimia, Buddhismo, Zen, Gnosi, Kabbalah o quant'altro, partono dal principio
fondamentale che consiste nel definire cosa sia la vita e da li ricercare un ritorno ad
uno stato maggiormente “divino” della coscienza.
Abbiamo visto che ci sono molte similitudini nelle varie filosofie, quando trattano
dell'argomento “genesi” ovvero la creazione, da dove proviene e per quale scopo
esiste; ma il discorso è ancora talmente complesso e spesso incomprensibile, allora
cerchiamo di semplificare il tutto con una metafora, un esempio calzante.
Consiglio al lettore di visualizzare ciò che descriverò, immaginarlo realmente, cosi da
poter più facilmente comprendere il discorso:
Immaginate di prendere un contenitore pieno di acqua, una tinozza, un brocca o
qualcosa del genere, che sia trasparente, cosi possiamo vedere al suo interno; diciamo
che nel nostro esempio metaforico l'acqua rappresenta Dio, l'entità suprema che esiste
da sempre e che essendo eterna ed unica, consiste in una coscienza unitaria,
definiamola “pura vita” o “pura coscienza”; evitate di associare al termine Dio
immagini quali il vecchio anziano che vive sulle nuvole, le favole della buona notte
lasciamole a bambini.
Ora immaginate di avere dei contagocce, diciamo tre, pieni di inchiostro solubile,
diciamo uno rosso, uno blu e uno verde, i colori fondamentali; e fate cadere
nell'acqua una goccia di ogni colore, ben distanziate per non mescolarsi subito.
Nel nostro esempio questa azione del far cadere le gocce di colore rappresenta un atto
della coscienza stessa, che ha deciso questo per esplorare altre forme e combinazioni
di vita, per giocare insomma; non è detto che sia successo esattamente questo, ma per
comprendere cosa può essere avvenuto dopo, come in poche parole Dio ha
cominciato ad identificarsi nella materia, negli esseri viventi e nel creato tutto.
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Cosa accade quindi ? L'acqua, che nel nostro esempio è viva e cosciente, comincia ad
assumere colori differenti, una parte dell'acqua diventerà blu, un'altra verde ed
un'altra rossa; la Coscienza unica comincerà a notare che, in quelle zone dove è
caduto il colore, essa ha assunto un aspetto differente dagli altri, non è più trasparente
e comincerà a sentirsi “separata”, dandosi un appellativo relativo al colore, un
“nome”. Provate ad immaginare voi al posto dell'acqua, cosa provereste ?
Quindi acqua “Blu” si renderà conto di essere diversa dalle acque “Rosso” e “Verde”
e queste due faranno lo stesso; la Coscienza unica si identificherà nel colore, creando
una separazione, seppur illusoria, tra le varie zone dell'acqua interessate dai diversi
colori; “acqua Blu non è uguale ad acqua Verde ed acqua Rossa i loro confini e la
loro forma sono determinati dalla fine del loro colore” sarà il pensiero di Coscienza.
Una separazione illusoria, certo, perché in fin dei conti si tratta sempre di acqua, non
è stata fatta alcuna modifica alle molecole dell'acqua, è solo stato aggiunto del
colorante.
Possiamo quindi affermare che: alla costante COSCIENZA “C”, è stata aggiunta la
variabile FORMA “F”.
Coscienza + Forma creano, quindi, un risultato straordinario, un “valore aggiunto”
che prima mancava a Coscienza: una Identificazione derivante dalla sensazione di
separazione, Blu sente di non essere uguale a Rosso ed a Verde, e lo stesso vale per
gli altri due colori. Nell'oceano della coscienza si sono formati tre INDIVIDUI.
In termini più semplici tutto questo può essere definito con una parola: EGO “E”;
questi tre “parametri” ci forniscono una formula, una equazione molto semplice ma a
mio avviso molto profonda, la cui comprensione totale potrebbe portare
all'illuminazione.
(C)oscienza + (F)orma = (E)go
Le tre forme di Ego “colorato” cominciano poi ad interagire tra loro, osservandosi a
vicenda, per comprendersi meglio, perché gli Ego hanno dimenticato di essere
Coscienza, e credono di essere qualcosa di diverso, separato, individui distaccati
dall'unità Acqua; provano poi a mescolarsi tra loro, sperimentando l'unione fisica e
creando ogni sorta di combinazione possibile, milioni di Ego differenti che a loro
volta credono di essere unici ed individuali, Esseri ancora più complessi che in un
vortice senza fine dimenticano sempre di più la loro origine allontanandosi
virtualmente dalla Sorgente divina; i colori credono di avere coscienza propria mentre
l'acqua ha smesso di essere cosciente del suo vero stato.
L'Ego quindi no né altro che una forma assopita di Coscienza, incapace di vedere se
stessa per ciò che è, vivendo nell'illusione di essere separata in tanti pezzettini,
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mentre in realtà' un solo unico essere.
Se ci pensate bene, tutto questo universo di colori e forme si tiene in piedi su una
unica variabile: l'IGNORANZA.
Inoltre i colori, essendo la loro “realtà” definita e limitata dalla cromaticità, perdono
la capacità di vedere e percepire l'acqua, perché essa è trasparente, per loro invisibile
ed intangibile; non rendendosi più conto di essere anche loro acqua.
Ogni Ego crede di essere composto da particelle di colore, ignorando che ciò che gli
da vita, la sua stessa essenza e in mancanza della quale non esisterebbe è invece
l'acqua. Ad un certo punto, però, accade l'impensato: alcuni dei milioni di colori che
si sono formati cominciano a porsi delle domande, a chiedersi come possa essere che
la vita sia limitata soltanto ad una mescolanza di colori e cominciano a percepire, in
rari ed eccezionali casi, che esiste qualcosa di invisibile, non colorato, che però ha
una profonda influenza nella vita dei colori; sentono che ci deve essere uno stato
superiore, privo di colori ma che in potenzialità li può abbracciare tutti in un unico
sguardo. E' li che siamo noi, in questo stato di esseri composti da Forma e Coscienza,
Ego che cominciano a fare luce nella loro ignoranza e grazie a questo si rendono
conto che c'è molto di più, che non siamo solo colori ma siamo anche acqua, essenza,
coscienza; sicuri che da qualche parte esista una saggezza, una conoscenza che
fornisce la chiave per uscire dall'universo dei colori per ritornare allo stato
trasparente, puro ed indivisibile della Coscienza Divina.
Alchimia, Kabbalah, Gnosi e quant'altro non fanno altro che ricercare l'equazione
inversa, la via per ottenere: (C)oscienza = (E)go – (F)orma.
Una equazione molto particolare in quanto la Coscienza non è il semplice prodotto
della sottrazione tra Ego e Forma ma, la sottrazione di Ego a Forma crea una
implosione, separando le due variabili esse si annullano a vicenda, perché autosostenutesi a vicenda; lasciando la costante Coscienza come unica ed indivisa entità.
Togliendo il colore all'acqua, cioè la forma, sparisce anche l'Ego; togliendo l'Ego,
sparisce il colore, tutto torna trasparente, come in origine. Tutto ciò può essere
raggiunto grazie alla stessa costante Coscienza, maggiore è la coscienza in un
individuo, minore sarà il suo ego e quindi la sua separazione dall'unità.
Cos'è l'Ego ?
Analizziamolo in termini tecnici confrontandolo con la sua controparte: la Coscienza.
Dio, essendo una forza vitale assoluta, eterna e dotata di un potere straordinario quale
quello di Creare, può essere definito come Forza Positiva o Attiva, Maschile in
termini alchemici è Solare e Perfetto, quindi è Aureo: Oro Alchemico, il Re.
E' caratterizzato dal suo potere creativo, quindi è un Agente Causativo ed Irradiante
Luce; è il creatore di quel “Proto-Ego” che riceve e gode della Luce Divina,
denominato nella Kabbalah Vaso.
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Non potrebbe essere altrimenti perché se Dio fosse Lunare, Attrattivo e ricevente,
sarebbe mortale e già estinto in quanto se diamo per scontato che prima di tutto esiste
Dio, egli da solo non avrebbe potuto alimentare se stesso di energia, la Luna non
emette luce, la riceve soltanto. Quindi sarebbe estinto.
Ego invece, il Vaso, essendo la controparte più estrema e lontana da Dio, in quanto ha
dimenticato la sua vera origine ed ignora che egli, Ego, è solo un'illusione generata da
Dio, è Lunare e Passivo perché per sopravvivere necessita e desidera ardentemente la
Luce Divina, il colore ha bisogno di luce per essere tale, senza luce non sarebbe
nulla. Per tornare al paragone dell'acqua, se si spegne la luce nella stanza l'acqua
torna ad essere un unico elemento, i colori sono invisibili ed intangibili, se metti una
mano nell'acqua ti accorgi che non percepisci alcuna differenza tra quella blu e quella
rossa o verde; quindi i colori sono Lunari e Passivi, non hanno luce propria ne una
vera consistenza.
In Alchimia l'Ego è la Terra, il Vaso Kabbalistico ed il Crogiolo Alchemico, la
Materia Prima.
E' una “forza” attrattiva e quindi effetto di altre cause, per questo mortale, essendo
nato è destinato a morire; Dio è il creatore, l'Ego è la Creazione.
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Capitolo VII
Il Matrimonio Alchemico
Polo Positivo e Polo Negativo, questi due sono gli elementi fondamentali descritti sia
nella Gnosi Cristiana che nella Kabbalah, sia nell'Alchimia che nelle conoscenze
Orientali; sono questi i due poli opposti “maschio e femmina” che devono essere
riuniti nel Kundalini Yoga, quindi in qualche modo annullati, per ottenere uno stato di
coscienza superiore e distaccato dalla materialità illusoria della vita ?
E' qui che risiede il grande segreto del santo Graal e la grande conoscenza scoperta da
Gautama Siddharta, Tilopa, Naropa e Milarepa?
E' per questo motivo che la filosofia Tantra si basa tutta su questi due principi basilari
e persino i Tamil Siddhas e i Veda ne parlano ?
Partendo da questo capitolo, facciamo una sintesi degli argomenti trattati nella prima
parte del libro; a volte noterete la ripetizione di concetti ed informazioni già trattate,
abbiate pazienza ma credo che sia l'unico modo per arrivare ad una conclusione del
discorso.
Già nello sviluppare i vari capitoli ho provato a dare qualche indizio utile alla
comprensione ed all'unificazione delle varie filosofie, i lettori più attenti avranno già
compreso dove volevo arrivare ma per completezza, in questo settimo e ultimo
capitolo, tenterò l'impresa di riunificare Alchimia, Kabbalah, Kundalini Yoga, Tantra
e Gnosi in una unica ed armoniosa “Teoria Unificata del Risveglio Interiore”.
In alchimia troviamo i quattro elementi come formanti, nelle varie e differenti
proporzioni e qualità la totalità delle cose esistenti: Fuoco, Aria, Acqua e Terra ma
che sono tutti parti di una unità fondamentale.
In Europa tale concezione trova posto principalmente in un’opera straordinaria e
fondamentale che definirà le basi dell'Alchimia: il Corpus Hermeticum, scritta in
greco ma tutta pervasa dalle figure della religione egizia. Questa raccolta di testi,
attribuita al mitico Hermete Trismegisto, contiene scritti di varia natura: filosofici,
astrologici e alchemici. Compaiono così i primi testi di alchimia, nei quali è
evidentissima l’intenzione dell’autore o degli autori di velare sotto una forma
chimico-metallurgica, conoscenze assai antiche e relative all’origine dell'essere
Umano ed alla ricerca di un suo perfezionamento fisico e spirituale.
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Definito il principio fondamentale dell’analogia e data l’equivalenza uomo = metallo,
vi deve essere una spiegazione razionale riguardo alla possibilità di trasmutare in una
realtà più pura l’uno o l’altro. Questa spiegazione non poteva essere altra che quella
per mezzo della quale la filosofia greca spiegava la costituzione e l’ordinamento del
mondo ovvero la teoria dei quattro elementi: TERRA, ACQUA, ARIA, FUOCO.
Ogni cosa presente nel nostro mondo terreno era, secondo i greci, composta da questi
quattro elementi e soltanto da essi; cambiavano solo le reciproche proporzioni.
Un minerale, una pianta, un pezzo di carne, differivano fra di loro solo perché variava
la quantità di un elemento rispetto agli altri, pur essendo sempre presenti tutti e
quattro gli elementi in ogni corpo.
A loro volta però, i quattro elementi nascono dalla combinazione di una coppia di
qualità fondamentali, anch’esse in numero di quattro: CALDO, FREDDO, UMIDO,
SECCO.
Esse erano concepite come predisposizioni funzionali, ossia tendenza a comportarsi
in un certo modo piuttosto che in un altro, ed erano il risultato dell’azione della luce
degli astri sulla materia caotica primordiale, quella che esisteva all’inizio del mondo.
Era infatti la luce degli astri quell’energia primaria che per gli antichi aveva messo in
moto il tutto e lo manteneva in movimento, poiché di per sé la materia, qualunque
materia, tenderebbe all’inerzia e alla stasi.
Solo grazie all’azione combinata di queste qualità, la materia primordiale si era
differenziata e si era organizzata dando origine ai quattro elementi.
