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L`evoluzione del diritto d`autore

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L`evoluzione del diritto d`autore
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BOLOGNA
FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA
Corso di laurea in DAMS cinema
TITOLO DELLA TESI
L’EVOLUZIONE DEL DIRITTO D’AUTORE:
COPYRIGHT, COPYLEFT, FREE CULTURE
Tesi di laurea in TEORIA E TECNICA DELLE COMUNICAZIONI DI MASSA
Relatore: Prof.
Presentata da
Pier Luigi Capucci
Francesco Galotti
Sessione II
Anno Accademico 2006/2007
1
Indice
Introduzione........................................................................................................ 4
I.Fondamenti sulla tutela del diritto d'autore nella legislazione italiana.
I.1 Introduzione al diritto d’autore...........................................................................9
I.2 Contenuto e durata del diritto d’autore............................................................13
I.3 Diritto morale dell’autore..................................................................................18
I.4 Diritti di utilizzazione economica......................................................................19
I.5 Libere utilizzazioni...........................................................................................20
I.6 Estinzione del diritto economico......................................................................22
I.7 Il ruolo della SIAE............................................................................................24
I.8 Considerazioni.................................................................................................26
II.Storia dell'espansione della durata del copyryght
Prima Parte- Le origini del copyright
II.1 Le origini del copyright...................................................................................28
II.2 La figura dell’autore........................................................................................32
II.3 Nascita del diritto d’autore: Il modello inglese................................................35
II.4 La Convendione di Berna...............................................................................40
II.5 La portata del copyright..................................................................................44
Seconda Parte- Il nuovo diritto d’autore
II.6 Il nuovo diritto d’autore: i trattati OMPI del 1996 e la direttiva 29/2001.........51
II.7 Il sistema economico mondiale......................................................................52
II.8 Il commercio mondiale e il WTO....................................................................53
1
2
II.9 Alcuni esempi di squilibrio del mercato mondiale: brevetti sui farmaci ,
biotecnologie.................................................................................................54
II.10 Sonny Bono Copyright Term Extension Act................................................63
II.11 The Disney Trap: Topolino vs Steamboat Bill.............................................69
II.12 DMCA, Digital Millenium Copyright Act.......................................................72
Terza Parte- Contesto Europeo
II.13 contesto europeo EUCD, European Union Copyright Directive,
2001/29/CE.................................................................................................84
II.14 Cos’è la pirateria?........................................................................................93
II.15 Le tecnologie DRM: 'Informatica Infida (Treacherous Computing),o
“Informatica Fidata” (“Trusted Computing”) ? .............................................95
II.16 In Italia: la legge Urbani ..............................................................................98
II.17 tutela del diritto d’autore vs diritto alla privacy e alla libertà di scelta degli
Utenti...........................................................................................................104
II.18 Problemi di privacy e violazione di domicilio............................................107
III. Il background socio-culturale di “free culture”
III.1 Introduzione................................................................................................110
III.2 Le radici storiche.........................................................................................114
III.3 GNU's not Unix............................................................................................123
III.4 Il permesso d’autore (copyleft) e la GNU GPL............................................127
III.5 La Free Software Foundation......................................................................138
III.6 La filosofia Open Source.............................................................................132
2
3
III.7 La definizione di open source...................................................................135
III.8 Licenze, diritti d’autore, copyright.............................................................138
III.9 Linus Torvalds e Linux..............................................................................140
III.10 Internet e l’economia del dono................................................................142
III.11 La cattedrale e il Bazaar..........................................................................150
III.12 L’importanza del Pubblico Dominio.........................................................153
IV contesto italiano: copyleft e diritto d’autore
IV.1 Wu Ming Foundation: essempio di funzionamento commerciale di
opere rilasciate con licenze libere.............................................................155
IV.2 Il contrassegno SIAE.................................................................................159
IV.3 Le licenze CC e il bollino SIAE..................................................................163
IV.4 Cos’è la copia privata.................................................................................171
Conclusioni....................................................................................................179
V Appendice: Le licenze
IV.1 Le licenze “Creative Commons”.................................................................
IV.2 La licenza “GPL” (General Public License)................................................
Bibliografia...........................................................................
3
4
Introduzione
“The Disney Trap: How copyright steals our stories”1 è il titolo di un
singolare video low budged diffuso in rete, reperibile sui principali siti
dedicati alla condivisione di file video come YouTube2. Il video prodotto
da Monica Mazzitelli, scrittrice romana, appartenente al gruppo «i
quindici»3, mette in luce alcuni temi fondamentali riguardo alla storia e
all'attuale legislazione in materia di copyright attraverso il racconto di
Marry Bloom, che ancora sdraiata sul letto dove Joyce l’abbandonò
nell’ultimo capitolo del suo celebre Ulisse, spiega via chat a un
interlocutore tutte le restrizioni delle leggi sul diritto d’autore, e
soprattutto come ci si è arrivati. Il racconto di come il copyright si sia
fatto sempre più rigido e cronologicamente più esteso ripercorre le
tappe classiche del dibattito sulla proprietà intellettuale, che però forse
non tutti conoscono. La data clou di questa lunga storia è il 19984, anno
in cui viene accettata, prima in Usa e poi nella maggior parte degli altri
Paesi, l’estensione della tutela da cinquanta a settanta anni dopo la
morte dell’autore. Quindi L’Ulisse nel 1991 (Joyce muore nel 1941)
passò in pubblico dominio, ovvero a disposizione gratuita di tutti e senza
autorizzazione dell’autore, per tornare sotto il controllo degli eredi
dell’autore nel 1998 e fino al 2011. questa semplice e simpatica storia ci
ricollega ad alcuni temi molto discussi in questi ultimi anni e che
risaltano specialmente se rapportati nell'ambito delle nuove tecnologie
1
Reperibile all’url seguente : http://www.youtube.com/watch?v=MqySp7Nq5j0
2
YouTube è un sito molto popolare a livello internazionale, che consente agli utenti l'upload, la visione e in generale la condivisione di video. È stato creato nel febbraio del 2005. Oggi è il sito Internet che presenta il maggior tasso di crescita. Nel giugno 2006 l'azienda ha comunicato che quotidianamente vengono visualizzati circa
100 milioni di video, con 65.000 nuovi filmati aggiunti ogni 24 ore. Google ha acquistato YouTube in data 10 ottobre 2006 per la somma di 1,65 miliardi di dollari.
3
http://www.iquindici.org , costola del celebre progetto WuMing. (http://www.wumingfoundation.com/)
Sonny Bono Copyright Term Extension Act, di cui parleremo in seguito.
4
4
5
dell'informazione in rapporto alle leggi sui diritti e sulla proprietà
intellettuale. In un'epoca in cui ognuno può essere produttore di nuovi
contenuti digitali grazie alla diffusa tecnologia, e quindi non semplice
spettatore, le pratiche tradizionali del copyright sembrano non rispettare
la piena libertà degli utenti. Si aprono nuovi scenari possibili alle
tradizionali pratiche di tali leggi. Internet forse è il mezzo di
comunicazione che più è riuscito ad evidenziare questo divario e forse è
l'unico attraverso il quale il dissenso riesce a manifestarsi ed esprimersi
con più forza. Le parole chiave dell'odierna galassia internet sono
diventate : banda larga, wireless, networking, blog e peer-to-peer,
condivisione del sapere, e non solo.
“La crescita del cyberspazio è il risultato di un movimento internazionale
di giovani desiderosi di sperimentare collettivamente
forme
di
comunicazione alternative a quelle proposte dai media classici”.5
Ma internet non è il paradiso idilliaco della condivisione dell'informazione
e del sapere condiviso e lo hanno intuito ben presto le grandi major
quali potevano essere i risvolti economici ricavabili dalle possibilità del
nuovo mezzo. La new economy ha ormai fatto passi da gigante, viste le
possibilità di internet stiamo assistendo ad una “Migrazione” dalle
vecchie infrastrutture dell’economia tradizionale verso l’immaterialità e le
possibilità del web.6
Ciò che risulta evidente è che la rete ha due diverse anime: una
commerciale, l'altra culturale ed entrambe si trovano a condividere lo
5
PIERRE LÈVY, Cybercultura. Gli usi sociali delle nuove tecnologie, Feltrinelli, 1999
6
Con il termine "New Economy" (detta anche Internet Economy o Net Economy) si indicano le attività, le
aziende e gli investimenti basati sulle nuove tecnologie informatiche e telematiche gestibili su Internet. I punti
cardine su cui si basa la New Economy non sono tanto i beni materiali quanto immateriali come idee innovatrici
e informazioni/beni. si differenzia dalla Old economy perchè offre la possibilità di operare in un mercato globale
abbattendo i costi di gestione e di non essere vincolati a uno spazio definito quale può essere la sede fisica di
una società o di un esercizio commerciale.
5
6
stesso spazio. Da una parte troviamo il mercato, dall'altra la dinamica
libertaria e comunitaria che ha presieduto allo sviluppo di internet, e
dell'informatica stessa. Ma spesso le due realtà si trovano a scontrasri
su quei temi fondamentali che animano il dibattito internazionale
riguardo alla società dell’informazione, nuove tecnologie, e diritti
connessi, sia quelli tutelati dai detentori del copyright che quelli negati
agli utenti. Da una parte la cultura libera e condivisa, dall'altra una
cultura del permesso dove sperimentazione e le forme alternative sono
possibili solo se i potenti approvano. Dove spesso lo stato e le istituzioni
favoriscono le scelte di mercati delle major a scapito dei consumatori;
Da una parte software proprietario, dall'altra open software, e ancora
licenza commerciale e licenza GNU,GPL oppure Creative Commons.
In uno scenario come quello intuito da Stallman, dove vigerebbe un
equilibrio tra anarchia e controllo alcuni individui, appassionati di
informatica, hacker, associazioni di consumatori, consumatori, progetti
culturali ecc. propongono di praticare una forma di consumo critico e
responsabile nell’utilizzo del software e del web, suggerendo l’utilizzo di
software libero per affermare il rifiuto dei monopoli e della sudditanza
nei confronti delle grandi multinazionali, ma anche per promuovere
l'alfabetizzazione informatica, per una più equa distribuzione delle
risorse (in termini di sapere, informazione, competenze, strumenti),
contro un accesso riservato alla tecnologia, non alla portata di tutti.
L'eccesso di regolamentazione soffoca la creatività. Danneggia
l'innovazione. Offre ai potenti un'opzione di veto sul futuro. Spreca
un'eccezionale opportunità di creatività democratica resa possibile dalla
tecnologia digitale.
è per questo che si propongono forme di
comunicazione decentrate, non controllate, che rivendicano il primato
del sapere sul suo valore economico, si sperimentano nuovi percorsi
produttivi ed editoriali, avere una cultura
libera, svincolata da ogni forma di interesse politico, sociale ed
6
7
economico;aperta
ad
ogni
forma
di
contaminazione
e
mediazione;gratuita, non soggetta a restrizioni quali marchi, brevetti,
copyright; decentralizzata, poichè nell'era della comunicazione globale,
dove il potere è in mano a chi detiene le informazioni, è essenziale
favorire una cultura che sia partecipazione attiva, scambio reciproco e
a-gerarchico; equa, affinchè la globalizzazione non sia imposta come
potere di pochi su molti, ma favorisca la libera circolazione di idee
eterogenee, portatrici di senso in quanto diverse dal pensiero unico.
L'accesso pubblico alla letteratura, all'arte, alla musica, ai film, ecc., è
essenziale per preservare e far progredire la nostra eredità culturale.
Molti importanti lavori hanno beneficiato del potenziale creativo del
pubblico dominio e sono invece ostacolati dalle restrizioni del copyright
e dei brevetti.
è utile in questo conteso socio-culturale analizzare alcune pratiche
alternative odierne come il file-sharing, il p2p, le community e gli spazi di
aggregazione online, il cyberspazio, gli hacker e i programmatori ,che
mettono in discussione lo statuto commerciale del web valorizzandone
invece il suo carattere libero. E ancora prima si consideri il lavoro svolto
dalla comunità Open Source, il progetto GNU/Linux, la Free Software
Foundation
di
Stallman,
David
Bollier,
direttore
dell'Information
Commons Project (Progetto sul “Bene Comune”dell' informazione, il
lavoro
svolto
da
Lawrence
Lessing,
i
progetti
Gutemberg,
manybooks.net, Wikipedia, Cultura Libera, Wu Ming Foundation e altri
ancora; fino ad arrivare ai più odierni e discussi temi riguardo alle
licenze Creative Commons, al DRM e Trusting Computing. Facendo
cenno all'intervento dello stato e alla situazione legislativa vigente nei
diversi paesi in ambito di copyright, brevetti.
Uno studio del genere metterebbe in luce quali sarebbero le possiblità
auspicabili in alternativa alle regolamentazioni vigenti riguardo al
copyright; farebbe chiarezza su come attraverso l'utilizzo del copyright e
7
8
dei brevetti commerciali si stia sottraendo libertà personale ad ogni
individuo, di come ormai qualsiasi idea e cosa che prima apparteneva al
nostro bene comune sia stata acquistata e sottratta
alla nostra
conoscenza, a meno che non la volessimo comprare. Farebbe
chiarezza su come spesso le tecnologie vengano piegate a sporche
logiche di mercato invece di essere utilizzate per lo sviluppo della
società e per il bene delle comunità.
Il seguente studio metterebbe in evidenza le dinamiche storiche e sociali
che hanno portato da una parte alla nascita del diritto d’autore e alla sua
graduale espansione nei termini della durata, e dall’altra le logiche e le
motivazioni della nascita del modello copyleft e della rivalutazione del
pubblico dominio in vista della rivoluzione digitale in atto.
8
9
I.
Fondamenti sulla tutela del diritto d'autore nella legislazione
italiana
7
I.1 Introduzione al diritto d’autore
Copyright (termine di lingua inglese che letteralmente significa diritto di
copia) nel diritto italiano viene denominato diritto d'autore, solitamente
abbreviato con il simbolo ©. É una forma di protezione giuridica delle
opere frutto della creatività umana.
Il diritto d'autore in Italia è un istituto che intende attribuire a colui che
abbia realizzato un'opera dell'ingegno a carattere creativo un fascio di
facoltà, dirette soprattutto a riservare all’autore qualsiasi attività di
utilizzazione economica dell’opera. La prima norma italiana sul diritto
7
SIMONE ALIPRANDI, Capire il copyright, percorso guidato nel diritto d’autore, 2007. Reperibile all’inidirizzo
www.copyleft-italia.it/libro3
9
10
d'autore fu emanata il 12/1/1799 dal Governo piemontese, poi durante il
periodo della Repubblica Cisalpina , nel 1801, fu emanata una legge più
completa dal punto di vista organico. Un altro passo importante fu la
Convenzione del 1840 tra gli stati Sardi, il Granducato di Toscana e
l'Austria, al fine di eliminare alcune frontiere per far valere i diritti
d'autore. questa convenzione venne realizzata per promuovere una
causa contro un editore che aveva riprodotto senza autorizzazione "I
promessi sposi" di Alessandro Manzoni. dopo l'unificazione d'Italia
avvenuta
nel
1861
fu
emanata
la
prima
legge
unitaria
che
successivamente venne inserita in un Testo Unico di cui alla legge
n.1012 del 1882, rimasta in vigore fino a quando fu emanato il decretolegge n.1950 del 7/11/1925 e il relativo regolamento di attuazione
n.1369 del 15/7/1926. tale norma rimane in vigore fino al 1942, quando
fu emanato il più organico Testo Unico disciplinato dalla legge 22 aprile
1941, n. 633. Al momento della sua emanazione, la legge era
sostanzialmente conforme alla tutela minima prevista dalla Convenzione
di Berna. Nel corso del tempo le sue disposizioni sono state modificate
in numerose occasioni, nel recepimento, tra l'altro, di diverse
disposizioni comunitarie, le cui tappe fondamentali sono segnate dalla
direttiva n.91/250/CEE (tutela giuridica dei programmi per elaborare; alla
direttiva 96/9/CE (tutela giuridica banche dati; e alla direttiva
2001/29/CE (armonizzazione diritto d’autore). fino alle ultime modifiche
introdotte dalla legge 22 maggio 2004, n.128. recante interventi per
contrastare la diffusione telematica abusiva di materiale audiovisivo,
nonchè a sostegno delle attività cinematografiche e dello spettacolo.
10
11
Legge 22 aprile 1941, n. 633.
Art. 1 LDA (comma I)
Sono protette ai sensi di questa legge le opere dell'ingegno dicarattere
creativo che appartengono alla letteratura, alla musica,alle arti figurative, all'architettura, al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il
modo o la forma di espressione.
Gli artt. 1-5 forniscono gli elementi per individuare le opere protette dal
diritto d'autore. Nella tutela rientrano tutte le opere dell'ingegno avente
carattere creativo, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione. A
titolo esemplificativo, la legge fornisce un elenco di categorie in cui
siano ricomprese le opere riconducibili:
•
alla letteratura: opere letterarie, drammatiche, scientifiche, didattiche e
religiose (compresi i programmi per elaboratore e le banche dati), sia in
forma scritta che orale.
•
alla musica: opere e composizioni musicali, con o senza parole, opere
drammatico-musicali e variazioni musicali purché costituiscano un'opera
originale in sé.
•
alle arti figurative: opere di scultura, pittura, disegni, incisioni o
appartenenti ad arti figurative similari, compresa la scenografia
•
all'architettura: i disegni e le opere dell'architettura, le opere del disegno
industriale che presentino carattere creativo e valore artistico.
•
al teatro: opere coreografiche e pantomimiche (con o senza traccia
scritta).
•
alla cinematografia: opere cinematografiche, mute o con sonoro,
fotografiche.
Inoltre sono protette anche le cosiddette "elaborazioni di carattere
11
12
creativo", come ad esempio le traduzioni in un'altra lingua, le
trasformazioni da una forma letteraria o artistica in un'altra, gli
adattamenti, le riduzioni, ecc.
A seguito del recepimento delle direttive 96/9/CE e 91/250/EEC inoltre,
sono ora ricompresi nell'elenco:
•
i programmi per elaboratore
•
le banche di dati
•
1. All'art. 1 della legge 22 aprile 1941, n. 633, è aggiunto il seguente
comma: "Sono altresì protetti i programmi per elaboratore come opere
letterarie ai sensi della Convenzione di Berna sulla protezione delle opere letterarie ed artistiche ratificata e resa esecutiva con legge 20 giugno
1978, n. 399".
Art. 2.
•
1. Dopo il n. 7) dell'art. 2 della legge 22 aprile 1941, n. 633, è aggiunto il
seguente numero:
"8) i programmi per elaboratore, in qualsiasi forma espressi purché originali quale risultato di creazione intellettuale dell'autore. Restano esclusi dalla tutela accordata dalla presente legge le idee e i principi che
stanno alla base di qualsiasi elemento di un programma, compresi quelli
alla base delle sue interfacce. Il termine programma comprende anche il
materiale preparatorio per la progettazione del programma stesso".
Esaminando questi due articoli, c’è da rilevare il fatto che la Comunita
Europea ha deciso di dare lo stesso tipo di protezione e tutela giuridica
del diritto d’autore al “software”, e questo in base all’emanazione della
Direttiva n.91/259/CE e con il suo recepimento in Italia con il
D.Lgs.n.518 del 29/12/92. Per quanto riguarda invece la liceità di
12
13
duplicare un programma, in base all’art 171-bis della legge n.633/41,
colui che abusivamente duplica, per trarne profitto commette un reato (
prima della modifica era previsto il dolo di lucro,ora ,invece è previsto il
dolo di profitto, vale a dire che costituisce reato il semplice risparmio di
spesa).
Art. 5
Le disposizioni di questa legge non si applicano ai testi degli atti ufficiali
dello stato e delle amministrazioni pubbliche, sia italiane che straniere.
Contenuto e durata del diritto d'autore
Art. 6
Il titolo originario dell'acquisto del diritto di autore è costituito dalla
creazione
dell'opera,
quale
particolare
espressione
del
lavoro
intellettuale.8
Oggetto del diritto d'autore è un bene immateriale, ben distinto dal
possesso (od anche dalla proprietà) del mero supporto (cartaceo, fisico,
meccanico, magnetico, digitale) sul quale l'opera è fruibile. Il supporto in
quanto tale è infatti di proprietà di chi lo acquista (avendone pagato il
prezzo per supporto e diritti), ma il diritto d'autore continua a sussitere,
perciò il proprietario del supporto non ha facoltà illimitata di utilizzo,
bensì solo quelle facoltà di utilizzo che residuano dal diritto immateriale
spettante all'autore secondo la legge.
Il diritto nasce al momento della creazione dell'opera, che il nostro
codice civile identifica, un po' cripticamente, in una particolare
8
art. 2576 cod.civ. che riprende l'art. 6 della L. 633/41
13
14
espressione del lavoro intellettuale.9
Contrariamente
a
quanto
spesso
argomentato,
non
sempre
disinteressatamente, il diritto sussiste sin dalla creazione, e non vi è
obbligo di deposito10 (ad esempio, presso la SIAE), di registrazione o di
pubblicazione dell'opera (a differenza del brevetto industriale e sui
modelli e disegni di utilità che vanno registrati ).
È bene sottolineare che le norme sul diritto d'autore regolano il diritto di:
•
pubblicare
•
riprodurre
•
trascrivere
•
eseguire, rappresentare o recitare in pubblico
•
comunicare al pubblico, ovvero diffondere tramite mezzi di diffusione a
distanza (telegrafo, telefono, radiodiffusione, televisione e mezzi
analoghi, tra cui il satellite e il cavo), compresa la messa a disposizione
dell'opera al pubblico in maniera che ciascuno possa avervi accesso nel
luogo e nel momento scelti individualmente (le cosiddette fruizioni on
demand)
•
distribuire
•
tradurre ed elaborare
•
noleggiare e dare in prestito
Tutti i diritti elencati sono indipendenti l'uno dall'altro, il che significa che
l'esercizio di uno non esclude l'esercizio di tutti gli altri; inoltre tali diritti
9
- Il diritto d’autore,è per così dire “automatico”: l’autore acquisisce il complesso dei diritti sull’opera con la semplice creazione della stessa5. Ciò è cristallizzato nell’art. 2576 cod.civ. che recita: “Il titolo originario dell’acquisto
del diritto di autore è costituito dalla creazione dell’opera, quale particolare espressione del lavoro intellettuale.”
A nulla rileva dunque l’intervento“magico” della SIAE o di altri fantomatici organi certificatori.-ALIPRANDi, Teoria
e pratica del copyleft,2006,pag 15.
10
Purtroppo questo è uno degli aspetti su cui si crea facilmente confusione, dato che nell’immaginario comune
l’acquisizione dei diritti d’autore si perfeziona attraverso una non ben specificata formalità che per alcuni è la
registrazione dell’opera alla SIAE, per altri èl’iscrizione dell’autore alla SIAE4… o altre “leggende” simili. ALIPRANDI, Teoria e pratica del copyleft,2006,pag 15.
14
15
riguardano sia l'opera nel suo insieme che in ciascuna delle sue parti.
Il diritto consiste di due elementi fondamentali: in primo luogo, il diritto
alla nominalità dell'opera (anche detto diritto morale), per il quale ciò che
è stato creato dall'autore deve essere riferito all'autore medesimo,
evitando
che
altri
Secondariamente,
il
si
possa
diritto
gloriare
contiene
la
dell'operato
facoltà
di
di
questi.
sfruttamento
economico. Il primo è strettamente legato alla persona dell'autore e
salvo casi particolari tale rimane, mentre il secondo è originariamente
dell'autore, il quale può cederlo dietro compenso (ma anche
gratuitamente)
ad
un
acquirente
(meglio
sarebbe
chiamarlo
licenziatario), il quale a sua volta può nuovamente cederlo nei limiti del
contratto di cessione e della legge applicabile.
Art. 12
L'autore ha il diritto esclusivo di pubblicare l'opera.
Ha altresì il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l'opera in ogni
forma e modo, originale o derivato, nei limiti fissati da questa legge, ed
in particolare con l'esercizio dei diritti esclusivi indicati negli articoli seguenti. E' considerata come prima pubblicazione la prima forma di esercizio del diritto di utilizzazione.
Art. 13
1. Il diritto esclusivo di riprodurre ha per oggetto la moltiplicazione in copie diretta o indiretta, temporanea o permanente, in tutto o in parte dell'opera, in qualunque modo o forma, come la copiatura a mano, la
stampa, la litografia, l'incisione, la fotografia, la fonografia, la cinematografia ed ogni altro procedimento di riproduzione.
15
16
Art. 14
Il diritto esclusivo di trascrivere ha per oggetto l'uso dei mezzi atti a trasformare l'opera orale in opera scritta o riprodotta con uno dei mezzi indicati nell'articolo precedente.
Art. 15
Il diritto esclusivo di eseguire, rappresentare o recitare in pubblico ha
per oggetto, la esecuzione, la rappresentazione o la recitazione, comunque effettuate, sia gratuitamente che a pagamento, dell'opera musicale, dell'opera drammatica, dell'opera cinematografica, di qualsiasi altra opera di pubblico spettacolo e dell'opera orale.
Non è considerata pubblica la esecuzione, rappresentazione o recitazione dell'opera entro la cerchia ordinaria della famiglia, del convitto,
della scuola o dell'istituto di ricovero, purché non effettuata a scopo di
lucro.
Non è altresì considerata pubblica l'esecuzione, rappresentazione o recitazione dell'opera nell'ambito normale dei centri sociali o degli istituti di
assistenza, formalmente istituiti, nonché delle associazioni di volontariato, purché destinata ai soli soci ed invitati e sempre che non venga effettuata a scopo di lucro.
Art. 16
1. Il diritto esclusivo di comunicazione al pubblico su filo o senza filo dell'opera ha per oggetto l'impiego di uno dei mezzi di diffusione a distanza, quali il telegrafo, il telefono, la radiodiffusione, la televisione ed altri
mezzi analoghi, e comprende la comunicazione al pubblico via satellite
e la ritrasmissione via cavo, nonché quella codificata con condizioni di
accesso particolari; comprende altresì la messa disposizione del pubbli16
17
co dell'opera in maniera che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e
nel momento scelti individualmente.
Art. 17
1. Il diritto esclusivo di distribuzione ha per oggetto la messa in commercio o in circolazione, o comunque a disposizione, del pubblico, con
qualsiasi mezzo ed a qualsiasi titolo, dell'originale dell'opera o degli esemplari di essa e comprende, altresì, il diritto esclusivo di introdurre nel
territorio degli Stati della Comunità europea, a fini di distribuzione, le riproduzioni fatte negli Stati extracomunitari.
2. Il diritto di distribuzione dell'originale o di copie dell'opera non si esaurisce nella Comunità europea, se non nel caso in cui la prima vendita o il
primo atto di trasferimento della proprietà nella Comunità sia effettuato
dal titolare del diritto o con il suo consenso.
3. Quanto disposto dal comma 2 non si applica alla messa a disposizione del pubblico di opere in modo che ciascuno possa avervi accesso dal
luogo e nel momento scelti individualmente, anche nel caso in cui sia
consentita la realizzazione di copie dell'opera.
4. Ai fini dell'esaurimento di cui al comma 2, non costituisce esercizio
del diritto esclusivo di distribuzione la consegna gratuita di esemplari
delle opere, effettuata o consentita dal titolare a fini promozionali, ovvero di insegnamento o di ricerca scientifica.
Art. 20
Indipendentemente dai diritti esclusivi di utilizzazione economica della
opera, previsti nelle disposizioni della sezione precedente, ed anche
dopo la cessione dei diritti stessi, l'autore conserva il diritto di rivendica17
18
re la paternità dell'opera e di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione od altra modificazione, ed a ogni atto a danno dell'opera stessa,
che possano essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione.
Diritto morale dell'autore
Mira a tutelare la personalità dell'autore e l'attività in cui si materializza
la sua creatività. Si specifica in una serie di facoltà:11
A) Il diritto d'inedito. È una articolazione della libertà di manifestazione
del pensiero garantita dall'art. 21 della costituzione.
B) Il diritto alla paternità dell'opera.
- L'autore gode del diritto di rivendicare la paternità dell'opera, cioè di
esserne pubblicamente indicato e riconosciuto come l'artefice e
all'inverso, che non gli venga attribuita un'opera non sua o diversa da
quella da lui creata. L'usurpazione della paternità dell'opera costituisce
plagio, contro il quale il vero autore può difendersi ottenendo per via
giudiziale la distruzione dell'opera dell'usurpatore, oltre al risarcimento
dei danni (in caso di opera anonima o pseudonima l'autore può rivelarsi,
se vuole, quando meglio crede) e di opporsi a qualsiasi modifica o ad
ogni atto che possa pregiudicare il suo onore o la sua reputazione.
- L'editore è obbligato a riprodurre e porre in vendita l'opera col nome
dell'autore, ovvero anonima o pseudonima, se ciò è previsto dal
contratto.
11
-Il diritto d’autore italiano (e – pur con alcune differenze – quello dei paesi
dell’Europa continentale, cioè i cosiddetti sistemi di “civil law”) fa un passo in più.
l’attenzione della normativa si sposta verso la sfera dell’autore, il quale, anche dopo un’eventuale cessione dei
diritti patrimoniali sull’opera, può conservare un certo controllo sulla stessa. Questo perché il diritto d’autore prevede in capo all’autore un fascio di diritti più ampio, aggiungendo a quelli di tipo patrimoniale anche i cosiddetti
diritti morali, che tra l’altro sono irrinunciabili, incedibili e perpetui.- ALIPRANDI, Teoria e pratica del copyleft,2006,pag 13
18
19
- Gli autori dell'opera cinematografica hanno diritto che i loro nomi siano
menzionati nella proiezione della pellicola cinematografica.
- Il diritto di paternità tutela, oltre a quello dell'autore, anche l'interesse
pubblico, garantendo la collettività da ogni forma di inganno o
confusione nella attribuzione della paternità intellettuale.
- Dopo la morte dell'autore mantengono tali diritti i discendenti. È il diritto
morale che regola la pubblicazione delle opere inedite effettuata dagli
eredi dell'autore.
C) Il diritto all'integrità dell'opera. L'autore ha diritto ad essere giudicato
dal pubblico per l'opera così come egli l'ha concepita. La tutela del diritto
morale all'integrità dell'opera riguarda solo quelle modifiche che
comportano un concreto pregiudizio per la personalità dell'autore.
D) Diritto di ritirare l'opera dal commercio: il c.d. diritto di pentimento.
L'art. 2582 del codice civile prevede che l'autore, qualora concorrano
gravi ragioni morali, ha diritto di ritirare l'opera dal commercio. Ha
l'obbligo di corrispondere un indennizzo a coloro che hanno acquistato i
diritti di riprodurre, diffondere, eseguire, rappresentare o mettere in
commercio l'opera stessa.
Diritti di utilizzazione economica
Come si legge all'art.25: i diritti di utilizzazione economica dell'opera
durano tutta la vita dell'autore e sino al termine del settantesimo anno
solare dopo la sua morte.12
12
sono queste le disposizioni alle quali si è giunti dopo una lunga serie di provvedimenti che hanno esteso la
durata del diritto d’autore.
-A dire il vero, in origine il copyright fu istituito nel 1709 dalla regina Anna d’Inghilterra con l’onere in capo
all’autore di provvedere alla registrazione dell’opera presso un apposito ufficio pubblico. Da quel momento il
diritto durava 14 anni, con la possibilità di una sola ulteriore proroga di altri 14 anni. Trascorso tale periodo di
(al massimo) 28 anni, l’opera cadeva nel pubblico dominio. Col tempo però, in risposta alle nuove esigenze
dell’impresa culturale, si pensò di rendere meno macchinosa l’acquisizione di tali diritti e di allungare la relativa
durata fino agli attuali 70 anni dalla morte dell’autore.- ALIPRANDI, Teoria e pratica del copyleft,2006,pag 13
19
20
Nel caso in cui l'opera sia frutto del lavoro di più coautori, si considera
come termine sulla vita il coautore che muore per ultimo.
Nelle opere collettive la durata dei diritti di utilizzazione dell'opera come
un tutt’uno è di settant’anni dalla prima pubblicazione.
Per le opere anonime o pseudonime devono trascorrere settant’anni
dalla prima pubblicazione (qualunque sia la forma in cui viene
effettuata), se l'autore si rivela o viene rivelato da persone autorizzate,
l'opera torna a sottostare alle normali leggi.
In caso di parti di opera, di volumi e/o di opere periodiche, la durata dei
diritti decorre dall'anno della pubblicazione.
Delle opere pubblicate da amministrazioni dello Stato, fra le quali sono
comprese accademie, ed enti pubblici culturali, ed alle quali sono
assimilati gli enti privati senza fini di lucro, va notato che il diritto decade
dopo venti anni.
libere utilizzazioni
Esistono alcune opere che possono essere, sotto determinate
condizioni, liberamente utilizzate. Ecco alcuni esempi (per un elenco
completo si vedano gli artt. 65-71 quinquies della legge n. 633/41 che
regola il diritto d'autore):
•
articoli di attualità, economici o politico religiosi, pubblicati in riviste o
giornali possono essere riprodotti su altre riviste o giornali purché la
riproduzione non sia stata espressamente riservata e vengano indicati
•
nome della rivista/giornale
•
data e numero della rivista/giornale
•
nome dell'autore (se l'articolo è firmato)
•
discorsi tenuti in pubblico, purché si indichi la fonte
•
il nome dell'oratore
20
21
•
la data e il luogo in cui è stato tenuto il discorso
•
il riassunto, la citazione, la riproduzione di brani o parti di opera per
scopi di critica, discussione o insegnamento purché non costituiscano
concorrenza
all'utilizzazione
economica
dell'opera
e
vengano
menzionati:
•
titolo dell'opera
•
autore
•
editore
•
eventuale traduttore
Nell'ordinamento italiano non esiste il concetto di fair use13, tipico del
sistema a copyright, ma anche in Italia, nel corso di una interrogazione,
in merito alla pretesa della Siae di richiedere compensi per diritto
d'autore anche per le attività didattiche, si è proposto di esentarle dalla
normativa del copyright, con un regime, nella sostanza, ricalcato
sull'esempio del fair dealing dei paesi di Common law. Ha anche chiesto
al Governo di valutare l'opportunità di introdurre in Italia l'istituto del fair
use.
•
È, d'altra parte, sempre utilizzabile il meccanismo convenzionale delle
"libere utilizzazioni" o "limitazioni dei diritti", quale è ad esempio la
licenza Creative Commons o altri tipi di licenze open e copyleft.
Estinzione del diritto economico
Il diritto di utilizzo economico si estingue, nella maggior parte degli
ordinamenti occidentali,
decorso un
certo
periodo
dalla morte
dell'autore; pertanto agli eredi è in genere garantito un periodo di tutela
di questo diritto che solitamente copre un tempo equivalente ad una o
13
La dottrina del “fair use”, codificata alla sezione 107 del Codice Civile degli Stati Uniti, permette l’utilizzo
di parte di un’opera protetta da copyright senza l’autorizzazione del detentore della licenza e senza
l’obbligo di pagare per i diritti se la copia o la riproduzione dell’opera è finalizzata a determinati usi, come
la critica, il commento, il giornalismo, l’insegnamento (che prevede anche la possibilità di riprodurre più
copie di parte di un’opera per utilizzarle in classe), gli studi accademici o la ricerca.
21
22
due generazioni. Attualmente tale tutela nella maggior parte dei paesi
occidentali (tra cui l'Italia) è di settantacinque anni (70 anni più la
"neutralizzazione" degli anni della secodna guerra mondiale) dalla morte
dell'ultimo dei coautori dell'opera. Il diritto morale non si estingue mai,
sempre restando da riferirsi all'autore, in qualunque tempo, la titolarità
creativa dell'opera.
Estinto il diritto d'autore, l'opera diviene di pubblico dominio ed è
liberamente utilizzabile da chiunque, anche a fini economici, purché sia
rispettato il diritto morale alla titolarità artistica.
22
23
23
24
Il ruolo della SIAE
La Società Italiana degli Autori ed Editori, più nota con l'acronimo SIAE,
è un ente di diritto pubblico preposto alla protezione e all'esercizio dei
diritti d'autore (copyright). In particolare la SIAE, come prescritto nella
legge n. 633/1941 (artt.180-183), si occupa di:
1. concedere licenze e autorizzazioni per lo sfruttamento economico di
opere, per conto e nell'interesse degli aventi diritto
2. percepire i proventi derivanti dalle licenze/autorizzazioni
3. ripartire i proventi tra gli aventi diritto.
Oltre a ciò può esercitare altri compiti connessi con la protezione delle
opere dell'ingegno e può assumere, per conto dello stato, di enti pubblici
o privati, servizio di accertamento e di percezione di tasse, contributi,
diritti.
La SIAE, va precisato, non "crea" diritti di autore, ma si limita a tutelare
coloro che intendano depositare le loro opere presso questo ente al fine
di vederne riconosciute paternità e correlati diritti; il deposito non è, a
questi fini, obbligatorio, perché il diritto sussiste naturalmente sin dalla
creazione dell'opera e possono comunque essere usati altri mezzi per la
dimostrazione della titolarità dei diritti. Ciò posto, la SIAE è certamente
munita di un'organizzazione specifica ben attrezzata proprio per questi
compiti, come ad esempio una fitta rete territoriale, e di fatto la gran
parte delle produzioni italiane vi ricorrono.
La SIAE si occupa anche di apporre un contrassegno su tutti quei
supporti che contengono programmi per pc, suoni, voci o immagini in
movimento, destinati ad essere posti in commercio o ceduti a qualunque
titolo, al fine di garantire che tale produzione abbia ottemperato, quando
24
25
necessario, all'assolvimento del diritto d'autore per le opere che
contiene.
La SIAE, insieme all'autorità per le garanzie nelle comunicazioni, al fine
di prevenire ed accertare le violazioni del diritto d'autore, vigila:
•
sull'attività di riproduzione e duplicazione con qualsiasi procedimento e
su qualsiasi supporto delle opere tutelate, compresa qualsiasi diffusione
radiotelevisiva
•
sulla proiezione nelle sale cinematografiche delle opere tutelate e sui
diritti connessi
•
sulla distribuzione, vendita, noleggio, emissione e utilizzazione in
qualsiasi forma dei supporti contenenti riproduzioni di opere tutelate
•
sui centri di riproduzione pubblici o privati che usano per proprio conto,
o rendono disponibili a terzi, apparecchi per fotocopia, xerocopia o
analoghi sistemi.
La SIAE ha un monopolio imposto per legge sulla rappresentanza di
autori ed editori. Resta salvo il diritto di iscriversi alle corrispondenti
organizzazioni straniere.
25
26
Considerazioni
Ci basta per ora considerare queste norme come norme base riguardo
la tutela del diritto d'autore vigenti in Italia, per soffermarci invece sulle
sue origini e sul significato che esso assumeva al memento della sua
nascita, al fine di fare chiarezza sul perchè esso sia nato, quando, e in
che contesto. Definire i ruoli dei vari protagonisti in atto alla crazione di
un meccanismo ,che vedremo, è ancora valido tutt’oggi.
Vedremo come in un preciso momento storico, la tecnologia nascente
della stampa, impone problemi inediti ai governi e ai legislatori dei vari
paesi, è in questo momento che si percepisce la necessità dei produttori
di far valere i propri diritti nell’ambito della produzione di opere letterarie
e dei governi di controllare il flusso di informazioni contenute nei libri.
In particolar modo farò riferimento a come l'estensione della durata di
tali diritti sia andata crescendo negli anni. Nell'epoca dello sviluppo
dell'editoria culturale il gioco dei diritti del copyright è di forte stimolo per
la crescita e lo sviluppo delle industria della comunicazione, è in questo
periodo che si affermano le idee che tutelano questi diritti, è in questi
anni che si impongono le legislazioni relative a tali provvedimenti ed è
da questi anni in poi che l'industria della comunicazione riesce ad
imporre ai governi le proprie logiche. i governi dal loro canto danno
questa opportunità, creando organi centralizzanti, garanti del controllo e
della gestione dei diritti, conferendogli una posizione di monopolio. Un
modello di business chiuso e centralizzato che in realtà lascia poco
spazio di espressione a chi non ne fa parte. È rilevante notare come il
copyright nelle varie legislazioni si avvalga più delle sue valenze
economiche che dei diritti morali dell'opera e delle modalità di tutela dei
diritti da parte dell'autore, è in questi anni infatti che si impongono organi
centralizzati che fungono da mediatori necessari, nell'ambito del
processo produttivo delle opere d'ingegno. E da qui il mito della
26
27
necessarietà del ruolo degli intermediari nel processo di produzione, da
qui il falso mito che vedrebbe il diritto d'autore come garante del giusto
valore economico da ripagare all'autore (in percentuale). Non intendo
con ciò offrire una prospettiva negativa sul senso generale del copyright,
cosa
che
ritengo
necessaria,
ma
far
emergere
una
cattiva
interpretazione e legettimazione del suo. specialmente in relazione alla
figura dell'autore dell'opera, il quale, unico e vero detentore dei diritti
delle sue opere difficilmente dispone dei mezzi e delle possibilità per far
valere i suoi reali diritti, soprattutto nell'epoca della “riproducibilità
tecnica”, dove gli intermediari risultano una pesante scelta condizionata
da prendere per chiunque voglia veder fruttare il proprio lavoro.
Tralasciamo per ora le questioni relative alla proprietà intellettuale
nell'era della riproducibilità informatica per soffermarci sulle origini della
nascita del copyright prima del 1710 , anno in cui nacque in Inghilterra.
