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relazione udienza 183 e 184 cpc - Ordine degli Avvocati di Milano

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relazione udienza 183 e 184 cpc - Ordine degli Avvocati di Milano
LA PRIMA UDIENZA DI COMPARIZIONE E TRATTAZIONE
Prof. Mariacarla Giorgetti
Il rinnovato processo di cognizione si snoda attraverso due direttrici
fondamentali, strettamente collegate: il principio della trattazione orale
della causa ed il principio della concentrazione delle fasi processuali.
L’esame dei due principi segue, infatti, e si interseca rispettivamente con
quello dell’analisi dei nuovi artt. 180 e 183 c.p.c.
La modifica più rilevante apportata al nuovo testo dell’art. 180 c.p.c.
consiste nell’eliminazione del termine perentorio di 20 giorni, prima
della udienza di trattazione di cui al vecchio 183 c.p.c, entro il quale il
convenuto poteva proporre le eccezioni, di rito e di merito, non rilevabili
d’ufficio.
Tali eccezioni, infatti, oggi devono essere dedotte a pena di decadenza
nella comparsa di risposta, secondo quanto previsto del nuovo testo
dell’art. 167 c.p.c.
Nel citato art. 167 c.p.c., pertanto, è prevista la decadenza, rilevabile
d’ufficio,
dalla
possibilità
di
proporre
le
eventuali
domande
riconvenzionali e la chiamata del terzo, nonché dalla proponibilità delle
eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio.
La seconda novità è rappresentata dall’eliminazione della previsione del
vecchio 2° comma del 180 che consentiva al giudice, dopo la verifica
della regolarità del contraddittorio, su istanza di parte, di autorizzare lo
scambio delle comparse tra le parti ai sensi dell’art. 170 cpc.
Tali attività sono, infatti, confluite nella previsione del nuovo art. 183
cpc. che, con i suoi ben 9 commi (si ricorda che il decimo ed ultimo
comma è stato abrogato con la legge di stabilità del 2012), disciplina
estensivamente la nuova e unica udienza di trattazione come un’udienza
polifunzionale.
Nell’udienza ex art. 183 c.p.c. sono concentrate le attività che il giudice
compiva ai sensi del vecchio art. 180, comma 1, c.p.c. finalizzate alla
verifica della regolarità del contraddittorio: mentre precedentemente a
tale incombenza era dedicata l’udienza di prima comparizione oggi
questa verifica è collocata nella prima fase dell’ “udienza di prima
comparizione e trattazione della causa” che prevede il rinvio ad altra
udienza di trattazione soltanto nel caso in cui il Giudice pronunzi i
provvedimenti di cui infra.
Tali provvedimenti riguardano: a) la verifica della regolarità della
notificazione della citazione, in caso di contumacia del convenuto (art.
291 c.p.c., 1° comma ex 164 c.p.c. 2° comma); b) la verifica della
regolarità del contraddittorio, con la chiamata in giudizio di un
litisconsorte necessario (art. 102 c.p.c. 2° comma); c) la rinnovazione
della citazione nulla per difetto di vocatio in ius (art. 164 c.p.c., comma 1
ex 163 c.p.c. n. 1, 2, 7) ovvero la fissazione di una nuova udienza in caso
di costituzione del convenuto che eccepisca l’insufficienza dei termini a
comparire (90 giorni) o la mancanza dell’avvertimento di cui al n. 7
dell’art. 163 c.p.c. (art. 164 2° comma); d) l’ordine di integrazione della
citazione o della comparsa di risposta per difetto della editio actionis,
(art. 164 comma 5 ex 163 3, 4 comma); e) lo spostamento della prima
udienza a seguito di chiamata del terzo (art. 269 c.p.c.); f) l’assegnazione
di un termine per la costituzione del rappresentante o per il rilascio delle
autorizzazioni (art. 182).
In ogni caso in cui si verifichi una di tali esigenze e si debba pronunciare
uno di tali provvedimenti, il giudice fissa un nuova udienza di
trattazione: lo sdoppiamento della udienza di trattazione è, perciò, solo
eventuale ed è legato all’insorgere di situazioni che non consentono una
trattazione immediata.
A tale modifica consegue l’adattamento dell’ultimo comma dell’art. 164
c.p.c. (comma 6) ai sensi del quale “In caso di integrazione della
domanda il giudice fissa l’udienza ai sensi del secondo comma dell’art.