Il rapporto tra elementi e qualità prime era il seguente:
FUOCO = CALDO e SECCO
ARIA = CALDO e UMIDO
ACQUA = FREDDO e UMIDO
TERRA = FREDDO e SECCO
Si vede bene come ogni elemento abbia una qualità in comune con l’elemento che sta
subito sopra di lui e abbia in comune l’altra qualità con quello che sta subito sotto.
Questo vale anche per FUOCO e TERRA.
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TERRA = FREDDO e SECCO
FUOCO = CALDO e SECCO
Ciò consente di stabilire una circolarità fra questi elementi che consente di mutare –
sia in un senso che nell’altro – un elemento in quello che gli sta a fianco, inducendo o
contrastando la qualità che deve variare e lasciando immutata quella comune.
Poiché ogni cosa è formata dai quattro elementi e ciò che varia è solo la proporzione
reciproca, vorrà dire che il piombo avrà ad esempio moltissima terra, mentre l’oro
avrà moltissimo fuoco. Ma la terra può essere trasformata in fuoco eliminando il
freddo che c’è in essa e convertendolo in calore. Ecco perché secondo i greci è
possibile trasformare il piombo in oro. Basta conoscere il giusto calore, il fuoco
segreto dicevano gli alchimisti, con cui cuocere l’embrione metallico del piombo,
dopo averlo liberato dalle scorie e messo nelle condizioni opportune.
Siamo ancora di fronte alla concezione di fondo babilonese, ma ora essa è stata
sistematizzata grazie ad una teoria che pretende di fondarsi sulla ragione oltre che
sull’analogia. Essa pretende di spiegare come sia possibile trasformare una sostanza
in un’altra con la stessa teoria per mezzo della quale viene spiegato l’ordinato
funzionamento del cosmo.
È noto che questa stessa teoria è alla base della medicina ippocratico-galenica:
l’uomo si ammala per l’eccesso o la carenza di un umore nel proprio organismo,
quindi per curarlo bisogna somministrare dei rimedi che apportino l’elemento carente
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o contrastino quello in eccesso.
Si sbaglierebbe a considerare infantile o semplicistica questa visione del mondo,
poiché gli antichi sapienti non erano così stolti da identificare tout court la terra con
quella cosa nella quale il contadino semina il grano, l’acqua con ciò che beviamo e
così via.
Secondo l’interpretazione dotta e non volgare, i quattro elementi rappresentavano
prima di tutto uno stato della materia e precisamente:
TERRA = STATO SOLIDO
ACQUA = STATO LIQUIDO
ARIA = STATO GASSOSO
FUOCO = STATO RADIANTE
Questa schematizzazione comprende tutti i possibili stati della materia, si tratta
quindi di un modello che consente non solo di fare analogie importantissime dal
punto di vista simbolico ma anche si essere applicato operativamente a moltissimi
ambiti, primo fra tutti l’ambito terapeutico.
Lo Zohar parla degli elementi: «Fuoco, aria, terra e acqua sono le fonti e le radici di
tutte le cose di sopra e di sotto, e su di esse tutte le cose sono fondate... Eppure esse
sono tutte una»
Scrive Charaka ( 300 d.c. Principale esponente dell'Ayurveda ): «L'uomo è l'epitome
dell'universo; ciò che è nell'universo è nell'uomo, ciò che è nell'uomo è
nell'universo».
L'Âyurveda spiega che tutto quanto ci circonda, le sostanze materiali, è il frutto di
una aggregazione temporanea di elementi fondamentali chiamati bhûta o «entità»:
essi sono di cinque tipi (Pañchamahâbhûta) in rapporto alle loro peculiari
caratteristiche.
Ritroviamo i bhûta anche nel Sâmkhya (uno dei sei sistemi di pensiero tradizionali
indiani) e nello Yoga, secondo cui i cinque elementi grossolani fanno parte delle
ventiquattro (o ventisei) categorie della realtà o principi della Natura. Questi cinque
elementi sono definiti «anu», ovvero indivisibili: si tratta della teoria atomistica che
l'Âyurveda prende in prestito dal Vaiseshika, un'antica scuola di pensiero indiana, da
cui prendono spunto anche molti dei grandi trattati ayurvedici.
Tutto è costituito da queste cinque entità di base, che in proporzioni diverse si
aggregano o si separano. Esse sono: Etere (Âkâsha), Aria (Vâyu), Fuoco (Agni),
Acqua (Ap o Jala) e Terra (Prithivî). Questi elementi si riferiscono agli stati eterico,
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gassoso, radiante, fluido e solido della materia e ai loro rispettivi principi di spazio,
movimento, luce, coesione e densità. Essi pertanto sono molto più sottili e completi
delle loro controparti visibili sulla terra.
Secondo le medicine tradizionali Ayurveda, Taoista ed asiatiche in genere quando
viene a mancare l'armonia tra noi e la natura, quando gli elementi in noi cambiano il
loro equilibrio, inizia il processo del disordine, dello squilibrio e della malattia.
Definito questo aspetto, allo scopo di far notare al lettore come tali concetti si siano
sviluppati apparentemente in maniera del tutto autonoma sia in Asia che in medio
Oriente e nel Mediterraneo, torniamo al nostro tema più importante.
La materia prima dell'opera alchemica, la polarità Femminile.
“Visita Interiora Terrae...”
Tutti noi viviamo simbolicamente nella densità della terra, cioè la nostra vita è legata
alla materialità delle esigenze fisiche e degli istinti, Malchut in termini Kabbalisti; per
questo gli alchimisti parlano del crogiolo, perché è un vaso fatto di terra, anche
l'ampolla di vetro è fatta dalla sabbia, altro simbolo della terra.
Arnaldo da Villanova descrive cosi la prima materia dell'Opera:
“Sappi, o Re, che i sapienti misero nelle
loro opere molte cose e molti modi di
procedere, come ad esempio: il dissolvere,
il coagulare e molti vasi e pesi;
ciò fecero, per accecare gli ignoranti e per
dichiarare solo agli intelligenti il loro OPUS.
E nota, o Re, che i sapienti hanno rivelata l'Opera con poche parole,
sebbene ve ne abbiano aggiunte molte altre, affinché non fossero
compresi se non dai sapienti. Ed i sapienti, in verità, dissero ;
che la pietra e una sola, ed i composta
da quattro nature; queste quattro nature
sono: il fuoco, l'aria, l'acqua e la terra.
E questa pietra, e simile alla pietra nell'apparenza e al tatto,
ma non nella sua natura; ed è chiamata pietra, come una
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cosa composta.
Questo composto, se e condotto per via i
retta, e ciò che si cerca; in lui non vi è
nulla di superfluo o di mancante, anzi:
tutto ciò che è nella pietra è a lei necessario,
e non ha bisogno di nient'altro.
E' detto composto, ovvero pietra,
è di una sola natura e di una sola cosa...”
La Pietra, sinonimo di qualcosa nato nella Terra ed estratto dalla “Miniera”
simbolizza la Materia Prima, imperfetta e volgare, che deve essere rettificata grazie
all'azione del Fuoco Alchemico.
Anche il Crogiolo ed il Matraccio utilizzati dall'alchimista rispettivamente nella “via
secca” e nella “via umida” sono oggetti fatti di Terra Cotta il primo e di Sabbia Fusa
il secondo, che ricevono il calore del fuoco per operare delle trasformazioni, notate
che simbologie differenti hanno lo stesso significato ?
A Roma, nella centralissima Piazza Vittorio, esiste uno dei monumenti alchemici più
interessanti e misteriosi d'Italia: una “porta” con strani segni e raffigurazioni con
affianco due statue raffiguranti BES, la divinità egizia della notte che presiede al
divertimento, alla virilità e alla riproduzione. E' situata al centro del quartiere
Esquilino dove prima sorgeva villa Palombara di cui ora rimane ben poco.
Fu proprio il marchese Massimiliano di Palombara a far erigere questa misteriosa
porta; un vero monumento all’alchimia. La porta fungeva da entrata nei cosiddetti
HORTI e fu costruita verso la fine del '600. In seguito con la distruzione di villa
Palombara fu ricollocata dove dopo tre secoli è ancora la a testimonianza del passato e
delle grandi conoscenze possedute dal Marchese di Palombara.
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Si racconta che il marchese Massimiliano di Palombara era adito alle scienze occulte e
si sospetta facesse parte dei rosacroce (testimonianza è il bassorilievo che sormonta
l’architrave è identico ad un frontespizio di un saggio rosacrociano), e proprio queste
lo portarono a conoscere un mendicante. Si racconta che il mendicante fu avvicinato
dallo stesso marchese incuriosito, da quello strano personaggio che si aggirava per gli
horti in cerca di qualcosa. Il mendicante interrogato disse al Palombara che stava
cercando delle erbe per creare il nobile metallo, ed è lo stesso Palombara che accolse
il mendicante e gli diede la possibilità di eseguire i suoi esperimenti nel laboratorio
fornitissimo di ampolle e materiali chimici. La mattina seguente il palombara entrando
nel laboratorio trovò sul bancone da lavoro alcune pergamene dai simboli alchemici e
qualche pagliuzza d’oro ma del mendicante neanche l’ombra. Un'altra versione
smentisce in pieno la leggenda del mendicante, attribuendo al vero senso ermetico
della porta un valore più spirituale. Ancor oggi non si sa quale fu la verità ma
sappiamo che il mendicante aveva il nome di Giuseppe Francesco Borri un mago e
taumaturgo scacciato dal collegio dei Gesuiti perché interessato alle pratiche occulte.
I simboli che sono presenti sulla porta (syllabae chimicae) sono tratti dalla
"Commentatio de Pharmaco Catholico" pubblicati nella Chymica Vannus, nel 1666.
Tra gli altri troviamo una breve ma precisa descrizione dell'Opera Alchemica e,
parlando della Materia Prima la Porta ci insegna che:
“EST OPUS OCCULTUM VERI SOPHI APERIRE TERRAM
UT GERMINET SALUTEM PRO POPULO”
"È opera occulta del vero sapiente aprire la terra,
affinché germini la salvezza per il popolo"
Un'altra iscrizione sulla porta alchemica recita cosi:
“HORTI MAGICI INGRESSUM HESPERIUS CUSTODIT DRACO
ET SINE ALCIDE COLCHICAS DELICIAS NON GUSTASSET IASON”
"Il drago delle Esperidi custodisce l’ingresso del magico giardino e senza Ercole,
Giasone non avrebbe assaporato le delizie della Colchide"
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Ma cosa significa la frase “Aprire la Terra” ?
A cosa ci si riferisce in alchimia quando si parla del Drago o del Serpente ?
E' interessante notare che anche il Chakra Muladhara è identificato con l'elemento
terra, è localizzato al centro del perineo tra l’ano e i genitali ed è qui che si colloca
l’ingresso della Sushumna, il canale energetico ostruito da Kundalini.
( vedi capitolo V )
Muladhara, «il sostegno della base», viene rappresentato come un loto di colore
giallo dorato con quattro petali scarlatti con inscritte in oro le quattro ultime
consonanti dell’alfabeto sanscrito: «v, sh (linguale), sh (palatale), s».
I loto dei Chakra hanno la corolla rivolta verso il basso a indicare che devono ancora
sbocciare e aprirsi, devono cioè ancora attivare tutte le loro potenzialità e lo fanno
quando Kundalini li attraversa.
L’elemento a esso correlato è la terra rappresentata da uno yantra o mandala (i due
termini in questo contesto possono essere intercambiabili) quadrato con 8 lance o
folgori che escono disposte come la rosa dei venti. Un altro yantra compare in
muladhara e cioè il triangolo chiamato Traipura o Kamarupa pervaso da un
particolare soffio vitale, il kandaipa, visualizzato con l’aspetto di Kama, il dio
dell’amore, rosseggiante come «dieci milioni di soli». Nel triangolo Traipura, i cui tre
lati sono presidiati dalle divinità femminili Vama, Jyeshtha e Raudri, personificazioni
di volontà, conoscenza e azione, risiede la dea Tripurasundari nella forma del suo
bijamantra «klim».
Sempre all’interno del triangolo si trova il Lingam Svayamhhu, splendido come oro
fuso e a forma di germoglio avvolto su se stesso, irradiante splendore lunare, sede di
Shiva dall’incarnato verde-blu.
L’imboccatura del Lingam, il Brahmadvara, ovvero la «Porta di Brahma», è ostruita
da Kundalini, attorcigliata a guisa di serpente tre volte e mezzo su se stessa,
abbagliante come una folgore e dolcemente «ronzante» come uno sciame di api.
Signora degli esseri, ammaliatrice, fonte del suono, confonde il mondo con i suoi
giochi illusori e solo lo yogin riesce a dissiparne i veli.
Kundalini viene descritta come una splendida giovane assisa su un leone, con tre
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occhi e quattro braccia con due mani atteggiate nel gesto che dissipa la paura (mano
alzata con palma visibile), ed elargisce doni (mano abbassata con palma sempre
visibile), mentre regge nelle altre due un libro e un liuto; ma il simbolo più utilizzato
per rappresentarla è quello del Serpente.