27
28
II.STORIA DELL'ESPANSIONE DELLA DURATA DEL COPYRYGHT
PARTE PRIMA
le origini del copyright
“Only when media technology and market conditions made piracy
profitable could copyright arise”.14
Diversamente da quanto accade oggi, in una cultura orale, la
trasmissione del sapere, delle opere è legata alle capacità artistiche e
del sapere di colui che rappresenta l’opera. Esaminando infatti lo studio
sulla circolazione delle prime opere letterarie nelle culture dominate
dall’oralità ci si accorge infatti che la possibilità di fissare il testo su un
supporto cartaceo era limitata dalla capacità manuale dello scriba o
dell’amanuense e che tale processo di duplicazione fosse quindi
limitato. -Mancano pertanto i presupposti tecnologici ed economici
perché fosse avvertita l’esigenza di tutelare il lavoro creativo
dell’autore.-15
Nell’antica Grecia , nell’antica Roma e nella cultura cinese, lo scritto fa
gradualmente comparsa nel processo di circolazione della conoscenza,
ed esistono pratiche di commercio di opere scritte su rotoli di papiro e
cartacei, ma non esistono e non si sente l’esigenza di garantire
protezione all’autore dell’opera letteraria. Nell’antica Roma infatti la
14
GELLER, PAUL EDWARD. “Copyright history and the future: What's culture got to do with it?”. In: Journal of
the Copyright Society of the USA, 47 ,2000, p.210
15
DI COCCO, PELLINO, RICCI. Il diritto d’autore nella società dell’information technology:
software, database, multimedia, Gedit Edizioni, Bologna, 2005
29
pratica degli scriba è affidata a schiavi specializzati che assumono un
notevole valore economico. Ma in questo caso l’irriproducibilità tecnica
dell’opera, cioè il fatto che essa dovesse essere copiata a mano con
ugual costo dell’oggetto riprodotto e dell’originale, fa si che non ci siano i
presupposti tecnologici ed economici per riconoscere il valore della
creatività, e la loro tutela giuridica.
Diversamente, in Cina, dove già dal primo millennio d.C. utilizzano la
carta e le prime tecniche di stampa, si pongono le condizioni
tecnologiche tali da abbattere i costi di appropriazione e replicazione
dell’opera letteraria, ma il rigoroso controllo della censura e le restizioni
imposte dalla burocrazia in un clima di controllo culturale, ancora una
volta ne ostacolano il riconoscimento.
Fu nell’Europa del xv secolo, che la scoperta della stampa di
Gutemberg ,i guadagni derivanti dalla riproduzione delle opere letterarie
molto diventarono remunerativi16, e la nascente industria del libro
incominciò a muoversi sotto il controllo culturale della chiesa e delle
università, istituzione che del resto, fino ad ora erano state a capo della
circolazione del sapere e proprietarie della tecnologia necessaria a
produrlo.
Tuttavia è con la macchina per stampare che appaiono le prime
corporazioni degli stampatori, i quali cominciarono subito a consolidare
le potenzialità commerciali legate alla tecnica della stampa, ottenendo
dai sovrani l’attribuzione di vantaggi e prerogative atte a favorire il loro
sviluppo e le loro attività economiche. È grazie ad una sempre più
diffusa produzione editoriale che a partire dal XVI secolo si assisterà ad
una lenta e graduale crescita del tasso di alfabetizzazione e
scolarizzazione delle popolazioni europee. È quindi durante il periodo di
transito dall’epoca medievale a quella moderna che si diffonde e si
consolida in un primo momento il fenomeno della stampa e dei benefici
16
A:DAVID, Le istituzioni della proprietà intellettuale ed il pollice del panda. Brevetti, diritti d’autore e
segreti industriali nella teoria economica e nella storia (trad.it a cura di M. Fontana) in G. Clerico, S. Rizzello ( a
cura di ), Diritto ed economia della proprietà intellettuale, Padova, 1998
30
concessi agli stampatori, ma è anche il momento in cui i sovrani sentono
il bisogno di porre un freno ad un’attività che consente alle idee di
circolare senza alcun controllo.
Per la prima volta la tecnologia pone alle autorità l’inedito problema di
controllare i nuovi flussi dell’informazione , che non sono più limitati
dall’irriproducibilità tecnica. Se ci si sofferma per un attimo a pensare
alla portata della situazione, è facile paragonarla al fenomeno che
abbiamo oggi con la diffusione del sapere , e non solo, attraverso i
nuovi media ed internet.
Le idee hanno un nuovo supporto, che è riproducibile tecnicamente, non
solo, aumentano i luoghi fisici della comunicazione culturale, le idee
possono viaggiare da una parte all’altra con facilità. Ed è questa
innovazione tecnologica a creare le condizioni economiche in base alle
quali si comincia a percepire la differenza tra il costo della replicazione e
il valore della creatività. I tentativi di governare gli effetti prodotti dalla
nuova tecnologia, da parte delle monarchie europee, passano
attraverso l’implementazione di un sistema di controllo preventivo sui
contenuti del’attività editoriale, istituendo
una vigilanza attiva sulle
officine tipografiche, un controllo preventivo sulle idee contenute nei
volumi da stampare. È in questo clima che si consolida in tutta Europa
la pratica delle concessioni e licenze in base alla quale il sovrano
riconosce allo stampatore un monopolio di durata variabile sulla
pubblicazione di una data opera oppure su un intero genere di opere.
Furono le tensioni politico-religiose della controriforma e del pensiero
luterano17, ed il ruolo che la stampa assume nella circolazione delle idee
a porre le basi per un controllo diretto sulla cultura da parte dei sovrani e
della chiesa e fu in questo contesto che si incomincia a delineare
l’opportunità di un non naturale accordo istituzionale tra sovrani e le
corporazioni degli stampatori e librai, in un’epoca in cui il consolidarsi
17
Gle effetti che la censura ebbe sullo sviluppo della vita intellettuale e sull asiffusione dell’industria del
libreo durante il periodo della Controriforma sono analizzati da A:ROTONDO’, La censura ecclesiastica e la
cultura, in Storia d’Italia Einaudi, 5, t.II, Torino, Einaudi, 1973.
31
dell’autorità
statale
e
la
formazione
delle
monarchie
assolute
presuppone un’apertura del potere regio al dialogo con i ceti mercantili.
Durante le monarchie infatti la società civile non perse le proprie
prerogative, i monarchi dovettero sempre tener conto degli interessi
della nobiltà, del clero e della borghesia capitalistica, le cui competenze
economiche ed amministrative erano divenute indispensabili.
L’accordo di fatto si concretizza in uno scambio vantaggioso: agli
stampatori sono garantite forme di monopolio concesse dal sovrano
dietro pagamento di tasse di concessione, ed oltre a pagare il dazio le
corporazioni si fanno garanti dell’attività censoria sulle opere letterarie.
Nel 1504 Enrico VII in Inghilterra concesse il monopolio della stampa
degli editti e delle proclamazioni di corte all’editore William Facques, il
quale per primo ebbe il titolo di King’s Printer.
Nel 1469 l’ olandese Johann Speier installo la sua officina di stampatore
a Venezia, allettato dalla possibilità di beneficiare per cinque anni di un
monopolio esclusivo sulle stampe edite nella Repubblica di Venezia.
I fenomeni sopra analizzati pongono le basi per la nascente
regolamentazione dell’editoria e anche della tutela giuridica dell’opera
letteraria ed artistica.
È in questo ambito storico che ha inizio il processo di formazione dei
modelli giuridici del copyright inglese e del diritto d’autore francese, che
possono essere considerati gli archetipi, rispettivamente del copyright
statunitense e del diritto d’autore italiano.
Nel 1557 viene emanata in Inghilterra la Stationer’s Charter da parte del
re Philip e della regina Mary, con la quale viene concesso agli editori il
potere centralizzato della produzione e della censura dei libri.
In Francia la situazione è diversa, la giurisdizione della corona
sull’editoria non è ancora centralizzata, ed il controllo su questa attività è
esercitato localmente dalle corporazioni degli editori, dall’Università di
Parigi e dalla facoltà di teologia della Sorbona. Con l’editto di Nantes
32
attorno al 1566 il sovrano francese attribuisce a sé il potere di
autorizzare la stampa dei libri, imponendo un organo di viglianza e
censura, con l’istituzione di una commissione di censura di nomina
regia. Tale sistema di controllo viene perfezionato nel 1624. Da notare
la differenza sostanziale tra i due modelli, inglese e francese, nel ruolo
di accentramento nella produzione dei libri e della censura.
Quindi in Inghilterra il controllo preventivo che la corona vuole esercitare
sulla stampa è assicurato tramite la tutela degli interessi economici di
una classe di imprenditori organizzata in un cartello che opera sulla
attività editoriale del paese. Questi consolidano la loro contiguità
istituzionale alla Corona anche ottenendo l’emanazione di ordinanze
atte a rinforzare il loro potere di autoregolamentare i propri interessi
commerciali.
concedere
In Francia invece il sovrano stà ben attento a non
benefici così
permissivi alle corporazioni dei librai,
accentrando a sé le prerogative della regolamentazione dell’attività di
controllo e gestione delle concessioni. In entrambi i casi le regole
imposte si configurano come esplicite forme di censura.
La figura dell’autore
Fino ad ora si è volutamente tenuta da parte la figura dell’autore
nell’ambito di questa nascente industria dell’editoria europea. Ma
sarebbe utile sapere come fino ad ora l’autore di un’opera letteraria
veda retribuito il suo lavoro. Egli è ancora lontano dal vedersi
riconoscere forme di protezione giuridica a tutela del frutto della sua
attività intellettuale. Viene si retribuito per il suo manoscritto ed è libero
di regolare i suoi interessi con l’editore attraverso contratti, ma nella
maggior parte dei casi concedendo la propria opera all’editore , l’autore
perde la possibilità di controllare le future utilizzazioni editoriali della sua
opera. Gli è ancora estranea l’idea di percepire un compenso per ogni
33
successiva forma di sfruttamento economico del suo lavoro creativo.18
L’autore in questi secoli vive ancora di dediche e cerca la protezione del
potente per cui scrive, avendo così assicurata una remunerazione
indiretta, e a parte questo gli autori di questo periodo non hanno ancora
stretto un legame sicuro con il mercato della propria inventiva. Allo
stesso tempo la creatività è un concetto ancora saldamente ancorato
alla
sua
interpretazione
arcaica,
concetto
legato
alla
retorica
dell’ispirazione delle muse. Questo modo di concepire il rapporto tra
autore e l’opera tramonterà solo durante il XVIII secolo, nell’eta dei lumi,
per far posto , gradualmente, all’illuminazione creativa del genio
dell’autore. Saranno fondamentali gli scritti di Locke con i “due trattati
sul governo”
19
del 1690 a modificare le condizioni economiche degli
autori. La concezione del filosofo inglese era quella di congiungere lo
stato delle cose esistenti in natura al lavoro dell’uomo. Porre l’individuo
come unico proprietario di se stesso, il quale si appropria anche di ciò
che il suo lavoro produce: “ ognuno ha la proprietà della propria
persona, alla quale ha diritto nessun altro che lui. Il lavoro del suo corpo
e l’opera delle sue mani possiamo dire che sono propriamente suoi. A
tutte quelle cose dunque che egli trae dallo stato in cui natura le ha
prodotte e lasciate, egli ha congiunto il proprio lavoro, e cioè unito
qualcosa che gli è proprio , e con ciò le rende proprietà sua. Poiché son
rimosse da lui dallo stato comune in cui la natura le ha poste, esse
18
In riferimento alle “opere derivate” contemplate oggi dalle leggi sulla tutela della proprietà intellettuale. La
legge italiana sul diritto d'autore definisce il concetto di opera derivata nell'articolo 4 della Legge 22 aprile 1941
n. 633. «Senza pregiudizio dei diritti esistenti sull'opera originaria, sono altresì protette le elaborazioni di
carattere creativo dell'opera stessa, quali le traduzioni in altra lingua, le trasformazioni da una in altra forma
letteraria od artistica, le modificazioni ed aggiunte che costituiscono un rifacimento sostanziale dell'opera
originaria, gli adattamenti, le riduzioni, i compendi, le variazioni non costituenti opera originale.»
Un'opera derivata è un'opera creata basandosi su un'altra già esistente; un'opera derivata, per essere definita
tale, deve possedere elementi creativi tali da farne un'opera a sè. Se un'opera creata a partire da un'altra non ha
elementi creativi è quindi fondamentalmente una copia dell'opera originale, non può essere definita un'opera
derivata, ma bensì una riproduzione dell'opera originale.
19
Il titolo completo del libro è: “secondo trattato sul governo civile. Saggio concernente la vera origine, l'estensione ed il fine del governo civile”. Il fine di questo trattato è di esporre la sua teoria sullo stato, ricercando le basi dell'associazione politica, delimitandone la sfera, cogliendo le leggi della sua conservazione. L'opera esprime
sentimenti di antiassolutismo, di diritto naturale e la volontá di demolire la teoria del diritto divino.
34
mediante il suo lavoro, hanno, connesso con sé, qualcosa che esclude il
diritto comune di altri”. 20
Si tratta di idee che sviluppano e rafforzano il tema dell’individualismo
possessivo, idee sostenute e condivise anche nel Leviatano di Hobbes.
L’idea di proprietà promossa da Locke offre un solido fondamento
ideologico all’idea di un diritto che compete all’autore, colui che ha
creato l’opera dal nulla mettendo a frutto la sua fatica intellettuale.21 Allo
Stato spetta il compito di tutelare la proprietà degli individui nello stato di
natura. Sono idee decisive che non tardarono ad influenzare anche lo
sviluppo delle politiche della monarchia inglese nei confronti della
borghesia mercantile del XVIII secolo. Infatti, Locke è sostenitore
dell’idea che lo stato debba assumere un ruolo di un’istituzione
subordinata
alle
necessità
dell’attività
economica.
Queste
idee
formarono anche la base ideologica e la copertura culturale dietro alla
quale mascherare la necessità di tutelare i diritti da parte degli editori e
dei legislatori.
Tuttavia non ci fu alcuna sollevazione di autori che improvvisamente
chiedevano il diritto di impedire agli altri di copiare i loro lavori; gli autori,
ben lontani dal vedere la copia come furto, generalmente la vedevano
come adulazione. La maggior parte del lavoro creativo è sempre dipeso,
allora e oggi, da una diversità di fonti di finanziamento: commissioni,
lavori
d’insegnamento,
concessioni
o
stipendi,
patrocinio,
etc.
L’introduzione del copyright non cambiò questa situazione. Ciò che esso
fece fu consentire un particolare modello di business – la stampa di
massa con distribuzione centralizzata – per rendere disponibili poche
20
J.LOCKE, Due Trattati Sul Governo, Torino, Utet, 1960.
Il pensiero di Locke continua ad essere protagonistadella riflessione contemporanea in tema di
copyright, non solo in riferimento al fondamento della tutela autoriale che stiamo esaminando, ma anche con
riferimento alla legittimazione filosofica del concetto di pubblico dominio ed ai limiti che questo pone, o meglio
dovrebbe porre, all’estensione della tutela dell’autore. (la discussione trova una giusta collocazione al cospetto
dei nuovi problemi posti dalla digitalizzazione delle opere protette e dalla loro circolazione su internet).
21
Per quanto riguarda il pubblico dominio faremo chiarezza più avanti, si veda anche BOLLIER, DAVID. Why the
Public Domain Matters (2002 New American Foundation & Public Knowledge).
35
opere fortunate ad un’udienza più ampia, con considerevole profitto dei
distributori.
Nascita del diritto d’autore: Il modello inglese
Nel 1710 fu creato il diritto d’autore in Inghilterra, con uno statuto della
regina Anna d'Inghilterra.22 Questa legge come abbiamo visto
precedentemente, descrivendo la situazione Inglese, si configura in
realtà come una legge di censura. Essa non aveva niente a che fare con
la protezione dei diritti degli autori, o con il loro incoraggiamento a
produrre nuove opere. C’era tuttavia il rischio che un’editore pubblicasse
opere tutelate da altri in altri paesi, oppure che le pubblicasse senza
averne i diritti, un certo tipo di “concorrenza sleale” definiremo oggi.
Nell’Inghilterra del sedicesimo secolo i diritti degli autori non correvano
alcun rischio ed il recente arrivo della macchina per stampare (la prima
macchina per copiare del mondo) era qualcosa che stimolava gli
scrittori. Così stimolante, infatti, che il governo inglese cominciò a
preoccuparsi per le troppe opere che venivano prodotte, non troppo
poche. La nuova tecnologia, per la prima volta, stava rendendo
ampiamente disponibili letture sediziose ed il governo aveva bisogno
urgente di controllare il fiume di materiale stampato, essendo allora la
censura una funzione amministrativa legittima .
Il metodo scelto dal governo fu quella di mantenere lo status quo
raggiunto con la corporazione privata di censori, la London Company of
Stationers (Corporazione dei Librai di Londra), i cui profitti sarebbero
dipesi da quanto bene essi avrebbero realizzato il proprio lavoro. Agli
Stationers fu concesso il diritto su tutta la stampa in Inghilterra, sia per
le vecchie opere che per le nuove, come premio per mantenere un
22
L’intestazione ufficiale recava “An Act for the encouragement of learning, by vesting the copies of
printed books in the authors of purchasers of such copies, during the times herein mentioned”, 8 Anne, c.19
(1710); il testo originale è consultabile presso il sito internet all’url http://presspubs.uchicago.edu/founders/print_documents/a1_8_8s2.html.
36
occhio stretto su ciò che veniva pubblicato. Il loro documento di
concessione diede loro non solo il diritto esclusivo di stampare, ma
anche il diritto di cercare e confiscare le stampe ed i libri non autorizzati
e addirittura di bruciare i libri stampati illegalmente. Nessun libro poteva
essere stampato fino a che non era entrato nel Registro della
corporazione e nessun’opera poteva essere aggiunta al registro finché
non aveva passato il censore della corona, o era stato auto - censurato
dagli Stationers.
Il sistema era stato apertamente progettato proprio per servire i venditori
di libri ed il governo, non gli autori. I nuovi libri venivano immessi nel
registro della corporazione sotto il nome di un membro della
corporazione, non sotto il nome dell’autore. Per convenzione, il membro
che aveva registrato il libro manteneva il “copyright”, il diritto esclusivo di
pubblicare quel libro sugli altri membri della corporazione, e la Court of
Assistants della Corporazione risolveva le dispute su eventuali
infrazioni.
Questa non fu semplicemente una nuova manifestazione di qualche
forma di copyright preesistente. Non è come se gli autori avessero avuto
precedentemente il copyright, che ora era stato tolto a loro e dato agli
Stationers. Il diritto degli Stationers era un nuovo diritto, per quanto
fosse basato su una lunga tradizione di concedere i monopoli alle
corporazioni, in modo da usarle come mezzo di controllo. Prima di
questo momento il copyright – cioè il generico diritto, tenuto
privatamente, di proibire agli altri la copia – non esisteva.
Per circa un secolo e mezzo questa associazione funzionò bene per il
governo e per gli Stationers. Gli Stationers trassero profitto dal loro
monopolio e il governo esercitò il controllo sulla diffusione delle
informazioni tramite gli Stationers. Tuttavia, verso la fine del
diciassettesimo secolo, a causa di maggiori cambiamenti politici, il
governo allentò le sue politiche censorie e fece terminare il monopolio
37
degli Stationers. Ciò significava che la stampa sarebbe dovuta ritornare
al proprio stato anarchico precedente e naturalmente fu una minaccia
economica ai membri della corporazione, abituati come erano ad avere
la licenza esclusiva di produrre libri. La dissoluzione del monopolio
avrebbe potuto essere buona per autori a lungo soppressi e stampatori
indipendenti, ma essa suonava come un disastro per gli Stationers, ed
essi rapidamente elaborarono una strategia per mantenere la loro
posizione nel nuovo clima politico liberale.
Gli Stationers basarono la loro strategia su un riconoscimento decisivo,
che è rimasto da allora alle aziende editoriali fino a oggi: gli autori non
hanno i mezzi per distribuire le proprie opere. Scrivere un libro richiede
solo penna, carta e tempo. Ma la distribuzione di un libro richiede
presse per la stampa, reti di trasporto ed investimenti iniziali in materiali
e macchine compositrici. Così, ragionarono gli Stationers, le persone
che scrivono avranno sempre bisogno della collaborazione di un editore
per rendere il loro lavoro disponibile alla generalità. La loro strategia usò
questo fatto fino al massimo vantaggio. Essi andarono in Parlamento e
fornirono l’argomento, basato sulla solita storia, che gli autori avevano
un inerente diritto di proprietà naturale su ciò che scrivevano e che
inoltre questa proprietà poteva essere trasferita ad altre parti per
contratto, come ogni altra forma di proprietà.
Il loro argomento riuscì a convincere il Parlamento. Gli Stationers
avevano fatto in modo da evitare l’odio verso la censura, poiché i nuovi
diritti di riproduzione avrebbero avuto origine dall’autore, ma essi
sapevano che gli autori avrebbero avuto ben poche possibilità di scelta
oltre che firmare per trasferire questi diritti ad un editore per la
pubblicazione.
Lo Statuto di Anna viene spesso richiamato dai campioni del copyright
come il momento in cui gli autori ricevettero finalmente la protezione che
essi meritavano da tempo. Ancora oggi esso viene referenziato, sia in
argomentazioni legali che in stampati dell’industria editoriale. Ma
38
interpretarlo come una vittoria degli autori contrasta sia con il comune
buon senso che con i fatti storici. Gli autori, che non avevano avuto il
copyright, non vedevano nessuna ragione di chiedere improvvisamente
il potere piuttosto paradossale di evitare la diffusione delle proprie
opere, e non lo fecero. Le sole persone preoccupate della dissoluzione
del monopolio degli Stationers erano gli Stationer stessi, e lo Statuto di
Anna fu il diretto risultato della loro campagna di lobbying.
nello statuto di Anne, preso nel contesto storico, possiamo vedere
l'intero apparato del copyright moderno, ma ancora in forma indistinta.
C’è la nozione del copyright come proprietà, come pure la proprietà
intesa realmente per gli editori, non per gli autori. C’è la nozione della
società che ne beneficia, incoraggiando la gente a scrivere i libri, ma
nessuna evidenza viene offerta per mostrare che la gente non
scriverebbe libri in assenza copyright. La discussione degli Stationers fu
piuttosto che gli editori non potrebbero permettersi di stampare libri
senza una protezione dalla concorrenza e che gli autori produrrebbero
poche opere nuove senza un’aspettativa di distribuzione. Gli editori
furono ora efficacemente costretti a pagare gli autori in cambio dei diritti
esclusivi di stampa. Gli autori che riuscirono a vendere questo nuovo
diritto agli stampatori non ebbero particolari motivi di lamentarsi -- e
naturalmente, non si sente parlare molto degli autori sfavoriti. Il
consolidamento del copyright dell'autore probabilmente contribuì al
declino del patronato come fonte di reddito per gli scrittori e ad alcuni
autori consentì perfino, benché sempre una piccola minoranza, di
sostenersi solamente dai diritti d'autore che i loro editori dividevano con
loro.
Ma la testimonianza storica globale è chiara: il copyright fu progettato
dai distributori per sovvenzionare se stessi, non i creatori.
Questo è il segreto che l’odierna lobby del copyright non ha mai il
coraggio di dire ad alta voce, perché una volta che venisse ammesso,
39
diventerebbe chiaro in modo imbarazzante il vero scopo della
successiva
legislazione
sul
copyright.
Lo
statuto
di
Anne
fu
semplicemente l'inizio.
Assegnando la premessa che il copyright debba esistere, il governo
inglese si trovò sotto pressione per estendere sempre di più i termini del
copyright. Gli Stationers Avevano proposto il copyright dell'autore per
interesse economico solo dopo che avevano il monopolio basato sulla
censura. Quando fu evidente che la tattica funzionava, essi spinsero per
rinforzare il copyright.
Seguirono gli altri paesi europei:
Nel , dal 13 gennaio al 19 gennaio, l’Assemblea nazionale francese
relativa agli spettacoli, con un decreto legislativo, espresse la
proibizione di rappresentare opere di autori viventi senza il loro
consenso, diritto che si estendeva agli eredi e ai concessionari degli
autori, che sarebbero stati ‘’proprietari’’ delle loro opere, per cinque anni
dopo la morte dell’autore.
Nel 1793 dal 19 luglio al 24 luglio, la Convenzione nazionale emanava
una legge con la quale veniva riconosciuto il diritto esclusivo dell’autore
per tutte le opere d’ingegno. Tale legge, successivamente modificata, è
tuttora vigente in Francia.
Nel 1801, il 9 maggio, in Italia, la Repubblica Cisalpina e il Regno Italico
con la legge 19 fiorile anno IX, dichiararono il primo riconoscimento
della "più sacra e preziosa delle proprietà". Seguirono:
•
nel 1826, il 23 settembre, lo Stato Pontificio.
•
nel 1828, il 5 febbraio, il Regno delle Due Sicilie.
•
nel 1836, il Codice civile albertino per la Sardegna.
•
nel 1840, il 22 dicembre, il decreto di Maria Luigia, per il Ducato di
Parma, Piacenza e Guastalla.
40
•
nel 1865, il 25 giugno, nel Regno d’Italia, con legge 2337, che salvo
qualche modifica minore, della quale qui non si fa cenno perché di
natura specialistica, è tuttora vigente in Italia.
La Convenzione di Berna
Nel 1886, il 9 settembre, per i rapporti con gli stranieri fu costituita
l’Unione internazionale di Berna, che coordina i rapporti in questo
campo, di tutti i paesi mondiali iscritti, alla quale l’Italia ha aderito ed è
ancora oggi operante.
La Convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie e
artistiche, adottata a Berna nel 1886, ha per la prima volta stabilito il
riconoscimento reciproco del diritto d'autore tra le nazioni aderenti.
Fu elaborata su pressione di Victor Hugo. Prima dell'adozione della
convenzione, le nazioni spesso si rifiutavano di riconoscere sul
materiale di nazioni straniere il diritto d'autore. Così per esempio un
lavoro pubblicato a Londra da un cittadino britannico era tutelato nel
Regno Unito ma liberamente riproducibile in Francia, così come un
lavoro pubblicato a Parigi da un francese era protetto in Francia ma
liberamente riproducibile nel Regno Unito.
La convenzione di Berna stabilisce che ogni contraente deve
riconoscere come soggetto a diritto d'autore il lavoro creato da cittadini
degli altri stati contraenti. La tutela è automatica, nessuna registrazione
è richiesta e neppure è necessario apporre un avviso di copyright.
Inoltre alle nazioni firmatarie è proibito richiedere alcuna formalità come
una registrazione agli autori stranieri che possa ostacolare il "godimento
e l'esercizio" del diritto d'autore. I contraenti rimangono liberi di imporre
richieste di registrazione o note di copyright ai propri autori e ad autori di
nazioni non aderenti alla convenzione di Berna, ma questa pratica è
applicata molto di rado tranne che per gli Stati Uniti.
41
La convenzione stabilisce un termine minimo di tutela per tutta la vita
dell'autore più 50 anni, ma le parti contraenti sono libere di estendere
questo periodo, come ha fatto l'Unione Europea con la direttiva
sull'armonizzazione del diritto d'autore nel 1993. Gli Stati Uniti hanno più
volte esteso il termine di copyright, l'ultima volta con il Sonny Bono
Copyright Term Extension Act nel 1998.
Le nazioni soggiacenti alla prima versione del trattato possono scegliere
di aderire, e per certi tipi di opere (come registrazioni musicali e film) si
può aderire per termini minori, altrimenti l'attuale durata generale del
copyright è pari alla vita dell'autore (o dell'ultimo autore sopravvissuto se
ne esiste più di uno) più 70 anni o nel caso di lavori creati da enti diversi
da singoli individui, 95 anni dalla prima pubblicazione.
Inizialmente gli Stati Uniti rifiutarono di entrare nella convenzione,
poiché ciò avrebbe richiesto importanti cambiamenti nella propria
legislazione sul copyright (in particolare per quanto riguarda i diritti
morali, la rimozione della necessità di registrazione e della nota di
copyright). Così fu adottata la Universal Copyright Convention nel 1952,
per ovviare a queste obiezioni. Gli Stati Uniti aderirono alla convenzione
di Berna nel 1989 e in base quanto in essa stabilito la nota di copyright
non è più necessaria per ottenere la tutela del diritto d'autore.
La convenzione di Berna ebbe diverse revisioni: Berlino (1908), Roma
(1928), Bruxelles (1948), Stoccolma (1967) e Parigi (1971). Dal 1967 la
convenzione è amministrata dall'Organizzazione Mondiale per la
Proprietà Intellettuale (WIPO).
Nel 1994 l'organizzazione mondiale del commercio (WTO) elaborò
l'accordo Agreement on trade-related aspects of intellectual property
rights, in base al quale le nazioni aderenti (quasi tutte le nazioni
mondiali sono membri del WTO) devono accettare pressoché tutte le
condizioni della convenzione di Berna.
In tempi più recenti (1984), Richard Stallman e la Free Software
42
Foundation hanno sviluppato un meccanismo che si basa sul copyright
per promuovere un'ampia gamma di diritti relativi al software e per fare
in modo (è questa l'innovazione) che questi diritti non vengano sottratti
in nessun modo: tenendo conto di un doppio senso della lingua inglese
(nella quale "right" significa sia "diritto" che "destra") hanno denominato
questo meccanismo come copyleft (volendo la parola "left" dire
"lasciato", participio passato di "leave", oppure "sinistra"); tale principio è
stato ampliamente applicato nell'ambito del Software libero.
Attualmente, con l'avvento di internet e delle nuove tecnologie le leggi
sul copyright sono sempre più severe ,anche se sempre più difficili da
far rispettare.
Di fronte alla sfida digitale la tutela dei diritti sulle opere d’ingegno
avanza nuove prerogative che si concretizzano in convenzioni
internazionali volte a stabilire standard minimi di protezione e a
disciplinare l’utilizzo internazionale delle opere d’ingegno. Tale tendenza
è strettamente legata all’accellerazione del progresso tecnologico, che
porta ad una più veloce circolazione delle opere.
La principale convenzione internazionale rimane quella di Berna del
1886, più volte revisionata. Poi, lo sfruttamento intensivo e su scala
mondiale di testi,immagini,video, suono attraverso le reti telematiche, ha
definitivamente rovesciato il principale presupposto per il funzionamento
della circolazione e la tutela di tali opere: cioè la materialità dei loro
supporti. Solo di recente si è sentita la necessità di armonizzare tale
disciplina in seguito agli sviluppi indotti dall’era digitale. A livello
regionale, il più organico intervento è rappresentato dal processo di
armonizzazione portato avanti dal legislatore comunitario dal 1991 fino
ad oggi: le cui tappe fondamentali sono segnate dalla direttiva
n.91/250/CEE (tutela giuridica dei programmi per elaborare; alla direttiva
96/9/CE (tutela giuridica banche dati; e alla direttiva 2001/29/CE
43
(armonizzazione diritto d’autore).23
A livello mondiale invece meritano particolare attenzione l’Accordo
TRIPs del 1994 ( Trade-Related Aspect of Intellectual Property Rights),
adottato in seno al General Agreement on Tariffs and Trade (GATT); il
WIPO Copyright Treaty (WCT), con particolare riguardo all’incrocio
problematico tra internet ed opere d’ingegno, e riguardo ad alcuni diritti
connessi il WIPO Performances and Phonograms Treaty (WPPT).
Il WTC e il WPPT sono stati promossi dalla World Intellectual Property
Organizzation (WIPO), denominata in francese Organizzation Mondiale
de la Proprietè Intellectuelle (OMPI), sottoscritti a Ginevra nel 1996
23
Si veda il paragrafo: Il nuovo diritto d’autore: i trattati OMPI del 1996 e la direttiva
29/2001.
44
La portata del copyright
Ritengo importante descrivere come nel tempo ci sia stata una graduale
espansione della portata del copyright in termini di tempo.
La "portata" di un copyright è l'estensione dei diritti garantiti per legge.
La portata del copyright americano e di quello europeo è mutata in
modo drammatico. Non si tratta di trasformazioni necessariamente
negative, ma dobbiamo comprenderne il valore se vogliamo mantenere
il dibattito nel giusto contesto:
Quando nascque il diritto d’autore la sua portata era assai ridotta. Il
copyright copriva soltanto alcune opere d'ingegno come
mappe,
diagrammi e libri, non copriva la musica o l'architettura. Ancor più
significativo il fatto che il copyright dava all'autore il diritto esclusivo a
"pubblicare" i lavori così tutelati. E questo vuol dire che tale diritto veniva
violato solo se qualcun altro ripubblicava l'opera senza il permesso del
titolare. Infine, il diritto garantito dal copyright era esclusivo per quel
determinato libro e non si estendeva a ciò che gli avvocati definiscono
"opere derivate". Perciò non poteva interferire con il diritto di qualcun
altro, diverso dall'autore, di tradurre un libro protetto da copyright, o di
adattarne la storia in una forma diversa (ad esempio un dramma teatrale
tratto da un libro pubblicato).
Anche questo ha subito notevoli trasformazioni. Mentre oggi i limiti del
copyright sono estremamente difficili da descrivere con chiarezza, in
termini generali il diritto copre praticamente qualsiasi lavoro creativo a
cui venga data una forma tangibile. La musica così come l'architettura, il
dramma teatrale come i programmi informatici. Assegna al titolare del
copyright di un'opera creativa non soltanto il diritto esclusivo a
"pubblicarla", ma anche il diritto esclusivo al controllo su qualunque sua
45
"copia". E quel che è più significativo per il nostro obiettivo in
quest'ambito, il diritto riconosce al titolare del copyright non solo il
controllo sul proprio lavoro, ma anche su ogni "opera derivata" che si
possa ricavare dall'originale. In tal modo, il diritto copre una quantità
sempre maggiore di lavoro creativo, lo tutela in modo più ampio e
protegge le opere che derivano in modo significativo dall'opera creativa
iniziale. Contemporaneamente all'espansione del copyright, sono stati
allentati i vincoli procedurali. Infatti seguendo la legislazione europea
non occorre registrare un'opera per ottenere il copyright; ora il copyright
è automatico e lo si applica a prescindere dalla presenza del
contrassegno (c); ed esiste indipendentemente dalla disponibilità di una
copia destinata all'uso altrui.
Prendiamo un esempio concreto per capire meglio la portata di queste
differenze.
Se, nel 1790, abbiamo scritto un libro e
messo sotto copyright, la
legislazione ci tutela contro l'eventualità che un altro editore prenda quel
libro e lo ripubblichi senza il nostro permesso. Scopo della legge era
regolamentare gli editori in modo da impedire questo tipo di concorrenza
sleale. Il Copyright era perciò una regolamentazione minima per un
piccolo settore del mercato creativo - gli editori.
La normativa lasciava gli altri creatori completamente privi di protezione.
Se qualcuno avesse copiato a mano una nostra poesia, più e più volte,
per impararla a memoria, per quel gesto non sarebbe stata prevista
alcuna regolamentazione in base alla legge del 1790. Se qualcuno
avesse realizzato la versione teatrale di un nostro racconto, oppure se
lo avesse tradotto o ridotto, nessuna di queste attività sarebbe stata
regolata dalla normativa originaria sul copyright. Queste attività creative
rimanevano libere, mentre quelle degli editori erano soggette a vincoli.
Oggi la storia è assai diversa. Se scriviamo un libro, esso viene
automaticamente posto sotto tutela. Anzi, non soltanto il libro, ogni atto
creativo espresso in forma tangibile - tutto ciò viene automaticamente
46
messo sotto copyright. Non c'è bisogno di registrare un'opera o di
contrassegnarla con la (c). La tutela è una conseguenza della
creazione, non della procedura per ottenerla. Questa tutela ci dà il diritto
di controllare il modo in cui altri copiano l'opera, che lo facciano per
ripubblicarla o per condividerne un estratto.
Fin qui la parte ovvia. Ogni sistema di copyright mira a controllare
l'editoria concorrente. Ma esiste una seconda parte dell'attuale copyright
che non è affatto così scontata. Si tratta della tutela dei "diritti derivati".
Se scriviamo un libro, nessuno può farne un film senza permesso.
Nessuno può tradurlo senza autorizzazione. Non se ne può trarre un
compendio, se non si è autorizzati. Tutti questi usi derivati del lavoro
originario sono controllati dal titolare del copyright. In altri termini, ora il
copyright non è soltanto il diritto esclusivo sui nostri scritti, ma anche su
una notevole percentuale di scritti successivi ispirati dai primi.
Inizialmente, questa estensione fu creata per affrontare le ovvie evasioni
al copyright più limitato. Se ho scritto un libro, qualcuno potrebbe
modificarne una parola e poi vantare il diritto di copyright come se fosse
un'opera nuova e diversa? Naturalmente questo significherebbe farsi
beffe del copyright, così la legge venne adeguatamente ampliata per
prevedere simili piccole modifiche oltre alle copie letterali dell'opera
originale.
la legge creò un potere all'interno della “cultura libera” – (legge si
applica non soltanto a un editore commerciale ma a chiunque possieda
un computer). Capisco che sia illegale duplicare e rivendere l'opera di
qualcun altro. Ma, per quanto ingiusto, trasformare il lavoro di qualcun
altro è una trasgressione di tipo diverso. Alcuni non la considerano
neppure tale - ritengono che la nostra legge, come nella stesura
originale, non dovrebbe tutelare affatto i diritti derivati. Che si voglia o
meno arrivare a tanto, appare chiaro che qualunque sia il tipo di illecito,
è fondamentalmente differente dalla pirateria diretta. Eppure la legge sul
copyright tratta allo stesso modo questi due diversi tipi di trasgressione.
47
Posso ottenere dal tribunale un'ingiunzione contro chi pirata il mio libro.
Posso ugualmente ottenere dal tribunale un'ingiunzione contro chi usa il
mio libro per trasformarlo . Questi due diversi utilizzi del mio lavoro
creativo sono trattati in modo identico.
La cosa può anche sembrare corretta. Se ho scritto un libro, perché mai
qualcuno dovrebbe essere libero di realizzare un film che riprende la
mia
storia
e
di guadagnarci senza
compensarmi o
darmene
riconoscimento? Si tratta di buone argomentazioni e, in generale, la mia
posizione non ritiene ingiustificato il diritto derivato. Il mio obiettivo per
ora è assai più limitato: semplicemente rendere chiaro come questo
ampliamento rappresenti una trasformazione significativa dei diritti
garantiti originariamente.
Dall’analisi fin qui condotta potremmo trarne alcune analogie in
relazione alla situazione odierna. Il modello che sta alla base della
nascita del copyright è valido ancora oggi. E soprattutto negli Usa , che
è diventato uno dei paesi che più degli altri afferma le rigide idee sulla
tutela dei diritti d’autore succede che ogni volta che il congresso
estende i termini o la portata del copyright, ciò è il risultato di pressioni
dell'industria editoriale. A volte, i gruppi di pressione metteranno in
mostra un autore o un musicista superstar, una faccia umana per quello
che è essenzialmente uno sforzo dell’industria, ma è sempre molto
chiaro cosa sta accadendo in realtà. Tutto ciò che dovete fare è
guardare chi sta pagando le fatture degli avvocati e dei gruppi di
pressione, il cui nome compare nei registri delle sentenze della corte :
gli editori.
Tuttavia la campagna secolare dell'industria per una forte legge sul
copyright non è semplicemente avidità riflessa. È una naturale risposta
economica alle circostanze tecnologiche. L'effetto del torchio tipografico
e successivamente della tecnologia di registrazione analogica del
suono, avrebbe reso le opere dell’ingegno inseparabili dai mezzi per la
loro distribuzione. Gli autori avevano bisogno degli editori come
48
l'elettricità ha bisogno dei fili. L'unico metodo economicamente
praticabile per raggiungere i lettori (o gli ascoltatori) era la stampa di
massa: produrre insieme migliaia di copie identiche, poi spedirle
fisicamente ai vari punti di distribuzione. Naturalmente ogni editore,
prima di accettare un tale investimento, preferisce comprare o prendere
in leasing il copyright dall'autore, proprio come naturalmente incita il
governo ad estensioni più forti possibili del copyright, il meglio per
proteggere il suo investimento.
In questo non c’è niente di strano; è pura economia. Dal punto di vista
degli affari, il funzionamento della stampa è un progetto rischioso e
scoraggiante. Comporta alti costi iniziali.
è poco sorprendente che gli editori sostengano fortemente il copyright.
In termini economici, l'investimento iniziale degli editori in ogni opera
individuale - cioè il loro rischio - è più grande di quello dell'autore. Gli
autori in sé non avrebbero desiderio intrinseco di controllare la
copiatura, ma gli editori lo hanno. Naturalmente gli autori hanno tanto
più bisogno degli editori in un mondo si è riempito di reparti di marketing
sostenuti dalle royalty degli editori.
L’arrivo di Internet ha profondamente cambiato questa equazione.
Ormai é divenuto un cliché affermare, come in realtà è, che Internet ha
portato uno sviluppo rivoluzionario così come lo è stato l’arrivo della
stampa. Ma internet è rivoluzionaria in modo diverso. La stampa rese
possibile la produzione di molteplici copie a partire da un libro, ma tali
copie dovevano essere ancora fisicamente trasportate dalla tipografia
alle mani dei lettori. Dal punto di vista fisico, il libro non era solo il modo
con il quale accedere al suo contenuto, ma costituiva anche il mezzo
per recapitare il suo contenuto ai consumatori. Le spese totali sostenute
degli editori erano quindi praticamente proporzionali al numero di copie
distribuite. In tale situazione è ragionevole chiedere che ciascun
consumatore contribuisca ad una parte dei costi di distribuzione, tenuto
conto che dopo tutto ciascun utente è più o meno responsabile dei costi
49
che hanno fatto pervenire il libro nelle sue mani. Se il libro (o il disco) è
nelle sue mani, deve averlo preso da qualche parte e qualcuno deve
aver speso dei soldi per farlo arrivare li. Oggi, però, il mezzo su cui
vengono distribuiti i contenuti può essere del tutto diverso da quello
utilizzato al momento della fruizione ultima del contenuto. I dati possono
essere trasmessi su cavo a costo essenzialmente zero e l’utente, che si
trova dall’altra parte del cavo, può stampare la copia di un’opera a
proprie spese e con la qualità che può permettersi . Ne consegue che la
pratica di applicare un ricarico fisso su ogni copia, indipendentemente
dal numero di copie distribuite, ha poco senso, in quanto il costo di
produzione e distribuzione di un lavoro è essenzialmente fisso e non più
collegato al numero di copie.
Internet ha fatto qualcosa che la compagnia degli Stationers non aveva
previsto: ha reso gli argomenti della loro discussione un'ipotesi
verificabile. Gli autori continuerebbero a creare, senza una struttura
centralizzata che distribuisca le loro opere? Una conoscenza anche
minima di Internet è sufficiente per fornire la risposta: ovviamente si, lo
stanno già facendo. Gli utenti dei computer scaricano comodamente
musica e realizzano CD a casa e, lentamente ma inevitabilmente, i
musicisti immettono comodamente in rete nuovi brani “free” pronti per
essere scaricati . Anche alcuni lavori brevi come romanzi e non solo
sono disponibili on-line.