183 cpc ( cioè una nuova udienza di trattazione) e si applica l’art. 167
c.p.c.”.
Profondamente mutata è la disciplina della comparizione personale delle
parti per la quale è prevista la fissazione di una udienza ad hoc.
Recita, infatti, il 3° comma del nuovo art. 183 c.p.c.: “Il Giudice
istruttore fissa altresì una nuova udienza se deve procedersi a norma
dell’art. 185 cpc.” (comparizione personale delle parti al fine di esperire
il tentativo di conciliazione).
E’ da notare che la nuova formulazione non fa espressa menzione del
potere del giudice di tentare la conciliazione, anche se sul punto la
dottrina supera il problema attraverso il richiamo all’art. 185 c.p.c.
(tentativo di conciliazione) che prevede la possibilità, in caso di richiesta
congiunta, di esperire la conciliazione giudiziale in qualunque momento
della istruzione e, dunque, anche in questa fase preliminare alla
trattazione vera e propria.
Va segnalato incidentalmente che il 9° comma dell’art. 183 c.p.c.
prevede espressamente l’autonoma facoltà per il giudice di disporre la
comparizione delle parti, al fine di interrogarle liberamente, anche in
sede di ammissione delle prove.
Il novellato art. 185 c.p.c., poi, prevede la possibilità per il Giudice di
ordinare la comparizione delle parti non solo al fine della conciliazione
ma anche ai sensi dell’art. 117 c.p.c. ossia al fine di interrogarle
liberamente per acquisire chiarimenti sul thema decidendum et
probandum.
Pertanto, è ragionevole dedurre che ove il giudice ravvisi comunque la
opportunità di una conciliazione, possa discrezionalmente ordinare la
comparizione delle parti ex art. 185 c.p.c., pur senza una espressa
richiesta delle parti in tal senso.
Va segnalato che l’interrogatorio non formale ai sensi dell’art. 117 c.p.c.
non è diretto a provocare la confessione delle parti ma solo a chiarire
meglio le rispettive allegazioni. Pertanto, tali dichiarazioni non hanno
valore confessorio, non formano, cioè, piena prova, a meno che non sia
configurabile una dichiarazione confessoria spontanea, cioè non
provocata dalle domande del giudice.
In linea con la previsione di una comparizione solo eventuale, non è stata
ripetuta la previsione secondo la quale la mancata comparizione della
parte, senza giustificato motivo, e’ valutabile come argomento di prova
ex art. 116 cpc: tale sanzione è oggi prevista solo in riferimento alla
mancata conoscenza, da parte del procuratore della parte, dei fatti di
causa. Tale mancanza, tuttavia, una volta che sia stato dato l’ordine di
comparizione, sarà valutabile ex art. 116 c.p.c. anche senza un espresso
rinvio alla norma in questione.
Nel nuovo modello processuale, quindi, la trattazione della causa può
iniziare tanto nella prima udienza (quando non siano stati adottati i
provvedimenti di regolarizzazione del contraddittorio e/o non sia stata
disposta la comparizione delle parti), tanto in una udienza successiva: la
regola generale può, dunque, ritenersi quella che prevede l’inizio della
trattazione nella prima udienza.
La formulazione del 4° comma è emblematica: “Nell’udienza di
trattazione (la prima udienza) ovvero in quella eventualmente fissata ai
sensi del terzo comma (comparizione) il giudice richiede alle parti, sulla
base dei fatti allegati, i chiarimenti necessari e indica le questioni non
rilevabili di ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione” (es.:
eventuali nullità degli atti prodotti dalle parti, eventuali decadenze).
Si tratta, invero, di una riformulazione della vecchia previsione che
concerne comunque attività discrezionale del Giudice.
La prima parte del 5° comma dell’art. 183 c.p.c. non è stata innovata:
“nella stessa udienza l’attore può proporre le domande e le eccezioni che
sono conseguenza della riconvenzionale o delle eccezioni del convenuto;
può altresì chiedere di essere autorizzato a chiamare un terzo ex artt.
106 e 269 c.p.c. se l’esigenza è sorta dalle difese del convenuto.”
In tal modo il legislatore conferisce all’attore la possibilità di introdurre
alla prima udienza le eccezioni, comprese quelle non rilevabili d’ufficio,
volte a paralizzare l’eventuale domanda riconvenzionale del convenuto
(l’exceptio reconventionis), ovvero a paralizzare le eccezioni avverse
(exceptio exceptionis), ma anche la possibilità di introdurre nuove
domande riconvenzionali dirette a paralizzare la nuova domanda
introdotta dall’altra parte (reconventio reconventionis).