Il passo è citato dal filosofo Kashmiro Kṣemarāja (X-XI sec.) nel suo commento agli
Śivasūtra:
«Questa potenza è chiamata suprema, sottile, trascende ogni norma di
comportamento. Avvolta intorno al punto luminoso (bindu) del cuore, all'interno
giace nel sonno, o Beata, in forma di serpente addormentato e non ha coscienza di
nulla, o Umā. Questa Dea, dopo aver immesso nel grembo i quattordici mondi
insieme con la luna il sole i pianeti, cade in uno stato di obnubilamento come di chi è
offuscato dal veleno. È risvegliata dalla suprema risonanza naturale di conoscenza,
[nel momento in cui] è scossa, o Eccellente, da quel bindu che sta nel suo grembo. Si
produce infatti uno scuotimento nel corpo della Potenza con un impetuoso moto a
spirale. Dalla penetrazione nascono per prima i punti splendenti di energia. Una
volta levata Essa è la Forza (kalā) sottile, Kundalini.»
Da questo punto di vista, Kundalini non è che uno dei nomi della Shakti, della
Divinità Femminile cioè: uno degli aspetti, in ultima analisi, di Dio. Così, prima di
entrare nel dettaglio delle pratiche, si rivolge alla Dea Kundalini il filosofo Kashmiro
Abhinavagupta (X-XI sec.), sistematore di queste tradizioni:
«O visione d'ambrosia immortale e suprema che splendi di luce cosciente scorrendo
dalla Realtà assoluta, sii il mio rifugio. Grazie a essa ti adorano coloro che
conoscono il mistico arcano.»
(Abhinavagupta, Tantrāloka, XXIX; citato in Silburn 1997, p. 277.)
Il passo dal Tantrasadbhāva sopra citato procede lasciando intendere che il nome
Kuṇḍalinī derivi da kuṇḍalī, generalmente tradotto con "ricurva", o anche con
"attorcigliata":
«Scossa dal bindu, l'immortale Ricurva (Kuṇḍalī) si drizza in una linea; essa è
conosciuta allora come Diritta (Rekhinī).»
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In Alchimia esiste un serpente, guarda caso attorcigliato come la Kundalini, è il
famoso Ouroboros:
Il Serpente Ouroboros dell'alchimia, notare che è arrotolato ed la centro un bimbo sdraiato, latente.
Il nome della Kundalini deriverebbe quindi dallo stato in cui normalmente si trova
questa energia; "dormiente", "addormentata", "quiescente", "inattiva", "sopita",
"inconscia": sono questi i termini che generalmente si trovano in letteratura per
riferirsi alla Kuṇḍalinī di cui non si è ancora preso coscienza tramite una delle
pratiche canoniche.
Il riferimento al serpente come immagine simbolica della Kuṇḍalinī rende bene
l'idea di qualcosa che normalmente è in stato di riposo, arrotolato su sé stesso come
spesso il serpente giace fintanto che non venga stimolato o non si muova in cerca di
cibo.
«Il serpente, temibile per il suo veleno, simboleggia tutte le forze malefiche; allo
stesso modo la Kuṇḍalinī, finché riposa inerte in noi, corrisponde alle nostre
energie inconsce, oscure, allo stesso tempo avvelenate e velenose.
Inversamente, queste stesse energie, risvegliate e dominate, diventano efficienti e
conferiscono una potenza reale.»
(Silburn 1997, p. 39 La Kuṇḍalinī o L'energia del profondo, Adelphi, 1997)
In quanto abitatore del sottosuolo, quindi appartenente all'elemento Terra, questo
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animale simboleggia una forza occulta, misteriosa e pericolosa, che deve essere
risvegliata ed armonizzata col proprio essere per poter beneficiare delle sue poderose
qualità curative.
Infatti, come spesso avviene nel mito, le cose pericolose, quando conosciute, perdono
quest'aspetto per svelarne un altro opposto, benefico. La Kundalini quando riposa è
come un serpente raccolto su sé stesso, pronto a scattare per mordere e così iniettare
il suo veleno; ma quando è risvegliata è come il serpente dritto sulla punta della coda,
rigido come un bastone, inoffensivo.
Il serpente arrotolato fa parte anche della simbologia Gnostica, questo è il cosiddetto “Uovo Gnostico”
Fin dall'antichità, il serpente è stato considerato simbolo di trasformazione grazie alla
sua capacità di mutare pelle, ed è stato associato al benessere fisico, spirituale e
all'illuminazione.
Il Bastone di Asclepio, simbolo della moderna medicina, e il Caduceo di Hermes,
messaggero degli dèi (cioè mediatore fra l'umano e il divino), presentano
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rispettivamente uno e due serpenti che si avvolgono attorno ad un bastone.
Quest'associazione fra bastone e serpente compare anche in altre narrazione
mitologiche, come quella descritta nell'Antico Testamento:
«Il Signore gli disse: "Che hai in mano?". Rispose: "Un bastone". Riprese: "Gettalo
a terra!". Lo gettò a terra e il bastone diventò un serpente, davanti al quale Mosè si
mise a fuggire. Il Signore disse a Mosè: "Stendi la mano e prendilo per la coda!".
Stese la mano, lo prese e diventò di nuovo un bastone nella sua mano.»
(Esodo, 4, 2-4)
Il culto dei serpenti era, in India come altrove, diffuso già prima del V secolo.
I Nāga erano un popolo di esseri metà uomo metà serpente, depositari di un'antica
conoscenza, e tuttora sopravvivono, presso alcuni templi indiani, raffigurazioni di
questi esseri mitologici. Gli stessi Asura, una classe di dèi vedici erano raffigurati
anche come dèi-serpente.
«Il Veda è in realtà il sapere dei serpenti.»
(Śatapatha Brāhmaṇa, XIII, 4, 3, 9; citato in Alain Daniélou, Śiva e Dioniso,
traduzione di Augusto Menzio, Ubaldini Editore, 1980, p. 107)
Śiva è sempre raffigurato come ornato di serpenti; ma anche Vi ṣṇu è associato al
serpente cosmico Śeṣa. L'iconografia canonica del filosofo buddhista Nāgārjuna lo
vuole assorto in meditazione all'ombra di un serpente (nāgā) a una o più teste.
Nell'antica Creta il culto dei serpenti rivestiva un aspetto importante, e così pare
anche in alcuni culti dionisiaci. Il serpente, come simbolo variamente significato,
compare in molte altre civiltà e manifestazioni a carattere religioso, e a tutt'oggi se ne
trovano ancora esempi, come nella festa di San Domenico di Sora in Abruzzo.
Secondo gli Yogi, tale energia si risveglia e dinamizza attraverso il sadhana (pratica
della disciplina) ed entra nella direttrice centrale, detta Sushumna o Shusumna, nella
fisiologia sottile delle tre principali Nadi del corpo umano, così da risalire i Chakra
superiori fino alla sommità del cranio.
Lungo il suo percorso, la Kundalini attraversa i Chakra risvegliandoli e potenziandoli.
Giunta al settimo Chakra, detto Sahasrara o anche "loto dai mille (petali)", essa si
connette con l'energia onnipervadente universale e questa connessione è detta yoga,
termine che significa appunto unione; a questo livello l'individuo raggiunge uno stato
che viene comunemente definito Realizzazione del Sé o risveglio secondo la
tradizione indiana.
Secondo gli adepti del Sahaja Yoga, l'innalzarsi di questa energia permetterebbe di
sperimentare, in piena consapevolezza, nuovi stati di coscienza e sarebbe solitamente
accompagnato da una serie di fenomeni particolari che possono essere di tipo fisico,
sensoriale, percettivo. L'effettiva manifestazione del risveglio della Kundalini è la
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consapevolezza e la conoscenza del passato presente e futuro, e un'espansione della
coscienza. Grazie all'azione benefica della Kundalini sui Chakra e sul sottile in
genere, si può raggiungere uno stato di benessere completo, un senso di gioia ed
armonia incondizionati. Il risveglio della Kundalini non può essere forzato.
Anticamente esso poteva avvenire solo e soltanto quando tutti i Chakra del praticante
erano perfettamente purificati e quindi aperti: non offrendo più ostacolo, la Kundalini
poteva salire e attraversarli.
Gli Alchimisti parlano di aprire la terra “Visita Interiora Terrae...” e purificarla
“...Rectificando...” per ritrovare o risvegliare “...Inveneins...” questa energia segreta
chiamata Pietra Occulta, “...Occultum Lapidem...”, che sarebbe la panacea, la cura,
per ogni male e l'Elisir di lunga vita, la “...Veram Medicinam”.
Nel famoso “Libro dei Geroglifici” di Nicolas Flamel, il famoso alchimista parla del
“Libro di Abramo L'Ebreo” e delle figure misteriose contenute in quel misterioso
libro; tra le altre allusioni al serpente, appare una interessantissima figura che ricorda
in modo sconvolgente l'iconografia Indiana della Kundalini:
Dal “libro delle Figure Geroglifiche di Flamel”
Notare i particolari, la coda del serpente poggiata su un piccolo monte fatto di terra, il
Chakra Muladhara, mentre il serpente risale la Croce, altro simbolo del corpo umano
e della spina dorsale in particolare.
Il “Bastone di Asclepio” simbolo utilizzato anche dalla medicina contemporanea è
esattamente questo, un Serpente attorcigliato su in bastone.
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Anche il Caduceo di Mercurio simbolizza la stessa cosa:
Dal “libro delle Figure Geroglifiche di Flamel”
In questa immagine, sempre tratta dal libro di Flamel, possiamo vedere come è fatto
il Caduceo, simbolo di conoscenza e di guarigione, notate come i due serpenti, in
questo caso simbolizzanti i canali energetici ( Nadi ) , Solare e Lunare, che si
intrecciano al canale centrale Sushumna, dove scorre la Kundalini una volta
risvegliata.
Il caduceo era il bastone o lo scettro del dio greco Hermes (divenuto Mercurio per i
Romani) che lo esibiva come simbolo per dirimere le liti. Per questo il caduceo
veniva mostrato dagli araldi e dagli ambasciatori come simbolo della loro funzione
mediatrice e come emblema della loro inviolabilità. Lo scettro, all'inizio un semplice
bastone, aveva anche una valenza morale, poiché rappresentava la condotta onesta e
al tempo stesso la salute fisica della persona. Hermes/Mercurio, in quanto
messaggero degli Dei, era anche il mediatore della volontà divina presso gli uomini.
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Curiosamente, come ho già detto, nella filosofia Tantrica Indiana ritroviamo gli stessi
simboli, ma meno ammantati di mistero e molto più chiari nella comprensione.
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Basandosi sulla possibilità di più significati offerta dal vocabolo sanscrito naga che
principalmente significa «serpente», ma che può anche essere collegato all’elefante,
Kundalini sarebbe la sintesi dei simboli visti precedentemente: energia vitale
materializzata che sa, conosce, ricorda le vie lungo cui deve muoversi, le forme cui
può dare origine.
La Shakti, l’energia cosmica femminile, qui si proietta come Dakini, terrificante dea
risplendente come il sole nascente, vestita di nero, con volto feroce e occhi rossi, ha
quattro braccia nelle cui mani ci sono la lancia, il khatvanga (un bastone con infilato
un teschio), la spada e la tazza ricolma di liquido inebriante.
Dakini purifica l’intelletto e conferisce l’illuminazione, è la strega, simbolo della
forza «materializzante», dell’avvenuta caduta dello «spirito nella materia» o meglio,
della «coagulazione», come direbbero gli alchimisti, tra materia e spirito apparsi
all’esistenza.
Da quanto appare esaminando i simboli di Muladhara, questo Chakra definisce un
particolare «centro energetico» del corpo che sembra costituire un punto di
coagulazione, di concentrazione, di origine dell’energia vitale con tutte le sue
potenzialità presenti ma inespresse.
Il punto in cui è arrivata a compimento la coagulazione della «Terra madre».
Un punto in cui la vita trova perciò le sue radici.
Da un punto di vista fisico possiamo individuare in questa zona il tratto terminale del
midollo spinale e in particolare le radici sacrali del parasimpatico e il plesso sacrale.
Questa fascia neuro-vegetativa è legata effettivamente a quelle funzioni che già lo
yoga attribuisce a questa ruota, cioè il parto ovvero la nascita, la possibilità di rendere
manifesta al mondo una nuova vita; l’erezione e lubrificazione ovvero la possibilità
di muovere energia sessuale verso l’alto o verso l’esterno (basso); la minzione e
defecazione ovvero la possibilità di muovere energia di «rifiuto» verso l’esterno.
Inoltre, dal plesso sacrale partono i rami nervosi per le gambe (ad esempio il nervo
sciatico) e per i piedi che pure sanciscono il rapporto dell’organismo con la terra,
energia iniziale, associati a questo Chakra.
Vi è pure una ghiandola esocrina (= secrezione esterna) che si colloca nella fascia di
pertinenza del primo Chakra ed è la prostata, presente nell’uomo ove avvolge la
porzione più interna dell’uretra. E' composta da quattro grossi lobi (raggruppamenti
ghiandolari): uno anteriore, due laterali, uno posteriore e il suo apice corrisponde
esattamente al centro del perineo.