Sebbene sia vero che la stampa e la rilegatura su richiesta di interi libri
siano ancora rare, questo avviene solo perché le macchine necessarie
sono ancora abbastanza costose. Comunque le apparecchiature
diventano sempre più economiche ed è solo una questione di tempo
prima che la copisteria sotto casa le abbia a disposizione. Da un punto
di vista della distribuzione non vi è differenza tra testo e musica e
appena la tecnologia per la stampa e la rilegatura diverrà più
economica, gli autori di libri vedranno molto più chiaramente che essi
hanno le stesse alternative di cui dispongono nell’immediato i musicisti,
e il risultato sarà lo stesso: sempre più materiale disponibile senza
50
restrizioni, a partire dalla scelta dell’autore.
Alcuni possono argomentare che gli autori sono differenti e che essi
sono molto più dipendenti dal copyright di quanto lo siano i musicisti.
Dopo tutto un musicista fa dei concerti e può quindi guadagnare
indirettamente da una distribuzione libera dei propri brani – la maggiore
diffusione delle proprie canzoni permette di effettuare maggiori concerti.
Gli autori però non fanno rappresentazioni; raggiungono il loro pubblico
attraverso le opere e non di persona. Se ora volessero trovare dei modi
per auto-finanziarsi senza imporre una scarsità di risorse ai loro lavori,
potrebbero farlo?
Ma vediamo ora quali sono state le fasi essenziali che hanno visto
l’estensione della dutrata del copyright e la trasformazione di significato
originario.
51
SECONDA PARTE
Il nuovo diritto d’autore: i trattati OMPI del 1996 e la direttiva
29/2001/CE
di conseguenza alla rapida evoluzione digitale, all'avvento di internet e
della "società dell'informazione", c'è stata una vera e propria rivoluzione.
Oltre a dar vita a nuove economie, basate su beni immateriali accessibili
a tutti e a basso prezzo, il vecchio sistema dell'industria dell'intrattenimento e della cultura volgeva al suo termine. Si stava assistendo ad un
vero e proprio esodo imprenditoriale; piccole, medie e grandi imprese, in
vista della rivoluzione digitale in atto, abbandonavano la produzione di
beni materiali, con i relativi sistemi di distribuzione, per entrare a far parte del mondo dell'information tecnology, passando così dall'industria dei
beni a quella dei servizi. a capo di questa rivoluzione c'è internet e la
nuova logica di funzionamento delle opere d'ingegno digitali. in base a
questa continua evoluzione della società anche le leggi sul diritto d'autore non hanno mai smesso di essere soggette di continue modifiche e
revisioni.
Nel 1994, sul piano internazionale, si concludevano a Marrakech i
TRIPs Agreement ( ovvero i negoziati relativi all'adozione dell'Agreement on trade related aspects of intellectual property rights), che sono
uno degli accordi che fanno capo alla World Trade Organizzation
(OMC). L'OMC subentra al GATT (Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio) e si occupa delle regole del commercio mondiale.
Ma mentre il GATT si occupava unicamente delle regole del commercio
di merci, ora l'OMC comprende tre pilastri ben definiti e cioè il GATT
1994, l'Accordo generale sugli scambi di servizi (GATS) e l'Accordo
TRIPS.
52
Grazie all'Accordo TRIPS, tutti gli aspetti della proprietà intellettuale
vengono inseriti per la prima volta nel testo di un accordo multilaterale:
diritti d'autore e diritti affini, marchi di fabbrica, marchi di commercio e
marchi di servizi, indicazioni di provenienza, design, brevetti, topografie
di prodotti a semiconduttori, come pure segreti d'affari e segreti di fabbricazione. Esso contiene sia le norme del diritto materiale in tutti i settori menzionati, sia le norme sul diritto di procedura e sulla tutela dei diritti.
Inoltre, vengono fissate delle regole precise per le misure da adottare alla frontiera contro la falsificazione e la pirateria. Le controversie riguardanti i diritti e i doveri derivanti dell'Accordo vengono risolte in conformità al meccanismo generale di gestione delle controversie dell'OMC. I periodi di transizione scaglionati permettono di venire incontro in particolare ai problemi e alle esigenze dei paesi in via di sviluppo. L'Accordo
TRIPS consegue un notevole miglioramento della protezione mondiale
dei diritti immateriali. Esso aumenta la sicurezza dei diritti e la prevedibilità a livello internazionale per i titolari dei diritti. Inoltre, questo accordo
è uno strumento contro i tentativi unilaterali di pressione dei grandi stati
su quelli più deboli, poiché esso ha creato uno spazio multilaterale per
discussioni, negoziati e una soluzione delle controversie nell'ambito della proprietà intellettuale.
IL SISTEMA ECONOMICO MONDIALE
Il WTO ha preso il posto del GATT all'inizio del 1995. La sua nascita è
sancita dal "Final Act" dell'Uruguay Round firmato nell'aprile 1994 al
meeting ministeriale di Marrakesh.Il WTO si fonda su diversi accordi (agreements) negoziati e firmati dalla maggior parte delle nazioni del
mondo; ha potere legislativo, esecutivo e giudiziario e i membri che non
si adeguano alle regole stabilite nei vari accordi possono essere
costretti a farlo dalle sanzioni commerciali . Guidata dalla logica del
mercato, la politica del WTO è stata sinora stabilita dai paesi più potenti
53
e dalle loro influenti società multinazionali. Il risultato è che le preoccupazioni legate all'ambiente, alla cultura, ai diritti umani, alla qualità della
vita sono state messe da parte mentre la globalizzazione ha proseguito
la sua marcia.
Anche se ufficialmente nato il 1 gennaio 1995, le radici del WTO risalgono al 1948, all’ormai famosissimo GATT. Negli anni questo accordo è
cresciuto attraverso vari negoziati, indicati col termine di "round".
L’ultimo e il più importante è stato l’Uruguay Round, dal 1986 al 1994,
terminato proprio con la creazione del WTO. Il GATT copriva il commercio dei beni, il WTO ora copre anche il settore dei servizi e delle proprietà intellettuali.
Il commercio mondiale e il WTO
Gli accordi WTO coprono: beni, servizi e proprietà intellettuali ed esprimono i principi della liberalizzazione includendo:
•
gli impegni dei singoli Paesi ad abbassare tariffe e barriere commerciali;
•
l’impegno ad aprire e mantenere aperti i mercati dei servizi;
•
definiscono le procedure per regolare le dispute;
•
prescrivono trattamenti speciali per paesi in via di sviluppo;
•
impegnano i governi a mantenere trasparenti le rispettive politiche
commerciali notificando al WTO le leggi e le misure adottate.
Uno dei concetti fondamentale del WTO è il cosiddetto Trattamento nazionale (National Treatment) che si traduce nel trattare prodotti stranieri
e nazionali allo stesso modo. Questo ovviamente vale anche per i servizi, i marchi, copyrights e brevetti.
54
Questo principio è indicato nell’art. 3 del GATT, nell’art.17 del GATS e
nell’articolo 3 dei TRIPS. Si applica una volta che un prodotto è entrato
in un mercato, perciò tasse sull’importazione non sono considerati violazione al trattamento nazionale e rientrano nelle tariffe, al cui abbattimento ha lavorato per cinquant’anni il GATT. La creazione del WTO è stata
la più importante riforma del commercio internazionale dopo la seconda
guerra mondiale e dal 1948 al 1994, il GATT ha fornito le regole del
commercio
internazionale,
sebbene
fosse
un
accordo
e
un’organizzazione provvisoria.
Conseguenza di questi accordi è l’accettazione dei paesi aderenti delle
leggi che regolano la proprietà intellettuale estesa ormai a largo spettro
su una consistente fetta di mercato, comprendendo brevetti di qualsiasi
tipo, marchi e opere artistiche.
L'Italia ha aderito aglia accordi TRIPs tramite il recepimento del Decreto
Legislativo 19 marzo 1996.
Sempre nel 1996 un'altro evento segna i prossimi sviluppi del panorama
legislativo internazionale, grazie all'esito della Conferenza diplomatica
su questioni di diritto d'autore e diritti connessi tenutasi a Ginevra. Furono emanati due Trattati OMPI: il WCT (trattato OMPI sul diritto d'autore)
ed il WPPT (trattato OMPI sulle interpretazioni, le esecuzioni e i fonogrammi. Entrambi contenuti nella Direttiva CE 29/2001.
Alcuni esempi di squilibrio del mercato mondiale
“La restrizione commerciale dei semi del mondo, che una volta erano la
comune eredità di tutti gli esseri umani, è avvenuta in poco meno di un
secolo. Nonostante questo sia uno dei più importanti sviluppi dei tempi
moderni difficilmente dai media viene data più di qualche vaga notizia
sull’argomento. Appena un secolo fa, centinaia di migliaia di contadini
sparsi in tutto il pianeta controllavano i propri rifornimenti di semi,
55
commercializzandoli liberamente fra amici e vicini. Oggi, quasi tutti i
rifornimenti delle sementi sono stati comprati, manipolati e brevettati
dalle compagnie e considerati come proprietà intellettuale”.
[Jeremy Rifkin, Il secolo Biotech]
Da una parte vanno a formarsi le regole e le leggi che dominano il mercato mondiale di fronte alla sfida tecnologica e alla globalizzazione economica, dall’altra parte si è creato un forte squilibrio tra gli interessi dei
detentori dei diritti nei confronti degli interessi dei consumatori e dei cittadini, considerando il divario economico tra i diversi paesi del mondo,
specialmente in riferimento ai paesi poveri ed in via di sviluppo. Come
organizzazione intergovernativa il WIPO si è messo spesso nella direzione di creare ed espandere privilegi monopolistici, spesso senza badare alle conseguenze. L'espansione continua di questi privilegi e dei loro meccanismi di applicazione ha causato gravi costi sociali ed economici e ha ostacolato e minacciato altri importanti sistemi per la creatività
e l'innovazione. Il WIPO deve far sì che i suoi membri capiscano le vere
conseguenze sociali ed economiche che una eccessiva protezione della
proprietà intellettuale comporta, e l'importanza di raggiungere un equilibrio tra la competizione ed il dominio pubblico da un lato, e l'ambito dei
diritti di proprietà dall'altro.
L'umanità è di fronte ad una crisi globale nella gestione della conoscenza, della tecnologia e della cultura. Crisi che arriverà a livelli ancora più
esasperati in base alle ultime direttive internazionali e comunitarie in
materia di diritto d’autore (DMCA, EUCD ecc.. che esamineremo in seguito) La crisi si manifesta in molti modi.
•
Milioni di persone soffrono e muoiono, senza l'accesso a medicine essenziali (causa la tutela della proprietà intellettuale in ambito e scientifico, e dei brevetti sui farmaci)
56
•
Una disuguaglianza nell'accesso all'istruzione, alla conoscenza e alla
tecnologia mina lo sviluppo e la conoscenza ( brevetti industriali, scientifici, tecnologici)
•
Pratiche anticompetitive nell'economia della conoscenza e monopoli impongono dei costi enormi sui consumatori e ritardano l'innovazione (monopolio informatico, culturale, ed eccessiva protezione della proprietà intellettuale)
•
La concentrazione della proprietà e del controllo della conoscenza, della
tecnologia, delle risorse biologiche e della cultura danneggia lo sviluppo,
la diversità e le istituzioni democratiche
•
Le misure tecnologiche dirette ad imporre l'applicazione dei diritti di proprietà intellettuale negli ambienti digitali minacciano le eccezioni di base
alle leggi sul copyright per le persone disabili, le biblioteche, gli educatori, gli autori e i consumatori, e minano alla base la privacy e la libertà
•
I meccanismi di base per ricompensare e sostenere gli individui e le
comunità creative sono ingiusti sia nei confronti delle persone creative
sia dei consumatori ( ruolo delgli organi centrali SIEA, RIAA, non riconoscimento totale delle pratiche di copyleft,costi e bollino SIAE)
•
Interessi privati accaparrano beni sociali e pubblici e soffocando la vitalità del pubblico dominio.
Allargando questo scenario ed esaminandolo nei vari ambiti di discussione, è difficile non rendersi conto di come gli interessi economici di
pochi, e l’impostazione generale del mercato mondiale, abbiano aperto
le vie ad una indiscriminata globalizzazione economica, mettendo spesso da parte i diritti dei cittadini e dei soggetti direttamente interessati.
L’innovazione tecnologica e le sue infinite possibilità sono ostacolate,
oggi più di prima, dai loro proprietari. Così come il mercato dei farmaci,
della divulgazione scientifica, della conoscenza in generale. Inoltre c’è
una enorme differenza sociale tra i vari paesi del mondo, considerando
anche le questioni del Digital Divide e soprattutto le reali differenze eco-
57
nomiche. L’italia è considerato uno dei paesi che consumano più acqua
imbottigliata24, eppure l’acqua del rubinetto è buona, (anzi studi scientifici ne hanno affermato le qualità)ma in Italia questo fenomeno determina
sempre una maggiore fetta del mercato, una sorta di “petrolizzazione
dell’acqua”. Mentre “Un miliardo e mezzo di persone al mondo non hanno accesso all'acqua potabile, che sta diventando sempre più un bene
economico. 25 l’accesso alle risorse è sempre più determinato dagli interessi economici, apportano al contempo forti squilibri. Sarebbero infiniti
gli esempi possibli da farsi e soprattutto potrebbero farsi riguardo ai più
svariati ambiti della nostra cultura e della nostra società.
esistono innovazioni incredibilmente promettenti nel campo delle tecnologie dell'informazione, della medicina e di altri settori essenziali, così
come all'interno dei movimenti sociali e dei modelli di business.
Siamo testimoni del grande successo di campagne per l'accesso alla
medicine contro l'AIDS, ai giornali scientifici, alle informazioni del genoma e ad altre basi di dati, e di sforzi collaborativi per creare beni pubblici, come Internet, il World Wide Web, Wikipedia, Creative Commons,
GNU Linux e altri progetti di software libero e aperto, come di strumenti
per l'istruzione a distanza e per la ricerca medica. Ma allo stesso tempo
l’accesso al bene comune dell’informazione è discriminato da forti interessi, le cui barriere sono spesso difficili da oltrepassare.
Vediamo alcuni esempi:
24
l'Italia il primo consumatore di acqua in bottiglia d'Europa (in media 155 litri a testa all'anno). Considerando anche il problema dello smaltimento della plastica(100 mila tonnellate all'anno da smaltire)
25
È la denuncia del Comitato internazionale per il Contratto mondiale dell'acqua (presente a livello nazionale in
vari paesi).
58
“Il controllo dell’intero mercato farmaceutico da parte di un gruppo che
vede coinvolte cinque multinazionali soltanto `e la causa diretta della
morte di milioni di persone ogni giorno”.
[Mauro Guarinieri, Planet Aids]
Ci piace pensare che la ricerca farmaceutica ha come obiettivo la lotta
alle malattie, il benessere dell’umanità e la salute mondiale, ma in realtà
le cose sono molto diverse. La lobby delle case farmaceutiche non persegue questi nobili ideali, e non `e tenuta a farlo perch´e i suoi membri
non sono agenzie governative o strutture umanitarie, ma aziende private
orientate al profitto.
È per questo che la ricerca sui farmaci preferisce concentrarsi sulle malattie più redditizie (quelle che colpiscono i paesi più ricchi) e non su
quelle più diffuse (che colpiscono milioni di persone nei paesi impoveriti
dove non c’`e mercato). Purtroppo soprattutto la scienza e la ricerca,
così come la divulgazione scientifica rimangono imbavagliate nella logica di mercato e nella logica dei brevetti e del copyright, anzi l’industria
farmaceutica , soprattutto americana (tra le altre lobby che sostengono
la difesa della proprietà intellettuale in seno alle condizioni economiche
degli accordi GATT e TRIPs) si è fatta promotrice di questo divario alla
conoscenza e all’accesso all’informazione, che considerando il caso estremo della tutela della proprietà intellettuale in ambito farmaceutico e
scientifico risulta essere di vitale importanza per molte persone. Grazie
a un'ondata di fusioni senza precedenti, dieci gruppi farmaceutici si dividono oggi il 50% del mercato mondiale dei medicinali - a maggior beneficio dei loro azionisti. Portano sollievo al mondo e finanziano la ricerca
con i guadagni delle vendite. Questo è il volto, levigato e sorridente, che
le «Big Pharma» mostrano al mondo. Nel Sud, si muore per mancanza
di medicinali, spesso troppo cari; nel Nord, si soffre per un eccesso di
59
consumi e per effetti secondari a lungo ignorati. Tuttavia, le case farmaceutiche non sembrano temere alcun contro-potere.
L’esistenza di farmaci in grado di rallentare efficacemente il decorso
dell’Aids non è una conquista scientifica dell’intera umanità, ma è un
lusso riservato a quei pochi che possono permettersi l’accesso ai farmaci antiretrovirali che allungano la vita di parecchi anni. Gli altri, che
sono la maggioranza degli ammalati di Aids del mondo, muoiono
nell’indifferenza generale mentre i pirati dei farmaci cercano un modo
per produrre a basso costo le terapie che potrebbero salvare milioni di
vite umane.
`E quello che ha fatto Nelson Mandela il 25 novembre del 1997, firmando una legge che sfida i brevetti delle multinazionali: si tratta del “Medicines and Related Substances Control Amendment Act”, subito impugnato da un cartello di 39 compagnie farmaceutiche che trascinano in
tribunale il governo sudafricano attraverso l’Associazione dell’industria
farmaceutica del Sudafrica.
Con questa legge il Sudafrica dà attuazione concreta ai principi di “registrazione forzata” e di “importazione parallela” previsti in caso di necessit`a dagli accordi sulla propriet`a intellettuale stipulati in seno
all’Organizzazione Mondiale del Commercio, i cosiddetti Trips.Fare ricorso all’importazione parallela significa affrontare l’emergenza
sanitaria dell’Aids comprando i farmaci nei paesi che li vendono a minor
prezzo, senza acquistarli direttamente dalle compagnie produttrici. I detentori dei brevetti sui farmaci, infatti, agiscono in regime di monopolio, e
quindi praticano prezzi altissimi, spesso differenti da un paese all’altro.
Che male c’`e se uno compra un farmaco dove costa meno? Eppure per
questo “affronto” all’egemonia delle case produttrici il governo sudafricano `e stato trascinato in tribunale come “pirata” dei farmaci.
L’importazione parallela pu`o riguardare anche i cosiddetti “farmaci generici”, cio`e i farmaci “non di marca” che vengono prodotti ai di fuori
dell’ombrello dei brevetti. Infatti, poich´e i brevetti non sono dei diritti u-
60
niversali come i diritti umani (e questo i pirati dei farmaci lo sanno benissimo) in alcuni paesi il brevetto su un farmaco ha lo stesso valore della
carta straccia, e questo consente alle aziende farmaceutiche di produrre
le stesse medicine a costi e a prezzi molto pi `u bassi, salvando un
maggior numero di vite umane e distribuendo i profitti del settore farmaceutico al di fuori di quel ristretto gruppo di aziende che controllano il
mercato delle medicine, e di conseguenza la vita di milioni di persone.
Le “registrazioni forzate”, invece, riguardano la produzione interna, e
la possibilit`a di realizzare in proprio i farmaci di cui un paese ha bisogno,riconoscendo un contributo forfettario ai detentori dei brevetti, che in
questomodo vengono registrati da uno Stato per l’utilizzo nella sanit`a
pubblica e sottratti ai detentori originari che avrebbero utilizzato gli stessi brevetti per la realizzazione di profitti privati. Con il “Medicines Act”,
infatti, Nelson Mandela ha autorizzato in Sudafrica la produzione locale
di farmaci anti-Aids senza l’autorizzazione dei detentori dei brevetti. Le
eccezioni agli accordi Trips, infatti, prevedono che in caso di emergenze
sanitarie (e l’Aids in Africa lo `e di sicuro) l’accesso ai farmaci va garantito anche in violazione delle norme sui brevetti.
Lo scontro legale tra il governo sudafricano e “Big Pharma”, il cartello
delle grandi multinazionali del farmaco, si conclude dopo una frenetica
mobilitazione degli attivisti di tutto il mondo, che si schierano accanto ai
pirati sudafricani nella loro lotta contro l’apparente legalit`a dei brevetti,
che nega nei fatti i principi di giustizia e il diritto alla vita. Il 19 aprile
2001 le 39 compagnie che avevano trascinato in giudizio il Sudafrica ritirano la loro azione legale sotto la pressione dell’opinione pubblica mondiale, coinvolta nel processo dall’azione del Treatment Access Group
(Tac), un gruppo di attivisti sudafricano (fondato da tre persone malate
di Aids) e dall’organizzazione“Medici Senza Frontiere”, che in vista del
processo hanno costruito su internet una campagna internazionale contro le compagnie farmaceutiche e a favore dei malati di Aids.
61
Novartis versus l'India.
È orami diventata una causa celebre, quella che oppone l'azienda svizzera, terza multinazionale farmaceutica al mondo, allo stato indiano. In
gioco è una questione di brevetti. Le udienze sono cominciate questa
settimana presso l'Alta corte di giustizia di Chennai (la città dell'India
meridionale già nota come Madras); il processo nasce dalla causa depositata nell'agosto 2006 da Novartis contro le autorità indiane che avevano rifiutato di brevettare un suo farmaco anti tumorale, una formula
«migliorata» del Glivec26. Una questione di diritto della proprietà intellettuale, che però ha una portata politica più ampia perché è in gioco, di
nuovo, la possibilità per le aziende farmaceutiche indiane di produrre
farmaci di qualità e a basso costo.
Novartis infatti impugna la legge indiana sui brevetti, approvata nel
2005. Fino ad allora l'India non riconosceva brevetti sui medicinali ed è
grazie a questo che le industrie locali hanno potuto produrre (legalmente) versioni «generiche» di farmaci - dai più comuni antibiotici ai farmaci
anti-retrovirali (usati nella terapia Aids) e altro - a prezzi molto più bassi
di quelli coperti dal brevetto. Nel 2005 però finiva il periodo transitorio
concesso all'India dall'Organizzazione mondiale del Commercio (Wto), e
anche New Delhi ha dovuto adeguarsi alle norme internazionali sulla
proprietà intellettuale. La legge sui brevetti approvata allora dal parlamento indiano mantiene però certe salvaguardie: una è quella generale
(riconosciuta dalle norme del Wto) che permette a un paese di sospendere l'efficacia dei brevetti e autorizzare la produzione di generici in caso di energenza sanitaria nazionale; ma non è questo il caso ora in gioco nel tribunale di Chennai. La norma impugnata da Novartis è quella
26
L'Imatinib mesilato è un nuovo farmaco usato per il trattamento di certi tipi di cancro. Imatinib è stato commercializzato dall'industria farmaceutica Novartis con il nome "Gleevec" negli Stati Uniti e "Glivec" in Europa. Viene
chiamato anche CGP57148B oppure STI571 soprattutto nelle vecchie pubblicazioni. Imatinib è usato nel trattamento di leucemia mieloide cronica (CML), di tumori stromali gastrointestinali (GISTs)e di molti altri tumori maligni.
62
che riconosce il brevetto solo ai prodotti davvero innovativi, quindi non a
farmaci che siano solo banali miglioramenti di sostanze già note. Ed è
appunto il caso del Glivec «migliorato» della Novartis, a cui le autorità
indiane rifiutano il brevetto.
Così l'azienda farmaceutica svizzera è ricorsa al tribunale. Novartis vorrebbe mantenere la cosa nei termini di un semplice contenzioso legale,
di quelle questioni tecniche che appassionano solo gli esperti in diritto
proprietari, ben separata dalla questione più generale dell'accesso dei
paesi poveri ai farmaci essenziali. Anzi: fa notare che spende 750 milioni di dollari all'anno in azioni sanitarie contro lebbra, tubercolosi, malaria
(malattie da paesi «poveri») e che dona il Glivec in diversi paesi dell'Agrica e dell'Asia.
Il fatto è che se Novertis dovesse vincere la sua causa, l'India dovrebbe
modificare quella legge sui brevetti e di fatto scoraggiare la produzione
locale di «generici». E' per questo che il processo cominciato a Chennai
ha suscitato ben altra attenzione in India, e non solo: Médecins sans
Frontières, insieme a due reti di attivisti indiani (quella per la lotta all'Aids e il People's Health Network, rete per la medicina popolare), ha
lanciato una petizione internazionale perché Novartis rinunci alla sua azione legale contro l'India, e ha raccolto ormai 250mila firme «eccellenti» in 150 paesi. Senza i farmaci a basso prezzo prodotti in India, fanno
notare, molti programmi di lotta all'Aids nei paesi poveri andrebbero in
bancarotta.
Il processo Novartis versus India comincia così ad assomigliare pericolosamente a quello intentato nel 2001 da ben 39 multinazionali farmaceutiche (tra cui la stessa Novartis) contro l'Africa del Sud, che aveva
autorizzato la produzione o acquisto di farmaci antiretrovirali generici
per il sistema sanitario pubblico: un vero disastro di relazioni pubbliche
per le aziende farmaceutiche, che alla fine hanno deciso di ritirare la loro causa.
Si potrebbero elencare svariati esempi circa lo squilibrio apportato dalla
rigida tutela della proprietà intellettuale nei diversi ambiti nella quale si
63
attua. A pertire dall’ambito farmaceutico, a quello della brevettualità del
software, a quello della privatizzazione delle idee e della cultura in generale, al mercato mondiale dell’entrateinment del disco, del film, per mostrare come in ogni caso i diritti monopolistici di pochi vanno a ledere i
diritti dei consumatori e dell’umanità in ogni ambito riguardante
l’accesso alla conoscenza, in un regime che vede la proprietà intellettuale come uno dei beni più preziosi dell’economia nel mondo digitale.
Sonny Bono Copyright Term Extension Act
“In realtà, Sonny voleva che il copyright durasse per sempre, ma mi
hanno detto che questo sarebbe stato contrario alla nostra Costituzione.
Invito tutti voi a collaborare con me per rafforzare le nostre leggi sul
copyright in tutti i modi possibili. Come sapete, c’`e una proposta che
farebbe durare il copyright per sempre, meno un giorno. Credo che
dovrebbe essere presa in considerazione”.
Discorso al Congresso USA della vedova di Sonny Bono.
Nel 1524 William Tyndale durante il periodo dell'invenzione della stampa tradusse in inglese la Bibbia. All'epoca esistevano solo versioni in
greco e in latino, vecchie di secoli, che pochissimi erano in grado di leggere e capire, c'era la versione in tedesco di Lutero, ma non esisteva alcuna versione in inglese. Fece stampare 50.000 copie della traduzione
inglese in Germania e le introdusse in Inghilterra.
La duplice iniziativa non piacque alla Chiesa, Tyndale fu prima incarcerato, poi condannato a morte tramite strangolamento e infine messo al
rogo.
Aveva commesso, diremmo noi in termini moderni, due crimini: aveva
tradotto (e quindi modificato) la Bibbia senza il permesso di chi ne dete-
64
neva, o almeno pretendeva di farlo, i "diritti d'autore" e inoltre si auspicava di diffonderne la traduzione in grandi quantità e a un prezzo contenuto, crimine ancor peggiore in quanto portava la conoscenza della Bibbia alle larghe masse, sottraendone il monopolio alla ristretta casta sacerdotale del tempo.
Oggi viviamo un'altra rivoluzione, quella digitale, che permette la riproduzione in migliaia di copie, in maniera semplice e a costi ridottissimi.
Gli odierni detentori dei diritti d'autore, disturbati e preoccupati da questa
nuova rivoluzione che minaccia i loro diritti, ma soprattutto i loro portafogli, stanno reagendo da alcuni anni in maniera scomposta, assurda e illiberale.
Le società americane che operano nei settori protetti da copyright hanno
iniziato una guerra contro la copia illegale delle informazioni digitali. Sono le società che operano nel settore dei film, della musica e del software, giro d'affari complessivo da 470 miliardi di USD l'anno (circa la metà
del PIL dell'Italia). Si muovono su due fronti: il primo è quello della repressione della copia illegale, il secondo, è quello della difesa a oltranza
dei sistemi di protezione della copia.
Il mondo dei produttori di opere digitali ha reagito a questa situazione
chiedendo maggiori pene per i 'copiatori' e introducendo la protezione
software della copia. In pratica l'informazione viene criptata e può essere decriptata solo con apposito software o hardware. Ogni tentativo di
aprire la protezione senza autorizzazione è considerato un atto criminale da una nuova legge approvata negli USA, la DMCA nel 1998, indipendentemente dal fatto che il contenuto protetto sia soggetto al diritto
d'autore o no e dal fatto che si abbia acquistato legalmente la copia criptata pagando quindi anche i diritti d'autore.
La legge è piuttosto esplicita sul copyright: si tratta di un diritto limitato
concesso ad autori ed inventori. Quantunque sia un diritto di monopolio,
in principio si applicava per 14 anni, rinnovabili per altri 14. Ma la durata
65
della protezione del copyright nel tempo è costantemente aumentata.
Nel corso degli ultimi 40 anni, è stata prolungata 11 volte, così che per
gli individui ora si estende fino ai 70 anni successivi alla morte
dell’autore. La durata della tutela del copyright è importante perché, nel
momento in cui essa si estingue, l’opera appartiene al pubblico: tutti
possono utilizzarla gratuitamente, per qualunque scopo. Per tali opere
non più tutelate,il pubblico dominio è il compenso che il pubblico riceve
per aver riconosciuto in primo luogo agli autori la protezione esclusiva
del copyright.
Questo accordo fu rivisto per l’ultima volta nel 1998 quando, su ordine
delle più importanti società dei media, il Congresso approvò il Sonny
Bono Copyright Term Extension Act (Atto di Estensione del Termine del
Copyright Sonny Bono). La legge prolungava di 20 anni la protezione
legale per le opere che erano state registrate dopo il 1923. Questo
significa che migliaia di opere non entreranno a far parte del pubblico
dominio prima del 2019. Classici della cultura, continueranno ad essere
di proprietà delle multinazionali dei media e degli eredi degli autori, non
del pubblico.
Se il copyright ha lo scopo di indurre i creatori a comporre nuove opere,
questa legge è chiaramente assurda: un’estensione retroattiva della
protezione del copyright non indurrà autori morti a produrre nuovi film,
canzoni e letteratura. In realtà, essa è poco più di una originale forma di
protezionismo di mercato e di sostegno alle multinazionali. Proprio
quando molti di questi lavori possono essere condivisi gratuitamente
attraverso internet, il Copyright Term Extension Act obbliga i
consumatori a pagare moltissimi milioni in più per queste opere e
proibisce loro di utilizzarle in nuove imprese creative.
Uno di questi creatori, Eric Eldred, lanciò un sito web di letteratura di
pubblico dominio, inserendovi molti libri ormai fuori stampa. Il suo sito
riceveva 20.000 visite al giorno e il National Endowment for Humanities
(Fondo Nazionale per la Letteratura) lo annoverò tra i 20 migliori siti
umanistici del web. Ma il Copyright Term Extension Act obbligò Eldred
66
ad eliminare molte opere dal sito, privando letteralmente il pubblico del
libero accesso a materiale che gli apparteneva di diritto.
La riforma del 1998 è stata fortemente sostenuta, tra gli altri, dalla
Disney proprio a ridosso della scadenza del copyright per il suo eroe
numero uno: Topolino. In un famoso video autoprodotto da Monica
Mazzitelli ,facilmente reperibile su youtube ed intitolato “The Disney
Trap: How copyright steals our stories” : Miss Molly ironizza sul rischio
di povertà scampato dagli eredi Disney e su quello dei lettori che
avrebbero vissuto in un mondo popolato di personaggi Disney
orribilmente
decontestualizzati dall’allegra e
rassicurante
vita
a
Paperopoli.
Oltre alla durata della protezione, francamente eccessiva, stupiscono
altre limitazioni riconosciute e tutelate dalla legge: non si può leggere
pubblicamente un’opera protetta, non la si può modificare, non si
possono fare traduzioni non autorizzate. E le restrizioni aumentano, in
modo lesivo dei diritti del cittadino consumatore, per le opere in formato
digitale. «Ma lo stesso Topolino, non venne a sua volta copiato da un
fumetto noto come Steamboat Bill?» chiede l’informato interlocutore di
Miss Molly. Certo, ma allora le leggi erano diverse, la protezione era
garantita solo per 14 anni. Che poi proprio personaggi usciti dalle menti
e dalle penne altrui (Cenerentola e Pinocchio solo per citare i due casi
più famosi) abbiano dato lustro e celebrità a quello che presto divenne il
colosso dell’intrattenimento per bambini di tutto il mondo, non fa che
ribadire l’utilità di una legislazione meno rigida e severa. La stessa
opera di Joyce non è altro che un’opera derivata dal poema omerico,
perché, come ricorda Molly Mazzitelli, non esiste un’idea creativa che
nasca dal nulla: tutto è derivato da idee altrui, raffinate, elaborate,
distorte o parodiate.
67
nel 1998 il Congresso Americano decide quindi di estendere il copyright
di ulteriori 20 anni. Il provvedimento è ispirato e fortemente voluto dalla
potente lobby dell'industria dell'intrattenimento, in particolare da Walt
Disney Corporation. Non sfugge a nessuno in quegli anni che si sta
avvicinando rapidamente il momento in cui i primi filmati di Mickey
Mouse, il mitico Topolino delle nostre letture infantili, sarebbero divenuti
di pubblico dominio.
Contro tale ennesima estensione del copyright un lungo elenco di
soggetti guidati dal Prof. Lessig decide di fare opposizione. Le
motivazioni di base sono molto semplici: se gli scopi della nazione sono
quelli che favorire le arti e la scienza come recita la Costituzione, la
continua contrazione del materiale di pubblico dominio disponibile va
contro questa esigenza. Per tutelare gli interessi economici di pochi si
ledono i diritti alla conoscenza di tutti gli altri.
Nel 1930 in USA sono stati editi circa 10.000 libri. Di questa marea di
scritti oggi ne sono ancora in circolazione nelle librerie. Secondo la
precedente legge americana (che si vuole uniformare con quella
europea) nel 2005 circa 9850 di questi testi sarebbero diventati di
pubblico dominio. Chiunque avrebbe potuto stamparli, riprodurli,
digitalizzarli e renderli disponibili in rete.
Tutti sappiamo che nell'epoca digitale gran parte dei limiti fisici alla
diffusione delle informazioni si sono azzerati, fondazioni come il
Progetto Gutemberg (o Liber Liber, la sua versione italiana) avrebbero
potuto liberamente accedere a questa immensa biblioteca di testi e
renderla disponibile per tutti. Ma l'aspetto più significativo di tutta la
questione è che su questi 9850 libri che nessuno oggi stampa, nessun
legittimo detentore di copyright guadagna un solo dollaro. Si tratta di
testi negati al pubblico dominio (e con essi centinaia di film opere
musicali etc) per preservare un diritto che nessuno concretamente
esercita. Vi viene in mente uno spreco di cultura più grande? Bene, Walt
Disney per estendere i suoi guadagni su Topolino, vuole chiudere in
cassaforte la memoria storica del 1930 (e quella di molti altri anni) per
68
ulteriori 20 anni.
I diritti di sfruttamento commerciale di pochissimi limitano di fatto
l'accesso alla cultura del mondo intero. E quel che è peggio ciò accade
in una società che oggi ha finalmente, e per la prima volta, gli strumenti
tecnologici per rendere tutto questo bagaglio di informazioni disponibili
interamente e liberamente. Fosse accaduto 20 anni fa il danno sarebbe
stato infinitamente minore.
Per ottenere questa ulteriore concessione verso la fine degli anni 90
Disney in associazione con altri soggetti quali Time Warner, Sony, RIAA
e Dreamworks ha "investito" più di 6 milioni di dollari in campagne
congressuali. Il congresso ha ricambiato con la legge di estensione del
copyright che prende il nome dall'ex cantante prestato alla politica,
Sonny
Bono,
morto
poco
tempo
prima
dell'approvazione
del
provvedimento schiantandosi contro un albero mentre sciava imbottito di
psicofarmaci.
Per ricordare una frase di Lessig divenuta celebre "nessuno può fare a
Disney cio' che Disney ha fatto ai fratelli Grimm". Lessig allude al fatto
che moltissimi fra i più celebri cartoni animati che hanno reso ricca la
Disney sono adattamenti di classici di pubblico dominio quali ad
esempio Biancaneve o Il Gobbo di Notre Dame di Victor Hugo.
Topolino vs Steambot Bill
Lawrence Lessig in “Free Culture”27 offre una dettagliata analisi e
descrizione di quella che è definita “creatività alla Disney” e della nascita
del suo personaggio numero uno: Topolino.
Fece il suo debutto in un fallimentare film muto del 1928 dal titolo Plane
•
27
LESSIG, LAWRENCE, Cultura Libera,
69
Crazy. In una seconda rappresentazione al Colony Theater di New
York, Steamboat Willie portò alla luce il personaggio che sarebbe poi
divenuto il Topolino che tutti conosciamo.fu il primo cartone animato
sincronizzato con il sonoro.
Il sonoro sincronizzato era stato introdotto nei film un anno prima con la
pellicola Il cantante di jazz (The Jazz Singer) prodotto dalla Warner
Bros. Il successo spinse Walt Disney a imitarne la tecnica, integrando il
suono con i cartoni animati. il 1928 segna anche un'altra importante
transizione. In quell'anno Buster Keaton creò il suo ultimo film muto indipendente: Steamboat Bill, Jr.
Keaton, era riuscito a usare al meglio la gestualità comica per suscitare
l'incontrollabile ilarità del pubblico. I suoi film saranno ricordati soprattutto per questo e per la sua abile interpretazione personale. Steamboat
Bill, Jr. era un classico di questo genere.Esso uscì prima del cartone animato di Disney e può essere considerato la parodia diretta, in versione
cartone animato, di Steamboat Bill, ed entrambi si rifanno, come fonte
originale, alla stessa canzone.
Immaginiamo per un attimo se questa situazione si fosse verificata oggi,
ci sarebbe stata sicuramente una causa legale per far valere i diritti,ma
allora questo "prendere in prestito" non era un fatto raro, Disney rifaceva
sempre il verso ai lungometraggi di maggiore successo dei suoi giorni.
Lo stesso dicasi per molti altri autori. Disney aggiungeva alcuni elementi
a opere realizzate da altri prima di lui, creando qualcosa di nuovo semplicemente sulla base di qualcosa di vecchio.
Prendiamo i racconti dei fratelli Grimm. Disney prese questi racconti e li
ripropose trasferendoli in un'epoca nuova. Diede loro animazione, con
personaggi e luce propri, e rese le storie più adatte per i bambini. il catalogo dei lavori di Disney, basato su opere altrui, è lunghissimo: Biancaneve (Snow White, 1937), Fantasia (1940), Pinocchio (1940), Dumbo
(1941), Bambi (1942), I racconti dello zio Tom (Song of the South,1946),
Cenerentola (Cinderella,1950), Alice nel paese delle meraviglie (Alice in
70
Wonderland, 1951), Robin Hood (1952), Peter Pan (1953), Lilli e il vagabondo (Lady and the Tramp, 1955), Mulan (1998), La bella addormentata (Sleeping Beauty, 1959), La carica dei 101 (101 Dalmatians
,1961), La spada nella roccia (The Sword in the Stone, 1963) e Il libro
della giungla (The Jungle Book, 1967). In tutti questi film, Disney si impadronì degli spunti creativi della cultura che lo circondava, li mescolò
con l'eccezionale talento personale e fece bruciare questa miscela nell'anima della propria cultura. Impadronirsi, mescolare, bruciare.
Questo tipo di "creatività alla Disney", è una forma di espressione e di
genialità che costruisce sulla cultura che ci circonda e produce qualcosa
di diverso.
Nel 1928 la durata media del copyright era di trent'anni più o meno. Allo
scadere della durata del diritto d'autore, l'opera diventava di pubblico
dominio. A quel punto non occorreva alcun permesso per riprenderla o
usarla. Nessun permesso e, di conseguenza, nessun avvocato. Il pubblico dominio è una "zona libera da avvocati". Così, gran parte dei contenuti prodotti nel XIX secolo era liberamente disponibile perché Disney
potesse utilizzarla e riproporla nel 1928. Era libera perché chiunque potesse usarla e costruirvi sopra.
Si è sempre proceduto così - fino a tempi piuttosto recenti. Per gran
parte della nostra storia, il pubblico domino era un orizzonte poco
lontano. Dal 1790 fino al 1978, la durata media del copyright non fu mai
superiore ai trentadue anni, e questo voleva dire che la maggior parte
della cultura, vecchia di appena una generazione e mezzo, era
liberamente disponibile a chiunque volesse attingervi senza il permesso
di nessuno. Invece oggi il pubblico dominio vale soltanto per contenuti
precedenti
al
1930.
La
portata
del
copyright
è
aumentata
incredibilmente. La cosa più incredibile è che l’estensione della durata
del copyright è stata sostenuta principalmente dalla Disney28 per
28
alla fine degli anni 90 Disney stessa, insieme a Time Warner, Sony e Dreamworks ha investito circa 6 milioni di
dollari in campagne congressuali. Il risultato di tale investimento e’ sotto i nostri occhi . Una estensione ulteriore del
copyright negli USA che tutela certamente i detentori dei diritti (più le grandi major che gli autori) ma che nega la
possibilità della libera circolazione della conoscenza. 400.000 fra libri, canzoni e film resteranno nella terra di nessuno di
71
“proteggere dal pubblico dominio” il suo personaggio numero uno,
risulta incredibile inoltre, come abbiamo visto, il fatto che la Disney in
passato abbia potuto beneficiarsi del supporto del pubblico dominio, e
non solo, per creare le sue storie e i suoi personaggi e ora invece sia
capace di proporsi come una tra le principali major che sostengono la
proprietà intellettuale.
II.12 DMCA (Digital Millenium Copyright Act).
L’industria culturale americana ha affrontato la sfida aperta dall’era
digitale convinta che la rapida diffusione delle connessioni internet
avrebbe generato un altrettanto rapida espansione del mercato
dell’entertainment mondiale, mercato che già dominava ampiamente,
ma che grazie ad internet sarebbe diventato ancora più ricco di
contenuti da commercializzare e vendere. Inoltre lo scenario della
“convergenza” venutosi a verificare in questi ultimi anni aveva
trasformato in realtà questa prospettiva, ovvero quella di poter
digitalizzare qualsiasi tipo di informazione e farla viaggiare attraverso la
rete. Le major avevano intuito la possibilità di creare un unico sistema
integrato per la vendita di notizie, intrattenimento , cultura a migliaia di
abbonati connessi in rete.
