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CAPITOLO 52 MATERIALI INTELLIGENTI
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI CAPITOLO 52 52 MATERIALI INTELLIGENTI quei materiali smart che esibiscono le proprietà funzionali opportune. Sinossi P artendo dal concetto di intelligenza in senso lato si introdurrà una particolare classe di materiali che oltre alle intrinseche caratteristiche meccaniche, fisiche, chimiche che contraddistinguono in genere ciascuna tipologia di materiale, presentino delle proprietà di carattere “funzionale”. Con il termine funzionale si intende indicare la capacità di reagire ad opportuni stimoli compiendo ben determinate azioni: ad esempio un materiale magneto-strittivo sottoposto ad un campo elettromagnetico si deforma, un piezoelettrico sottoposto a deformazione produce una differenza di potenziale, il germanio esposto alla luce ne assorbe i fotoni generando corrente elettrica, altri sono in grado di compiere più funzioni contemporaneamente. Tutti questi materiali sono stati raggruppati sotto il nome di Smart Materials. Si comprende fin da subito che una questione cruciale nella progettazione di tali strutture è la scelta dei materiali. Si porrà quindi attenzione ai criteri che necessariamente devono guidare nella selezione degli attuatori e trasduttori ottimali. Non si tratta esclusivamente di operare un confronto in termini prestazionali: fondamentale importanza assumono i requisiti tecnologici laddove non si può prescindere dalla conformità strutturale delle Smart Structures nel loro complesso. 52.1 Introduzione L e linee di evoluzione del settore aeronautico evidenziano il ruolo sempre più importante che va assumendo l’innovazione tecnologica come elemento di vantaggio competitivo. Gli operatori commerciali del settore tendono sempre più ad evidenziare l’importanza di alcuni fattori come il risparmio energetico, la compatibilità ambientale, l’affidabilità, la sicurezza ed il comfort del trasporto. Questi chiamano in causa in modo prioritario problematiche specifiche come la riduzione delle emissioni nocive e il contenimento dei livelli di emissione acustica rispetto alle quali sono necessari sensibili avanzamenti tecnologici ad esempio nelle aree della propulsione, dell’aerodinamica e dei materiali. D’altra parte incidono sempre più i fattori prettamente economici, da tradurre sia in riduzione dei costi di produzione sia di contenimento degli oneri di gestione e Dopo una breve e sommaria classificazione di tali materiali si parlerà poi di intelligenza connessa alle strutture. Strutture particolari che, grazie ad una architettura complessa, siano in grado di monitorare l’ambiente fisico operativo, raccoglierne ed interpretarne le informazioni per poi rispondere ai cambiamenti dello stesso in modo appropriato ovvero strutture dotate di un’intelligenza artificiale, che possano percepire, sentire, attuare e reagire, adattarsi e persino auto-ripararsi. Per assolvere questi compiti tali Smart Structures devono essere dotate di un sistema di sensori e di attuatori integrando al loro interno proprio Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 1 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI E’ in questo contesto che si inseriscono le attività di ricerca sulle smart structures che, inglobando al loro interno opportune tipologie di sensori e attuatori (smart materials), sono in grado di monitorare l’ambiente fisico operativo (grazie ai sensori), raccoglierne ed interpretarne le informazioni (attraverso un centro di elaborazione dati) per poi rispondere ai cambiamenti dello stesso in modo appropriato (con gli attuatori). In tal modo le smart structures cercano di emulare i sistemi biologici e si pongono l’obbiettivo di aumentare l’efficienza strutturale esibendo proprietà funzionali senza aggravio di peso, di costo, senza la riduzione dei livelli di affidabilità e mantenendo inalterate, nel contempo, le elevate prestazioni dei materiali compositi. Rispetto ai sistemi di trasduzione e attuazione convenzionali, esse offrono molteplici vantaggi. Sensori e attuatori sono anzitutto protetti dagli effetti ambientali e possono essere più facilmente collocati negli hot spots della struttura, sia per il monitoraggio delle zone soggette a condizioni di carico particolarmente critiche, sia per l’attuazione ed il controllo di superfici aerodinamiche e di componenti per cui è difficile, se non impossibile, l’accesso dall’esterno. Altra caratteristica peculiare è quella di poter effettuare un monitoraggio della struttura from the cradle to the grave, ovvero a partire dalle fasi di produzione dei laminati e fino alla messa fuori servizio dei velivoli. Oltre ad avere strutture sempre strumentate con una conseguente riduzione dei tempi di ispezione, questo significa avere la possibilità di ottimizzare i processi produttivi valutando, ad esempio, la nascita di sforzi residui o monitorando l’infusione della resina in tecnologie quali l’RTM (Resin Transfer Moulding) e l’RFI (Resin Film Infusion). manutenzione corrente delle flotte, per le quali si prospetta un incremento delle ore di volo ed una conseguente riduzione dei tempi di sosta. Ciò comporta sviluppi delle ricerche e delle applicazioni orientate verso lo studio di architetture strutturali di nuova concezione, la diffusione di metodologie di analisi più accurate, la razionalizzazione dei metodi e delle procedure di ispezione, l’ottimizzazione dei processi produttivi, nonché verso l’impiego di nuovi materiali. Sulla base di questi temi risultano strategiche le linee di ricerca che coinvolgono i materiali compositi e, più nello specifico, i materiali intelligenti. Per fronteggiare questa sfida tecnologica fondamentale importanza assumono lo sviluppo e la messa a punto di sistemi multifunzionali che possano consentire di rilevare la difettologia e gli stati di danneggiamento/degrado della struttura durante la sua vita operativa, minimizzare gli effetti dovuti a condizioni di carico inusuali, ridurre gli effetti della fatica, compensare condizioni locali gravose, ridurre i livelli di vibrazione. L’attenzione per tali problematiche, che sono già di ampio interesse indipendentemente dai materiali utilizzati, diventa a maggior ragione prioritaria in materiali multistrato come i compositi per i quali la meccanica del danno e del cedimento è più complessa e per certi versi non ancora completamente conosciuta. A tal proposito la comunità scientifica sta sempre più investigando differenti tipi di tecniche e di strumenti capaci di effettuare il monitoraggio dello stato di salute delle strutture (Structural Health Monitoring – SHM). Il danneggiamento strutturale potrà essere individuato e identificato per mezzo di dispositivi integrati nella struttura stessa, in grado poi di trasmettere queste informazioni ad un dispositivo esterno così da valutare lo stato di degrado in tempo reale. Se efficientemente implementate, queste metodologie potranno garantire la sicurezza strutturale riducendo al minimo i tempi di fermo del velivolo per le operazioni di ispezione. Molti sforzi vengono profusi altresì nello studio del comportamento vibro-acustico dei compositi, con il duplice obbiettivo di definire sistemi in grado di migliorare il comportamento a fatica delle strutture e ridurre, nel contempo, i livelli di rumore acustico in cabina, assicurando a passeggeri e membri degli equipaggi elevati livelli di comfort. Altri studi sono rivolti al miglioramento dell’efficienza dei velivoli agendo direttamente sulla forma delle superfici aerodinamiche così da poterne modificare la distribuzione di portanza ed aumentare il controllo della stabilità aeroelastica. Si parla in tal caso di morphing delle strutture che potrà essere realizzato, ad esempio, integrando micro-attuatori all’interno di architetture strutturali di nuova concezione (chiral honeycomb) in grado di esibire grandi spostamenti mantenendo bassi i livelli di deformazione locale. 52.2 L’intelligenza I n generale, il concetto di intelligenza si definisce come la capacità mentale, dovuta alle funzioni integrative e adattative del cervello, di fornire una risposta complessa, finalizzata ed adeguata ad una situazione nuova ed inaspettata. Esistono in letteratura una pluralità di definizioni con svariate sfaccettature, ciascuna che riflette la filosofia di pensiero dello studioso che l’ha formulata. In tutte si riconoscono, come parametri distintivi di intelligenza, la capacità di un sistema (biologico o non) di raccogliere informazioni dall’ambiente in cui si trova, interpretarle e saperne trarre decisioni che possano permettergli di adattarsi meglio ad esso, di renderlo meno ostile, allo scopo di prolungare e migliorare la propria “esistenza”. Questa descrizione è estremamente confacente alle forme biologiche in senso lato: non a caso, anche in ambito ingegneristico, esse rappresentano dei modelli se non da imitare quanto meno da osservare per trarne utili indicazioni. In Giappone, tra il luglio 1987 e il novembre 1989 il “Council for Aeronautics, Electronics, and Other Advanced Technologies of the Science and Technology Agency” promosse una serie di convegni internazionali sui materiali intelligenti con l’obiettivo primario di Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 2 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI raggiungere una definizione e una classificazione il più univoca possibile degli stessi. In quella sede l’intelligenza nei materiali fu classificata in tre categorie: materiali compositi innalzandone la resistenza e/o la rigidezza in punti opportuni della struttura. 2. Materiali con strutture/composizioni variabili. Sono materiali che hanno in sé aspetti d’intelligenza tipici dei materiali a proprietà variabili. Essi hanno la possibilità di essere usati non solo come materiali strutturali, ma anche come materiali specializzati per impianti nucleari, aeroplani e veicoli spaziali. Questa classe include: 1. Intelligenza nei materiali a livelli estremamente primitivi cui sono affidate essenzialmente tre funzioni basilari (funzione di sensore, funzione di attuatore, funzione di processore (inclusa la funzione di memoria)); a. materiali la cui composizione chimica varia in accordo con l’ambiente e le condizioni operative così da essere in grado di decomporsi o ripristinare le proprie caratteristiche autonomamente; 2. Intelligenza connessa ai materiali intesa come proprietà unica dei materiali e dunque in tal senso indipendente da una qualsiasi valutazione umana; 3. Intelligenza “umana” dal punto di vista delle relazioni con l’ambiente in cui il materiale è in uso. b. materiali la cui struttura varia in accordo col grado di danno dovuto a radiazione, corrosione, tensione di rottura, così da raggiungere una resistenza molto elevata a tali processi nocivi; A seguito di questa classificazione dell’intelligenza nella stessa sede fu data anche la seguente classificazione di materiali intelligenti: c. materiali i cui diagrammi di fase variano in accordo con l’ambiente affinché possano essere impiegati in un vasto range di temperature, pressioni ecc. 1. Materiali con proprietà variabili. Le proprietà dei materiali variano in accordo con i cambiamenti dell’ambiente a seconda delle condizioni operative che si possono realizzare. Essi possono avere funzioni intellettive incorporate, come l’auto-diagnosi, l’autoapprendimento, la previsione e la notifica, la capacità di attendere, la capacità di riconoscere e discriminare. I materiali con queste proprietà hanno un potenziale futuro come materiali strutturali. Seguono alcuni esempi: 3. Materiali con funzioni variabili. Le funzioni di tali materiali possono variare in conseguenza dei cambiamenti dell’ambiente. In questo caso, i materiali potrebbero possedere un’intelligenza incorporata con la capacità di auto-diagnosi, di auto-apprendimento, di previsione e di notifica, con la capacità di attendere, di riconoscere e discriminare. Questi materiali hanno la possibilità di essere usati come materiali elettrici, ottici ed elettronici. Esempi di questa categoria sono: a. materiali la cui soglia elettrica varia in accordo col potenziale applicato o con le condizioni di carico, così da poter aprire e chiudere automaticamente un circuito; a. materiali che variano il colore della superficie a seconda dei carichi applicati. In questo modo è possibile evidenziare condizioni di carico gravose e preannunciare eventuali e conseguenti danneggiamenti; b. materiali la cui soglia elettrica varia in accordo col tipo di segnale e con la sua origine, così da discriminare più segnali all’interno di un medesimo cavo elettrico di trasmissione; b. materiali che modificano il proprio aspetto morfologico a seconda del grado di danno interno causato da deformazioni permanenti o da fenomeni di fatica. Anche in questo caso il vantaggio che è possibile ottenere dal loro impiego è quello di monitorare il degrado delle loro proprietà; c. materiali la cui soglia ottica varia in accordo con la lunghezza d’onda e con la quantità di luce incidente, così da adattare la luce da trasmettere all’optimum del campo visivo umano; c. materiali le cui proprietà meccaniche o elettriche variano in accordo con l’ambiente operativo così da facilitare il progetto e la costruzione di una struttura; questo esempio potrebbe includere un materiale le cui caratteristiche e proprietà, come il comportamento alla fatica meccanica, il punto di Curie, il punto di isteresi, ecc. potrebbero modificarsi in funzione dei cambiamenti dell’ambiente; d. materiali la cui permeabilità a particolari gas varia in accordo coi materiali circostanti così da ottenere l’optimum di permeabilità del gas. 4. Materiali con funzioni sistematizzate. Sono materiali al cui interno possono svolgersi funzioni sistematizzate, come ad esempio un trasferimento sistematico di informazioni. Esempi: a. materiali circondati da sensori atti a scoprire molte varietà di segnali contemporaneamente; i materiali poi mandano in uscita dei segnali simili a quelli dei cinque sensi umani; d. materiali le cui proprietà meccaniche e elettriche variano in accordo con il carico applicato. Essi possono essere utilizzati per realizzare interruttori con contatti fissi, commutatori on-off il cui tempo di commutazione potrebbe variare secondo il carico applicato. Tale tipologia di materiali potrebbe essere impiegata anche per incrementare le prestazioni dei b. materiali sensori in grado di modificare la propria sensibilità ai cambiamenti circostanti; Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 3 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI c. materiali tessili in grado di adattarsi alle condizioni ambientali in modo da ottenere comodità nell’abbigliamento. fotonica delle radiazioni luminose attraverso salti energetici degli atomi del materiale cui è associato un flusso di elettroni. Se questi materiali si mettono a contatto con dei semiconduttori in grado di catturare l’energia elettrica prodotta si ottiene la cella elementare di un comune pannello fotovoltaico. A questa categoria appartengono anche materiali (quali i piezoelettrici, elettrostrittivi, magnetostrittivi) che oltre ad avere la capacità di trasformare energia da una forma ad un’altra possiedono la particolare caratteristica di essere bidirezionali ovvero è possibile scambiare l’input energetico con l’output. Pensando all’utilizzo degli smart materials come sensori e attuatori di una struttura più complessa ciò dà l’evidente vantaggio di deputare ad un unico dispositivo sia la funzione di trasduzione sia la funzione di attuazione. Un caso esemplificativo è quello dei piezoelettrici che, applicati ad una superficie, possono monitorarne lo stato di sollecitazione trasformando l’energia di deformazione in tensione elettrica oppure, viceversa, sono in grado di generare una sollecitazione meccanica quando vengono attivati elettricamente (Figura 52.1). 5. bio-materiali con funzioni di self-healing. Sono materiali che oltre a possedere tutte le caratteristiche proprie della categoria di intelligenza connessa ai materiali illustrata precedentemente consentono di ottenere sistemi auto-riparanti. Esempi sono: a. biomateriali capaci di promuovere la crescita delle ossa nel corpo umano; b. biomateriali capaci di sostituirsi a organi del corpo umano; c. biomateriali capaci di funzionare sistemi di distribuzione di farmaci. come 52.3 Smart Materials e loro classificazione I ntelligenza e materiali intelligenti possono quindi essere suddivisi in molteplici sottocategorie ed un processo di catalogazione come quello appena descritto può apparire comunque limitato e incompleto. L’evoluzione esponenziale delle tecnologie produttive nei settori più disparati porta inoltre alla nascita ed allo sviluppo continuo di materiali innovativi rendendone di fatto ancor più ardua una loro classificazione. Input V Stress Pur tuttavia, partendo dalla definizione generica di Smart Materials secondo la quale si considera smart ogni materiale che associ ad un input un ben determinato output, ovvero che reagisca ad uno stimolo manifestando una specifica risposta, è possibile effettuare una suddivisione in due soli grandi gruppi che, pur con qualche eccezione, identificano i due elementi essenziali di una struttura intelligente: i sensori e gli attuatori. Output F>0 Stimolo V Al primo di questi gruppi appartengono tutti i materiali in grado di modificare una o più delle loro proprietà (chimiche, termiche, meccaniche, magnetiche, ottiche, elettriche) in risposta a variazioni delle condizioni al contorno che possono essere sia di natura ambientale sia direttamente introdotte da una fonte energetica. Un esempio sono i materiali che cambiano colore in funzione della capacità di assorbimento superficiale o molecolare di radiazione elettromagnetica. Così i termo-cromici dipendono dalla temperatura superficiale, i foto-cromici cambiano colore in funzione dell’incidenza della radiazione, gli elettrocromici subiscono il campo elettrico che li attraversa. Risposta Strain Figura 52.1 – Concetto di Smart Material. Esempio di un sensore/attuatore piezoelettrico bidirezionale. In Tabella 52.1 e Tabella 52.2 sono elencati i principali smart materials appartenenti a questi due gruppi limitandosi ad indicare per ciascuno le proprietà o le forme di energia su cui è basato il loro principio di funzionamento1. Si può notare che sono collocati nella prima categoria anche i materiali elettro-reologici e magneto-reologici ovvero una particolare classe di fluidi in grado di variare la propria viscosità (e quindi una proprietà intrinseca del materiale) in funzione rispettivamente del campo elettrico e magnetico a cui sono sottoposti. I materiali che rientrano nel secondo gruppo sono spesso chiamati anche First Law Materials in quanto si basano su una trasformazione energetica in accordo con la prima legge della termodinamica. Un classico esempio è quello dei materiali fotovoltaici che, come è noto, trasformano l’energia solare in energia elettrica. Essi infatti sono in grado di assorbire l’energia 1 Per una descrizione dettagliata di tutti gli Smart Materials riportati nonché per una panoramica delle principali applicazioni industriali si rimanda all’allegato. Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 4 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI Tabella 52.1 – Elenco dei principali Smart Materials il cui principio di funzionamento è basato sul cambiamento di una delle proprietà del materiale a seguito di una variazione delle condizioni al contorno agenti sullo stesso. In base al loro principio di funzionamento essi rientrano quindi di diritto in questo gruppo benché siano principalmente utilizzati per l’attuazione in organi meccanici quali freni, frizioni, assorbitori e smorzatori. D’altro canto, come pocanzi anticipato, questa è da considerarsi una delle rare eccezioni di un gruppo di materiali with sensing capabilities. Analogamente, i materiali del secondo gruppo possono essere definiti materiali with actuation capabilities. SMART MATERIALS: tipologia 1 TIPO INPUT OUTPUT Thermo-chromic Gradiente termico Variaz. di colore Photo-chromic Radiazione (luce) Variaz.di colore Chemo-chromic Variaz. concentrazione chimica Variaz.di colore Electro-chromic Differenza di potenz. elettrico Variaz.di colore Mechano-chromic Deformazione Variaz.di colore Liquid crystal Differenza di potenz. elettrico Variaz.di colore Suspended particle Differenza di potenz. elettrico Variaz.di colore Electro-rheological Differenza di potenz. elettrico Variaz.di viscosità Magneto-rheological Campo magnetico Variaz.di viscosità Fibers Optic Deformazione Variaz. Di segnale ottico 52.4 Le strutture intelligenti Una struttura intelligente si può definire tale qualora sia in grado di monitorare l’ambiente fisico operativo, raccoglierne ed interpretarne le informazioni per poi rispondere ai cambiamenti dello stesso in modo appropriato. Per assolvere questi compiti la struttura deve essere dotata di un sistema di sensori, di un sistema di acquisizione ed elaborazione dati e di un sistema di attuazione. Centro decisionale (cervello) Struttura (corpo) Tabella 52.2 – Elenco dei principali Smart Materials il cui principio di funzionamento è basato sulla trasformazione di energia. SMART MATERIALS: tipologia 2 TIPO INPUT OUTPUT Thermo-luminescent Energia termica (T) Emissione di luce Photo-luminescent Radiazione (luce) Emissione di luce Chemo-luminescent Energia chimica Emissione di luce Electro-luminescent Energia elettrica (V) Emissione di luce Light-emitting-diode Energia elettrica (V) Emissione di luce Photovoltaic Radiazione (luce) Energia elettrica Shape Memory Alloy E. termica (T)/E. meccanica Energia meccanica (strain) Piezoelectric* Energia elettrica (V) Energia meccanica (strain) Pyroelectric* Energia termica (T) Energia elettrica (V) Thermoelectric* Energia termica (T) Energia elettrica (V) Electro-restrictive* Energia elettrica (V) Energia meccanica (strain) Magneto-restrictive* Energia magnetica Energia meccanica (strain) Attuatori (muscoli) Sensori (nervi) Fonte di energia Figura 52.2 – Schema di un sistema biologico. Osservando la Figura 52.2 appare evidente l’analogia con le strutture biologiche capaci di adattarsi in modo efficace alle mutevoli condizioni ambientali del loro habitat grazie alla presenza di sensori incorporati (i nervi), attuatori interconnessi tra loro (i muscoli) ed un processore o centro decisionale (il cervello). Esse sono in grado di sentire o percepire, attuare, adattarsi ed inoltre autoripararsi e replicarsi da sole. Nonostante sia chiaramente impossibile replicare artificialmente organismi così complessi le Smart Structures provano ugualmente ad emularne il comportamento. L’obbiettivo è dunque quello di ottenere componenti strutturali molto efficienti che, associando proprietà di carattere funzionale (effetto della presenza di trasduttori e attuatori) a prestazioni meccaniche elevate siano capaci di minimizzare gli effetti di condizioni di carico inusuali, ridurre i fenomeni di fatica, compensare condizioni locali gravose, rilevare stati di danneggiamento e degrado. *materiali che esibiscono la caratteristica di bi direzionalità. Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 5 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI Storicamente fu l’industria aerospaziale, spinta dall’esigenza di contenere sempre di più i costi mantenendo nel contempo alti livelli di sicurezza operativi, a dare un forte impulso ad una soluzione progettuale così innovativa. Si comprende facilmente che la realizzazione di strutture più efficienti significa riduzione di peso in favore del carico pagante ovvero che il monitoraggio dello stato di salute del velivolo durante la vita operativa equivale ad un risparmio di risorse per le ispezioni delle flotte aeree. In ambito spaziale, laddove l’intervento dell’uomo risulta estremamente difficile, l’impiego di strutture con capacità di auto-diagnosi, auto-manutenzione e autoriparazione può offrire evidentemente vantaggi incommensurabili. L’evoluzione che stanno vivendo in questi ultimi anni le Smart Structures è guardata ora con sempre più interesse anche da altri settori soprattutto quelli laddove la competizione spinge verso architetture strutturali estreme cui si richiede prestazioni sempre più esasperate. E’ chiaro infatti che anche la fase di progettazione di una qualsivoglia struttura può divenire meno complessa quando si ha la possibilità di modificarne la rigidezza, la resistenza, persino la geometria in funzione delle condizioni al contorno. Benché il ruolo delle smart structures non sia ancora tale da prevederne a breve un impiego diffuso nelle costruzioni, l’interesse per tali strutture è testimoniato dalla sempre crescente produzione scientifica. In letteratura numerose sono, ad esempio, le applicazioni di attuatori piezoelettrici per il controllo attivo delle vibrazioni. Un efficiente controllo della stabilità aeroelastica ed in particolare di fenomeni di flutter può essere ottenuto sfruttando sistemi di controllo retroazionati. La stessa logica si può applicare alle strutture spaziali. Ne è un esempio il caso HYPSEO (HYPer spectral Satellite Earth Observation): un piccolo satellite progettato da CGSpace il cui carico pagante è costituito da un sistema tecnologicamente avanzato per osservazioni iperspettrali del globo terrestre. Il sistema di movimentazione (Attitude Control System) produce, mediante una ruota di reazione, delle vibrazioni in un range di frequenze da 1Hz a 500Hz che si propagano in tutta la struttura del satellite causando un jitter indotto sul carico pagante stesso superiore ai valori limiti consentiti dai requisiti di missione. Questo problema fu risolto impiegando per la ruota un supporto in lega d’allumino accoppiato a un dispositivo di smorzamento passivo ma estensivi studi dimostrarono che una soluzione potenzialmente migliore è la realizzazione di un supporto/smorzatore attivo basato su attuatori piezoelettrici in quanto capace di ridurre i disturbi su tutto il range di frequenze. Un’altra tipica applicazione è il controllo attivo del rumore acustico (acoustic noise control). In ambito elicotteristico è risaputo che il rotore introduce in cabina alti livelli di rumore a discapito del comfort dei passeggeri. Attuatori dinamici vengono predisposti sugli elementi di supporto del rotore per produrre interferenza distruttiva generando onde sonore di eguale ampiezza ma sfasata di 180 gradi rispetto a quelle prodotte dal rotore stesso. La definizione di struttura intelligente pocanzi enunciata prescinde, com’è logico che sia, dalla modalità con cui i componenti siano connessi tra loro. Nella sua accezione più amplia si considera smart anche una struttura convenzionale strumentata mediante sensori ed attuatori (ad esempio incollandoli sulla superficie della struttura stessa). Il concetto di laminati intelligenti si basa invece sulla possibilità di inglobare trasduttori ed attuatori all’interno di un host material in composito. Grazie alla sua intrinseca eterogeneità l’utilizzo del composito consente di effettuare l’inglobamento direttamente in fase di laminazione2. Ciò comporta evidentemente delle difficoltà tecnologiche aggiuntive (di cui si parlerà ampliamente in seguito) ma consente di ottenere una serie di benefici altrimenti irraggiungibili: si pensi alla possibilità di avere attuazione anche in punti inaccessibili dall’esterno; sensori ed attuatori sono in tal modo al riparo da qualsiasi effetto ambientale che possa alterarne il corretto funzionamento; si possono impiegare strutture attive anche laddove vincoli aerodinamici impediscono l’utilizzo di dispositivi esterni; non ultimo l’inglobamento di sensori consente di adottare tecniche from the cradle to the grave, ovvero permette di effettuare sia il monitoraggio tecnologico durante la produzione sia il monitoraggio strutturale durante la vita operativa. Tramite lo stesso set di sensori e la medesima elettronica possono così essere rilevati sia eventuali difetti di produzione sia danni dovuti all'utilizzo. I velivoli ad ala rotante rappresentano per altro uno dei principali campi di interesse delle Smart Structures. I componenti strutturalmente più significativi (mozzo e pale) sono infatti realizzati con i materiali compositi; nel contempo la variabilità dell'ambiente operativo (livelli estremi di temperatura e umidità), la tipologia dei carichi di progetto (statici, fatica) ed accidentali (dinamica, crash, balistica), la necessità di non alterare altre funzionalità (aerodinamica), l'obbligo di contenere massa e volume dei sensori e dell'elettronica di acquisizione-controllo e, non ultimo, l'esasperata convenienza di gestire contemporaneamente numerosi segnali (multiplexing) ben motivano la scelta di adottare sensori ed attuatori inglobati. E non a caso aziende leader del settore spingono sempre più in questa direzione. Fra tutti possono essere menzionati lo studio avviato dall’AgustaWestland per l’Health Monitoring di pale di elicottero mediante sensori a fibra ottica inglobati e quello di Eurocopter sull’Active Rotor Twist Blades mediante attuatori PZT. 2 Laminazione: è la fase di deposizione delle lamine che costituiscono un laminato in composito. Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 6 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI quindi che il materiale dei sensori/attuatori abbia caratteristiche meccaniche in grado di sopportare sollecitazioni di carico gravose e che sia tale da garantire un’adesione della matrice del composito paragonabile a quella che si ottiene fra le lamine dello stesso. 52.5 La scelta dei materiali: requisiti tecnologici e funzionali Nella progettazione di una struttura o, più semplicemente, di un singolo componente strutturale un passo fondamentale ed obbligato è costituito dalla scelta dei materiali. È necessario innanzitutto analizzare in dettaglio le condizioni al contorno, dai carichi alle condizioni ambientali operative. La scelta influenza ed è influenzata anche da una serie di altri fattori quali le tecnologie produttive, le tecniche di collegamento, i costi, l’impatto ambientale ed altro ancora. Fattori dai quali non si può prescindere e che, nell’insieme, costituiscono i requisiti di progetto. Benché al livello di sviluppo attuale non sia possibile dettare rigorosamente i requisiti di progetto di una struttura intelligente, nel corso della presente attività di ricerca sono emersi alcuni aspetti fondamentali di cui è importante tener conto già a livello della scelta di sensori, attuatori ed host materials. Partendo da questi aspetti, che verranno affrontati in dettaglio nei capitoli successivi, si vuole qui definire dei criteri di scelta che possano guidare il progetto preliminare di una Smart Structure. Quest’ultimo aspetto assume un’importanza cruciale perché dalle prestazioni dell’interfaccia dipendono fortemente non solo le prestazioni meccaniche della struttura ma anche e soprattutto le sue caratteristiche funzionali. L’accuratezza della misura dei sensori ed il livello di autorità degli attuatori non possono prescindere infatti dalla load transfer capability, la capacità di trasferimento dei carichi da e verso il materiale ospite. E’ fondamentale quindi che la loro superficie sia adeguata a promuovere un’adesione che preferibilmente non sia di natura esclusivamente meccanica (dipendente dalla rugosità superficiale). Un incremento delle prestazioni dell’interfaccia può essere ottenuto laddove si riesca a ingenerare con la matrice un vero e proprio legame chimico durante il processo di polimerizzazione. Non si può poi prescindere dalle tecniche di inglobamento alle quali si richiede che non rendano ancora più critici tutti questi aspetti. L’esigenza di isolare elettricamente i due elettrodi di un attuatore piezoelettrico inglobato in un materiale conduttivo (quale è il carbonio) oppure quella di proteggere le fibre ottiche nella zona di uscita dai laminati sono due esempi che possono aiutare a comprendere meglio questo concetto. In entrambi i casi le tecniche di inglobamento comportano l’adozione di un elemento aggiuntivo, rispettivamente una patch di materiale isolante e una guaina protettiva che vanno anch’esse inglobate. Un tecnologo potrebbe dire che “si è introdotta una potenziale difettosità attraverso l’introduzione di una seconda potenziale difettosità”. Benché una simile affermazione possa apparire esagerata non va dubbio che l’invasività di sensori e attuatori è, e continuerà ad esserlo anche nel prossimo futuro, un punto cruciale nello sviluppo delle Smart Structures. Tornando a parlare della scelta dei materiali si comprende quindi l’importanza di operare una selezione che, in qualche modo, possa facilitare e assecondare lo sviluppo di tecniche di inglobamento efficaci e poco invasive. 52.5.1 I requisiti tecnologici Focalizzando l’attenzione sulle Smart Structures intese come strutture che inglobano sensori ed attuatori si può innanzitutto osservare che la scelta dei materiali compositi, come pocanzi accennato, appare come la più naturale. Per di più che i laminati in fibra di carbonio o vetro sono materiali altamente prestanti in termini di rigidezza e resistenza specifiche, di tolleranza al danno, di resistenza alla corrosione e di una serie di proprietà che incontrano i requisiti delle moderne costruzioni aeronautiche e spaziali. Ciò detto, non va dubbio che sensori e attuatori, comunque essi siano inglobati, introducano delle discontinuità nel materiale (sacche di resina, variazioni di spessore) e costituiscano essi stessi una discontinuità che, al pari di un difetto qualsiasi, può degradare le caratteristiche meccaniche dello stesso finanche ad innescare l’enucleazione di un danno. Per ridurne l’invasività, primaria importanza assumono la forma e le dimensioni dei sensori/attuatori: è ragionevole supporre che elementi filiformi con diametro tale da poter essere inglobati direttamente a livello della singola lamina siano meno invasivi di altri per il cui inglobamento sia necessario operare un cutout della lamina stessa. Fermo restando quanto appena detto il discorso sull’invasività è tuttavia ben più complesso. Un difetto può propagare infatti indipendentemente dalle sue dimensioni iniziali e le cause possono essere molteplici: possono intervenire rotture in seno al sensore/attuatore oppure all’interfaccia con il materiale ospite; le rotture possono essere dovute a carichi esogeni o endogeni oppure alla combinazione di entrambi. E’ necessario Vi è infine la questione legata alle tecnologie produttive. L’uso di materiali compositi con qualificazione aeronautica o spaziale richiede cicli tecnologici ad alte temperature (tipicamente 130÷170°C) che possono comportare problemi di compatibilità termo-elastica fra i sensori/attuatori ed il materiale ospite. Ciò deve indirizzare verso componenti la cui integrità e funzionalità non venga compromessa durante i cicli di produzione ma che, nel contempo, abbiano temperature operative sufficientemente basse da non danneggiare (all’attivazione) la matrice polimerica dell’host material. Forma, dimensioni, tecniche di inglobamento, compatibilità con i cicli produttivi sono dunque aspetti cruciali nella scelta dei materiali. Il completo soddisfacimento di questi requisiti tecnologici è una Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 7 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI condizione essenziale per l’ottenimento di strutture affidabili e sicure, che possiedano caratteristiche meccaniche elevate e che garantiscano un buon comportamento a fatica, che siano, in sintesi, strutturalmente conformi alle strutture convenzionali. Tutto ciò però non basta. L’essenza delle Smart Structures rimangono quelle proprietà funzionali che hanno motivato e che spingono la ricerca scientifica al loro sviluppo. Proprietà funzionali che devono sempre essere considerate in ciascuna fase della progettazione e che quindi giocano un ruolo importante anche nella scelta dei materiali. Di questi requisiti funzionali si parlerà nel paragrafo seguente. modalità diverse, più sensori. I dati provenienti dal sistema sensore devono essere interpretati ed elaborati al fine di rappresentare lo stato in cui la struttura si trova e fornire i comandi al sistema di controllo. Spesso i dati in ingresso sono sovrabbondanti e complessi, il che rende necessaria una procedura di riduzione o di selezione degli stessi. Da ciò risulta evidente l’importanza di una scelta oculata nel posizionamento dei sensori, collegata anche ad una buona conoscenza preventiva delle proprietà della struttura. Come i sensori, gli attuatori ideali devono avere il minor peso possibile, essere relativamente non intrusivi e avere il minor effetto possibile sulla dinamica del sistema. Il meccanismo di azione dell’attuatore deve essere adeguato all’applicazione: per esempio in molte applicazioni aerospaziali oppure nel settore automotive si richiedono attuatori dal basso peso e con risposte su una larga banda di frequenze mentre nella progettazione di stabilizzatori per macchinari industriali sono richiesti attuatori in grado di fornire grandi deformazioni senza limitazioni troppo restrittive sulle frequenze d’attuazione. E’ inoltre fondamentale che gli attuatori siano rapidi tanto da rispondere con minimi ritardi di tempo per non destabilizzare il sistema. Spesso gli attuatori sono sottoposti ad elevati campi elettrici oppure a forti carichi meccanici indotti dalla struttura ospite (ad esempio sforzi di trazione elevati a causa della forza centrifuga sulle pale di un rotore). In tali condizioni il materiale piezoelettrico, ad esempio, mostra un comportamento fortemente non lineare; di conseguenza, per sviluppare un efficiente sistema strutturale con attuatori piezoceramici, è necessario prevedere la risposta degli attuatori in termini di ampiezza e fase della deformazione indotta; la potenza assorbita; l’integrità degli stessi sotto differenti eccitazioni e livelli di carico. La potenza elettrica richiesta da tutti gli attuatori dipende dalla deformazione da indurre, dalla frequenza alla quale deve essere sottoposta la struttura e dalla temperatura di funzionamento. Devono essere tenute in considerazione anche l’efficienza e la stabilità del materiale quando esso è sottoposto a tensioni di funzionamento polari e bipolari, oppure la sua resistenza alla depolarizzazione. 52.5.2 I requisiti funzionali La scelta della tipologia, della quantità e della posizione di sensori e attuatori all’interno di una struttura dipende innanzitutto dall’applicazione per la quale la struttura è progettata e le soluzioni ottimali vanno ricercate e valutate volta per volta contestualmente alle strategie di monitoraggio e di attuazione che si intendono adottare. E’ possibile tuttavia fare alcune considerazioni di carattere generale. Lo scopo dei sensori è quello di monitorare la risposta del sistema compatibilmente con le leggi di controllo fornendo misurazioni utili a ricostruire lo stato del sistema stesso. A prescindere dal tipo di grandezza che si intende misurare, siano esse misure meccaniche (carichi, deformazioni, vibrazioni, ecc), termiche (per individuare i gradienti di temperatura) o misure chimiche (per l’analisi di fenomeni quali la corrosione e la erosione) è fondamentale effettuare sempre un’indagine preliminare per configurare una griglia di sensori che, opportunamente posizionata, provochi le minori variazioni possibili alla dinamica della struttura in esame. Un errato posizionamento può inoltre portare alla difficoltà di lettura dei dati o alla lettura di dati non interessanti. Le diverse tipologie di sensori possono suddividersi in due principali categorie: sensori locali, e sensori distribuiti. Un sensore locale misura un particolare parametro in un punto definito dalla sua posizione. Il valore puntuale misurato risulta quindi attendibile quando si ritiene sufficientemente regolare il campo di indagine. Un sensore distribuito viceversa permette la misura del parametro di interesse lungo la sua stessa geometria. Sensori di questo genere sono in grado di coprire, tramite opportune griglie di posizionamento, superfici molto ampie. Essi non sono generalmente in grado di fornire valori puntuali. Pur tuttavia, tramite un’analisi dei dati forniti, è possibile ottenere un andamento qualitativo e a volte anche quantitativo dei parametri di interesse lungo la struttura in esame. La presenza di un elevato numero di sensori porta inevitabilmente alla necessità di organizzarli in un sistema multiplexing dotato della capacità di interrogare contemporaneamente, con Per offrire un’efficienza ottimale è necessario che anche le leggi di controllo siano messe a punto in modo da accordarsi perfettamente ai sensori e agli attuatori con cui devono operare, tenendo conto di fattori come discontinuità nelle rilevazioni dei sensori, non linearità del fenomeno, fenomeni di isteresi, e altre proprietà degli smart materials in modo da ottenere le prestazioni desiderate. Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 8 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI ottica geometrica. La riflessione è il fenomeno per cui un fascio di luce che colpisce una superficie di separazione tra due mezzi prosegue in parte il suo percorso, deviandolo oltre la superficie, e in parte torna nella direzione di provenienza. In particolare, con riferimento alla Figura 52.4-a, detto I l’angolo di incidenza del raggio luminoso e detto R l’angolo formato dal raggio riflesso con la normale alla superficie, si ha che I = R. 52.6 Principio di funzionamento di sensori e attuatori 52.6.1 Fibre Ottiche La fibra ottica è una particolare struttura capace di fornire un’opportuna guida d’onda alla luce: vincolando il segnale luminoso a seguire un determinato percorso ne limita le perdite di potenza consentendone la trasmissione a lunga distanza. Generalmente costituite di materiale vetroso o polimerico le fibre ottiche hanno una struttura coassiale, come si può osservare in Figura 52.3. (a) Figura 52.3 – Struttura concentrica di una tipica fibra ottica. Al centro vi è un filamento a sezione circolare detto core, del diametro tipico di 8µm per la fibra monomodale3 e 50÷62,5µm per quelle multi-modali4. Attorno ad esso vi è uno strato chiamato cladding, del diametro esterno di 125µm. Core e cladding costituiscono la guida d’onda vera e propria e si differenziano per avere indice di rifrazione leggermente diverso: il cladding deve avere un indice di rifrazione minore (n0 = 1, 475) rispetto al core (n0 = 1, 5). Per offrire una maggiore resistenza e protezione alla fibra, in fase di realizzazione viene aggiunto uno strato detto buffer o coating, di spessore variabile dai 7µm per i rivestimenti in poli-imide ai 75µm per quelli in poli-acrilato. (b) Figura 52.4 – Rappresentazione del principio di funzionamento della fibra ottica. Chiamando T l’angolo formato dal raggio trasmesso o rifratto con la normale alla superficie, secondo la legge di Snell, si ha che 52.6.1.1 Principio di funzionamento La fibra ottica si comporta come un conduttore che confina la luce al suo interno attraverso il fenomeno della riflessione totale, descrivibile con un modello di ( 3 ) ( ) (52.1) dove n1 e n2 sono i rispettivi indici di rifrazione dei due mezzi. La fibra mono-modale permette la trasmissione di un solo raggio luminoso o modo di propagazione al suo interno, poichè grazie al diametro ridotto del core, circa 9µm, e alla riflessione totale su di un diametro cosi ridotto si ottiene una propagazione del raggio luminoso all’interno di fatto quasi rettilinea (mono-modo o singlemode). Tale fibra permette di ottenere delle dispersioni cromatiche molto limitate e quindi garantisce le più elevate caratteristiche di trasmissione. 4 Le fibre multi-modali permettono la trasmissione di centinaia di modi di propagazione. La riflessione totale avviene quando l’angolo T raggiunge l’ampiezza di /2, cioè se non esiste più onda rifratta. Questo fenomeno può avvenire nel passaggio da un mezzo più denso a uno meno denso (quando n1 > n2); l’angolo T tale per cui non esiste onda rifratta è detto angolo critico: Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 9 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 ( ) CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI vantaggi fra i quali si sottolineano la bassa attenuazione del segnale trasmesso, la capacità di veicolare informazioni ad alta velocità, la capacità di multiplexare le informazioni sulla stessa fibra, l’immunità da interferenze elettromagnetiche, l’alta resistenza elettrica, il peso e l’ingombro ridotti, la bassa potenza contenuta nei segnali e non ultima l’ottima resistenza a condizioni climatiche avverse. (52.2) Quando crit non appare alcun raggio rifratto, quindi la luce incidente subisce una riflessione interna totale ad opera dell’interfaccia. Si genera un’onda di superficie, onda evanescente (leaky wave), che decade esponenzialmente all’interno del mezzo con indice di rifrazione n2, il cladding, nel caso delle fibre ottiche. Nelle comunicazioni ottiche, lo spettro viene normalmente descritto in funzione della sua lunghezza d’onda, piuttosto che della sua frequenza (anche se le due informazioni sono intercambiabili). Combinando i diversi fenomeni di attenuazione, rifrazione e dispersione vi sono tre finestre spettrali, rappresentate in Figura 52.6, particolarmente adatte all’uso nelle telecomunicazioni: In Figura 52.4-b sono rappresentati due raggi luminosi che incidono l’interfaccia tra core e cladding all’interno della fibra ottica. Il fascio A incide con un angolo A superiore a crit e rimane intrappolato nel core ossia è totalmente riflesso mentre il fascio B incide con un angolo B minore di crit, viene pertanto rifratto nel cladding e perso. Si capisce quindi che solamente i fasci luminosi entranti nella fibra all’interno del cosiddetto cono di accettazione riescono a percorrerla (Figura 52.5). PRIMA FINESTRA: 850nm, molto usata nei laser a diodo con luce multimodale, permette di realizzare collegamenti fino a poche centinaia di metri. SECONDA FINESTRA: 1310nm, usata con laser multimodali o monomodali, permette la realizzazione di collegamenti dell’ordine dei 5-10km. TERZA FINESTRA: 1550nm, usata con laser monomodali, permette di coprire le distanze maggiori, compresi collegamenti superiori ai 100km. (a) Figura 52.6 – Finestre di utilizzo della fibra ottica. (b) Figura 52.5 – Legame tra l’angolo di accettazione (a), la propagazione e l’intensità della luce all’interno di una fibra ottica (b). 52.6.1.2 Sensori a reticolo di Bragg I sensori a reticolo di Bragg o FBG (Fiber Bragg Gratings) sono sensori intrinseci a modulazione spettrale capaci di misurare diverse grandezze fisiche tra cui deformazione e temperatura. In un sensore intrinseco il parametro fisico da misurare interagisce direttamente con la fibra ottica e modifica le caratteristiche della luce che rimane sempre confinata all’interno della fibra. In un sensore di tipo spettrale l’interazione del sensore con la grandezza da misurare modula la distribuzione spettrale dell’intensità della luce. I sensori a reticolo di Bragg sono dei particolari sensori inscritti all’interno di una fibra ottica opportunamente drogata per renderla fotosensibile. La particolarità di questa fibra è la capacità di poter modificare il valore locale dell’indice di rifrazione del Ciò porta a dei limiti nell’utilizzo della fibra stessa che non può essere sottoposta ad angoli di curvatura troppo stretti pena la fuoriuscita parziale o totale del fascio luminoso dal cladding. L’impiego diffuso di fibre ottiche iniziò dopo la seconda guerra mondiale per costruire una rete di comunicazione che fosse immune alle interferenze elettromagnetiche e quindi potesse essere usata anche a seguito di un’esplosione nucleare. Oggi costituiscono la struttura portante delle principali arterie di telecomunicazione grazie ad una serie molteplice di Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 10 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI della luce ad una specifica lunghezza d’onda, B. Lo spettro di riflessione si ottiene sommando i contributi di ogni singola frangia, che nel caso siano tutte uguali restituisce uno spettro che presenta un picco centrato a B. core attraverso l’esposizione dello stesso ad un’opportuna fonte di energia, come può essere un fascio di luce laser. Modulando in maniera appropriata la sorgente laser è possibile inscrivere nel core un reticolo costituito da una serie di frange aventi un indice di rifrazione differente. Figura 52.8 – Riflessione delle frange di un reticolo di Bragg. Ogni effetto che provoca una variazione della lunghezza L, del periodo o dell’indice di rifrazione neff del reticolo determina un mutamento della lunghezza d’onda di Bragg e quindi può essere misurato. Misurando la variazione della B dello spettro, come mostrato in Figura 52.9, si risale alla misura della grandezza osservata attraverso opportune costanti foto-termo elastiche. Figura 52.7 – Reticolo di Bragg a spaziatura uniforme. Nel caso in cui la sollecitazione sia uniforme su tutto il reticolo si osserva che lo spettro di riflessione manifesta una traslazione rigida lungo l’asse delle lunghezze d’onda, (Figura 52.10-a). Nel caso di misura di deformazioni meccaniche si ha uno spostamento verso le lunghezze d’onda maggiori nel caso di sollecitazione a trazione e viceversa verso le lunghezze d’onda inferiori nel caso di compressione. Analogamente avviene anche per le misure di temperatura. Nel caso la sollecitazione presenti un andamento lineare lungo il reticolo si osserva un aumento della larghezza dello spettro e una riduzione del suo valore di picco, come mostrato in Figura 52.10-b. Il dispositivo si comporta da filtro ottico in trasmissione e da riflettore selettivo della lunghezza d’onda in riflessione. La variazione dell’indice di rifrazione core altera infatti il percorso ottico del fascio luminoso consentendo solo ad una parte della luce attraversare il reticolo mentre la restante parte viene riflessa. Lo spettro di riflessione presenta delle caratteristiche ben specifiche, che sono legate alla struttura del reticolo, in particolar modo alla periodicità e all’intensità di modulazione dell’indice di rifrazione delle sue frange. I parametri che caratterizzano ogni FBG sono: periodo del reticolo; L lunghezza del reticolo; neff indice di rifrazione efficace del reticolo; B lunghezza d’onda di Bragg; n variazione dell’indice di rifrazione del reticolo; R riflettività del reticolo R = tanh2 (kL); k parametro di modulazione k = n/B. L’equazione fondamentale per l’utilizzo degli FBG è quella di Bragg, che lega la spaziatura del reticolo e la lunghezza d’onda centrale dello spettro riflesso, chiamata lunghezza d’onda di Bragg B, definita come segue: Figura 52.9 – Variazione dello spettro di riflessione di un reticolo FBG sottoposto a una sollecitazione uniforme. La misura della B permette di ricavare l’entità della sollecitazione attraverso il legame fotoelastico. (52.3) Come si può osservare in Figura 52.8 ogni coppia di frange del reticolo riflette una piccola percentuale Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 11 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI La misura del solo fornisce quindi una valutazione del valore medio della grandezza in esame lungo il sensore. Nel caso di sollecitazione arbitraria lo spettro può subire notevoli deformazioni (Figura 52.10-c), presentando anche sdoppiamenti del picco, e la lunghezza d’onda associata al picco dello spettro non è sufficiente a determinare neanche il valore medio della grandezza osservata. è possibile ottenere sia sistemi di misura quasipuntuali sia quasi-distribuiti; un reticolo FBG può funzionare come trasduttore di temperatura, deformazione o altre grandezze; elevata sensibilità. 52.6.1.3 Caratteristiche geometrico-ottiche del reticolo di Bragg La risposta di un reticolo di Bragg è fortemente legata alla sua struttura ed in particolar modo alla sua lunghezza, alla sua spaziatura e alla sua apodizzazione, caratteristiche che sono ottenute durante la fase di produzione del sensore. La prima determina l’estensione la zona sensibile della fibra ottica, la seconda riguarda la successione geometrica delle diverse frange, mentre la terza determina il profilo di variazione dell’indice di rifrazione. Lunghezza La lunghezza del reticolo determina le dimensioni della zona sensibile della fibra ottica, la tipologia ed il campo di utilizzo del sensore. Esistono reticoli con lunghezze comprese in un range di 2÷50mm; quelli più corti sono più adatti ad una misurazione puntuale della grandezza in esame specie su oggetti di piccole dimensioni, mentre quelli più lunghi permettono di mediare la misura su una maggiore lunghezza. Oltre alle dimensioni che dipendono da ciò che si deve misurare, bisogna tenere in considerazione che, a parità di modulazione dell’indice di rifrazione sulle singole frange, un reticolo più lungo garantisce una maggiore riflettività ed uno spettro migliore, ossia con un picco ben marcato e facilmente identificabile, come mostrato in Figura 52.11. Figura 52.10 – Variazioni dello spettro di riflessione di un reticolo soggetto a deformazioni che presentano diversi andamenti ma uguale valore di deformazione media, pari a 2000µ. Il sensore di Bragg permette quindi di ricavare sia informazioni quantitative che qualitative della grandezza misurata. Oltre alle già citate proprietà delle fibre ottiche, i sensori a reticolo di Bragg si distinguono per una serie di caratteristiche: la B ha un andamento lineare rispetto alle sollecitazioni termiche e meccaniche in un ampio range di misura; la grandezza misurata è codificata attraverso lo spettro e il sensore risulta quindi non affetto da disturbi esterni o perdite di potenza; Figura 52.11 – Spettri di reticoli uniformi e non anodizzati di diversa lunghezza. i sensori in fibra ottica hanno dimensioni limitate e possono essere inglobati all’interno di una struttura in materiale composito; Si può osservare in Figura 2.10-a come all’aumentare della lunghezza del reticolo aumenti il valore di picco della riflettività fino ad arrivare alla riflessione completa della luce avente lunghezza d’onda pari alla lunghezza d’onda di Bragg e di un suo ristretto intorno. Un’ulteriore osservazione riguarda l’ampiezza dello spettro che al contrario della riflettività tende a diminuire è possibile inserire sulla stessa fibra ottica più di un reticolo alla volta attraverso le diverse tecniche di multiplexing; Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 12 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI all’aumentare della lunghezza del reticolo fino a raggiungere un valore asintotico, come mostrato in Figura 52.12-b. danno luogo ad uno spettro di riflessione di tipo allargato in quanto, a differenza dei reticoli uniforme, ogni frangia i ha un periodo i diverso e quindi riflette la luce ad una differente lunghezza d’onda Bi . La somma dei contributi di riflessione di tutte le frange restituisce uno spettro a banda larga, come mostrato in Figura 52.14-b. Una caratteristica unica di questi reticoli nell’ambito sensoristico è la possibilità di associare una perturbazione in un preciso punto dello spettro ad una perturbazione (sia termica che meccanica) in un punto preciso del reticolo. Esiste quindi una relazione bi-univoca tra la posizione geometrica di un punto sullo spettro e sul reticolo. Lo spettro di riflessione può essere espresso in funzione della posizione lungo il reticolo. Tipicamente i reticoli chirpati hanno una lunghezza di 30÷50mm e riflettono uno spettro con un’ampiezza di circa 4,5÷5nm. Le caratteristiche dei reticoli chirpati permettono di usarli come sensori capaci di misurare sia le variazioni medie sull’intera lunghezza del reticolo che individuare possibili danneggiamenti localizzati in uno o più punti dello stesso. A livello operativo bisogna ricordare la notevole differenza di costo tra le due tipologie di reticoli. I reticoli chirpati costano circa 10 volte quelli uniformi a causa della loro struttura più complessa e della maggiore lunghezza. Figura 52.12 – Andamento della potenza riflessa e dell’ampiezza dello spettro al variare della lunghezza di un reticolo standard. Spaziatura Esistono diverse tipologie di reticoli di Bragg che si differenziano per la disposizione geometrica delle frange. Le geometrie maggiormente usate in ambito sensori stico sono quelle del reticolo uniforme e di quello chirpato. Apodizzazione Lo spettro di riflessione di un reticolo di Bragg di lunghezza finita e con le frange aventi tutte lo stesso indice di rifrazione genera uno spettro di riflessione che presenta un picco centrale associato ad una serie di lobi laterali. Per migliorare la lettura dello spettro e di conseguenza la bontà della misura è fondamentale ridurre tali lobi il più possibile eliminando la riflettività alle lunghezze d’onda esterne a quelle del picco principale. Per fare ciò si ricorre all’uso di particolari reticoli, detti apodizzati, che presentano una variazione della modulazione dell’indice di rifrazione lungo il reticolo. Figura 52.13 – Geometria (a) e spettro (b) di un FBG a reticolo uniforme. Il reticolo uniforme presenta una costante periodicità delle frange di interferenza, definita attraverso la relazione di Bragg. Questa uniformità permette alle singole frange di riflettere la luce alla stessa lunghezza d’onda e quindi di ottenere uno spettro molto stretto centrato in corrispondenza della B, come si vede dalla Figura 52.13. Figura 52.15 – Confronto tra lo spettro di un reticolo FBG non apodizzato ed uno apodizzato. 52.6.1.4 Tecniche di multiplexing L’utilizzo della fibra ottica permette di utilizzare più sensori sullo stesso canale di acquisizione sfruttando le diverse possibilità di multiplexing offerte dai sistemi ottici. I principali metodi di multiplexing ottico si basano sulla suddivisione dei segnali associati ai singoli canali attraverso una diversificazione della lunghezza d’onda, Figura 52.14 – Geometria (a) e spettro (b) di un FBG a reticolo Chirpato. Un reticolo chirpato presenta una variazione monotona delle sue caratteristiche, come mostrato in Figura 52.14-a e può essere ottenuto sia modificando la spaziatura delle singole frange che la variazione dell’indice di rifrazione del core n. I reticoli chirpati Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 13 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI Wavelength Division Multiplexing (WDM), o del tempo, Time Division Multiplexing (TDM). sistema è possibile acquisire un numero limitato di reticoli. Wavelength Division Multiplexing (WDM) La più semplice tecnica di multiplexing dei sensori FBG si basa sulla suddivisione dei reticoli in base alla differente B di ognuno e alla possibilità di suddividere lo spettro della sorgente luminosa in opportune finestre. Su un’unica fibra ottica vengono foto-incisi in successione diversi reticoli ognuno dei quali ha una propria periodicità e una B associata che differisce da un reticolo all’altro. Lavorando nel campo delle lunghezze d’onda la spaziatura tra i diversi reticoli può essere scelta a piacimento, all’interno dello spettro della sorgente luminosa. In Figura 52.16 è mostrato il classico schema WDM in cui un array di reticoli FBG è scritto su un’unica fibra e illuminato con una sorgente laser a banda larga. I segnali ottici riflessi dai singoli reticoli sono inviati al sistema di rilevamento WDM . Tra i possibili metodi di separazione del segnale WDM vi è la suddivisione dell’intero spettro luminoso in finestre di osservazione tramite opportuni filtri ottici di tipo passabanda. Ad ogni finestra è associato un singolo reticolo, la cui ricade all’interno della finestra di osservazione, e un interrogatore ottico. (a) Figura 52.16 – Schema di un sistema di misura Wavelength Division Multiplexing. (b) Solitamente si usa un sistema di interrogazione simultanea in parallelo di tutti i sensori WDM, come mostrato in Figura 2.15-a. Si usa uno splitter ottico 1xNfibre per suddividere lo spettro di riflessione negli N reticoli monitorati. Nello schema in parallelo ogni foto-rilevatore riceve solo 1/2N della potenza ottica a causa dell’uso dello splitter 1xN e degli N coupler, richiedendo quindi una notevole potenza luminosa erogata dalla sorgente. Un migliore sfruttamento della potenza luminosa rispetto allo schema in parallelo si ha con lo schema in serie, mostrato in Figura 2.15-b. La maggiore riduzione di potenza si ha a causa degli N coupler necessari, ma grazie all’eliminazione dello splitter 1xN si ha un risparmio di 6dB sulla potenza ottica richiesta alla sorgente. Figura 52.17 – Schema in parallelo (a) ed in serie (b) per il de-multiplexing di sistemi WDM. Time Division Multiplexing (TDM) Nello schema TDM, mostrato in Figura 52.18, si usa una sorgente laser di tipo pulsato e questo permette di acquisire gli impulsi di riflessione dei diversi reticoli in tempi diversi. L’intervallo temporale di acquisizione tra un segnale e l’altro è determinato dalla distanza tra i vari reticoli. La durata dell’impulso della sorgente deve avere una lunghezza inferiore o pari alla distanza tra i diversi sensori. Gli impulsi riflessi da ogni reticolo sono separati nel tempo e vengono elaborati da un interferometro di tipo Mach-Zender che misura la variazione di lunghezza d’onda B. Il vantaggio di uno schema WDM è la possibilità di acquisizione in continuo e contemporanea di tutti i reticoli indipendentemente dalla distanza tra di essi all’interno della fibra ottica. Di contro con questo Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 14 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI dell’effetto delle precipitazioni che induriscono la matrice metallica. Tipicamente la deformazione pseudoelastica recuperabile per questo materiale è stata misurata da Saburi (1986) ed è dell’ordine del 8%. Alla base del comportamento di tutte le leghe a memoria di forma vi è la proprietà delle leghe stesse di cambiare fase al variare della temperatura: questo fenomeno è stato denominato trasformazione martensitica. Le trasformazioni martensitiche sono generalmente divise in due gruppi: termoelastiche e non termoelastiche. Le trasformazioni non termoelastiche avvengono principalmente nelle leghe ferrose e sono associate ad una interfaccia non mobile tra la martensite e la fase genitrice; queste ultime sono vincolate da difetti permanenti e procedono mediante successive enucleazioni e crescite. A causa della enucleazione della austenite durante la trasformazione martensitica all’indietro (da martensite ad austenite), le trasformazioni non termoelastiche sono a livello cristallografico non reversibili ovvero la martensite non può riconvertirsi nella fase genitrice con l’orientazione originale. Le trasformazioni martensitiche termoelastiche viceversa sono associate ad una interfaccia mobile tra la fase genitrice e quella martensitica chiamata habit plane. Questa interfaccia è in grado di effettuare movimenti “all’indietro” durante la trasformazione inversa mediante uno stiramento delle placche martensitiche senza subire né rotazioni né distorsioni rendendo così reversibile dal punto di vista cristallografico la trasformazione stessa (Figura 52.19). Figura 52.18 – Schema di un sistema di misura Time Division Multiplexing. Il vantaggio principale di uno schema TDM è quello di poter utilizzare reticoli a bassa riflettività, con lo stesso periodo ed in numero elevato sulla stessa fibra ottica (riducendo i costi di produzione). Con questa tecnica è possibile acquisire fino a 100 reticoli inscritti nella stessa fibra. Lo svantaggio principale è la necessità di separare spazialmente i reticoli per dare il tempo all’interrogatore di distinguere gli impulsi di ciascun sensore nonché l’acquisizione sequenziale degli stessi. 