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Anche nella donna esiste un punto, detto punto G, situato sotto l’uretra, a livello della
parete superiore della vagina, che sembra essere associato al residuo embrionale della
prostata. Solo da poco cominciano a essere riconosciuti il ruolo e l’importanza
fondamentali del secreto prostatico nel determinare l’ «attivazione» degli
spermatozoi, mentre è da tempo riconosciuta l’importanza della prostata e del punto
«G» per la generazione della «energia» sessuale rispettivamente maschile e
femminile. Questi organi, infatti, sono riccamente innervati, sia dai nervi sacrali che
da rami che partono dal plesso ipogastrico, e possono generare una stimolazione
nervosa molto potente ma non necessariamente «orgasmica».
Perché l’energia sessuale vada verso l’esterno, generalmente ci deve essere anche la
stimolazione di Svadhishthana, il Chakra successivo, legato più direttamente agli
organi genitali, pene e clitoride; essi, stimolando l’eiaculazione e l’orgasmo, dirigono
l’energia sessuale verso l’esterno, verso l’ «altro da sé».
Il Fuoco Segreto degli Alchimisti, la Kabbalah e la Kundalini.
“...Rectificando Inveniens...”
Gli alchimisti dicevano che “senza il giusto vaso non si fa l'opera” e “senza il Fuoco
Segreto nessuna trasformazione sarà possibile”.
L'elemento Terra necessita, in una prima fase detta “Nigredo”, di una profonda
purificazione; soltanto dopo aver rimosso le impurità sarà possibile risvegliare ed
esaltare al massimo grado la potenza della Pietra.
Il Fuoco segreto presente nell'Antimonio, ma sopito dal velenoso mercurio, deve
essere attivato per produrre le trasmutazioni successive.
Secondo le filosofie Orientali il primo ed unico ostacolo da rimuovere nel cammino
verso l'Illuminazione consiste nell'Ego; tutto ciò che è attaccamento alla vita
materiale, ai beni, ai dolori, tutto ciò che è incoscienza, vizio, istinto può essere
definito come tale; è l'identificazione nel corpo e nell'individuo.
L'Ego ( “Io sono” o “Io Faccio” ) agisce sulla Kundalini, il Serpente arrotolato
Ouroboros, che essendo non controllata dalla Coscienza, inietta il suo potente veleno
nell'animo dell'Uomo, soltanto lo Yogi, l'Alchimista, il Siddha è in grado di
controllarla.
L'Ahamkara ( l'Ego ) che come già detto è una delle quattro parti dell'Antahkarana
( struttura interna del Se ); si alimenta dell'energia potente ma femminile, quindi
passiva, della Kundalini; soltanto la coscienza attiva e maschile di Shiva è in grado di
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armonizzarsi con la Shakty-Kundalini e formare il Rebis, l'essere perfetto in quanto
Maschile e Femminile allo stesso tempo quindi dotato del potere del creatore.
La Luce della Kabbalah è il Prana, l'Alkahest, il Solvente Universale, è quello che
molti Alchimisti chiamano: « Fuoco acquoso » o « Acqua ignea » o « Acqua ardente
» ( acqua perché riempie il vaso, fuoco perché è luce, energia, emanazione ) anche
definito Sale nella triade Zolfo-Sale-Mercurio; è uno dei più essenziali segreti
dell'Opera Alchemica sul quale molti autori mantengono il più assoluto riserbo,
tranne qualche indizio rivelatore.
È l'agente mediatore, il “Vescovo” di Basilio Valentino, che compie il “Matrimonio
Alchemico” tra il Sole e la Luna, tra le energie polarizzate.
Nella tradizione Tantra il mediatore è l'Elemento Aria e più precisamente il Prana,
energia cosciente che pervade tutto l'universo e che serve, attraverso la pratica del
Pranayama Yoga, per purificare ed attivare la Kundalini.
Tornando alla nostra cara Alchimia è interessante notare che sempre simbolicamente,
il fuoco necessita dell'aria per essere attivo, senza aria il fuoco non esiste, quindi aria
e fuoco sono intimamente connessi, si può dire che il fuoco è una forma di aria
riscaldata; Aria e Fuoco quindi sono gli agenti indispensabili nel processo alchemico
di trasmutazione, perché il Prana serve ad alimentare il Fuoco Segreto della
Kundalini presente ma “spento” o “assopito” nel Chakra Muladhara, il Vaso o
Crogiolo.
Una immagine alchemica che racchiude tutte le simbologie essenziali
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Lo Zohar afferma che nel “vaso”, nell'essere umano e più precisamente nel suo cuore,
Dio ha posto un piccolo frammento di sé, frammento nero, inerte, come morto, che va
“riattivato” attraverso una purificazione dell'ego, della parte terrestre; una
purificazione del vaso stesso.
La piccola porzione Divina, una volta attivata, comincerà a crescere ed a trasmutare il
Cabalista permettendogli di risalire spiritualmente verso la congiunzione con Dio
stesso, in uno stato di perfezione assoluta ottenuto grazie alla riunificazione dei
principi Maschile di Shiva e Femminile di Shakti.
Il Conte di Saint Germain ed il serpente arrotolato
L'idea del Fuoco segreto è presente anche nelle conoscenze iniziatiche Ermeticoalchemiche come ad esempio nel libro “La Tres Sante Tronosiphie” attribuito
all'iniziato Conte di Saint Germain, colui che ha scoperto il segreto dell'immortalità.
Il testo in questione illustra la questione del Fuoco Segreto associato al potere del
vulcano, sotto l'influenza di Venere; questo libro riprende sotto molti aspetti i testi
alchemici e cabalistici aggiungendo quel simbolismo mistico di gran voga nelle
scuole esoteriche.
Nel libro, Saint Germain descrive la sua iniziazione attraverso i dodici gradi della
conoscenza cosmica; l'utilizzo del Fuoco Terrestre sotto forma di eruzioni vulcaniche
simbolizza la presenza di una energia vitale potentissima, nascosta nelle “viscere”
della terra.
La Tres Sainte Trinosophie è suddiviso in 12 sezioni, ognuna con la propria
illustrazione colma di simboli e significati nascosti; un po' come le “Dodici Chiavi”
di Basilio Valentino.
La storia comincia con Saint Germain che si appresta a passare la notte sul Vulcano
Vesuvio, ad un certo punto trova un altare sul quale è posto un Calice alla cui base si
trova un serpente arrotolato 12 volte.
Quindi Saint Germain entra in una caverna infuocata nella quale incontra un serpente
verde-oro con gli occhi color rubino, che lui dovrà affrontare con una spada, simbolo
della volontà. Con questo atto egli elimina dalla sua coscienza rabbia, odio ed
orgoglio.
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In una delle scene rappresentate, Saint Germain è di fronte ad un altare triangolare sul
quale è posto un elaborato candelabro, la sua base è formata da due serpenti
attorcigliati e termina con un Loto; due iscrizioni accompagnano l'illustrazione:
“L'onere è dato al più forte” e “Accendi un Fuoco sul punto più alto dove il sacrificio
può essere portato sul più desiderato”.
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L'illustrazione finale mostra il paradiso illuminato ed un triangolo circondato da da
un quadrato ed un cerchio. Qui Saint Germain è accompagnato dalla Isis Rivelata, la
Dea della Vita e della Natura.
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L'albero dei Sefirot.
E’ possibile inoltre stabilire delle impressionanti corrispondenze tra Nadi e colonne
dell’albero della vita nonché tra Chakra e Sephiroth, a dimostrazione del fatto che la
conoscenza della verità, seppur descritta ed insegnata in modi e con terminologie
differenti, fa parte del bagaglio di saggezza che ogni popolo possiede e che ha
sviluppato grazie alla grande saggezza e consapevolezza raggiunta dai pochi saggi
Illuminati.
Il primo Chakra o settimo, dipende da dove si comincia ad elencare i Chakra, è il
Sahasrara e si dice essere localizzato sulla sommità della testa; sembra pertanto
evidente la corrispondenza con Kether il cui significato ebraico è corona. La coppia
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Chokmah-Binah viene di solito relazionata all’Ajina. La dualità di tale complesso
sephirotico potrebbe essere rappresentata dai due petali che questo “loto” possiede
nella sua iconografia. Inoltre proprio tra quelle due Sephiroth si trova Daath, la
Conoscenza ed in effetti l’ajina, situato tra le sopracciglia, è riferito anche al Terzo
Occhio di Shiva ovvero l’occhio della Conoscenza.
Correlazioni tra Chakra e Sefitor
Per quanto riguarda il Vishuddha, esso viene solitamente collegato alla coppia di
Sephiroth opposte Chesed-Geburah.
Quanto a Tiphareth, la sua posizione centrale richiama immediatamente l’Anahata
detto anche Chakra del Cuore e che si dice essere collegato alla capacità di amare
ogni essere vivente .
Al livello della regione ombelicale troviamo il Manipura legato alla coppia HodNetzach che microcosmicamente è posizionata proprio all’altezza del bacino.
Yesod è legata allo Svadhishthana, data l’attinenza di entrambi agli organi genitali ed
in particolare all’istinto riproduttivo.
Infine troviamo il connubio Malkuth-Muladhara. Del cakra in questione si dice essere
collegato alla funzione di sopravvivenza e che è associato alla quantità di energia ed
alla volontà di vivere nella realtà fisica. Quando il Muladhara è pienamente
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funzionale, il coccige agisce come una pompa a livello eterico e contribuisce a
convogliare il flusso energetico lungo la colonna vertebrale contribuendo ad un senso
di stabilità e forza fisica.
Quanto detto è brevemente riassunto nella seguente tabella:
Sephira
Chakra
Localizzazione - Ghiandola
Kether
Sahasrara
Sommità della testa - Epifisi
Chokmah - Binah
Ajina
Fronte - Ipofisi
Chesed - Geburah
Vishuddha
Gola - Tiroide
Tiphareth
Anahata
Regione cardiaca - Timo
Netzach - Hod
Manipura
Plesso solare - Pancreas
Yesod
Svadhishthana
Basso addome,
Gonadi
Malkuth
Muladhara
Perineo - Surrenali
genitali
-
Come si è detto, è anche possibile mettere in relazione le tre colonne dell’Albero
della Vita con le Nadi.
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Le associazioni sono abbastanza dirette:
- Pingala, maschile ed attiva, può assimilarsi alla colonna della Misericordia
- Ida, femminile e passiva, colonna del Giudizio
- Sushumna, neutra, colonna di Mezzo
Osserviamo che l’attività o la passività è sempre relazionale: ciò che è positivo in un
piano è negativo nell’altro.
Così Chockmah-Binah sono in rapporto attiva-passiva, mentre Chesed-Geburah sono
passiva-attiva.
Questo fatto può essere ricollegato all’avvolgimento di Ida e Pingala intorno a
Sushumna.
E’ infine interessante come quanto detto ricordi anche la struttura elicoidale del DNA
che è scientificamente la base della vita.
Nel simbolismo dell’Ordine dunque Sushumna rappresenta la Luce, Ida l’Onore,
Pingala il Cuore.
Non è vero che l'uomo deve coltivare il suo aspetto femminile mentre la donna deve
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coltivare il suo aspetto maschile ( qui sta il grande errore di Jung, ripreso e
continuamente divulgato dai suoi poco attenti ammiratori, che abbracciano e
divulgano concetti errati solo perché provenienti da personalità “autorevoli” ed
“ufficiali” ) perché a prescindere dalla sessualità che ci è stata data alla nascita, che
nulla c'entra con la Kabbalah ne con L'alchimia, nel nostro più profondo intimo siamo
Ego: l'agente attraente, la luna; per ricongiungerci a Dio e compiere la sua opera
dobbiamo risvegliare e sviluppare in noi la caratteristica fondamentale di Dio, la sua
polarità irradiante, solare, che dona Luce ed Amore incondizionatamente, una
componente presente allo stato latente in ognuno di noi e che va riconosciuta,
coltivata ed accresciuta fino a diventare la pietra filosofale, la “perfetta perfezione”
come amavano dire gli alchimisti.
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Conclusioni
La ricerca non è finita, gli argomenti trattati ed appena accennati meriterebbero molta
più attenzione; vedete questo libro come una introduzione e non come una completa
ed esauriente trattazione; d'altronde non si può riassumere tutto in un libro, la vera
ricerca va fatta libro per libro, passando da un argomento all'altro approfondendolo il
più possibile.
Spero che grazie a questo piccolo lavoro il lettore abbia potuto chiarire molti dubbi
ed incomprensioni cosi da avere un quadro più chiaro e privo di falsità sull'argomento
Alchimia.
Molto altro ci sarebbe da dire, avrei potuto trattare dell'Alchimia Taoista ma viste le
similitudini con la filosofia del Tantra Yoga, ho evitato; consiglio comunque il lettore
deciso ad approfondire la ricerca ad affrontare anche il tema Taoismo, dove
incontrerà gli stessi concetti basilari della “Unione delle polarità” e delle energie
vitali ( Prana ) chiamate Chi in Cinese.
Altro consiglio che mi sento di dare, continuate la ricerca e sperimentate; perché
nessun libro può insegnare ciò che si impara sperimentando; primo fra tutti il
Pranayama.
Non vi accontentate di ciò che avete letto, indagate per conto vostro, studiate, cercate
le correlazioni, le differenze e fatevi una vostra idea personale.