Dall’altra parte c’ è chi rifiuta la trasformazione della rete internet in
media “broadcast” ovvero da uno a molti e rivendica la rete come un
sistema interattivo di comunicazione “orizzontale” cioè da molti a molti o
sistemi di rete decentrata denominati p2p ovvero da pari a pari. Un altro
ostacolo per l’industria culturale americana è quello di trovare il modo di
garantire il rispetto della proprietà intellettuale nel contesto di una
una tutela che non crea alcun reddito e che saranno negati a qualunque tipo di consultazione pubblica. Questo e’ il prezzo da
pagare perche’ Disney e le altre compagnie possano continuare a godere delle royalties sui propri lavori.
72
produzione “smaterializzata”.29 Per far fronte a questi ostacoli, al termine
di un lungo iter caratterizzato anche da pesanti polemiche ideologie ed
economiche tra lobby venne emanata una legge denominata Digital
Millenium Copyright Act.
Si tratta di una legge emanata dall'amministrazione Clinton nel 1998
sulla base dei suggerimenti della WIPO (World Intellectual Property
Organization) e consta di 5 articoli dedicati alla «protezione» del diritto
d'autore nell'era del digitale. Tale legge regola i comportamenti nella
fruizione delle informazioni attraverso i mezzi elettronici e pone
numerose restrizioni nella condivisione delle stesse. Il primo articolo del
DMCA, si occupa in particolare degli aspetti tecnologici relativi al diritto
d'autore definendo nuove classi di reato:
• Aggiramento delle misure di protezione tecnologiche (Circumvention of
Technological Protection Measures)
• Infrazione dell'integrità della gestione delle informazioni relative al
diritto d'autore (Integrity of Copyright Management Information)
La
prima
di
queste
(Aggiramento
delle
misure
di
protezione
tecnologiche) è stata a sua volta divisa in altre due sottoclassi, ovvero:
• Aggiramento di misure che inibiscono l'accesso non autorizzato a
lavori protetti da diritto d'autore.
• Aggiramento di misure che inibiscono la copia non autorizzata di lavori
protetti da diritto d'autore.
Analizziamo brevemente questa situazione. Il DMCA proibisce la
realizzazione e la vendita di apparecchiature o servizi che violano uno
dei divieti sopra esposti, ma bisogna sottolineare il fatto che la copia dei
lavori protetti non è espressamente negata dalla legge. Secondo la
normativa sul diritto d'autore, la copia in certi casi può essere
considerata un “uso corretto” (in inglese fair use) del lavoro protetto. Il
29
La tutela giuridica del copyright era nata per garantire la protezione della proprietà intellettuale relativa a contenuti fissati
su supporti materiali, ora , grazie alle nuove tecnologie digitali, i contenuti potrebbero essere digitali, e non avere un
supporto fisico tangibile
73
DMCA non impone alcun vincolo esplicito ai produttori di hardware;
nonostante ciò, gli attori di questo teatro stipulano accordi privati per
favorire lo sviluppo di protocolli segreti e crittografati per proteggere i
loro lavori. Tutto ciò ha il solo esito di privare gli utenti di un loro diritto
fondamentale, cioè quello di copiare per uso personale qualcosa che
possiedono in maniera legittima, diritto per altro sancito dalla legge. Si
evince come il DMCA sia usato per prevaricare il diritto d'autore,
togliendo agli utenti i diritti di uso corretto. In base al DMCA nessuno è
libero di copiare nulla, neanche i propri file su un dischetto per darli ad
un amico. Altro punto cardine del DMCA è il Copyright Management
Information (CMI). Questo non è altro che una sorta di contrassegno
elettronico contenente informazioni circa il lavoro in questione, l'autore, il
proprietario dei diritti ed altre informazioni similari. Fortunatamente è
rigorosamente vietato che il CMI possa contenere informazioni relative
all'utente che detiene l'oggetto. La legge prevede anche in questo caso
due possibili forme di reato:
• falsificazione del CMI
• rimozione o alterazione del CMI
Il primo reato indica la fornitura e la distribuzione di CMI falsi, con
l'intento di infrangere la legge. Il secondo indica la rimozione o
alterazione intenzionale del CMI e la distribuzione delle eventuali copie
contraffatte. Si noti che in queste categorie di reato rientrano anche la
diffusione di informazioni circa un'eventuale rimozione o alterazione del
CMI, oltre alle informazioni che spiegano come è possibile farlo.
Il DMCA è stato usato per zittire scienziati, come il prof. Felten30,
30
Un gruppo chiamato SDMI (Secure Digital Music Initiative) indice un concorso pubblico per incoraggiare tecnici abili a cercare di sconfiggere una certa tecnica di watermarking per la protezione della musica
digitale. Il Prof. Edward Felten di Princetown, affiancato da un gruppo di ricercatori, accetta la sfida e riesce a
rimuovere la protezione.
Il bando di concorso prevede un premio, a condizione che il risultato resti segreto. Il Prof. Felten rinuncia al
premio e annuncia la pubblicazione del risultato. Immediata la reazione della SDMI in base alla DMCA: il Prof.
Felten è diffidato a divulgare il suo risultato come pure gli organizzatori della conferenza dove avrebbe
74
ricercatori informatici (e altri hanno chiesto a più riprese al Congresso
che tale legge venisse modificata). È una legge che rompe l'equilibrio tra
diritti del lettore e diritti dell'autore (e del distributore), a favore di
quest'ultimo: tutto ciò è fortemente negativo, poiché cancella in un sol
colpo le tradizioni di libera informazione che hanno portato la società
americana ad essere ad un alto livello tecnologico. Il DMCA non tratta
della protezione del diritto d'autore, ma della criminalizzazione di una
serie di tecniche che potrebbero essere usate per aggirarlo (e questo è
stato l’incentivo per l’industria dei contenuti e del software commerciale
che, sempre più, hanno investito e protetto i propri prodotti con sistemi
DRM). Nel dicembre 2004 il Congresso statunitense ha bocciato una
proposta di legge, l’Induce Act, pensata per inquisire e mettere in galera
chiunque avesse prodotto tecnologie attraverso le quali fosse stato
possibile commettere reati, in particolare violazione di copyright: tale
disposizione avrebbe determinato una mattanza di tecnologie, in
particolare dei software p2p accusati dall’industria del contenuto di
essere complici di chi viola il copyright. L’Induce Act non è passato
perchè la definizione assai vaga ed ampia di “favoreggiamento della
pirateria” tirava dentro come complici di chi pirateggia, per diletto o per
lucro, anche fornitori di servizi Internet e costruttori di computer,
videoregistratori, DVD recorder e quantaltro.
• “Sony Betamax”
Si tratta di una sentenza storica ( Sony Corp. of America v. Universal
City Studios, Inc., 464 U.S. 417) del 1984. La Corte Suprema diede torto
ai querelanti (Universal City Studios) decretando che un distributore (in
quel caso, la Sony, produttore delle videocassette formato Betamax)
non andava ritenuto responsabile per le infrazioni al copyright degli
utenti, fintanto che quella tecnologia venisse normalmente utilizzata per
dovuto parlare, in quanto potenziale complici del crimine.
75
scopi legali. In altri termini, si diceva che, un videoregistratore può
essere utilizzato in modo assolutamente legale e pertanto il fatto che lo
si possa “strumentalizzare” per fare altro non implica alcuna
responsabilità per chi lo ha costruito o venduto. “I principi sulle norme
del copyright affermati nel caso Sony Betamax hanno servito bene il
pubblico, gli innovatori e le industrie per 20 anni”, chiarisce Fred von
Lohmann, avvocato della EFF.
• “MGM vs. Grokster/Morpheus”(2005)
Si tratta della causa legale simbolo dello scontro tra Hollywood e il
filesharing.
La Metro Goldwyn Mayer, nota casa cinematografica, ha fatto causa,
per violazione di copyright, ai produttori dei software p2p Grokster e
Morpheus. Benché questi ultimi siano riusciti a vincere i primi due gradi
del processo facendo appello alla cosiddetta difesa Betamax (vedi
sopra), la Corte Suprema ha ribaltato all’unanimità le precedenti
sentenze federali, ritenendo punibili quelle società del p2p che hanno
distribuito i propri software allo scopo specifico di lucrare sulle violazioni
al copyright che avrebbero commesso i loro utenti. I massimi giudici non
solo
hanno
considerato
favoreggiamento
dell'abuso
le
due
di
software
massa
del
house
diritto
colpevoli
d'autore
di
ma
letteralmente corresponsabili delle violazioni poste in essere motivando
che “chi distribuisce un prodotto con lo scopo di promuovere il suo uso
per violare il copyright, come dimostrato da espressioni evidenti o altre
attività condotte per favorire la violazione, è responsabile per gli atti
conseguenti di violazione commessi da terze parti”.
In realtà, quindi, non si è trattato di una condanna del p2p in sé, dei
sistemi di filesharing, ma del modo in cui le due imprese hanno agito,
promuovendone l'uso illegale: ciascun imputato ha dimostrato di voler
sfruttare una domanda nota di violazione del copyright, e questo è stato
76
ulteriormente provato dal fatto che nessuna delle due imprese ha
tentato di sviluppare strumenti di filtering o altri meccanismi capaci di
ridurre le violazioni condotte tramite il loro software. Sebbene con
questa sentenza la Corte Suprema abbia riconfermato il principio per cui
“non e' la tecnologia a dover essere punita, ma chi commette infrazioni”,
l’interpretazione errata che ne hanno data i media (e che è arrivata
quindi al grande pubblico) è sintetizzata dall’emblematico titolo della
CNN “Hollywood wins Internet piracy battle”. Grazie a questa sentenza
della Corte Suprema, le major avranno un'arma in più per combattere la
tecnologia del filesharing (e le intimidazioni che hanno portato ad un
ridimensionamento di BitTorrent e eDonkey, i cui sviluppatori hanno
mollato il progetto, ne sono una dimostrazione reale); il timore, invece,
della Silicon Valley è che senza la protezione della dottrina Sony
Betamax vengano meno i presupposti per lo sviluppo di nuovi prodotti e
tecnologie.
È difficile negare che il DMCA abbia di fatto provocato una rottura
dell’equilibrio fra gli interessi dell’industria dell’intrattenimento ed
interessi dei consumatori e delle loro tecnologie. Il tutto in base ad una
logica che considera le tecnologie digitali come forze che minacciano i
diritti della proprietà intellettuale, e che pertanto questi debbano essere
difesi ancora più rigidamente. Criminalizzando la tecnologia, il p2p,
depenalizzando i progetti Open Source e software libero, inasprendo le
misure sanzionatorie. Il DMCA è stato accusato da più parti di bloccare
la ricerca scientifica e tecnologica, rallentando quindi l’innovazione; di
frenare la competizione, agevolando così il controllo del mercato da
parte dei monopoli ( a scapito del pluralismo informatico e della ricerca);
inoltre riduce fortemente i diritti dei consumatori, limitandone la facoltà di
usufruire liberamente dei prodotti acquistati ( secondo la dottrina del fair
use). Isomma tale legge andrebbe proprio contro i principi per il quale si
presuppone l’esistenza della tutela del diritto d’autore. Lo scontro tra la
politica iperprotezionista lanciata con il DMCA
e i consumatori si
77
combatte
attraverso
scontri
legali,
guerre
tra
lobby,
battaglie
ideologiche, ma a pagarne sono sempre e la maggior parte delle volte
gli utenti e i consumatori.
Il controllo dell’informazione
Il processo di digitalizzazione, nonostante permetta talvolta di liberare i
contenuti nella rete, può essere altrettanto facilmente utilizzato per
renderli più inaccessibili che mai.
Solo perché ora l’informazione può fluire liberamente sulle reti
elettroniche, ciò non significa che sarà sempre così: di fatto, molti
segnali indicano una tendenza sempre maggiore a privatizzare e
proprietarizzare l’informazione. Questo è l’originalissimo ragionamento
del professor Lawrence Lessig in Code31, libro uscito nel 1999, che
descrive come la struttura architettonica di internet, dell’hardware e del
software possa essere determinante quanto la legge. Non è detto che i
metodi di condivisione di libri, cd e video che diamo per scontati
nell’ambito fisico quotidiano, vengano mantenuti su internet, dove è
possibile controllare rigidamente l’accesso all’informazione digitalizzata
e ai suoi usi.
Il controllo dell’informazione digitale è, di fatto, l’obiettivo primario del
Digital Millennium Copyright Act del 1998, una legge le cui implicazioni
sul quotidiano stanno cominciando solo ora ad essere comprese dal
grande pubblico. Il DMCA fornisce ai detentori di copyright e ai loro
agenti – le multinazionali – uno strumento legale senza precedenti per
controllare l’accesso alle opere e addirittura le modalità del loro utilizzo
dopo l’acquisto. Andando ben oltre i principi storici del copyright, il
DMCA rende illegale per chiunque neutralizzare un sistema tecnologico
di protezione che limiti l’accesso alle opere digitali: per esempio, non
•
31
LAWRENCE LESSIG, Code2 , 2006, Basic Books, NY
78
solo diventa illegale decodificare la cifratura di un sistema software, ma
lo è anche scambiarsi informazioni su come eludere i metodi di
crittografia.
L’effetto primario del DMCA è di criminalizzare gli usi dell’informazione
comunemente accettati da parte delle biblioteche e delle persone
comuni, e restringere i flussi di informazioni che erano precedentemente
aperti e liberi: ad esempio, i consumatori fino ad ora hanno potuto
copiare musica per uso personale e condividerla con altre persone. Ora
i cittadini non possono più dare per scontato di poter citare o
commentare
un’opera
digitale
che
sia
soggetta
a
protezione
tecnologica, e i proprietari dei siti web non possono pubblicare materiale
che spieghi come eludere i sistemi di cifratura.
Poiché crea nuovi generi di “sapere protetto”, il DMCA è uno strumento
legale potente che consente alle società di stabilire criteri propri per la
“restrizione a priori” della libertà di espressione.
La legge permette anche alle compagnie di stabilire delle norme di
utilizzo
ad
hoc
delle
opere
tutelate
da
copyright,
in
pratica
accaparrandosi in una sola mano i diritti di fair use del pubblico sulle
opere digitali.
Il DMCA è stato già invocato per perseguire penalmente un
programmatore russo32 che ha reso pubblici i difetti di cifratura nel
software del libro elettronico progettato da Adobe (le accuse al
programmatore furono poi lasciate cadere, ma il suo datore di lavoro, la
Elcomsoft, sta sostenendo una causa civile). L’industria cinematografica
sta attualmente utilizzando il DMCA per citare in giudizio l’editore della
32
Dmitry Sklyarov, un giovane programmatore russo in visita negli USA per partecipare a un convegno, viene arrestato il 16 luglio 2001 su iniziativa del Dipartimento di Stato e lasciato rientrare in Russia solo sei mesi dopo. Dmitry ha scritto in
Russia un programma, legale nel suo paese, che permette di aprire il formato criptato dei formati degli eBook di Adobe, per
vari usi perfettamente legali, quali trascriverlo in altri formati, stamparlo e ascoltarlo (cosa particolarmente utile per i non vedenti.
Ma negli USA, per la DMCA, aggirare una protezione è un crimine e quindi Dmitry, che non è cittadino americano e ha scritto
il suo software legalmente in Russia, viene arrestato. Le imputazioni sono vaghe e imprecise, il Dipartimento stesso non
specifica bene le colpe di Dmitry, ma intanto lo trattiene per ben sei mesi, dopo di che, forse accorgendosi di non avere elementi sufficienti in mano, lo lascia rientrare.
Va sottolineato che l'iniziativa non è partita dalla Adobe, licenziataria degli eBook, ma direttamente dal Dipartimento di Stato
americano, e anzi la Adobe non ha appoggiato l'iniziativa.
79
rivista online “2600 Magazine”33, il cui sito distribuiva un programma in
grado di decrittare i dvd per poterli
vedere con il computer utilizzando il sistema operativo Linux.
In un altro caso, la Sony perseguì un programmatore che per hobby
aveva riprogrammato senza autorizzazione le mosse di Aibo, un
animaletto robot controllato da un software, o ancora cercano di colpire
chi modifica le loro consolle di videogames.
Tali esempi potrebbero sembrare semplicemente divertenti e persino
banali, ma rappresentano una rivendicazione potente e senza
precedenti di controllo proprietario a spese dei consumatori e dei
cittadini.
Questo è il motivo per cui il DMCA è fondamentalmente ostile agli
interessi della libertà di espressione e al progresso della conoscenza.
Come successe, nel 2001, quando l’industria discografica utilizzò
questa legge per minacciare azioni legali contro il Professor Edward
Felten dell’Università di Princeton, che intendeva intervenire ad un
convegno presentando i difetti di cifratura del software Secure Digital
Music Initiative (Iniziativa per una Musica Digitale Sicura) di proprietà
della stessa industria discografica. Quest’ultima, essenzialmente,
secondo le parole del professor Felten, stava cercando di “sancire per
legge l’ignoranza”, reprimendo i commenti e le critiche mosse alle opere
protette dal DMCA.
Permettendo ai proprietari di copyright di controllare i propri proproddti, il
33
L'accusa è aver violato il Digital Millenium Copyright Act.
In realtà Emmanuel Goldstein e Macki, rispettivamente editore e webmaster di 2600 Magazine, hanno commesso
"l'enorme reato" di pubblicare il codice sorgente del DeCSS:
il DeCCS è il risultato dell'ingegno di Jon Johansen, un ragazzo norvegese il quale, volendo visualizzare i film DVD
sul proprio PC ed avendo Linux e non Microsoft come sistema operativo (e quindi nessun player disponibile) ha
scritto il software. Questo software è, di fatto, un reverse engineering del CSS, l'algoritmo utilizzato dai DVD, e può
quindi essere modificato - essendo il codice sorgente libero e disponibile, Open Source - per eliminare la protezione
dei DVD protetti ed effettuarne copie. Emmanuel e Macki saranno giudicati per aver reso disponibile sul loro sito
web il codice sorgente di un programma "free".
80
DMCA non fa che consentire alle società di eliminare i diritti di fair use34
per le opere digitali e mina anche la dottrina del firstsale35, ossia la
norma di legge che invece permette alle persone di condividere con
chiunque le copie di libri o videocassette acquistate. Il DMCA,
nell’esercitare uno stretto controllo sul flusso di opere nella società per
scopi commerciali privati, costituisce un affronto diretto al Primo
Emendamento:a sono i proprietari del copyright, non i cittadini, a
determinare come si possa accedere a un’opera, condividerla e citarla.
È questo lo scopo delle case cinematografiche quando tentano di
impedire che i dvd protetti possano essere visualizzati sui sistemi Linux.
In questo modo, il DMCA mina il proposito costituzionale stesso della
legge sul copyright: far progredire e diffondere la conoscenza.
Si sono levate molte proteste contro la costituzionalità del DMCA e la
sorte dei diritti di fair use per il materiale digitale.
L’idea di questo controllo perfetto delle opere registrate non ha mai fatto
parte della legge sul copyright, che si prefigge di arrivare ad un delicato
equilibrio tra i diritti dei creatori ed i bisogni del pubblico. La pirateria di
opere tutelate da copyright è un problema serio, ma le industrie del
copyright abusano del termine applicandolo in modo
indiscriminato a tutti i tipi di comportamento, anche alla copia di
materiale che, in realtà, è legittimamente autorizzata dalla dottrina del
fair use o che appartiene al pubblico dominio.
Il DMCA non è la sola strategia utilizzata per calpestare alcuni principi
34
La dottrina del “fair use”, codificata alla sezione 107 del Codice Civile degli Stati Uniti, permette l’utilizzo di parte
di un’opera protetta da copyright senza l’autorizzazione del detentore della licenza e senza l’obbligo di pagare per i diritti
se la copia o la riproduzione dell’opera è finalizzata a determinati usi, come la critica, il commento, il giornalismo,
l’insegnamento (che prevede anche la possibilità di riprodurre più copie di parte di un’opera per utilizzarle in classe), gli
studi accademici o la ricerca
35
La dottrina del “first-sale”, così come sancito nel Codice degli Stati Uniti alla sezione 109(a), stabilisce che alcuni
dei diritti dei proprietari del copyright cessino dopo la prima vendita di una particolare copia di un’opera. È grazie a questo
articolo che le biblioteche possono prestare libri e che i videonoleggi possono affittare dvd e videocassette senza richiedere
il permesso del proprietario del copyright.
81
fondamentali della legge sul copyright. Un’altra è l’uso del diritto privato
contrattuale per eludere la legge pubblica sul copyright. I venditori di
software, dati ed altri contenuti via Internet utilizzano varie licenze su
larga scala per la vendita dell’informazione digitale; queste sono più
comunemente conosciute come “licenze a strappo” per i software (cioè
in confezione sigillata) e licenze “click-through” (“tramite un click”) per i
siti. Chiunque utilizzi internet avrà spesso dovuto accettare questo tipo
di licenze, registrarsi ad un sito, accettandone le clausole, spesso senza
averle neanke lette. Ma in realtà quale è la loro validità?quali sono le
garanzie dei cittadini e degli utenti nei confronti di svariati tipi di contratti
nazionale, internazionali, mondiali accettati e sottoscritti attraverso
internet?
Esse sono discutibili perché le loro clausole unilaterali a favore del
venditore limiterebbero fortemente la capacità dei consumatori di
utilizzare come meglio credono i prodotti di informazione. Le licenze
spesso non si possono leggere prima dell’acquisto, né sono negoziabili,
come avviene per i contratti tradizionali. Esse sono essenzialmente
studiate per permettere alle società di dettare le proprie condizioni di
uso per i prodotti digitali. Tali condizioni violano di frequente l’accordo
culturale che sta alla base della legge sul copyright.
Questa garantisce alle opere diritti esclusivi in cambio di alcuni vantaggi
per il pubblico: tra gli altri, durata limitata di protezione offerta dal
copyright e fair use pattuito per fini educativi e personali. Le licenze su
larga scala generalmente intendono ridurre o eliminare i diritti
consuetudinari del pubblico e attribuire ai proprietari del copyright il
massimo controllo.
Uno strumento per legalizzare le licenze su larga scala è la legge-tipo
sui contratti di licenza per i prodotti dell’informazione, conosciuta come
Uniform Computer Information Transactions Act (UCITA: Legge per
Uniformare le Transazioni Informatiche). Scritto principalmente da
Microsoft, insieme ad altri grandi produttori di software, società di
banche dati e aziende di commercio elettronico, l’UCITA fissa una
82
serie di regole contrattuali standard per le transazioni di informazioni
computerizzate.
Un tempo i contratti non negoziati alla “prendere o lasciare” erano
considerati “contratti per adesione”, inapplicabili per legge, perché non
c’era “incontro di volontà” tra le parti. L’UCITA modifica la definizione
tradizionale di contratto, sostenendo che il mero uso dell’informazione
da parte del consumatore costituisce l’accettazione dei termini della
licenza.
L’UCITA elimina così una serie di principi legali che garantiscono le basi
della tutela del consumatore:
Le implicazioni dell’UCITA per il pubblico dominio sono notevoli.
L’UCITA permetterebbe anche ai venditori di proibire certe forme di
“reverse engineering” dei software (cioè la decompilazione di un
programma per vedere come funziona).
Essenzialmente, l’UCITA è un mezzo per i produttori di contenuti di
usare il diritto privato contrattuale allo scopo di aggirare le politiche
pubbliche contenute nella legge sul copyright: l’idea di transazione
culturale insita nel copyright viene sostituita da contratti unilaterali, ed i
benefici del fair use per il pubblico e la durata limitata della protezione
possono essere così annullati.
83
TERZA PARTE
II.13 Contesto europeo: EUCD
Mi accingerò ora a fare un’analisi della direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo datata 22 maggio 2001 e riguardante «l’armonizzazione
di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società
dell’informazione»; tale direttiva è oggi meglio conosciuta come European Union Copyright Directive (o con l’acronimo “EUCD”).
Verranno esaminati i passaggi più importanti, e illustrate le conseguenze legate ad una sua integrazione nelle legislazioni degli Stati membri
dell’Unione europea.
Una legislazione equilibrata nel campo della protezione del diritto
d’autore dovrebbe arrivare ad una mediazione fra gli interessi dei due
attori in gioco, ovvero il produttore e il consumatore;
l’EUCD invece stabilisce un’enorme disparità di trattamento tra le parti,
poichè prevede una serie di modifiche agli ordinamenti giuridici degli
Stati membri della Comunità europea destinate esclusivamente ad ampliare le possibilità di sfruttamento economico delle opere ed aumentare
gli strumenti legali a disposizione dei colossi dell’editoria e del software.
Questa condotta dell’EUCD non può che risolversi in una chiara posizione di forza degli editori (appoggiati da una normativa favorevole ed
estremamente severa) nei confronti degli utenti (privi di garanzie altrettanto chiare a tutela dei propri diritti).
Nel dettaglio, i problemi principali dell’EUCD sono riassumibili in tre punti:
1. il riconoscimento e la rigida tutela legale per i dispositivi di controllo
dell’accesso e della copia che proteggono il materiale digitale coperto
da diritto d’autore.
2. l’enorme ampliamento dei mezzi legali utilizzabili dai detentori dei diritti sulle opere per colpire e censurare le pubblicazioni su Internet.
84
3. l’abolizione della possibilità di poter rivendere o cedere il materiale digitale regolarmente acquisito, e l’ampliamento del controllo legale sulla
comunicazione delle opere da parte di autori ed editori.
Cercheremo di chiarire come la linea seguita dall’EUCD sia basata
sull’imposizione di forti ostacoli ad una serie di esercizi (quali la ricerca
sulla crittografia, la libera diffusione di informazioni ed il libero sviluppo
di software) considerati pericolosi in quanto potenzialmente in grado di
agevolare delle violazioni al diritto d’autore. Le restrizioni vengono richieste a tutti gli Stati europei, senza tenere conto delle conseguenze
negative a carico di attività oggi perfettamente lecite e necessarie per
l’intera società. Da questa condotta derivano dei pericoli sia per i diritti
degli utenti, che per i diritti civili più fondamentali: sono infatti messe in
discussione la libertà di ricerca ed espressione, la garanzia di utilizzo
ragionevole di un’opera da parte degli utenti, la possibilità di sviluppo di
nuovo software, in particolare software libero , la futura accessibilità al
sapere e la possibilità di conservazione di materiale con rilevanza storica e documentaristica , la garanzia di poter difendere i propri diritti in un
tribunale. Per quest’ultimo aspetto, in particolare, vedremo come
l’EUCD diventi estremamente dannosa se applicata assieme alle innovazioni previste da un’altra direttiva, la 2000/31/CE sul commercio elettronico , che indebolisce enormemente la possibilità per gli utenti di poter difendere la propria libertà di espressione su Internet.
Infine, nonostante la direttiva venga dichiarata necessaria per il raggiungimento di una «armonizzazione del diritto d’autore», chiariremo
come l’EUCD non porti alcuna nuova regolamentazione o garanzia
nell’ambito dei diritti degli utenti (ovvero, nelle cosiddette “eccezioni al
diritto d’autore”), ed anzi spesso introduca nuove incertezze o mantenga
le differenze legislative tra i vari Paesi membri dell’Unione europea.
La direttiva europea 2001/29/CE (meglio nota come EUCD, European
Union Copyright Directive) porta il nostro continente sullo stesso piano
del DMCA. I due testi di legge, quello statunitense e quello europeo,
85
sono molto simili; tale somiglianza deriva dal fatto che entrambi sono
ispirati ai trattati della WIPO ed all'accordo di Berna in materia di diritti
d'autore. Anche l'EUCD, quindi, introduce una serie di novità legali
dirette non tanto alla tutela dei reali autori, quanto alla tutela dei colossi
dell'editoria e del software proprietario. Vengono previsti nuovi privilegi
legali per i detentori dei diritti sulle opere, senza tenere conto degli abusi
che essi possono provocare e della mancanza di analoghi diritti per gli
utenti. Le conseguenze dell'EUCD vengono inoltre aggravate da un'altra
direttiva correlata, la 2000/31/CE sul commercio elettronico, che
fornisce alle grosse aziende enormi possibilità di censura del materiale
pubblicato su Internet.
Con la direttiva 2001/29/CE:
• “diventa illegale l'aggiramento di tutte le misure tecnologiche (anche se
facilmente superabili) che regolano l'accesso e la copia delle opere
digitali;
• diventa illegale l'offerta di informazioni e servizi, o la creazione di
programmi che possano facilitare tale aggiramento;
• gli autori/editori possono proibire agli utenti di cedere o rivendere le
opere digitali regolarmente acquistate attraverso Internet, e possano
controllarne qualunque diffusione”.
Questa normativa ha determinato la produzione da parte dell’industria
del contenuto (d’accordo con le “cattedrali commerciali”) di e-book a
tempo, che diventano inutilizzabili dopo un certo periodo, e non possono
essere stampati o ceduti a parenti o amici, di cd musicali che non si
possono copiare, o memorizzare sul computer o sul lettore MP3
portatile; di dvd video che si possono guardare solo in certi Paesi e con
certi sistemi operativi, di programmi che automaticamente cancellano
dal proprio PC i file ritenuti “illegali”, di computer, periferiche e sistemi
operativi che si rifiutano di leggere dati ritenuti “non autorizzati”. L'elenco
potrebbe
continuare,
ed
è
potenzialmente
molto
ampio.
Una
86
applicazione estensiva di questi sistemi (comunemente denominati
DRM) potrà togliere agli utenti ogni controllo sul funzionamento delle
macchine in loro possesso. In Italia con il decreto legislativo 9 aprile
2003, n. 68 (che ha portato modifiche e aggiunte prevalentemente alla l.
633/41) il nostro legislatore ha definitivamente recepito le indicazioni
contenute nell’EUCD: in particolare, il legittimo possessore dell'originale
può copiare, ad esempio, il proprio album musicale preferito per averne
una copia da ascoltare sull'autoradio pagando, però, un sovrapprezzo
(l’“equo compenso” obbligatorio tanto discusso) per l'acquisto sia del
supporto (cd e dvd vergini, ecc.) sia dell'apparecchiatura di registrazione
(videoregistratore, registratore a cassette, masterizzatore, ecc.).
Va aggiunto che mentre negli Usa si dà il via libera alla brevettabilità del
software, in Europa, il Parlamento Europeo ha bocciato in data 6/7/2005
una direttiva della Commissione Europea che avrebbe costretto migliaia
di PMI a depositare brevetti per i propri software: il mondo dell’open
source e del free software può quindi continuare a sfornare tecnologie
vincenti tranquillamente.
Cosa dice l'EUCD?
L'EUCD contiene un divieto estremamente generico all'elusione delle
"misure tecnologiche" che limitano l'accesso e la copia di materiali
coperti da diritto d'autore. Agli Stati membri dell'Unione europea viene
richiesta una "adeguata protezione giuridica" contro le elusioni --- ma
senza distinzioni tra quelle effettuate per scopi leciti e quelle effettuate
per compiere violazioni del diritto d'autore.
Una interpretazione restrittiva dell'EUCD rischia di mettere in serio
pericolo la possibilità di poter usufruire delle opere in un modo
ragionevole:
attraverso
le
"misure
tecnologiche",
l'autore/editore
potrebbe imporre qualunque arbitraria limitazione all'utilizzo dei
contenuti, e qualunque tentativo di aggiramento sarebbe illegale.
87
Diverrebbe quindi reato ascoltare su PC i CD-ROM "anti-copia", o
vedere dei film in DVD usando lettori "non autorizzati" (che quelli che
girano, per esempio, su GNU/Linux).
Inoltre, l'azienda creatrice di un certo formato dati "protetto" potrebbe
diventare l'unica legalmente autorizzata a sviluppare del software in
grado di gestire il formato stesso: infatti la creazione di un programma
interoperante richiede necessariamente il superamento delle "misure
tecnologiche" che regolano l'accesso ai dati. I programmatori di software
interoperante (specie se libero) rischierebbero quindi grosse sanzioni
per una attività oggi perfettamente lecita, e gli utenti sarebbero costretti
ad affidarsi ad una sola azienda/applicazione per gestire i propri dati
(siano essi dati personali o opere in formato digitale legalmente
possedute).
Cosa prevede lo schema di decreto legislativo?
Lo schema di decreto legislativo italiano presenta alcune differenze (per
fortuna positive) rispetto all'EUCD: è meno vago, e l'aggiramento e la
rimozione di "misure tecnologiche" sono dichiarati illegali solo nei casi in
cui tali atti "diano luogo ad un utilizzo abusivo di opere dell'ingegno o di
materiali protetti". Viene inoltre sottolineato come il diritto al reverseengineering del software non sia modificato dalla nuova legge.
La forma attuale della legge, tuttavia, non chiarisce cosa si intenda per
"dare luogo ad utilizzi abusivi delle opere", creando una incertezza che
favorisce la parte legalmente più forte. Questo fa sì che il creatore di
una applicazione interoperante possa essere arrestato (e condannato a
tre anni di carcere) se la sua applicazione fosse utilizzabile da terzi per
compiere violazioni al diritto d'autore. Questo potrebbe avvenire anche
se il programmatore non avesse mai compiuto tali violazioni.
Rimane dunque aperta la possibilità che aziende infastidite dalla
concorrenza possano minacciare legalmente i creatori di altre
applicazioni che gestiscono gli stessi formati di dati.
88
La legge, inoltre, non tutela in alcun modo gli utenti comuni: per loro,
l'aggiramento di una qualunque "misura tecnologica" arbitrariamente
stabilita da un produttore è sempre vietato, in quanto classificabile come
"utilizzo abusivo".
È necessario che il decreto legislativo sia più chiaro, e bilanci meglio i
diritti di utenti e produttori: l'elusione delle "misure tecnologiche"
dovrebbe essere vietata solo nei casi in cui essa è usata come
strumento per poter compiere effettive violazioni del diritto d'autore. In
questo modo l'elusione in quanto tale (e le attività attualmente lecite ad
essa collegate) non sarebbero punibili --- ma chi realmente viola il diritto
d'autore attraverso una elusione di "misure tecnologiche" sarebbe
accusato di un nuovo reato (l'"elusione per scopi illeciti"), con un
inasprimento delle pene.
I pericoli per la libertà di ricerca e di espressione
Oltre a rendere illegale l'elusione di "misure tecnologiche", l'EUCD
richiede che gli Stati membri dell'Unione europea offrano una "adeguata
protezione giuridica" contro la fabbricazione e l'offerta di dispositivi e
servizi che possano agevolare l'elusione stessa. Il termine "offerta di
servizi" comprende anche l'offerta di informazioni, e quindi le norme
dell'EUCD rischiano di rappresentare un grave ostacolo alla libertà di
espressione.
In particolare, verrebbero colpite le ricerche su crittografia e sicurezza
informatica: tali materie di studio sono basate sull'analisi e lo sviluppo di
sistemi di elusione, e non possono fare a meno della libera diffusione di
dati ed informazioni. Qualunque notizia riguardante, per esempio, i
problemi di sicurezza o i bachi del software potrebbe essere censurata,
se ritenuta in grado di "facilitare" una qualsiasi elusione di "misure
tecnologiche".
Lo schema di decreto legislativo italiano recepisce queste linee in modo
estremamente severo: l'offerta di dispositivi, informazioni o servizi che
89
possano facilitare delle elusioni comporta addirittura sanzioni penali
(fino a tre anni di carcere). Il divieto è assoluto: la ricerca scientifica e la
libertà di espressione in generale non sono tutelate in alcun modo,
nonostante la stessa EUCD dia delle (vaghe) indicazioni in tel senso.
La legge italiana è così generica da rendere potenzialmente illegale
anche il software libero interoperante: un programma libero che legga
formati "protetti" (come i DVD, o i file PDF cifrati) potrebbe essere
considerato un pericoloso "dispositivo che facilita l'elusione", a causa
della sua libera modificabilità e possibilità di riutilizzo per qualunque
scopo.
È necessario che il decreto tuteli la libertà di espressione e la ricerca
scientifica (accademica e non), come d'altronde è previsto dalla stessa
EUCD. Più in generale, se la legge deve vietare lo sviluppo di strumenti
e l'offerta di servizi che facilitano una "elusione", deve restringere il
divieto solamente ai casi in cui tali atti siano finalizzati al compimento
reali di violazioni del diritto d'autore. In questo modo nessun libero
scambio di informazioni o sviluppo di software sarebbe punibile --- ma i
responsabili di reali violazioni del diritto d'autore potrebbero incorrere in
un nuovo reato: la "fabbricazione e offerta di dispositivi e servizi che
facilitano una elusione".
L'abolizione della "prima vendita" per i documenti digitali
L'EUCD introduce un nuovo diritto esclusivo per autori/editori: quello di
poter "comunicare" le proprie opere.
Questo significa che gli utenti non avranno il diritto di poter cedere o
rivendere il software o gli e-book ottenuti/acquistati via Internet (a meno
di non ottenere un esplicito permesso); inoltre, se l'autore/editore decide
di non rendere più disponibile un documento digitale (per esempio, a
causa di un atto di censura), nessuno che ne abbia legalmente ottenuta
una copia potrà renderla nota a terzi. I documenti digitali potranno
90
essere distribuiti con condizioni "ad personam", che stabiliscono se ed
in che modo un documento possa essere diffuso o ceduto da coloro che
ne vengono in possesso.
Lo schema di decreto legislativo italiano recepisce in modo quasi
letterale quanto richiesto dalla direttiva.
È necessario che la legge garantisca agli utenti il diritto di poter
ricomunicare e cedere un'opera legalmente posseduta. Perchè questo
sia possibile, la legge dovrebbe prevedere un maggior numero di
eccezioni al diritto esclusivo di comunicazione al pubblico, o dovrebbe
regolamentare le condizioni d'uso con cui le opere sono distribuite dagli
autori/editori.
I diritti degli utenti
Come già visto, l'EUCD offre agli autori/editori la possibilità di limitare
tecnologicamente l'utilizzo delle opere possedute dagli utenti. I diritti di
questi ultimi potrebbero essere lesi da sistemi troppo rigidi e invasivi --ma la direttiva non prevede alcuna norma chiara per tutelare i
consumatori: viene consigliata una generica "mediazione" tra le parti, e
vengono citate delle "misure volontarie" che gli autori/editori dovrebbero
intraprendere per la tutela degli utenti.
L'EUCD, inoltre, prevede esplicitamente che i materiali ottenuti
attraverso Internet possano essere protetti da qualunque "misura
tecnologica", anche estremamente invasiva, senza limitazioni da parte
della legge. Con il rapido sviluppo di Internet come mezzo di diffusione
della cultura, si rischia di dare un enorme potere agli editori: negli USA,
per esempio, iniziano già a diffondersi degli e-book scolastici che si
autodistruggono alla fine del corso di studi, senza possibilità di essere
riutilizzati o rivenduti.
Il decreto legislativo italiano è fortunatamente meno vago dell'EUCD:
vengono elencati una serie di casi in cui i detentori dei diritti sulle opere
sono tenuti a rimuovere le misure di protezione troppo rigide (per
91
esempio, nel caso delle copie destinate a istituti come biblioteche e
scuole). Si dice inoltre che le misure tecnologiche devono garantire la
possibilità di effettuare una copia di riserva dell'opera posseduta.
Queste disposizioni non sono però in grado di impedire abusi da parte
dei detentori dei diritti sulle opere --- e in questi casi, il decreto
legislativo è estremamente carente nella tutela degli utenti: esso
prevede che ogni disputa causata da misure tecnologiche troppo
invasive debba essere vagliata dal "comitato consultivo permanente per
il diritto d'autore", con una centralizzazione che sarà certamente fonte di
lungaggini burocratiche e disagi. Inoltre, tale comitato non prevede
alcun rappresentante per gli utenti: i suoi membri provengono
unicamente dall'industria dello spettacolo e del diritto d'autore.
Infine, come accade nell'EUCD, il decreto italiano non pone alcun limite
alle "misure tecnologiche" che limitano l'uso di materiali distribuiti via
Internet.
Le procedure legali a tutela degli utenti dovrebbero essere snellite, per
esempio affidandole alla magistratura ordinaria, senza passare
attraverso un consiglio centralizzato.
La mancanza di regole per le misure tecnologiche applicate alle opere
distribuite via Internet, invece, dovrebbe essere affrontata garantendo
un certo numero di "diritti minimi di utilizzo" che le misure tecnologiche
non possono togliere agli utenti, in nessun caso.
La vera soluzione di questi problemi, sarebbe quella di affrontare una
completa revisione della legge sul diritto d'autore, in modo che essa
garantisca dei chiari diritti anche agli utenti, oltre che agli autori/editori.
92
Cosè la pirateria?
Oggi viviamo un'altra rivoluzione, quella digitale, che permette la riproduzione in migliaia di copie, in maniera semplice e a costi ridottissimi,
una Rivoluzione che sta cambiando le nostre vite e i nostri modi di
scambiarci informazioni.
Gli odierni detentori dei diritti d'autore, disturbati e preoccupati da questa
nuova Rivoluzione che minaccia i loro diritti, stanno reagendo da alcuni
anni in maniera scomposta, assurda e illiberale.
Le società americane che operano nei settori protetti da copyright hanno
iniziato una guerra mondiale contro la copia illegale delle informazioni
digitali. Sono le società che operano nel settore dei film, della musica e
del software, giro d'affari complessivo da 470 miliardi di USD l'anno. Si
muovono su due fronti: il primo è quello della repressione della copia illegale, il secondo, e parallelo, è quello della difesa a oltranza dei sistemi
di protezione della copia.
Il mondo dei produttori di opere digitali ha reagito a questa situazione
chiedendo maggiori pene per i 'copiatori' e introducendo la protezione
software della copia. In pratica l'informazione viene criptata e può essere decriptata solo con apposito software o hardware. Ogni tentativo di
aprire la protezione senza autorizzazione è considerato un atto criminale da una nuova legge approvata negli USA, la DMCA nel 1998, indipendentemente dal fatto che il contenuto protetto sia soggetto al diritto
d'autore o no e dal fatto che si abbia acquistato legalmente la copia criptata pagando quindi anche i diritti d'autore.
93
Ma cosa c'è che non va nella protezione della copia?
In fondo copiare è, anche per la legge italiana, proibito.
Negli USA esiste un concetto preciso, che la legislazione corrente non
ha ancora fatto sparire, chiamato "fair use". "Fair use" vuol dire che se
io ho legalmente comperato una copia di un prodotto digitale posso farne liberamente uso a scopi personali. Per esempio posso fare una copia
del mio CD musicale da tenere in automobile, posso copiare dei pezzi
per scopi didattici, di critica o di studio, posso, nel caso dell'eBook, ascoltare il libro, posso fare delle copie a uso personale, per esempio per
far valutare un gioco o un programma a un amico.
