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«Cavallo e cavaliere egli ha gettato in mare…»

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«Cavallo e cavaliere egli ha gettato in mare…»
26
«Cavallo e cavaliere
egli ha gettato in mare…»
Il cantico di Mosè dopo la liberazione trabocca di fervore e di entusiasmo:
è colmo di parole forti e terribili. Proclama che Dio è potente e ha salvato
il suo popolo. Il tema centrale è la morte degli egiziani in mezzo alle acque, non
periti sul campo di battaglia ma sprofondati nel mare come pietre,
come un’ancora di piombo.
N
ella fuga precipitosa, con il fiato
sul collo dei carri del Faraone,
presso il Mar Rosso, di fronte
alla morte, il mare si apre, avviene l’«immersione», il «battesimo».
Gli Ebrei, presi nella tenaglia del mare
e dell’esercito egiziano, sono votati alla
morte ma, in modo straordinario, le acque si ritirano: il vento di Dio, lo Spirito
di Dio passa e apre le onde che liberano
un passaggio agli Ebrei e si richiudono
sugli Egiziani sommergendoli. Il Male è
sconfitto e sepolto; ed emerge il popolo
nuovo, il popolo di Dio. Arrivato vivo e libero sull’altra riva, il popolo canta la sua
allegrezza e scoppia in grida di gioia.
Questa gioia, cristallizzata in infinite celebrazioni, tramandata di padre in
figlio come esperienza della salvezza, è
giunta fino a noi nel «Cantico di Mosè».
Le parole cariche di esultanza, ricordano anche a noi, uomini del XXI secolo,
che i fatti raccontati nei capitoli 12-15 di
Esodo sono i gesti fondatori della storia
della salvezza. Prima c’era la schiavitù;
dopo l’intervento di Dio, la libertà.
Gruppi dispersi di schiavi diventano
il “popolo di Dio”. È l’evento fondatore:
“Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore”
(12,14).
Questo racconto di Esodo, insieme con
l’ebbrezza per la vittoria, è un memoriale,
una liturgia che anche noi continuiamo a
rivivere nella Pasqua. Per la Bibbia il Mar
Rosso non è solo una frontiera tra l’Egitto e Israele. È il luogo della salvezza. Di
generazione in generazione si ridirà come
Dio ha salvato il suo popolo aprendogli
un cammino tra le acque della morte.
Quando i cristiani raccoglieranno da
Gesù il testamento di una Nuova Alleanza nell’Ultima Cena e riconosceranno
nella morte e nella resurrezione del Cristo la nuova Pasqua, capiranno... E sarà
la Pasqua cristiana. Quella che anche noi
celebriamo per la nostra salvezza.
Il cantico di Mosè, salmo di lode a Dio,
fa naturalmente parte – da sempre – della
liturgia pasquale ebraica. Come gli ebrei,
anche i cristiani lo cantano nella grande
notte della Veglia Pasquale, quando Cristo risorgendo dai morti vince la morte
e trascina con sé, alla vita nuova, tutti i
credenti.
Questo canto di Mosè si trasforma
nellibro dell’Apocalisse (15, 2-4) nel canto
dei vincitori nella liturgia celeste.
Eccolo il testo di Apocalisse:
Il «cantico
dei vincitori»
Vidi pure come un mare di cristallo
misto a fuoco e coloro che avevano
vinto la bestia e la sua immagine e il
numero del suo nome, stavano ritti sul
mare di cristallo. Accompagnando il
canto con le arpe divine, 3 cantavano il
cantico di Mosè, servo di Dio, e il cantico dell’Agnello:
2
«Grandi e mirabili sono le tue opere,
o Signore Dio onnipotente; giuste e veraci le tue vie, o Re delle genti!
4
Chi non temerà, o Signore, e non glorificherà il tuo nome?
Poiché tu solo sei santo.