Anche la possibilità di chiamare un terzo è strettamente correlata allo
svolgimento delle difese del convenuto: l’istanza di autorizzazione alla
chiamata, infatti, può proporsi solo se il convenuto abbia formulato
riconvenzionali o eccezioni in senso proprio e non serve per sopperire ad
una iniziale erronea prospettazione, da parte dell’attore, del soggetto sul
quale verte l’obbligazione dedotta a fondamento della domanda.
La possibilità è comunque prevista a pena di decadenza e il giudice, ove
l’autorizzi, fisserà una nuova udienza allo scopo di consentire la citazione
del terzo nel rispetto dei termini di comparizione.
L’ultima parte del 5° comma prevede lo ius corrigendi: le parti possono,
cioè, modificare o precisare le domande, le eccezioni e le conclusioni già
formulate, secondo il tenore del vecchio art. 183 5° comma c.p.c.
Lo ius variandi si riferisce, ovviamente, alla emendatio libelli,
tradizionalmente ammissibile, che consiste nella specificazione di
ulteriori circostanze di fatto a sostegno della originaria domanda, allorché
restino immutati il petitum e la causa pretendi.
Resta esclusa la possibilità di una mutatio libelli, ossia la prospettazione
di domanda nuova, basata, cioè, su presupposti di fatto diversi da quelli
posti a fondamento della domanda originaria.
La fase della trattazione può concludersi o direttamente, con la
remissione della causa in decisione ex art. 187 c.p.c., ovvero con la
concessione, se richiesto dalle parti, di ulteriori termini perentori per le
precisazioni, per le repliche e per le richieste istruttorie e, quindi, con la
fissazione di un’ altra udienza per l’espletamento dei mezzi istruttori (art.
184 c.p.c).
L’attività svolta dalle parti nei termini così assegnati risulta molto ampia
in quanto cumula sia i contenuti processuali e di merito, sia quelli
specificatamente istruttori:
a) 30 giorni per il deposito di memorie di precisazione/modificazione delle
domande, eccezioni e conclusioni già formulate,
b) 30 giorni per replicare e per proporre le eccezioni che sono conseguenza
delle domande ed eccezioni della controparte nonché per la indicazione
dei mezzi di prova e per le produzioni documentali,
c) 20 giorni per le sole indicazioni di prova contraria.
Non vi è dubbio che la parte che non si sia avvalsa del primo termine
possa depositare nel secondo la memoria per le repliche e per le
eccezioni e per le indicazioni di prova.
Si ritiene certo, in ogni caso, che siano ammissibili le indicazioni di
prova contraria, usufruendo dell’ulteriore termine concesso per la terza
memoria, anche in assenza (o intempestività) delle precedenti.
La norma offre al giudice due possibilità, a parte quella di cui all’art.187:
a) provvedere sulle richieste istruttorie a1) immediatamente, nell’udienza
ex art. 183, ovvero a2) a seguito di riserva e, quindi, a3) se ammette
mezzi istruttori, fissare l’udienza di cui all’art. 184 per l’assunzione
ovvero a4) se ritiene di non dover ammettere alcun mezzo istruttorio,
invitare le parti a precisare le conclusioni, salva fissazione, per prassi, di
altra udienza per il medesimo adempimento;
b) adottare i provvedimenti di cui al precedente punto a) con ordinanza
emanata fuori udienza, in quanto evidentemente “richiesto” ai sensi del
6° comma art.183 c.p.c.
Nella seconda ipotesi, per come già prospettato, risulta impedita alle parti
la possibilità di disporre di un momento processuale in cui interloquire
sull’ammissibilità dei mezzi di prova richiesti dall’avversario e, in
particolare, sulle prove contrarie.
L’8° comma richiama “l’ordinanza” di cui al comma precedente,
lasciando intendere, ad una prima affrettata lettura, che il giudice possa
esercitare il potere di disporre mezzi di prova d’ufficio soltanto qualora si
sia riservato di decidere.
Questa lettura non sarebbe, però, ragionevole ed il riferimento deve
essere esteso, sic et simpliciter, al provvedimento (ordinanza) con cui il
giudice provvede (in udienza o fuori udienza) sui mezzi di prova richiesti
dalle parti.