Tutti i sistemi di protezione della copia impediscono queste libertà, limitando di fatto il libero uso di prodotti legalmente acquistati e inoltre limitano la ricerca scientifica e il progresso tecnologico, secretando le tecniche, anche se banali, e intimidiscono programmatori, ricercatori e potenziali concorrenti.
II.15 Le tecnologie DRM: 'Informatica Infida (Treacherous Computing),o
“Informatica Fidata” (“Trusted Computing”) ?
“Con D(igital) R(ights) M(anagement), il cui significato letterale è
gestione dei diritti digitali, si intendono i sistemi tecnologici mediante i
quali i titolari di diritti d'autore possono esercitare ed amministrare tali
diritti nell'ambiente digitale, grazie alla possibilità di rendere protetti,
identificabili e tracciabili tutti gli usi in rete di materiali adeguatamente
marchiati”. Gli aspetti principali di un sistema di DRM riguardano quindi:
• l’identificazione e descrizione dei diritti di proprietà intellettuale;
• il tracciamento delle licenze d’uso e dell’utilizzo effettivo del contenuto;
• le misure tecniche che assicurano le restrizioni di uso.
In pratica, tramite DRM, i file audio o video vengono codificati e criptati
in modo da garantirne la protezione contro la copia e l'inoltro verso terzi
94
non autorizzati e consentirne un utilizzo limitato (ad es. solo per
determinati periodi di tempo, o per determinate destinazioni d'uso), predefinito nella licenza d'accesso fornita (separatamente) agli utenti finali.
É in base a tale meccanismo che l’industria dell’audio video ha cercato
di appropriarsi una fetta di mercato attraverso canali di distribuzione
come Internet e le piattaforme digitali. Il problema principale che queste
tecnologie comportano è un forte squilibrio tra i diritti degli utenti finali
riguardo alle limitazioni d’uso che questi meccanismi comportano. In
pratica si potrebbe correre il rischio che il cd di musica comprato da un
determinato sito possa essere riproducible soltanto a determinate
condizioni, che ne limitano la sua utilizzazione al di fuori delle condizioni
poste dal produttore. Questa situazione evidenzia un conflitto anche con
la legislazione vigente in materia di diritto d’autore, dove è consentito
effettuare una “copia privata” dei contenuti acquisati. Il problema è
evidente nel momento in cui i contenuti sono protetti da DRM questo
“sarebbe” impossiblie. Dico sarebbe in quanto l’elusione dei meccanismi
anti-copia è sempre tecnicamente possible, anche se costituisce un
reato36 anche divulgare materiale tecnico-scientifico sull’argomento.
Tutto questo è possibile perché le legislazioni vigenti anti-aggiramento
di cui si è parlato nei paragrafi precedenti (DMCA americano e EUCD
europeo) permettono ai detentori di diritti di inventare nuove ed eccitanti
forme di copyright per loro stessi, scrivere leggi private senza
responsabilità o deliberazioni, che espropriano a loro favore gli interessi
dell'utente riguardo ciò che acquista. Un caso noto ai più è quello di Jon
Johansen, un adolescente norvegese diventato un mito degli internauti
per aver creato il DeCSS, un sistema in grado di aggirare la protezione
(Content Scrambling System) per la codifica regionale dei dvd: in realtà
lui desiderava solamente vedere dvd francesi sul suo riproduttore
norvegese ma per gli Usa è un pericoloso criminale e hanno fatto
pressioni tramite le proprie lobby affinché venisse accusato dalla
36
Si vedano le considerazioni fatte nei paragrafi precedenti riguardo al DMCA e all’EUCD, le questioni del
reverse enginering e alll'aggiramento di tutte le misure tecnologiche.
95
magistratura norvegese di accesso illecito ad un sistema informatico;
“quando la sua difesa ha chiesto quale sistema informatico Jon avesse
violato, la risposta è stata ‘il suo’”. il DRM sarebbe legale solo se il
riproduttore in uso diventasse di proprietà dell'autore del prodotto
multimediale che si vuole vedere. Ma il DRM non è un male solo per gli
utenti ma anche per il mercato dell’entertainment multimediale,
rappresenta “una gabbia digitale” per la concorrenza. Il core business
della Microsoft o degli altri fornitori di DRM non è la musica o il cinema:
è il software (o l'hardware), di conseguenza non c’è un'attenzione reale
per proteggere l'industria dei media o i suoi prezzi e le sue regole;
l'interesse è di creare un business software/hardware anche se va in
conflitto con gli altri business. Il celebre successo di Apple con
iTunes/Ipod è stato determinato dalla vendita di musica a 0,99cent per
brano, con milioni di download . Per i distributori di musica online sarà
difficile entrare nel mercato se non avranno entrate provenienti da fonti
alternative. Come potranno fronteggiare eventuali strategie di marketing
basate sulla diminuzione del prezzo di company come Apple o
Microsoft, il cui core business è l’hardware (iPod) e software (per
piattaforma MAC) e non la musica? Si creerà una strana situazione per
la quale scaricare da Apple o Microsoft rispetto a un altro competitor
rappresenterà un investimento più sicuro, dato che questi giganti,
avendo licenze più diffuse per i propri formati proprietari, garantiranno la
compatibilità di ciò che vendono con un maggior numero di devices. La
realtà potrebbe essere caratterizzata dal rischio di vecchie e nuove
forme di monopolio.
Sony nel biennio 2004-2005 segna una debacle totale per il lancio sul
mercato dell’ennesimo formato proprietario (atrac) non compatibile con
l’mp3 (una scelta suicida) e per la distribuzione di cd musicali dotati di
protezione DRM che infila nel pc del malware che non può essere
rimosso senza compromettere il sistema e di cui non si ha traccia
alcuna né nella licenza del cd né in altra documentazione.
In questo contesto il p2p si rivelerà utile soprattutto per l'industria
96
dell'entertainment: quando queste compagnie si renderanno conto della
gabbia in cui si trovano, cominceranno a guardarsi intorno alla ricerca di
soluzioni alternative di distribuzione, cercando di evitare il DRM e
collegandosi direttamente con gli utenti.
Per fortuna la scelta di applicare i DRM ai contenuti digitali stà perdendo
consistenza anche da quando la Apple e le altre compagnie hanno
deciso di continuare a vendere senza maccanismi anti-copia e anche
grazie alla risposta negativa degli utenti e delle associazioni di
consumatori che si sono opposte a questi meccanismi.37 la reazione di
Apple arriva con Steve Jobs che allontana da sè ogni accusa: chi vuole
una musica DRM-free faccia appello alle major, le quali credono in
questo sistema come leva valida contro la pirateria. Apple ne farebbe
volentieri a meno, spiega Jobs.
37
Sulla scia delle azioni di altre associazioni di consumatori europee , Altroconsumo ha inviato un esposto
all'Autorità Antitrust circa il sistema DRM (la gestione dei diritti d'autore digitali) di iTunes (Apple). Intendiamo
così rivendicare il diritto a usufruire di un mercato della musica online senza barriere. Riteniamo che anche ai
consumatori italiani debba essere riconosciuto il diritto di poter fare uso di qualsiasi lettore presente sul mercato
per ascoltare la musica acquistata su iTunes».
97
In Italia: la legge Urbani
“Occorre combattere con la massima determinazione la pirateria in
tutte le sue forme, perchè la difesa della proprietà intellettuale è
nell’interesse di tutti, perchè dà valore economico alla cosa più preziosa:
l’ingegno, che è alla base della nostra società libera”.
[Carlo Azeglio Ciampi]38
la legge Urbani segna in Italia le tappe fondamentali e più discutibili
della tutela del diritto d’autore, specialmente riguardo alle opere
d’ingegno digitali e della loro diffusione attraverso internet. Questa fu
emanata ed approvata in fretta per risolvere questioni relative alla
legislazione
cinematografica,
con
titolo
“sostegno
delle
attivita'
cinematografiche e dello spettacolo”. Pertanto nel clima di repressione
tecnologica iniziato in America con il DMCA,e recepito in Europa con
l’EUCD, la legge Urbani criminalizza il p2p e il download di file protetti
da diritto d’autore, discriminando al contempo le tecnologie che
favoriscono questo tipo di condivisione, la legge si configura anche in
una posizione lobbystica, appoggiandosi al ruolo centrale della SIAE. La
normativa italiana in materia di diritto d’autore è sicuramente molto
complicata: tra le leggi fondamentali vanno menzionate la l.633/41
(LDA, legge sul diritto d’autore); la l.248/2000 (detta anche “legge
antipirateria”); ed infine la l.128/2004 (più comunemente conosciuta
•
38
CARLO GUBITOSA, Elogio della pirateria: Manifesto di ribellione creativa
Terre di mezzo/Altreconomia, 2005
98
come legge Urbani). Ci concentreremo su quest’ultima.
Sull’onda delle pressioni esercitate dalle major dell’audiovisivo (ma
anche in base ad una direttiva europea) l’ex Ministro dei Beni Culturali,
Urbani, ha applicato, tramite decreto legge convertito successivamente
nella l.128/2004, delle modifiche alla l.633/41, sconvolgendo così la
regolamentazione, fin a quel momento più o meno equilibrata, in materia
di proprietà intellettuale. Da lì è stato l’inizio di una storia infinita che ha
visto la legge Urbani, considerata da più parti iniqua, essere soggetta a
svariate modifiche (tra le ultime, quelle stabilite dalla l.43 del 31/3/2005):
l’ex Ministero ha più volte ammesso di voler porre rimedio alla sua
legge, ma nell’estate del 2004 la competenza in materia di diritti digitali
è passata al Ministero per l’Innovazione e le tecnologie che, su
decisione del Ministro Stanca, ha ordinato alla “Commissione per i
contenuti digitali nell’era di Internet” presieduta dall’ing. Vigevano di
porre rimedio al caos normativo caldeggiando un ritorno alla pre-Urbani.
39
In sintesi, in base alla legge attuale (stando alle modifiche apportate
dalla l.45/2005):
• chi scarica (solo download) materiale protetto da diritti d'autore non
commette reato;
• chi condivide allo scopo di trarne profitto incappa nella sanzione
amministrativa e nel sequestro, ed invece, rischia il penale chi agisce a
scopo di lucro (in considerazione dell'apposita previsione dell'art. 171ter, comma 2, lett. a-bis).
Nella pratica, però, per motivi tecnici di funzionamento di alcuni client
39
la Commissione per i contenuti digitali nell'era di Internet - denominata "commissione e-content", e voluta dal Ministro
Stanca - ha iniziato ad analizzare il problema della diffusione dei contenuti in rete e la gestione dei relativi diritti.
Tale Commissione sta anche analizzando il caos normativo creato dalla legge, approvata in fretta e contenente numerosi
errori, che ha convertito, il 21 maggio 2004, l'ormai celebre "Decreto Urbani".
Il panorama italiano è, poi, caratterizzato da un ruolo essenziale della SIAE, soprattutto con riferimento alla gestione dei
diritti degli autori associati alla SIAE stessa e ad alcuni adempimenti, quali l'obbligo di contrassegni (il cosiddetto
"bollino").
99
quali eDonkey, BitTorrent, eMule, ecc, nei quali la messa in condivisione
di quanto scaricato avviene automaticamente o di “default”, un
downloader è anche contemporaneamente uploader e quindi un
condivisore che commette un reato.
Se la legge Urbani iniziale prevedeva che la condivisione (ossia l’uso
del filesharing) venisse punita penalmente (l’espressione “fine di lucro”
della l.633/41 era stata sostituita con “per trarre profitto”), con le attuali
modifiche si è ristabilita l’espressione “fine di lucro” differenziando così i
pirati criminali (che vengono puniti penalmente, con il carcere) dai
ragazzini di 12 anni che scaricano le sigle dei propri cartoni preferiti (che
infrangendo comunque la legge vengono puniti con multa);
• si prevede anche l’oblazione, ovvero la possibilità di pagare
un’ammenda e le spese procedurali per estinguere il reato commesso,
quello appunto di condivisione. Una misura che non cancella però il
reato in quanto tale. L'oblazione potrà essere effettuata o prima del
procedimento o prima della notifica di condanna. In questo secondo
caso le possibilità di avvalersene sono assai ridotte: non è infatti
infrequente che solo quando si riceve la notifica del reato si viene a
conoscenza che questo è stato commesso. È dunque arduo capire
come o quando una persona accusata di tale reato dovrebbe essere in
grado di ricorrere all'oblazione. Pur eliminando il carcere per chi scarica
file con programmi p2p (grazie alla oblazione), la legge afferma il
concetto che chiunque condivida in internet musica, film, o altre opere
protette non rispetta la legge;
• l’obbligo di apporre un bollino su tutti i materiali tutelati da copyright
circolanti in rete (contenute nell’iniziale decreto legge) viene rimosso.
Che ci sia per i condivisori la multa o il carcere, sta di fatto che il
filesharing in Italia è comunque criminalizzato.
La legge inizia così a colpire direttamente le tecnlogie e gli utenti: è
questa la volta dei sitemi p2p ( che peraltro determinano una cospicua
100
percentuale del traffico complessivo della rete, che sono inoltre la causa
ed il fattore di maggior incizenda del diffondersi dei contratti adsl e della
banda larga) scatenando così dure proteste .
Art. 1.
1. Il decreto-legge 22 marzo 2004, n. 72, recante interventi per contrastare la diffusione telematica abusiva di materiale audiovisivo, nonchè
a sostegno delle attività cinematografiche e dello spettacolo
2. Al comma 1 dell'art. 171-ter della legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni, le parole: "a fini di lucro" sono sostituite dalle seguenti: "per trarne profitto".
3. Al comma 2 dell'art. 171-ter della legge 22 aprile 1941, n. 633, e
successive modificazioni, dopo la lettera a) e' inserita la seguente:
"a-bis) in violazione dell'art. 16, per trarne profitto, comunica al pubblico
immettendola in un sistema di reti telematiche, mediante connessioni di
qualsiasi genere, un'opera dell'ingegno protetta dal diritto d'autore, o
parte di essa;".
5. A seguito di provvedimento dell'autorita' giudiziaria, i prestatori di servizi della societa' dell'informazione, di cui al decreto legislativo 9 aprile
2003, n. 70, comunicano alle autorita' di polizia le informazioni in proprio
possesso utili all'individuazione dei gestori dei siti e degli autori delle
condotte segnalate.
6. A seguito di provvedimento dell'autorita' giudiziaria, per le violazioni
commesse per via telematica di cui al presente decreto, i prestatori di
servizi della societa' dell'informazione, ad eccezione dei fornitori di connettivita' alle reti, fatto salvo quanto previsto agli articoli 14, 15, 16 e 17
101
del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, pongono in essere tutte le
misure dirette ad impedire l'accesso ai contenuti dei siti o a rimuovere i
contenuti medesimi.
7. La violazione degli obblighi di cui ai commi 5 e 6 e' punita con una
sanzione amministrativa pecuniaria da euro 50.000 a euro 250.000. Alle
violazioni di cui al comma 1 si applicano le sanzioni previste dall'art. 21
del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70.
Prima dell'entrata in vigore del Decreto Urbani, convertito in legge il 18
maggio 2004, non erano previste sanzioni per la condivisione di opere
tutelate dal diritto d'autore qualora non vi fosse scopo di lucro. La legge,
oltre al finanziamento pubblico per certe attività cinematografiche e
sportive, riguarda il settore del cosiddetto peer-to-peer su internet o,
meglio, l'uso che anche in Italia quotidianamente milioni di utenti ne
fanno.
La sostituzione della locuzione a fini di lucro con per trarne profitto
introdusse nella legge 22 aprile 1941, n. 633 la possibilità di incorrere in
gravissime sanzioni penali, anche per chi, a causa di precedenti
interpretazioni della Corte di Cassazione su questa locuzione, fa
esclusivamente un uso personale di opere protette dal diritto d'autore
ottenute attravero questa pratica. Pertanto lo scambio di opere protette
come avviene tecnicamente nella maggior parte dei sistemi di filesharing (Torrent, eMule, eDonkey2000, mlDonkey, DC++, etc.) ricade
nelle sanzioni penali, poiché i sistemi di condivisione di file (file-sharing)
più diffusi utilizzano reti peer to peer (P2P - da pari a pari) nelle quali
ciascun nodo (utente) è sia client (downloader, e quindi scarica) che
server (uploader, e quindi condivide) - ossia i file scaricati sono
automaticamente condivisi, anche durante la fase di scaricamento.
Nel dibattito durante la conversione del decreto, la posizione più
102
intransigente nel chiedere la modifica dell'inciso "per trarne profitto" e il
ripristino dell'espressione "per scopo di lucro", si produsse al Senato
essenzialmente da un ridotto, ma molto combattivo, numero di
parlamentari, guidato dal senatore dei Verdi Fiorello Cortiana40.
Gli stessi parlamentari che avevano difeso gli emendamenti li
riproposero in forma di "Petizione" ed il "popolo della rete" contribui a
realizzare le sottoscrizioni. Grazie anche a questa iniziativa il 31 marzo
2005 fu approvata la legge n. 43 che ripristinava lo scopo di lucro in
luogo del trarne profitto ed inserì due commi (a-bis e uno dopo la lettera
f), nell'articolo 171 della legge sul diritto d'autore, che, pur lasciando
queste violazioni nel campo penale, eliminano la "detenzione" e
riducono la sanzione pecuniaria.
Attualmente rimane ancora in vigore la lettera a) comma 2 dell'articolo
171-ter che prevede il carcere da uno a quattro anni e multa da 2.500 a
15.000
euro
per
chi riproduce,
duplica,
trasmette
o
diffonde
abusivamente, vende o pone altrimenti in commercio, cede a qualsiasi
titolo o importa abusivamente oltre cinquanta copie o esemplari di opere
tutelate dal diritto d'autore e da diritti connessi, ma poiché non è
esplicitamente indicato, come in altre parti della legge, l'azione di
immettere in reti tematiche è possibile che ciò non sia contemplato.
Sarà la giurisprudenza, prima o poi, se nel frattempo non cambia la
legge, a dirci qualcosa nel merito.
40
www.fiorellocortiana.it
103
II.17 TUTELA DEL DIRITTO D’AUTORE VS DIRITTO ALLA PRIVACY
E ALLA LIBERTÀ DI SCELTA DEGLI UTENTI
Oggi siamo nel bel mezzo di una guerra contro la “pirateria”. È una
guerra provocata da Internet e dalla sua capacità di diffusione dei
contenuti in modo efficace. È una guerra alle reti p2p, forme di
“intelligenza collettiva” che permettono la distribuzione di contenuto
secondo modalità inimmaginabili fino a qualche anno fa. Il problema è
che tale efficienza si scontra con le normative in materia di diritto
d’autore. La rete non fa differenza tra la condivisione di contenuti protetti
o meno dal copyright, la rete è il luogo della circolazione di materiali
tutelati dal copyright e tale “movimento” è la causa della dichiarazione
delle major di guerra ad oltranza poiché temono che lo sharing finisca
per defraudare l’autore del profitto. Le armi che utilizzano sono diverse:
ricorrere ai tribunali e corti di giustizia, alle assemblea legislative e alla
tecnologia (attraverso sistemi di DRM) per difendere la loro proprietà
contro questa forma di “pirateria”. Non c’è dubbio infatti che la pirateria
sia un crimine e che i pirati vadano puniti (coloro che hanno scopo di
lucro) ma occorre sottolineare con fermezza che il filesharing è una
forma molto particolare di “pirateria positiva” e prima di condannarlo al
patibolo vanno comprese realmente le cause che determinano una sua
affermazione
così dirompente. Se pirateria significa utilizzare la proprietà creativa
degli altri senza il loro permesso, allora, seguendo gli innumerevoli
esempi che il prof. Lessig riporta in “Free Culture”, potremmo facilmente
dichiarare che l’intera storia dell’industria produttrice di contenuto è una
storia di pirateria visto che ogni settore dei media americani
104
(cinematografico, discografico, radiofonico e della tv via cavo) è nato da
forme di pirateria”. In ogni parte del mondo ci sono molte aziende che si
appropriano di contenuti altrui, tutelati del diritto d’autore, li copiano e li
rivendono, traendone un profitto che sottraggono ai detentori del
copyright (l’MPAA imputa alla pirateria mondiale una perdita stimata sui
tre miliardi di dollari). Questa è una forma di pirateria pura e semplice, è
illecita e va punita ma quando si parla di filesharing stiamo parlando di
una tecnologia digitale e innovativa e non di semplice “ruba e vendi”, si
tratta di un fenomeno veramente difficile da studiare perché la sua
capacità distributiva crea sicuramente scosse al mercato la cui natura
però ancora è di difficile comprensione (se ne parlerà più avanti). Allora,
prima di addentrarci in argomenti sempre più specifici è il caso di
centrare il problema e capire cosa le istituzioni debbano garantire a tutti
noi: cultura libera. In fondo è questo il nocciolo della situazione: affinché
si trovi un equilibrio tra il diritto sacrosanto dell’autore ad essere
ricompensato e quello degli utenti alla libertà di scelta e alla privacy (che
non significa solamente lasciare che gli utenti possano condividere tutto
quel che vogliono che sia protetto o meno, oppure che nessuno possa
tracciare le nostre attività online, ma soprattutto lasciare ai singoli utenti
la libertà di scelta sulla propria creatività e capacità innovativa, di
crescita, sviluppo e utilizzo delle nuove tecnologie) bisogna lasciare la
cultura libera di esser prodotta e usufruita in tutte le sue forme,
cartacee, digitali, elettroniche. Un equilibrio giuridico fra principi e diritti
inalienabili ed ugualmente importanti si trova lasciando scorrere
liberamente la cultura in un ambiente “controllato”, che rinnega le
posizioni estreme di chi, da una parte, vorrebbe l’anarchia sulla
distribuzione dei contenuti e di chi, dall’altra, desidererebbe intrappolarli
nelle strette maglie del copyright, demonizzando le tecnologie, e i nuovi
servizi/prodotti da esse derivati, per la loro capacità di migliorare e
105
quindi modificare aspetti fondamentali della vita sociale ed economica,
tra cui il logoramento dei loro monopoli plurisecolari.. E come il libero
mercato si corrompe se la proprietà diventa feudale, la cultura libera è
danneggiata dall’estremismo nei diritti di proprietà che la definiscono (o
meglio dai “guerrieri”, le MPAA e RIAA di ogni nazione, che si sentono
unici proprietari della cultura che veicolano). Man mano che Internet si è
integrata nella vita quotidiana, ha prodotto alcuni cambiamenti, tra cui
quello riguardante il modo di costruire la cultura: la Rete ha cancellato la
distinzione tra cultura libera e cultura controllata e, sotto la spinta dei
grandi media oggi rientra in toto sotto la tutela di legge. Solitamente si
distinguono due forme di cultura: “commerciale” (prodotta e posta in
vendita o prodotta con l’intento di essere venduta) e “non commerciale”
(tutto il resto). Se prima di Internet sostanzialmente la forma “non
commerciale” non era soggetta a regole, veniva lasciata libera (la gente
poteva condividere e trasformare la propria cultura raccontando storie,
riproponendo scene di lavori teatrali, scambiandosi la musica sui nastri
o videoregistrandosi i programmi tv preferiti) e la legislazione si
concentrava sulla creatività commerciale tutelando i creatori affinché ne
venissero riconosciuti i diritti esclusivi di proprietà sulle loro opere in
modo che potessero venderle nel mercato, oggi, la regolamentazione
giuridica è talmente estesa da controllare qualsiasi forma di cultura e
creatività mai raggiunta prima. Si è passati, con parole di Lessig, da una
cultura libera ad una cultura del permesso. Il fatto è che tale
cambiamento è giustificato come elemento necessario a tutela della
creatività commerciale: il protezionismo che i “guerrieri” pretendono, in
realtà, non è a tutela degli artisti (i musicisti che vendono sotto
l’ombrello RIAA vengono ricompensati con appena il 6-12% sulle
vendite totali), ma protegge rendite monopolistiche di dinosauri
minacciati dalle potenzialità di Internet di cambiare le modalità di
106
produzione, diffusione e condivisione della cultura sia commerciale che
non commerciale. E quando i poteri forti domandano, i legislatori
rispondono con norme che ne difendono ad hoc i propri interessi. “Sul
diritto d'autore, le guerre di lobby, i privilegi, era tutto già scritto, tutto già
detto. A questo punto per rimettere le cose nel giusto binario
occorrerebbe che il legislatore smettesse di fare esclusivamente gli
interessi di una potente minoranza a scapito degli interessi legittimi di
cittadini e imprese”. Per le industrie del contenuto del XX secolo,
Internet è simile a quel che la radio FM fu per la radio AM, l’inizio della
fine. Le tecnologie di Internet danno vita ad un mercato più ampio e
competitivo per la creazione e diffusione di cultura, in cui ognuno di noi
può diventare creatore, tutto ciò purché non si difendano i cartelli creati
dai potenti. Il problema è che “non si vede la gravità di tali mutamenti, la
guerra per liberare la galassia di Internet dai pirati porterà altresì la
cultura a disfarsi di quei valori che fin dalle origini hanno fatto parte
integrante della tradizione”.
Problemi di privacy e di violazione di domicilio
La normativa italiana consente la riproduzione analogica ad uso privato
di file musicali registrati (non scaricati) da radio e TV che trasmettono in
streaming.
Vari controlli contro le violazioni del diritto d'autore vengono svolti con
programmi di sniffing che accedono nelle reti peer-to-peer e registrano
gli indirizzi IP e i provider con il quale sono connessi di quanti stanno
scambiando
illegalmente
file.
Tali
informazioni
sono
contenute
nell'intestazione di ogni pacchetto TCP/IP inviato su Internet da un
generico nodo della rete.
107
Per la normativa italiana, ogni Internet Service provider deve tenere un
registro che abbina il numero telefonico del chiamante all'IP assegnato
a chi chiede la connessione. Tramite questo log è possibile risalire al
numero e identificare il chiamante per procedere a una denuncia.
Lo sniffing pone problemi di privacy in quanto accede senza mandato e
a insaputa dell'utente ad un computer che è sua proprietà privata
nonché ad una rete che è proprietà di chi diffonde il software di accesso.
In generale, l'accesso ad un'abitazione o altra proprietà privata per una
perquisizione richiede un mandato della magistratura e che esso sia
mostrato al proprietario del bene perquisito.
La perquisizione dei domicilii e l'accesso ai tabulati telefonici (dei
provider per conoscere i siti visitati) sono provvedimenti riservati a illeciti
penali. In Paesi come gli Stati Uniti, dove la violazione del copyright è
punita con sanzioni pecuniarie, è comunque diffusa tale prassi nelle
indagini per violazioni del diritto d'autore.
Il Codice penale al cap.2 ("dei delitti in particolare") dedica un apposita
sezione a tale tema: "Dei delitti contro la inviolabilità del domicilio" (sez.
IV). Gli artt. 615 bis e ter specificano le pene per accesso abusivo ad un
sistema informatico o telematico, o interferenze illecite nella vita privata.
Gli strumenti che controllano il traffico web di un utente, "si mettono in
ascolto" su una porta del computer non utilizzata da alcun programma, e
funzionano come uno "strumento di ripresa sonora" che registra tutto il
traffico in ingresso e uscita dal nodo internet.
In questo caso è dato di sapere soltanto ciò che l'utente sta facendo con
il browser internet e con i programmi peer-to-peer, ma non con le altre
applicazioni (se ad esempio sta ascoltando una canzone, vedendo un
film, stampando un file). L'intrusione non consente un controllo o
manipolazione del computer, ma comunque di "mantenervisi contro la
volontà tacita di chi ha il diritto di escluderlo".
108
Entrando nelle reti di condivisione l'utente rende visibile una parte dei
file del suo computer e inevitabilmente i file che sceglie di scaricare.
Viene in questo modo a crearsi un conflitto con la normativa sulla
privacy: la conservazione dei dati dei download, anche in forma
aggregata e anonima, deve essere autorizzata nei confronti di chi
immette file nelle reti P2P per "testarne" il gradimento del pubblico,
oppure entra per perseguire in flagranza di reato chi viola i diritti di
copyright.
A detta di alcuni giuristi l'accesso è più grave del reato di violazione del
copyright che con esso si vuole reprimere. È stato osservato che è
eccessivo uno sconfinamento nella giustizia penale e che l'entità della
reclusione minima e massima non rispettano il proporzionalismo delle
pene se comparate con le pene detentive di altri reati.
Copyright, furto e plagio
Esiste un dibattito non solo sull'entità delle pene che una equiparazione
al furto viene a creare per la violazione di copyright, ma anche
sull'oggettiva somiglianza fra le due figure di reato. L'equiparazione al
furto comporta un considerevole inasprimento delle pene.
Analoghe considerazioni sul rispetto dell proporzionalismo delle pene
(rispetto alla gravità del reato) sorgono rispetto al palgio.
Il plagio prevede pene inferiori, nonostante l'utilizzo commerciale sia
un'aggravante nella violazione di copyright. In sostanza, chi fa copie e le
vende identiche commette un reato punito molto più severamente di chi
apporta lievi modifiche e, cambiando il titolo, si attribuisce una qualche
paternità dell'opera
109
III.IL
BACKGROUND
SOCIO-CULTURALE
DI
“FREE
CULTURE”
III.1 Introduzione
“Quando cominciai a lavorare nel laboratorio di Intelligenza Artificiale del MIT nel 1971,
entrai a far parte di una comunità in cui ci si scambiavano i programmi, che esisteva già
da molti anni. La condivisione del software non si limitava alla nostra comunità; è un cosa vecchia quanto i computer, proprio come condividere le ricette è antico come il cucinare. Ma noi lo facevamo più di quasi chiunque altro (Stallman 1999).”41
Qualsiasi tipo di software (un sistema operativo come Windows, un
editor di testi come Word, un browser come Explorer per navigare in Internet) altro non è che un insieme di istruzioni e di dati affidati ad un calcolatore elettronico, la cui interpretazione ed esecuzione genera un risultato (si va dalla possibilità di compiere calcoli matematici fino alle più
banali operazioni che solitamente si compiono con un computer come
ad esempio scrivere un' e-mail o leggere un file). Il calcolatore legge
dalla memoria dei comandi (sotto forma di liste di numeri) che indicano
alla macchina cosa è richiesto e quali sono i dati su cui operare; la macchina li interpreta ed invia alla memoria il risultato delle operazioni effettuate. Questi comandi vengono impostati dal programmatore attraverso
uno speciale linguaggio che consente di indicare in modo intelligibile
quali operazioni compiere, raggruppando in una sintassi comprensibile
all'uomo le sequenze di numeri che sono richieste dalla macchina. Le
sequenze di numeri sono raggruppate nel programma eseguibile vero e
•
41
STALLMAN R. (1999), Il progetto GNU in Open Sources – Voci dalla rivoluzione Open Source,
Apogeonline.
http://www.apogeonline.com/openpress/libri/545/index.html
109
110
proprio (mentre i comandi scritti dal programmatore compongono il cosiddetto codice sorgente (in inglese source code).
La conversione del codice sorgente in programma eseguibile, quindi di
un comando umano in un linguaggio comprensibile alla macchina, avviene attraverso un software chiamato compilatore che si differenzia a
seconda del linguaggio di programmazione utilizzato. E' importante sottolineare come questo processo sia di fatto irreversibile in quanto il codice eseguibile non viene solo tradotto ma viene anche ottimizzato per
migliorarne il funzionamento di conseguenza, pur esistendo degli appositi programmi di decompilazione che effettuano il reverse engineering
cioè il processo opposto, è assolutamente impossibile giungere al codice sorgente originario ma solo ad uno che ricompilato porta ad un codice sorgente funzionalmente uguale a quello iniziale. Nel caso del software Free ed Open Source, oltre al rilascio del codice eseguibile (ossia
del software, così come siamo abituati a conoscerlo) si ha il rilascio del
codice sorgente creato dai programmatori, nonché la garanzia di alcune
libertà “fondamentali” riguardanti la possibilità di modificare il codice
sorgente e tutelate da innovative forme di licenza. In sostanza il rilascio
del codice sorgente assieme al software, venduto o regalato, può essere visto come la cessione di un prodotto e del relativo progetto.
Al contrario, nel caso del software proprietario il codice sorgente non è
disponibile liberamente. L'avvento dell'Open Source che, si badi bene,
non prevede in assoluto la gratuità del software, sta ovviamente mettendo in discussione tutto il modello economico fin qui adottato dall'industria del software di conseguenza si cercherà di analizzare innanzitutto il modello finora usato e la sua storia, per poi cercare di determinare
quali variazioni esso stia portando e dovrebbe portare in futuro. Si cercherà poi di capire se il software libero possa essere una valida alternativa a quello proprietario considerando aspetti di convenienza tecnica ed
economica.
110
111
La maggior parte degli utilizzatori di programmi per pc relativamente si
pone il problema di quale sistema operativo scegliere per far lavorare la
propria macchina, anzi spesso, non è neanche a conoscenza delle
differenza di base che ci sono tra software proprietario e software libero.
Spesso infatti il software è un oggetto “proprietario”, chiuso, di cui
difficilmente si può conoscere il codice sorgente e qualunque modifica
alla versione originale (attività considerata peraltro illecita essendo
questi prodotti protetti da leggi sul copyright o da brevetti industriali)
viene resa impossibile.
Agli albori dell'informatica la situazione era profondamente diversa: i
codici sorgenti dei programmi erano aperti (quindi disponibili a tutti)
affinché ogni utente potesse intervenire migliorandone le prestazioni e
personalizzare le funzioni dei singoli prodotti. I software nascevano da
comunità di programmatori che ispiravano la propria attività secondo un
modello cooperativo, in grado di coinvolgere e portare il meglio della
professionalità, dell’ingegno e della creatività di ciascuno. Ai giorni
nostri, per fortuna, qualcosa sta cambiando. Prodotti come il sistema
operativo Linux, il web server Apache, linguaggi di programmazione
come Perl e Python sono la dimostrazione che è possibile produrre
software di qualità estremamente raffinata, affidabile e robusta grazie al
contributo collaborativo di migliaia di programmatori sparsi in tutto il
mondo.Si sente spesso parlare di hacker e di hacking,e anche qui lo
faremo,senza però alludere alle pratiche di pirateria informatica. Si tratta
infatti di un concetto che esula da qualsivoglia connotazione negativa e
che nasce in un mondo ben lontano da quello evoluto e interconnesso in
cui possono pavoneggiarsi i veri pirati informatici.Il termine hacker viene
coniato alla fine degli anni '50, nel tempio della tecnologia che è il Mit42.
Hacker era considerato colui che sapeva trovare una soluzione brillante
a un problema informatico; nel tempo si è fatto poi riferimento a colui
42
Massachussetts Institute of Technology.
111
112
che mette in pratica una serie di valori quali la cooperazione, la libertà di
rielaborare e migliorare i prodotti intellettuali altrui. È grazie a questo
modo di lavorare che sono nati il primo personal computer, il web, Linux
(il sistema operativo alternativo a Windows). Gli hacker rivendicano con
vigore la libertà di diffondere le conoscenze a tutti i livelli, a favore di
chiunque e per il beneficio di tutti, in primo luogo del sapere informatico.
Un hacker è quindi un esperto di informatica a cui piace programmare,
che lo fa non con intenti di profitto ma per una sorta di irrefrenabile
passione, quasi per vocazione. la comunità hacker ruota attorno
addirittura ad una ferrea etica, che poi vedremo riverberarsi anche sulle
problematiche di copyright e proprietà intellettuale che qui ci interessano
principalmente. Al nostro concetto di pirata informatico, ovvero colui che
prova compiacimento e autoaffermazione danneggiando (’crackando’) i
più disparati sistemi informatici, si addice maggiormente il neologismo
cracker.
III.2 LE RADICI STORICHE.
Questi “pionieri”43, in genere ricercatori di alcune università americane
quali il MIT di Boston e l'università di Berkeley in California, ebbero in tal
senso l'indubbio merito di essere i primi a concepire le possibili
applicazioni informatiche di concetti quali interattività e rete. Fu con loro
che si crearono le basi della cultura hacker, movimento al cui interno si
è sviluppata appunto la filosofia del software libero. Non è un caso che il
primo luogo in cui si iniziò a parlare di hacker fu appunto il MIT di
Boston: l'origine della cultura hacker, come oggi la conosciamo, si può
43
CARLO GUBITOSA, Hacker, scienziati e pionieri: storia sociale del ciberspazio e della
comunicazione elettronica.Prefazione di Howard Rheingold, postfazione di Bernardo
Parrella,Collana Eretica, Stampa Alternativa, 2007
112
113
fare risalire al 1961, anno in cui il MIT acquistò il primo PDP-144. Il
comitato Signals and Power del “Club Tech Model Railroad” (TMRC) del
MIT, adottò la macchina quale prediletto giocattolo tecnologico creando
strumenti di programmazione, linguaggi. Gli hacker della TMRC
divennero il nucleo dell'Artificial Intelligenge Laboratory (Laboratorio di
Intelligenza Artificiale) del MIT, il principale centro di ricerca AI
(Intelligenza Artificiale) su scala mondiale nei primi anni Ottanta e la loro
influenza si protrasse ben oltre il 1969, il primo anno di ARPAnet45.
ARPAnet è stata la prima rete transcontinentale di computer ad alta
velocità. Ideata e realizzata dal Ministero della Difesa statunitense come
esperimento nelle comunicazioni digitali, crebbe fino a diventare un
collegamento tra centinaia di università, esponenti della difesa e
laboratori di ricerca. Essa permise a tutti i ricercatori, ovunque essi si
trovassero, di scambiarsi informazioni con velocità e flessibilità senza
precedenti, dando un forte impulso allo sviluppo del lavoro di
collaborazione e accelerando enormemente il ritmo e l'intensità del
progresso tecnologico.
Ma ARPAnet fece anche qualcos'altro: le sue “autostrade elettroniche”
misero in contatto gli hacker di tutti gli Stati Uniti e questi, fino a quel
momento isolati in sparuti gruppi, ognuno con la propria effimera cultura,
si riscoprirono (o si reinventarono) nelle vesti di vera a propria tribù di
rete. Ben presto i ricercatori cominciarono a condividere un certo senso
di appartenenza ad una comunità e ad una cultura comune, sentendo il
bisogno di divulgare ciò che scoprivano e avendone in cambio altre
informazioni importanti per il proprio lavoro. Il software prodotto era
scambiato liberamente o in cambio di somme irrisorie a titolo di
contributo per le spese e spesso chi lo riceveva operava innovazioni e
44
Il PDP-1 era un computer della Digital Equipment Corporation (DEC)
ARPAnet (Advanced Research Project Agency Network) è l’antenata dell’odierna rete internet. In essa
era già presente il protocollo TCP/IP.
45
113
114
cambiamenti che poi rendeva disponibili a sua volta.
Le
prime
intenzionali azioni di hackeraggio,
i primi linguaggi
caratteristici, le prime satire, i primi dibattiti autocoscienti sull'etica
hacker, tutto questo si propagò su ARPAnet nei suoi primi anni di vita.
La cultura hacker mosse i primi passi nelle università connesse alla
Rete, in particolare modo (ma non esclusivamente) nei loro dipartimenti
di scienza informatica. Dal punto di vista culturale l'AI Lab (Laboratorio
di Intelligenza Artificiale) del MIT è da considerarsi il primo tra laboratori
di pari natura a partire dai tardi anni Sessanta, anche se istituti come il
Laboratorio di Intelligenza Artificiale dell'Università di Stanford (SAIL) e
più tardi l'Università Carnegie-Mellon (CMU) divennero in seguito quasi
altrettanto importanti.
Tutti costituivano fiorenti centri di scienza dell'informazione e ricerca
sull'intelligenza
artificiale,
tutti
attiravano
individui
brillanti
che
contribuirono al grande sviluppo del mondo degli hacker, sia dal punto di
vista tecnico che folcloristico. Fin dai giorni del PDP-1 le sorti
dell'hacking si intrecciarono alla serie di minicomputer PDP della Digital
Equipment Corporation (DEC). La flessibilità, la potenza e la relativa
economicità di queste macchine portarono molte università al loro
acquisto. Ciò costituì l'habitat ideale per lo sviluppo della cultura hacker
e anche ARPAnet fu costituita, per la maggior parte della sua durata, da
una rete di macchine DEC. In occasione però dell'uscita del modello
PDP-10, nel 1967, il MIT si rifiutò di utilizzare il software DEC del
computer, scegliendo di creare un proprio software chiamato ITS:
l'obiettivo infatti era quello di agire autonomamente.
nel 1969 grazie al lavoro di uno sviluppatore dei laboratori Bell: Ken
Thompson, venne creato Unix . il primo sistema operativo sviluppato in
linguaggio C (un particolare linguaggio di programmazione) e non in linguaggio macchina (binario) ed era il primo a realizzare l’idea di portabili114
115
tà e compatibilità. Prima di Unix ogni computer necessitava un apposito
sistema di software (sistema operativo + programmi vari); ogni volta che
la macchina veniva aggiornata o sostituita era necessario riprogettare
gran parte del sistema software.
Grazie a Thompson invece il ruolo del software si fece più dinamico e
più facilmente gestibile, indipendentemente dal supporto hardware su
cui era installato; fu dunque possibile affacciarsi su un mercato
dell’informatica decisamente più ampio ed elastico. Il 1969 è inoltre
l’anno in cui furono collegati per via telematica i nodi dei centri di ricerca
informatici di quattro grandi università statunitensi (Los Angeles, Santa
Barbara, Stanford,Utah): nacque così ARPAnet, riconosciuta da tutti
come l’effettivo embrione dell’Internet dei nostri tempi.
Un altro hacker, di nome Dennis Ritchie, inventò un nuovo linguaggio,
chiamato C46, da usare con una versione Unix di Thompson ancora allo
stato embrionale. Thompson e Ritchie avevano in mente qualcosa di
ben più ambizioso. Per tradizione, i sistemi operativi erano stati fino ad
allora scritti su misura per uno specifico hardware al fine di raggiungere
la massima efficienza e questo, come si è già visto, determinava
l'inesistenza di software standardardizzati fra i produttori di hardware.