Tutte le genti verranno e si prostreranno
davanti a te, perché i tuoi giusti giudizi
si sono manifestati».
nn
LA BIBBIA - 137
Dal libro dell’Esodo
Capitolo 14,30-31/15,1-22
Il Signore salvò Israele
In quel giorno il Signore salvò Israele dalla mano degli
Egiziani, e Israele vide gli Egiziani morti sulla riva del mare; 31 Israele vide la mano potente con la quale il Signore
aveva agito contro l’Egitto, e il popolo temette il Signore e
credette in lui e in Mosè suo servo..
30
Il Cantico di Mosé
Allora Mosè e gli Israeliti cantarono questo canto
al Signore e dissero:
1
«Voglio cantare al Signore,
perché ha mirabilmente trionfato:
cavallo e cavaliere
ha gettato nel mare.
Mia forza e mio canto è il Signore,
egli è stato la mia salvezza.
È il mio Dio: lo voglio lodare,
il Dio di mio padre: lo voglio esaltare!
3
Il Signore è un guerriero,
Signore è il suo nome.
2
Esodo 15,1-21
IL CANTICO DEL MARE
La più antica tradizione sul passaggio del mare
si trova in questo brano il cui genere letterario
è quello della poesia. Esso viene generalmente
considerato una tradizione indipendente, che è
stata collegata al suo attuale contesto tramite i
vv. 19-20. Sulla base di diversi criteri si può datare il nucleo di questo poema (poi “aggiornato
nella redazione definitiva) attorno al 1100 a.C.
Il cantico si basa su un più antico poema
cananaico (circa 1400 a.C.) che descrive la battaglia tra Baal, il dio della fertilità e Yam, il dio
del mare; l’esito della battaglia vede Yam vinto
da Baal, che successivamente ottiene il proprio
tempio/ palazzo.
Nel testo biblico, YHWH sconfigge gli egiziani
provocando una tempesta sul mare che poi ro-
138 - LA BIBBIA
UNA CELEBRAZIONE LIRICA
L’autore di quello che è comunemente conosciuto come il «cantico
di Mosè», mette sulla bocca dell’antico patriarca e legislatore uno
dei più bei canti della Bibbia. Una
celebrazione lirica dell’avvenimento
fondante della storia d’Israele come
popolo eletto.
Se lo ascolteremo con attenzione, noteremo una simmetria tra la
prima parte del poema che esalta
il combattimento vittorioso di Dio
contro le forze del faraone e la
seconda parte che descrive il passaggio del popolo a piedi asciutti; da
una parte la distruzione del «male»;
dall’altra parte la salvezza.
C’è tuttavia qualche dettaglio
che ci intriga. Mosè, per esempio, al
verso 14, parla degli abitanti della
Filistea, i Filistei – appunto – che
sono colti da tremore e dolore al
passaggio di Israele.
Ma, al momento dell’esodo, il
popolo eletto non si è ancora certamente incontrato con i filistei che
soltanto due secoli più tardi giungeranno nella regione ad est del delta.
Allo stesso modo, Mosè parla di un
luogo dove abita il Signore e del
santuario che contiene la sua gloria.
Chiaramente si tratta del tempio
di Gerusalemme, costruito tre secoli
dopo l’uscita dall’Egitto.
Queste osservazioni ci permettono di intuire che questo canto è
vescia i loro carri e li fa morire per annegamento. È interessante osservare che il poema mette
l’accento sulla distruzione del nemico e ha solo
un’allusione al passaggio degli israeliti; tuttavia
il poema va al di là dell’impresa compiuta al Mar
Rosso per ricordare gli effetti di questo potere
distruttivo sui vicini d’Israele (vv. 14-16).
Alla fine il canto conclude parlando del Signore che prende regalmente possesso del suo
santuario (v. 17), con una formula generale che
indica un luogo in cui YHWH dimora dopo la
battaglia vittoriosa.