L’ordinanza ammissiva di mezzi di prova d’ufficio deve contenere:
a) l’assegnazione alle parti di un termine perentorio per il deposito di
memorie contenenti “… i mezzi di prova che si rendono [rectius che si
reputano] necessari in relazione ai primi …”;
b) l’assegnazione di un altro termine perentorio per il deposito di
memorie in replica;
c) la riserva di decisione.
Le durate dei termini (salvo quello di gg. 30 per il deposito
dell’ordinanza, stante il riferimento al 7° comma) non è precisata e, per
analogia, non dovrebbe essere maggiore di quelle indicate nel 6° comma
(30+30 o 30+20).
Ma quali sono i mezzi di prova che possono essere disposti dal giudice?
Certamente non è compreso tra tali mezzi l’interrogatorio libero delle
parti, in quanto specificamente disciplinato dagli artt. 117 e 185, oltre che
dal comma 9° dell’art. 183, e, comunque, non soggetto alla preventiva
concessione dei termini di cui nel comma in esame. E così pure è da
escludere la consulenza tecnica in quanto non rientrante tra i mezzi di
prova.
Va subito tenuto conto che, nel processo ordinario di cognizione, il
potere del giudice in ordine all’ammissione d’ufficio di mezzi di prova è
diverso e meno ampio di quello riconosciuto nei processi di lavoro (cfr.
art. 421); in entrambi i casi, però, non è esercitatile là dove si sia
verificata a carico delle parti una preclusione.
Certamente, a titolo esemplificativo, sono disponibili da parte del
giudice:
a) l’ispezione di cui all’art. 118 c.p.c., se ritenuta indispensabile;
b) l’esibizione di un “… documento o altra cosa …”, a sensi dell’art.
210, “… negli stessi limiti entro i quali può essere ordinata a norma
dell’art.118 l’ispezione di cose …”;
c) il giuramento suppletorio (art. 240) e quello estimatorio (art. 241);
d) la prova testimoniale “… formulandone i capitoli, quando le parti
nella esposizione dei fatti si sono riferite a persone che appaiono in
grado di conoscere la verità …”, a sensi dell’art. 281 ter;
e) “… tutti gli altri mezzi istruttori utili …” (art.407 comma 3° c.c.) nel
procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno e così pure
nel procedimento per interdizione o inabilitazione (art.419 comma 2°).
Il 9° comma recita che “Con l’ordinanza che ammette le prove il giudice
può in ogni caso disporre, qualora lo ritenga utile, il libero
interrogatorio delle parti; all’interrogatorio disposto dal giudice
istruttore si applicano le disposizioni di cui al terzo comma”.
Tale norma, a ben vedere, ben sarebbe potuto essere inserito nelle sedi ad
hoc costituite dagli artt.117 e/o 185.
L’art. 184 c.p.c. statuisce che “nell’udienza fissata con l’ordinanza
prevista dal settimo comma dell’articolo 183, il giudice istruttore
procede all’assunzione dei mezzi di prova ammessi”.
Giurisprudenza
Cassazione civile, sez. III, 04 marzo 2014, n. 5018
In assenza della parte all'udienza di precisazione delle conclusioni,
valgono le precisazioni risultanti dagli atti introduttivi e le modifiche
eventuali ex art. 183 c.p.c.. Invero, l'omessa precisazione delle
conclusioni della parte regolarmente costituita in udienza non produce
alcun altro effetto se non quello di far ritenere richiamate le conclusioni
formulate in precedenza. L'assenza non implica, dunque, alcuna volontà
di rinuncia alle domande e alle eccezioni in precedenza proposte,
dovendosi presumere che la parte stessa abbia inteso tenere ferme, senza
variarle, le conclusioni formulate in precedenza formulate negli atti tipici
a ciò destinati e, quindi, nell'atto introduttivo del giudizio o nella
comparsa di risposta, come anche nell'udienza o nei termini ex art. 183
cit..
Tribunale Milano, 20 dicembre 2013.
Con la concessione dei termini ex art. 183 c.p.c., il tribunale invita le
parti a depositare prima dell’udienza uno schema processuale predisposto dopo la cristallizzazione del “thema decidendum e
probandum” - contenente l’indicazione, per ciascun fatto, se esso sia
stato contestato, quale dei documenti sia inerente al fatto contestato e le
eventuali richieste di prova orale inerenti al medesimo fatto. Inoltre, può
anche invitare le parti a formulare proposte conciliative.
