Ogni volta che si celebra l`Eucaristia si rinnova il sacrificio di Gesù
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Ogni volta che si celebra l`Eucaristia si rinnova il sacrificio di Gesù
Ogni volta che si celebra l'Eucaristia si rinnova il sacrificio di Gesù per amore dell'umanità. Nella promessa e nel dono totale degli sposi c'è una dimensione d'amore che attualizza il sacrificio pasquale Ancora una volta partiamo da un testo del Magistero, che ci richiama l'intimo legame che esiste tra Eucaristia e matrimonio, anche nella dimensione sacrificale. Nella Familiaris Consortio leggiamo: «Gli sposi sono pertanto il richiamo permanente per la Chiesa di ciò che è accaduto sulla Croce» (n. 13). Il mistero della croce è ciò che viene rinnovato ogni volta che si celebra l'Eucaristia, quindi potremmo dire: gli sposi sono il richiamo permanente di ciò che è l'Eucaristia. IL SACRIFICIO DI GESÙ SULLA CROCE NON È VOLUTO DA UN DIO IMPLACABILE COME ESPIAZIONE PER I PECCATI DELL'UMANITÀ Cerchiamo di leggere questo legame per passi graduali. Innanzitutto riflettiamo su ciò che è accaduto sulla croce. Per cogliere bene ciò che vuole dirci il sacrificio di Gesù fino a morire sulla croce, dobbiamo sgomberare il nostro cuore da ciò che non è questo morire sulla croce, da un suo significato sbagliato. Infatti, non comprendendosi in modo corretto il mistero della croce, ci fu - e c'è ancora in qualcuno - l'idea di un Dio che è stato offeso così gravemente che, per un senso di rigida giustizia, diventa implacabile e chiede espiazione fino all'ultimo centesimo, fino al sangue; ne consegue che, non potendo l'uomo placare tale giustizia "divina", solo Gesù, Figlio di Dio, poteva pagare il debito al Padre. Ne segue ancora che quel Dio che esige la sofferenza espiatrice sarebbe indirettamente il mandante degli stessi crocifissori. Vi sarà capitato di incontrare questo modo di pensare. Ma questa spiegazione del sacrificio va in contraddizione netta con l'idea di Dio che ricaviamo dal Vangelo: quella di un Dio Padre che uccide il vitello grasso per festeggiare il ritorno del figlio che l'ha offeso, l'ha lasciato e ne ha sperperato i beni; quella di un Gesù che va contro la legge per guarire i lebbrosi e per perdonare l'adultera. Dobbiamo perciò rivedere il concetto di giustizia manifestatasi con la croce di Gesù. Nel Nuovo Testamento non c'è una giustizia retributiva, intesa secondo i dettami sia della legge del taglione sia del diritto romano: «Io ti do e tu mi dai», «Tu mi hai offeso per cui io ho il diritto di essere ripagato», «A ciascuno il suo»: Dio non è il grande commerciante che, con la bilancia della giustizia, dà premi e castighi nell'esatta misura di meriti e colpe e che, se non siamo in regola, si vendica. Così si può sintetizzare il concetto più evoluto di giustizia presso gli ebrei: giustizia è essenzialmente la solidarietà con la comunità, vivere relazioni armoniose con i fratelli. Per questo nella Scrittura la giustizia di Dio è essenzialmente la sua volontà di entrare in profonda relazione con noi, il suo piano d'amore per gli uomini, la sua tensione a comunicarci la sua stessa vita, e quindi la sua attività salvifica, misericordiosa, fedele. I giusti sono quindi coloro che entrano in relazione con Dio, che aderiscono al progetto di Dio e, in questo senso, Gesù è il Giusto per eccellenza. La parola "giustizia" andrebbe perciò tradotta con «capacità di relazione d'amore», e "giustificare" o "rendere giustizia", significa «entrare in relazione d'amore». Va rifiutata dunque l'idea di un Dio la cui giustizia avrebbe reclamato un sacrificio umano, il sacrificio di suo Figlio. E un'idea sbagliata quella di un Dio che si vendica sul suo Figlio Gesù, verbo di Dio incarnato, per "sistemare" una questione di giustizia con l'umanità. GESÙ RESTA FEDELE ALLA VOLONTÀ DEL PADRE ASSUMENDO LA NATURA UMANA E ACCETTANDONE TUTTE LE CONSEGUENZE La passione, la croce, il sacrificio di Gesù, fanno emergere tutta la forza del Padre che offre a ogni uomo amore e perdono. Gesù, restando fedele alla volontà del Padre, nel suo essere Verbo incarnato mandato per dire l'amore di Dio all'umanità, ha incontrato la morte. Non è quindi volontà del Padre la morte cruenta del Figlio, non è che il Padre abbia voluto a tutti i costi che il Figlio morisse, e morisse crocifisso, no! Vi è invece negli eventi qualcosa che non proviene da Dio, anzi che si oppone a Lui, qualcosa che nasce dalla libertà, che nasce dal peccato delle persone attorno a Gesù, e prende la forma della menzogna, dell'odio, della violenza fisica, dell'umiliazione, della brutalità, fino a crocifiggere Gesù, e Gesù, fedele alla sua incarnazione, atto d'amore, ha accettato fino in fondo quello che era il frutto del peccato delle persone intorno a lui. La croce non è la soddisfazione di un Dio vendicativo ("finalmente siamo pari!"), ma è sublime rivelazione della giustizia davvero divina, anzi la sua manifestazione in quel Figlio che entra in relazione così profondamente con la nostra dimensione umana da accettarne tutte le conseguenze, fino a subire la croce. La croce è quindi la conseguenza dell'atto d'amore con cui Gesù sceglie di condividere la vita umana fino alla sua fine, anche se tragica. Il