Se avete domande, commenti o altro da comunicarmi, scrivetemi pure a
[email protected] risponderò volentieri a tutti, nei limiti del possibile.
Grazie della pazienza e dell'interesse.
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Appendice I
Come fare l'Oro in casa
I
Come ho ripetutamente sostenuto in questo libro, l'Alchimia è a mio avviso una
“scienza per l'Anima” una via per il risveglio interiore, ma ovviamente non tutti la
pensano così; la trasmutazione degli elementi è sempre stata una delle ricerche
condotte da chi si interessa di alchimia, anche il sottoscritto ha ricercato e
sperimentato diverse tecniche allo scopo di conseguire il risultato della trasmutazione
dei metalli. Forse penserete che tali esperimenti siano destinati al fallimento, invece
ci sono molte prove della possibilità di effettuare le cosiddette “trasmutazioni a
debole energia”. La scienza “ufficiale”, addormentata nei suoi dogmi, non ammette
tali possibilità, ma esistono persone che hanno realizzato cose che hanno dello
straordinario; ad esempio l'esperimento riportato qui di seguito, che ho avuto modo di
verificare di persona, dimostra quanto sia grande ancora oggi la nostra ignoranza
riguardo i segreti della materia.
In questo articoletto, pubblicato sul web all'indirizzo:
http://www.altrogiornale.org/news.php?extend.5131
che propone alcuni esperimenti di trasmutazione del mercurio in oro eseguiti da
Roberto A. Monti un ricercatore dell’Istituto Tesre del CNR di Bologna; troverete
molte associazioni tra Alchimia e trasmutazione degli elementi, a voi il giudizio, mi
limito solo nel commentare che una cosa è trasmutare il mercurio in oro ed un'altra è
sintetizzare una sostanza capace di infondere saggezza ed immortalità all'alchimista.
Ecco quanto ci comunica Roberto A. MONTI: a voi giudicare e sperimentare:
PRELUDIO
Verso la primavera dell’88, poiché non avevo niente da fare, decisi di rifare l’atomo.
A questo scopo mi affrettai innanzitutto ad annunciare la mia Il timore, infatti, di
mostrarmi non all’altezza dei miei propositi è sempre stato l’unico pungolo capace di
smuovere la mia naturale pigrizia.Durante l’estate sfogliai lentamente alcuni testi.
Per cominciare,Kervran: “Prove in geologia e fisica delle trasmutazioni a debole
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energia”, “Prove in biologia delle trasmutazioni a debole energia” (1).
Infine qualcosa di più adatto all’atmosfera di un campeggio al mare: “Il tesoro degli
Alchimisti” (2), “L’oro Alchemico” (3),”La pietra filosofale” (4), la “Summa
perfectionis” (5), “Il segreto della polvere di proiezione” (6), “Sulla preparazione
della vera pietra dei filosofi” (7), “Il libro di Alchimia” (8), “L’entrata aperta al
palazzo chiuso del Re” (9).
Di ritorno dalle ferie la dura realtà: avevo accettato un invito ad un convegno di
storia della fisica, a Camerino, e annunciato il titolo della mia comunicazione:
“Analisi storico - critica dei modelli d’atomo”. Dovevo decidermi a cominciare.In
due mesi di lavoro frenetico preparai non già una semplice comunicazione, ma un
intero volume. Alla fine dell’88 era già pubblicato (10).Dopo il convegno, dato che
c’ero, continuai. Durante l’inverno elaborai un nuovo modello d’atomo (il modello
Alfa - esteso) e,su questa base, ricostruii la Tavola Periodica degli Elementi (11).A
primavera avevo già finito.Così decisi di prendermi una settimana bianca a Corvara.
Bella.Dopo aver caricato gli sci per tornare a casa mi fermai a prendere il giornale:
era scoppiato il caso “Fusione Fredda”.
Per strada ebbi modo di riflettere. Era del tutto chiaro, per me, ciò che era accaduto
e dove Fleischmann e Pons ( gli inventori della fusione a freddo )si erano sbagliati:
A)
il palladio non agiva solo come catalizzatore delle reazioni Deuterio + Deuterio ma
“entrava” nelle reazioni. B) come conseguenza
delle reazioni nucleari a debole energia (reazioni “Alchemiche”) tra Palladio e
Deuterossido di Litio (LiOD) il Palladio bruciava come un cerino formando una
pletora di nuovi nuclei.
Inoltre, nell’87, io avevo rielaborato una idea originale di Renzo Boscoli in un
articolo intitolato: “Il modello criogenico di fusione
nucleare” (12) ed avevo fatto una richiesta di fondi al CNR per esperimenti sulla
Fusione Fredda - anzi: “freddissima”.Non ricevendo risposta mi ero rivolto anche
alla stampa. Stesso risultato.Ma ora, sull’onda del clamore suscitato da Fleischmann
e Pons attorno alla Fusione Fredda, era il momento di ripropormi.Fui infatti
“ripescato” dai media italiani (Biagi, Il Sole 24 Ore, La Stampa, Il Corriere,
Costanzo) e dal CNR (riunioni “di vertice” sulla Fusione Fredda) (13).
La redazione del Sole 24 Ore mi pagò persino il viaggio in aereo per partecipare al
grande meeting di Erice, dove esposi verbalmente
e per iscritto le obiezioni di cui sopra (A e B).Ovviamente era troppo: già sotto choc
per la “incredibile novità” di Fleischmann e Pons i “grandi scienziati” convenuti
non potevano tollerare che un giovinastro si facesse avanti dicendo: “guardate che
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quei due si sono sbagliati: hanno solo riscoperto l’Alchimia”.A farla breve, fu presto
evidente che il cerino di Fleischmann e Pons poteva bruciare una volta sola
(l’esperimento non era “riproducibile”) e non poteva quindi essere una “sorgente
continua di energia”, e la “non riproducibilità” consentì alla reazione Accademica
di affondare rapidamente la questione.Fortunatamente tuttavia io riuscii ad entrare
in contatto con John O’Mara Bockris, elettrochimico di fama internazionale.
La nostra corrispondenza, iniziata nell’89, si protrasse fino al ‘91 quando, al
Secondo Congresso Internazionale sulla Fusione
Fredda (ICCF-2) tenutosi a Como, ebbi modo di incontrarlo personalmente.Incontro,
come suol dirsi, “gravido di conseguenze”.
Infatti l’anno successivo (1992) Bockris ricevette da William Telander, businessman
d’assalto, la proposta, battezzata “The Philadelphia Project” e accompagnata da un
sostanzioso pacchetto di dollari, di ripetere alcuni tests di “trasmutazione dei
metalli”,
ideati da un certo Joe Champion.Bockris accettò, ma ritenne opportuno farmi venire
dall’Italia a College Station, Texas come unico “esperto di Alchimia” di sua
conoscenza.
Dovevo restare una settimana: rimasi sei mesi. Il primo di questi esperimenti
effettuati in mia presenza mi rivelò immediatamente di cosa si trattava. L’avevo già
visto in una illustrazione di circa cinquecento anni prima: la “Dodicesima chiave”
di Basilio Valentino (8). E funzionò: da una miscela di elementi chimici di purezza
garantita saltarono fuori alcuni milligrammi d’oro, che prima non c’era (in termini
di atomi, una enormità).Ovviamente cominciai a prendere gusto alla faccenda. Per
mia fortuna dei due assistenti di Bockris uno era un cinese spocchioso e l’altro un
bramino schizzinoso e si trattava - letteralmente - di uno sporco lavoro. Lo
lasciarono volentieri nelle mie mani. Ora, quando si tratta di questioni scientifiche,
io mi fido solo di me stesso.
In questo caso volevo essere ben sicuro che non ci fosse il trucco. Perciò
approfittando del fatto che il cinese e l’indiano staccavano regolarmente alle cinque
del pomeriggio (per me quasi prima mattina) preparai un test in completa solitudine
aggiungendo qualche spunto preso dalle mie letture alchemiche.Ricordo molto bene
il momento in cui, alla fine delle varie operazioni, mi ritrovai a guardare nove
palline gialle, oro puro, sul fondo di un beaker. E’ proprio vero: il primo oro non si
scorda mai. Si trattava di pochi milligrammi, ma a me bastavano.
Non bastarono invece ad Harmon Garfinkel, Vice President,Research and
Development, Engelhard Corporation, New Jersey.
Joe aveva dichiarato, infatti, di saper passare dai milligrammi ai
chilogrammi.Mentiva spudoratamente.Quando si trattò di dimostrarlo nei laboratori
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della Engelhard come condizione essenziale per firmare un primo contratto da dieci
milioni di dollari, fallì miseramente.A farla breve il Philadelphia Project abortì, ed io
ero libero di mettere a frutto per conto mio quanto avevo imparato.Nell’ottobre 1992
tornai in Italia e feci al CNR una nuova offerta:produrre metalli nobili (oro, argento,
platino…), usando le miniere della Sardegna come “copertura”, per sanare il debito
pubblico.Non ho mai avuto risposta. Suppongo abbiano pensato che ero matto.Così
modificai il progetto iniziale: pensai di utilizzare le reazioni di trasmutazione per
abbattere le scorie radioattive.In particolare, di usare la produzione di argento come
“driver” dell’abbattimento delle scorie.
Questo progetto trovò credito e finanziamento da parte di una compagnia Canadese,
con la quale lavoro tuttora. Dal 1994 in avanti ho messo a punto la tecnologia
necessaria.Nel 1996 ho fatto ripetere una prima serie di tests “indipendenti”
(progetto L.E.T. - Low Energy Transmutations) all’ENEA di Saluggia.I risultati
sperimentali mi hanno confermato che le indicazioni riscontrabili nei testi di
Alchimia sono sempre corrette, provando che l’Alchimia è una scienza sperimentale
(14).
Come dicevo, nell’89 nessuno mi aveva preso sul serio, così ho potuto lavorare per
anni indisturbato, senza concorrenza.
I bei tempi erano ora finiti: ma la diffusione delle informazioni che avevo dato negli
anni precedenti non comportava, per me,
alcun problema, perché le consideravo ormai obsolete (15).Nel 1996 Mizuno e
collaboratori sono andati finalmente a vedere
cosa c’era negli elettrodi di Palladio dopo le reazioni di “Fusione Fredda”.
Entro uno strato di un micron hanno trovato:Cromo, Ferro, Rame, Platino, Calcio,
Titanio, Manganese,Cobalto, Zinco, Cadmio, Stagno, Piombo, Gadolinio,
Arsenico,Bromo, Antimonio, Tellurio, Indio, Xeno, Afnio, Renio ed Iridio.
A questo punto anche Bockris si è deciso ad andare a vedere dentro i suoi elettrodi.
Entro uno strato di un micron ha trovato:
Magnesio (6,7%), Silicio (10,2%), Cloro (3%), Potassio (1,1%),Calcio (19,9%),
Titanio (1,6%), Ferro (10,5%), Rame (1,9%),
Zinco (4,2%), Palladio (31,9%), Argento (1,9%), Platino (7,1%).La concentrazione
iniziale del Palladio era: 99,8%.
Questi risultati hanno definitivamente convinto Bockris e Miley (Università
dell’Illinois) ad organizzare insieme nel Settembre
del ‘96 la Seconda Conferenza Internazionale sulle Reazioni Nucleari a Debole
Energia.Una “conferenza storica” secondo Hal Fox, editore degli atti, che “ha
segnato l’inizio di una nuova scienza e di una nuova tecnologia”(16).Molti altri li
hanno seguiti.Nel 1997 Miley e l’ENECO hanno preso saldamente in mano
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l’organizzazione della Settima Conferenza Internazionale sulla Fusione Fredda
(ICCF-7) che si è tenuta nella primavera del 1998 a Vancouver.Fleischmann e Pons
sono stati confinati a “Co - chairpersons Emeritus”, mentre le trasmutazioni l’Alchimia, ha avuto un ruolo centrale nel programma dei lavori (17).Nel 2000,
sfortunatamente, l’ottava Conferenza Internazionale (ICCF-8) si è tenuta in Italia
(Lerici) e il chairman era Franco Scaramuzzi.
Costui ha evidentemente mal digerito lo “scherzo” dell’89 (18).Solo con grande
fatica mi è stato possibile presentare all’ICCF-8 il “seguito” del lavoro del 1998.
Ma lo Scaramuzzi, nonostante io mi fossi piegato alla sua richiesta di fornire
“informazioni più precise sui miei esperimenti” (19) ha bocciato la pubblicazione
del mio lavoro sugli atti (20) (il mio nome è stato accuratamente cancellato.
Scaramuzzi non ha osato tuttavia cancellarmi anche dalla foto di gruppo).Ho
incassato e pensato ad una risposta adeguata.Quali sono i due argomenti di più
sicuro e inarrestabile interesse: di fronte ai quali non c’è “cintura di sicurezza” (21)
che tenga?Salute e soldi.Parafrasando Eco e Poe è dunque ormai tempo per Pim
Casaubon di “affrontare il giudizio del pubblico” (22).