Il passaggio del Mar Rosso è ovviamente in
rapporto col passaggio rituale del Giordano
descritto in Gs 3 - 4. Si deve forse all’influenza
del passaggio del Giordano se, nel passaggio
del Mar Rosso, il centro focale è stato spostato
dall’esperienza della vittoria militare del Signore
sugli egiziani all’avanzata del popolo nella terra
promessa (v. 13).
I carri del faraone e il suo esercito
li ha scagliati nel mare;
i suoi combattenti scelti
furono sommersi nel Mar Rosso.
4
Gli abissi li ricoprirono,
sprofondarono come pietra.
5
La tua destra, Signore,
è gloriosa per la potenza,
la tua destra, Signore,
annienta il nemico;
6
con sublime maestà
abbatti i tuoi avversari,
scateni il tuo furore,
che li divora come paglia.
7
Al soffio della tua ira
si accumularono le acque,
si alzarono le onde come un argine,
si rappresero gli abissi nel fondo del mare.
8
Il nemico aveva detto:
“Inseguirò, raggiungerò,
spartirò il bottino,
se ne sazierà la mia brama;
sfodererò la spada,
li conquisterà la mia mano!”.
9
Soffiasti con il tuo alito:
li ricoprì il mare,
sprofondarono come piombo
in acque profonde.
10
Chi è come te fra gli dèi, Signore?
Chi è come te, maestoso in santità,
terribile nelle imprese,
autore di prodigi?
11
Stendesti la destra:
li inghiottì la terra.
12
Guidasti con il tuo amore
questo popolo che hai riscattato,
lo conducesti con la tua potenza
13
stato composto in una data più recente
di quella dell’Esodo.
Il poeta ispirato, ricorda quel passaggio con lirismo, in una forma poetica
forte. Egli ricorda non solo l’uscita
dall’Egitto, ma anche la traversata
del deserto (v. 13) e – forse – perfino
la deportazione in esilio a Babilonia
e la nuova traversata del deserto per
tornare a Gerusalemme e ricostruirvi il
tempio.
l passato non è mai qualche cosa
di morto. È evocato per rischiarare le
esperienze del presente. Così il poema,
posto sulla bocca di Mosè, diventa una
meditazione collettiva d’Israele sulla
sua storia e sull’azione salvifica di Dio.
IL CANTICO DI MIRIAM
(Es 15, 20-21)
Il cantico di Miryam (il nome di Maria
in ebraico), è breve breve. Si ha la
tendenza a dimenticarlo perché non è
altro che la ripresa, dopo qualche parola, del cantico di Mosè.
E proprio per questo probabile che il
cantico di Miryam sia più antico di quello di Mosè. Potrebbe anche essere uno
dei canti, delle composizioni poetiche,
più antiche di tutta la Bibbia insieme
con quello di Debora (in Giud. cap. 15).
È impressionante per la sua semplicità:
«Cantate al Signore
perché ha mirabilmente trionfato:
ha gettato in mare
cavallo e cavaliere!».
Come vedete, non si sofferma sulle
prodezze guerriere di Dio. Non ci sono
grandi armate annientate, eserciti
distrutti da Dio. «Cavallo e cavaliere»
sono «soltanto» (!) gettati in mare.
La profetessa (e questo è un titolo
assai raro nella Bibbia), va diritta all’essenziale: Dio è intervenuto per salvare.
La letteratura epica ha sempre la
tendenza ad ingrandire un avvenimento per fargli assumere dimensioni straordinarie. Il poema messo sulla bocca
di Mosè, così come il racconto in prosa
degli avvenimenti del passaggio del
«mare dei giunchi» potrebbero anche
essere solo l’amplificazione e l’attualizzazione dell’intuizione fondamentale
di Miryam.
Se questa ipotesi è giusta, si potrebbe riassumere l’uscita dall’Egitto nel
modo seguente. I figli d’Israele escono
in massa dall’Egitto. Avviene un incidente che coinvolge cavalli e cavalieri. I
LA BIBBIA - 139
alla tua santa dimora.