carattere salvifico dell'avvenimento della croce consiste nel «dare la vita» di Gesù, abbandonandosi fino in fondo all'umanità nella quale aveva preso carne e vivendo simultaneamente tutta l'unità di amore con il Padre, per farci entrare nel suo Amore. SULLA CROCE SI COMPIE IL SACRIFICIO DI COMUNIONE CAPACE DI COLMARE LA DISTANZA TRA DIO E L'UOMO Il superamento del sacrificio come frutto di una mentalità giuridica giustizialista mette in risalto ancor più una nuova dimensione del sacrificio come dono fatto a Dio per stabilire con Lui un rapporto di comunione. Tale dimensione ha tutt'altro sapore. Da sempre nella storia delle religioni si può notare lo sforzo dell'uomo di stabilire un contatto, una relazione con Dio e, per stabilire questo contatto, si offriva a Dio quel che si aveva: le cose più preziose, gli animali, i frutti della terra. Pensate, nella storia delle religioni, anche le più antiche, come era forte questo desiderio di mettersi in contatto con Qualcuno che sta "di là", e si tentava di farlo offrendogli dei doni. Capite che questo è già un altro modo di sacrificare dei doni: è per dire comunione. La percezione della distanza tra l'uomo e Dio oppure la percezione del peccato hanno maturato nell'uomo religioso il senso del sacrificare qualche cosa a Dio per stabilire un rapporto con Lui. Ma l'abisso tra Dio e l'umanità è stato scavalcato solo dal Dio dei nostri padri con l'incarnazione. L'uomo infatti non ha potuto trovare qualcosa di così grande da poter stabilire un rapporto con Dio, non ha trovato in natura dei frutti, dei fiori, degli animali così belli da offrire a Dio al punto da colmare la distanza tra Dio e l'umanità. E Dio che è diventato uomo, è Gesù, il Figlio di Dio che ha fatto dono di sé agli uomini, e allo stesso tempo ha fatto dono dell'umanità al Padre. È Gesù, Verbo di Dio incarnato, che ha colmato questo abisso. In conclusione, sulla croce è accaduto l'atto di amore, di condivisione, di solidarietà più grande che potesse esistere al mondo: quello del Figlio di Dio fatto uomo come ciascuno di noi che realizza l'offerta, il dono più prezioso che l'umanità potesse offrire a Dio per colmare il vuoto, la distanza tra noi poveri umani e l'infinito Dio. Questo è ciò che è accaduto sulla croce. L'EUCARISTIA ATTUALIZZA IL DONO DEL CORPO DI CRISTO AVVENUTO UNA VOLTA PER TUTTE PER LA NOSTRA SALVEZZA Abbiamo visto allora che cos'è il sacrificio di Gesù: non è la vendetta del Padre, ma è Gesù che accetta fino in fondo le conseguenze dell'incarnazione per offrirsi al Padre, diventando il dono nuovo. L'Eucaristia attualizza questo dono; guardiamo allora l'Eucaristia come sacrificio. Come già potete intuire, era indispensabile chiarire il senso del sacrificio di Gesù, per cogliere la dimensione sacrificale dell'Eucaristia. Infatti la concezione giuridica della croce come soddisfazione della divinità offesa ha pesato molto sulla comprensione dell'Eucaristia, tant'è che in certi momenti veniva presentata soprattutto come rinnovamento di questo sacrificio espiatorio: Gesù che espia, che paga il debito. L'Eucaristia veniva a rinnovare il pagamento del debito: sacrificio espiatorio con il quale Egli veniva esposto alla necessità di ristabilire la giustizia con il Padre. Invece, il senso vero del sacrificio è il dono totale d'amore per santificare, per "deificare" l'uomo, conducendolo alla piena comunione con Dio. Il sacrificio, il dono pieno e totale di sé fino alla morte, è scritto dentro l'incarnazione: con essa Gesù ha preso su di sé il limite dell'uomo e del creato, fino alla morte; ha preso su di sé il limite dell'umanità, che nella sua libertà può non capire, può emarginare. Sapeva che questa umanità poteva condannare, poteva uccidere, ma l'atto infinito d'amore che è incarnazione, passione, morte e risurrezione, Gesù ha voluto che fosse toccabile, visibile a ogni uomo della storia dopo di Lui; ha voluto che il suo sacrificarsi per amore arrivasse a ogni persona lungo il tempo. Questo tramite è l'Eucaristia. Ciascun uomo di ogni tempo davanti all'Eucaristia può dire, con san Paolo: «Mi ha amato e si è sacrificato per me» (cf. Gal2,20), «Mi ama e si sacrifica per me». L'Eucaristia annulla la distanza tra il sacrificio di Gesù e ogni persona che vive nella storia, per cui anch'io oggi, davanti all'Eucaristia, vivo il sacrificarsi di Gesù sulla croce, espresso mediante i segni del pane e del vino: i segni del Cenacolo. L'Eucaristia è sacramento dell'unico sacrificio di Gesù. Nella lettera agli Ebrei leggiamo: «Cristo, sommo sacerdote dei beni futuri, non con il sangue di capri e vitelli, ma con il proprio sangue, entra una volta per sempre nel santuario, procurandoci una redenzione eterna» (cf. Eb 9, 11-12). Gesù non ha bisogno di morire una volta al giorno per l'umanità, è morto una volta per sempre e l'Eucaristia attualizza quell'unica volta che Gesù è morto. Si ripete qui e ora quel sacrificio. Il sacrificio di Gesù ha un'efficacia assoluta e universale: siamo stati santificati per mezzo dell'offerta del corpo di Cristo fatta una volta per sempre. Giovanni Paolo II nel documento Ecclesia de Eucaristia scrive: «Quando la Chiesa celebra l'Eucaristia, memoriale della morte e risurrezione del suo Signore, questo evento