ESPERIMENTI SULLA PREPARAZIONE DEL MERCURIO FILOSOFICO
NdE - Riteniamo opportuno far presente a tutti i “piccoli alchimisti” che si
cimenteranno nell’impresa che gli elementi citati da
Roberto A. Monti (mercurio, acido acetico glaciale, acido nitrico ecc…) sono
TOSSICI e quindi vanno maneggiati con estrema
attenzione.
E’ mia intenzione fornire informazioni sufficienti a dimostrare chiaramente:
A) Che il “Principio” di Lavoisier è sperimentalmente infondato (23).
B) Che l’Alchimia è realmente una Scienza sperimentale mediante un esperimento
facilmente riproducibile da chiunque e con poca spesa. A questo scopo ho scelto una
variante dei metodi indicati da Geber (5) per la preparazione del Mercurio
Filosofico, che è una particolare configurazione isomerica del Mercurio “normale”
o “volgare” (9), (23).
Si prenda dunque 1 kg di Mercurio (Hg). Ad esempio: Carlo Erba, Reagenti. Codice
n° 460737. Costo: L.221000 + iva.
Prima operazione.
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Si dissolvano 100 g di Hg in Acido Nitrico (HNO3), 65% RPE,per analisi, ad
esempio: Carlo Erba. Codice n°408022. Costo: al
litro L. 21800 + iva (per 6 litri: L.17100 al litro + iva) nella proporzione 1:5
(esempio: 100 cc di HNO3 + 500 cc di H2O distillata.Ipercoop L.1650 per 5 litri).E’
sufficiente mettere il Mercurio entro un beaker da 250 cc in vetro Pirex (L.6400 +
iva).
Si versi sul Mercurio la soluzione di Acido Nitrico 1: 5 fino a colmare il beaker.
Si ponga il beaker su una piastra riscaldante (L.100000 + iva),regolando la
temperatura a 90°C mediante un normale termometro a Mercurio (L.18000 + iva).
La dissoluzione si può fare tranquillamente entro una giornata (si aggiunga la
soluzione di HNO3 + H2O a mano a mano che evapora prendendola dai 600cc).Il
Mercurio si dissolverà totalmente, mostrando che non contiene tracce apprezzabili di
oro.
Seconda operazione
Si pongano i restanti 900 g di Mercurio in un contenitore di vetro (trovo ottime le
confezioni di marmellata Zuegg “Le tradizionali”,una volta mangiata la marmellata.
Ipercoop L.3970).Si versi sopra il Mercurio una miscela (al 50%) di aceto di vino
bianco (Ipercoop. L.1350 al litro) e di Acido Acetico Glaciale 99-100% (Polichimica
srl. Bologna. L.8000 al litro +iva) fino al livello del secondo rigonfiamento del
vasetto Zuegg.
Terza operazione
Si chiuda bene il vasetto e si agiti il contenuto fino a quando si vede il Mercurio
diviso in minuscole palline (un paio di minuti).
Lo si ponga al riparo in un cassetto chiuso a chiave. Si ripeta questa operazione
preferibilmente ogni giorno, quando viene in mente.
Quarta operazione
Dopo 10 - 15 giorni (quanto basta per mangiare con calma il contenuto di una
seconda confezione di “Tradizionali Zuegg” e
disporre così di un secondo vasetto) la “feccia” comincia ad “uscire” dal Mercurio.
E’ opportuno a questo punto “pulire” la miscela di aceto e di acido acetico
utilizzando il secondo vasetto Zuegg.
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A questo scopo si agiti il contenuto del primo vasetto fino a quando le fecce sono ben
sospese nella soluzione.
Si versi la soluzione nel vasetto vuoto (facendo attenzione a non versare anche il
Mercurio) e si riempia il primo(al livello indicato)con la soluzione preparata in
precedenza (per conservare la quale va bene qualsiasi contenitore di vetro).
Quinta operazione
Si lasci riposare la soluzione del secondo vasetto fino a quando le fecce sono ben
depositate sul fondo (10 - 15 giorni).Si ripeta la quarta operazione per circa quattro
mesi, quando vi fa comodo.Due vasetti di “Tradizionali”, un litro di aceto di vino
bianco e un litro di acido acetico sono quindi generalmente più che sufficienti.
Sesta operazione
Dopo circa quattro mesi (a seconda dell’impegno profuso) si può estrarre il primo
Oro dal Mercurio. Si prendano dunque 100 g di Hg “trattato” e li si dissolva in
acido nitrico 1: 5, come nella prima operazione. Il Mercurio si scioglie lentamente e,
quando ormai è ridotto a una pallina, fate attenzione. A un certo punto “esploderà”
espellendo tutto l’Oro prodotto che si disperderà sul fondo del beaker sotto forma di
una “polvere” di pagliuzze dorate molto belle a vedersi. Io ho fatto Oro molte volte
in modi diversi, ma l’Oro estratto direttamente dal Mercurio in questo modo è il più
bello che io abbia visto.
Potrete dunque ripetere questa operazione otto volte e produrre tanto oro da fugare
ogni dubbio sulla realtà di questa operazione Alchemica (consiglio di “pulire” l’Oro
prodotto con una soluzione 1: 2 di HNO3 + H2O. Dopo di che, lavate con acqua
distillata e asciugate il vostro oro, dentro il beaker sulla piastra
riscaldante.Conservate in un contenitore di vetro anche il nitrato di Mercurio
prodotto di volta in volta).
Come Filalete, anche voi saprete: “estrarre dal Mercurio il Sole, senza l’Elisir
Trasmutatorio” (9).Perciò ho chiamato questo esperimento: “1° Esercizio di
Filalete”.
Lo scopo di questo esperimento è, appunto, mostrare che:
1) Il “Principio” di Lavoisier è sperimentalmente infondato.
2) L’Alchimia è una scienza sperimentale.
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SECONDO PRELUDIO
“Si può paragonare l’Alchimia a quell’uomo che raccontò ai figli di aver sepolto
dell’oro nel suo vigneto, senza però dire dove.
Anche se i figli, scavando, non lo trovarono, la terra smossa e rivoltata con tanto
impegno diede loro una splendida vendemmia.
Allo stesso modo la ricerca e gli sforzi per fabbricare l’oro hanno reso possibili
molte utili invenzioni e non pochi esperimenti illuminanti”(Ruggero Bacone) (3).
“Coraggio dunque, giovani Ricercatori, non disperate di poter apprendere una
scienza tanto meravigliosa. Perché vi assicuro
che la scoprirete indubitabilmente se voi la cercherete non già mediante i
ragionamenti di qualsiasi altra scienza che abbiate
appreso, ma seguendo la forza e l’impetuosità dello spirito. E chi la cercherà per
mezzo dell’intelligenza e della luce naturale del
proprio animo, la troverà” (5).
Voi avrete ora prodotto il vostro primo Oro e potrete dunque considerare con più
attenzione la reale possibilità dell’esistenza della Pietra Filosofale, dell’Elisir
Trasmutatorio, dell’Elisir di Lunga Vita.
Io non sono un Adepto e dunque non ho la Pietra.Ma ritengo certa la possibilità di
produrla.Che gli Antichi ne fossero in possesso mi è confermato da Diogene Laerzio
nella “Vita di Epimenide” (24).Più recentemente, da Alberto Magno (1270) (3),
Geber (1300) (5), Basilio Valentino (1400) (3), Flamel (1413) (6), Aurach de
Argentina (1475) (6), Salomon Trismosin (1500) (3), Ireneo Filalete (1645) (9).
Penso che chiunque se ha “qualcosa da trovare” possa “far lavorar la fantasia,
giocar d’ invenzione e indovinare” (G. Galilei).
“…e comunicherò con te, che sogni di praticare quest’arte, per sapere che cosa
escogiterai per il bene pubblico quando sarai
Adepto” (9).
BIBLIOGRAFIA
1) C.L.Kervran. Librairie Maloine S.A. Paris, 1975 ; Giannone, Palermo, 1983.
2) J. Sadoul. Edizioni Mediterranee, Roma, 1972.
3) K.K. Doberer. ECIG, 1994.
4) G. Ranque. Ed. Mediterranee, Roma, 1989.
5) Geber. G. Tredaniel ,Parigi, 1984.
6) N.Flamel. Edizioni Mediterranee, 1983.
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7) G. Rupescissa. Atanor, Roma.
8) S. e P. Piccolini. Meb ,1987.
9) I. Filalete. Phenix, 1987.
10) R.A. Monti. Analisi storico - critica dei modelli d’atomo.Inediti, n. 12
Andromeda, Bologna, 1988.
11) R.A. Monti. Seagreen, n.8, Andromeda ,Bologna, 1989.
12) R. Boscoli, R.A. Monti. Seagreen, n.4 Andromeda, Bologna, 1987.
13) Fusione Nucleare Fredda: storia, cronaca e progetti sperimentali. Inediti n.23,
Andromeda, Bologna.
14) ENEA. Laboratorio nazionale per la Caratterizzazione dei rifiuti radioattivi di
Saluggia. L.E.T. Project 2° report. June 1997, by the Head of the Section F.Troiani.
15) R.A. Monti. Fusione Fredda e Relatività Einsteiniana: Stato dell’Arte. Reprint
n.9, Andromeda, Bologna, 1996.
16) Proceedings of the second conference on Low Energy nuclear Reactions.
Settembre 1996, Journal of New Energy vol.1 n.3.
17) ICCF-7. Proceedings , April 19-24, 1998. Vancouver, Canada. Ed.Eneco.
18) R. Boscoli, R.A. Monti. Eppur si fonde. Frigidaire. Albi delle nuove
scienze.Ed.Primo Carnera 1989, p.13.
19) R.A. Monti, E.F. Monti. Nuclear transmutation processes of Uranium and
production of metals by LENR. Submitted to ICCF-8. Lerici, May 2000.
20) ICCF-8 Proceedings 2001 Ed. Compositori, Bologna.
21) Seagreen n.2, Andromeda, Bologna, 1992, p.55.
22) R.A. Monti. Il pendolo sta di casa au Bon. Frigidaire, n.101, Aprile 1989, p.72.
23) R.A. Monti. Reazioni Nucleari a Debole Energia: la Rinascita della Alchimia.
Andromeda,Bologna,2001.
24) D. Laerzio. Vite dei Filosofi. Vol.1, Ed. Laterza, 1987, p.42.”
II
All’Università di Benares, in India, c’è un Dipartimento di Alchimia. Al primo piano
del tempio di Kashi Viswanath, che si trova all’interno dell’Università di Benares,
fondata negli anni ‘30 dal Pandit Madan Moham Malavya, c’è una targa di marmo
con una scritta in lingua Hindi che, tradotta in italiano, suona così:
“Nel mese di Charitra masa, Samvad 1999 (data del calendario Hindi che corrisponde
all’incirca al 1930 ), un vecchio residente del Punjab di nome Pandit Krishnapal Rasa
Vaidya, attualmente abitante a Kashi, ha effettuato un esperimento di alchimia in
Rishikesh alla presenza di Mahadeva Desai (PA del Mahatma Gandhi), Goswami
Ganesh Datta e G. K. Birla.
Del mercurio fornito da Desai fu convertito in 18 kg. di oro. Questo fu offerto in dono
al Sanathan Dharma Prathinidhi Sabha del Punjab; esso ha fruttato 72.000 rupie alla
sunnominata fondazione.Il Pandit Krishnapal ha in seguito ripetuto questo
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esperimento alla presenza di Shri Pratap Singh della Benares Hindu University”.
Un’altra targa simile dovrebbe essere anche nel famoso tempio Birla di Nuova Delhi.
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Appendice II
Il Cantico del Mahamudra.
Ovvero il Grande sigillo.
Di Sri Tilopa (928-1009) fu un mistico indiano buddhista noto soprattutto per essere
stato colui che iniziò il dotto maestro Naropa (956-1040) al significato di un
insegnamento conosciuto come MAHAMUDRA, ovvero il "Grande Sigillo" della
verità inalterabile, che non può essere compresa ragionando o facendo chissà quale
cosa, ma soltanto essendo come lo spazio celeste.
“Il Grande Sigillo non può essere insegnato, ma tu, benedetto, intelligente Naropa,
che affrontando le difficili prove sei paziente nella sofferenza grazie alla devozione
verso il maestro, accogli nel cuore queste parole.
Lo spazio si appoggia forse su qualcosa?
Similmente, il Grande Sigillo non ha nulla su cui appoggiarsi.
Rimani rilassato nello stato naturale inalterato.
Se si rilasciano i legami senza dubbio si è liberi.
Quando si osserva il centro dello spazio si cessa di vedere tutto il resto.
Similmente, se si osserva la coscienza, le forme di pensiero si dissolvono e si
consegue il sommo risveglio.
I banchi di nebbia si dissolvono nello spazio senza andare altrove né rimanere da
qualche parte.
Similmente, le forme di pensiero scaturiscono dalla coscienza, ma quando si ha la
visione della propria coscienza l'onda delle immagini mentali si dissolve.
La vera natura dello spazio non ha né colore né forma e non è condizionata né dal
bianco né dal nero.
Similmente, l'essenza della propria coscienza non ha né colore né forma e non è
condizionata né dalla virtù né dal vizio.
Il cuore del sole chiaro e limpido non può essere oscurato dal buio delle ere
cosmiche.
Similmente, la chiara luce che è l'essenza della propria coscienza non può essere
oscurata dal ciclo delle ere cosmiche.