14
Udirono i popoli: sono atterriti.
L’angoscia afferrò gli abitanti della Filistea.
Allora si sono spaventati i capi di Edom,
il pànico prende i potenti di Moab;
hanno tremato tutti gli abitanti di Canaan.
15
Piómbino su di loro
paura e terrore;
per la potenza del tuo braccio
restino muti come pietra,
finché sia passato il tuo popolo, Signore,
finché sia passato questo tuo popolo,
che ti sei acquistato.
16
Tu lo fai entrare e lo pianti
sul monte della tua eredità,
luogo che per tua dimora,
Signore, hai preparato,
santuario che le tue mani,
Signore, hanno fondato.
17
Il Signore regni
in eterno e per sempre!».
18
Quando i cavalli del faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri
furono entrati nel mare, il Signore fece tornare sopra di essi
le acque del mare, mentre gli Israeliti avevano camminato
sull’asciutto in mezzo al mare.
19
Il canto di Maria, la profetessa
Allora Maria, la profetessa, sorella di Aronne, prese in
mano un tamburello: dietro a lei uscirono le donne con i
tamburelli e con danze.
21
Maria intonò per loro il ritornello:
20
«Cantate al Signore,
perché ha mirabilmente trionfato:
cavallo e cavaliere
ha gettato nel mare!»
Mosè fece partire Israele dal Mar Rosso ed essi avanzarono
verso il deserto di Sur.
22
140 - LA BIBBIA
figli d’Israele vedono in questo incidente una manifestazione di YHWH,
il loro Dio: il Signore è venuto in
soccorso al suo popolo.
Miryam prende un timpano (cembalo? tamburo?…) e improvvisa una
danza con le sue compagne. Celebra
così il primo culto e canta il primo
inno in onore di Dio Salvatore.
Miryam, in questo capitolo 15°
non ha un gran posto nel racconto
degli avvenimenti accaduti; ma ciò
non vuol dire che abbia giocato un
ruolo secondario. Anzi, è un personaggio di spicco nelle vicende
dell’esodo (cfr. Nm 12, 1-16).Anche il
profeta Michea (6, 3-4), lo riconoscerà quando assocerà la profetessa ai
suoi fratelli come guida del popolo
eletto:
«Popolo mio, che cosa ti ho fatto,
in che cosa ti ho stancato? Rispondimi. Forse perché ti ho fatto uscire
dall’Egitto, ti ho riscattato dalla casa
di schiavitù e ho mandato davanti a
te Mosè, Aronne e Miryam?».
IL DESERTO INCOMBE (v. 22)
Il verbo del versetto 22 (levare
l’accampamento) traduce un’espressione letterale assai più forte: «sradicare i paletti della tenda».
È un verbo che scandisce il cammino di Israele nel deserto, le tappe
della sua permanenza nel luogo
della prova. I figli d’Israele riprendono la marci incessante dei patriarchi,
loro padri, di accampamento in
accampamento, verso la terra del
riposo, «la terra promessa”.
Ma prima di arrivarci , i figli di
Giacobbe usciti schiavi dall’Egitto,
dovranno trasformarsi in uomini
liberi attraverso le innumerevoli prove che Dio ha posto sul loro percorso
e con il dono della legge e dell’alleanza. Ma questo lo vedremo.
Il cantico di Mosé può essere chiamato il
«canto pasquale dei battezzati», di tutti coloro
che, avendo accettato di prendere su di sé il
rischio di Gesù scommettono la propria vita
sul Vangelo contro l'evidenza mondana e alla
fine possono constatare: «Il Signore ci ha preso senza che nemmeno ce ne accorgessimo.
Abbiamo visto cadere gli Egiziani... tutti i condizionamenti per i quali si aveva tanta paura,
una volta presa la decisione totale di lasciarci
invadere dallo Spirito del Signore, si sono rivelati gradualmente per delle cose da poco».
(Card. C. M. Martini)
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