centrale di salvezza è reso realmente presente e si effettua l'opera della nostra redenzione» (n. 11). Questo sacrificio è talmente decisivo per la salvezza del genere umano che Gesù Cristo l'ha compiuto ed è tornato al Padre soltanto dopo averci lasciato il mezzo per parteciparvi, come se vi fossimo stati presenti. Istituendo l'Eucaristia, Gesù non si limitò a dire: «Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue» (cf. Le 22, 19-20), ma aggiunse: «dato per voi, versato per voi» (cf. ibid.). Non affermò soltanto che ciò che dava da mangiare e da bere era il suo corpo e il suo sangue, ma ne espresse il valore sacrificale, dicendo che era corpo dato e sangue versato, rendendo presente in modo sacramentale il suo sacrificio, che si sarebbe compiuto sulla croce alcune ore dopo, per la salvezza di tutti. E profondamente vero che Gesù una volta per sempre si è offerto al Padre per noi, ma è altrettanto vero, come dice san Paolo, che «Ogni volta che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga» (1 Cor 11,26). Questo significa che in ogni Messa viene attualizzata per noi, qui, ora, la passione e la morte di Gesù, come era stata anticipata nel cenacolo per gli apostoli con quel pane, corpo dato, con quel vino, sangue versato. La scelta del pane e del vino è significativa, non è casuale: il pane è il chicco di grano che accetta di morire, che viene macinato per diventare farina e quindi pane; il vino è fatto di acini d'uva pigiati, torchiati. Il pane diventa il corpo: l'incarnazione, la condizione di servo, la sua povertà, il suo lavoro, la sua vita sudata, sofferta, pregata in mezzo a noi, e il vino diventa sangue, che non significa una parte dell'uomo, ma indica un evento cruento, la passione, la morte violenta, causata dalla malvagità, il sacrificio offerto per amore. A completamento di questa visione stanno le parole usate da Gesù nel donarci l'Eucaristia: «Questo è il mio corpo offerto in sacrificio» (cf. Le 22, 19), come dire: «Mi do in cibo, perché voi viviate, a vostro vantaggio»; «Questo è il calice del mio sangue versato per voi» (cf. Le 22, 20): questo per colloca la morte di Gesù, e quindi il gesto del pane e del vino, nella linea del sacrificio. EUCARISTIA, SACRAMENTO DI COMUNIONE ATTRAVERSO IL QUALE VITTIMA IMMOLATA, CI RENDE UNO CON PER OPERA DELLO SPIRITO SANTO LUÌ E CON IL PADRE, GESÙ, Sappiamo bene che nell'antichità vi erano dei sacrifici nei quali l'atto essenziale era l'immolazione e la conseguente distruzione col fuoco delle vittime sacrificali; ma vi erano anche sacrifici di comunione, dove, dopo l'immolazione, alcune parti dell'animale offerto erano distribuite in pasto ai fedeli perché, mangiandole, entrassero in relazione con Dio grazie proprio al cibo santo consumato. Ma tutto questo nella nostra fede è rovesciato, perché non è più l'uomo che fa lo sforzo di condividere qualcosa con Dio, ma è Dio che nell'incarnazione si fa uomo e poi giunge a farsi cibo. Cristo prende su di sé tutta la finitezza creaturale, con i suoi limiti, le sue angosce, la malattia, il peccato; perciò l'Eucaristia è luogo privilegiato attraverso il quale Dio entra in comunione con noi uomini, assumendo ogni nostra paura, ogni nostro dolore, e trasformando la nostra situazione creaturale nell'infinito di Dio. Pensate a quando ci uniamo al corpo di Gesù, nella Comunione, nell'Eucaristia che riceviamo. E Gesù che non solo assume la carne umana da Maria, ma assume la nostra carne, con tutto quello che la caratterizza, la unisce a sé, con tutte le sue ansie, le paure, i dolori. E il movimento d'amore con cui Dio, oggi, per me, per noi, si spoglia della propria divinità per acquisire fino in fondo la mia umanità, la nostra umanità. Ci unisce a sé per trasfigurare la nostra piccola vita nell'infinità della sua vita divina. E grande la trasformazione del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Gesù; ma che questo Gesù presente nel pane e nel vino ci assuma, ci assorba, ci unisca a Lui è più grande ancora! L'Eucaristia è il segno e lo strumento con cui Dio realizza il capolavoro del suo piano d'amore iniziato con l'incarnazione: unirsi totalmente a noi per farci uno con Lui, partecipi della sua stessa vita. Nell'incarnazione Gesù assume la natura umana; nell'Eucaristia Gesù si unisce a ogni uomo, a ogni donna. Quando contempliamo queste cose, intuiamo sempre la distanza abissale che c'è tra il nostro capire e questi contenuti. Avvertiamo che queste verità straordinarie entrano a fatica nella nostra mente: che Cristo prenda sul serio il mio corpo, la mia umanità, è straordinario! Pensate a quante volte ci buttiamo via, o ci disprezziamo, o non siamo contenti della nostra umanità. Facendo la Comunione, chi c'è che assume tutto della mia umanità? Il Figlio di Dio stesso. Con i segni del pane e del vino, che attualizzano il sacrificio, viene ancor più in evidenza la dimensione della comunione-comunicazione-partecipazione diretta al sacrificio e all'offerta mediante la consumazione, che è così bene espressa da Gesù: «Prendete e mangiate» (cf. Mt 26, 26; Le 22, 19; 1 Cor 11, 24), «Prendete e bevete» (cf. Me 14, 24; Le 22, 20; 1 Cor 11, 25). Infatti, questo dice lo scopo del farsi presente di Gesù nel pane e nel vino: è