Thompson e Ritchie furono tra i primi a capire che la tecnologia
dell'hardware e del linguaggio C aveva ormai raggiunto un livello di
maturità tale da poter scrivere in C un intero sistema operativo: nel 1974
l'intero ambiente operativo era già regolarmente installato su numerose
macchine di diversa tipologia. Si trattò di un evento senza precedenti e
le implicazioni che ne derivarono furono enormi. Se davvero Unix
46
Il linguaggio di programmazione C viene tuttora ampiamente usato per la sua
“portabilità” (dal termine inglese portability)cioè per la sua capacità di scrivere
istruzioni, indipendentemente dall'architettura del calcolatore su cui le istruzioni
stesse saranno eseguite. Questo fa si che lo stesso software possa funzionare
su computer totalmente diversi senza dover essere di volta in volta riadattato.
115
116
poteva presentare la stessa interfaccia e le stesse funzionalità su
macchine di diverso tipo, era sicuramente anche in grado di fungere da
ambiente software comune per tutte. Gli utenti non avrebbero mai più
dovuto pagare per nuovi software appositamente progettati ogni volta
che una macchina diventava obsoleta.
Gli hacker erano in grado di trasferire gli stessi strumenti software da
una macchina all'altra anziché dover reinventare l'equivalente di un
certo comando ogni volta che una macchina diventava obsoleta e
doveva essere sostituita con una più moderna. Sia Unix che C avevano
delle caratteristiche rivoluzionarie per l’epoca poiché si basavano su un
concetto di semplicità estraneo al modo di programmare un po’ barocco
ed involuto comune a quel tempo. L’intera struttura logica di C poteva
essere, più o meno facilmente, memorizzata dal programmatore (al
contrario della maggior parte degli altri linguaggi) limitando il ricorso ai
manuali mentre Unix era a sua volta strutturato come un pacchetto
flessibile di semplici programmi/moduli pensati per combinarsi in vari
modi a seconda delle esigenze, superando il concetto imperante di un
unico blocco software disegnato specificatamente e su misura per una
determinata macchina.
La diffusione di Unix in AT&T fu estremamente rapida a dispetto della
mancanza di programmi e di supporto formale; queste caratteristiche
fecero si che Unix fosse presto adottato dalla maggior parte delle
università, dei Laboratori di ricerca informatica ma soprattutto da una
moltitudine di hacker. Esso infatti aveva integrata al suo interno una
specifica task47 di networking, una caratteristica grazie alla quale due
macchine Unix potevano comunicare scambiandosi dati attraverso una
normale linea telefonica; nacque così quella che ancora oggi è chiamata
47
Il termine informatico task indica un processo eseguito dall'elaboratore in un
certo momento. Per esempio il programma
usato per scrivere questo elaborato è un processo.
116
117
Usenet, un network di utenti Unix che diede un grosso stimolo alla
diffusione e alla condivisione del software (andava a raccogliere i vari
gruppi di discussione, oggi noti come newsgroup).
Anche se questo metodo di trasmissione risultava lento, consentiva
comunque a qualsiasi utilizzatore di questo sistema operativo di
comunicare senza per forza dover accedere ad ARPAnet, appannaggio
esclusivo al tempo di pochi soggetti istituzionali ben determinati. Il fatto
che AT&T, detentrice attraverso i Laboratori Bell del progetto Unix, negli
anni Cinquanta fosse stata costretta dalle autorità antitrust statunitensi a
non intraprendere qualsiasi attività commerciale al di fuori dei servizi
telefonici e di quelli telegrafici, fece sì che Unix stesso non potesse
essere fornito con un servizio di assistenza e correzione dei bug48.
Pertanto la comunità di utenti/sviluppatori si trovò in un certo senso
costretta a sviluppare autonomamente il codice sorgente, apportando
modifiche e miglioramenti che ovviamente finivano per essere
liberamente condivisi.
Nel 1979, AT&T si rese conto della diffusione e dell'alto livello qualitativo
raggiunti da Unix (giunto ormai alla sesta versione AT&T), grazie
soprattutto allo sviluppo operato dagli utenti/programmatori, e percepì
che il mancato sfruttamento commerciale avvenuto fino a quel momento
costituiva un danno economico (fino ad allora aveva concesso il codice
sorgente a università e centri di ricerca attraverso licenze a basso
costo). Per questo motivo sfruttando una scissione in 26 società,
chiamate BabyBell, che permetteva di aggirare le severi normative
48
18 Dall'inglese bug, cioè baco. Nel software sta ad indicare un difetto, un
errore di programmazione presente nel codice
sorgente. Spesso vengono sfruttati da esperti informatici malintenzionati per
accedere ad un software e infettare un computer con un virus. Ovviamente solo
avendo a disposizione il codice sorgente è possibile rilevare e correggere
l'errore, per quanto la cosa richieda una certa conoscenza tecnica.
117
118
antitrust, AT&T iniziò prima a limitare lo studio del codice sorgente,
impedendo di fatto sia ai centri universitari che agli stessi Laboratori Bell
di continuarne lo sviluppo, e poi negli anni successivi iniziò ad esercitare
il copyright che deteneva sullo stesso.
Tuttavia lo sfruttamento commerciale di Unix si rivelò presto un
fallimento provocando, al contrario di quello che sperava AT&T (cioè il
conseguimento del monopolio del mercato), la creazione di una babele
di versioni diverse parzialmente incompatibili fra loro. Molti degli ex
sviluppatori infatti, non accettando di pagare i diritti ad AT&T per l'uso
del codice sorgente di Unix, preferirono passare a versioni alternative. In
particolare si diffuse la BSD49, sorta già nel 1977 come versione
alternativa allo Unix ufficiale e chesuccessivamente sarebbe stata
ripresa dalla Sun Microsystem, una società fondata da alcuni hacker
dell'università californiana. La BSD ottenne un grande successo
conquistando buona parte del mercato, soprattutto perché siabbinava a
soluzioni hardware innovative come la possibilità di collegare fra loro più
terminali grazie alle interfacce Ethernet.50
Uno dei grandi meriti però che ebbe la BSD fu quello di aver per prima
incorporato nei propri sistemi e supportato il rivoluzionario protocollo di
rete TCP/IP che offriva una soluzione al problema delle reti favorendo
un'ulteriore crescita di Internet. Si scatenò in quegli anni una “guerra
degli Unix” che sarebbe durata per tutto il decennio, spesso con lotte di
natura legale, a causa del copyright sul codice: da una parte vi erano la
BSD della Sune tutta una serie di altre versioni, comunque proprietarie,
che consentivano di risparmiare i costi della licenza AT&T,dall'altra la
versione ufficiale (AT&T).
49
Berkeley Software Distribution, dell'omonima Università.
In pratica si trattava di una connssione LAN (Local Area Network, che indica una rete limitata ad un
certo ambiente, come una rete aziendale. Ethernet è invece il protocollo informatico usato per le reti LAN.
50
118
119
Nacque dunque nei primi anni 80 il concetto di personal computer, sicuramente grazie all’impegno degli hacker nel "liberare l’hardware", ma
anche per ben più venali interessi economici da parte delle imprese che
iniziarono a "sentire odore di affari". La International Business Machine
(IBM) infatti mise sul mercato il suo primo computer da tavolo chiamato
appunto IBM-PCe in contemporanea la stessa scelta di marketing venne
compiuta dalla Apple e dalla Atari. IBM adotta inizialmente una politica
aziendale piuttosto "illuminata", cercando di incoraggiare la diffusione e
lo sviluppo del software e stimolando la collaborazione di altre importanti
imprese,come la Microsoft che realizzò il sistema operativo per i nuovi
computer: il sistema MS-DOS.
In tal modo, quello strano aggeggio dotato di schermo e tastiera cominciava a fare capolino negli arredi delle case e degli uffici di tutto il mondo
e in molti casi dovette "svilire" la sua funzione,essendo sfruttato come
gioco e passatempo invece che come strumento di calcolo. In questo
modo una massa di persone inesperte si trovò ad utilizzare giochi e software senza essere in grado di capire di cosa effettivamente si trattasse
e di come fossero stati sviluppati, scegliendo i prodotti in base alla pubblicità o semplicemente affidandosi a pacchetti standard.
Tra i cambiamentideterminati dalla nuova configurazione hardware vi fu
sicuramente la trasformazione della collegata industria del software: il
sistema operativo divenne il programma più importante. Fu in quegli
anni che Microsoft iniziò a stabilire le basi del suo successo. La qualità
del software non era più un fattore di differenziazione tra i costruttori
dell’hardware per cui in questo contesto escludere gli altri dall’accesso
ai sorgente era essenziale per il dominio del mercato delle applicazioni
software. Si diffuse così sempre più la pratica di creare software chiuso.
In questo contesto fu radicale il passaggio dei migliori programmatori
dalle strutture di ricerca accademiche verso il laboratori delle imprese.
La fuoriuscita dei ricercatori (anche dal MIT) evidenziò la crescita di un
119
120
mercato del software caratterizzato dalla protezione della proprietà
intellettuale. Coloro che erano rimasti nelle università furono obbligati a
negoziare tali diritti con le imprese per ottenere copie eseguibili di alcuni
importanti software; il loro lavoro che fino a poco tempo prima,
attraverso la condivisione e la libera distribuzione dei codici sorgente,
aveva contribuito notevolmente allo sviluppo di questi prodotti venne
considerato alla stregua della pirateria informatica. La qualità dei
prodotti software iniziò a peggiorare velocemente: la mancata
disponibilità dei sorgente non consentiva la comprensione e la
correzione dei difetti, per non parlare del suo sviluppo. Ma vi fu anche
chi tentò di reagire a questo stato di cose.
III.3 GNU's not Unix
Richard Stallman, una figura chiave del Laboratorio di Intelligenza
Artificiale del MIT e accanito oppositore della commercializzazione della
tecnologia del laboratorio, si impegnò per la ricostruzione della comunità
di sviluppo accademica. Senza saperlo avrebbe dato vita al movimento
Free Software dal quale sarebbe poi sorto l'Open Source. Stallman
desiderava cambiare il sistema socio-economico e legale che in quel
contesto limitava la condivisione del software. Il primo impegno era
quindi quello di contrastare l'industria del software e le regole da essa
applicate per la difesa della proprietà intellettuale. A tal proposito, dopo
aver abbandonato i laboratori del MIT, in quanto contrario alla
prospettiva che i frutti del suo lavoro venissero commercializzati e non
più resi liberamente disponibili alla comunità, avviò nel 1984 il progetto
120
121
GNU (dall'acronimo GNU's not Unix, cioè GNU non è Unix)51 per la
realizzazione di un sistema operativo liberamente accessibile, basato su
Unix e compatibile con lo stesso nonché completo di applicazioni e
strumenti di sviluppo.
“L'obiettivo principale di GNU era essere software libero. Anche se GNU
non avesse avuto alcun vantaggio tecnico su UNIX, avrebbe avuto sia
un vantaggio sociale, permettendo agli utenti di cooperare, sia un
vantaggio etico, rispettando la loro libertà (Stallman, 1999).”
Nel 1985, a sostegno del progetto GNU venne fondata la Free Software
Foundation (FSF) con l'obiettivo di ricostruire un insieme di prodotti
basati sul concetto di software libero e di raccogliere fondi attraverso sia
le donazioni che la vendita di programmi (sia GNU che non GNU) e
della relativa manualistica. Nello stesso anno, persollecitare la
partecipazione e il sostegno al progetto, Stallman scrisse il documento
contenente le linee guida del progetto: il Manifesto GNU52. Nel
vocabolario inglese il termine free assume il significato di “libero” tuttavia
viene spesso inteso anche come “gratis”; Stallman riferendosi al free
software ovviamente non si riferiva alla gratuità dello stesso quanto alla
sua libertà.Per la FSF l'espressione "software libero" si riferiva (e si
riferisce tuttora) alla libertà dell'utente di eseguire, copiare, distribuire,
studiare, cambiare e migliorare il software. Più precisamente, esso si
51
STALLMAN R. (1999), Il progetto GNU in Open Sources – Voci dalla rivoluzione Open Source,
Apogeonline.
•
52
STALLMAN R. (1985), Il manifesto GNU, Apogeonline.
h ttp://www.gnu.org/gnu/manifesto.it.html
121
122
basa su quattro tipi di libertà per gli utenti del software:
_ Libertà di eseguire il programma, per qualsiasi scopo.
_ Libertà di studiare come funziona il programma e adattarlo alle proprie
necessità. L'accesso al codice sorgente ne è un prerequisito.
_ Libertà di ridistribuire copie in modo da aiutare il prossimo.
_ Libertà di migliorare il programma e distribuirne pubblicamente i
miglioramenti, in modo tale che tutta la comunità ne tragga beneficio.
L'accesso al codice sorgente ne è un prerequisito.
Queste quattro libertà portarono a delle conseguenze molto importanti.
La prima è che un programma libero quale il sistema operativo GNU
non necessita di alcun permesso aggiuntivo per essere eseguito in
diversi ambienti; non vi sono limitazioni di sorta all'uso in scuole,
aziende, enti pubblici, secondo le finalità determinate da ciascun
contesto. La seconda conseguenza è la possibilità di modificare il
software in ogni sua parte, nella maniera che più si adatta alle esigenze
personali senza alcun obbligo di notifica. Tuttavia, chi voglia rendere
disponibili i programmi originari (terza libertà) o le proprie modifiche
(quarta libertà) è libero di farlo, se non addirittura incoraggiato, nel nome
di quella collaborazione che il software proprietario invece nega. La
distribuzione può avvenire sia in forma eseguibile che sorgente (nel
primo caso il codice sorgente deve comunque essere sempre facilmente
reperibile).
Un altro aspetto molto importante, ribadito da Stallman, è che il termine
“software libero” non significa “non commerciale” e che quindi la
redistribuzione del software non debba essere necessariamente
gratuita: chiunque può
122
123
richiedere il pagamento per il supporto fisico53 attraverso cui avviene la
distribuzione, per l'eventuale assistenza fornita al prodotto o per
qualsiasi altro motivo. Lo stesso Stallman si espresse chiaramente in
questi termini: “The term free software has nothing to do with price. It is
about freedom”54. Va fatto notare che in realtà nel software libero c'era e
c'è tuttora qualcosa di gratuito, cioè la licenza d'uso che invece nel
software proprietario viene fatta pagare. La Free Software Foundation
aveva poi il compito di proteggere il software libero da possibili tentativi
di appropriazione e di sfruttamento commerciale: senza alcuna
protezione legale infatti chiunque avrebbe potuto inserire il codice
sorgente del software GNU all'interno di soluzioni proprietarie. In tal
senso il primo problema che si dovette affrontare fu l'inadeguatezza
delle licenze che a quel tempo accompagnavano il software il cui scopo
era la descrizione dettagliata dei comportamenti ammessi e di quelli
considerati illeciti da parte di programmatori e utilizzatori del software.
III.4 Il permesso d'autore (copyleft) e la GNU GPL
Ricorrendo all'aiuto di esperti legali, Stallman creò la General Public
License (GPL) e fu introdotto il concetto di copyleft che si contrappone a
quello di copyright: invece di proteggere i diritti di proprietà su un
prodotto ne protegge la libertà di essere copiato, diffuso, analizzato e
modificato. La GPL finalmente offriva regole certe per i progetti
sviluppati dalla FSF, fu così possibile costruire una comunità di sviluppo
53
54
Supporto di memoria, tipo cd o dvd.
STALLMAN R. (1985), Il manifesto GNU, Apogeonline.
http://www.gnu.org/gnu/manifesto.it.html
123
124
volontaria formata non solo da ricercatori e universitari e basata su un
modello alternativo di creazione del software che più avanti sarebbe
stato chiamato Bazar in netto contrasto con il modello commerciale
denominato Cattedrale55. Nel corso degli anni Ottanta il progetto GNU
progredì senza però raggiungere la completa autonomia da Unix: alla
fine
del
decennio
infatti
mancava
ancora
una
componente
fondamentale, il kernel56, cioè il cuore del sistema operativo. Stallman si
era dedicato ad esso attraverso il progetto HURD senza però arrivare
ad un risultato soddisfacente dal punto di vista tecnico.
A questo punto del progetto emerge l'esigenza di trovare dei termini di
distribuzione che evitassero che il software GNU venga trasformato in
software proprietario. La risposta a questa esigenza viene chiamata
permesso d'autore o copyleft.
Il permesso d'autore (copyleft) usa le leggi sul diritto d'autore
(copyright), ma le capovolge per ottenere lo scopo opposto: invece che
un metodo per privatizzare il software, diventa infatti un mezzo per
mantenerlo libero. Il succo dell'idea consiste nel dare a chiunque le 4
libertà, ma senza dare il permesso di aggiungere restrizioni. In tal modo,
le libertà essenziali che definiscono il software libero diventano diritti
inalienabili.
perché il copyleft sia efficace, anche le versioni modificate devono
essere libere. Infatti realizzare una versione personale di un software e
tenerla per sè non è vietato dal copyleft. È vietato redistribuirla con
55
ERIC S. RAYMOND, "La cattedrale ed il
www.apogeonline.com/openpress/doc/cathedral.html
56
bazaar"
–
1998,
Apogeo
,Open
press,
Il kernel è la parte fondamentale di un sistema operativo. Si tratta di un software con il compito di fornire
ai programmi inesecuzione sul computer, un accesso sicuro e controllato all'hardware. Siccome possono
esserci più programmi in esecuzione simultanea e l'accesso all'hardware è limitato, il kernel ha anche la
responsabilità di assegnare una porzione di tempo macchina e di accesso all'hardware a ciascun
programma, funzione detta multiplexing.
124
125
licenze che non siano copyleft.
La specifica implementazione di permesso d'autore che viene utilizzata
per la maggior parte del software GNU è la GNU General Public License
(licenza pubblica generica GNU), abbreviata in GNU GPL.
III.5 La Free Software Foundation
Per portare a compimento il progetto GNU, nel 1985 Stallman costituì la
FSF (Free Software Foundation), un'organizzazione no profit basata su
contributi volontari in lavoro e in denaro. Infatti gli aderenti alla FSF
possono offrire come proprio contributo sia lavoro per la scrittura di
codice o documentazione, sia denaro offerto come donazione o
sottoscrizione, e godere degli sgravi fiscali come tutti i contributi in
beneficenza.
La costituzione di questa istituzione rispondeva all'esigenza pratica di
finanziare lo sviluppo di GNU, e raccogliere attorno al progetto un
insieme permanente di professionisti programmatori in grado di svolgere
con continuità e a tempo pieno attività di programmazione e assistenza
tecnica. Oggi la FSF occupa a tempo pieno alcuni programmatori e
tecnici, oltre ad alcuni impiegati che gestiscono l'attività organizzativa.
Accanto ad essi si raccoglie quel mare di volontari appassionati che
l'estensione di Internet ha reso possibile.
La FSF è diventata progressivamente un punto di riferimento per gli
ideatori di software e si è anche qualificata come un'istituzione di
garanzia della qualità di un prodotto e di protezione dei diritti del
software libero. Infatti collabora con la "League for Programming
Freedom",
che
raggruppa
accademici,
programmatori
e
tecnici
informatici, utilizzatori e piccole compagnie di software, con l'obiettivo di
125
126
difendere il diritto di scrivere programmi di software libero. La Lega non
si oppone al sistema legislativo del copyright, ma intende porre un limite
alle sentenze giudiziarie che accordano una protezione diffusa a
qualsiasi idea che nasca nell'ambito dell'industria informatica. In questo
modo, vengono nei fatti favoriti gli interessi specifici delle grandi
imprese, le sole che possono pagare le spese legali di deposito del
brevetto anche nel caso delle soluzioni più banali. La FSF sostiene la
League in nome di una comune difesa alla produzione di software
anche per le piccole imprese che producono software proprietario, la cui
attività é messa seriamente in pericolo dal sistema dei brevetti del
software e dal copyright per le interfacce.
Obiettivo della FSF è, comunque, quello più ampio di promuovere un
progetto etico e un nuovo modo di lavorare.
Entrambe le dimensioni derivano direttamente dal significato attribuito al
free software. Le ragioni e i vantaggi connessi alla libertà del software
richiamano i principi dell'etica hacker, un'etica che non é mai stata
formalizzata
in
alcun
documento
ufficiale,
ma
che
è
stata
spontaneamente e variamente applicata e condivisa.
In breve essi si possono così sintetizzare.
| Il diritto alla libera circolazione del software e alla sua duplicazione
rimandano al principio generale che tutta l'informazione deve essere
libera con grande beneficio per il sistema sociale nel suo complesso.
La condivisione dell'informazione é un bene potente e positivo per la
crescita sociale e della democrazia, una difesa contro controlli dall'alto e
pericoli tecnocratici. Esso dà all'utilizzatore l'opportunità di interagire con
il prodotto e di controllarlo. Aiuta a stimolare lo sviluppo della
conoscenza e a diffonderla.
In senso ampio, quindi, può favorire il processo di partecipazione
contribuendo a formare un membro della comunità o un cittadino più
preparato.
126
127
La rivoluzione digitale e la diffusione dei calcolatori, rendendo più
semplice lo scambio di informazione, possono apportare un beneficio
generale.
Un libero scambio di informazioni, soprattutto quando si traduce in uno
strumento importante come un programma per computer, promuove una
maggiore creatività complessiva.
Si eviterebbe, così, di sprecare tempo, risorse, energie per replicare
quello che altri già fanno, cioè di perdere tempo per reinventare la ruota.
| Il modo migliore per favorire il libero scambio delle informazioni è
quello di promuovere un apprendimento diffuso e qualificato attraverso
sistemi "aperti", che non pongano barriere fra il lavoro e l'informazione.
Nella tradizione e nell'etica degli hacker le barriere alla circolazione
dell'informazione costituiscono pesanti limiti alla conoscenza e, nel
divieto di accesso all'artefatto, cioè al programma, viene individuato un
ostacolo alla creatività e alla libera espressione del pensiero.
| La libertà di modificare il software richiama l'imperativo del buon
inventore artigiano "di metterci le mani" per capire il funzionamento delle
cose e per migliorarle.
| Il piacere e il divertimento sono un importante incentivo alla
programmazione.
Il computer non é solo uno strumento funzionale per facilitare compiti
ripetitivi, ma anche un mezzo per estendere l'immaginazione personale.
La flessibilità dei programmi, le loro possibilità di evoluzione
costituiscono una sfida continua per chi li usa in modo intelligente.
Le possibilità di innovazione continua offrono un contributo alla crescita
dell'intelligenza e allo sviluppo della professionalità, a differenza di
procedure routinarie che sono, invece, vere e proprie barriere.
In sostanza, ad un'organizzazione del lavoro burocratica si vuole
contrapporre
un'organizzazione
interattiva
e
creativa,
a
un'organizzazione sociale basata su status e ruoli definiti dal reddito o
127
128
dalla collocazione sociale, si contrappone una comunità eguali basata
sul merito.
III.6 La filosofia open source
Nei primi anni ’90 Linus Torvalds inizia a lavorare sulla costruzione di un
sistema operativo derivato da UNIX che prenderà il nome di “Linux”. Il
progetto cresce velocemente oltre ogni aspettativa, grazie soprattutto ai
contributi di scrittura del codice e di testing offerti dalle comunità hacker.
Nel frattempo, il modello del software libero attira investitori che
potrebbero fornire mezzi per affrontare altri progetti; la fermezza di
Stallman nel difendere lo spirito “puro” dell’idea scoraggia però ogni
approccio di tipo imprenditoriale.
Arriviamo così nel 1998 per compiere un nuovo passo in avanti. Nasce
la “Open source initiative” (OSI), con l’obiettivo dichiarato di avvicinare
la cultura del software proprietario (sviluppato da società grandi e
piccole che hanno fatto del software la propria fonte di reddito) a quella
del software libero.
Un documento scritto e pubblicato da Eric S.Raymond nel 1998, con il
titolo “La cattedrale ed il bazaar”, viene unanimemente considerato il
“manifesto” del software open source. Raymond mette a confronto due
diversi stili di sviluppo, il modello “cattedrale” (specifico nel mondo
commerciale) opposto al modello “bazaar” (caratterizzante invece il
mondo open source).
Si trattava di rinnovare marchio al prodotto, di costruire per il prodotto
una reputazione tale da attirare gli interessi delle aziende. Il primo passo concreto fu la fondazione dell'Open Source Initiative (OSI), un'orga128
129
nizzazione destinata ad elaborare un documento che aiutasse a definire
il software Open Source superando così i pregiudizi sul concetto di free
software. Il documento, che venne chiamato Open Source Definition
(OSD), derivava, su proposta di Perens, dalle Debian Free Software
Guidelines (Guida Debian al Free software), a loro volta figlie della definizione di software libero data da Stallman. La OSD si caratterizzò per il
fatto di non fornire tanto una precisa definizione del software Open
Source quanto i dieci requisiti che la licenza a tutela dello stesso avrebbe dovuto soddisfare per essere considerata tale.
Debian, una delle prime distribuzioni Linux, tuttora popolare, fu costruita
interamente con free software.
Tuttavia, dal momento che c'erano altre licenze oltre al copyleft che
comportavano la gratuità, essa ebbe qualche
problema nel definire che cosa fosse gratis e i produttori non resero mai
chiara la loro politica di free software al
resto del mondo. All'epoca, trovandosi a capo del progetto (Debian), Perens affrontò questi problemi proponendo un
Contratto Sociale Debian e la Guida Debian del Free Software nel luglio
del 1997. Molti sviluppatori inviarono
critiche e miglioramenti che furono incorporati nei documenti. Il Contratto Sociale documentava l'intenzione di
Debian di costituire il proprio sistema interamente con software libero e
la Guida rendeva facilmente possibile laclassificazione del software come tale o meno, confrontando la licenza software con la guida stessa.
Le linee guida della nuova strategia, sarebbero state quindi le seguenti.
•
Dimenticare la strategia “bottom-up”; puntare sulla strategia “top-
down”
Appariva ormai chiaro che la strategia storica seguita per Unix, vale a
dire la diffusione dei concetti dal basso verso l'alto (bottom-up). La conclusione inevitabile era che bisognava abbandonare la prima imposta129
130
zione e passare a imporre le decisioni dall'alto, cercando quindi di coinvolgere in primo luogo i dirigenti delle alte sfere.
Linux è il caso più rappresentativo.
• Catturare le società
Bisognava sfruttare la portata di Linux, sia dal punto di vista tecnico, vista la capacità produttiva della sua comunità, che
da quello mediatico, per attirare le simpatie dei potenziali investitori, in
particolare di quelli più semplici da raggiungere e con maggiori capitali,
cioè le 500 più importanti società quotate a Wall Street.
• Cooptare i mass media di prestigio che si rivolgono alle società più
quotate
• Istruire gli hacker in tattiche di guerriglia marketing
La scelta di puntare a queste società richiedeva di attirare l'attenzione
dei mezzi di comunicazione che formano le
opinioni dei top manager e degli investitori, specificamente New York
Times, Wall Street Journal, Economist, Forbes e
Barron's Magazine. Era necessario però che lo sforzo in tal senso avvenisse non solo dagli ambasciatori come
Raymond, Perens, Torvalds ma da parte di tutta la comunità hacker.
• Utilizzare il marchio di certificazione Open Source come garanzia di
genuinità
130
131
III.7 La definizione di open source
Open source non significa solamente accesso al codice sorgente. I
termini di distribuzione di un programma open source devono rispettare i
criteri seguenti:
1. libera redistribuzione: la licenza non può limitare nessuna delle parti
nella vendita o nella fornitura di software come componente di una
distribuzione di software aggregati, contenente programmi provenienti
da fonti diverse.
2. codice sorgente: il programma deve includere il codice sorgente, e
deve consentire la distribuzione sia sotto forma di codice sorgente sia in
forma compilata.
3. prodotti derivati: la licenza deve consentire l'attuazione di modifiche e
di prodotti derivati, consentendo inoltre la loro distribuzione sotto gli
stessi termini di licenza del software originale.
4. integrità del codice sorgente dell'autore: la licenza deve consentire
esplicitamente la distribuzione di software realizzato a partire dal codice
sorgente modificato.
5. nessuna discriminazione verso singoli o gruppi: la licenza non deve
porre discriminazioni verso qualsiasi persona o gruppo di persone.
6. nessuna discriminazione verso campi di applicazione: la licenza non
deve porre limitazioni sull'uso del programma in un particolare campo di
applicazione.
7. distribuzione della licenza:
i diritti allegati al programma devono
applicarsi a tutti coloro a cui viene ridistribuito il programma, senza la
necessità di applicare una licenza supplementare per queste parti.
8. la licenza non deve essere specifica per un prodotto: i diritti allegati al
programma non devono dipendere dal fatto che il programma faccia
parte di una distribuzione particolare.
9. la licenza non deve contaminare gli altri programmi: la licenza non
131
132
deve porre limitazioni su altro software che venga distribuito insieme
con il software in licenza.
10.
conformità della licenza e della certificazione: qualsiasi
programma che faccia uso di licenze certificate come conformi alla
Open Source Definition può utilizzare il marchio registrato “open
source”, e il codice sorgente può essere dichiarato esplicitamente di
pubblico dominio.
.
Cosa significa “libero”?
Un software si considera libero quando all’utente viene concessa ha
libertà di:
eseguire il programma per qualsiasi scopo;
modificare il programma secondo i propri bisogni (è in pratica
necessario garantire l’accesso al codice sorgente del programma);
distribuire copie del programma, gratuitamente o anche dietro
compenso;
distribuire versioni modificate del programma, così che la comunità
possa fruire dei miglioramenti apportati.
Il termine “free” a cui spesso si associa il software libero può essere
male interpretato perché “free” vuol anche dire gratuito - oltre che libero
- ma non ha niente a che vedere con il prezzo del software. Si tratta di
libertà, e quindi è perfettamente lecito utilizzare software libero anche
per motivi commerciali. Una parte della comunità “Free Software”
introdusse nel 1998 il termine “open source” con un duplice obiettivo:
o escludere il termine “free” e l’ambiguità fra “libero” e “gratuito”;
o promuovere il movimento rinnovandone il “marchio” e costruendo una
reputazione che attirasse gli interessi delle aziende.
132
133
“Software libero” (free software) e “sorgente aperto” (open source)
descrivono quindi, in linea di massima, la stessa categoria di software,
pur dicendo cose differenti sui valori e sulle libertà associate.
III.8 Licenze, diritti d’autore, copyright
È purtroppo molto diffusa la tentazione di considerare l'open source
come un pericoloso avversario dei diritti di esclusiva che derivano
dall'applicazione della normativa sul diritto di autore. Ma non è
assolutamente così. Anzi. Per prima cosa, è utile precisare i concetti di
copyright e di brevetto. Entrambi offrono un sistema di protezione della
proprietà intellettuale, ma in modo completamente diverso.
Il copyright è una forma di protezione giuridica delle opere frutto della
creatività umana. Esempi di opere creative sono le opere letterarie,
musicali, cinematografiche, disegni, fotografie. Non si protegge un'idea,
bensì l'espressione creativa di un'idea. L'autore acquista sulla propria
opera il diritto esclusivo di riproduzione, di esecuzione, di diffusione, di
noleggio, di prestito, di elaborazione e di trasformazione. I diritti di
utilizzazione dell'opera possono essere trasferiti e durano per 70 anni
dalla morte dell'autore.
Il brevetto è invece uno strumento nato per stimolare lo sviluppo della
scienza e della tecnologia; si concretizza tramite una tutela giuridica che
conferisce il diritto esclusivo all’inventore di produrre e commercializzare
un prodotto per un periodo limitato di tempo. È possibile dunque
brevettare le invenzioni, ma non sono invece brevettabili le scoperte, le
teorie scientifiche, i metodi matematici. In pratica, non è possibile
133
134
brevettare le idee. Per essere brevettabile, l’invenzione deve possedere
i requisiti di novità, originalità, industrialità e liceità (ossia non contraria
al buon costume o all'ordine pubblico). I brevetti sono validi per 20 anni
dal loro deposito.
Veniamo ora al dunque. Cosa accadrebbe se domani venissero
abrogate tutte le leggi sul diritto d'autore? E’ vero che non si porrebbe
più il problema del divieto di duplicazione, riproduzione ed esecuzione di
un software senza licenza, ma è altrettanto vero che nulla impedirebbe
di modificare un programma senza rilasciare il codice sorgente. L'idea di
condivisione del sapere, uno dei pilastri portanti del movimento open
source, verrebbe grandemente minacciata. Insomma, se sparisse il
diritto di autore sparirebbero nello stesso istante anche i presupposti su
cui si regge lo stesso modello open source, che quindi non contrasta
affatto con il diritto d’autore.
Fino a qui abbiamo visto che il movimento per il software libero ha
prodotto un sistema operativo che sta mettendo in seria discussione il
monopolio del mondo dell'informatica. In questo paragrafo vedremo
insieme da dove è partita la storia e, soprattutto, come GNU/Linux non
sia l'unico prodotto del movimento per il software libero: si parla ormai
sempre più spesso di ``economia indotta dal software libero'' o,
scherzosamente, di GNU Economy.
III.9 Linus Torvalds e Linux
Nel 1991, proprio quando le cose sembravano andare per il peggio,
accaddero tuttavia una serie di eventi che
134
135
avrebbero segnato una svolta nella vita del movimento. Linus Torvalds,
uno studente dell'università di Helsinki, iniziò a studiare a fondo il
sistema operativo Unix concentrando le sue attenzioni sul relativo
kernel. L'obiettivo era di sviluppare una versione compatibile con
l'architettura hardware che nel frattempo si era diffusa e avrebbe poi
dominato a partire dagli anni Novanta (fino ad oggi) grazie al basso
costo e alle elevate prestazioni: il processore Intel 386. La scelta di Unix
e non di altri sistemi operativi come il DOS (Microsoft) fu forzata in
quanto esso era l'unico che implementava il multitasking57, oggetto dei
suoi studi.
Sfruttando le applicazioni software create dalla FSF creò una prima
versione, per quanto incompleta, nell'autunno dello stesso anno sotto il
nome di Linux, ponendo le basi per il più importante e famoso progetto
Open Source. Seguendo i principi del software libero, Torvalds mise in
Internet il suo lavoro: non restava infatti che richiedere alla comunità in
rete l'indispensabile collaborazione per far evolvere il progetto verso una
forma più completa. Per tale motivo egli diede l'annuncio del proprio
progetto in uno dei forum dell'università e con esso chiese
esplicitamente aiuto per lo sviluppo del kernel58
La risposta della rete fu immediata e straordinaria, attorno al progetto
Linux si costituì una numerosa comunità di sviluppo. In tal senso, va
ricordato il grande contributo, fondamentale, dato dalla rete Internet.
Benché avesse visto la luce già negli anni Settanta, fu soltanto agli inizi
degli anni Novanta, con la diffusione del protocollo http59 e la nascita dei
primi browser, che Internet cominciò ad essere diffusa prima in ambito
accademico e poi in modo sempre più capillare anche tra i semplici
privati. La diffusione dei codici sorgente in una Rete che stava vivendo
57
La capacità di poter eseguire più di applicazioni contemporaneamente.
La parte principale del sistema operativo Linux.
59
Il protocollo di trasmissione dati attraverso internet. Ancora oggi in uso.
58
135
136
un boom di accessi e la contemporanea convergenza di interessi nei
suoi confronti da parte della comunità hacker, che ancora non aveva un
kernel per il proprio sistema operativo (GNU), furono senz'altro i due
fattori che decretarono un rapido sviluppo del kernel Linux.
La crescita esponenziale di Internet mise in contatto sviluppatori
volontari da tutto il mondo, favorendo cosìl'espansione della comunità.
La capacità produttiva aumentò sia in quantità, come numero di progetti
attivabili, che come qualità. Dalla collaborazione tra la comunità Linux e
la Free Software Foundation venne quindi sviluppato GNU/Linux ovvero
un sistema operativo completo, non commerciale, rilasciato sotto licenza
GPL (General Public License) e destinato a diventare il simbolo
dell'Open Source. Il sogno di tutti gli hacker si era finalmente realizzato:
un sistema operativo che era stato progettato “da un hacker, per gli
hacker” come lo stesso Torvalds lo definì. Nel giro di pochi anni, la
crescita del sistema operativo fu esponenziale; le linee di codice
sorgente che componevano Linux (inteso come kernel) sarebbero
passate dalle 10.000 scritte da Torvalds alle circa 1,5 milioni di righe nel
1998.
Linus Torvalds accetta la logica del copyleft e l'inserimento non banale
del suo sistema operativo nella grande cornice di GNU: nasce così un
sistema operativo completo, il GNU/Linux, pienamente compatibile con
lo Unix proprietario, ma completamente libero.
Nel giro di tre anni GNU/Linux diviene competitivo per affidabilità e
sicurezza con le versioni commerciali più importanti di Unix.
136
137
III.9 INTERNET E L’ECONOMIA DEL DONO
Il modello antropologico dell’economia del dono,così come ci è proposto
da Marcel Mauss nel suo "Saggio sul dono"60,è riconducibile ad una delle cerimonie più caratteristiche dell'economia del dono, il potlatch dei
nativi americani, durante la quale vengono scambiati o distrutti (nel senso di sottratti al circuito economico) beni di prestigio al fine di rafforzare
le relazioni gerarchiche tra gruppi e persone, ci si rende conto che forse
si parla di economie di nicchia o applicazione di riti superati dal tempo.
Ma il dono sopravvive tranquillamente anche nella nostra economia.
Una buona sintesi del carattere del dono può essere quella espressa da
Jacques T. Godbout61: "definiamo dono ogni prestazione di beni e servizi effettuata, senza garanzia di restituzione, al fine di creare, alimentare
o ricreare il legame sociale tra le persone".
Eppure l'economia del dono esiste ancora nella nostra civiltà del consumo e si esplica con gli stessi identici obiettivi: rafforzare e ricreare i
legami sociali.
Come ben argomentato da Godbout nel suo "lo spirito del dono" l'economia del dono continua ad esistere parallela alla cosidetta economia di
mercato che pare permeare le nostre vite.
E riprendendo il pensiero di Mauss, che a conclusione dei suoi studi
giungeva all'estensione del concetto di dono a tutte le società arcaiche,
Godbout arriva ad affermare l'attualità dell'economia del dono che, pas-
•
•
60
MARCEL MAUSS, "Saggio sul dono" - Einaudi ,2002
61
JACQUES T. GODBOUT, "Lo spirito del dono" - Bollati Boringhieri
137
,2002
138
sando attraverso vari stadi, è in realtà talmente radicata nell'animo umano da non essere quasi più evidenziabile se non prestandoci attenzione.
Afferma che anzi oggi nulla può funzionare e crescere se non nutrito dal
dono, ad iniziare dalla stessa vita umana il cui inizio è proprio un atto di
dono all'interno di un nucleo famigliare (legittimo o illegittimo che sia).
Probabilmente anche la stessa amministrazione pubblica o le aziende
non potrebbero restare sul mercato se il loro "motore umano", i salariati,
non dessero sul lavoro più del corrispettivo del proprio salario.
In estrema sintesi, per Godbout l'economia del dono non solo esiste ancora ma sarebbe anche il motore su cui può crescere l'altra economia
(stato e mercato) che ne ha bisogno in quanto il dono, inteso come sistema, non è altro che il propulsore del sistema sociale: ne permette l'esistenza e la riproduzione. Ed il sistema dei rapporti sociali non può essere ricondotto ai soli interessi economici e di potere.
Questa tradizione di pensiero, che vede esistere solo la dicotomia statomercato come unici sistemi di azione sociale, è in realtà profondamente
limitante: nessuno vive solo di/nel mercato o di/nello stato.
In realtà stato e mercato possono rappresentare i luoghi in cui si estrinseca la socialità secondaria e ricordare quindi che prima ancora di assolvere alle funzioni economiche, politiche o amministrative l'uomo deve
essere costituito come persona sociale e questo avviene nella sfera della socialità primaria: nella famiglia, nella scuola, nei rapporti di vicinato,
nelle amicizie... dove si stringono quei rapporti interpersonali che ci fanno persona.
E che il dono non sia la terza gamba di un discorso puramente economico tra" mercato e stato" ma la base della costruzione di un sistema
sociale, è dimostrabile guardando ai paesi in difficoltà del sud e dell'est
138
139
del mondo, dove nè mercato nè stato riescono a reggere ed è proprio la
rete dei rapporti interpersonali (quella mantenuta dal dono) a permettere
la sopravvivenza.
Come altro spiegare altrimenti, nell'era di internet, quello che spinge migliaia di persone a lavorare, anche cooperativamente, sul software e
sulle reti rendendo disponibile il frutto del proprio lavoro in forma completamente libera (nel senso di accessibilità del codice) e gratuita (in
senso economico)?
Nel versante della tecnologia delle reti e del software troviamo uno degli
esempi più limpidi di economia del dono oltre che di cultura e di
educazione alla collaborazione. La stessa rete internet si basa su
protocolli liberi (da brevetti) sviluppati perloppiù da ricercatori con fondi
statali (quindi di tutti). Anzi, lo stesso procedimento di "scrittura" e
certificazione delle regole prima di definirle quali protocolli TCP/IP62 è
avvenuto grazie al sistema delle RFC (Request For Comments).
Con tale sistema, nella logica della pura collaborazione, i protocolli informatici della rete vengono sottoposti pubblicamente alla richiesta di
commento ed eventualmente migliorati grazie al supporto di tutti i ricercatori.
La stessa struttura degli RFC prevede una sequenza di passi condivisi
prima che la proposta possa venire definitivamente accolta quale standard.
Anche i documenti ritenuti non adatti a maturare quali standard vengono
comunque archiviati (ed in genere divengono standard de facto):
62
Il protocollo di trasmissione dati usato da Internet e dal web.
139
140
Questa economia del dono, su cui si innesta l'educazione alla collaborazione sviluppatasi all'epoca della nascita della tecnologia di internet,
ha permeato la cultura informatica degli albori (centri di ricerca, università, college, cultura hackers) prima della nascita del circuito economico
del software proprietario e resta particolarmente viva anche oggi nel circuito del free-software.
Angelo Raffaele Meo (docente di sistemi di elaborazione dell'informazione e reti di calcolatori al Politecnico di Torino) e Mariella Berra (docente di sociologia delle reti All'Università di Torino) rifacendosi proprio
al lavoro di Mauss sul dono, definiscono questo sistema di produzione
del software come "informatica solidale".63
Nel sesto capitolo il prof. Meo, rilanciando l'attualità del pensiero di M.
Mauss, ritiene fondamentale per la cultura del free software e della ricerca scientifica un concetto: quello della condivisione.