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Si definisce "vuoto" lo spazio, ma lo spazio è indicibile.
Similmente, la propria coscienza è detta "chiara luce", tuttavia in essa non c'è nulla
che possa essere definito dicendo "è così".
Dunque, la vera natura della coscienza è sin dal principio come lo spazio, e non c'è
nulla che non confluisca lì.
Smetti di fare qualunque movimento fisico e rimani tranquillo nello stato naturale.
Non hai nulla da dire, i suoni sono vuoti come l'eco.
Non hai nulla a cui pensare, contempla ciò che trascende la mente.
Il corpo umano come una canna di bambù, la coscienza al di là dei pensieri come il
centro dello spazio: rilàsciati in questo stato senza perdere la consapevolezza né
trattenere nulla in mente.
La coscienza senza punti di riferimento è il Grande Sigillo.
Prendendo dimestichezza con questo stato si ottiene il Sommo Risveglio.
La visione del grande Sigillo, che è chiara luce, non può essere conseguita
attenendosi alle esposizioni dogmatiche e alle scritture proprie sia del sistema
exoterico: sutra (insegnamenti), vinaya (regole), abhidharma (filosofia), paramita
(perfezioni) sia di quello esoterico: tantra.
Infatti la visione della chiara luce è ostacolata dal dogmatismo.
L'osservanza dogmatica dei precetti equivale a non mantenere il vero impegno.
Non avere fissazioni è libertà dal dogmatismo.
Il pensiero è come l'onda che si alza e ritorna naturalmente.
Se non si possiede la consapevolezza del valore autentico, al di là delle idee fisse e
comportamenti rigidi, l'impegno spirituale è mantenuto come una lampada che
elimina l'oscurità.
Quando si è liberi dal dogmatismo, perché non ci si fissa più su una conclusione, si
consegue la visione del vero significato di tutti gli insegnamenti.
Se si penetra questa verità ci si libera dalla gabbia del divenire. Se si contempla
questa verità si brucia tutto ciò che oscura e causa sofferenza.
Chi così realizza è detto "lampada dell'insegnamento".
Gli sciocchi che non stimano questa verità finiscono per lasciarsi trascinare dalla
corrente del divenire. Poveri sciocchi che devono sopportare questa insopportabile
sofferenza!
Se essi desiderano porvi fine devono seguire una guida esperta e far discendere nel
proprio cuore l'energia spirituale, così la loro coscienza sarà libera.
Oh, vivere condizionati dal divenire non ha senso e causa sofferenza. L'azione
mondana è senza valore, perciò si consideri cos'ha valore e senso.
Il supremo modo di vedere è trascendere soggetto e oggetto.
La suprema meditazione è non essere distratti.
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La suprema condotta è assenza di sforzo.
La realizzazione della mèta è non avere né speranza né timore.
La vera natura della coscienza è chiarezza al di là delle immagini.
La mèta della via degli esseri risvegliati è conseguita senza una via da percorrere.
Il sommo risveglio è realizzato senza qualcosa da praticare.
Oh, considera bene l'esistenza mondana. Essa è transitoria, come un'illusione e un
sogno non è qualcosa di reale. Perciò pentiti e lascia l'azione mondana.
Taglia completamente i legami affettivi con il tuo seguito ed il tuo Paese. Medita da
solo in un eremo di montagna o nella foresta.
Rimani nello stato in cui non c'è nulla da meditare.
Quando otterrai ciò che non è da ottenere, allora otterrai il Grande Sigillo.
Dal tronco di un grande albero si sviluppano rami e foglie, però se lo si taglia di
netto alla base tutti i rami seccano.
In modo simile, quando si recide la mente alla base seccano le foglie e i rami del
divenire.
L'oscurità accumulata durante le ere cosmiche è cancellata da una lampada.
Similmente, l'unica chiara luce della propria coscienza dissipa gli oscuri ostacoli
dell'ignoranza accumulati durante le ere cosmiche.
Oh, tramite l'intelletto non si ha visione di ciò che lo trascende; tramite l'azione non
si comprende ciò che la trascende.
Se desideri attingere ciò che trascende l'intelletto e l'azione, recidi la tua mente alla
base e lascia la consapevolezza nuda.
Lascia che l'impura acqua dei pensieri si schiarisca.
Lascia la realtà fenomenica così com'è, senza affermare né negare.
Quando non c'è più attaccamento né rifiuto, si comprende che l'esistenza è il Grande
Sigillo.
La base di tutto non è nata, perciò è libera dal condizionamento delle tracce
psicologiche.
Rimani nell'essenza non nata, senza orgoglio e calcolo.
Lascia che i fenomeni appaiano naturalmente e le immagini mentali si dissolvano.
Il supremo modo di vedere è la completa libertà dal dogmatismo.
La suprema meditazione è la vasta profondità senza confini.
La suprema condotta è la rottura dei limiti.
La suprema mèta è lo stato naturale senza più aspettative.
La mente del principiante all'inizio è come una cascata, poi diventa come il fiume
Gange che scorre tranquillo, infine è come il confluire dei fiumi nell'oceano, quando
madre e figlio si incontrano.
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Se si è dotati di capacità inferiori, non essendo in grado di rimanere nello stato
naturale grazie alle istruzioni precedenti, occorre mantenere la pura consapevolezza
attraverso il controllo della respirazione. Inoltre, tramite la fissazione dello sguardo
si può concentrare la mente in vario modo, finché non si riesce a rimanere in uno
stato di pura consapevolezza.
Se ci si affida al "sigillo dell'azione" si può sperimentare il sentire non duale del
piacere e del vuoto: quando la sacra energia del metodo e dell'intuizione è
armonizzata, va fatta scendere lentamente, poi deve essere trattenuta, tirata indietro,
ricondotta alla fonte ed espansa in tutto il corpo.
In questo momento, se non c'è più desiderio, sorge il sentire non duale del piacere e
del vuoto.
Chi pratica in questo modo avrà vita lunga senza capelli bianchi e crescerà come la
luna; avrà un aspetto luminoso e la forza del leone; otterrà velocemente i poteri
ordinari e rimarrà assorbito nel sommo risveglio.
Questa istruzione personale sull'essenza del Grande Sigillo possa rimanere nel cuore
degli esseri destinati a riceverla.”
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Appendice III
Chi sono Io ?
Gli Insegnamenti di Bhagavan Sri Ramana Maharshi
Traduzione di
Dr. T. M. P. MAHADEVAN
dall'originale Tamil
Così come tutti gli esseri viventi desiderano essere sempre felici, senza dolori, così
avviene per chiunque osservi il supremo amore per il Sè, e poiché solo la felicità è la
causa dell'amore, per ottenere questa felicità, che è la propria natura,
e che si sperimenta nello stato di sonno profondo, dove non c'è la mente, bisogna
conoscere se stessi. Per fare questo il cammino della Conoscenza - il mezzo
principale è il chiedersi "Chi sono Io?".
1 . Chi sono Io ?
Io non sono il corpo materiale, che è composto dai sette umori (dhatus);
Io non sono i cinque organi di senso, ossia il senso dell'ascolto, del gusto, dell'olfatto,
del tatto e della vista, che comprendono i loro relativi oggetti, il suono, il sapore,
l'odore, il tatto ed il vedere;
Io non sono i cinque organi conoscitivi, ossia gli organi del parlare, del movimento,
del tocco, di escrezione e di procreazione, che hanno come loro rispettive funzioni il
parlare, il muoversi, il toccare, il secernere ed il godere;
Io non sono i cinque soffi vitali, Prana ecc., che comprendono le cinque rispettive
funzioni dell'inspirare ecc.;
Io non sono neanche la mente che pensa;
Così come non sono il ricordo, che riguarda solo le impressioni residue degli oggetti
e nel quale non vi sono né oggetti né funzioni.
2. Se io non sono nessuno di questi, chi sono?
Dopo aver negato tutte queste cose come "né questo", "né quello", rimane solo la
Consapevolezza - quella io sono.
3. Qual'è la natura della Coscienza?
La natura della Coscienza è esistenza-coscienza-beatitudine.
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4. Quando raggiungeremo la realizzazione del Sé?
Quando il mondo, che è l'oggetto del percepire, sarà rimosso, ci sarà la realizzazione
del Sé, che è il percipiente.
5. Non ci sarà realizzazione del Sé finché ci sarà il mondo (percepito come reale)?
Non ci sarà.
6. Perché?
Il percipiente e l'oggetto percepito sono come la corda ed il serpente. Come non si
riconosce la corda, che è il substrato,
fin quando non scompare l'illusoria percezione del serpente, così la realizzazione del
Sé, che è il substrato, non sarà
raggiunta finché non si rimuoverà la convinzione della realtà del mondo.
7. Quando sarà rimosso il mondo, che è l'oggetto percepito?
Quando la mente, che è la causa di tutte le nozioni e di tutte le azioni, sarà placata, il
mondo scomparirà.
8. Qual'è la natura della mente?
Ciò che è chiamato "mente" è un meraviglioso potere che risiede nel Sé. Essa
provoca l'apparire di tutti i pensieri. Eliminati i pensieri scompare anche la mente.
Quindi il pensiero è la natura della mente. Eliminati i pensieri non c'è un'entità
separata chiamata mondo. Nel sonno profondo non ci sono pensieri, e non c'è mondo.
Nello stato di sogno ci sono pensieri e c'è anche un mondo. Proprio come un ragno
emette il filo (della ragnatela) fuori di sé e poi lo ritira in sé, così la
mente proietta il mondo fuori di sé e poi lo riporta in sé. Quando la mente esce dal Sè
il mondo appare. Quindi, finché il mondo appare (essere reale), il Sè non appare, e
quando il Sé appare (rifulge), il mondo scompare. Quando una persona si interroga
costantemente sulla natura della mente, la mente se ne va, lasciando il Sé. Ciò che
viene chiamato "Sé" è l'Atman. La mente esiste sempre solamente in quanto legata a
qualcosa di materiale; Non può esistere da sola. Questa mente viene chiamata "corpo
sottile", o anima (jiva).
9. Qual'è la strada da seguire per comprendere la natura della mente?
Ciò che appare quale "io" in questo corpo è la mente. Se qualcuno si chiedesse dove,
nel corpo, risieda il senso dell' "io", scoprirebbe che esso risiede nel cuore. Questo è
il posto nel quale ha origine la mente. Anche se uno pensa costantemente "io", "io",
egli viene condotto in quel posto. Di tutti i pensieri che appaiono nella mente, quello
dell'"io" è il primo. E' solo successivamente a questo pensiero che tutti gli altri si
manifestano. E' dopo che è apparso il primo pronome personale che possono apparire
il secondo ed il terzo; senza il primo pronome personale non ci sarebbero né il
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secondo né il terzo.
10. Come si può placare la mente?
Chiedendosi: "Chi sono io?". Il chiedersi "Chi sono io" distrugge tutti gli altri
pensieri, e come il bastoncino usato per accendere la pira, esso stesso alla fine
scomparirà. In quel momento si avrà l'Autorealizzazione.
11. Cosa significa concentrarsi costantemente sul pensiero "Chi sono io?"
Quando appaiono gli altri pensieri, non bisognerebbe dargli attenzione, ma chiedersi:
"A chi appaiono?". La risposta che emergerà sarà: "a me". Conseguentemente se ci si
chiede "Chi sono io?", la mente risale alla sua sorgente; ed il pensiero che era sorto
diverrà quiescente. Con questo esercizio la mente svilupperà la capacità di rimanere
in se stessa.
Quando la mente, che è sottile, si proietta tramite il cervello e gli organi di senso,
appaiono i nomi e le forme materiali; quando invece rimane nel cuore, nomi e forme
scompaiono. Non proiettandola, ma ritenendola nel Cuore si ha ciò che viene
chiamata "consapevolezza interiore" (antar-mukha). Proiettando la mente fuori dal
Cuore si ha invece ciò che vien detta "consapevolezza esteriore" (bahir-mukha). In tal
modo, quando la mente sta nel Cuore, l'"io", che è l'origine di tutti i pensieri,
scompare, ed il Sé, eterno, si manifesta. Qualunque azione si compia, bisognerebbe
farla senza il senso dell'"io". Se si agisce in questo modo tutto apparirà come la
natura di Shiva (Dio).
12. Ci sono altri metodi per spegnere la mente?
Non ci sono altri metodi adeguati oltre l'autosservazione. Benché anche con altri
metodi possa sembrare di aver placato la mente, essa poi risorgerà. Anche attraverso
il controllo del respiro la mente si tranquillizza, ma rimane tale solo finché il respiro
rimane controllato, e, non appena termina tale controllo, anche la mente si rimette in
moto spinta dalle impressioni residue. L'origine è la stessa sia per il respiro che per la
mente. Il pensiero, in verità, è la natura della mente. Il concetto di "io" è il primo
pensiero della mente, e questa è l'egoità. E' da ciò da cui nasce l'egoità che origina
anche il respiro. Quindi, quando la mente diventa tranquilla, anche il respiro diventa
controllato, e quando il respiro viene controllato la mente si placa. Ma nel sonno
profondo, benché la mente si fermi, il respiro non cessa. Questa è la volontà di Dio,
affinché il corpo sia preservato e gli altri non credano che si sia morti. Nello stato di
veglia e nel samadhi, quando la mente diventa tranquilla anche il respiro diviene
regolare. Il respiro è la forma concreta della mente. Fino all'ora della morte la mente
mantiene il respiro nel corpo, e quando il corpo muore la mente porta via con sé il
respiro. Per questo l'esercizio del controllo del respiro è solo un aiuto per placare la
mente (manonigraha); esso non la distrugge (manonasa).