per raggiungerci, è per essere mangiato, quindi per arrivare a noi. Mangiare e bere del corpo dato e del sangue versato significa entrare in comunione profonda, unica con il mistero celebrato. Quindi con la Comunione entriamo dentro il sacrificio, dentro il Cristo sacrificato per amore. Per dirla con san Cirillo di Gerusalemme: «Sotto le specie del pane, ti è dato il corpo, e sotto quelle del vino, il sangue affinché, reso partecipe del corpo e del sangue di Cristo, tu diventi con-corporeo e con-sanguineo con Lui» (Catechesi mistagogiche). La forza della Comunione eucaristica risiede proprio qui: in essa, diventiamo un solo spirito con Gesù. E questo «solo spirito» è lo Spirito Santo. Non ci uniamo al corpo di Gesù staccato dalla sua identità: ci uniamo al corpo di Gesù con il suo Spirito, che è lo Spirito Santo, per cui è proprio lo Spirito Santo che fa di noi personalmente un'unità piena con Gesù, come è unità piena tra Gesù e il Padre. Lo Spirito Santo realizza un'unità piena tra noi, tra me personalmente e Gesù, senza nessun diaframma, senza che nulla stia più in mezzo tra me e Gesù, perché Gesù e lo Spirito Santo sono anch'essi una sola carne, come Gesù e il Padre. Lo Spirito Santo realizza tra me e Gesù un'unità divina, come Gesù è unito al Padre. Qui bisognerebbe fermarsi, pregare, meglio ancora inginocchiarsi e tentare di individuare quanto e come può entrare in noi un Amore così grande. NELLO SCAMBIO DELLE PROMESSE MATRIMONIALI GLI SPOSI SI DONANO TOTALMENTE L'UNO ALL'ALTRO ATTUALIZZANDO LA PASQUA DI GESÙ Dopo aver visto cos'è accaduto sulla croce, cioè il sacrificio in se stesso, dopo aver visto come l'Eucaristia attualizza questo sacrificio di Gesù, e come ogni volta che noi ne mangiamo ci uniamo ad esso, andiamo ora a intravedere la dimensione sacrificale dell'Eucaristia in rapporto al matrimonio, o del matrimonio in rapporto all'Eucaristia in quanto rinnovazione del sacrificio di Gesù. Riprendiamo l'espressione della Familiaris Consortio che abbiamo citato all'inizio di questi incontri: «Gli sposi sono pertanto il richiamo permanente per la Chiesa di ciò che è accaduto sulla Croce» (n.13). È un'espressione che descrive le conseguenze dello Spirito Santo effuso sugli sposi, che, come dice lo stesso testo, «rende gli sposi capaci di amarsi come Cristo ci ha amati» (,ibid.). Come ci ha amato Gesù Cristo? fino a morire sulla croce. Qual è il segno che ci dice, ci anticipa, ci fa celebrare Gesù che muore sulla croce? E l'Eucaristia. Ciò che Cristo ha compiuto sulla croce è ciò che viene attualizzato e reiterato in ogni Eucaristia. Perciò gli sposi sono resi capaci di amarsi dell'amore stesso di Gesù che si dona nell'Eucaristia, anzi, sono il richiamo permanente di questo Gesù che si offre nell'Eucaristia. Tutto questo viene a ricordarci le parole precise di Benedetto XVI, quando richiama il legame intrinseco che unisce Eucaristia e matrimonio (cf. Sacramentum Caritatis, 27). Da dove nasce la dimensione sacrificale degli sposi, il sacrificarsi degli sposi in nome dell'aver cura reciproca? Il sacrificio degli sposi ha una fonte, un'origine? L'inizio del loro donarsi totalmente e definitivamente come sposi è nello scambio delle promesse matrimoniali. Fino a che punto un cristiano è chiamato ad amare Gesù? Fino a fare un totale dono di sé: «Non c'è amore più grande di chi dà la vita per amore» (cf. Gv 15, 13). Allora, ogni cristiano è chiamato a vivere la capacità di Gesù di donare totalmente se stesso. In forza del battesimo, gli sposi rivivono l'esperienza dell'amore di Gesù fino a dare la vita. I futuri sposi si sono detti l'uno all'altro: «Io voglio fare dono totale di me a te, per sempre», «Io accolgo te come mio sposo, come mia sposa, prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita». Lì avete fatto dono, "impacchettato bene", il tutti di voi stessi in Gesù; infatti, chi vi dà la forza di offrire tutto voi stessi per sempre, per amore? In Gesù: lì avete fatto Pasqua, lì avete fatto Cenacolo, dono totale nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia. Gesù nel Cenacolo dà tutto di sé, è lì che ha anticipato nel segno la disponibilità e la scelta libera di vivere con il suo corpo nei giorni che sarebbero seguiti poi, di dare tutto per amore, anche quando arriva poi a dire: «Non ne posso più!», «Padre, sia allontanato da me questo calice» (cf. Le 22, 42), «Padre, ne ho abbastanza, perché mi hai abbandonato?» (cf. Mt 27, 46). In quel dono totale di sé, il giorno delle promesse matrimoniali, gli sposi hanno iniziato, per così dire, la loro Messa, hanno iniziato la loro celebrazione pasquale; lì hanno fatto il dono totale di sé. Purtroppo il matrimonio viene spesso vissuto solamente come contratto, come promessa, ma lì è la Pasqua di ciascun coniuge sposo, lì ha detto a un altro, per la vita e per la morte: «Prendi, questo è il dono che faccio a te: tutto di me. Per la vita e per la morte, prendimi, questo è un dono! E io accolgo il tuo dono». In quel dono totale di sé, gli sposi hanno iniziato la loro Messa, hanno iniziato la celebrazione della loro Pasqua, certo non sapendo quello che poi sarebbe accaduto, come Gesù ha offerto tutto di sé nell'ultima cena, abbandonandosi letteralmente a quello che