E' proprio in questi due campi infatti che si evidenzia più facilmente che
la scoperta, la novità, il miglioramento in realtà poggiano sul lavoro pregresso e continuo di tanti. In special modo nel campo del software, dove
reinventare tutto da zero sarebbe impensabile (ed economicamente insostenibile, anche per le grandi industrie del sw), la libera condivisione
del lavoro del singoli, il dono del codice, permette a tutti di progredire e
di migliorare l'efficacia del prodotto.
Senza l'etica del dono probabilmente non esisterebbe la cultura del software libero e l'hacktivism, che deriva direttamente dalla cultura di libertà di quegli anni. Inoltre, analizzando le modalità di sviluppo del free-sw
•
63
M.Berra, A.R.Meo,, "Informatica solidale" - Bollati Boringhieri ,2006
140
141
(vedi il discorso de "la cattedrale e il bazaar" di Raymond) all'interno di
una comunità di programmatori-utenti evoluti ci si rende conto che in
questo caso le innovazioni vengono sviluppate in un processo di tipo
bottom-up. Le necessità di una nuova funzione, di un nuovo prodotto
vengono direttamente dalla comunità di utenti in base alle loro esigenze
primarie, non vengono progettate a tavolino da un gruppo di progetto di
una grande software house ed imposte alla platea di utenti che le subiscono nella migliore delle ipotesi, le ignorano nella maggior parte dei
casi. E questo processo dal basso implica anche una migliore ottimizzazione delle risorse disponibili che non si perdono dietro a funzioni od effetti inutili.
Per essere convinti di ciò basta semplicemente guardare da dove arrivano le ultime novità nel settore del software: dalla comunità di rete, dal
mondo dei cosidetti hackers, mentre i grandi produttori sono sempre ad
inseguire le novità pensate altrove, difficilmente le propongono.
L'effetto positivo di questa interazione (programmatore progettista - utente/utilizzatore avanzato) tra produzione ed uso ottiene due effetti:
di non allontanare la società dalla tecnologia, in quanto questa viene
sviluppata tenendo conto di reali esigenze sociali di mitigare il carattere
autonomo ed ingovernabile della tecnologia adattandola alle esigenze
del sociale.
Inoltre una tecnologia scelta e costruita socialmente ha nel tempo maggiori possibilità di diffusione ed accettazione sociale rispetto ad una tecnologia diffusa centralmente e destinata ad utenti passivi.
Ma allora perchè, ci chiediamo, una così scarsa diffusione del free-sw
nell'utilizzo quotidiano fuori dalle elite specialistiche?
Se pensiamo alla diffusione dei tre principali sistemi operativi (Windows,
141
142
MacOs e Gnu-Linux nelle sue varie declinazioni) con il primo che egemonizza, il secondo che gode dei favori di una nicchia di elite ed il terzo
che, pur crescendo in diffusione, resta confinato prevalentemente nelle
università (che ne apprezzano proprio la trasparenza del codice aperto),
nelle aziende per questione di costi (ed in funzione prevalentemente di
server) ed in una nicchia di utenti-avanzati ci chiediamo dov'è che il nostro discorso si interrompe?
Le risposte non sono facili, ma coinvolgono sicuramente l'impianto industriale dei grandi produttori di software che possono vantare la possibilità di preinstallare il sistema operativo sulle nuove macchine, la pigrizia
dell'utente medio (che desidera una macchina appunto preinstallata) nel
cambiare il software abituale, la pubblicità esplicita e quella implicita (più
incisiva) fatta nei luoghi pubblici quali scuole ed uffici od enti pubblici:
usare qui software proprietari è il modo migliore per facilitarne ed incentivarne l'uso anche nel privato.
Spesso è proprio la mancanza di conoscenza il primo problema del software libero: non avere gli strumenti della conoscenza limita la nostra libertà di scelta.
Ed in ambito di economia del dono sono proprio le due istituzioni dove si
dovrebbe trasmettere cultura (scuola ed università) a dover fare la propria parte; non tutti siamo nati fini programmatori o sistemisti, ma molti
di noi possono offrire, donare appunto, le proprie competenze nel settore informatico ricambiando il dono ricevuto dalla comunità del freesoftware semplicemente offrendo corsi di divulgazione all'utilizzo dello
stesso.
Concludendo, l'attualità dell'economia del dono evidenziata nel modello
dell'informatica solidale, vista come risorsa creativa e sistema altro di
142
143
produzione, può dare la possibilità di sviluppare società basate sulla solidarietà, sulla collaborazione e sulla partecipazione: crescere insieme e
non uno contro tutti. Può rappresentare quindi un modello di riequilibrio
sociale che si affianca ed interagisce con stato e mercato in un sistema
di economia pluralista, anche nell'ottica di una maggiore sostenibilità
dello sviluppo umano.
III.10 La Cattedrale e il Bazaar
La Cattedrale e il Bazaar è un saggio sullo sviluppo del software scritto
da Eric S. Raymond64. Esso descrive un nuovo modello di sviluppo, il
cui esempio più famoso ed efficace è la modalità di costruzione del
Kernel Linux. L'autore per verificare le proprie ipotesi decide di utilizzare
lo sviluppo collaborativo per il programma fetchmail e nel saggio viene
descritta la genesi e lo sviluppo del progetto analizzando le interazioni
con gli altri sviluppatori e i vantaggi rispetto al modello classico. La prima presentazione del saggio si è avuta durante un congresso su Linux il
27 maggio 1997 e in seguito il saggio è stato pubblicato come parte dell'omonimo libro. Questo saggio viene usualmente considerato il manifesto del movimento open source.
Il saggio descrive in sostanza due contrapposte modalità di sviluppo del
software libero:
•
64
ERIC S. RAYMOND, "La cattedrale ed il bazaar" – 1998, Apogeo ,Open press,
www.apogeonline.com/openpress/doc/cathedral.html
143
144
Nel modello a Cattedrale il programma viene realizzato da un numero
limitato di "esperti" che provvedono a scrivere il codice in quasi totale
isolamento. Il progetto ha una suddivisione gerarchica molto stretta e
ogni sviluppatore si preoccupa della sua piccola parte di codice. Le revisioni si susseguono con relativa lentezza e gli sviluppatori cercano di rilasciare programmi il più possibile completi e senza bug. Il programma
Emacs, il GCC e molti altri programmi si basano su questo modello di
sviluppo.
Nel modello a Bazaar il codice sorgente della revisione in sviluppo è
disponibile liberamente, gli utenti possono interagire con gli sviluppatori
e se ne hanno le capacità possono modificare e integrare il codice. Lo
sviluppo è decentralizzato e non esiste una rigida suddivisione dei compiti, un programmatore di buona volontà può modificare e integrare
qualsiasi parte del codice. In sostanza lo sviluppo è molto più anarchico
e libero, da qui il nome di modello a Bazaar. Il Kernel Linux e molti programmi utilizzano questo nuovo modello di sviluppo associativo.
La tesi centrale di Raymond è che "Dato un numero sufficiente di occhi,
tutti i bug vengono a galla". Questa affermazione Raymond la chiama la
"Legge di Linus" e ritiene questa legge il motivo centrale del successo
del progetto del Kernel Linux. Prima dell'avvento di Linux si riteneva che
ogni progetto di una certa complessità avesse bisogno di essere adeguatamente gestito e coordinato altrimenti si riteneva che il progetto sarebbe collassato sotto il peso di moltissime revisioni e modifiche prodotte da più persone e tra di loro incompatibili. Il progetto Linux invece riuscì a dimostrare che questo non accadeva e che anzi col crescere del
numero di sviluppatori anche la qualità e l'affidabilità del software migliorava.
Il modello a Cattedrale è un modello tipico delle aziende commerciali.
Queste normalmente non rilasciano il codice sorgente e una nuova revi144
145
sione del programma può richiedere anni mentre il modello a Bazaar è
un modello che si è molto diffuso nell'ambiente del software libero dato
che consente a ogni utente di essere un beta tester dei programmi. Lo
stesso utente può modificare e integrare il programma se lo desidera.
Questo consente un rapporto stretto tra utilizzatori e programmatori, un
rapporto paritario che ben si adatta alla filosofia del software libero.
Consente inoltre un attento controllo del codice in modo da eliminare
rapidamente la maggior parte dei bug, cosa impossibile per un software
prodotto con la modalità a Cattedrale dove solo un numero limitato di
persone lavora sul codice.
La modalità a cattedrale è la stessa metodologia di sviluppo che viene
utilizzata dagli sviluppatori delle enciclopedie commerciali dove un numero limitato di esperti si preoccupa di compilare tutte le voci. La modalità a bazaar invece è quella utilizzata dalla Wikipedia dove ogni lettore
se lo desidera può integrare e migliorare i contenuti e dove la verifica
delle modifiche apportate al testo è gestita dagli stessi utenti.
145
146
III.11 l’importanza del Pubblico dominio
Dal punto di vista internazionale, il pubblico dominio è quell'insieme di
opere d'ingegno e altre conoscenze (opere d'arte, musica, scienze,
invenzioni, ecc.) sulle quali nessuna persona o organizzazione ha un
interesse
proprietario
(tipicamente
un
monopolio
concesso
governativamente come il diritto d'autore o il brevetto). Tali opere e
invenzioni sono considerate parte dell'eredità culturale pubblica, e
chiunque può utilizzarle o modificarle senza restrizioni (se non si
considerano le leggi che riguardano sicurezza, esportazione, ecc.).
Mentre il diritto d'autore venne creato per difendere l'incentivo
finanziario di coloro i quali svolgono un lavoro creativo, e come mezzo
per incoraggiare ulteriore lavoro creativo, le opere di pubblico dominio
esistono in quanto tali, e il pubblico ha il diritto di usare e riutilizzare il
lavoro creativo di altri senza dover pagare un prezzo economico o
sociale.
In assenza di qualche tipo di garanzia di diritto di monopolio, la
cosiddetta "proprietà intellettuale", tutte le opere appartengono al
pubblico dominio. Quando i diritti d'autore o altre protezioni, giungono a
termine, l'opera diventa di pubblico dominio.
Le opere d'ingegno rientrano nel pubblico dominio quando non esiste
nessuna legge che stabilisce dei diritti di proprietà, o quando l'oggetto in
questione è specificatamente escluso da tali diritti dalle leggi vigenti. Ad
esempio, la maggior parte delle formule matematiche non è soggetta a
diritti d'autore o brevetti nella larga parte dei casi (anche se la loro
applicazione in forma di programmi per computer può essere
brevettata). Similarmente, opere che furono create molto prima che tali
146
147
leggi venissero promulgate, fanno parte del pubblico dominio, come i
lavori di William Shakespeare e Ludwig van Beethoven o le invenzioni di
Archimede.
Molti dei diritti d'autore e dei brevetti hanno una scadenza determinata.
Quando tale scadenza arriva, l'opera ricade nel pubblico dominio. Nella
maggior parte delle nazioni, il brevetto scade 20 anni dopo che è stato
depositato. Un marchio di fabbrica scade subito dopo essere divenuto
un termine generico. I diritti d'autore sono molto più complessi;
generalmente essi scadono in tutte le nazioni, eccetto Guatemala,
Messico, Samoa e Colombia, quando tutte le seguenti condizioni sono
soddisfatte:
•
L'opera è stata creata e pubblicata per la prima volta prima del 1
gennaio 1923, o come minimo 95 anni prima del 1 gennaio dell'anno
corrente; vale la data più recente tra le due.
•
L'autore o l'ultimo degli autori, è morto almeno 70 anni prima del 1
gennaio dell'anno corrente.
•
Nessuno dei firmatari della Convenzione di Berna ha passato un
diritto d'autore perpetuo sull'opera.
• Né gli Stati Uniti né l'Unione Europea hanno accettato l'estensione
dei termini sul diritto d'autore da quando queste condizioni sono state
aggiornate. (Questa deve essere una condizione perché i numeri esatti
nelle altre condizioni dipendono dallo stato della legge in ogni dato
momento.)
Queste condizioni sono basate sull'intersezione tra le leggi sui diritti
d'autore degli Stati Uniti e dell'Unione Europea, che sono riconosciute
dalla maggior parte degli altri firmatari della Convenzione di Berna. Si
noti che i termini di estensione nella tradizione statunitense non
ripristinano l'opera a pubblico dominio (da cui la data del 1923), mentre
nella
tradizione
europea
questo
avviene
147
perché
la
"direttiva
148
sull'armonizzazione dei termini di protezione del diritto d'autore" si basa
sui termini in vigore in Germania, che sono già stati estesi alla vita
dell'autore più 70 anni.
Si noti che ci sono molti lavori che non sono parte del pubblico dominio,
ma per i quali il proprietario ha deciso di non avvalersi pienamente dei
diritti d'autore, o di garantire parte di questi diritti al pubblico. Nel caso
del software, questo viene chiamato software libero o software open
source, come ad esempio quello rilasciato dalla Free Software
Foundation pienamente coperto da copyright, ma rilasciato al pubblico,
per la maggior parte degli utilizzi, sotto un tipo di licenza di tipo
"copyleft", che vieta solo la ridistribuzione proprietaria. Si veda anche
Wikipedia, che fa più o meno la stessa cosa con i suoi contenuti sotto la
GNU Free Documentation License. Similmente esistono licenze per altri
tipi di contenuti, anche in questo caso denominati Contenuto libero o
contenuto open. A volte tali opere vengono erroneamente indicate come
di "pubblico dominio" nel linguaggio colloquiale.
L'accesso pubblico alla letteratura, all'arte, alla musica, ai film, ecc., è
essenziale per preservare e far progredire la nostra eredità culturale.
Molti importanti lavori hanno beneficiato del potenziale creativo del
pubblico dominio. Il film di Frank Capra, "La vita è meravigliosa" è un
classico esempio di opera che non godette del successo popolare fin
quando non entrò nel pubblico dominio. Altre icone come Biancaneve,
Pinocchio o Babbo Natale si sono sviluppati da figure di pubblico
dominio.
“il pubblico dominio è sempre stato cruciale per le nuove forme di
creatività, per il progresso della scienza e della tecnologia e per la
vitalità della nostra cultura democratica. i “massimalisti del copyright”
sono stati in grado di aumentare la portata della protezione offerta dal
148
149
copyright stesso in molti modi: estendendone la durata, introducendo
nuove
tecnologie
che
eliminano
i
diritti
del
pubblico
legati
all’applicazione del fair use, attaccando la dottrina del first-sale, che
permetterebbe agli utilizzatori di condividere o rivendere copie
acquistate di un’opera, e avvalendosi di sentenze giudiziarie che
forniscono interpretazioni molto restrittive delle dottrine del copyright
tradizionale.”65
-La dottrina del “fair use”, codificata alla sezione 107 del Codice Civile
degli Stati Uniti, permette l’utilizzo di parte di un’opera protetta da
copyright senza l’autorizzazione del detentore della licenza e senza
l’obbligo di pagare per i diritti se la copia o la riproduzione dell’opera è
finalizzata a determinati usi, come la critica, il commento, il giornalismo,
l’insegnamento (che prevede anche la possibilità di riprodurre più copie
di parte di un’opera per utilizzarle in classe), gli studi accademici o la
ricerca.
-La dottrina del “first-sale”, così come sancito nel Codice degli Stati Uniti
alla sezione 109(a), stabilisce
che alcuni dei diritti dei proprietari del copyright cessino dopo la prima
vendita di una particolare copia di un’opera. È grazie a questo articolo
che le biblioteche possono prestare libri e che i videonoleggi possono
affittare dvd e videocassette senza richiedere il permesso del
proprietario del copyright.
Nel momento in cui il pubblico dominio era posto sotto assedio66,dai
produttori dei contenuti, internet ne ha fatto un elemento ancora più
•
65
DAVID BOLLIER. Why the Public Domain Matters (2002 New American Foundation & PublicKnowledge)
http://www.newamerica.net/Download_Docs/pdfs/Pub_File_867_1.pdf
66
PHILIPPE AIGRAIN, Causa comune, 2007 Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, si veda in particolare il capitolo 3
Tragedia in quattro atti;
149
150
importante dell’economia e della cultura della nostra società. la
tecnologia ha dato l’opportunità a tutti di diventare creatori e non solo
consumatori passivi.. nel creare questi nuovi metodi di comunicazione e
spazi culturali condivisi, internet ha ampliato in modo radicale le funzioni
tradizionali del pubblico dominio; inoltre grazie ai nuovi tipi di licenze
libere come la GPL hanno potuto rivitalizzare i contenuti del pubblico
dominio.
Molta di questa nuova vitalità deriva dalla tendenza degli spazi online a
generare contenuto in modo molto decentrato, dal basso.
. In questo ambito si tende a creare nuovo contenuto senza incentivi di
mercato, grazie piuttosto a delle “economie del dono” create dalla
comunità, di cui due esempi noti sono Linux e il software peer-to-peer.
Le nuove tecnologie hanno però anche intensificato la tensione tra i
manufatti dell’informazione venduti attraverso i mercati convenzionali
(come libri, video e musica).
Per i produttori di contenuti ciò che interessa sono i contenuti
commerciabili e la capacità di esercitarvi uno controllo rigoroso.67 Di
conseguenza, editori, etichette discografiche e case cinematografiche
stanno approntando nuovi piani per mettere questi contenuti sotto
chiave:
sistemi
di
gestione
dei
diritti
digitali
(digital
rights
68
management) , che includono la cifratura anti-contraffazione e la
filigrana digitale, e divieto di legge di eludere la cifratura o addirittura di
parlare di tecniche di elusione della protezione.
.
67
PHILIPPE AIGRAIN, Causa comune, 2007 Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, fa una dettagliata e
profonda analisi dei meccanismi che hanno presieduto alle dinamiche di produzione di sapere e contenuti
dal basso e delle dinamiche opposte sostenute invece dalle iniziative commerciali di appropriazione e
vendita dei contenuti.
68
Si veda il paragrafo “ Le tecnologie DRM: 'Informatica Infida (Treacherous Computing),o “Informatica
Fidata” (“Trusted Computing”) ?pag.95. sistemi di protezione della copia
che includono la cifratura anti-contraffazione e la filigrana digitale, e divieto di legge di
eludere la cifratura o addirittura di parlare di tecniche di elusione della protezione.
150
151
Per la maggior parte degli utenti di internet, il pubblico dominio è visto
in un’ottica molto più estesa: come uno spazio per le comunicazioni
libero e accessibile a tutti, aperto a nuova creatività e alla concorrenza,
e in cui l’informazione può essere liberamente condivisa. Lo
evidenziano fenomeni come Wikipedia e Youtube.
La legge sul copyright si è sempre basata su un abile equilibrio tra diritti
legati
alla
proprietà
privata
ed
interessi
pubblici.
Ricalibrare
quest’equilibrio di fronte a tecnologie disgreganti e alle ingerenze
politiche rappresenta una sfida molto importante per le istituzioni.
Bisogna ricordare che il bene comune non è un nemico del mercato, ma
piuttosto un suo complemento necessario. La protezione del copyright e
del brevetto ricopre molte utili funzioni, incentivando ad esempio
l’innovazione, e dovrebbe essere difesa con fermezza. Ciò che deve
essere preservato è un fragile equilibrio tra il mercato e gli spazi liberi,
cosicché entrambi possano mantenere la loro integrità, essere utili ai
rispettivi scopi e rafforzarsi l’un l’altro. Al momento questo equilibrio è
pericolosamente sbilanciato.
151
152
IV contesto italiano: copyleft e diritto d’autore
Dopo aver analizzato le condizioni che hanno portato alla nascita del
software libero e delle licenze “libere” come la GPL e le licenze Creative
Commons, passiamo ora a descrivere quali sono le realtà che diffondono
questa cultura libera. Oltre alle già citate organizzazioni come la FSF, il
progetto Creative Commons, al progetto di David Bolier sul “bene
comune dell’informazione” e l’importanza del pubblico dominio, che in un
certo senso hanno presieduto alla creazione e a gettare le basi di un
movimento socio-culturale che propone una via alternativa alla
produzione di sapere. Un sapere ed una cultura svincolati da interessi
economici e che puntano al più alto grado di trasmissione della cultura e
del sapere attraverso diversi canali riconducibili soprattutto alle nuove
tecnologie della comunicazione come internet. -Nel momento in cui
appare chiaro che la produzione di cultura non è più solo campo d'azione
di case editrici e intellettuali, è interessante iniziare un viaggio tra gruppi
informali, associazioni e aziende che fanno della propria professionalità
strumenti per veicolare informazioni69.
Il contesto in cui queste realtà si trovano ad operare è consentito dalla
diffusione e dalla circolazione attraverso internet di opere di qualsiasi
genere (audio, video, programmi, documentazione tecnica, scientifica,
letteraria ecc..) rilasciate attraverso le relative licenze CC o comunque
alternative, e che attraverso internet trovano il loro giusto mezzo di
distribuzione. Proprio nel momento in cui ognuno di noi con un semplice
pc potrebbe essere autore, produttore e se vogliamo anche distributore
del proprio prodotto culturale, consentito dalla larga diffusione di internet
e dei personal computer tra, senonchè dalle licenze che permettono
questà alternativa. Si parla di alternativa perchè in realtà manca un
69
A.BECCARIA-Permesso d’ autore, percorsi per la creazione di cultura libera-2006-CC
153
adeguamento delle varie legislazioni a questo fenomeno, che in merito
alla sua portata non dovrebbe essere ignorato.
Facciamo un esempio: la legge è chiara. La tutela del diritto d’autore
avviene nel momento in cui l’opera viene creata dall’autore. Tuttavia il
problema nasce dall’intermediazione della SIAE organo di tipo
associativo preposto per legge alla gestione collettiva dei diritti di
utilizzazione delle opere dell’ingegno. tale organo esercita le sue funzioni
in un’ottica necessariamente esclusiva e per di più in una posizione di
monopolio di fatto, dato che a tutt’oggi non esistono in Italia altri organi in
grado di svolgere le stesse funzioni. Lo si evince chiaramente dall’art.
180 l.d.a. che al primo comma recita: “L'attività di intermediario,
comunque attuata, sotto ogni forma diretta o indiretta di intervento,
mediazione, mandato, rappresentanza edanche
di cessione per
l'esercizio dei diritti di rappresentazione, di esecuzione, direcitazione, di
radiodiffusione ivi compresa la comunicazione al pubblico via satellite e
di riproduzione meccanica e cinematografica di opere tutelate, é riservata
in via esclusiva alla Società italiana degli autori ed editori (SIAE)”.
NOTA Si veda il documento “L’esclusiva riservata dall’art. 180 l. a. alla
S.I.A.E. nell’esercizio dell’attività di intermediazione di taluni diritti
d’autore.
E’ facile intuire come una simile impostazione difficilmente possa
convivere con la scelta di rilasciare opere in regime di copyleft.
-E’ vero che gli autori sono liberi di scegliere di non usufruire dei servizi
di tutela offerti dalla SIAE e a maggior ragione di non associarsi all’ente,
ma è anche vero che attualmente in Italia è solo la SIAE ad avere i mezzi
per garantire certi servizi determinanti relativi alla distribuzione e allo
sfruttamento economico di opere dell’ingegno, soprattutto in ambito
musicale e teatrale. Da ciò deriva che: primo, vista la situazione di
monopolio, l’autore che voglia avvantaggiarsi di tali servizi non può far
altro che affidare la gestione dei diritti sulla sua opera alla SIAE;
154
secondo, vista l’impostazione esclusiva, l’autore che effettuasse questa
scelta perderebbe la possibilità di promuovere e diffondere la propria
opera attraverso altri canali, compresa la possibilità di applicazione di
una licenza copyleft.70
Un ultimo e non secondario problema è quello relativo ai contrassegni
(“bollini”) rilasciati dalla SIAE, che devono essere obbligatoriamente
apposti sui supporti contenenti alcune tipologie di opere (programmi per
elaboratore, programmi multimediali, suoni, voci, immagini in movimento)
e distribuiti a fine di lucro.
La questione dei bollini SIAE (come d’altronde quella dei sovrapprezzi
applicati ai supporti vergini ex art. 71 septies l.d.a.) è molto dibattuta in
ambito di produzione e promozione di opere distribuite sotto copyleft.
Suona infatti poco opportuno che tali disposizioni vengano applicate in
modo indistinto anche ad opere che per libera scelta dei loro autori
circolano in un regime giuridico più libero. Tralasciamo per ora queste
argomentazioni, alle quali sarà dedicata una parte successivamente, per
soffermarci ora sulle realtà che diffondono in Italia questo tipo di cultura
libera.
IV.1 Wu Ming Foundation: essempio di funzionamento commerciale
di opere rilasciate con licenze libere.
Tutto parte dal 1994, anno in cui apparve il Luther Blisset Project,
“personalità senza persona, pseudonimo collettivo adottato da menti
effervescenti, hacker, intellettuali..che agivano sotto l’identità di un
giocatore britannico con ascendenze asiatiche”71. sotto questo nome
sono state rilasciate alcune opere memorabili come Q del 1999. Dopo
anni di uscita Q rappresenta il capostipite di una tendenza, che come
70
71
SIMONE ALIPRANDI, Teoria e pratica del copyleft – www.copyleft-italia.it/libro2
A.beccarica, permesso d’autore, p.23
155
abbiamo visto, oggi si sta rinforzando:il copyleft letterario.
Dopo il
progetto Luter Blisset il testimone è passato al progetto Wu Ming (dal
mandarino “anonimo”), ancora un progetto fatto da cinque menti che
rilasciano le proprie opere con una particolare nota di copyright. ” È
consentita la riproduzione, parziale o totale dell’opera e la sua diffusione
per via telematica ad uso personale dai lettori, purchè non a scopo
commerciale.” È in teoria questa la logica di diffusione di opere letterarie
in ambiente copyleft. Le opere vengono rilasciate in forma digitale e
pubblicate su un sito, dove è possibile scaricarne una copia ed avere le
libertà di copia sopra espresse. A questo punto verrebbe da chiedersi
come sia possibile che queste opere abbiano potuto avere un riscontro
critico ed economico così elevato pur essendo rilasciate con queste
libertà? Come fanno gli autori a guadagnarne? Come è possibile il fatto
che queste opere seppur rilasciate in download continuino a vendere?
Sono queste le domande a cui rispondono gli stessi autori del gruppo Wu
Ming in numerose interviste e pubblicazioni, nelle quali spiegano le
logiche del successo della circolazione dei loro testi sia in maniera “free”
e digitale sia attraverso pubblicazioni editoriali.72
“la nostra conclusione, a sette anni di distanza dall’uscita di Q, è che
senza la possibilità di scaricarli i nostri libri venderebbero di meno. Più li
sii scarica, più li si conosce, più li si regala..L’atto di acquistarli può
essere visto come un “equo compenso” per averli resi disponibili gratis.
La sequenza del modello copyleft si differenzia dalla pratica usuale
dell’editoria tradizionale: l'opera circola gratis, il gradimento si trasforma
in passaparola, ne traggono beneficio la celebrità e la reputazione
dell'autore, quindi aumenta il suo spazio di manovra all'interno
dell'industria culturale e non solo. E' un circolo virtuoso.
72
(Einaudi).
156
Un autore rinomato viene chiamato più spesso per presentazioni (a
rimborso spese) e conferenze (pagate); viene interpellato dai media
(gratis ma è tutto grasso che cola); gli si propongono docenze (pagate),
consulenze (pagate), corsi di scrittura creativa (pagati); ha la possibilità
di dettare agli editori condizioni più vantaggiose. Come può tutto questo
danneggiare le vendite dei suoi libri?
Parliamo ora del musicista/compositore: la musica circola, piace, intriga,
intrattiene; chi l'ha scritta o chi la esegue ne ha un "ritorno d'immagine", e
se sa come approfittarne viene chiamato a esibirsi più spesso e in più
occasioni (pagato), ha la possibilità di incontrare più persone e quindi più
committenti, se "si fa un nome" gli si propongono colonne sonore di film
(pagate), serate come DJ (pagate), "sonorizzazioni" (pagate) di eventi,
feste, mostre, sfilate; può addirittura trovarsi a dirigere (pagato) un
festival, una rassegna annuale, cose del genere; se parliamo di artisti
pop, mettiamoci anche i proventi del merchandising, come le T-shirt
vendute via web o ai concerti... Ecco il "dilemma" risolto nei fatti: si sono
rispettate le esigenze dei lettori (che hanno avuto accesso a un'opera),
degli autori/compositori (che ne hanno avuto ritorni e tornaconti) e di tutto
l'indotto della cultura (editori, promoter, istituzioni etc.).
Tuttavia pur esistendo numerosi fenomeni simili a quello del Wu Ming
che sono riusciti ad inserirsi nel mercato convenzionale, la maggiorparte
di questi fenomeni rimangono isolati o malvisti. Si pensi al P2P ai
programmi open source, i quali sono visti sempre come un certo
fenomeno di “pirateria”.
Non solo questa pratica alternativa, se pur consentita dalla legge, spesso
si scontra con essa su specifiche questioni riguardo alla loro effettiva
possibilità di distribuire in modalità commerciale opere protette da
istituzioni come Creative Commons o altre del genere copyleft. Una di
queste difficoltà, come ho già accennato precedentemente è legata al
157
monopolio concesso dallo stato alla SIAE73 come organo centrale per la
gestione dei diritti e più in particolare alle norme che questt’ultima
stabilisce per la circolazione delle opere. In particolare mi riferisco alla
questione dei “bollini” SIAE.
IV.2 Il contrassegno SIAE
Partendo dall’analisi delle disposizioni che disciplinano l’apposizione del
contrassegno SIAE di cui all’art. 181 bis della legge n. 633/1941,
tentiamo di verificare se e in che misura gli obblighi di apposizione del
contrassegno SIAE possano riguardare anche opere concesse in uso
tramite le licenze “Creative Commons”.
Norme rilevanti
· Art.181 bis lda
· Art. 171 bis lda
· Art. 171 ter lda
· Dpcm n. 338/2001 Regolamento di esecuzione delle disposizioni
relative al contrassegno SIAE di cui all’art. 181 bis lda
· Dpcm n.296/2002 Regolamento recante modifiche al Dpcm n. 338/2001
· Dpcm 21.12.2001 - Determinazione della misura delle spese e
deglioneri, anche per il controllo, di cui all'art. 181-bis, comma 4, ultimo
periodo della l.d.a.
La disciplina del bollino SIAE presenta una generale mancanza di
coordinamento, sia tra disposizioni legislative prescrittive e sanzionatorie,
sia tra norme di legge e regolamentari. Peraltro le maggiori discussioni
riguardano soprattutto i programmi per elaboratore, che non sono
73
art.180 legge 633/41
158
naturale e diretto oggetto delle licenze CC. Prima di analizzare gli
elementi costituitivi della fattispecie, evidenziamo quali sono la natura e
le finalità dell’apposizione del “bollino SIAE”.
Tale contrassegno assolve esclusivamente a una funzione di controllo e
di garanzia, affinché gli esemplari delle opere oggetto di tale disciplina
(“programmi per elaboratore o multimediali … suoni, voci o immagini in
movimento” – art. 181 bis, comma 1) siano posti in circolazione sui
supporti previa autorizzazione dei legittimi titolari. Infatti “il contrassegno
è apposto sui supporti di cui al comma 1 ai soli fini della tutela dei diritti
relativi alle opere dell’ingegno, previa attestazione da parte del
richiedente dell’assolvimento degli obblighi derivanti dalla normativa sul
diritto di autore e sui diritti connessi” (art. 181 bis, comma 2).
L’art. 181 bis lda sostituisce infatti le previgenti disposizioni che già
prevedevano l’apposizione del contrassegno su supporti contenenti
particolari categorie di opere (legge n. 406/1981 relativa ai prodotti
fonografici e legge n. 400/1987 relativa alle opere cinematografiche,
nonché le norme penali introdotte dal d. lgs. n. 685/1994). Con l’art. 181
bis l’obbligo di apposizione del contrassegno è stato esteso anche ai
programmi per elaboratore e multimediali.
La funzione di controllo e di tutela dei diritti relativi alle opere dell’ingegno
svolta dalla SIAE garantisce dunque la corrispondenza del numero di
esemplari riprodotti al numero degli esemplari autorizzati dal titolare dei
diritti sull’opera.
Ci si potrebbe legittimamente chiedere se, vista la natura e le funzioni del
contrassegno, esso debba essere apposto soltanto su supporti
contenenti opere che appartengono a soggetti associati o mandanti
SIAE. Infatti, così come l’autore è libero di servirsi o meno dell’attività di
intermediazione e tutela dell’utilizzo delle proprie opere svolta dalla SIAE,
si potrebbe ritenere che anche l’apposizione del contrassegno – visto
che assolve unicamente al medesimo fine di tutela delle opere – sia
obbligatoria soltanto per gli autori
159
associati alla SIAE, mentre per gli altri autori sia da considerarsi come
facoltativa.
Così non è. L’art. 181 bis non fa distinzioni tra opere incluse nel
repertorio SIAE e opere che non sono incluse nel repertorio SIAE, o tra
opere di “autori SIAE” e non: il bollino deve essere apposto su qualunque
supporto contenente le opere della tipologia indicata dall’art. 181 bis, a
prescindere dal fatto che il loro autore si serva o meno dei servizi di
intermediazione prestati dalla SIAE.
L’art. 181 bis lda
L’art. 181 bis richiede l’apposizione del bollino su “ogni supporto
contenente programmi per elaboratore o multimediali nonché su ogni
supporto contenente suoni, voci o immagini in movimento (…) destinati
ad essere posti comunque in commercio o ceduti in uso a qualunque
titolo a fine di lucro”.
Sono tre gli elementi principali che individuano la fattispecie oggetto della
prescrizione:
1) il supporto
2) l’oggetto incorporato nel supporto
3) il fine cui è destinato il supporto
La nozione di supporto è ampia e indeterminata, tanto è vero che con
riferimento ai programmi per elaboratore si è reso necessario intervenire
con un regolamento che definisse quali supporti siano da considerarsi tali
ai fini di cui all’art. 181 bis (Dpcm n. 338/2001).
In generale, si può considerare supporto ogni oggetto materiale nel quale
può venire incorporata stabilmente un’opera tra quelle indicate dall’art.
181 bis e che può essere trasferito a terzi.
L’oggetto incorporato nel supporto deve costituire un’opera dell’ingegno
ai sensi della lda e deve appartenere alle seguenti categorie di opere
160
dell’ingegno:
- programmi per elaboratore
- programmi multimediali
- suoni
- voci
- immagini in movimento.
Sono pertanto esclusi i supporti che contengono esclusivamente
immagini fisse (ad esempio fotografie), opere letterarie, opere dell’arte
figurativa.
Anche in questo caso il dettato letterale della norma si presta a
interpretazioni ambigue: l’articolo parla infatti di “supporto contenente
programmi per elaboratore o multimediali nonché su ogni supporto
contenente suoni, voci o immagini in movimento, che reca la fissazione
di opere o di parti di opere tra quelle indicate nell'articolo 1”. Si potrebbe
pensare che l’opera dell’ingegno
“fissata” nel supporto sia altro rispetto al suo contenuto tipico (ad
esempio suoni) che determina l’applicazione dell’art. 181 bis: contenuto
tipico che potrebbe, in ipotesi, anche non essere di per sé tutelabile ai
sensi della legge sul diritto di autore. Ma la ratio della norma porta ad
escludere una simile interpretazione.
L’art. 181 bis ci dice poi che i supporti devono essere “destinati ad
essere posti comunque in commercio o ceduti in uso a qualunque titolo a
fine di lucro”.
Si tratta pertanto di stabilire cosa si intenda per “fine di lucro”.
Non indicando genericamente il fine di “trarre profitto”, la norma sembra
richiedere espressamente la necessità di una remunerazione diretta a
fronte della cessione del supporto, escludendo i casi in cui i supporti
siano ceduti in uso a titolo gratuito, seppure nell’ambito dell’esercizio di
un’attività di impresa.
Le disposizioni dei regolamenti di esecuzione dell’art. 181 bis conducono
161
però ad una interpretazione opposta.
Il Dpcm n. 338/2001 esclude infatti espressamente dall’applicazione del
contrassegno i programmi per elaboratore o multimediali “distribuiti
gratuitamente con il consenso del titolare dei diritti” (art. 5, comma 2, lett.
b),
con ciò lasciando intendere che i supporti contenenti voci, suoni o
immagini in movimento, seppur distribuiti gratuitamente, siano soggetti
all’apposizione del bollino.
Il Dpcm 21 dicembre 2001 prevede poi una misura ridotta degli oneri da
corrispondere alla SIAE per il servizio di “bollinatura”, nel caso di supporti
“distribuiti
gratuitamente,
ovvero
in
abbinamento
editoriale
a
pubblicazioni poste in vendita senza maggiorazione del prezzo
normalmente praticato” (art.1).
Pare preferibile, pertanto, ritenere che il “fine di lucro” dell’art. 181 bis
possa essere anche soltanto indiretto, e che anche i supporti distribuiti a
titolo gratuito, ma nell’ambito di attività preordinate al raggiungimento di
un fine di lucro (ad esempio a fini promozionali), siano soggette
all’apposizione del bollino. Diverso discorso si potrebbe invece
probabilmente fare se la distribuzione del supporto a titolo gratuito
avvenisse da parte, ad esempio, di un ente non profit.
IV.3 Le licenze CC e il bollino SIAE
Sulla base delle considerazioni sinora svolte, verifichiamo quindi se e in
quale misura alle opere poste in circolazione con licenze CC siano
applicabili le prescrizioni del “bollino SIAE”.
Per quanto riguarda il supporto, le licenze CC non prevedono alcuna
limitazione relativa all’oggetto nel quale devono essere incorporate le
opere poste in circolazione.
Quanto all’oggetto, come abbiamo visto, il bollino si applica a supporti
che contengono programmi per elaboratore, opere multimediali, suoni,
voci, immagini in movimento, tutte categorie di opere che possono
162
essere fatte circolare attraverso una licenza CC. Al contrario, la disciplina
del bollino non dovrebbe riguardare altre tipologie di opere dell’ingegno,
quali, ad esempio, le opere letterarie, le immagini fisse (per esempio le
fotografie, i disegni) e in generale le opere d’arte figurativa.
Per quanto riguarda il fine per il quale è trasferito l’esemplare, abbiamo
visto che il bollino si applica sui supporti destinati a essere posti in
commercio o ceduti in uso a qualunque titolo a fine di lucro. Le licenze
CC concedono il diritto di riprodurre, distribuire, comunicare, eseguire,
rappresentare, recitare ed esporre al pubblico l’opera, a fini che possono
essere, alternativamente, commerciali o non commerciali, a seconda che
l’autore scelga di escludere o
meno lo sfruttamento commerciale della propria opera da parte dei terzi
e, dunque, includa nella licenza la relativa clausola “non commercial”.
Tale clausola, se inserita nella licenza, esclude che le facoltà concesse
dall’autore possano essere esercitate “in una maniera tale che sia
prevalentemente intesa o diretta al perseguimento di un vantaggio
commerciale o di un compenso monetario personale”.
La nozione di “fine di lucro” delineata dall’art. 181 bis lda pare essere più
ampia rispetto all’ambito dello sfruttamento definito come “commerciale”
dalle licenze CC.
Si potrà, al più, considerare la presenza della clausola “non commercial”
nelle licenze CC come un semplice indizio in base al quale si potrà
soltanto ipotizzare di essere in presenza di una fattispecie che non ricade
nell’ambito di applicazione dell’art. 181 bis e, dunque, non richiede
l’applicazione del bollino sui supporti nei quali è incorporata l’opera che
viene messa in circolazione.
Mentre la licenza CC “commercial” richiederà quasi certamente
l’applicazione del bollino (ovviamente nel caso in cui anche gli altri
requisiti richiesti dalla norma siano soddisfatti).
Ma non si può escludere che anche licenze “non commercial” possano
richiedere l’applicazione del bollino, trovandoci di fronte a finalità che
163
siano da considerare “di lucro” ai sensi dell’art. 181 bis. Pensiamo, ad
esempio, al caso di distribuzione gratuita sotto licenza CC “non
commercial” di copie di cd audio contenenti brani musicali, fatta a fini
promozionali da parte dell’autore.
Per quanto riguarda invece la circolazione dell’opera mediante licenza
CC priva della clausola non commercial, facciamo due diversi esempi:
1) la messa a disposizione da parte del dante causa di un file digitale
dell’opera reperibile attraverso Internet e lo scaricamento diretto
mediante download da parte dell’utilizzatore su una memoria di massa
fissa o rimovibile.
2) la riproduzione dell’opera da parte del dante causa su un supporto di
memorizzazione rimovibile, che viene poi ceduto a terzi.
Nel primo caso si può escludere l’applicazione dell’art. 181 bis.
In base all’art. 181 bis, infatti, l’applicazione del bollino presuppone la
presenza dell’opera sul supporto anteriormente alla sua messa in
circolazione da parte del titolare. Il bollino non si applica ai supporti sui
quali viene “scaricata” l’opera dall’utilizzatore finale (ad esempio con un
download di un file mp3 del brano musicale), siano essi supporti
hardware di memoria fissa come il disco fisso di un computer, o supporti
di memoria rimovibile come cdrom, memory
key o simili.
In questo caso ciò che circola non è il supporto nel quale è incorporata
l’opera, ma soltanto il file contenente l’opera: il supporto contenente
l’opera non è destinato a essere posto in commercio ma soltanto
utilizzato dal suo legittimo proprietario.
A diverse conclusioni si dovrebbe probabilmente giungere nel caso di
messa in commercio di un supporto (personal computer, telefonino) che
incorpora un file: trattandosi di opere per le quali non opera l’espressa
esclusione prevista per i programmi per elaboratore e multimediali (art. 5,
comma 3, lettere d) ed e) del Dpcm n. 338/2001) “distribuiti
esclusivamente al fine di far funzionare o per gestire specifiche
164
periferiche o interfacce (driver) (…)” o “ destinati esclusivamente al
funzionamento di apparati o sistemi di telecomunicazione quali modem o
terminali, sistemi GPRS (general pocket radio service) o inclusi in
apparati audio/vido e destinati al funzionamento degli stessi o inclusi in
apparati radiomobili cellulari, se con i medesimi confezionati e distribuiti
in quanto destinati esclusivamente al funzionamento degli stessi (...)”, si
può ritenere che sia necessaria l’applicazione del bollino (ovviamente nel
caso in
cui siano soddisfatti anche gli altri presupposti richiesti dall’art. 181 bis, e
cioè la natura dell’opera oggetto del trasferimento e il fine di lucro). A tale
riguardo, rileviamo come la specifica normativa di dettaglio prevista per i
programmi per elaboratore e multimediali si riveli fonte di equivoci con
riferimento alle altre categorie di opere soggette all’art. 181 bis.