52.6.2 Leghe SMA Le leghe a memoria di forma (Shape Memory Alloys, SMA) sono particolari leghe che, se deformate entro certi limiti, hanno la capacità di recuperare la loro forma originale mediante il riscaldamento al di sopra di una temperatura caratteristica di trasformazione. Se il recupero di forma è completamente o parzialmente impedito dalla presenza di vincoli, il materiale può generare sforzi notevoli, detti sforzi di recupero, sui vincoli stessi. Le proprietà termo-meccaniche di queste leghe dipendono principalmente dalla loro composizione chimica, dal lavoro a freddo effettuato durante le fasi di produzione, dai trattamenti termici e dai cicli termo-meccanici cui vengono sottoposti durante la vita operativa. La più nota lega a memoria di forma è senza dubbio il NiTiNOL (Nickel-TitaniumNaval-Ordnance-Laboratory, dal nome del laboratorio statunitense dove fu scoperta agli inizi degli anni sessanta): si tratta di una lega equi-atomica di NickelTitanio e nonostante il costo abbastanza elevato, è molto utilizzata in virtù sia delle rilevanti deformazioni di recupero che può esibire (dell’ordine del 5-8%). Inoltre essa possiede un range elevato di temperature di attivazione (tipicamente da -30°C a +170°C) che la rende versatile a molteplici impieghi. La natura a grani fini e la bassa anisotropia di questa lega ne permette la produzione in forma di fili, strisce, fogli e tubi. Il NiTiNOL presenta anche una elevata resistenza alla corrosione ed è biocompatibile (ciò ne spiega il vasto utilizzo in applicazioni biomediche). Le leghe NiTi arricchite con maggior quantità di Titanio (Ti) differiscono dalle leghe NiTi equi-atomiche nel fatto che la presenza di maggior Titanio incrementa le temperature di trasformazione. Le leghe NiTi arricchite con maggior quantità di Nickel (Ni), oltre ad avere temperature di trasformazione inferiori, esibiscono una pseudo-elasticità estesa a causa Figura 52.19 – Deformazione reticolare nel passaggio martensite-austenite; vengono indicati sia gli sforzi di taglio che si generano, sia l’interfaccia mobile habit plane. Per una trattazione più completa delle trasformazioni martensitiche termoelastiche di fase si rimanda alle teorie cristallografiche della trasformazione martensitica sviluppate da Wechsler (1953) e da Bowles e MacKenzie (1954). 52.6.2.1 Comportamento microscopico Nel NiTiNOL esistono due fasi stabili della struttura cristallina chiamate austenite (o fase genitrice) e martensite (o fase prodotto). L’austenite rappresenta lo stato stabile ad alta temperatura e possiede una struttura cristallina cubica B2 a corpo centrato ad elevata simmetria Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 15 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI La trasformazione all’indietro avviene perché i cristalli si orientano nuovamente secondo la configurazione originale (reversibilità cristallografica). a cui corrisponde un elevato modulo elastico; la martensite, invece, rappresenta lo stato stabile a bassa temperatura e possiede una struttura monoclina B19’ alla quale corrisponde un modulo elastico inferiore. Dal momento che la struttura cristallina della martensite presenta una minor simmetria, possono in tale fase coesistere diverse orientazioni chiamate varianti. Le varianti martensitiche sono ventiquattro ed in uno stato privo di sforzo sono tutte presenti; in questo caso si dice che lo stato è di martensite twinned, perché le orientazioni dello stesso tipo sono accoppiate tra loro. Invece, quando esiste uno stato di sforzo, la lega si deforma e permangono solo le varianti che meglio si adattano allo sforzo; in tal caso la martensite prende il nome di martensite detwinned (martensite indotta da sforzo, SIM, oppure martensite riorientata). In alcune leghe NiTi arricchite al Nickel, dopo alcuni trattamenti termici, può inoltre comparire una terza fase chiamata fase-R caratterizzata da una struttura cristallina di tipo romboedrica R; questa fase è una distorsione romboedrica del reticolo B2 dell’austenite nella direzione (111)A ed è quindi una ulteriore fase in competizione con quella martensitica durante la trasformazione. (a) I cambiamenti della struttura cristallina che le leghe a memoria di forma presentano corrispondono ad un passaggio di fase da austenite a martensite (trasformazione in avanti) e viceversa (trasformazione all’indietro). La trasformazione in avanti si sviluppa a seguito di un raffreddamento attraverso enucleazione e propagazione di microscopici piani di interfaccia che si muovono parallelamente. Il continuo abbassamento della temperatura non accresce la dimensione delle placchette di martensite, ma ne enuclea di nuove. Gli atomi della struttura genitrice austenitica si muovono e si riordinano in modo da ottenere la struttura prodotto; il moto cooperativo degli atomi causa di fatto una deformazione del reticolo cristallino. (b) La configurazione ideale (Figura 52.20-a) non è raggiungibile perché la matrice austenitica vincola la deformazione costringendo il reticolo a mantenere la posizione originale del cristallo. Si genera in questo modo uno stato di sforzo che porta ad una deformazione locale secondo due possibili meccanismi: scorrimento (slip) e geminazione (twinning), come illustrato in Figura 52.20-b. Con lo scorrimento si ha una deformazione plastica per moto delle dislocazioni che quindi è irreversibile, mentre con la geminazione si ha la formazione di placchette con orientazione differente rispetto alla matrice. In quest’ultimo caso non si ha rottura di legami atomici, quindi la deformazione è reversibile. Applicando uno sforzo di taglio alla martensite ottenuta per geminazione è possibile far scorrere il bordo dei geminati ottenendo una netta variazione di forma ed una martensite allineata in una unica direzione. (c) Figura 52.20 – Orientazione ideale del reticolo durante la trasformazione martensitica (a); Processo di slip e processo di twinning (b) e Curva dell’energia libera di Gibbs per la trasformazione martensitica di fase del NiTiNOL (c). Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 16 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI ( ) La driving force che guida la trasformazione martensitica, è il salto energetico che deve essere superato per passare dalla fase genitrice alla fase prodotto, ovvero la differenza tra l’energia libera di Gibbs delle due fasi. Dalla Figura 52.20-c si può notare che esiste una temperatura T 0 alla quale la differenza di energia libera di Gibbs ∆G è nulla; a temperature inferiori la fase a minor G è quella B19’ martensitica, mentre a temperature superiori quella a minor G è la fase B2 austenitica. Sforzo Raffreddamento Sforzo Riscaldamento Figura 52.22 – Passaggio da austenite a martensite a seconda della temperatura e dello sforzo applicati. Riportando i dati sperimentali di cicli termici condotti a sforzo costante in un grafico sforzo-temperatura, si ottiene il diagramma di fase riportato in Figura 52.23. Nel diagramma di fase si possono individuare quattro grandi regioni dette zone morte (in colore grigio) e due regioni dette strisce di trasformazione (in bianco). Nelle zone morte la trasformazione non può avvenire e prendono rispettivamente il nome di zona A, nella quale è presente 100% austenite, zona Md, in cui è presente martensite allineata nella direzione dello sforzo (detwinned), zona Mt,d dove possono coesistere martensite non allineata (twinned) e martensite detwinned, ed infine zona Mt,dA nella quale possono coesistere martensite twinned, detwinned e austenite. Nelle strisce di trasformazione [A], [M], [t], [d] possono avvenire o la trasformazione martensitica o la riorientazione della martensite, esclusivamente seguendo i versi indicati dalle frecce nA, nM, nt, nd. Facendo riferimento al percorso di Figura 52.23 con partenza dal punto E, quando la lega nel suo processo attraversa la striscia [M] con verso concorde alla freccia nM avviene la trasformazione in avanti; quando la lega attraversa la striscia [A] con verso concorde alla freccia n A avviene la trasformazione all’indietro. Occorre notare che l’andamento di MS, MF, AS, AF, è lineare per bassi e alti valori di sforzo, mentre si presenta non regolare nel tratto intermedio. Ciò dipende dal fatto che in base al livello di sforzo applicato si possono avere diverse configurazioni di martensite. Frazione martensitica 0.5 AF Temperatura Figura 52.21 – Evoluzione della frazione martensitica al variare della temperatura. Associate alla trasformazione martensitica in avanti e all’indietro, vi sono quattro temperature caratteristiche di inizio e fine trasformazione forward e reverse (Figura 52.21): AS, AF, MS, MF. A queste possono essere aggiunte talvolta altre due temperature associate alla fase-R: Rs , Rf. Le interazioni di carichi termici e meccanici con le leghe a memoria di forma sono le cause del passaggio da una fase all’altra. La caratteristica cruciale delle leghe a memoria di forma è la presenza di una trasformazione martensitica di fase tra la fase austenitica e le varianti della fase martensitica. Ciò che rende queste leghe profondamente differenti, dal punto di vista macroscopico, dagli altri materiali sono principalmente l’effetto di memoria di forma (SME, Shape Memory Effect) e la pseudo-elasticità che si verificano a seconda del modo in cui avviene la trasformazione di fase. Le temperature di trasformazione dipendono quindi dallo stato di sforzo presente nel materiale secondo leggi di tipo lineare: ( ) ( ) Martensite detwinned Riscaldamento AS MS Martensite twinned Austenite 1.0 0.0 (52.5) con AS0, AF0, MS0, MF0 temperature di trasformazione a sforzo nullo, σ è lo sforzo applicato, C A e CM coefficienti che per il NiTiNOL possono variare rispettivamente tra 4,5 e 13,8 MPa/°C e tra 7 e 11,3 MPa/°C. 52.6.2.2 Comportamento macroscopico Il passaggio di fase da austenite a martensite è chiamato trasformazione in avanti (forward transformation) , mentre il passaggio da martensite ad austenite è chiamato trasformazione all’indietro (reverse transformation). Le principali variabili macroscopiche che permettono di caratterizzare il comportamento del NiTiNOL sono la temperatura, lo sforzo, la deformazione e la frazione martensitica. La frazione martensitica, ossia il volume della martensite presente nella lega rispetto al volume totale, può essere impiegata come un indicatore dello stato di avanzamento della trasformazione martensitica, considerando insieme tutte le varianti di martensite. Essa assume un valore che può variare tra 0, caso in cui esiste solo austenite, ed 1, caso in cui il materiale è tutto in fase martensitica. MF ( ) (52.4) Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 17 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI twinned (tratto AB) fino a quando non inizia una riorientazione dei grani nella direzione dello sforzo stesso con il conseguente passaggio dalla martensite twinned alla martensite detwinned (tratto BC corrispondente al plateau della SIM-martensite indotta da sforzo). Figura 52.23 – Diagramma delle fasi del NiTiNOL in funzione dello sforzo e della temperatura. Effetto memoria di forma: recupero di grosse deformazioni mediante una combinazione di processi meccanici e termici. Effetto pseudoelastico: recupero di grosse deformazioni durante cicli di carico e scarico a temperature sufficientemente elevate. (a) A seconda della temperatura a cui avviene un determinato ciclo meccanico si può verificare l’effetto a memoria di forma, l’effetto superelastico o entrambi. Se il materiale si trova ad una temperatura inferiore ad AS, si ottiene effetto a memoria di forma; se il materiale si trova ad una temperatura superiore ad A F, effetto superelastico; se invece la lega si trova ad una temperatura compresa tra AS ed AF i due effetti si combinano tra loro ed il comportamento del materiale risulta complicato. L’effetto a memoria di forma può essere suddiviso in effetto ad una via ed effetto a due vie; nel seguito viene dedicato a ciascuno di essi una analisi dettagliata. Effetto memoria di forma ad una via La definizione di memoria di forma ad una via (one way memory effect) indica che il materiale è in grado di recuperare una sola deformazione imposta a bassa temperatura, in condizione di 100% martensite, mediante la trasformazione martensitica in austenite (Figura 2.23). (b) Figura 52.25 – Grafico sforzo, deformazione, temperatura del comportamento ad effetto di memoria di forma ad una via (a) ed a due vie (b). Terminata la riorientazione ci si trova nella situazione 100% martensite detwinned e quindi al crescere ulteriore dello sforzo si percorre il tratto elastico della martensite detwinned stessa (tratto CD). Giunti ad un livello di sforzo elevato si entra infine nel campo plastico della martensite detwinned (tratto DE). Annullando lo sforzo si ha il recupero elastico competente alla martensite detwinned che porta il materiale ad uno stato di deformazione individuato dal punto F. A questo punto, aumentando la temperatura interviene l’effetto a memoria di forma, ovvero superando la temperatura AS (tratto FG) si ha l’inizio della trasformazione martensitica all’indietro Figura 52.24 – Esempio di una molla in NiTiNOL; comportamento al variare della temperatura. Il grafico di Figura 52.25-a mostra il comportamento completo del NiTiNOL con effetto di forma ad una via. Partendo da una temperatura al di sotto di M F (100% martensite) ed applicando uno sforzo crescente, il materiale percorre il tratto elastico della martensite Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 18 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI (reverse) che si completa con il raggiungimento di una temperatura superiore ad AF (tratto GH). Durante questo ciclo termo meccanico si è così recuperata tutta la deformazione indotta al materiale in fase martensitica tranne la deformazione plastica (tratto DE), comunque irrecuperabile. Una volta raffreddato, il materiale effettua una trasformazione di fase martensitica in avanti (forward) da austenite a martensite, durante la quale, mantenendo uno sforzo nullo, non si ottiene alcuna variazione di forma. passaggio da parzialmente detwinned a twinned. A questo punto, raffreddando il materiale fino ad una temperatura inferiore a MS si impone l’inizio della trasformazione martensitica forward, durante la quale si ha il passaggio da martensite twinned a martensite parzialmente detwinned, ossia alla condizione di partenza. Comportamento superelastico o pseudo-elastico Il comportamento superelastico si verifica quando il materiale a memoria di forma viene sollecitato, a temperatura superiore ad AF, con uno sforzo critico che può indurre la trasformazione martensitica (martensite indotta da sforzo, SIM). Quest’ultima produce una grande deformazione nel materiale che può essere interamente recuperata con lo scarico quando il materiale si mantiene sopra la temperatura AF. Effetto memoria di forma a due vie La definizione di memoria di forma a due vie (two way memory effect) indica che il materiale è in grado di cambiare forma non solo durante la fase di riscaldamento (trasformazione martensitica reverse), come nel caso precedente, ma anche durante la fase di raffreddamento (trasformazione martensitica forward). Nel grafico di Figura 52.25-b si può osservare il comportamento del NiTiNOL dotato di effetto a memoria a due vie nel caso più generale. Il materiale, terminato il processo di allenamento, si trova in forma martensitica parzialmente orientata; in questo modo allo stato iniziale coesistono una percentuale di martensite twinned ed una percentuale di martensite detwinned. Applicando uno sforzo crescente si percorre il tratto elastico del materiale nella forma mista (tratto AB), fino a quando lo sforzo è tale da orientare tutti i grani della fase martensitica (tratto BC) ed ottenere solamente martensite detwinned (punto C). Al crescere ulteriore dello sforzo si percorre tutto il tratto elastico della martensite detwinned (tratto CD). Annullando lo sforzo si ha il recupero elastico della deformazione che porta il materiale ad uno stato di deformazione individuato dal punto E. Aumentando la temperatura fino ad AS (tratto EF) si impone l’inizio della trasformazione martensitica reverse, ossia il materiale inizia a trasformarsi in austenite. (a) Figura 52.26 – Esempio di una molla in NiTiNOL; effetto di memoria a due vie. (b) Figura 52.27 – Comportamento superelastico del NiTiNOL. Una volta raggiunta una temperatura superiore ad AF, la trasformazione martensitica è completa e si è ottenuto il recupero di deformazione che si è generato in precedenza dal passaggio da martensite twinned (non orientata) a martensite detwinned (totalmente orientata). Questa deformazione recuperata è composta dal tratto FG, ossia dalla deformazione ottenuta dal passaggio da detwinned a parzialmente detwinned, e dal tratto GH, ossia dalla deformazione ottenuta dal Nel grafico di Figura 52.27-a si nota che, all’aumentare dello sforzo, dopo un iniziale tratto elastico austenitico (tratto AB), il materiale continua a deformarsi a sforzo quasi costante durante la trasformazione da austenite a martensite (tratto BC), per poi proseguire con un tratto elastico in fase martensitica (tratto CD). Annullando lo sforzo si ottiene il recupero elastico della fase martensitica Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 19 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI (tratto DF), la transizione di fase da martensite indotta da sforzo ad austenite (tratto FG) ed infine il recupero elastico della fase austenitica (tratto GH). In Figura 52.27-a si evidenzia il comportamento superelastico nel caso in cui il materiale non sia giunto in campo plastico della martensite indotta da sforzo cosicché il punto H finale coincida esattamente con il punto A di partenza. In Figura 52.27-b, al contrario, la deformazione plastica generata in fase martensitica indotta da sforzo risulta irrecuperabile ed il punto H finale non coincide con quello iniziale A. esibire effetti piezolelettrici di ben più elevata intensità. Ne rappresentano un tipico esempio le ceramiche policristalline. Esse sono costituite da microdomìni, cioè zone di piccole dimensioni, i cui momenti di dipolo elettrici sono orientati casualmente a risultante nulla. Tali ceramiche non possiedono quindi intrinsecamente una polarità che può tuttavia essere loro conferita attraverso un processo di polarizzazione sfruttandone la natura piroelettrica e ferroelettrica5 . Investendo il materiale con un campo elettrico costante si provocano mutue interazioni di tipo elettrico fra le sue molecole che tendono ad allinearsi secondo direzioni preferenziali in accordo con il campo elettrico applicato. 52.6.3 Piezoelettrici La piezoelettricità è la capacità di alcuni materiali cristallini di manifestare una carica elettrica se sottoposti a stress meccanico oppure di deformarsi se sottoposti ad un campo elettrico. L’effetto piezoelettrico fu scoperto dai fratelli Curie nel 1880 osservando la presenza di un campo elettrico su cristalli di quarzo soggetti a sforzi di tipo meccanico. I Curie notarono che il livello di polarizzazione del quarzo era proporzionale allo sforzo applicato. Lo stesso materiale, inoltre, si deformava se soggetto ad un campo elettrico in accordo con quanto predetto da Lippmann e con i fondamenti della termodinamica. Si tratta in generale di un fenomeno elettromeccanico che accoppia il campo elastico con quello elettrico. (a) Il requisito fondamentale affinché esistano interazioni piezoelettriche in un cristallo è che alcuni dei suoi assi posseggano intrinsecamente una polarità. Il fenomeno è spiegabile a livello cristallografico con distorsioni del reticolo cristallino simili, per certi versi, ai meccanismi martensitici che regolano le tempre dell’acciaio. Il reticolo dei cristalli piezoelettrici è una struttura metastabile cubica a facce centrate in cui l’atomo centrale si trova confinato in una posizione circondata da spazi ottaedrici a minor energia. Sotto l’azione del campo elettrico, l’atomo centrale supera la soglia di potenziale e si sposta in uno dei due spazi ottaedrici realizzando una configurazione a minore energia ma causando una distorsione del reticolo. Viceversa se il reticolo viene deformato per effetto di una sollecitazione meccanica si verifica uno squilibrio nelle cariche elettriche che si estrinseca nella formazione di un dipolo elettrico. Questi due comportamenti sono definiti rispettivamente effetto dielettrico diretto ed effetto dielettrico inverso. Ciò rende i piezoelettrici materiali che godono della proprietà di bi-direzionalità e quindi, come già discusso nel precedente capitolo, essi possono essere utilizzati sia come sensori (sfruttandone l’effetto diretto) sia come attuatori (effetto inverso). (b) Figura 52.28 – Processo di polarizzazione nei materiali piezoelettrici (a) e loro struttura cristallina elementare prima e dopo la polarizzazione (b). Grazie alla sua elevata costante dielettrica al termine del processo la ceramica esibisce un momento di dipolo permanente. Per superare il salto energetico esistente fra uno stato direzionale e l’altro è necessario che l’intero La piezoelettricità è manifestata da un certo numero di cristalli presenti in natura quali il quarzo, la tormalina, il sodio potassio tartrato o il sale di Rochelle. Oggigiorno, grazie ai progressi tecnologici degli ultimi decenni, sono disponibili materiali avanzati in grado di 5 La piroelettricità consiste nella comparsa di cariche sulla superficie di un materiale se sottoposto a riscaldamento uniforme. La ferroelettricità è la capacità di un cristallo polare di rovesciare il proprio dipolo elettrico sotto l’applicazione di un campo elettrico di intensità opportuna. Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 20 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI (dell’ordine di 2GPa) ciò che li rende poco adatti ad essere utilizzati come attuatori. processo avvenga ad una temperatura superiore alla “temperatura d’inversione della struttura”, più comunemente nota come temperatura di Curie. 52.6.3.1 Proprietà ed equazioni di stato delle ceramiche piezoelettriche La costante di carica piezoelettrica, indicata con dij (con i=1, 2, 3 e j=1, 2, …, 6), è definita come la polarizzazione elettrica indotta in un materiale per unità di stress meccanico applicato. Di conseguenza nell’effetto piezoelettrico diretto si ottiene che lo spostamento elettrico D è direttamente proporzionale allo sforzo applicato T: Dopo il trattamento di polarizzazione, il ceramico policristallino è assimilabile, agli effetti del comportamento elettrico, ad un cristallo piezoelettrico che presenta un momento di dipolo netto in grado di rispondere linearmente al campo elettrico applicato o alla pressione meccanica. E’ da osservare che a livello microstrutturale la ceramica piezoelettrica è costituita da un insieme di grani a loro volta costituiti da cristalliti; all’interno di un grano vi sono più domini orientati in direzioni diverse (prima della polarizzazione) e le pareti dei grani sono relativamente mobili, dipendentemente dalla presenza di difetti reticolari, vacanze, dislocazioni, da cui dipende la “rigidità” del materiale. A livello dei grani è possibile notare, nel materiale polarizzato, un’orientazione preferenziale nei vari domini, più o meno accentuata, e che, nel complesso, ha variato la forma del piezoelettrico allungandola lievemente nel senso della polarizzazione. Ad una applicazione di voltaggio concorde con il verso di polarizzazione si osserverà una dilatazione sull’asse parallelo e una strizione sull’asse perpendicolare a quello di polarizzazione. (52.6) Nel caso dell’effetto inverso, la proporzionalità vale ugualmente e lega il campo elettrico E alla deformazione S attraverso la relazione: (52.7) La costante di proporzionalità risulta numericamente identica a quella dell’effetto diretto e viene indicata di nuovo con dji, ma ora denota lo deformazione meccanica subita dal materiale per unità di campo elettrico applicato. Una semplice analisi dimensionale permette di indicare l’unità di misura di dij: Oltre alle ceramiche policristalline, fra le quali le più note sono i PZT (piombo zirconio titanato) ed i PMN (piombo magnesio niobio), l’effetto piezoelettrico può essere conferito anche ad una classe particolare di polimeri, chiamati piezopolimeri quali il PVDF o PVF2 (polivinilidene fluoride) ed il PVDF-TFE (polivinildene fluoride – trifluoroetilene). [d]=[D/T]=[S/E]=coulomb/newton=metri/volt=[C/N]=[m/ V] Un’altra costante piezoelettrica è gij, detta costante di tensione piezoelettrica, definita come il campo elettrico prodotto nel materiale da uno sforzo meccanico unitario (nell’effetto diretto), oppure come deformazione meccanica subita dal materiale per unità di spostamento elettrico applicato. Dimensionalmente si ha: A causa della loro natura ceramica, gli elementi in PZT mostrano rigidità comparabile se non superiore a quella delle strutture a cui vengono applicati con il risultato di una più efficiente conversione dell’energia elettrica in meccanica rispetto ai piezopolimeri; ciò li rende ottimi in svariati campi per la realizzazione di attuatori ad alta efficienza con ottime risposte in frequenza. Il loro effetto reversibile è sfruttabile per la realizzazione di attuatori self-sensing o elementi di controllo in cui è richiesta la simultanea presenza di sensori e attuatori localizzati. Di contro le principali problematiche riguardano l’intrinseca fragilità dei materiali ceramici ed un elevato fenomeno di isteresi per campi elettrici elevati. Il loro effetto piezoelettrico inoltre decade per invecchiamento con conseguente degrado delle prestazioni a causa della polarizzazione che tende ad annullarsi nel tempo. Alternativamente i film di PVDF presentano la consistenza di film polimerici e quindi possono essere virtualmente adattati a qualsiasi geometria, potendo essere facilmente tagliati e adattati alle più svariate superfici ed è quindi possibile la realizzazione di sensori/attuatori distribuiti su tutta la struttura, cosa impensabile con i PZT. Ad una marcata tenacità si contrappone tuttavia una rigidezza molto bassa [g]=[E/T]=[S/D]=metri2/coulomb=[m2/C] Le costanti gij e dij sono messe in relazione da eij, che indica il componente del tensore permettività: (52.8) Le altre costanti da definire per una migliore descrizione delle caratteristiche di un materiale piezoelettrico sono: eij costante che lega lo stress meccanico al campo elettrico hij costante che lega il campo elettrico alla deformazione Tutte le costanti piezoelettriche definite possono essere ricavate mediante le equazioni di un corpo solido e la prima legge della termodinamica; in particolare: ( ) ( ) Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 21 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI L’effetto piezoelettrico governato dal coefficiente d33 è chiamato effetto primario in virtù del fatto che si ha deformazione nella stessa direzione di applicazione del campo elettrico mentre tutti gli altri sono chiamati effetti secondari. I sensori/attuatori piezoelettrici vengono generalmente classificati sulla base del coefficiente di accoppiamento d che viene sfruttato. Oltre alle costanti piezoelettriche definite, ci sono coefficienti che danno una stima “globale” del fenomeno piezoelettrico; tra questi si ricorda il fattore di accoppiamento elettromeccanico efficace che indica la frazione di energia elettrica convertita in energia meccanica o viceversa: Si ipotizza che il piezoelettrico sia dotato di un “carico”, cioè compia del lavoro imprimendo una forza, ad esempio, su di una membrana (è il caso di un attuatore), oppure che carichi, ad esempio, un condensatore (è il caso di un generatore). (a) poiché non è possibile la totale conversione energetica. Valori tipici di sono 0.01 per il quarzo; 0.4 per il titanato di bario; 0.5-0.7 per le ceramiche PZT. Le equazioni del legame costitutivo di un materiale piezoelettrico possono essere scritte in forma sintetica nel seguente modo: Effetto piezoelettrico diretto: Effetto piezoelettrico inverso: dove i, l=1, 2, 3; j=1, 2, …, 6 (b) Considerando la Figura 52.29 si possono fare delle osservazioni per esplicitare meglio le equazioni soprascritte. Figura 52.29 – Esempio degli effetti d33 e d31 in una ceramica PZT (a) e designazione degli assi e delle direzioni di deformazione (b). Per convenzione l’asse di polarizzazione scelto è l’asse 3 o asse z. I piani di taglio indicati dai pedici 4, 5, 6, sono normali rispettivamente agli assi 1, 2, 3. Ogni elemento delle varie costanti avrà due indici, di cui il primo indicherà l’asse (o il piano di taglio) lungo il quale si misura il coefficiente e il secondo l’asse (o il piano di taglio) dell’azione che influisce su di esso. Ad esempio, d33 è la deformazione in direzione dell’asse 3 per unità di campo elettrico applicato in direzione 3, mentre d13 è la deformazione in direzione 1 per unità di campo elettrico applicato in direzione 3. 52.6.3.2 Evoluzione degli attuatori piezoelettrici I primi attuatori piezoceramici furono sviluppati a partire dagli anni cinquanta. Costituiti da una struttura monolitica a forma di piastra sulle cui facce è elettrodepositato un sottile strato uniforme di materiale metallico essi sfruttano l’effetto piezoelettrico secondario accoppiando uno stato di deformazione nel piano ad un campo elettrico normale alla piastra stessa. Naturalmente nel corso degli anni, con il miglioramento delle tecniche di sinterizzazione e di produzione in genere, i piezoceramici hanno subito via via notevoli cambiamenti. Oggigiorno sono disponibili in commercio più tipologie che differiscono principalmente nella composizione della ceramica e nella forma. L’introduzione del concetto di elettrodo interdigitato Le azioni di taglio avvengono solo quando il campo elettrico viene applicato perpendicolarmente all’asse di polarizzazione e quindi sono non nulli solamente d 15 e d24, che sono, inoltre, uguali tra loro per simmetria. Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 22 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI (InterDigitated Electrodes- IDE) ha consentito un netto miglioramento delle prestazioni. Applicati in modo esattamente speculare sulle due facce principali della piastra ceramica essi sono formati da rami di polarità alternata così da garantire, rispetto ad elettrodi uniformi, una maggiore porzione di campo elettrico allineato nel piano della piastra (Figura 2.29-b). quello che avviene nei materiali compositi (dovuto alla combinazione di fibre sottili e matrice tenace). Figura 52.31 – Attuatore in fibra piezoceramica con elettrodi interdigitati (AFC). (a) Pur tuttavia l’elevata differenza dielettrica tra matrice e fibre causava una forte diminuzione del campo elettrico a disposizione delle fibre per l’attuazione; l’applicazione di alte tensioni per mantenere alti livelli di campo elettrico causavano inoltre la nascita di fortissime concentrazioni di campo elettrico nella matrice provocando, come per la generazione di attuatori precedente, rotture dielettriche già durante la fase di polarizzazione. Il problema è stato risolto con l’introduzione di fibre a sezione rettangolare. Brevettati dalla Nasa al Langley Research Center nel 2000 i Macro Fiber Composites (MFC) hanno molte analogie in comune con i loro predecessori essendo costituiti anch’essi da un fascio parallelo di fibre piezoceramiche inglobate in una matrice epossidica e dotati di elettrodi interdigitati. La differenza sostanziale risiede proprio nella sezione rettangolare delle fibre che consente di aumentare notevolmente la zona di contatto con gli elettrodi (che costituiva il punto critico delle fibre circolari) come si può osservare in Figura 52.32. Il particolare processo produttivo con cui vengono realizzati permette inoltre di incrementare notevolmente il contenuto di materiale ceramico che è pari all’80%. (b) Figura 52.30 – Piezoceramica monolitica con elettrodi uniformi (a) e struttura degli elettrodi interdigitati (b). Il principale vantaggio nell’utilizzo di questi elettrodi è quello di consentire lo sfruttamento dell’effetto piezoelettrico primario d33 il quale risulta essere di circa due volte l’effetto secondario d31 nonché di ottenere attuazioni anisotrope. Le prime applicazioni degli IDE non ebbero tuttavia particolare successo per problemi legati ai processi di polarizzazione. La loro morfologia infatti porta a concentrazioni di campo nelle vicinanze dei rami dell’elettrodo originando una intensificazione dello stato di sforzo nella così detta “zona morta” dell’attuatore. I valori in gioco durante la polarizzazione, normalmente superiori a quelli di funzionamento, inducevano spesso danni e rotture nel materiale ceramico. Entrambi questi due aspetti consentono di ottenere prestazioni attuative migliori rispetto agli AFC. Se confrontati con i PZT monolitici la densità di energia è ben più elevata grazie all’uso del campo elettrico nel piano dell’attuatore (si sfrutta in altre parole l’anisotropia dell’attuazione) riuscendo ad ottenere quasi 2 volte la deformazione per attuazione e quasi 4 volte la densità di energia di deformazione. Qualche anno più tardi si modificò la geometria della ceramica andando ad estrudere delle fibre dello stesso materiale ed inglobandole allineate in una matrice epossidica. Gli elettrodi interdigitati sono ottenuti per foto-tranciatura chimica di un sottile strato di rame incollato ad un film di poly-imide con ottime proprietà di resistenza alle alte temperature, all’ossidazione, ai solventi e con un coefficiente di espansione termica molto ridotto. Tutto ciò assume particolare importanza in considerazione del fatto che questo strato (assente nelle ceramiche con elettrodi uniformi) costituisce l’interfaccia del sensore/attuatore con l’esterno ovvero ad esso è deputato il compito di Una tale configurazione consentiva di ovviare, in linea teorica, a molti dei limiti che affliggono le piastre monolitiche: esibivano un’ottima conformità (adattabili anche a superfici curve), un’attuazione anisotropa più marcata e, non ultimo, una elevata resistenza al danno grazie ad un meccanismo di trasferimento dei carichi in presenza di rotture simile a Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 23 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI blocking force assume valori massimi dell’ordine dei 4KN/cm2 relativamente all’area attiva delle fibre che costituiscono l’attuatore (per l’M2814 si ottengono ad esempio circa 100N). [43]-[45]. trasferire le sollecitazioni tra il materiale ceramico interno e la struttura alla quale il sensore/attuatore è applicato (Figura 2.32). Nel caso delle strutture intelligenti, come si spiegherà meglio in seguito, l’interfaccia con l’host material gioca un ruolo fondamentale influenzando direttamente non solo le proprietà funzionali della struttura ma incidendo anche sulle sue prestazioni meccaniche e sul comportamento a fatica. (a) (a) (b) Figura 52.32 – Confronto delle sezioni di un AFC (a) e di un MFC (b). Si evidenzia il maggior contenuto in volume di fibra e la maggior area di contatto dell’MFC. Discorso analogo va fatto anche per la matrice utilizzata per inglobare le fibre piezoceramiche cui è deputato il compito di trasferire il carico alle fibre e di fungere da legante strutturale. Essa deve inoltre possedere proprietà elettriche tali da consentire il trasferimento del campo elettrico alle fibre dell’attuatore ovvero una costante dielettrica elevata, un basso fattore di dissipazione e una elevata forza dielettrica (così da evitare cortocircuiti). (b) Figura 52.33 – Componenti di un attuatore MFC (a) e immagine al microscopio di elettrodi e fibre (b). 52.7 Tecniche di inglobamento I principali vantaggi degli MFC rispetto ai tradizionali attuatori monolitici sono quindi le prestazioni attuative (a fronte però di una maggiore tensione da fornire), la flessibilità (o “conformability”) e la durevolezza (sono molto meno fragili rendendone più agevole l’installazione o inglobamento). Lo sviluppo di tecniche di inglobamento efficienti che garantiscano il corretto funzionamento dei sensori/attuatori, ne preservino le caratteristiche di accuratezza ed autorità e nel contempo mantengano entro limiti accettabili l’invasività degli stessi sul materiale ospite è una condizione necessaria e un aspetto cruciale nello sviluppo delle Smart Structures. Separatamente per ciascuna delle tipologie di Smart Materials prese in esame, verranno qui presentate le tecniche di inglobamento sviluppate presso il laboratorio Smart Materials del Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale del Politecnico di Milano. Come si vedrà in alcuni casi si è giunti ad utilizzare le medesime soluzioni per criticità specifiche differenti offrendo delle procedure di inglobamento più trasversali. Due sono le grandezze importanti degli attuatori piezoceramici: la deformazione (il “free strain”) e la forza di blocco (blocking force). Per quanto riguarda il free strain, un MFC al massimo si espande di circa 4500 ppm (parti per milione o microstrains) in rapporto alla sua lunghezza. Viceversa, quando lo spostamento è impedito si sviluppa una forza di ‘blocco’, la cosiddetta “blocking force”, la quale è a tutti gli effetti una misura della rigidezza dell’attuatore e di conseguenza degli sforzi. Nel caso degli MFC la Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 24 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI massimizzare l’efficienza strutturale del componente in esame. 52.7.1 L’inglobamento di sensori a fibra ottica Le criticità connesse all’inglobamento di fibre ottiche dipendono anzitutto dalla necessità di preservare l’integrità del coating polimerico, condizione necessaria per assicurare il corretto trasferimento delle sollecitazioni dal materiale ospite al sensore. Altrettanto importante è poi evitare al sensore FBG distorsioni di forma che possano comprometterne il funzionamento o comunque portare a misure non accurate. Da questo punto di vista è cruciale evitare un eccessivo disallineamento delle frange del reticolo che porterebbe alla riflessione di segnali perturbati di difficile se non impossibile interpretazione pur con le tecniche di analisi dello spettro più raffinate. Entrambi questi aspetti sono influenzati dalla sequenza di laminazione del laminato in cui la fibra ottica (FO) si trova inglobata. Fin dalle prime esperienze di inglobamento fu evidenziato infatti che la presenza di fibre di rinforzo diversamente orientate rispetto alla FO originava sulla stessa fenomeni di micro-bending con riduzione dell’intensità del segnale ottico. Se nelle telecomunicazioni ciò comportava limitazioni nella capacità di trasmissione del segnale ottico a lunghe distanze per cui si richiedeva potenze molto elevate in grado di sopperire alle perdite di segnale lungo il cammino ottico, con l’introduzione dei sensori FBG inscritti nel core questi fenomeni non possono più essere tollerati. Le fibre di rinforzo infatti inducono sul reticolo pericolosi stati di sollecitazione locali che possono portare ad alterazioni di forma permanenti finanche alla completa perdita di funzionalità del sensore. (a) (b) Ragionando in termini di invasività sul materiale ospite gli effetti di un mutuo disallineamento tra FO e fibre di rinforzo potrebbero essere ancor più gravi mettendo a rischio non solo le proprietà funzionali del laminato intelligente ma anche e soprattutto le sue proprietà meccaniche. E’ lecito presupporre infatti che, al pari della FO, anche le fibre di rinforzo vengano deviate dalla loro giacitura più naturale ed ottimale originando in tal modo difettosità più o meno pronunciate in termini di vuoti e sacche di resina con un conseguente decadimento delle prestazioni del laminato. (c) Da queste considerazioni preliminari emerge chiaramente che la condizione di inglobamento meno pericolosa sia dal punto di vista della FO che da quello del materiale ospite, dovrebbe essere una sequenza di laminazione con tutte le lamine orientate in un’unica direzione, coincidente con l’asse della FO. Ciò tuttavia precluderebbe la possibilità di progettare laminati angle ply oppure quasi isotropi od altri ancora. Più in generale si può affermare che una siffatta soluzione è in netta contrapposizione con la peculiarità più importante che contraddistingue i materiali compositi che hanno il loro punto di forza proprio nella possibilità di progettare sequenze ad hoc per (d) Figura 52.34 – Meccanismo di deformazione del reticolo per azione delle fibre di rinforzo che attraversano il cammino della FO (a, b) e confronto dello spettro di un FBG inglobato in un laminato angle-ply (c) con quello di un FBG inglobato in un laminato UD a [0°] (d). Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 25 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI Nel caso di tessuti, infine, il soddisfacimento del vincolo di parallelismo tra FO e fibre di rinforzo sarebbe addirittura impossibile. Con l’obbiettivo di confermare o meno queste criticità e per guidare al meglio lo sviluppo di una tecnica di inglobamento efficiente è stata condotta un’approfondita analisi microscopica sull’influenza delle sequenze di laminazione i cui risultati principali sono sintetizzati nel prossimo paragrafo. di schiacciamenti e distorsioni del reticolo. Anche il coating non presenta segni di danneggiamento. In particolare l’integrità di quello in poli-acrilato, nonostante la transizione vetrosa subita, attesta l’assenza di condizioni di carico gravose ad opera delle fibre di rinforzo (Figura 52.35). Un ultimo importante aspetto che si vuole qui introdurre è quello legato alla protezione e connettorizzazione della FO all’uscita dal laminato. Benché attualmente non siano disponibili in commercio terminali miniaturizzati e resistenti ad alte temperature da consentirne il parziale inglobamento nei laminati, il loro sviluppo è una condizione necessaria per conferire ad una struttura intelligente nel suo complesso un sufficiente grado di robustezza e maneggiabilità. Pur non essendo fra gli obbiettivi della presente attività, le soluzioni che è stato necessario mettere in atto per garantire la raggiungibilità dei sensori verranno brevemente riportate per evidenziare ancor di più le criticità connesse a questa fase dell’inglobamento. Poli-imide 52.7.1.1 Influenza della sequenza di laminazione: analisi microscopiche Le analisi microscopiche sono state eseguite sulle sezioni di 5 laminati ognuno con una sequenza di laminazione significativa ed ognuno inglobante le 2 tipologie di FO prese in esame. Tutti i laminati sono costituiti da 8 lamine in fibra di vetro tipo S2 impregnate con matrice epossidica. Le specifiche del materiale sono riportate in Tabella 52.3. Poli-acrilato Figura 52.35 – Analisi microscopica laminato [0°]4S. Laminato [± 45°]2S Le tabelle che seguono riportano un sommario di alcuni fra i metodi più usati nel controllo non distruttivo e loro peculiarità. Le fibre ottiche sono inserite tra due lamine a 45°. Sono evidenti le sacche che si creano attorno alle fibre, in cui si ha accumulo di resina e presenza di vuoti in particolare ai lati della FO in poli-imide. Il coating in poli-acrilato risulta deformato, mentre quello in poli-imide non sembra aver subito danni. Non si rilevano deformazioni evidenti al cladding che conserva la sua sezione circolare (Figura 52.36). Tabella 52.3 – Proprietà del pre-impregnato CYCOM Glass Fiber UD Rigidite 5216. Tipo di fibra S2 Tipo di matrice Epoxy Contenuto di resina 43% Weight Laminato [0°,90°]2S Spessore nominale ply 0,21÷0,25mm Le lamine che inglobano le fibre ottiche sono a 90° rispetto ad esse. Le dimensioni delle sacche di resina sono confrontabili al caso precedente mentre si riscontra una percentuale inferiore di vuoti. Nella FO in poli-acrilato sono ben visibili le deformazioni sia del coating sia del cladding che esibisce una sezione leggermente ovalizzata. Viceversa la FO in poli-imide sembra ancora perfettamente integra (Figura 52.37). Laminato [0°]4S Le FO sono inserite nella stessa direzione delle fibre di rinforzo in un laminato con lamine tutte orientate a 0°. Le immagini al microscopio confermano che questa è la sequenza di laminazione migliore per ospitare una FO. Le fibre di rinforzo si scostano per effetto della pressione esercitata sul laminato durante il ciclo di polimerizzazione disponendosi attorno alla FO stessa. Il mantenimento di una pressoché perfetta sezione circolare di quest’ultima lascia presupporre l’assenza Laminato [90°]4S Tutte le fibre di rinforzo del laminato sono orientate a 90° rispetto alla FO. E’ la condizione peggiore con difettosità molto marcate. La FO in poli-imide appare Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 26 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI completamente inglobata in una sacca di resina: non c’è contatto tra fibre di rinforzo e FO ai lati della quale sono inoltre molto evidenti due grosse bolle d’aria analogamente a quanto registrato per la sequenza a [±45°]. La FO in poli-acrilato evidenzia deformazioni sia del coating sia del cladding (Figura 52.38). Poli-imide Poli-imide Poli-acrilato Figura 52.38 – Analisi microscopica laminato [90°]4S. Laminato [90°,0°]2S La sequenza di laminazione è tale da avere le FO inserite tra due lamine a 0°. Nella zona attorno alla FO si verifica una condizione molto simile a quella del laminato [0°] 4s e l’effetto delle fibre esterne a 90° è molto contenuto sia in termini di difettosità sia in termini di deformazione del coating e del cladding. Poli-acrilato Figura 52.36 – Analisi microscopica laminato [±45°]2S. Poli-imide Poli-imide Poli-acrilato Figura 52.39 – Analisi microscopica laminato [90°,0°]2s. Dalle analisi microscopiche emerge dunque la conferma di quanto precedentemente ipotizzato: la condizione di inglobamento migliore è in assoluto quella che garantisce l’allineamento tra FO e fibre di rinforzo evitando cioè la mutua intersezione (chiaramente su piani differenti) tra di esse. Tale condizione non può che essere verificata con la sequenza di laminazione a [0°]. Pur tuttavia l’ultimo caso dimostra come possano essere sufficienti 2 lamine per Poli-acrilato Figura 52.37 – Analisi microscopica laminato [0°,90°]2S. Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 27 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI preservare, almeno visivamente, l’integrità della FO e mantenere entro limiti contenuti le difettosità introdotte nel composito. Rimane il fatto che per tutte le altre sequenze di laminazione si evidenziano sacche di resina e vuoti di dimensioni assolutamente inaccettabili: l’invasività della FO è palese ed un suo inglobamento diretto, così come è stato per questi laminati, non può essere consentito. inglobando la FO fra due film di adesivo con spessore nominale di 0,1mm. L’incollaggio di 2 laminati in fibra di carbono è stato realizzato in pressa a piani caldi assistita da vuoto. L’ausilio di speciali cuscini elastomerici ha garantito una pressione uniforme sull’intera superficie dei provini affetti da uno spessore non costante in larghezza a causa della presenza della FO. Sono state inglobate entrambe le tipologie di FO in esame. L’inglobamento negli incollaggi: analisi microscopiche Alla luce dei risultati appena riscontrati, l’inglobamento di una FO fra due film di adesivo strutturale che incollano due laminati in composito già polimerizzati appare improponibile. Esso può essere considerato infatti un caso limite dei precedenti in cui la FO si trova sottoposta a sollecitazioni ancor più gravose in virtù della maggior rigidezza dell’host material all’interno del quale non c’è alcuna possibilità di movimento per le fibre di rinforzo indipendentemente dalla sequenza di laminazione adottata per la realizzazione dei 2 aderendi. Le immagini in Figura 52.40 evidenziano l’effetto benefico dell’adesivo che potendo fluire con maggiore libertà rispetto alla resina dei pre-impregnati riduce la percentuale di vuoti. Per contro i danni sul coating in poliacrilato sono estremamente marcati: il cladding è rimasto pressoché privo della sua protezione al punto che l’adesivo ha potuto penetrare negli interstizi creatisi fra le due parti. Anche in questo caso la FO in poli-imide non mostra danneggiamenti evidenti. 52.7.1.2 52.7.1.3 Analisi DSC del coating Le rilevanti deformazioni del coating in poli-acrilato possono trovare una giustificazione dal superamento della temperatura di transizione vetrosa del materiale durante i cicli di polimerizzazione della resina. Oltre questa temperatura infatti si ha la rottura dei legami intermolecolari tra le catene polimeriche e quindi la possibilità della comparsa di deformazioni permanenti a seguito di sollecitazioni meccaniche, quali ad esempio le pressioni del ciclo produttivo dei compositi. D’altro canto le motivazioni che giustificano l’attenzione ad un caso così critico sono molteplici. Innanzitutto gli incollaggi costituiscono la tecnica di collegamento più naturale per i laminati compositi il cui impiego nelle moderne costruzioni aeronautiche è sempre più diffuso. Le giunzioni sono per altro zone ad alta concentrazione di sforzi che non possono essere trascurate nell’ottica di realizzare un sistema di monitoraggio strutturale efficiente. In ultimo sempre più spesso la produzione di componenti complessi e ad elevato spessore si basa sull’incollaggio di sotto laminati elementari. Le analisi al DSC condotte su campioni di FO con entrambe le tipologie di coating hanno effettivamente confermato tale ipotesi. La Figura 4.8 e la Figura 4.9 mostrano i grafici ottenuti. La temperatura di transizione vetrosa è individuata dal flesso della curva del flusso di calore fornito al campione. Si può notare come il coating in poli-imide abbia TG pari a 187°C, mentre per il poliacrilato si ha un valore di 86°C. Questi risultati dimostrano perciò anche quantitativamente come i rivestimenti in poli-acrilato siano molto più vulnerabili alle sollecitazioni meccaniche rispetto a quelli in poliimide che viceversa non subiscono danni. Poli-imide Poli-acrilato Figura 52.40 – Analisi microscopica incollaggio. Le prove tecnologiche e le successive analisi microscopiche sono state condotte su provini realizzati Figura 52.41 – Analisi DSC del coating in poli-acrilato. Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 28 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI Pur tuttavia, quando la temperatura torna a valori ambientali, i legami intermolecolari si riformano. Se le deformazioni rimangono entro valori accettabili è comunque possibile ipotizzare l’uso di FO con coating in poli-acrilato. Queste infatti presentano alcuni vantaggi. I costi della FO risultano inferiori e la maneggiabilità è meno critica, proprio grazie ai maggiori spessori del rivestimento ed alla minore fragilità. Inoltre sempre lo spessore più abbondante e la maggiore deformabilità, seppur giudicati negativamente in alcuni frangenti, potrebbero considerarsi favorevoli proprio per limitare le deformazioni trasversali di cladding/core in caso di inglobamenti per esempio in tessuti. seconda polimerizzazione non necessita di attenzioni particolari e tantomeno di modifiche al ciclo di polimerizzazione fornito dal produttore del preimpregnato. In sostanza, realizzato che sia il primo inglobamento si dispone di un sensore a FO robusto, maneggevole e facilmente inglobabile da cui la denominazione “Quick-Pack”. Naturalmente le difficoltà sono tutte ora concentrate nella produzione di questo laminato, ma la differenza fondamentale rispetto all’inglobamento diretto sta nel fatto che il Quick-Pack può essere progettato ad hoc avendo libertà d’azione su tutti i principali parametri connessi alla sua realizzazione a partire dalla scelta del materiale, della sequenza di laminazione, delle pressioni di polimerizzazione finanche alla tecnologia produttiva. Il ciclo tecnologico ottimale deve tenere sempre in considerazione la forte influenza della pressione sul livello di deformazioni indotte sul coating in poliacrilato, ciò che non accade per il coating in poli-imide. Figura 52.42 – Analisi DSC del coating in poli-imide. Figura 52.43 – Quick-Pack prodotto in forno con sacco da vuoto a 0,7 bar. 52.7.1.4 Tecniche di inglobamento Le analisi microscopiche hanno confermato ancor di più la necessità di dotarsi di tecniche di inglobamento capaci di prescindere dalla sequenza di laminazione del materiale ospite. Appare chiaro a questo punto che ciò si traduce nell’ introduzione di un dispositivo di protezione della FO che possa garantirne la completa funzionalità ma che, nel contempo, sia ad invasività estremamente ridotta e consenta un adeguato trasferimento delle sollecitazioni al sensore FBG. Con questi obbiettivi è stata originalmente sviluppata una tecnica denominata “inglobamento mediante QuickPack” per la descrizione della quale è dedicato il prossimo paragrafo. Nella sua versione definitiva il Quick-Pack consta di 2 lamine in tessuto di fibra di vetro bilanciato ad alto contenuto di resina (66% in peso) e spessore molto ridotto (circa 0,05mm) la cui polimerizzazione viene eseguita in forno con l’ausilio del sacco da vuoto ad una pressione relativa di -0,7bar. La fase di laminazione mediante tecnica dell’hand-lay-up avviene su apposito stampo piano in lega leggera di alluminio sul quale sono deposti in successione un pad elastomerico ed un film di teflon® microforato. Specularmente questi stessi strati vengono deposti anche sopra il laminato inglobante la FO prima di effettuare la chiusura del sacco (Figura 52.44). Le 2 lamine di pre-impregnato sono orientate a 0°. La scelta di un pre-impregnato in fibra di vetro a grammatura fine fornisce alle lamine la capacità di aderire alla FO nonostante la presenza di fibre di rinforzo ortogonali ad essa (peraltro fondamentali per ottenere una distribuzione uniforme della resina nel laminato). L’elevato contenuto di resina congiuntamente all’utilizzo dei due film di teflon microforati (il cui compito è quello di controllare e limitare il rilascio della resina in eccesso) ed a una ridotta pressione di polimerizzazione garantiscono inoltre la presenza di un quantitativo di resina tale da evitare la presenza di vuoti soprattutto in prossimità della FO. Il Inglobamento mediante Quick-Pack Il concetto su cui si basa questa tecnica è quello di effettuare l’inglobamento della FO in 2 fasi mediante 2 cicli di polimerizzazione distinti. Nella prima fase l’inglobamento è eseguito in un laminato le cui caratteristiche unitamente ad un ciclo di polimerizzazione appositamente studiato siano in grado di soddisfare tutti i requisiti tecnologici . Nella seconda fase si effettua l’inglobamento del laminato così prodotto all’interno del materiale ospite vero e proprio. Il punto di forza di questa tecnica è che la Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 29 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI ridotto spessore delle lamine è infine motivato dalla necessità di limitare l’invasività del Quick-Pack. La tecnica di inglobamento mediante QP consente di effettuare l’inglobamento della FO anche nello strato di adesivo che unisce due aderendi come mostrano le immagini di Figura 52.45 ove è riportato il confronto fra le sezioni di 2 provini incollati inglobanti una FO in poliacrilato inglobata con e senza QP. Si può notare che, benché deformato, il coating protetto dal QP rimane perfettamente integro. Inglobamento diretto (a) La presenza del QP in seno al materiale ospite, per quanto si tratti di 2 sole lamine a spessore molto ridotto, ne modifica la sequenza di laminazione e ciò può riflettersi sulle caratteristiche meccaniche globali della struttura. Inoltre questa tecnica di inglobamento innovativa ancorché promettente deve essere ancora ampliamente validata soprattutto nelle condizioni più critiche per il QP. Si pensi ad esempio all’inglobamento in un laminato in fibra di carbonio sottoposto a forti gradienti termici: il differente comportamento delle fibre di carbonio rispetto a quelle di vetro con cui è realizzato il QP potrebbe innescare pericolosi effetti termo-elastici. Per questi ed altri motivi l’inglobamento diretto della FO potrebbe essere comunque preferibile laddove consentito. Le analisi microscopiche hanno evidenziato che la condizione migliore è quella di laminati UD con sequenza di laminazione [0°]n. Si è altresì notato che potrebbero essere sufficienti poche lamine a 0° in una sequenza di laminazione qualsivoglia. Indagini successive hanno permesso di verificare che la presenza di lamine a 0° può essere limitata ad un lato della sequenza di laminazione rispetto all’interfaccia in cui si ingloba la FO. Ciò perché in una simile condizione le fibre disallineate rispetto alla FO, essendo tutte da una parte, “costringono” la FO stessa a penetrare fra le fibre di rinforzo parallele ad essa e posizionate dal lato opposto. La Figura 4.14 sottostante evidenzia come le fibre di rinforzo delle lamine disposte a 0° si dispongano omogeneamente attorno alla FO minimizzando la presenza di difettosità attorno al sensore. (b) (c) Figura 52.44 – Fasi di produzione del QP. Posizionamento sensori FBG (a), pad elastomerico (b) e Quick-Pack polimerizzato prima dell’operazione di contornatura (c). (a) (b) Figura 52.45 – Confronto fra le sezioni di un provino incollato con una FO in poli-acrilato inglobata nello strato di adesivo con (a) e senza (b) QP. Figura 52.46 – Inglobamento diretto della FO nell’interfaccia 45°/0° di un laminato in fibra di vetro. Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 30 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI uno speciale stampo che consenta di ottenere una buona finitura superficiale (Figura 4.16). Protezione della zona di uscita della FO dal laminato A differenza di altri smart materials che possono essere collegati ai sistemi di alimentazione ed interrogazione esterni al laminato mediante connessioni elettriche (per le quali è richiesto un grado di attenzione nettamente inferiore) in questo caso deve essere necessariamente la FO stessa a fungere da elemento di collegamento del sensore FBG con l’esterno. Il punto di uscita più naturale è sicuramente il bordo del laminato stesso. Ciononostante è proprio in questa zona che l’intrinseca fragilità delle fibre ottiche si manifesta in tutta la sua criticità. Qui la FO è infatti soggetta ad una netta discontinuità e ad un conseguente stato di concentrazione di sforzi . La resina del materiale ospite che per effetto della temperatura è resa estremamente fluida nella fase precedente alla polimerizzazione tende inoltre a risalire per capillarità lungo la fibra stessa provocando, a reticolazione avvenuta, la nascita di pericolosi sforzi residui di compressione. (a) (c) Figura 52.48 – Speciale diga con inserti elastomerici per garantire la protezione della FO all’uscita dal laminato. (b) 52.7.2 L’inglobamento di attuatori PZT Le specifiche criticità connesse all’inglobamento di attuatori piezoceramici dipendono fondamentalmente da due fattori. Il primo di questi è l’intrinseca fragilità delle ceramiche per cui è cruciale evitare concentrazioni di stati di sforzo locali durante ogni fase del processo produttivo fin dalle operazioni preliminari all’inglobamento necessarie per il collegamento degli attuatori con la strumentazione di alimentazione e controllo. A differenza delle FO essi sono infatti completamente inglobati nel materiale ospite e la loro raggiungibilità dall’esterno richiede l’adozione di fili elettrici di connessione. Il secondo fattore deriva dalla necessità di garantire l’isolamento elettrico fra gli elettrodi dell’attuatore stesso il che si traduce nell’impossibilità di effettuare un inglobamento diretto fra lamine di composito che presentino conducibilità elettrica. Entrambi questi problemi possono essere superati pre-inglobando l’attuatore PZT fra due speciali films costituiti da uno strato di materiale isolante (kapton) ed uno conduttivo (rame). Lasciando all’esterno il kapton è garantito l’isolamento elettrico dal materiale ospite mentre la presenza del rame consente di posizionare i fili elettrici nella parte finale dei due films esternamente al PZT evitando così possibili danneggiamenti allo stesso. Questa soluzione, peraltro adottata dalla maggior parte delle tecniche di inglobamento proposte in letteratura, comporta (d) Figura 52.47 – Aspetto critico della fibra ottica all’uscita dal laminato (a e b), sistema di protezione mediante tubetto in PTFE (c) e sua applicazione al QP (d). La soluzione a questi problemi consiste nell’adozione di un tubo in PTFE di ridotte dimensioni (in cui viene inserita la fibra ottica) anch’esso inglobato nel laminato per circa 10mm e che si estende, all’altro capo, fino alla zona in cui viene collegato il connettore ottico. Al fine di evitare che la resina fluisca per capillarità all’interno del tubo, l’intercapedine viene sigillata con resina epossidica a freddo (Figura 52.47). L’intera operazione, che viene eseguita durante la fase di laminazione, è necessaria sia per l’inglobamento diretto sia per l’inglobamento mediante Quick-Pack. In questo caso però essa viene compiuta solamente durante la produzione del QP in quanto durante il successivo inglobamento nel laminato è il QP stesso a proteggere la FO (Figura 52.47-d). Essendo impossibile eseguire la contornatura del laminato sui lati interessati dalla FO è infine opportuno utilizzare Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 31 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI tuttavia l’introduzione nel materiale ospite di ulteriori 2 materiali differenti, ciascuno con le proprie caratteristiche fisiche, chimiche e meccaniche. Analizzando in dettaglio la sequenza di laminazione di un laminato intelligente realizzato in questo modo ed escludendo le interfacce fra le lamine di composito si contano esattamente nella zona del PZT 6 interfacce fra materiali diversi, 3 per ciascun lato dell’attuatore (Tabella 4.2), oltre alla presenza di due strati di adesivo necessari per unire il rame sia al film di poliimide sia all’attuatore. Ciò implica la nascita di sforzi di taglio di natura termo-elastica con conseguente aumento della probabilità di innesco di delaminazioni. film di rame alla poli-imide da un lato ed all’attuatore dall’altro. Per poter realizzare il QP dei PZT rimane però da risolvere il problema legato alla connessione dei fili elettrici. Tabella 52.4 – Interfacce in corrispondenza del PZT secondo la tecnica più comunemente utilizzata per isolare elettricamente l’attuatore. (a) 1a interfaccia Composito / poli-imide 2a interfaccia Poli-imide / rame con adesivo a Rame / PZT a PZT / rame a 5 interfaccia Rame / poli-imide 6a interfaccia Poli-imide / composito 3 interfaccia 4 interfaccia Questo ragionamento trova conferma proprio in letteratura dove non sono rari i casi in cui si denunciano rotture del laminato in seguito allo scollamento di una delle interfacce del sistema di protezione del PZT. Paget e Levin riscontrarono il cedimento dell’adesivo fra PZT e rame su provini sollecitati staticamente a trazione (Figura 52.49), Mall e Coleman [62] monitorarono la nucleazione e propagazione di una delaminazione analoga su provini a fatica. Altri autori evidenziarono delaminazioni fra poli-imide e composito. (b) Figura 52.49 – Esempio di inglobamento di attuatore PZT mediante sistema di protezione in poli-imide (a) e indagine al microscopio ottico della delaminazione occorsa durante i tests fra PZT e strato di rame (b). Cablaggio dell’attuatore PZT Nelle applicazioni comuni gli attuatori PZT vengono collegati ai fili elettrici mediante saldatura a stagno. E’ in apparenza la soluzione più semplice e per tale motivo fu quella adottata fin dalle prime esperienze di inglobamento. L’operazione invero comporta delle difficoltà legate alla necessità di non superare la Temperatura di Curie del materiale ceramico pena la depolarizzazione dello stesso. Ciò che richiede l’esecuzione della saldatura in tempi rapidi ed ai limiti della temperatura di fusione dello stagno nonché l’impiego di flussanti in grado di promuovere l’adesione dello stesso allo strato metallico elettrodepositato sulla ceramica. Tali difficoltà aumentano proporzionalmente alla riduzione delle dimensioni sia della saldatura sia dei componenti da collegare, condizione imprescindibile nel caso di attuatori inglobati. La tecnica di inglobamento qui presentata si pone dunque l’obbiettivo di migliorare l’adesione PZT/materiale ospite riducendo nel contempo il numero di interfacce fra materiali diversi. 