sarebbe accaduto, I due sono Pasqua... Con il dono dello Spirito Santo la Pasqua dei due è diventata spazio della presenza di Gesù Sposo che, con loro e in loro, rivive, attualizza il suo donarsi pasquale. I due sposi hanno incominciato, il giorno del loro matrimonio, il dono totale l'uno all'altro, e sono Pasqua continua, come afferma l'espressione citata dalla Famtliaris Consortio: sono «il richiamo permanente per la Chiesa di ciò che è accaduto sulla Croce» (n. 13), cioè loro permanentemente, 24 ore al giorno, celebrano la capacità del dono totale di sé. In questo dono totale di sé, è Gesù che rivive la sua Pasqua, il suo donarsi; è Gesù, lo Sposo, che è presente con loro, e in loro rivive e attualizza la sua Pasqua, il suo donarsi. E bellissimo! Perché a ben vedere non c'è più una lacrima, non c'è più un graffio che non appartenga alla storia della salvezza di una coppia in Gesù; non c'è più nulla che non sia Pasqua quando si subisce, quando si pecca, quando ci si riprende: è la stessa Pasqua, la stessa alleanza d'amore che viene rinnovata, con la differenza che nell'Eucaristia è Gesù personalmente che agisce e si dona; negli sposi è Gesù che rivive, rinnova la sua Pasqua mediante la corporeità, la relazione dei due sposi. Ricordiamo un concetto degli incontri precedenti: nell'Eucaristia è Gesù in diretta che dice il suo morire per amore, il suo donarsi per amore; qui negli sposi è sempre Gesù che dice il suo donarsi per amore, però non lo fa attraverso il pane consacrato, lo fa attraverso la relazione dello sposo con la sposa, della sposa con lo sposo. Ma è Gesù il soggetto amante! Gesù attualizza la sua presenza attraverso il pane e il vino, gli sposi sono chiamati ad attualizzarla mediante i loro corpi, dentro la povertà, la semplicità dei loro corpi. Capite quanto voi sposi siete legati all'Eucaristia, capite quanto la Messa sull'altare è la vostra Messa di casa, capite quanto l'offertorio durante la Messa è l'offertorio delle vostre 24 ore? LO SPOSO E LA SPOSA IN OGNI EUCARISTIA RINNOVANO IL PROPRIO "SÌ" A DIVENIRE DONO TOTALE PER L'ALTRO Procediamo dunque nell'approfondire la bellezza di questo legame tra Eucaristia e matrimonio. Nell'Eucaristia si rinnova e si rivive la dimensione sacrificale personale, iniziata nel sacramento del matrimonio. Qui voglio richiamare proprio la dimensione personale. Per un attimo andiamo a guardare alle due persone: lei che va a Messa e fa la Comunione; lui che va a Messa e fa la Comunione; magari vanno anche insieme, ma consideriamo il significato di questo andare alla Comunione come sposo e come sposa, vissuto personalmente; poi vedremo nel passaggio successivo cosa accade quando la coppia si accosta insieme all'Eucaristia. Abbiamo visto nel punto precedente che nell'Eucaristia si riattualizza il donarsi di Gesù per me, qui, in questi miei giorni. Nell'Eucaristia divento contemporaneo e commensale dell'ultima cena. Nell'offrirsi di Gesù e nel mio fare unità con Lui ritrovo, rivivo e rinnovo la mia radicale, totale donazione, fatta il giorno delle nozze, quando ho detto: «Io ti do tutto di me»; quindi in Gesù anch'io sposo/sposa ritrovo la forza e la gioia di rifare la mia Pasqua. Ogni Messa, per lo sposo e per la sposa, è come "rifare il pacchetto dono"; per così dire, mi "incarto" nuovamente in carta da regalo, per essere nuovamente il dono compiuto, più bello, che faccio a lei, che faccio a lui. Nell'Eucaristia torno personalmente alla fonte, come Lui, Gesù, e con Lui, totalmente donato, corpo dato e sangue versato, rinnovo il mio far nozze, il mio sacramento del matrimonio. La mia vita di sposo o di sposa ritrova la fonte dell'amore, ridiventando capace e acquisendo nuove capacità per amare nel sacrificio e per sacrificarsi per amore: io personalmente, sposo o sposa, unito a Gesù, con-corporeo e con-sanguineo con lui, gli consento, gli do spazio di rivivere nella mia carne il senso della sua carne e del suo sangue. Io do la possibilità a Gesù di rivivere in me il suo essere dono per lei, per lui, di realizzare ancora in me la sua capacità di fare alleanza, di fare nozze, innanzitutto fra noi due sposi. L'Eucaristia, per uno sposo, per una sposa, è perciò, innanzitutto, dare compiutezza in se stesso/stessa alla Pasqua di Gesù, che continua a ripetere: «Ho ardentemente desiderato dare tutto» (cf. Le 22, 15). Quando voi, sposo e sposa, ricevete questo Gesù nell'Eucaristia, è Gesù che ripete dentro di voi: «Io desidero dare tutto». Pensate: come tornate a casa, dopo l'Eucaristia? Tutto ciò che appartiene alla sfera del sacrificio, del perdere, dell'offrire, tutto quello che c'è di negativo (prendete un vocabolario di vita familiare e segnatevi in rosso tutti i verbi o i sostantivi che designano aspetti negativi della vita di coppia) assumerà i colori e il significato dell'amore. Ciò che, per la libertà o i limiti dell'altro o dell'altra, diventava fonte di sofferenza non creerà più lontananza, opposizione, ma occasione per amare di più. Io sposo/sposa, come Gesù, non solo accetto con amore ciò che accade, ma cerco le occasioni per dire e dare ancor più amore: è la prospettiva dello scegliere di sacrificarsi per amore, faccio quello che ha fatto Gesù («Padre, perdona loro», cf. Le 23,34; «Oggi