Ad esempio, l’esclusione dell’applicazione del bollino sancita dall’art. 5,
comma 3, lett. c del Dpcm n. 338/2001 con riferimento ai programmi per
elaboratore e multimediali “distribuiti mediante scaricamento diretto
(download)
e
conseguente
installazione
sul
personal
computer
dell’utente attraverso server o siti Internet se detti programmi non
vengano registrati a scopo di profitto in supporti diversi dall’elaboratore
personale dell’utente” si rivela inutile, in quanto fa riferimento ad un caso
che, come abbiamo visto, non ricade sotto l’ambito di applicazione
dell’art. 181 bis; ma si dimostra anche ingannevole in quanto, essendo
riferita esclusivamente ai programmi per elaboratore (e alle opere
multimediali), potrebbe far erroneamente ritenere che le medesime
operazioni, quando riguardano altre tipologie di opere considerate
dall’art. 181 bis, ricadano sotto l’obbligo di apposizione del bollino. Cosa
che, come abbiamo sopra visto, non è.
Nel secondo caso è invece possibile ipotizzare l’applicabilità dell’art. 181
bis.
Pensiamo, ad esempio, ad un brano musicale distribuito mediante
licenza CC (in cui non vi sia la clausola non commercial), che viene
165
riprodotto su cdrom e distribuito da un’azienda a fini promozionali. Tutte
le condizioni richieste dall’art. 181 bis sono soddisfatte e, pertanto, si
rende necessaria l’applicazione del bollino.
Sono state molte le proposte di verifica e di critica svolte da associazioni
di consumatori, cittadini, produttori di software libero, nei confronti
dell’applicazione del contrassegno SIAE in opere open.
Punto
Informatico74
pubblica
all’URL
http://www.punto-
informatico.it/p.asp?i=35587 la risposta della SIAE ad una lettera
dell’Associazione Software Libero che “chiedeva lumi” sulla nota vicenda
dell’obbligatorietà del bollino anche per il freeware (argomento
ampiamente trattato su queste pagine già all’indomani dell’entrata in
vigore della riforma del diritto d’autore).
Questa la risposta della SIAE, per bocca del suo ufficio stampa:
Spett.le Associazione Software Libero
In risposta alla Vostra lettera aperta del 14 marzo scorso, precisiamo
alcuni punti.
1. La SIAE non è un’Associazione privata, ma un Ente Pubblico, come
espressamente previsto dall’art.180 della legge sul diritto d’autore
n. 633/1941 . La sua natura pubblica, in precedenza ribadita anche dalla
Corte di Cassazione e dalla Corte Costituzionale, recentemente è stata
confermata dal decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 419 sul
riordinamento degli pubblici nazionali, che testualmente la definisce
“Ente pubblico a base associativa”.
2. La legge n. 248 “Nuove norme di tutela del diritto d’autore” ha attribuito
alla SIAE alcuni compiti di carattere generale, in considerazione delle
funzioni istituzionali che l’Ente svolge da anni per la protezione delle
74
Uno dei più notevoli quaotidiani informatici online che tratta di nuove tecnologie.
166
opere dell’ingegno, in base alla già citata legge n.
633/1941
,
che ha esteso la tutela anche al software, a seguito delle modifiche
apportate dal D. Lgs. 29.12.1992 n. 518.
3. Le risposte ai vostri quesiti devono necessariamente essere ricercate
nel regolamento di esecuzione della legge n. 248, che sarà
prossimamente emanato con decreto del Presidente del Consiglio dei
Ministri. Questo decreto stabilirà i tempi, le caratteristiche e le modalità di
apposizione del contrassegno sui supporti. Sono decisioni che spettano
non alla SIAE, ma alla Presidenza del Consiglio.
4. In attesa che la materia sia completamente disciplinata da apposite
norme, la SIAE non può fornire chiarimenti, né esprimere pareri, essendo
essa stessa tenuta ad osservare la legge e ad applicarla, come peraltro
ha sempre fatto, nell’interesse e per conto dei suoi associati, che le
hanno conferito mandato per la tutela delle loro opere.
Cordiali saluti
Sapo Matteucci
Capo Ufficio Stampa SIAE
La risposta della SIAE merita di essere commentata analiticamente
perché - fra le righe - dice molto di più di quanto sembra ad una prima
occhiata.
L’apertura
è
una
“giustificazione
non
richiesta”.
la
lettera
dell’Associazione Software Libero non pone in discussione la natura
giuridica della SIAE e non si capisce quindi la ragione di specificare il
“pedigree” della SIAE. (In realtà si capisce bene. La SIAE sarà pure un
“soggetto pubblicistico” ma, come dichiarano loro stessi, si preoccupano
solo degli interessi degli iscritti).
167
Il punto due, oltre a non avere relazioni con quanto scritto dall’ASL - è
falso. Il d.lgs. 518/92 non attribuisce alla SIAE “poteri speciali” sul
software. Ma si limita ad istituire il registro pubblico dei probrammi per
elaboratore, dove chi vuole può iscrivere il proprio programma (senza per
questo
ricevere
l’attribuzione
di
paternità
sull’opera).
Quindi,
il
collegamento con la l.248/00 è un non sequitur.
Veniamo ora al terzo punto. Traducendo in plain italian l’affermazione
secondo la quale Le risposte ai vostri quesiti devono necessariamente
essere ricercate nel regolamento di esecuzione della legge n. 248, la
SIAE ribadisce chiaramente che, in linea di principio, anche i software
freeware e open source sono sottoposti all’obbligo di bollinatura.
Francamente, la cosa è inaccettabile. Il punto non è la richiesta di
stabilire l’eccezione alla regola (bollino su tutto, tranne che sul
freeware).Ma la non applicabilità tout court della “pecetta” quando la
licenza d’uso non fa distinzione fra copia e originale. Se, infatti, il bollino
serve per distinguere le copie “taroccate” da quelle “buone” è evidente
che questo presuppone da parte della software house una politica di
licensing volta a controllare la distribuzione. E quindi avrebbe senso
applicare dei marker per capire “a volo” quando il software è di
provenienza lecita. Ma nel caso dell’open source, dove è la stessa
licenza ad annullare la distinzione fra originale e copia, a quale necessità
assolve l’apposizione del bollino?
A questa semplice domanda nessuno ha ancora dato risposta.
Andiamo oltre.
Quanto al fatto che le decisioni spettano alla Presidenza del Consiglio,
questo è - per usare un eufemismo - quantomeno inesatto. Il
regolamento sarà emanato con Decreto, ma la SIAE fa parte del
Comitato per la tutela della proprietà intellettuale istituito dalla legge
168
248/00 presso la stessa Presidenza del Consiglio ed ha direttamente
voce in capitolo sulla stesura del regolamento.
Il quarto punto non risponde a verità, visto che esiste almeno una lettera
dell’ufficio antipirateria della SIAE che prende posizioni estremamente
precise sulla questione, affermando che l’obbligo di bollinatura vale per
tutti i software, indiscriminatamente. Con l’eccezione di quelli ceduti non
a scopo di lucro.
La SIAE - dice la lettera - continuerà ad osservare la legge e ad
applicarla, come peraltro ha sempre fatto, nell’interesse e per conto dei
suoi associati, che le hanno conferito mandato per la tutela delle loro
opere.
Ma se i “clienti” della SIAE sono soltanto gli associati
la SIAE tutela solo gli interessi degli associati
gli utili dei bollini vengono ridistribuiti fra gli associati
la legge non obbliga gli sviluppatori ad iscriversi alla SIAE
per quale motivo al mondo gli sviluppatori open source devono essere
obbligati a pagare questa ennesima tassa (che, per inciso, è aumentata
del 600% per le etichette musicali indipendenti), considerato che non
ottengono nulla in cambio?
Bisognerebbe riflettere sul ruolo della SIAE, che dietro la difesa del cosidetto “diritto d’autore” finisce per rappresentare una seria minaccia per la
libertà d’espressione dei gruppi musicali, teatrali e culturali, e per la libertà di fruizione, di tutti quei contenuti che rappresentano il patrimonio culturale della società contemporanea.
Intanto è curioso questo mix tra pubblico e privato. E’ pubblico in quanto
la legge le attribuisce, monopolisticamente, tale attività di riscossione. Ma
i soldi che incassa non sono pubblici bensì privati, in quanto le spoglie
vengono ripartite tra privati e, soprattutto, privata ne è la gestione. La
169
SIAE commette inoltre un grosso (ma voluto) errore:quello di mettere sullo stesso piano COPYRIGHT e DIRITTO D’AUTORE, che in realtà sono
due cose completamente diverse. Non bisogna confondere il “sacrosanto” diritto di un autore a vedersi attribuita la proprietà intellettuale di
un’opera, con la possibilità di condividerla liberamente con chiunque. Un
sistema che soffoca i pesci piccoli, e permette ai grandi di vivere allegramente con le briciole. Una lobby anacronistica che impedisce la libera
circolazione dei saperi. Un centro di interessi che rifiuta di mettersi al
passo con i tempi, che ignora la piccola grande rivoluzione che Internet
ha portato:la possibilità di far circolare liberamente, lontano da vincoli economici la cultura. Di ogni tipo.
IV.4 Cos’è la copia privata
La Copia Privata è il compenso che si applica, tramite una royalty sui
supporti vergini fonografici o audiovisivi in cambio della possibilità di
effettuare registrazioni di opere protette dal diritto d’autore. In questo
modo ognuno può effettuare una copia con grande risparmio rispetto all’
acquisto di un originale. Prima dell ‘introduzione della copia privata, non
era possibile registrare copie di opere tutelate. In Italia, come nella
maggior parte degli Stati dell’ Europa Unita (con l’eccezione della Gran
Bretagna, dove riprodurre copie anche ad uso privato è considerato
reato) è stata concessa questa possibilità, a fronte di una royalty
forfetaria per compensare del mancato acquisto gli autori e tutta la filiera
dell’ industria culturale. L’entità del compenso tiene conto del fatto che
sui supporti si possa registrare anche materiale non protetto dal diritto
d’autore.
La Siae riscuote questo compenso e lo ripartisce ad autori, produttori,
editori e interpreti. Anche questa norma sembra affermare il ruolo
monopolista della SIAE. Seppure questa possa sembrare una giusta
170
concessione agli utenti ed ai consumatori questa normativa sembra non
tener conto delle possibilità e del reale utilizzo che si può fare di supporti
di masterizzazione vergini, quali cd,dvd, hard disk. Secondo la SIAE si
presuppone il fatto che questi debbano essere usati per copiare
materiale protetto da diritto d’autore, pertanto su tali supporti è applicata
una sovratassa. Il problema principale è che questa è applicata
indiscriminatamente a prescindere dall’uso del suporto. Tuttavia esiste
una procedura per non pagare questo supplemento, ma la procedura
risulta essere macchinosa e non estesa a persone fisiche. Questa
normativa evidentemente non tiene conto dei possibili usi di supporti
vergini i quli possono essere usati per qualsiasi scopo, come per copiare
materiale proprio, autoprodotto o che comunque non appartenga a
qualche opera protetta dal diritto d’autore, tuttavia questa tassa è
applicata direttamente alla vendita di tali supporti.
Normativa
Il Decreto Legislativo 9 aprile 2003, n. 68 - intitolato “Attuazione della
Direttiva 2001/29/CE sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto
d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione” - introduce
modifiche alla disciplina in materia di compenso per la riproduzione
privata per uso personale di fonogrammi e videogrammi (“copia privata”).
Tali modifiche sono contenute negli articoli 9, 39 e 41 del Decreto. Le
modifiche sono contenute nell’articolo 9 (con il quale sono stati introdotti
nella Legge 22 aprile 1941, n. 633 gli articoli 71-sexies, 71-septies e 71octies), nell’articolo 31 (con il quale è stato sostituito il comma 3
dell’articolo 182-bis della legge 22 aprile 1941, n. 633), e negli articoli 39
e 41 del decreto.
Le nuove norme si basano sugli stessi principi della precedente Legge 5
febbraio 1992, n. 93, che aveva introdotto per la prima volta in Italia il
compenso per la “copia privata”, e cioè:
171
•
è prevista un’eccezione al diritto esclusivo di riproduzione spettante
ad autori, artisti e produttori;
•
in virtù di tale eccezione, al consumatore persona fisica è consentito di
riprodurre legalmente, per uso esclusivamente personale , fonogrammi e videogrammi;
•
a fronte del beneficio che il consumatore persona fisica trae dalla facoltà
di “copia privata” è previsto un compenso a favore di autori, artisti e produttori;
•
tale compenso è corrisposto sugli apparecchi di registrazione e sui supporti vergini.
La legge 21 maggio 2004 n. 128, modificando il 4° comma dell'art. 71septies, ha introdotto la previsione di sanzioni amministrative a carico di
coloro che non adempiano agli obblighi di legge.
Ambito di applicazione dell’eccezione per “copia privata”
Possono beneficiare dell’eccezione al diritto esclusivo di riproduzione
spettante ad autori, artisti e produttori solamente le persone fisiche, a
condizione che la riproduzione di fonogrammi e videogrammi sia
effettuata:
•
per uso esclusivamente personale, purché senza scopo di lucro e senza
fini direttamente o indirettamente commerciali;
•
mediante l’utilizzazione di apparecchi di registrazione e supporti vergini
per i quali sia stato corrisposto il compenso per “copia privata” previsto
dalla legge.
Alle condizioni sopra indicate, le persone fisiche possono dunque
effettuare riproduzioni di fonogrammi e videogrammi, senza il consenso
preventivo (licenza) di autori, artisti e produttori.
172
In tutti gli altri casi, la riproduzione di fonogrammi e videogrammi - in
assenza del consenso preventivo (licenza) di autori, artisti e produttori comporta violazione del diritto esclusivo di riproduzione degli stessi
autori, artisti e produttori, ed è pertanto illegale e penalmente
perseguibile.
È inoltre illegale e penalmente perseguibile:
•
la riproduzione di fonogrammi e videogrammi effettuata da terzi per conto
o a beneficio di persona fisica per uso personale;
•
la prestazione di servizi finalizzata a consentire la riproduzione di fonogrammi e videogrammi da parte di persona fisica per uso personale.
Beneficiari del compenso e criteri di ripartizione
Compenso
relativo
a
supporti ed
50% agli autori e loro
aventi causa
apparecchi
di
registrazione audio
25%
ai
produttori
di
fonogrammi
25% agli artisti interpreti
o esecutori
Compenso
relativo
a
supporti ed
apparecchi
registrazione video
30% agli autori
70% in tre parti uguali ai
di
produttori
opere
originari
di
audiovisive,
ai
produttori
di
videogrammi, agli artisti
interpreti o esecutori (la
metà
di
quest’ultima
quota
è destinata
ad
attività di studio e di
173
ricerca
e
a
fini
promozione,
di
di
formazione e di sostegno
professionale degli artisti
interpreti o esecutori)
Compiti della SIAE
La legge affida alla SIAE il compito di riscuotere il compenso per “copia
privata” e di ripartirlo ai beneficiari indicati dalla legge stessa,
eventualmente anche tramite le loro associazioni di categoria.
Per lo svolgimento di questo compito, la legge attribuisce alla SIAE
anche poteri di vigilanza su tutte le attività connesse con la
fabbricazione, l’importazione e la distribuzione in territorio italiano di
apparecchi di registrazione e di supporti vergini, nonché su tutte le
attività di duplicazione e distribuzione di supporti preregistrati.
A tal fine, gli ispettori della SIAE possono accedere ai locali di duplicatori,
fabbricanti, importatori e distributori (sia all’ingrosso che al dettaglio) e
possono richiedere l’esibizione della documentazione relativa all’attività
svolta.
La SIAE inoltre ha, contrattualmente, facoltà di controllo sulla corretta
utilizzazione dei supporti vergini costituenti prodotto semilavorato
acquistati da imprese di duplicazione.
Supporti di registrazione vergini
Il compenso per “copia privata” si applica a tutti i supporti di registrazione
vergini, analogici e digitali, dedicati (audio e video) e non dedicati
174
comunque idonei alla registrazione di fonogrammi e videogrammi.
Il compenso è costituito da un importo per supporto variabile in funzione
della sua categoria e capacità. Esso va calcolato sulla capacità effettiva
di registrazione - espressa in ore (o frazioni di ora) o in mega-gigabyte così come indicata sulla confezione del supporto. Per i supporti digitali
idonei alla registrazione video si ha riguardo alla capacità di registrazione
in minuti primi in “qualità DVD”, pari a 120 minuti primi per 4,7 GB,
purché chiaramente indicata sulla confezione.
Memorie fisse o trasferibili
Il compenso per “copia privata” è dovuto anche sulle memorie a norma
dell’art. 71-septies, 1° comma. Peraltro, a seguito dell’abolizione della
lett. d) dell’art. 39 del D. Lgs. 68/2003 ad opera della legge 43/2005, a
partire dal 2 aprile 2005 l’applicazione della norma citata rimane sospesa
fino alla emanazione del decreto del Ministro per i beni e le attività
culturali di cui al 2° comma dello stesso art. 71-septies
Conseguentemente, le memorie dovranno continuare ad apparire nei
report trimestrali delle vendite di fabbricanti ed importatori, anche se a
fronte di dette vendite non sarà per il momento corrisposto il compenso
per “copia privata”.
Apparecchi di registrazione
Il compenso per “copia privata” si applica a tutti gli apparecchi di
registrazione, analogici e digitali, dedicati (audio, video e audio/video)
ovvero non dedicati (masterizzatori CD e DVD per personal computer)
comunque idonei alla fissazione di fonogrammi e videogrammi su
supporti di qualsiasi natura.
Il compenso per “copia privata” sugli apparecchi di registrazione è pari al
3% del prezzo di listino ai rivenditori degli apparecchi stessi risultante
175
dalla fattura di vendita, al netto dei soli sconti evidenziati nella fattura
stessa.
Per gli apparecchi di registrazione che costituiscono una componente
interna di apparecchi complessi aventi molteplici funzioni (apparecchi
polifunzionali o combinati), per i quali non esiste di norma un prezzo di
listino riferibile al solo apparecchio di registrazione, trovano applicazione
criteri induttivi per la determinazione di detto prezzo, criteri basati sul
prezzo medio di un apparecchio di registrazione autonomo avente
caratteristiche equivalenti, così come previsto dalla legge.
Conseguentemente,
polifunzionali
e
sono
non
state
dedicati
definite categorie
con
una
di
componente
apparecchi
interna
di
registrazione, tenendo conto del fatto che le funzioni di lettura e scrittura
svolte da detta componente di registrazione sono considerate come
un’unica funzione.
Soggetti tenuti alla corresponsione del compenso
Il compenso per “copia privata” è dovuto da chi fabbrica o importa nel
territorio dello Stato, allo scopo di trarne profitto, gli apparecchi di
registrazione e i supporti vergini.
Per fabbricante obbligato alla corresponsione del compenso, si intende
l’impresa che, in territorio italiano, produce gli apparecchi di registrazione
e i supporti vergini assoggettati al compenso, anche se detti apparecchi
e supporti sono commercializzati con marchi di terzi.
Per importatore obbligato alla corresponsione del compenso, si intende
l’impresa o il soggetto anche occasionalmente destinatari, in territorio
italiano, di apparecchi di registrazione e di supporti vergini assoggettati al
compenso, quale che sia il paese di provenienza (paesi terzi o paesi
dell’Unione Europea) degli apparecchi e dei supporti stessi.
176
Nel caso in cui il fabbricante e l’importatore non corrispondano il
compenso dovuto, è prevista dalla legge, per il pagamento del
compenso, una responsabilità solidale del distributore degli apparecchi di
registrazione e dei supporti vergini.
Il distributore ha pertanto l’onere di verificare che i fabbricanti e gli
importatori presso cui si approvvigiona, direttamente o indirettamente,
abbiano corrisposto il compenso sugli apparecchi di registrazione e i
supporti vergini forniti (la verifica può essere fatta sulla fattura di
acquisto, sulla quale l’importo del compenso per “copia privata” dovrebbe
essere esposto separatamente dall’importo relativo alla merce, con
causale “compenso per copia privata ex art. 71-septies l.d.a.”).
Per distributore si intende qualsiasi impresa commerciale, sia
all’ingrosso che al dettaglio, che, a qualsiasi titolo distribuisce in territorio
italiano, anche occasionalmente, apparecchi di registrazione e supporti
vergini assoggettati al compenso.
Uno dei tanti problemi che si manifesta dalla rigida impostazione delle
leggi sul diritto d’autore è l’incongruenza (in alcuni casi)tra questa
normativa e quella che consente ai produttori di contenuti, opere
prootette da diritto d’autore di apporre sui supporti delle restizioni alla
copia e alla modifica. Capita a vole infatti che Volendo avvalersi dei diritti
previsti dall'art.71 sexies della legge sul diritto d'autore si è constatato
che misure di protezione DRM poste sui DVD acquistati non consentono
di eseguire la copia privata. Ne risulta una normativa generale che non
tiene in considerazione lo sviluppo tecnologico degli ultimi anni e i diritti
dei consumatori, una normativa che soffoca il mercato, tassando supporti
detinati ad uso privato, presupponendo che si debba copiare materiale
protetto, a volte accade che paradossalmente pur pagando tale tassa, la
reale possibiltà di copiare i contenuti di un cd, dvd che abbiamo
acquistato regolarmente, sia vanificata da DRM e misure di prtezione
177
troppo invasive.
Conclusione
Ripercorrendo l’evoluzione storica delle leggi relative al diritto
d’autore, dai suoi inizi fino ad oggi,e nei vari ambiti che
abbiamo analizzato, possiamo facilmente vedere l’emergere
delle industrie culturali (industria del cinema, dell’editoria
musicale e cartacea ecc..) detentori dei diritti assieme al ruolo
centrale della SIAE, che si configurano in un’assetto gestionale
industriale come produttori della scena culturale italiana .Il
diritto del copyright si è allontanato da quello che doveva
essere il suo ruolo originario.Non c’è dubbio che la cultura e i
saperi debbano circolare il più liberamente possibile e l’accesso
alle idee dev’essere facile e paritario, senza discriminazioni. Le
“opere dell’ingegno” non sono soltanto prodotte dall’ingegno,
devono a loro volta produrne, disseminare idee e concetti,
concimare le menti, stimolare l’immaginazione. Questo è il
primo caposaldo. Il secondo è che il lavoro deve essere
retribuito, compreso il
lavoro
dell’artista
o del
creatore.
Chiunque ha il diritto di poter fare dell’arte il proprio mestiere, e
ha il diritto di trarne sostentamento in un modo non lesivo della
propria dignità. Ovviamente, siamo sempre nel campo delle
condizioni auspicabili.
Ma fin dal principio la direzione dei governi e delle legislazioni è
andata verso un’altra direzione. Il diritto d’autore si configura
178
infatti come un diritto che garantisce solo i diritti dei produttori
a scapito degli autori, la gestione dei diritti è garantita dal
monopolio affidato dallo stato alla SIAE. Il clima culturale
italiano ne risente, il mercato audio-visivo è un mercato chiuso
che si scontra con la logica della produzione audio-visiva
nell’era del digitale, nell’era dell’home-networking e del socialsharing.
Altresì è ancora ostacolata la libera scelta dei nuovi produttori
di avvalersi di pratiche di autoproduzione o produzione non
vincolata dal monopolio della SIAE come quelle offerte dalla
scelta di applicare licenze Creative Commons o altri tipi di
licenze , scelta che non porta ad uno sviluppo del mercato
“underground” per la nota questione dei “bollini” SIAE. In
pratica non si è liberi di scegliere di distribuire un prodotto
culturale in ambito commerciale diversamente da come dettano
le leggi della SIAE, ma il problema più grande è che questo
monopolio sia garantito dalla legislazione italiana, la quale non
propone altre vie possibili.
Nell’ambito della produzione audio-visiva nell’era del digitale,in
un ambito culturale fiorito alle periferie del mondo digitale, nel
mondo dei blog, della condivisione del sapere in rete, dalle
pratiche di produzione dal basso, garantiti dallo sviluppo
tecnologico, e dalle reali possibilità di chiunque di essere di per
sé autore-produttore e non semplice fruitore di contenuti, le
vecchie e le nuove leggi sulla tutela dei diritti sembrano
appunto configurarsi come leggi che ostacolano la produzione e
la diffusione
di nuove forma di cultura, la produzione musicale, culturale e
179
televisiva si configura come un ambito chiuso dove vigono pure
leggi di mercato a scapito della democrazia, dell'innovazione e
della cultura, che non lasciano un minimo spazio alle reali
possibilità dei nuovi mezzi tecnologici. Tali possibilità minano gli
interessi economici dei produttori classici del sapere e dei media
classici. La storia del copyright ci spiega come esso sia nato per
proteggere un modello di business e non gli interessi degli
artisti, i quali stanno scoprendo lentamente: che il copyright
non ha mai riguardato il pagamento degli artisti per il loro
lavoro; il copyright, più che essere pensato per aiutare gli
inventori, è stato pensato da e per i distributori – cioè quelli che
pubblicano, che oggi comprendono le aziende discografiche.
Ma ora che Internet ci ha dato un mondo senza costi di
distribuzione, non ha più senso restringere la condivisione delle
opere per pagare una distribuzione centralizzata. Gli artisti e gli
utenti ne avrebbero beneficio sia dal punto di vista finanziario
che
artistico,
cosa
che
dovrebbe
essere
garantita
dalla
costituzione, come lo è, ma in realtà è impossibile la sua
applicazione.
I vecchi media non sono stati capaci di tenere testa alla portata
della diffusione delle nuove tecnologie della comunicazione. E' a
causa di questa incapacità di figurarsi la complessità che
l'industria culturale (soprattutto quella discografica) ha perso i
primi cinquanta treni dell'innovazione telematica, vivendo le
nuove opportunità tecnologiche come minacce anziché come
sfide, reagendo in modo scomposto a Napster, alle restrizioni
dei DRM e a tutto quello che è seguito.
Analizzando le origini del copyright e la storia degli Stationers
180
inglesi ci si chiede Come si può pensare che sia ancora valida la
giustificazione ideologica del copyright, quella che diede forma
allo Statute of Anne?
Gli eredi degli Stationers e dei loro diritti ( in quanto possessori
dei mezzi necessari a produrre opere, e quindi in ruolo di
mediazione tra il processo creativo e quello distributivo)
vengono
scalzati
dalla
rivoluzione
tecnologica
e
microtecnologica iniziata negli anni Settanta, dall'avvento del
digitale, dalla "democratizzazione" dell'accesso al computing e
alla tecnologia. Prima la fotocopiatrice e l'audiocassetta, poi il
videoregistratore e il campionatore, poi il masterizzatore cd e il
peer-to-peer. E' opportuno che ,nell'epoca del digitale il senso
di tutto questo apparato burocratico e legislativo ,che presiede
la produzione e la distribuzione di cultura e di opere d'ingegno
,vada rivisto. Occorrono nuove definizioni dei diritti di chi crea,
di chi produce, di chi mette a disposizione. Se una "opera
dell'ingegno" può giungere al pubblico senza la mediazione di
un
editore, di
un discografico, di
produttori
televisivi
o
cinematografici, sono questi ultimi a dover interrogarsi su come
proseguire, a dover inventarsi qualcosa, a dover ridefinire il
proprio ruolo imprenditoriale e la propria ragione sociale.
Cercare
di
mantenere
con
la
minaccia
delle
restrittive
regolamentazioni questo status quo è sinonimo di repressione
della cultura ostacolo all'innovazione e allo sviluppo di una
cultura libera e democratica.
La logica della SIAE o della RIAA(suo equivalente statunitense)
smascherate dalla loro copertura ideologica e storica, come
difensori
del
diritto
degli
autori,
come
mediatori
della
181
distribuzione in posizione di monopolio, è quella di difendere ad
ogni modo i propri diritti economici. Più l'opera circola gratis,
meno copie vende, più soldi perde l'autore. La copia personale è
plagio, furto, bisogna criminalizzare il p2p, creare misure
tecnologiche in grado di contrastare l'uso indebito di opere
coperte da diritti ecc..bisogna ostacolare le potenzialità di un
nuovo mezzo di comunicazione perchè non si è capaci di
adattarsi ad un nuovo approccio al mondo della comunicazione
mediatica. una
sequenza auspicabile sarebbe:un panorama
culturale più ampio che integra i media classici assieme alle
nuove tecnologie nel contesto nella produzione,diffusione e
distribuzione del sapere. Due logiche distinte , ma non
necessariamente
contrapposte,
capaci
di
integrarsi
e
di
completarsi a vicenda. Le opere circolano , il gradimento si
trasforma in passaparola, ne traggono beneficio la celebrità e la
reputazione
dell'autore,
quindi
aumenta
il
suo spazio
manovra all'interno dell'industria culturale e non solo.
di
Si
sviluppa una via alternativa e reale alla circolazione del sapere
e all'accesso alla cultura ,una via alternativa al processo di
produzione e ad una reale importanza nell'attribuzione dei diritti
del copyright a chi realmente ne è detentore: il suo autore.
182
Appendice: le licenze
le licenze Creative Commons
Esaminando questo prospetto informativo si possono identificare quelle che sono le linee
guida del progetto Creative Commons. Prendendo ispirazione dal progetto GNU e dalle
relative licenze, Creative Commons vuole estendere le garanzie di questo tipo di licenza
183
alle opere non-software, che appartengono all’audio, video, testo e immagini, web etc.
Il più alto grado di libertà per distriubuire e per fruire di un opera sarebbe quello di
rilasciare l’opera al pubblico dominio, ma per le questioni che abbiamo visto anche
riguardo alla nascita del progetto gnu e dell’open software, il problema sarebbe quello che
qualcun altro potrebbe appropriarsi dell’opera e porla sotto le leggi del copyright. Quindi le
licenze Creative Commons hanno pensato diversi modi di proteggere le opere non
software e diverse modalità per consentirne gli usi liberi o le altre condizioni.
184
Le licenze Creative Commons
(in versione Commons deed)
Attribuzione 2.5 Italia
Tu sei libero:
* di riprodurre, distribuire, comunicare al pubblico, esporre in
pubblico,
rappresentare, eseguire e recitare quest'opera
* di modificare quest'opera
* di usare quest'opera per fini commerciali
Alle seguenti condizioni:
A t t r i b u z i o n e . Devi attribuire la paternità dell'opera nei modi
indicati
dall'autore o da chi ti ha dato l'opera in licenza.
* Ogni volta che usi o distribuisci quest'opera, devi farlo
secondo i
termini di questa licenza, che va comunicata con chiarezza.
* In ogni caso, puoi concordare col titolare dei diritti
d'autore utilizzi
di quest'opera non consentiti da questa licenza.
Le utilizzazioni consentite dalla legge sul diritto d'autore e
gli altri
diritti non sono in alcun modo limitati da quanto sopra.
Questo è un riassunto in linguaggio accessibile a tutti del
Codice Legale
(la licenza integrale) disponibile all'URL
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Attribuzione - Non opere derivate 2.5 Italia
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pubblico,
rappresentare, eseguire e recitare quest'opera
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dall'autore o da chi ti ha dato l'opera in licenza.
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opere
derivate.
Non
puoi
alterare
o
trasformare
quest'opera, ne' usarla
per crearne un'altra.
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secondo i
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Sampling 1.0
Tu sei libero:
* Di realizzare campionamenti (sampling), di mescolare o di
trasformare
creativamente quest'opera per scopi sia commerciali che non
commerciali.
Alle seguenti condizioni:
* Devi riconoscere il contributo dell'autore originario.
* Non puoi utilizzare quest'opera per pubblicizzare o promuovere
altro se
non l'opera derivata da essa.
* In occasione di ogni atto di riutilizzazione, devi chiarire
agli altri i
termini della licenza di quest’opera.
* Per nessun motivo puoi eseguire, esibire o distribuire copie
di
quest'opera nella sua interezza.
Le tue utilizzazioni libere e gli altri diritti non sono in
nessun modo
limitati da quanto sopra
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(la licenza integrale) disponibile all’URL
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Sampling plus 1.0
Tu sei libero:
* Di realizzare campionamenti (sampling), di mescolare o di
trasformare
creativamente quest'opera per scopi sia commerciali che non
commerciali.
*
di
distribuire,
comunicare
al
pubblico,
rappresentare,
eseguire, recitare
o esporre in pubblico copie dell’opera nella sua interezza (ad
esempio
file-sharing o webcasting per scopi non commerciali).
Alle seguenti condizioni:
* Devi riconoscere il contributo dell'autore originario.
* Non puoi utilizzare quest'opera per pubblicizzare o promuovere
altro se
non l'opera derivata da essa.
* In occasione di ogni atto di riutilizzazione o distribuzione,
devi
chiarire agli altri i termini della licenza di quest’opera.
Le tue utilizzazioni libere e gli altri diritti non sono in
nessun modo
limitati da quanto sopra
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Sampling Plus NonCommercial 1.0
Tu sei libero:
* Di realizzare campionamenti (sampling), di mescolare
trasformare
creativamente quest'opera per scopi non commerciali.
o
di
188
*
di
distribuire,
comunicare
al
pubblico,
rappresentare,
eseguire, recitare
o esporre in pubblico copie dell’opera nella sua interezza (ad
esempio
file-sharing o webcasting per scopi non commerciali).
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* Devi riconoscere il contributo dell'autore originario.
* Non puoi utilizzare quest'opera per pubblicizzare o promuovere
altro se
non l'opera derivata da essa.
* In occasione di ogni atto di riutilizzazione o distribuzione,
devi
chiarire agli altri i termini della licenza di quest’opera.
Le tue utilizzazioni libere e gli altri diritti non sono in
nessun modo
limitati da quanto sopra
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http://creativecommons.org/licenses/nc-sampling+/1.0/legalcode.
General Public License
La GNU General Public License è una licenza per software libero. Il testo
ufficiale
della
licenza
è
disponibile
all'URL
http://www.gnu.org/licenses/gpl.html,
mentre
all'URL
http://www.softwarelibero.it/gnudoc/gpl.it.txt è disponibile la traduzione
non ufficiale in italiano.
Viene spesso indicata con l'acronimo GNU GPL o (quando non c'è il rischio di confondersi con un'altra "General Public License") semplicemente GPL. Per evitare un errore alquanto comune, si tenga presente che
GPL non significa Gnu Public License.
La GNU GPL, versione 1.0, è stata scritta nel 1989 da Richard Stallman
e Eben Moglen, per distribuire i programmi creati dal Progetto GNU. Nel
1991 la versione 1.0 del 1989 viene aggiornata alla versione 2.0. Il 29
giugno 2007 la Free Software Foundation ha rilasciato la versione 3 della
licenza. La GNU GPL è basata su una licenza simile usata per le prime
versioni di GNU Emacs. Contrapponendosi alle licenze per software proprietario, la GNU GPL permette all'utente libertà di utilizzo, copia, modifica e distribuzione; a partire dalla sua creazione è diventata una delle licenze per software libero più usate.
189
Quanto segue è un riassunto dei termini della licenza. L'unica descrizione legalmente precisa, in ogni caso, è quella del testo della licenza stessa.
Il testo della GNU GPL è disponibile per chiunque riceva una copia di un
software coperto da questa licenza. I licenziatari (da qui in poi indicati
come "utenti") che accettano le sue condizioni hanno la possibilità di modificare il software, di copiarlo e ridistribuirlo con o senza modifiche, sia
gratuitamente sia a pagamento. Quest'ultimo punto distingue la GNU
GPL dalle licenze che proibiscono la ridistribuzione commerciale.
Se l'utente distribuisce copie del software, deve rendere disponibile il
codice sorgente a ogni acquirente, incluse tutte le modifiche eventualmente effettuate (questa caratteristica è detta copyleft). Nella pratica, i
programmi sotto GNU GPL vengono spesso distribuiti allegando il loro
codice sorgente, anche se la licenza non lo richiede. Ci sono casi in cui
viene distribuito solo il codice sorgente, lasciando all'utente il compito di
compilarlo.
L'utente è tenuto a rendere disponibile il codice sorgente solo alle persone che hanno ricevuto da lui la copia del programma o, in alternativa, accompagnare il software con una offerta scritta di rendere disponibile il
sorgente su richiesta e per il solo costo della copia. Questo significa, ad
esempio, che è possibile creare versioni private di un software sotto
GNU GPL, a patto che tale versione non venga distribuita a qualcun altro. Questo accade quando l'utente crea delle modifiche private al software ma non lo distribuisce: in questo caso non è tenuto a rendere pubbliche le modifiche.
Dato che il software è protetto da copyright, l'utente non ha altro diritto di
modifica o ridistribuzione al di fuori dalle condizioni di copyleft. In ogni
caso, l'utente deve accettare i termini della GNU GPL solo se desidera
esercitare diritti normalmente non contemplati dalla legge sul copyright,
come la ridistribuzione. Al contrario, se qualcuno distribuisce un software
(in particolare, versioni modificate) senza rendere disponibile il codice
sorgente o violando in altro modo la licenza, può essere denunciato dall'autore originale secondo le stesse leggi sul copyright. È un intelligente
cavillo legale, ed è per questo che la GNU GPL è stata descritta come un
"copyright hack". La licenza specifica anche che il diritto illimitato di ridistribuzione non è garantito, in quanto potrebbero essere trovate delle
debolezze legali (o "bug") all'interno della definizione di copyleft.
La Free Software Foundation (FSF) detiene i diritti di copyright per il testo della GNU GPL, ma non detiene i diritti del software rilasciato con
questa licenza. A meno che venga emessa una specifica nota di
copyright da parte della FSF, l'autore del software detiene i diritti di
190
copyright per il suo lavoro, ed è responsabile di perseguire ogni violazione della licenza riguardante il suo software.
In caso di violazione della licenza il detentore del copyright è l'unico che
può richiederne il rispetto nei termini di legge ed è l'unico che può chiedere aiuto alla FSF per la protezione di tale software, quest'ultima può intervenire solo se è il detentore del copyright a richiederne il suo aiuto. La
FSF, normalmente, mette a disposizione i suoi legali per proteggere il
software coperto da una licenza GNU, chiedendo in un primo tempo il rispetto della licenza e solo se tale richiesta non viene accettata si arriva al
tribunale.
A differenza dei software con essa distribuiti, la GNU GPL non è liberamente modificabile: copiarla e distribuirla è permesso, ma modificarla è
vietato. La FSF permette di creare nuove licenze basate sulla GNU GPL,
a patto che tali licenze non usino il suo preambolo senza permesso. Dato
che, solitamente, la nuova licenza non è compatibile con la GNU GPL, la
FSF sconsiglia di creare versioni modificate.
Versione 3 della licenza GPL
Questa voce dovrà essere rivista e aggiornata nel corso del 2007.
La GPL versione 3 chiarisce alcuni concetti utilizzati nel testo della
licenza in modo da renderla più facilmente applicabile a legislature
diverse da quella americana.
Era stata ventilata l'introduzione dell'obbligo di distribuire il codice per i
programmi che girano su siti web e utilizzano software GPLv2 (proprio o
meno). In questo caso infatti non ha luogo l'atto della distribuzione, e di
fatto la licenza assume un significato più simile alla licenza freeware che
a quella GPL. Questo obbligo tuttavia non è stato inserito nella versione
finale della licenza, e al suo posto è stata inserita una clausola che limita
la possibilità di tivoization.
La maggior parte dei programmi con licenza GPLv2, utilizza il seguente
testo approvato dalla FSF: "This program is free software; you can
redistribuite it and/or modify it under the terms of the GNU/General
Pubblic License as published the Free software Foundation; either
version 2 of the License, or (at your opinion) any later version".
Questo testo non significa che i programmi passeranno automaticamente
alla versione successiva della licenza, ma solo che questi programmi
191
ottengono automaticamente i permessi aggiuntivi della licenza
successiva e non le eventuali clausole restrittive. Quindi, se lo
sviluppatore vorrà far valere per intero la licenza successiva dovrà
cambiare il testo in "... either version 3 of the License, or (at your opinion)
any later version".
Tuttavia, altri programmi specificano esplicitamente l'utilizzo della
versione 2 della GPL (tra questi, Linux) per mantenere il controllo
esplicito sulla licenza utilizzata e per evitare di assecondare
implicitamente le posizioni della FSF.
Lo stesso Linus Torvalds, in effetti, è stato inizialmente contrario alla
licenza GPLv3 per gli atteggiamenti di "crociata" contro la tivoization che
le prime bozze avevano al loro interno. "Secondo me uno dei motivi per
cui Linux ha avuto tanto successo è la qualità del progetto, non certo
l'atteggiamento di crociata che molti gli vogliono attribuire" ha dichiarato
Linus Torvalds. Infine ha ribaltato la posizione di Richard Stallman: "non
è la GPL ad aver reso famoso GNU/Linux, ma è Linux ad aver reso
"presentabile" la GPL, essendo dannatamente meno integralista di quello
che la FSF vuole."
Dopo la terza bozza della GPLv3, Linus Torvards ha cambiato la sua
posizione affermando che è soddisfatto delle clausole della GPLv3, e che
in presenza di buoni motivi per farlo sarebbe disposto a cambiare la
licenza di Linux.
La licenza GNU FDL
(Free documentation license)
"il software libero ha bisogno di documentazione libera".
E' una prassi abbastanza comune fra gli informatici scrivere della
documentazione relativa allo sviluppo del loro software: testi di
presentazione,commenti,
istruzioni
tecniche,
veri
e
propri
manuali.Inizialmente gli sviluppatori del progetto GNU pensarono di
applicare la GPL anche alla documentazione: ciò è tecnicamente fattibile,
ma dobbiamo tener presente che si tratta di una licenza pensata
192
originariamente per il software e in cui si usano concetti e definizioni
rivolte al mondo informatico. Finalmente nel 2000 la Free Software
Foundation pensò di redigere il testo di una licenza pensata
appositamente per la documentazione e per le opere testuali in generale.
Nasce così la GNU Free documentation license FDL.
Attualmente, rappresenta unadelle licenze più utilizzate nel mondo
(assieme al set di licenze Creative Commons) per opere letterarie: basti
pensare a gran parte della documentazione relativa alle varie
distribuzioni GNU/Linux e alla mastodontica enciclopedia virtuale
Wikipedia.org.
193
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Attivissimo- www.attivissimo.net
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Antonella Beccaria www.antonella.beccaria.org/
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Copyleft Italia- www.copyleft-italia.it
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CC-Creative Commons.www.creativecommons.org
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Diritto d’autore.it
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I Quindici- www.iquindici.org
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