52.7.2.1 Inglobamento mediante Quick-Pack Grazie alle caratteristiche isolanti delle fibre di vetro, è apparso evidente fin da subito che un sistema efficiente per isolare elettricamente i PZT fosse proprio il Quick-Pack originariamente sviluppato per le fibre ottiche. Esso infatti essendo costituito della stessa matrice epossidica del materiale ospite è potenzialmente in grado di esibire un’adesione superiore a quella di altri materiali. L’inglobamento del PZT direttamente fra le lamine in fibra di vetro del QP consentirebbe inoltre di ridurre il numero di interfacce presenti limitandosi a quella fra PZT e lamine in fibra di vetro ed a quella fra queste ultime ed il materiale ospite. Inoltre non vi sarebbe più la presenza dei due strati di adesivo necessari per unire il Pur tuttavia, il vero problema è qui legato alla nascita di concentrazioni di sforzo deleterie dovute proprio alla presenza di tale saldatura. Nonostante il suo spessore possa essere estremamente ridotto (anche inferiore al decimo di millimetro) ed il materiale d’apporto possa essere distribuito uniformemente così da ottenere una superficie priva di asperità si è verificato che le pressioni di polimerizzazione del materiale ospite ingenerano sforzi Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 32 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI locali elevati che causano frequenti rotture dell’attuatore inglobato. In Figura 52.50-b sono evidenti le cricche sull’attuatore che hanno come punto di partenza comune la zona della saldatura. Benché questi non possano essere considerati fragili come le FO la resina che tende ad accumularsi attorno ad essi induce anche in questo caso pericolosi sforzi di compressione che, unitamente alle loro ridotte dimensioni (il diametro dei fili è circa 40m) possono provocare rotture accidentali. La presenza delle patches consente di assorbire la resina in eccesso rilasciata dal preimpregnato mantenendo però nel contempo un’invasività ridotta durante la successiva fase di inglobamento del QP nel materiale ospite. Questo materiale infatti è estremamente sottile (spessore inferiore ai 20m) ed esibisce un’elevata drappabilità e bagnabilità, caratteristiche che ne permettono l’utilizzo proprio nelle zone di accumulo di resina all’interno dei laminati in composito. La Figura 4.19-c mostra il QP al termine della polimerizzazione. Si può notare come le dimensioni siano leggermente più grandi del PZT al fine di garantirne l’isolamento elettrico richiesto su tutti i lati. In particolare l’attuatore nell’immagine ha dimensioni 30x30x0,127mm mentre il QP misura 50x40x0,25mm. Traendo spunto dai casi di letteratura pocanzi presentati è stata messa a punto una tecnica che in maniera analoga consentisse di eliminare la saldatura dal PZT. Essa consiste nell’adozione di piccole strisce di adesivo conduttivo che si posizionano solo parzialmente sull’attuatore. In questo modo è possibile portare la zona di saldatura al di fuori dell’attuatore laddove evidentemente non può indurre danneggiamenti sullo stesso come si può vedere chiaramente in Figura 52.51-a. Tale film adesivo, di spessore 50m, è costituito da una pellicola di materiale conduttivo su cui è applicata una resina epossidica contenente particelle di argento che ne assicurano la conducibilità elettrica. (a) (a) (b) (b) (c) Figura 52.50 – Saldatura eseguita su di un attuatore PZT Piezo Inc (a) e rottura di un attuatore PZT Ferroperm inglobato a causa di sforzi locali elevati nella zona della saldatura durante il ciclo di polimerizzazione del materiale ospite. Figura 52.51 – Fasi di produzione del QP per attuatori PZT. Cablaggio (a), laminazione (c) e QP a produzione ultimata (b). Tecniche di inglobamento del QP Produzione del Quick-Pack La fase di inglobamento del QP nel materiale ospite può essere eseguita seguendo le tecniche proposte in letteratura. Sostanzialmente se ne individuano due: l’inglobamento diretto e l’inglobamento mediante cut-out. La prima è certamente più semplice ma introduce nel materiale ospite evidenti difettosità sotto-forma di sacche di resina e vuoti in corrispondenza dei bordi dell’attuatore, La produzione del QP può essere eseguita seguendo le stesse procedure sviluppate per le fibre ottiche. L’unica differenza degna di nota è l’adozione di 4 patches in fibra di vetro non impregnate (Nexus®) posizionate a protezione dei fili elettrici nella zona di fuoriuscita dal QP (Figura 52.51-c). Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 33 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI laddove le fibre di rinforzo non riescono a seguire perfettamente l’improvvisa variazione di spessore del laminato. La seconda tecnica è stata sviluppata con l’obbiettivo primario di ridurre questo effetto. Operando il cut-out di una o più lamine con orientazione a 90° rispetto alla direzione di applicazione del carico è possibile ricavare un’apposita sede in cui posizionare l’attuatore. Si ottiene un laminato con giacitura delle fibre di rinforzo invariata o comunque modificata in misura minima rispetto alla configurazione ottimale. Di contro anche questa tecnica non è esente da problemi introducendo difettosità, seppur di dimensioni più contenute, nella zona in cui le lamine che muoiono incontrano il PZT. Inoltre proprio queste lamine costituisco esse stesse elemento di discontinuità nella sequenza di laminazione. Che questa tecnica sia più efficiente e meno invasiva rispetto all’inglobamento diretto non è quindi affatto scontato. Lo confermano peraltro i numerosi studi con conclusioni spesso contrastanti presenti in letteratura. Min e Seng, Gli stessi Paget e Mall hanno conseguito risultati talvolta favorevoli ad una tecnica e talvolta favorevoli all’altra. In particolare Mall eseguì una campagna di tests di confronto su provini con laminazione quasi-isotropa i cui risultati mostrarono non esserci particolari differenze di resistenza e rigidezza. Diversamente il comportamento a fatica di provini analoghi testati in condizioni di carico R=0,1 evidenziarono una riduzione della velocità di propagazione della cricca in direzione trasversale alla direzione di applicazione del carico nei provini con PZT inglobati mediante cut-out. Vizzini e i suoi colleghi partirono dalla considerazione che, pur con modalità diverse, entrambe le tecniche inducono in ogni caso alla nucleazione e propagazione prematura di delaminazioni a causa della nascita di concentrazioni di sforzo troppo elevate in corrispondenza delle discontinuità introdotte. Con l’obbiettivo di ridurre tali sforzi interlaminari Vizzini modificò la tecnica di inglobamento mediante cut-out cercando di distribuire sullo spessore le discontinuità introdotte. Questa tecnica si rifà a quelle sviluppate per i laminati rastremati laddove un certo numero di lamine che muoiono all’interno del laminato vengono preferibilmente distribuite nella sequenza di laminazione. La deposizione alternata di lamine che muoiono e di lamine continue consente infatti di distribuire il carico evitando pericolose concentrazioni di sforzo. Attraverso analisi numeriche e prove sperimentali Vizzini dimostrò che la resistenza a rottura a trazione in condizioni statiche di provini con cut-out distribuito è superiore di un fattore 2 rispetto a quelli con cut-out concentrato. Come si può notare in Figura 52.52, questa tecnica può essere ritenuta preferibile laddove requisiti funzionali legati alla prestazione dell’attuatore richiedessero l’adozione di PZT con spessori elevati per il cui inglobamento sarebbe necessario operare il cut-out di un numero molteplice di lamine. Benché la disponibilità di attuatori sempre più prestanti e di dimensioni sempre più contenute renda questa evenienza assai remota la tecnica di Vizzini evidenzia in ogni caso l’importanza di ridurre le concentrazioni di sforzo in corrispondenza dell’attuatore. Del resto le peculiarità del QP dovrebbero consentire di migliorare le prestazioni complessive del laminato. Figura 52.52 – Tecnica di inglobamento di un attuatore PZT mediante cut-out distribuito. Nel seguito della trattazione i PZT sono stati inglobati sia mediante inglobamento diretto sia mediante cut-out come illustrato in Figura 52.53. Operativamente le due tecniche si equivalgono. Le difficoltà principali sono legate anche in questo caso alla necessità di distribuire il più uniformemente possibile la pressione sul laminato in fase di polimerizzazione ed alla protezione dei fili elettrici nella zona di fuoriuscita dal laminato stesso. Le soluzioni messe in atto sono, analogamente a quanto già descritto per le FO, l’ausilio di cuscini elastomerici e di tubi in PTFE. Rispetto ai sensori FBG tuttavia gli attuatori PZT non risentono della sequenza di laminazione adottata: la ceramica resiste a pressioni anche elevate purché uniformi. L’unico inconveniente è una sua parziale depolarizzazione se soggetta a carichi di compressione particolarmente gravosi. (a) (b) Figura 52.53 – Tecniche di inglobamento del QP. Inglobamento diretto (a) e inglobamento mediante cutout (b). Per quanto riguarda nello specifico l’inglobamento dei fili elettrici e la modalità con cui farli uscire dal laminato, Ghasemi-Nejhad e i suoi collaboratori proposero 3 differenti soluzioni confrontandole sulla base di opportuni indici fra cui l’invasivity, la durability e la reparability. Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 34 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI 52.7.3 L’inglobamento di attuatori in NiTiNOL L’inglobamento di attuatori in lega a memoria di forma può apparire in prima analisi meno critico rispetto agli smart materials visti in precedenza per i quali i problemi erano connessi principalmente alla loro intrinseca fragilità. In realtà il grado di complessità di questa operazione è strettamente correlato agli obbiettivi che si intende raggiungere, ovvero alle caratteristiche meccaniche e funzionali che si richiedono ad un laminato inglobante questo tipo di attuatori. Benché essi abbiano sviluppato e brevettato una tecnica in grado di consentire la sostituzione dei fili in caso di rottura, i test dimostrarono che la soluzione in assoluto migliore resta il loro inglobamento diretto insieme all’attuatore disponendo i fili, per quanto possibile, fra le fibre di rinforzo del materiale ospite per poi farli uscire, nella maniera più naturale possibile, dai bordi dello stesso. La Figura 52.54-a e la Figura 52.54-b evidenziano il diverso grado di difficoltà nel posizionamento dei fili elettrici su di una lamina di tessuto e una di UD con fibre orientate a 90° rispetto ai fili stessi. Si può notare la presenza dei tubetti in PTFE che, come per le FO, vengono utilizzati per proteggere i fili nella zona di uscita dal laminato. Sulla base del suo principio di funzionamento l’effetto a memoria di forma di un attuatore SMA può essere sfruttato in due modi. Nel primo caso, previo inglobamento in uno stato pre-deformato ovvero in fase di martensite orientata, l’autorità sul materiale ospite è associata alla trasformazione reverse della lega durante la quale l’attuatore tende a recuperare la forma che gli è propria in fase di austenite. In questo caso si sfrutta dunque l’effetto a memoria di forma ad una via (OWSME). Al termine dell’attivazione è necessaria l’applicazione di un carico esterno che riporti l’attuatore nella sua condizione iniziale pre-deformata. Ciò che può avvenire in fase di raffreddamento grazie alla rigidezza del materiale ospite ed al suo ritorno elastico verso la configurazione iniziale. Nel secondo caso viene sfruttato l’effetto a memoria di forma a due vie (TWSME): l’attuatore può essere inglobato sia in fase di austenite sia in fase di martensite detwinned ed il passaggio dalla prima forma alla seconda e viceversa avviene attraverso cicli di raffreddamento e riscaldamento. Le immagini in Figura 52.55 illustrano infine alcune fasi dell’inglobamento. Si può osservare la diga elastomerica di cui è dotato lo stampo per permettere ai fili elettrici di fuoriuscire dal sacco da vuoto proteggendoli sia dalla pressione di polimerizzazione sia dalla resina rilasciata dal pre-impregnato. L’ultima immagine mostra il laminato posizionato fra due cuscini elastomerici che garantiscono una distribuzione uniforme della pressione. (a) (b) La differenza sostanziale di queste due modalità di funzionamento sta nella forza che l’attuatore può sviluppare. E’ noto infatti che la deformazione ed il conseguente sforzo di recupero associato all’effetto a due vie sia nettamente inferiore rispetto a quello ad una via. La caratterizzazione sperimentale presentata nel capitolo 3 ha confermato che un filo di NiTiNOL allenato a due vie è in grado di recuperare deformazioni dell’ordine del 2÷2,5% mentre con l’effetto ad una via è possibile progettare l’attuatore su deformazioni fino al 6÷7%. In questo caso infatti il limite sulla pre-deformazione iniziale della lega è principalmente legato all’insorgere della plasticità nel materiale nonché al grado di ripetibilità ed al numero di attivazioni che si richiede all’attuatore. (c) Figura 52.54 – Fili elettrici inseriti fra trama e ordito di una lamina di tessuto (a) e loro posizionamento su di una lamina UD con le fibre di rinforzo orientate trasversalmente ai fili stessi (b). Maschera per il cut-out (c). Da questa considerazione se ne deduce che un attuatore SMA può essere efficientemente impiegato a due vie solo se inglobato in un laminato al quale non sono richieste né rigidezze elevate né grandi variazioni di forma. E’ ovvio che tali vincoli appaiono fortemente limitanti, soprattutto nell’ottica di sviluppare smart structures altamente performanti, motivo per il quale la ricerca scientifica è principalmente orientata alla messa a punto delle tecnologie produttive di laminati inglobanti attuatori ad una via. Figura 52.55 – Inglobamento del QP con attuatori PZT. Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 35 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI 52.7.3.1 Tecniche di inglobamento Una fra le prime tecniche sviluppate per introdurre fili SMA nei laminati in composito prevedeva il loro inglobamento mediante manicotti (Figura 4.24-a). Sperimentata da Thompson e J. Loughlan [41]-[42], da Birman [71] e altri ricercatori nella seconda metà degli anni novanta questa tecnica consente l’inserimento dei fili a polimerizzazione avvenuta attraverso manicotti in gomma vulcanizzata o materiale plastico inglobati nel laminato in fase di laminazione. Il trasferimento del carico era garantito da una struttura esterna montata sul laminato che vincolava le estremità dei fili al laminato stesso. In questo modo si evitavano i problemi di adesione all’interfaccia attuatore/materiale ospite con il risultato di ridurre il decadimento delle prestazioni conseguente ad un numero elevato di cicli di attivazione. D’altro canto la presenza sia di questa struttura esterna sia soprattutto dei manicotti in seno al laminato era apparsa fin dall’inizio troppo invasiva e la tecnica non ebbe molto seguito. Lo step successivo fu quello di effettuare l’inglobamento diretto di fili già allenati e pre-deformati polimerizzando il materiale a temperature inferiori a quella di attivazione (AS). Poiché le temperature di inizio della trasformazione in austenite sono generalmente inferiori ai 50÷60°C ciò implica sostanzialmente l’utilizzo di sistemi di resine a freddo ed a tecniche di laminazione wet-lay-up. Le prestazioni dei laminati che se ne ottengono sono modeste e di scarso interesse per la maggior parte delle applicazioni. La mancanza di pre-impregnati complica la fase di inserimento dei fili ed il loro mantenimento nella posizione desiderata (Figura 4.24-b). In ultimo, la necessità di utilizzare resine a basse temperature di reticolazione e, conseguentemente, basse temperature di transizione vetrosa limita la scelta delle tipologie di lega che è possibile inglobare. Queste infatti devono avere temperature di trasformazione (AF) inferiori alla Tg della matrice al fine di evitare un prematuro degrado dell’interfaccia filo/materiale ospite. (a) laminazione. In questo modo infatti è possibile utilizzare pre-impregnati ad alta temperatura essendo impedito ai fili il recupero di forma associato alla trasformazione in austenite. Durante il ciclo di polimerizzazione del materiale ospite si induce sulla lega uno stato di sforzo temporaneo che permane fino alla successiva ritrasformazione in martensite detwinned che avviene nella fase di raffreddamento conclusiva del ciclo. Dal punto di vista della compatibilità termica fra materiale ospite e attuatore, l’unico vincolo che permane è quello sulla Tg della matrice anche se i sistemi di resina epossidica più evoluti garantiscono temperature di funzionamento superiori ai 150°C. La Figura 52.57 illustra la fase di inglobamento di 6 fili in uno dei pannelli prodotti. Le caratteristiche principali di tale pannello sono riportate in Tabella 52.5. Tabella 52.5 – Caratteristiche principali di un laminato in fibra di carbonio inglobante attuatori in fili di NiTiNOL. ID PROVINO Dimensioni Host Material Spessore lamina 003 260x100x1.27mm Carbon fabric pre-preg SEAL CC90 ET443 0.12mm Sequenza di laminazione [90°/(0°)2/90/45°/-45°]s Tipologia attuatore Fili Dynalloy – diametro 0.381mm Numero attuatori Posizione attuatori 6 Inglobati fra la 10a e la 11a lamina Per rendere più agevole il posizionamento dei fili si applica ad essi un leggero pre-tensionamento mediante lo stesso sistema di afferraggio che vincola i fili durante la polimerizzazione del laminato. Si può notare la presenza delle ormai consuete dighe elastomeriche in corrispondenza dei lati del pannello da cui fuoriescono i fili necessarie sia per ottenere una buona finitura superficiale ai bordi del pannello stesso sia per proteggere appositi terminali che facilitano il successivo collegamento degli attuatori al sistema di alimentazione (Figura 52.57-a). Per l’attivazione dei fili infatti, benché essa possa essere eseguita mediante convezione o irraggiamento termico, è generalmente preferibile sfruttare l’effetto Joule che permette attivazioni più rapide oltre che la possibilità di attivare separatamente ogni attuatore inglobato. Il vantaggio di attivazioni parziali può essere facilmente compreso se si pensa ad una struttura più complessa di un semplice pannello in cui la presenza di un numero molteplice di fili opportunamente distribuiti potrebbe consentire di realizzare un sistema di attuazione in grado di introdurre sia carichi localizzati sia diversi livelli di sollecitazione. (b) Figura 52.56 – Tecniche di inglobamento di attuatori in fili di NiTiNOL. Inglobamento mediante manicotti (a) e inglobamento mediante tecnica wet lay-up con ciclo di polimerizzazione inferiore ad AS (b). Tecnica di inglobamento sviluppata presso il DIA Per superare i limiti denunciati da entrambe queste tecniche di inglobamento una via perseguibile è quella di inglobare gli attuatori in fase di martensite detwinned vincolandoli allo stampo su cui si effettua la Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 36 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI essere quella di effettuare un pre-inglobamento in un materiale che risponda a tali requisiti, seguendo dunque la medesima