Allo stesso modo le altre pratiche della meditazione sulla forma di Dio, la ripetizione
dei mantra, le restrizioni sul cibo ecc. sono solo aiuti per placare la mente.
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Attraverso la meditazione sulle forme di Dio e la ripetizione dei mantra, la mente
diviene concentrata. La mente si risveglierà sempre. Come quando un elefante viene
incatenato ad un tronco e non può far altro che spostarsi per quanto lo permette la
catena, così quando la mente è occupata con un nome o una forma essa si manterrà
solo su quella. Quando la mente si espande su infiniti pensieri, ogni pensiero è debole
ma quando i pensieri svaniscono la mente si concentra e si rafforza; per questo una
mente auto osservante diviene docile. Di tutte le regole ascetiche, quella relativa
all'assumere cibo sattvico in quantità moderate è la migliore; osservando questa
regola la qualità sattvica della mente aumenta e questo aiuterà l'autosservazione.
13. Le impressioni residue (pensieri) degli oggetti sembrano susseguirsi come le onde
dell'oceano. Quando esse saranno tutte distrutte?
Quando la meditazione sul Sé diverrà sempre più profonda i pensieri si annulleranno.
14. Nelle circostanze quotidiane, è possibile risolvere le impressioni residue degli
oggetti che appartengono al continuo divenire esso. Non ci sono due menti, una
buona e l'altra cattiva; la mente è solo una. Sono le impressioni residue che sono di
due tipi - positive e negative. Quando la mente è sotto l'influenza di impressioni
positive è chiamata buona; e quando è sotto l'influenza di impressioni negative è
vista come cattiva.
Non si dovrebbe permettere alla mente di interessarsi agli oggetti materiali ed a ciò
che riguarda gli altri. Per quanto cattiva una persona possa essere, non bisognerebbe
portarle astio. Sia il desiderio che l'avversione andrebbero evitati.
Tutto ciò che si dà agli altri lo si dà a se stessi. Comprendendo questa verità chi non
darà agli altri? Quando uno si eleva tutti si elevano; quando si abbassa tutti si
abbassano. Tanto più ci comporteremo umilmente, tanto più vedremo il bene.
Quando la mente è annullata si può vivere dovunque.
15. Per quanto tempo bisogna praticare l'autosservazione?
Fin quando gli oggetti lasciano un'impressione sulla mente è necessario chiedersi "chi
sono io?". Quando sorgono i pensieri essi dovrebbero essere distrutti alla radice,
tramite l'osservazione. Se si assurge alla contemplazione del Sé senza interruzioni,
fino a quando il Sé sia realizzato, allora esisterà solo quello. Finché vi saranno nemici
nella fortezza essi continueranno ad uscire, ma se essi saranno distrutti appena
emergono, la fortezza cadrà nelle nostre mani.
16. Qual'è la natura del Sé?
L'unica cosa che esiste veramente è il Sé. Il mondo, l'anima individuale, e Dio, sono
sue manifestazioni. Come l'argento nella madreperla questi tre appaiono insieme, ed
insieme scompaiono. Il Sé è ciò che rimane quando non c'è assolutamente più nessun senso di "io". Questo stato è chiamato "silenzio". Il Sé stesso è il
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mondo, il Sé stesso è l'"io", il Sé stesso è Dio; tutto è Shiva, il Sé.
17. Non è ogni cosa creazione di Dio?
Il sole sorge senza desiderio, volere o sforzo; e con la sua sola presenza la pietra di
sole emette fuoco, il loto sboccia, l'acqua evapora, la gente svolge le sue attività e
tutto il resto. Come in presenza del magnete la bussola si muove, è in virtù della mera
presenza di Dio che le anime governate dalle tre (cosmiche) funzioni o dalla
quintuplice attività divina, svolgono le loro funzioni e tutto il resto, in accordo con il
loro proprio karma. Dio non ha proposito; nessun karma lo vincola. Questo è come le
azioni del mondo che non influenzano il sole, o come i meriti e demeriti degli altri
quattro elementi non influenzano tutto lo spazio infinito.
18. Qual'è il più grande tra i devoti?
Il più eccellente è colui che porta se stesso al Sé, che è Dio. Giungere a Dio significa
rimanere costantemente nel Sé, senza lasciare spazio al sorgere di alcun altro pensiero
che quello del Sé. Dio sopporta qualunque carico gli sia affidato.
Poiché il supremo potere di Dio si prende cura di ogni cosa, perché noi, senza
lasciarli a Lui, costantemente ci preoccupiamo con i pensieri su cosa debba essere
fatto e come e su cosa non debba essere fatto e perché? Noi sappiamo che il treno
porta tutti i pesi e quindi, perché, dopo esserci saliti dovremmo stare scomodi e
portare i piccoli bagagli sulla testa anziché posarli sul treno e riposarci?
19. Cosa è il non-attaccamento?
Il non attaccamento consiste nel distruggere tutti i pensieri alla radice non appena
sorgono. Proprio come il pescatore di perle lega una pietra alla cintola, si immerge
nel mare e lì pesca le perle, così ciascuno di noi dovrebbe dotarsi del non
attaccamento, scendere in se stesso ed ottenere la perla del Sé.
20. Non è possibile per Dio e per il Maestro liberare un'anima?
Dio ed il Maestro mostreranno solo la strada verso la liberazione; essi non porteranno
da soli l'anima alla liberazione. In verità Dio ed il Maestro non sono differenti.
Proprio come la preda che è finita tra le fauci di una tigre non ha scampo, così colui
che sarà accolto nella amorevole protezione del Maestro verrà da lui salvato e non si
perderà, ma tuttavia dovrà percorrere in prima persona il sentiero mostrato dal
Maestro o da Dio, ed ottenere la liberazione. Ciascuno può conoscere se stesso solo
con la propria facoltà di conoscenza e non con quella di un altro. Colui che è Rama
dovrebbe usare uno specchio per sapere che lui è Rama?
21. E' necessario per chi vuole raggiungere la liberazione interrogarsi sulla natura
delle categorie (tattvas)?
Così come colui che deve gettare della spazzatura non ha bisogno di analizzarla e
vedere cosa sia, allo stesso modo chi vuole conoscere il Sé non ha bisogno di contare
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il numero di categorie o porsi domande al riguardo; ciò che deve fare è rigettare
completamente tutte le categorie che nascondono il Sé. Il mondo andrebbe
considerato come un sogno.
22. Non c'è differenza tra veglia e sogno?
La veglia è lunga ed il sogno breve; non ci sono altre differenze.Come lo stato di
veglia sembra reale quando ci si sveglia, così accade nel sogno mentre si sogna. Nel
sogno la mentre utilizza un altro corpo. In entrambi gli stati di sogno e veglia,
pensieri, nomi e forme occorrono simultaneamente.
23. E' utile leggere libri per coloro che aspirano alla liberazione?
Tutti i libri affermano che per ottenere la liberazione è necessario assopire la mente,
quindi la sostanza di tutti gli insegnamenti è che la mente va resa quiescente; quando
si è capito questo non c'è utilità nel leggere senza posa. Per acquietare la mente
bisogna solamente interrogarsi su cosa sia il Sé; come potrebbe essere condotta sui
libri questa ricerca? Ciascuno dovrebbe conoscere il proprio Sé con i propri occhi
della saggezza. Il Sé è nelle cinque guaine, ma i libri no. Dal momento che il Sé va
scoperto eliminando le cinque guaine, è futile cercarlo nei libri. Verrà il momento in
cui bisognerà dimenticare tutto ciò che si è imparato.
24. Cos'è la felicità?
La felicità è la vera natura del Sé; felicità e Sé non sono differenti. Non c'è felicità in
nessun oggetto del mondo. Nella nostra ignoranza crediamo di poter trovare felicità
negli oggetti. Quando la mente se ne va, sperimenta il dolore. In realtà, quando i suoi
desideri sono soddisfatti, essa torna nel suo posto di origine e gioisce la felicità che è
il Sé. Allo stesso modo, nello stato di sonno, samadhi ed incoscienza, e quando
l'oggetto desiderato viene ottenuto, o l'oggetto odiato è rimosso, la mente rientra in se
stessa e gioisce del puro Sé-Beatitudine. La mente entra ed esce dal Sé senza posa.
Sotto l'albero l'ombra è riposante, oltre, il caldo è insopportabile. Una persona che è
stata al sole sperimenta la frescura quando raggiunge l'ombra. Colui che
continuamente, stando all'ombra, va al sole e poi torna all'ombra è un pazzo. L'uomo
saggio è quello che rimane all'ombra. Allo stesso modo la mente di colui che conosce
la Verità non lascia il Brahman. La mente dell'ignorante, al contrario, si immerge nel
mondo, lo trova miserevole, e per un breve periodo torna al Brahman per
sperimentare la felicità. Infatti ciò che viene chiamato mondo sono solo pensieri.
Quando il mondo scompare, ossia quando non vi sono più pensieri, la mente
sperimenta la felicità, e quando il mondo appare essa si trova nella miseria.
25. Cos'è la visione interiore consapevole(jnana-drsti)?
E' il rimanere nella quiete. Per far ciò bisogna sciogliere la mente nel Sé. La telepatia,
il conoscere il passato, il presente ed il futuro e la chiaroveggenza, non sono visione
interiore consapevole.
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26. Qual'è la relazione tra assenza di desiderio e saggezza?
Assenza di desiderio è conoscenza. Le due cose non sono differenti; sono la stessa
cosa. Assenza di desiderio è il rifiutarsi di rigirare la mente intorno ad ogni oggetto.
Saggezza è la scomparsa di ogni oggetto. In altre parole, cercare ciò che è diverso dal
Sé non è assenza di desiderio e non abbandonare mai il Sé è saggezza.
27. Che differenza c'è tra l'interrogarsi ed il meditare?
Interrogarsi consiste nel ritirare la mente nel Sé. Meditazione è pensare che il proprio
Sé è Brahman, Esistenza- Coscienza-Beatitudine.
28. Cos'è la liberazione?
Interrogarsi sulla natura del proprio io ridotto in schiavitù, e realizzare che la propria
vera natura è libera.
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Appendice IV
Testi Essenziali
Alchimia.
Basilio Valentino : Le Dodici Chiavi della Filosofia
Basilio Valentino : Il Cocchio Trionfale dell'Antimonio
Basilio Valentino : Azoth
Altus : Mutus Liber
Nicolas Flamel : Il Libro delle Figure Geroglifiche
Nicolas Flamel : Il Segreto della Polvere di Proiezione
Crassellame : L'Ode Alchemica del Crassellame
Arnaldo da Villanova : Il Libro del Perfetto Magistero
Arnaldo da Villanova : Lettera sull'Alchimia al Re di Napoli
Ermete Trismegisto : Il Pimandro
Ermete Trismegisto : La Tavola Smeraldina
J.P. Joubert de la Salette : Il Saltiero Ermofilo inviato a Filalete
Filalete : Speculumm Veritatis
Filalete : L'entrata aperta al Palazzo chiuso del Re
Filalete : La Fonte della Filosofia Chimica
Michael Maier : Atalanta Fugiens
Christien Rosenkreutz : Il Matrimonio Chimico
Arisleo : La Turba dei Filosofi
Conte S. Germain : Le Tre Sante Trinosofie
Conte S. Germain : Vita Impersonale, Io Sono
Solomon Trismosin : Splendor Solis
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Kundalini e Tantra.
Sri Aurobindo : Shakti, la Dea Madre, Nirvana, L'enigma di questo mondo
David Gordon White : Tantra in Practice
Sri Swami Sivananda : Kundalini Yoga
Elmar e Michaela Zadra : Tantra
Osho : Tantra, la Suprema Consapevolezza
Tilopa : Il cantico del Mahamudra
Gopi Krishna : Kundalini, l'energia evolutiva dell'Uomo
Gopi Krishna : il Risveglio della Kundalini
Ajit Mookerjee : Kundalini, The Arousal of the Inner Energy
Swami Satyananda Saraswati : Kundalini Tantra
Swami Satyananda Saraswati : Asana Pranayama Mudra Bandha
Robert E. Svoboda : Aghora II – Kundalini
Vigyan Bhairav Tantra
Veda Upanishad
Scott Shaw : Yoga breathing – Pranayama made Easy
Andre Van Lysebeth : Pranayama, la Dinamica del Respiro
Tamil Siddhas.
Tirumular : Tirumantiram
Boghar : I 7000 versi
Kabbalah.
Yehuda Berg : Il potere della Kabbalah
Zohar Il Libro dello Splendore
Arturo Shwarz : Cabala e Alchimia
Franz Bardon: The Key to the True Quabbalah
Rav Yehuda Ashlag : Introduction to the Book of Zohar Part I e II
Rav Michael Laitman : Concetti di base nella Kabbalah
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