con me sarai nel paradiso», Le 23, 43): esprimo l'amore proprio quando non c'è risposta che appaia positiva. NELL'EUCARISTIA GLI SPOSI RICEVONO LO SPOSO UNICO DELLA LORO VITA, CHE DESIDERA UNIRLI PROFONDAMENTE TRA LORO E A LUÌ Da ultimo: non solo l'Eucaristia rinnova in questo modo particolare e straordinario il dono singolare di lei a lui e di lui a lei, proprio nella realtà personale, ma rinnova anche l'unità della coppia. Nell'Eucaristia Cristo rinnova la sua alleanza d'amore con gli sposi; in loro, come unità, e con loro vuole continuare a essere segno efficace di alleanza con il mondo, attraverso il corpo dato e il sangue versato. Per gli sposi però non è sufficiente guardare e vivere l'Eucaristia nella sua prospettiva personale, al singolare, come ho richiamato poc'anzi: non è possibile per loro dimenticare, davanti a Gesù, il fatto che sono «una sola carne» (cf. Gen 2,24; Me 10, 8). Chi è che riceve Gesù, se una coppia va a fare la Comunione? Solo lei? Solo lui? Lo riceve lei e lo riceve lui, e lo riceve l'unità dei due. E quell'«una sola carne», l'unità dei due, che si trova ad avere un unico Sposo, anzi l'unico Sposo sostanziato, e quello Sposo, Gesù, non è più una presenza soltanto spirituale, ma è una presenza di carne, di corpo. Nella Comunione, gli sposi ricevono lo Sposo unico della loro vita, che dovrebbe far scattare un'unità speciale tra loro, che offre il senso stesso della loro vita, che dà compiutezza al loro matrimonio. Il vertice più alto della realizzazione del matrimonio di una coppia di sposi cristiani è quando insieme vanno a ricevere l'Eucaristia, perché in quel momento la loro relazione ha in sé, incorporato, l'unico Gesù Sposo, in carne e sangue. Quando sposo-sposa, nella loro unità, vanno a fare la Comunione, in quel momento Gesù, lo Sposo della loro vita, è presente in carne e sangue, quindi lì loro celebrano i momenti più alti della presenza di Gesù, non più solamente con una presenza spirituale, ma con una presenza corporea, sotto le specie del pane e del vino. Essi quindi maturano il loro essere sposi dello Sposo, diventano, come coppia, sposa dello Sposo che anticipa nell'Eucaristia le Nozze eterne, là dove la loro unità con Gesù sarà definitiva. GLI SPOSI NELL'EUCARISTIA VENGONO FATTI PANE PERCHÉ SI SPEZZINO PER GLI ALTRI Ma questo Sposo Gesù non solamente unisce gli sposi ancor più tra di loro e con Lui per una maggiore intimità, ma anche perché con loro vuole continuare il suo essere donato. La presenza di Gesù nella coppia di sposi non è quindi l'ultimo atto: Gesù passa negli sposi, va con gli sposi e li fa diventare con Lui "pane spezzato". Non tutti possono mangiare quel pane della celebrazione eucaristica, non tutti lo conoscono e non tutti lo sanno mangiare; non tutti lo vedono e non tutti credono in lui. Questo pane spezzato, come può essere portato fuori chiesa e fatto conoscere nella sua capacità e bellezza di essere: pane dato per amore, pane che condivide, pane che costruisce alleanza, pane che costruisce comunione, pane che dona sacrificio nell'amore? Attraverso gli sposi! Gli sposi, in Gesù, vengono trasformati in nuovo pane, pane commestibile alla gente. Gesù chiede agli sposi di poter continuare nella loro carne, nella loro corporeità, ciò che Lui ha realizzato con il pane e con il vino. Insomma coinvolge totalmente l'alleanza pasquale degli sposi (il loro offrirsi, il loro sacrificarsi) per poter realizzare il suo donarsi a ogni uomo e a ogni donna. E non fa questo con le coppie brave, con le coppie perfette, con le coppie nelle quali c'è un'intesa solenne: lo fa con le coppie che zoppicano, che faticano, perché Lui, lo Sposo dei tempi ultimi, può agire anche con coppie zoppicanti. Con l'Eucaristia, il sacrificio di Gesù arriva a chi è in chiesa; con gli sposi, il sacrificio d'amore di Gesù può arrivare a ogni uomo e a ogni donna fuori dalla celebrazione. Anche questo però non è esatto, perché l'Eucaristia è una realtà, gli sposi sono un'altra, ma essi sono chiamati a dire ciò che è l'Eucaristia, che è dono d'amore: ciò che Cristo non ha potuto vivere secondo la carne, perché limitato nel tempo e nello spazio, ora, da Risorto, lo sperimenta attraverso l'alleanza d'amore tra sposo e sposa. In conclusione, la coppia, sposa, appartiene allo Sposo, ed essa diventa per Gesù un'"umanità aggiunta" attraverso cui Egli agisce. Gli sposi attualizzano lo stato di donazione permanente dell'Eucaristia, perché là dove non arriva il pane consacrato e il vino versato arrivi lo sguardo, il cuore, la mano degli sposi che, di quella Eucaristia, sono sacramento permanente Catechesi biblica 1. Avete inteso che fu detto… Ma io vi dico. Perché educare i nostri figli alla generosità, all’accoglienza, alla gratitudine, al servizio, alla solidarietà, alla pace, e a tutte quelle virtù sociali così importanti per la qualità umana del loro vivere? Quale vantaggio ne traggono? Forse non c’è crescita di ricchezza, di prestigio, di sicurezza. Eppure è solo coltivando queste virtù che gli uomini hanno un futuro sulla terra. Esse crescono grazie alla perseveranza di coloro che, come i genitori, educano le nuove generazioni al bene. Il messaggio cristiano ci incoraggia a qualche cosa di più grande, di più bello, di più rischioso e di più promettente: l’umanità della famiglia, grazie a quella scintilla divina in essa presente e che nemmeno il peccato ha tolto, può rinnovare la società secondo il disegno del suo Creatore. L’amore divino ci sprona sulla via dell’amore del nemico, della dedizione per lo sconosciuto, della generosità oltre il dovuto. La famiglia partecipa della sovrabbondante generosità del nostro Dio: perciò può guardare più lontano e vivere una gioia più grande, una speranza più forte, un più grande coraggio nelle scelte. Molte delle parole di Gesù riportate nei vangeli illuminano la vita familiare. Del resto, la sua sapienza a riguardo della vita umana è cresciuta grazie al clima familiare in cui ha trascorso gran parte della sua esistenza: lì ha conosciuto il variegato mondo degli affetti, ha sperimentato l’accoglienza, la tenerezza, il perdono, la generosità, la dedizione. Nella sua famiglia ha constatato che è meglio dare piuttosto che pretendere, perdonare invece di vendicarsi, offrire piuttosto che trattenere, spendersi senza risparmiare la propria vita. L’annuncio del Regno da parte di Gesù nasce entro la sua diretta esperienza di famiglia e investe tutte le relazioni, partendo proprio da quelle familiari, illuminandole di nuova luce e dilatandole oltre i confini della legge antica. Gesù invita a superare una visione egoistica dei legami familiari e sociali, ad allargare gli affetti oltre il ristretto cerchio della propria famiglia, affinché divengano lievito di giustizia per la vita sociale. La famiglia è la prima scuola degli affetti, la culla della vita umana dove il male può essere affrontato e superato. La famiglia è una risorsa preziosa di bene per la società. Essa è il seme dal quale nasceranno altre famiglie chiamate a migliorare il mondo. Può però accadere che i legami familiari impediscano di sviluppare il ruolo sociale degli affetti. Succede quando la famiglia sequestra per sé energie e risorse, chiudendosi nella logica del tornaconto familiare che non lascia alcuna eredità per il futuro della società. Gesù vuole liberare la coppia e la famiglia dalla tentazione di rinchiudersi in se stessi: «Se amate quelli che vi amano… se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario?». Con parole rivoluzionarie, Gesù ricorda ai suoi uditori l’«antica» somiglianza con Dio, invitandoli a dedicarsi agli altri secondo lo stile divino, oltre i timori e le paure, oltre i calcoli e le garanzie di un proprio vantaggio. Meravigliando chi lo ascolta, Gesù insegna come sia possibile essere figli a somiglianza del Padre. Egli ci sottrae al torpore della rassegnazione e dell’egoismo e con forza ci dice che amare il nemico e pregare per chi ci perseguita è alla nostra portata, che possiamo sradicare la violenza dal nostro cuore perdonando le offese, che la nostra generosità può superare la logica economica del semplice scambio. 2. Siate figli del Padre vostro che è nei cieli. Gesù chiede questo stile di vita singolare e rivela così che gli uomini sono destinati proprio a queste altezze. Confida nell’insegnamento che le famiglie, per disegno di Dio, sono in grado di offrire sulla via del suo amore. In famiglia si educa a dire «grazie» e «per favore», a essere generosi e disponibili, a prestare le proprie cose, a dare attenzione ai bisogni e alle emozioni degli altri, a considerare le fatiche e le difficoltà di chi ci sta vicino. Nelle piccole azioni della vita quotidiana il figlio impara a stabilire una buona relazione con gli altri e a vivere nella condivisione. Promuovere le virtù personali è il primo passo per educare alle virtù sociali. In famiglia s’insegna ai piccoli a prestare i loro giocattoli, ad aiutare i loro compagni a scuola, a chiedere con gentilezza, a non offendere chi è più debole, ad essere generosi nei favori. Per questo gli adulti si sforzano nel dare esempio di attenzione, dedizione, generosità, altruismo. Così la famiglia diventa il primo luogo dove si impara il senso più vero della giustizia, della solidarietà, della sobrietà, della semplicità, dell’onestà, della veracità e della rettitudine, insieme a una grande passione per la storia dell’uomo e della polis. I genitori, come Giuseppe e Maria, si stupiscono nel vedere i figli affrontare con sicurezza il mondo adulto. I figli rivelano talora di poter essere maestri sorprendenti anche per gli adulti: «Lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte» (Lc 2,46-47). Come la famiglia di Nazareth, così ogni famiglia consegna alla società, attraverso i propri figli, la ricchezza umana che ha vissuto, compresa la capacità di amare il nemico, di perdonare senza vendicarsi, di gioire dei successi altrui, di dare più di quanto richiesto… Anche in famiglia, infatti, avvengono divisioni e lacerazioni, anche in essa sorgono i nemici, e il nemico può essere il coniuge, il genitore, il figlio, il fratello o la sorella … In famiglia, però, ci si ama, si desidera sinceramente il bene degli altri, si soffre quando qualcuno sta male, anche se si è comportato da «nemico», si prega per chi ci ha offeso, si è disposti a rinunciare alle cose proprie pur di fare felici gli altri, si comprende che la vita è bella quando è spesa per il loro bene. La famiglia costituisce la «prima e vitale cellula della società» (FC 42), perché in essa si impara quanto importante sia il legame con gli altri. In famiglia si avverte che la forza degli affetti non può rimanere confinata «tra di noi», ma è destinata al più ampio orizzonte della vita sociale. Vissuti solo entro il piccolo nucleo familiare gli affetti si logorano e invece di dilatare il respiro della famiglia, finiscono per soffocarlo. Ciò che rende vitale la famiglia è l’apertura dei legami e l’estensione degli affetti, che altrimenti rinchiudono le persone in gabbie mortificanti! 3. Il Padre tuo… vede nel segreto. La custodia dei legami e degli affetti familiari è meglio garantita quando si è buoni e generosi con le altre famiglie, attenti alle loro ferite, ai problemi dei loro figli per quanto diversi dai nostri. Tra genitori e figli, tra marito e moglie, il bene aumenta nella misura in cui la famiglia si apre alla società, prestando attenzione e aiuto ai bisogni degli altri. In questo modo la famiglia acquisisce motivazioni importanti per svolgere la sua funzione sociale, divenendo fondamento e principale risorsa della società. La capacità di amare acquisita supera spesso le necessità della propria famiglia. La coppia diventa disponibile per il servizio e l’educazione di altri ragazzi, oltre ai propri: anche in questo modo i genitori divengono padre e madri di molti. «Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste»: la perfezione che avvicina le famiglie al Padre che è nei cieli è quel «di più» di vita offerto al di là del proprio nucleo familiare, una traccia di quell’amore sovrabbondante che Dio riversa sulle sue creature. Tante famiglie aprono la porta di casa all’accoglienza, si prendono cura del disagio e della povertà altrui, oppure semplicemente bussano alla porta accanto per chiedere se c’è bisogno di aiuto, regalano qualche vestito ancora in buono stato, ospitano i compagni di scuola dei figli per fare i compiti… O ancora, accolgono un bambino che non ha famiglia, aiutano a mantenere il calore familiare laddove è rimasto solo il papà o solo la mamma, si associano per sostenere altre famiglie nelle mille difficoltà odierne, insegnando ai figli il reciproco sostegno con chi è diverso per razza, lingua, cultura e religione. Così il mondo è reso più bello e abitabile per tutti e la qualità della vita ne guadagna a vantaggio dell’intera società. Non a caso il testo evangelico, dopo il richiamo alla perfezione, tratta dell’elemosina, che nei tempi antichi, in un’economia di sussistenza, era un modo per ridistribuire le risorse, una pratica di giustizia sociale. Gesù esorta a non cercare il riconoscimento degli altri, usando il povero per guadagnare prestigio, ma ad agire nel segreto. Nel segreto del cuore l’incontro con Dio conferma la propria identità di figlio, tanto simile al Padre; una mèta alta, apparentemente irraggiungibile, che la vita in famiglia rende però più vicina. E. Ascolto del Magistero La famiglia porta in dono alla società il prezioso frutto dell’amore gratuito che veste i panni della dolcezza, della bontà, del servizio, del disinteresse e della stima reciproca. D’altra parte, come mostra il passo seguente della Familiaris Consortio, l’insegnamento magisteriale ha sempre inteso mettere in luce come la famiglia, oltre ad essere la scuola degli affetti, si connoti anche come la «prima scuola di virtù sociali». Essa possiede infatti una specifica e originaria dimensione pubblica, che influisce positivamente sul buon funzionamento della società e sulla stabilità dei vincoli sociali. Il compito sociale della famiglia La famiglia possiede vincoli vitali e organici con la società, perché ne costituisce il fondamento e l’alimento continuo mediante il suo compito di servizio alla vita: dalla famiglia infatti nascono i cittadini e nella famiglia essi trovano la prima scuola di quelle virtù sociali, che sono l’anima della vita e dello sviluppo della società stessa. Così in forza della sua natura e vocazione, lungi dal rinchiudersi in se stessa, la famiglia si apre alle altre famiglie e alla società, assumendo il suo compito sociale. La stessa esperienza di comunione e di partecipazione, che deve caratterizzare la vita quotidiana della famiglia, rappresenta il suo primo e fondamentale contributo alla società. Le relazioni tra i membri della comunità familiare sono ispirate e guidate dalla legge della «gratuità» che, rispettando e favorendo in tutti e in ciascuno la dignità personale come unico titolo di valore, diventa accoglienza cordiale, incontro e dialogo, disponibilità disinteressata, servizio generoso, solidarietà profonda. [Familiaris Consortio, 42] F. Domande per il dialogo di coppia e in gruppo Domande per la coppia 1. Quali valori imparano i nostri figli dal nostro modo di vivere? 2. Quale attenzione la nostra famiglia presta alla vita sociale? 3. Quale aiuto porgiamo ai poveri e ai bisognosi? Domande per il gruppo famigliare o la comunità allargata 1. Quali sono i bisogni più urgenti nella nostra comunità? 2. Cosa possiamo fare a favore di chi è nella necessità? 3. Quali famiglie possiamo aiutare? Come? G. Un impegno per la vita familiare e sociale H. Preghiere spontanee. Padre Nostro I. Canto finale