Tribunale Milano, sez. IX, 11 dicembre 2013.
La testimonianza, in forma scritta, può essere concordata dai litiganti
anche in momento successivo a quello di ammissione delle prove dove
l’esigenza e opportunità delle dichiarazioni scritte emergano in
conseguenza di sopravvenienze processuali. È solo necessario che il teste
da escutere e i capitoli da proporre al testimone siano stati ritualmente
ammessi al processo, nell’ordinanza ex art. 183 comma 7 c.p.c., nel
rispetto delle preclusioni processuali.
Cassazione civile, sez. III, 12 novembre 2013, n. 25409
L'art. 183 cod. proc. civ., nel testo di cui alla legge 26 novembre 1990, n.
353, vigente fino al 1° marzo 2006, applicabile "ratione temporis", non
consente all'attore di introdurre in giudizio domande o eccezioni nuove,
ma solo di proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza
della domanda riconvenzionale del convenuto (da intendersi in senso
proprio, non anche nelle semplici controdeduzioni volte a contestare il
fondamento dell'azione), ovvero di precisare e modificare le domande e
le conclusioni già Rigetta, App. Milano, 01/02/2007
Cassazione civile, sez. III, 07 novembre 2013, n. 25054
Anche nel sistema anteriore all'introduzione del secondo comma dell'art.
101 cod. proc. civ. (a norma del quale il giudice, se ritiene di porre a
fondamento della decisione una questione rilevata d'ufficio, deve
assegnare alle parti, "a pena di nullità", un termine "per il deposito in
cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima
questione"), operata con l'art. 45, comma 13, della legge 18 giugno 2009,
n. 69, il dovere costituzionale di evitare sentenze cosiddette "a sorpresa"
o della "terza via", poiché adottate in violazione del principio della
"parità delle armi", aveva un preciso fondamento normativo, costituito
dall'art. 183 cod. proc. civ., che al terzo comma (oggi quarto, in virtù di
quanto disposto dall'art. 2, comma 3, lettera c-ter, del d.l. 14 marzo 2005,
n. 35, convertito in legge 28 dicembre 2005, n. 263) fa carico al giudice
di indicare, alle parti, "le questioni rilevabili d'ufficio delle quali ritiene
opportuna la trattazione". Cassa con rinvio, App. Bologna, 21/09/2009
Cassazione civile, sez. III, 19 luglio 2013, n. 17708
L'art. 183 cod. proc. civ. (sia nel testo anteriore alla riforma di cui al
d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, sia nel testo successivo) consente all'attore
di proporre le domande consequenziali alle eccezioni o domande del
convenuto soltanto nell'udienza di cui all'art. 183 cod. proc. civ., e non
anche, a pena di inammissibilità rilevabile anche d'ufficio, con le
memorie previste dalla medesima norma. Rigetta, App. Taranto,
09/05/2007
Cassazione civile, sez. III, 04 giugno 2013, n. 14039
La violazione del principio secondo cui il giudice indica alle parti le
questioni rilevabili d'ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione,
ove denunciata nel giudizio di appello e accompagnata dall'indicazione
delle attività processuali che la parte avrebbe potuto porre in essere,
qualora fosse stato provocato il contraddittorio, determina non già la
nullità del procedimento con regressione al primo giudice, bensì — ai
sensi dell'art. 354, comma 4, c.p.c. — la rimessione in termini per lo
svolgimento in appello di tali attività ai fini dell'emanazione della
decisione sul merito del gravame. (Conferma App. Cagliari, sez. dist.
Sassari, 24 dicembre 2008 n. 749).
Tribunale Torino, sez. I, 15 marzo 2013
Una domanda proposta dopo la scadenza dei termini perentori di cui
all’art. 183, comma 6, c.p.c. va dichiarata d’ufficio inammissibile, a
prescindere dall’eventuale accettazione del contraddittorio ad opera della
controparte, poiché nel vigore del regime delle preclusioni la questione
circa la novità delle domande è del tutto sottratta alla disponibilità delle
parti, in virtù del principio secondo cui il “thema decidendum” non è più
modificabile dopo la chiusura della prima udienza di trattazione o dopo la
scadenza del termine concesso dal giudice ai sensi dell’art. 183 c.p.c.
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