filosofia adottata per gli altri smart materials presi in esame: l’inglobamento mediante Quick-Pack. La fibra di vetro, che già ha consentito di effettuare efficacemente l’isolamento elettrico fra gli elettrodi dei PZT, è nota anche per le sue proprietà di isolamento termico e potrebbe dunque rispondere anche ai requisiti richiesti per l’inglobamento degli attuatori in NiTINOL. Non di meno, non possono essere trascurate le caratteristiche peculiari del Quick-Pack che consente di poter prescindere dalla sequenza di laminazione dell’host material. A tal proposito, Zhou ottenne sui fili di NiTiNOL risultati analoghi a quelli qui presentati per le FO: il loro inglobamento comporta la nascita di difettosità soprattutto se inglobati con orientazione differente rispetto alle fibre di rinforzo. Egli verificò inoltre il grado di invasività di tali fili inglobati evidenziando nelle modeste caratteristiche dell’interfaccia filo/host material la principale causa di cedimento dei laminati. (a) (b) Figura 52.57 – Tecnica di inglobamento diretto vincolato di attuatori in fili di NiTiNOL. Una siffatta filosofia progettuale introduce però una serie di problemi legati all’attivazione degli attuatori. I tempi di attivazione sono legati esclusivamente alla diffusione del calore nel materiale essendo la trasformazione martensitica una trasformazione non diffusiva. L’attivazione di un filo non inglobato richiede tempi minimi; se inglobato nel laminato può impiegare anche tempi dell’ordine di 100÷200 secondi. Questo perché molto dipende dalla conducibilità termica ed elettrica del materiale ospite. Tempi di attivazione così elevati sono fortemente penalizzanti anche in applicazioni dove non è richiesta una risposta immediata del sistema di attivazione. Pur tuttavia, l’attivazione dei fili durante il processo produttivo e la conseguente necessità di effettuare un “inglobamento vincolato” dei fili stessi così come l’esecuzione di 2 cicli termici di polimerizzazione per produrre il QP e successivamente effettuarne l’inglobamento nel materiale ospite sono tutti elementi che non possono escludere a priori la nascita di difficoltà nell’adozione di una tale tecnica. Alla luce di queste considerazioni, la tecnica del QP è stata applicata anche ai fili di NiTiNOL. La Figura 4.26 illustra alcune fasi del processo produttivo. Nonostante il livello di complessità della procedura di inglobamento, la presenza del QP ha agevolato il posizionamento degli attuatori nel laminato ospite. Si è notato infatti che a seguito del primo inglobamento dei fili fra le due lamine in fibra di vetro questi diventino più maneggevoli, il QP impedisce loro di muoversi e l’operazione di inglobamento successiva si limita ad una normale procedura di laminazione. L’analisi al microscopio di alcune sezioni del laminato prodotto (Figura 4.26-c) evidenziano un soddisfacente livello di compattazione e un’apparente assenza di difettosità attorno al filo. Ciò lascia presupporre che l’interfaccia attuatore/materiale ospite possa esibire buone prestazioni. Ancor più importante è poi l’influenza dell’attivazione sullo stato di salute della struttura. Oltre alle sollecitazioni meccaniche, che un qualsiasi tipo di attuatore introduce per definizione, potenzialmente pericolose sono da considerarsi anche le sollecitazioni termiche associate agli attuatori SMA. Il riscaldamento per effetto Joule introduce nel materiale ospite forti gradienti termici con la nascita di tensioni interne fra le zone in corrispondenza dei fili e quelle più lontane. Questo aspetto può influenzare fortemente le prestazioni del laminato, soprattutto il suo comportamento a fatica. Alla luce di questi ragionamenti, confermati per altro da analisi termografiche condotte durante le prove di attivazione dei pannelli prodotti, è di seguito presentata una tecnica di inglobamento che potenzialmente potrebbe sia migliorare le prestazioni degli attuatori sia limitarne l’invasività. Inglobamento mediante Quick-Pack I problemi legati alla conducibilità termica ed elettrica del materiale ospite inducono a considerare la possibilità di isolare termicamente ed elettricamente gli attuatori dallo stesso. Una soluzione potrebbe Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 37 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI l'ingegneria in tale campo, seppur ancora agli albori, possiede tutti i presupposti per importanti sviluppi. 52.8.1 Tipologie di materiali autoriparanti Il concetto di damage management è il principio fondamentale dei materiali autoriparanti. Negli ultimi anni sono stati condotti differenti studi che hanno portato allo sviluppo di tecnologie diverse nell'ambito della ricerca e della produzione di materiali self healing. (b) (a) E’ possibile distinguere due diversi approcci: uno riguarda tutti quei materiali e quelle tecnologie in cui l'autoriparazione viene innescata autonomamente senza alcun bisogno di interventi esterni quali, ad esempio, riscaldamento o pressione; il secondo, riguarda quelle tecniche per cui è necessario, affinché il processo di autoriparazione possa aver luogo, un controllo attivo che si accorga dell'avvenuto danno e attivi la riparazione. (c) Figura 52.58 – Tecnica di inglobamento mediante Quick-Pack (a) laminato prodotto (b) e analisi al microscopio di una sezione(c). Nel seguito, vengono, richiamati brevemente tre diversi meccanismi di autoriparazione che, insieme agli ionomeri, sono quelli attualmente di maggior interesse nel campo della ricerca scientifica. Potenzialmente quindi il QP applicato ai fili di NiTiNOL potrebbe portare ad una serie molteplice di vantaggi: 52.8.1.1 Microcapsule Il primo meccanismo self healing che viene qui discusso basa il proprio funzionamento nel verificarsi di una opportuna reazione chimica che porta ad un processo di polimerizzazione. 1. riduzione dell’invasività passiva degli attuatori grazie alla diminuzione delle difettosità e ad un conseguente miglioramento del livello di adesione all’interfaccia; All'interno di un materiale composito vengono inserite delle microcapsule contenenti una resina particolare che funge da agente riparante. Quando si manifesta una rottura all'interno del materiale, le capsule presenti nella regione interessata si rompono lasciando fuoriuscire la resina. Tale resina fluisce all'interno della matrice polimerica dove trova il catalizzatore grazie al quale riesce a polimerizzare andando, quindi, a riempire la cricca e a restaurare le proprietà meccaniche originarie. In Figura 52.59 è riportata una rappresentazione schematica di quanto appena descritto. Sebbene, per un certo punto di vista, l'invenzione delle microcapsule sia uno dei progressi più innovativi nell'ambito dello sviluppo dei materiali autoriparanti, d'altro canto anch'esse non sono la soluzione a tutte le casistiche di frattura e danneggiamento. Danni di dimensioni grandi, come quelli causati dall'impatto con un proiettile, non possono, infatti, essere riparati con l'utilizzo delle microcapsule e, inoltre, questo tipo di soluzione non consente una ripetibilità di funzionamento in quanto, una volta rotte, le capsule possono adempire al proprio compito esclusivamente una sola volta. 2. riduzione dell’invasività attiva grazie all’adozione di materiale elettricamente e termicamente isolante nella produzione del QP; 3. incremento delle prestazioni dell’attuatore sia in termini di autorità che di velocità di risposta. 52.8 Self Healing materials Le strutture comunemente esistenti sono concepite secondo un concetto ormai largamente assodato che è quello di prevenzione del danno, per cui si cerca di realizzare strutture il più possibile resistenti in grado di sopportare, senza danni, i carichi per le quali sono state progettate. Per parlare di materiali autoriparanti (self healing) occorre introdurre un nuovo concetto che è quello di “damage management”, ovvero gestione del danno. Si studiano, quindi, materiali in grado di ripararsi automaticamente e autonomamente senza bisogno di alcun intervento esterno o, comunque, senza la necessità di sostituire il pezzo danneggiato. 52.8.1.2 Fibre contenenti cave La seconda tipologia di materiali autoriparanti riguarda i laminati in composito rinforzati da fibre contenenti resina. In quest'ottica, la nascita di una cricca non sarebbe più un problema se seguita da un processo autonomo di rimozione e riparazione del danno. Gli attuali sforzi compiuti in tale ambito hanno condotto a risultati ancora ben lontani dal permettere di realizzare strutture capaci di autorigenerarsi in seguito a danneggiamenti più o meno importanti, ma Si tratta di fibre di vetro o di carbonio; esse sono in certi casi preferite all'utilizzo delle microcapsule perché presentano, contemporaneamente, due vantaggi: contengono la resina autoriparante (come le microcapsule) Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 38 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI e, allo stesso tempo, costituiscono un rinforzo per il laminato. Le fibre autoriparanti possono essere introdotte come strati addizionali tra una lamina e l'altra, oppure nelle zone più soggette a danno. In Figura 52.60 viene rappresentata la disposizione delle fibre all'interno di un composito. 52.8.1.3 Riparazione tramite riscaldamento Questo meccanismo rientra nella seconda casistica di materiali self healing, ovvero necessita di un intervento esterno che inneschi la riparazione, in questo caso di calore. Il chimico Wool ha osservato che esistono alcuni polimeri (ad esempio il polistirene e il polietilene) che, se messi a contatto al di sopra della propria temperatura di transizione vetrosa si legano tra loro. Preso, quindi, un campione di polistirene e prodotta al suo interno una cricca, affinché la riparazione avvenga, è necessario che le due facce della cricca vengano tenute vicine tra loro (per esempio con una morsa) e la temperatura venga fatta aumentare. In questo modo il materiale, scaldandosi, si espande, le due superfici entrano in stretto contatto tra loro e si risaldano. E' evidente che una soluzione di questo tipo ha un interesse modesto, proprio perché la riparazione non viene innescata autonomamente nel materiale, ma necessita di un intervento esterno e, inoltre, richiede un tempo piuttosto lungo (da pochi minuti a qualche ora). Figura 52.59 – Processo di autoriparazione mediante microcapsule. Come nel caso precedentemente trattato, quando si verifica un danneggiamento le fibre rotte lasciano fuoriuscire la resina e il catalizzatore, essi reagiscono tra loro e riempiendo la cricca danno inizio ad un processo di autoriparazione e di arresto del danno. Anche in questo caso, quindi, il funzionamento si basa su una reazione chimica. 52.8.1.4 Ionomeri Gli Ionomeri costituiscono una classe di polimeri che presentano una certa percentuale (20%) di ioni al loro interno. Questi ioni formano degli aggregati che giocano un ruolo determinante nella definizione delle proprietà fisiche e meccaniche di tali materiali. Negli ultimi quarant'anni sono stati condotti molti studi circa il legame esistente tra la struttura di questi polimeri e le loro proprietà, in modo tale da utilizzarli e sfruttarli a livello commerciale in diverse applicazioni. Il fenomeno di autoriparazione esibito da tali materiali è di particolare interesse scientifico, esso deve essere attribuito alla loro particolare struttura chimica. Seppure gli ionomeri si conoscano da parecchio tempo, la ricerca condotta su di essi come materiali self healing risale a non più di dieci anni fa e la letteratura disponibile è ad oggi ancora al quanto scarsa. Il fenomeno di autoriparazione si manifesta spontaneamente senza alcun intervento esterno a seguito di impatti in cui le energie in gioco sono sufficientemente elevante da consentire all'oggetto impattante di attraversare il materiale in un tempo molto breve. Le potenzialità applicative di tali materiali sono, come è facile immaginare, numerose ed è pertanto comprensibile il forte interesse nel voler studiare e comprendere il meccanismo di autoriparazione, in modo tale da sfruttarlo ed, eventualmente, produrre nuovi materiali con il medesimo comportamento. Figura 52.60 – Esempio della disposizione delle _bre autoriparanti in un laminato. L'autoriparazione dipende da diversi fattori: 1. la natura e la zona in cui si verifica il danno; 2. la tipologia di resina scelta; 3. l'influenza dell'ambiente in cui si opera. Ciò che è chiaro fino ad ora è che il fenomeno si osserva a seguito del passaggio di un proiettile ed è un evento molto rapido che si compie in una frazione di secondo. Pare Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 39 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI assodato che le ragioni di tale comportamento risiedano nei gruppi ionici presenti in questi materiali. norma hanno capacità autosigillante contro proiettili di calibro 7.62, 12.7, 20 e 23. Durante l'impatto con un proiettile, l'energia cinetica di quest'ultimo viene trasferita al materiale sotto forma di calore e di energia elastica, sembra essere proprio il giusto bilanciamento tra queste due ad attivare il processo di autoriparazione. In Figura 52.61 è schematizzata la struttura multistrato di un serbatoio flessibile auto-sigillante. 52.8.2 Soluzioni applicative 52.8.2.1 Serbatoi autosigillanti per applicazioni aeronautiche Da quanto emerso fino ad ora si può affermare che le possibilità applicative degli ionomeri e delle loro miscele, per quanto ancora siano necessari studi più approfonditi, siano molto interessanti. Per il loro utilizzo occorre pensare a tutte quelle situazioni in cui determinate strutture o parti di esse possano essere a rischio di impatto contro corpi piccoli ad una certa velocità e in cui è necessario un intervento di riparazione immediato. Situazioni simili si riscontrano sia in ambito aeronautico che spaziale. Figura 52.61 – Struttura multistrato di un serbatoio autosigillante. 1) Rivestimento anti-ozono, 2) Strato esterno di tessuto gommato, 3) Strato intermedio di tessuto gommato, 4) Strato autosigillante, 5) Strato interno di tessuto gommato, 6) Strato autosigillante, 7) Barriera di nylon, 8) Strato interno di tessuto gommato. Nel campo aeronautico una possibile applicazione riguarda i serbatoi dei velivoli militari soggetti all'impatto contro proiettili. Uno studio sugli incidenti di volo, condotto nell'arco di molti anni, ha dimostrato che, in molti casi, la principale causa di morte o di lesioni gravi è il fuoco che si sviluppa a causa delle enormi quantità di carburante fuoriuscito dalla rottura dei serbatoi. E', quindi, importante prevedere l'utilizzo di serbatoi capaci di resistere all'impatto e impedire la dispersione di carburante. 52.8.2.2 Strutture multistrato per applicazioni spaziali In ambito spaziale lo sviluppo di materiali autoriparanti è un settore oggi di grande interesse. Negli ultimi anni si stanno compiendo ingenti sforzi per lo sviluppo di nuove tecnologie in vista di future missioni lunari che possano consentire di allungare i tempi della missione. Tale progetto richiede la necessità di installare sul territorio lunare delle strutture per l'alloggio dell'equipaggio e delle attrezzature. Esistono diverse tipologie di serbatoi: • Serbatoi integrali impiegati per lo più nelle ali, sono ricavati nella struttura stessa, sigillando completamente il vano utilizzato a tale scopo; I primi studi avanzati dalla NASA (National Aeronautics and Space Administration) hanno sottolineato l'importanza di realizzare degli ambienti sufficientemente grandi per far fronte ai bisogni sia fisici che psicologici a cui gli astronauti dovranno rispondere. L'idea è quella di realizzare delle strutture innovative che siano pieghevoli, in modo tale da poter essere facilmente stivate e trasportate, e gonfiabili una volta giunte a destinazione. Per poter rispondere a tali esigente, è evidente che occorre fare uso di materiali diversi rispetto agli usuali metalli e compositi rigidi che devono, quindi, essere sostituiti da tessuti, schiume e materiali polimerici elastici. • Serbatoi flessibili sono serbatoi di materiale sintetico, non attaccabile chimicamente dal combustibile, montati in un vano e fissati attraverso un certo numero di punti di attacco. I serbatoi flessibili consentono un certo movimento rispetto alla struttura e quindi non interferiscono conla rigidezza strutturale. • Serbatoi rigidi utilizzati principalmente all'interno delle fusoliere, hanno il vantaggio di costituire un componente isolato, indipendente dalla struttura, con la quale interferiscono solo attraverso gli attacchi. Le strutture pieghevoli e gonfiabili risultano attualmente la soluzione migliore per future missioni lunari almeno per quattro ragioni: In commercio sono già disponibili serbatoi che utilizzano una struttura multistrato in cui viene incluso anche uno spessore di gomma naturale che provvede all'autosigillazione a seguito del passaggio di un proiettile. • Elevato rapporto volume abitabile/peso strutturale: è evidente che strutture pieghevoli e gonfiabili consentano di massimizzare il volume abitabile rispetto a strutture costituite da moduli predefiniti. Si è indicativamente stabilito che per ciascun membro dell'equipaggio debbano essere garantiti 120 di spazio Lo spessore complessivo può variare da 3,5 a 6 mm, a seconda del livello di protezione balistica richiesta. Di Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 40 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 52 – MATERIALI INTELLIGENTI praticabile: per equipaggi numerosi ottenere spazi così ampi risulta difficile utilizzando soluzioni diverse. di detriti costituito da strati di kevlar alternati a schiuma di poliuretano (MMOD multi-shock micrometeoroid and orbital debris). • Ottima efficienza di imballaggio: strutture di questo tipo possono essere facilmente stivate e trasportate occupando il minimo spazio necessario. In Figura 52.63 è rappresentata in modo schematico la struttura multistrato descritta. • Minima necessità di disporre di materiale costruttivo in loco: la struttura con tutti i suoi componenti costituisce un unico blocco. Il passo successivo sarà quello di utilizzare pietre lunari per realizzare strutture fisse capaci di proteggere l'equipaggio e le attrezzature dalle radiazioni termiche, dall'impatto contro micrometeoriti e dagli sbalzi termici. L'idea è, quindi, di aggiungere all'interno dei diversi strati protettivi un sistema per monitorare costantemente l'integrità della struttura ed, eventualmente, segnalare danni subiti e un sistema di autoriparazione. Per l'impatto con piccoli detriti sarebbe, infatti, vantaggioso disporre di un sistema autoriparante in modo che l'equipaggio non debba preoccuparsi di intervenire personalmente. Attualmente le soluzioni maggiormente prese in considerazione per lo strato autoriparante prevedono l'utilizzo di polimeri contenenti capsule di resina, l'utilizzo di ionomeri è ancora in fase di studio. • Minori effetti secondari dovuti alle radiazioni: utilizzando materiali non metallici si riduce il deterioramento della struttura dovuta alle radiazioni subite. A questi aspetti positivi propri delle pieghevoli e gonfiabili si aggiungono anche costi di produzione e installazione rispetto richiesti per moduli prefabbricati o strutture direttamente sul suolo lunare. In Figura riportato un possibile prototipo. strutture i minori a quelli costruite 52.62 è Figura 52.63 – Schematica vista in sezione di una struttura multistrato. Bibliografia [1] P. Bettini “LAMINATI COMPOSITI INTELLIGENTI: Problematiche tecnologiche e valutazione dell’invasività dell’inglobamento di sensori e attuatori”, Tesi di dottorato, Politecnico di Milano, 2009 Figura 52.62 – Struttura gonfiabile per suolo lunare. Uno dei problemi principali è quello di riuscire a mantenere l'integrità di tali strutture, che hanno il compito di proteggere l'ambiente interno pressurizzato in un contesto in cui si verifica, a causa della mancanza di un'atmosfera lunare, un continua pioggia di detriti di diverse dimensioni che impattano a velocità molto elevate (dell'ordine di alcuni chilometri al secondo). L'architettura di tali strutture è quindi pensata in modo da preservare tale integrità; esse si compongono di una struttura rigida interna e da una copertura esterna gonfiabile multistrato in cui ciascun componente ha una determinata funzione. [2] E.J. Brandon, M. Vozo, E. Kolawa, G.F. Studor, F. Lyons, M.W. Keller, B. Beiermann, S.R. White, N.R. Sottos, M.A. Curry, D.L. Banks, R. Brocato, L. Zhou, S. Jung, T.N. Jackson e K. Champaigne “Structural health management technologies for inflatable/ deployable structures: Integrating sensing and self-healing.” Acta Astronautica, 68, 2011 [3] R.J. Varley e S. van der Zwaag “Autonomous damage initiated healingin a thermo-responsive ionomer. ” Wiley Interscience, April 2010. La copertura prevede una serie di strati ridondanti per il contenimento dell'atmosfera interna, uno strato di tessuto di kevlar e uno scudo esterno contro l'impatto Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 41 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano