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Figure e simboli del sacrificio

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Figure e simboli del sacrificio
1
INDICE
INDICE........................................................................................................... 2
PREFAZIONE ................................................................................................ 3
INTRODUZIONE .......................................................................................... 6
CAPITOLO I .................................................................................................. 9
‘Sym-ballein’ ............................................................................................ 10
Simbolo e Significato................................................................................ 15
Simbolo e Rito .......................................................................................... 18
Simbolo e Mito ......................................................................................... 20
Simbolo e Ritmo ....................................................................................... 23
CAPITOLO II ............................................................................................... 25
Origine del simbolismo sonoro ................................................................. 26
Anima, corpo e totemismo musicale......................................................... 29
Ritmo: totalità dinamica............................................................................ 34
Unità dei sensi nel Ritmo-simbolo............................................................ 38
Morte del ritmo-simbolo e l’inizio del feticcio ......................................... 41
Semitono e Tritono ................................................................................... 44
I chiostri catalani....................................................................................... 51
CAPITOLO III.............................................................................................. 56
Creazione come atto sonoro...................................................................... 57
La voce del Sacrificio ............................................................................... 61
Il Sacrificio nei Riti................................................................................... 66
Il Sacrificio nel diritto............................................................................... 69
Il Sacrificio: atto violento e sacro ............................................................. 73
CAPITOLO IV ............................................................................................. 76
Il Sacrificio: cuore del pensiero indiano ................................................... 77
APPENDICE ................................................................................................ 87
Lo sconforto del Risorto ........................................................................... 88
BIBLIOGRAFIA .......................................................................................... 93
2
PREFAZIONE
Ho la sensazione di esistere solo perché mi ricordo. La
memoria sembra essere il cuore nascosto della mia coscienza.
La mia vita mi sembra che inizia intorno ai cinque - sei anni;
quello che mi è rimasto degli anni precedenti è solo un sogno
dai contorni evanescenti, con poche immagini fuggevoli e volti
mai ben definiti. L’infanzia che mi appare più chiara, invece, è
quella che inizia con gli anni della scuola elementare. Un
periodo molto stimolante, pieno di giochi divertenti, bambini da
scoprire e tanta gioia e serenità. Credo di essere stata molto,
molto fortunata. Da subito sono stata circondata da tanto Amore,
un Amore che mi è entrato dentro e mi ha posseduta per diversi
anni. Tutto è paradisiaco per una bambina così ben “custodita”,
finché un giorno non vede passare la Morte.
Ricordo molto bene la sensazione di sgretolamento
provata quando ho capito che mi era stata sottratta quella
persona così cara. A otto anni ti considerano ancora piccola, ma
tu soffri come chiunque altro quando ti rendi conto che ti viene
rubata per sempre la possibilità di dimostrargli ancora quanto gli
vuoi bene. Lo sogni la notte, e spesso piangi in silenzio, di
3
nascosto, al ricordo di lui. Hai conosciuto la realtà della Morte;
hai imparato che lentamente porta via tutti, te incluso, ma questo
non ti terrorizza tanto quanto pensare che potrebbe portare via
tutti tranne te. Questa sì che sarebbe una maledizione.
Passa il tempo e la Morte smette di farmi paura. Imparo a
considerarla come un elemento naturale e questo me la fa
assomigliare alla notte profonda o all’abisso del mare: la
contemplo ormai serenamente. Ma ben presto arriva un’altra
realtà a sconvolgermi: la Sofferenza. È questa la vera Bestia. È
dolore e disperazione e, quando ti prende, ti confonde i sensi, ti
porta via da tutto ciò che ami, ti allontana anche da te stesso,
tanto che non riesci più nemmeno a sentire le lacrime che
scivolano lentamente sulle tue guance. Il dolore ha in sé una
profonda violenza, che si annida silenziosamente nel tuo cuore e
poi un giorno esplode e tu, urlando disperatamente, desideri solo
la Morte. Ora essa ti è così cara, ti sembra l’unica amica, l’unica
salvezza. Finché, esausto, ti rialzi, guardi in quello specchio e
non riconosci più quel volto che ti è stato così intimo e
famigliare per vent’anni; guardi quegl’occhi infiammati dalla
violenza, bramosi di Morte , e ti spaventi: non li riconosci più.
4
Sconvolta da me stessa, sconvolta da ciò che desidero, da quel
che sono e dal quel che, in potenza, potrei essere. Sconvolta,
perché il ricordo di quelle ombre, mi ripete che, esse, sono parte
di me, perché i gesti febbricitanti di quegl’anni, sono cicatrici
sulla pelle, sono gli occhi, ormai spenti, di un’anima che morirà
senza che alcun sguardo amoroso potrà posarsi su di lei
nell’ultimo istante… Sola, le è stato negato anche l’ultimo
sospiro d’amore…
Il senso di colpa è il nuovo colore con cui s’è vestita oggi la
sofferenza.
Tutto è ben scisso tra bene e male; tutti siamo divisi in
buoni e cattivi e mi chiedo come si fa ad uscire da questa
perpetua condanna. Cerco la via per giungere oltre il giudizio e
la sentenza. Io credo che si debba passare attraverso la porta in
cui si incontrano gli estremi di ogni umana divisione, e fermarsi
nel punto in cui essi si confondono e accostarsi al mistero che
assimila Vita e Morte.
5
INTRODUZIONE
L’argomento del testo, il sacrificio, è molto vasto e
complicato, soprattutto perché presenta svariate sfaccettature; si
trova
contemplato
nelle
diverse
“branche”
del
sapere,
dall’antropologia alla filosofia, dalla teologia alle neuroscienze
ed è difficile ridurre l’argomento ad un discorso organico che
comprenda tutte le diverse visioni, anche perché, queste,
considerano solo alcuni aspetti del fenomeno, limitati al loro
ambito, e trascurano ciò che non rientra nel loro interesse. Certo
è difficile, in ogni caso, pensare di trattare un argomento nella
totalità delle sue varianti (dovute, spesso, al cambiamento del
punto di vista), e queste pagine non pretendono di assolvere un
tale compito. Qui si vuole solo portare all’attenzione del lettore
una visione, per quanto filosofica, assolutamente generale, del
sacrificio inserito nell’universo più ampio del simbolo. Questa
visione è ciò che trapela da una serie di scritti, che trattano
l’argomento più o meno direttamente, e che, nonostante la
diversa provenienza (si citano testi di antropologia, filosofia,
musica, ecc.) sembrano tracciare un’unica linea che identifica la
natura del sacrificio stesso.
6
Il sacrificio appare come il cuore pulsante dell’esistenza e si
manifesta nella musica e in tutta l’Arte in genere.
Nel primo capitolo si parla del simbolo nei sui vari
aspetti; se ne descrivono le caratteristiche e il “funzionamento”.
Si sottolinea la sua presenza nei vari aspetti della tradizione: il
simbolo è l’unico veicolo per accostarsi al rito; è l’elemento
attorno a cui gira il mito; ha lo stesso andamento del ritmo.
Concentrandosi su questo ultimo accostamento, simbolo-ritmo,
si approfondisce il simbolismo sonoro. Esso origina dall’antica
concezione armonica del mondo e dell’universo: è possibile
cogliere un ritmo comune a tutto il creato e questo permette di
superare tutte le “razionalizzazioni”. Il ritmo, grazie al suo
dinamismo, che coinvolge tutte le parti del reale, sottolinea la
totalità dell’essere. Questa totalità permette di unificare i sensi:
così emerge la sinestesia.
Lo sviluppo del pensiero porta allo scardinamento di un
equilibrio tanto diretto, cosicché diventa più difficile cogliere le
antiche relazioni mistiche. Tra l’uomo e la natura vengono a
trovarsi gli “utensili”, che amplificano il ritmo dell’attività
umana e divengono il medium delle cerimonie e dei riti. Anche
7
la musica nasce come interposta tra l’intelletto umano ed il
suono puro della natura. Ma pur essendo una razionalizzazione
umana, conserva in sé la parte irrazionale che le deriva dalla sua
fonte extra-umana, divina.
L’irrazionale è in natura; il “diabolico” è il cuore pulsante della
realtà; in esso trova il suo senso il sacrificio.
Nella maggior parte dei racconti della genesi, la creazione è
assimilata ad un atto sonoro. Questo atto è sempre descritto
come faticoso, ed è definito, più o meno esplicitamente, come il
sacrificio che fa la divinità per dar vita al mondo. Dando la vita
perde la propria, per questo è necessario che gli uomini facciano
a loro volta dei sacrifici, per ridargli l’energia perduta. E’ una
prima forma di riconoscenza, che crea le basi per tutti i rapporti
umani gestiti sulle categorie di bene e male. Praticando questo
sacrificio, ciò che in terra perde la vita, l’acquista in cielo. Il
sacrificio si pone come atto che rovescia la realtà per garantirle
il continuo fluire. Il sacrifico è la porta d’entrata e d’uscita del
sacro; è il suo stesso cuore, come si vede bene nella cultura
indiana.
8
CAPITOLO I
Se “c’è ancora del caos, dentro di voi,
c’è ancora una stella danzante”
Nietsche
9
‘Sym-ballein’
“Simbolo”, dal greco ‘symballein’,
significa
“mettere
assieme, unire1”. In origine era
l’uso di possedere metà di un
bracciale, o di un anello, per
dimostrare d’appartenere ad una
famiglia che possedeva l’altra metà
di un oggetto.
Il contrario di unire è quindi
“dividere”
e
il
termine
Figura 1 Kantharos bifronte con
satiro e menade, metà del IV
secolo a.C.
di
derivazione greca corrispondente
è ‘dia-ballein’, in italiano è assimilabile al termine “diavolo”, ciò che
non permette unità e conciliazione.
Da questa prima definizione trapela una delle caratteristiche
fondamentali del simbolo: il suo dualismo. Il simbolo si pone come
ponte tra due realtà, mette in comunicazione
i due opposti della
cultura, ha la capacità di sintetizzarli, e per far questo, vuol dire che in
sé già li possiede.
Questo dualismo rende il simbolo una realtà totalmente dinamica.
Grazie ad esso, la mente collega un oggetto ad un altro, in un continuo
1
U.Galimberti, “Quanti misteri nascosti in un simbolo”, La Repubblica, 7 aprile 2000
10
di tensione e rilassamento; ma l’essenziale di questo movimento è che
non è lineare, ma ciclico.
La ciclicità garantisce il continuo movimento, il continuo
svolgersi del tempo, degli eventi, del mondo. Si parte da un punto, si
arriva agli antipodi, e si ritorna al principio, e si continua all’infinito,
con infiniti rinvii: è così che si svolge il simbolo, è così che si presenta
la realtà a noi esseri umani, come una continua ripetizione di cicli
uguali, ed è l’unico modo in cui la possiamo comprendere.
La ciclicità implica il dualismo: lo sviluppo della luce è sviluppo delle
tenebre, un ciclo che si ripete per far esistere entrambe; ma le due
realtà non esistono di per sé, bensì in quanto dinamica dell’una
all’altra.
Il simbolo “cammina” tra due opposti estremi, non è un
oggetto, ma un ciclo, che sarà diverso a seconda del contesto. E’
questa un’altra delle caratteristiche fondamentali del simbolo, la
contestualità. Il suo significato dipende da dove è posto nello spazio e
nel tempo, e questo avviene grazie al suo carattere ambiguo: il
simbolo ha in sé un significato e il suo contrario e dipende sempre dal
contesto. Ad esempio, il tamburo, viene usato dalle popolazioni
primitive, tanto per i riti funebri quanto per quelli di fecondità. Il suo
carattere dipende da un’infinità di varianti, come il materiale con cui è
stato costruito, la forma, le decorazioni, ma è altrettanto importante il
quando lo si suona (a mezzogiorno o al tramonto), chi lo suona (un
uomo, una donna), come si suona (appoggiandolo a terra, tra le
11
gambe, sul ventre o sul collo), con cosa lo si suona (con dei bastoncini
o con le mani nude); ogni dettaglio è essenziale perché ci trascina in
un diverso ambito.
L’ambiguità fa sussistere la contraddizione tra essere e non
essere e in questo frangente nasce la questione del vero. Per il simbolo
non esiste un vero assoluto, statico e definitivo; esso non si può
definire e comprendere come accade per la musica: l’unico modo è
ascoltarla, sentirla, viverla.
Il grande regno del simbolo è l’analogia, dove ogni cosa
somiglia ad un’altra, ma esse non sono uguali; la gemellarità inoltre è
la caratteristica necessaria per capire e ricordare le cose: tutte hanno
qualcosa di simile, di uguale, ma non l’identità.
Il simbolo ha proprio la capacità di rilevare l’uguaglianza nei diversi e
la diversità nelle cose uguali. Su questo funzionamento si basa tutta
l’arte, le religioni, le scienze numeriche.
La realtà si svolge come su un doppio binario e questo avviene
sin dall’inizio: l’atto della creazione è già, di per sé, sdoppiamento,
divisione, lacerazione. Da
questa genesi nasce l’ideologia della
dualità del reale, che si esplicita nel continuo passaggio da una ad
un’altra, in quanto la realtà può essere scomposta in realtà uguali e
disuguali.
Qui si coglie il ‘ritmo comune’, cioè l’affinità tra le cose, che implica
contemporaneamente uguaglianza e disuguaglianza. E’ questa
discontinuità, questa interruzione, che permette la percezione.
12
L’uguaglianza serve alla nostra mente per percepire e memorizzare, la
disuguaglianza per orientarci. Nel movimento si staglia l’inversione,
che possiamo visualizzare come la curva mediante la quale una realtà
ritorna indietro, assicurando la continua ciclicità, e ci permette di
considerare uniti due elementi apparentemente inconciliabili. Così gli
opposti appaiono come aspetti diversi di uno stesso fenomeno e la loro
caratteristica fondamentale è di essere complementari.
Ogni cosa ha già in sé, come essenza e necessità, il suo opposto e
questo permette di capire le ragioni per le quali ci sia bisogno di
sacrifici e morti violente per assicurare la prosperità e la continuità.
Il senso del simbolo non è un oggetto, ma un sentimento,
evoca un termine che apparentemente si lascia raggiungere, ma il cui
polo opposto è irraggiungibile: la razionalità, da sola, non lo può
comprendere. Il simbolo si appella all’interpretazione e ad una certa
predisposizione: è come la musica, una continua metamorfosi; è la
trasformazione di ogni nota in un’altra. Essa, infatti, ha senso solo in
rapporto alle altre, ha senso perché si evolve, cambia, muta, ed è il
sentimento che essa genera in noi, che fa nascere il nostro assenso
verso
di
lei.
Il
simbolo
stabilisce
rapporti
extra-razionali,
immaginativi, fra livelli di esistenza e fra i mondi cosmico, umano e
divino. Di fronte alla musica, come al simbolo, sentiamo che la
ragione non basta a cogliere quella realtà, essa non è autosufficiente
ma ha bisogno di quel assenso interiore.
13
La verità non deriva dagli eventi, ma da qualcosa di sconosciuto che
nasce dentro di noi, e il razionale poggia su un quid che non possiamo
definire e che riporta verso e contro di sé. Così si genera
l’autoconsapevolezza della propria fisicità e psichicità e l’accettazione
della realtà esteriore.
Quindi, quel qualcosa che rende stabile il nostro agire, non è in nostro
potere, ma è figlio della tensione che alberga spontaneamente in
ognuno di noi, e per questo noi attribuiamo, alla realtà, forme di
assenso-verità in un certo contesto storico-sociale. Quindi, non ci si
può appellare al vero, perché è vero solo il mondo fantastico creato
dai nostri sentimenti e che nessuno può smentire. Per questo l’arte si
rivolge sempre alla fantasia ed è questo che le dà veridicità: è
evidentissimo nella musica ed ugualmente nel simbolo.
14
Simbolo e Significato
“Non si deve chiedere
che
cosa
significano
i
simboli, perché i simboli non
significano2”.
Questa
Umberto
affermazione
di
Galimberti,
ci
coglie di sorpresa, perché
Figura 2 Soffitto ligneo della stanza del
Labirinto, XVI secolo, Mantova,
Palazzo Ducale
sembra stravolgere la nostra
concezione dell’essenza del
simbolo come lo intendiamo da inesperti, o forse sarebbe meglio dire
da persone che lo usano, ci si accostano, ma lo trattano con poca
coscienza della sua profonda natura. Sì, perché i simboli occupano il
centro della vita immaginativa, e il continuo uso dell’espressione
simbolica denota la necessità di questo linguaggio per esprimere
qualcosa di profondamente intriso di realtà, ma, allo stesso tempo,
inafferrabile. Per questo il simbolo è il miglior modo per dire ciò che
la parola non dice, perché esso stesso sfugge a qualsiasi definizione.
Ogni volta che nominiamo il simbolo ci spingiamo in una
dimensione in cui la ragione appare inutile e forse, ancor più
spesso, è proprio a causa di tale inutilità che, inquieti, ricorriamo ad
esso, affinché ci possa saziare, affinché ci possa evitare di precipitare
2
U.Galimberti, “Quanti misteri nascosti in un simbolo”, La Repubblica, 7 aprile 2000
15
nella sofferenza di una definizione che, per sua essenza, è sempre una
lacerazione (in quanto separazione di una parte dal tutto).
E’ così pieno, così intenso, così turbolento per la sua natura ambigua:
il simbolo convoca a sé significati e sensi opposti, ed in esso
s’intrecciano: esso infatti non spiega la parola, ma la rincontra al suo
oriente; in esso l’anima può tornare ad intuire l’Unità del Tutto.
Il simbolo non rappresenta né l’inizio né la fine di un
ragionamento, ma è la via, una strada in cui ogni meta è un’illusione,
poiché nasconde continui rinvii che c’inducono a continuare nel
cammino; a chi percorre il simbolo è impossibile affermare: ”Sono
giunto”.
La comprensione del simbolo avviene dalla percezione diretta
da parte della coscienza; esso è un microcosmo, ma non è una
successione di particolari da sommare, bensì è da cogliere
globalmente. E’ necessario uno sguardo sintottico, poiché la sua
plurivalenza è rivelata simultaneamente.
Il simbolo si percepisce come ‘sensazione’ che procede dalla
persona nella sua interezza, non è mai acquisito una volta per tutte e la
sua comprensione non è identica per tutti, ma nemmeno si confonde
con il puro e semplice indeterminato. Si fonda su una specie di tema
che conosce variazioni infinite. Esso è contemporaneamente
acquisizione e dato, poiché nella sua espressione sensibile sono
sintetizzate le forze istintuali e spirituali presenti nell’uomo, e che
procedono secondo le stesse leggi che governano anche il mondo
16
vegetale e il mondo animale. In questo senso, il simbolo si pone
all’attenzione del nostro cuore, anche se “abbiamo disimparato a
intuire come il vegetale si tramuti in animale, e l’animale rifletta
l’interiorità dell’uomo, il suo volto senza maschera”.
Così il simbolo che noi, ponendoci al di fuori, vorremo interrogare,
c’induce sottilmente al dialogo su noi stessi, con noi stessi, sentiamo
la sua potenzialità e si espande dall’Uno verso il molteplice e poi in un
secondo tempo, refluisce verso l’Unità.
Si deve ben distinguere quindi il simbolo da tutte quelle forme
immaginifiche con cui spesso viene confuso, quei segni che non
oltrepassano il livello della significazione e sono buoni strumenti di
comunicazione solo sul piano della conoscenza immaginativa e
intellettuale, sono convenzioni arbitrarie in cui significato e
significante restano estranei3.
Questo non accade con il simbolo, che invece presuppone omogeneità
tra
i
due
termini
e
che
Chevalier
definisce
‘dinamismo
organizzatore’4. Il simbolo è un prodotto della natura; il suo valore si
afferma nel superamento del noto verso l’ignoto, del detto verso
l’ineffabile: se il termine celato, ad un certo punto, si rivelasse, il
simbolo si estinguerebbe. Se il significato viene alla luce, il simbolo
muore.
Il simbolo è quindi mistero e i misteri non s’interpretano, ai misteri ci
si accosta.
3
4
J.Chevalier, “Dizionario dei simboli”, ed.BUR
Ibiden
17
Simbolo e Rito
Il
simbolo
manifesta
l’ideologia del ritmo mistico
della creazione e il grado di
veridicità attribuito ad esso è
un’espressione del rispetto che
l’uomo è capace di concedergli.
La base del pensiero
mistico, come per il simbolo, è
l’analogia; in essa si rincontrano
tutti
gli
elementi
di
un
Figura 3 Sistro. Strumento musicale
usato nei riti isiaci. Le asticelle
correndo sul supporto arcuato in
alto, producevano un tintinnio
fenomeno e costituiscono un
complesso indissolubile. Grazie
al simbolo, il dualismo della vita ritrova la sua Unità.
La realtà è duale; gli elementi che la costituiscono sono
asimmetrici, questo garantisce il continuo fluire della vita e del tempo.
Senza questo movimento si precipiterebbe nella fine degli eventi.
Quindi, la cosa più importante, è riuscire ad alimentare costantemente
il moto e scongiurare l’evocazione della stasi. Un esempio sono gli
equinozi: luce e tenebre durano le stesse ore, non c’è né pulsione né
attrazione da parte di entrambe. In questo punto zero, è necessario
introdurre una forza capace di sbilanciare l’equilibrio che tenderebbe
18
all’annullamento assoluto. Questa forza si scatena col rito; esso è il
motore che mantiene vibrante la realtà, garantisce l’asimmetria degli
opposti, interviene con irruenza a gestire lo squilibrio degli elementi.
La natura del rito, come quella del simbolo, è inafferrabile ed è
questo che le permette di gestire la realtà, intervenendo nei punti
oscuri, dove risulta più indefinibile.
Più forte e il rito, più energia si scatena, più gli elementi verranno
portati lontano l’uno dall’altro, più aumenterà la tensione e sarà
evitata l’implosione della realtà su se stessa. Attraverso il rito,
scopriamo ‘l’entropia reversibile’ del simbolo.
Qui il sacrificio trova la sua ragion d’essere, in questo paradosso tanto
più insensato quanto più necessario ed efficace. Il sacrificio è il rito
per eccellenza, con esso si scatena la massima forza: in esso si dà la
morte per scongiurarla.
E’ inutile tentare di comprendere con l’intelletto, ormai abbiamo
abbandonato il regno della razionalità; qui dobbiamo appellarci al
cuore e compiere un “atto di fede”. Solo il simbolo può aiutarci a non
smarrirci.
19
Simbolo e Mito
I simboli, carichi di
grande
potenza
esprimono
energetica,
quegli
schemi
dinamici che Jung ha definito
archetipi: essi si manifestano
come delle strutture psichiche
quasi universali, una specie di
coscienza collettiva. Ma ciò
che è comune all’umanità,
sono le “strutture costanti”,
insite in questi archetipi, e non le
Figura 4 Disegno che orna una
piastrella turca del XVIII secolo.
Al centro è raffigurata la kaaba,
"calamita" del mondo islamico
immagini
apparenti
che
li
figurano e che variano a seconda
delle epoche, delle etnie, degli individui.
Il
simbolo archetipo collega l’universale all’individuale e la sua
trasposizione drammatica si presenta nel mito5.
La funzione principale del mito è di fissare i modelli esemplari di tutte
le azioni significative; esso è il “teatro del simbolo” e mette in scena
le lotte interiori ed esterne che l’uomo affronta nel corso della sua
esistenza, quando si spinge alla conquista della sua personalità. Il mito
condensa in una storia una massa di situazioni analoghe e, al di là
5
E.Zolla, “Uscite dal mondo”, ed.Adelphi, Milano 1992
20
delle sue immagini movimentate, permette di scoprire i tipi di
relazioni costanti, le strutture.
Le immagini mitiche portano ad una comprensione immediata, non
vanno intese nel loro significato letterale, né come “credenze” più o
meno infantili, ma ogni parola-chiave racchiude in sé un universo di
conoscenza che a noi risulta spesso oscuro.6
Il linguaggio del mito opera per generalizzazioni e non esiste altra
tecnica che riesca altrettanto bene a “raccontare” la struttura.
Il suo merito principale è l’intrinseca ambiguità: il mito può essere
usato
come
veicolo
per
trasmettere
conoscenze
concrete
indipendentemente dal grado di consapevolezza delle persone che
concretamente narrano le storie, le favole o altro.
I fatti storici non potranno mai spiegare i miti, mentre essi hanno
sempre invaso la storia sotto mentite spoglie, foggiandola sottilmente
secondo i propri fini.
Le figure mitiche esprimono il comportamento di quel vasto
complesso di variabili, un tempo chiamato cosmo. Esse combinano in
sé varietà, eternità e ricorrenza, poiché tale è la natura del cosmo
stesso.
Tutti i miti presentano racconti che sono rappresentazioni
parziali di un sistema che si svolge oltre di essi, e nella loro vastità e
complessità, l’unico modo per procedere è induttivamente, evitando i
6
G.de Santillana, “Il mulino di Amleto”, ed.Adelphi, 2000
21
preconcetti e lasciando che sia l’argomentazione e condurci alle sue
conclusioni, sempre che ce ne siano.
22
Simbolo e Ritmo
Figura 5 Danzatrici sacre addestrate per esibirsi durante le
feste religiose dei Khmer
Suono è vibrazione che si espande nell’aria.
Quando esso si muove nella realtà, ecco che appare il ritmo, l’essenza
del movimento. L’uomo prima di cogliere un oggetto, coglie il suo
ritmo. Grazie alle analogie tra i ritmi, si costituiscono le somiglianze
nella realtà; si assomigliano le cose che hanno lo stesso ritmo.
Esso, quindi, è qualcosa di molto profondo, è l’essenza ultima delle
cose, altrimenti sarebbe impossibile accomunare un re, ad un leone, al
sole: i tre elementi appartengono a regni diversi, hanno forme esteriori
diverse, eppure il loro accostamento ci appaga e in noi nasce quel
certo assenso di verità, che , se indaghiamo, ci sgomenta. Allora ciò
che ci fa credere alla “regalità e solarità leonina”, va ben oltre
l’apparenza sensibile. Verrebbe da dire: ”Sono simboli!”, e infatti,
come ogni simbolo, non si ferma a sé, ma si svolge verso una realtà a
cui è accomunata per il ritmo.
23
La caratteristica del ritmo è di essere movimento ordinato,
misurato, e grazie a ciò, il suono diventa musica: la sua struttura è
numerica, ma il suo carattere resta sentimentale. L’altezza, la durata, il
timbro, l’intensità, sono tutte caratteristiche misurabili che la tengono
in piedi, ma è grazie alla poesia che riesce a coinvolgerci ed
emozionarci. Numero e sentimento, razionale e irrazionale si fondono
nella musica e le danno verità e bellezza; il contingente e l’ineffabile
s’incontrano e così si esprime la sua natura simbolica: è la fusione
degli opposti
Il ritmo si ritrova spontaneamente in natura, fa parte
dell’essenza intima delle cose: ogni cosa ha il suo ritmo e il giusto
accostamento di ognuno rispetto agli altri, crea nell’universo,
l’armonia.
Dal piano materiale, in un attimo, ci troviamo su quello
metafisico.
24
CAPITOLO II
“Gli aborigeni non credevano all’esistenza
Del paese finché non lo vedevano e lo cantavano:
allo stesso modo, nel Tempo del Sogno,
il paese non era esistito finché
gli Antenati non lo avevano cantato.”
Bruce Chatwin
25
Origine del simbolismo sonoro
Figura 6 I mantelli funebri peruviani riccamente ricamati,
indicano l'importanza della vita dell'aldilà
Analizzando i racconti delle culture primitive, emergono i tratti
fondamentali delle loro credenze: principalmente, la superiorità
morale degli animali rispetto agli uomini.
Gli animali non sono mai cattivi per natura e il loro carattere è
univoco, contrariamente all’uomo equivoco. Le caratteristiche morali
dell’animale sono molto importanti perché danno un giudizio esatto
delle cose e l’esprimono con grande fedeltà. Si coglie, inoltre, la
profonda passione dell’uomo primitivo per la musica7.
7
M.Schneider, “Gli animali simbolici”, ed.Rusconi, Milano 1986
26
La filosofia primitiva della Natura esprime una concezione
molto ordinata del cosmo e le sue idee sono fondate sulle
rappresentazioni sensoriali e sull’osservazione quotidiana. Da questo
emerge subito una grande convinzione: il dualismo della vita. La
realtà appare come la metà di una totalità, essa è l’unione di tesi e
antitesi, nasce dal macrocosmo e si ripete nel microcosmo.
L’altra forza, a cui non è possibile sottrarsi, è il fattore
emozionale, che pervade tutto il pensiero primitivo.
Dall’esperienza l’uomo impara che i fenomeni semplici
vengono colti seguendo la logica causale, mentre, per quelli
complessi, è necessario il ragionamento per analogia che, come
abbiamo già visto, è alla base del pensiero mistico.
Grazie ad esso, si colgono i fattori che creano l’unità dei diversi
fenomeni e che si basano sull’idea del ‘ritmo comune’8.
Per le alte culture, questi sono valori astratti e sono ordinati seguendo
una classificazione ragionata di carattere statico, che genera la
concezione di una realtà ultima geometrica e scientifica, che si
esprime nel riposo, nella stasi.
Il primitivo, invece, percepisce il movimento e il carattere
fluttuante dei fenomeni. In un certo senso, si potrebbe asserire, che
essi “ballano e cantano la loro idee”, mentre, nelle alte civiltà, la
partecipazione attiva del corpo, è sostituita da uno strumento.
8
M.Schneider, “Gli animali simbolici”, ed.Rusconi, Milano 1986
27
Le “leggi” della scienza naturale primitiva, hanno un aspetto
antropomorfico. Ciò ha le sue origini nel fatto che il cosmo è
concepito come un’Unità indissolubile, in cui l’uomo appartiene alla
natura, ma è l’unico che può imitare (direttamente o indirettamente) i
ritmi altrui e quelli fondamentali, della Natura stessa. Questo lo eleva
al di sopra di ogni altro essere.
Nella concezione primitiva, imitare coincide con identificarsi,
che presuppone il conoscere le leggi intime; questa conoscenza dà il
potere di dominare l’oggetto imitato.
Dalla concezione dinamica del cosmo, quindi, si sviluppa l’iter
attraverso cui, con l’intersecarsi di filosofia, religione e scienza
applicata, si giunge alla magia. Per questo, il mezzo più sicuro, ma
anche più pericoloso, è avventurarsi ad imitare la voce dello spirito
dell’animale.
28
Anima, corpo e totemismo musicale
Figura 7 Figura di danzatrice
Il primitivo concepisce l’uomo, diviso in tre parti: il corpo
mortale, l’anima materiale, che corrisponde alla sua ombra e ha la
stessa natura del fuoco, e l’anima immortale, il cui elemento è l’acqua
e corrisponde alla melodia interiore, che nelle ore mistiche dell’uomo,
diventa il principio dominante.
La parte immortale dell’Anima è la forma sonora, il ritmo essenziale e
imperituro dell’uomo.
Questo pensiero è evidente al momento della morte; si crede
che il defunto difficilmente si separa dal proprio corpo; per questo è
necessario cantare e suonare i tamburi in suo onore, per “facilitargli”
il passaggio al mondo acustico puro. Questo canto è semplice, breve,
dolce, sempre triste e monotono e cambia ritmo, timbro e altezza a
seconda dell’individuo. Il punto culmine è quando si ode la propria
29
melodia contata da qualcosa o qualcuno “che sta fuori dal corpo fisico
proprio”: questa è l’ora della morte9.
La divisione dell’essere umano in tre piani d’intensità
decrescente può essere paragonata a dei cerchi concentrici che girano
attorno ad un punto centrale nel quale ha origine il ritmo
fondamentale dell’uomo. Questo centro spirituale si espande verso la
periferia materiale e da
questo concetto generale emergono la
tripartizioni mistca: testa, petto, ventre; mondo superiore, intermedio,
inferiore; uccello, leone, vacca. Questa divisione però viene superata
ricordando che ogni fenomeno positivo può essere sostituito con uno
negativo grazie all’inversione o antitesi che è complemento naturale
della tesi e non la negazione.
Nelle culture di cacciatori primitivi, gli animali erano
considerati come le incarnazioni mistiche degli antenati, ed erano i
protettori della tribù. Col tempo, essi divengono le incarnazioni di
spiriti con determinate qualità. Da questo graduale mutamento nasce
l’idea che forse il Governo della terra deve essere suddiviso con diritti
uguali fra uomini e animali.
Quando un uomo trova in un animale il proprio ideale, quello diventa
il suo animale-totem10. C’è un grande affetto che unisce ogni uomo al
suo animale-totem, poiché il suo sangue è quello degli antenati e lo
spirito è il suo protettore.
9
M.Schneider, “Gli animali simbolici”, ed.Rusconi, Milano 1986
Ibidem
10
30
Nelle
‘Società
totemiche’(Gruppentotemismus)
è
più
importante l’opinione della comunità che la volontà individuale: ad
esempio, alla nascita di un bambino, è la comunità che decide
riguardo alla sua parentela animale, e non i genitori.
Il “primo grido” del neonato corrisponde alla “melodia della persona”
ed esprime l’identità dell’animale che si manifesta in lui. Con la
pubertà, il fanciullo, ormai uomo, assume una voce nuova e quindi
s’identificherà con un nuovo animale. E’ importante sottolineare come
nella scelta dell’animale contano numerose varianti quali il ritmo
ambulatorio, le fattezze, la disposizione dei denti, la forma delle mani
e dei piedi, il colore, l’aspetto generale dell’individuo.
L’animale attribuisce il canto proprio e l’ora di cantare dev’essere
l’ora mistica dell’animale-totem, ovvero, il momento più consono al
contatto acustico e visivo con gli uomini. Importante è il carattere
esoterico della canzone, “tre volte chiuso nella comprensione delle
persone”.
La canzone propria11 è solo quella parte strettamente
individuale che si manifesta nel modo di cantare una melodia, è il
carattere
individuale;
in
questo
senso,
l’animale-totem
è
legittimazione dell’individuo.
Da questo deduciamo il potere straordinario della parola; se
l’imitazione
potesse
essere
completa,
l’individuo
sarebbe
completamente in balia dell’imitatore, giacché possedere il ritmo
11
M.Schneider, “Gli animali simbolici”, ed.Rusconi, Milano 1986
31
essenziale significa captarlo e dominarlo per conoscerne il nome, che
costituisce la sua legge intima. Ma non può esistere imitazione
completa di un individuo vivo, poiché rimane sempre una parte
inimitabile: la canzone propria.
L’uomo primitivo dispone di pochissimi oggetti di civiltà, ma
lo sviluppo della cultura spirituale non dipende dall’elevatezza della
cultura materiale.
Il criterio per stabilire la parentela uomo-animale dipende dal
ritmo e dal timbro della voce, che costituiscono il ritmo essenziale di
tutti i fenomeni. Da questo si vede che, per il “mistico primitivo”, il
piano più alto di tutto il creato è quello acustico: i movimenti sonori
della voce sono un unione concentrata, microscopica, ma molto
fedele, degli elementi caratteristici di un essere vivente. Il ritmo vocale
è il riflesso più fedele di un individuo.
Esiste una facoltà selettiva innata che ci permette di cogliere,
percepire intuitivamente, i caratteri essenziali di un fenomeno. Questo
ci avvicina di più ai modi di un artista anziché di uno scienziato; è un
tentativo di ristrutturazione intesa come imitazione spontanea.
Quindi gli individui con doti musicali, devono svolgere un ruolo di
prim’ordine nella comunità. La musica imitativa è arte e scienza per
eccellenza (nelle culture primitive). Essa è uno strumento di azione
diretta, la più profonda fonte di conoscenza per costruire l’espressione
32
più sostanziale e sintetica dei fenomeni, la cui vera essenza sono i
ritmi sonori.
E’ l’instabilità degli oggetti che non permette alla musica
primitiva di considerarli come realtà; il ritmo che li penetra, li eleva a
tale stato. La manifestazione più alta ed essenziale è il tempo. L’inizio
del tempo è l’atto della creazione e la musica è la manifestazione
terrena del ritmo creativo e per questo è la forma suprema del
conoscere.
Ogni fenomeno può essere suddiviso in essenza e materia: la prima è
espressa dal ritmo musicale, la seconda, dal timbro.
La musica permette di ridurre le dimensioni dello spazio sul piano
acustico (altezza, movimento e armonia) ed esprime tutte le proprietà
qualitative, intensive ed estensive dei fenomeni, concentra in sé
l’Unità dei sensi.
La musica primitiva è descrittiva, si esprime attraverso il movimento
del corpo e il testo non ha importanza. La visualizzazione di queste
canzoni, genera un’impressione sensoriale immediata.
33
Ritmo: totalità dinamica
Figura 8 Le rappresentazioni rievocano i riti frenetici dedicati agli dei
erotici di Caanaan (3500 a.C.)
La natura dinamica si sottrae a qualunque tentativo di
scomposizione in elementi parziali. Per cogliere questa forme, è
necessario viverle. Se resistiamo intellettualmente all’esperienza
vissuta del ritmo, esso ci comunica un alto grado di nervosismo.
Infatti ci serviamo del metodo intellettuale, costruiamo il sapere
sull’ordine della successione dei valori brevi e lunghi: il solfeggio.
Esso non è nient’altro che metro, “divisione” del tempo: questa è una
concezione spaziale, non è un tempo vissuto.
Il ritmo è un fenomeno indivisibile, un movimento continuo e
omogeneo, scorre inesorabile come l’acqua di una cascata: è un
fenomeno naturale, se lo si scompone, svanisce. La forma ritmica è
una forma intera, è sensoriale, determinata, non sottoposta alla
riflessione cosciente.
L’uomo primitivo passa lungo tempo ad osservare la natura e
contempla le totalità complesse e dinamiche, concepisce le forme
ritmiche e le impressioni sensoriali s’imprimono col trascorrere del
tempo. Percepisce la realtà come un insieme polifonico. Per lui,
34
esistono solo ritmi continui, movimenti analoghi, non oggetti; gli
alberi, il mare, il gregge, sono soltanto piani paralleli di una
manifestazione passeggera della stessa specie ritmica, che per se
stessa costituisce una realtà.
Ogni ritmo è specifico, cioè divide la specie.
Un oggetto può cambiare completamente significato a seconda del
ritmo o uso a cui è sottoposto, cioè del ritmo di finalità che lo invade.
Il ritmo può essere quindi suddiviso in tre “sottoritmi”: i ritmi
generali, che sono le pure ideologie; i ritmi tipici, cioè l’idea concepita
sotto una certa modalità; i ritmi specifici, cioè la modalità del ritmo
tipico. Un esempio può essere il ritmo generale legato all’idea della
collera; il suo ritmo tipico potrebbe essere la collera del leone; il ritmo
specifico dipende dal ritmo “leonino” che cambia a seconda che esso
stia correndo, cacciando o dormendo.
Come s’è detto prima, l’essere umano è equivoco (dal latino
aequivocum, aequus-vox = stessa voce) e questa sua natura costituisce
una ripetizione microscopica dei ritmi del macrocosmo12.
Quindi il ritmo caratteristico dell’uomo, non è tipico o univoco,
perché la sua natura è poliritmica; questa è la base della sua
superiorità e della sua
depravazione. “Poliritmica”
indica il
raggruppamento di ritmi univoci (tipici) più diversi, la cui collisione
determina il carattere equivoco e l’inquietudine spirituale dell’uomo.
12
M.Schneider, “Gli animali simbolici”, ed.Rusconi, Milano 1986
35
L’attenzione dell’uomo primitivo si rivolge a fenomeni rari o di
carattere fuggevole: nella brevità della manifestazione ritmica sta il
suo valore mistico. L’osservazione porta alla riduzione dei ritmi umani
a ritmi univoci (animali).
L’osservazione è assai impregnata di emozione tanto che insieme al
luogo e all’ora, è una delle tre caratteristiche fondamentali. L’ora
corrisponde
alla
luce
del
giorno
e
al
momento
preciso
dell’osservazione: è il tempo, fattore dinamico, veicolo del ritmo
creativo. Il luogo è il posto dove è avvenuto il fenomeno, ha in sé i
ritmi caratteristici che la natura di qui ha imposto (saltare, acquattarsi,
retrocedere). L’emozione è la situazione psicologica soggettiva
dell’osservatore: è diretta e specifica e vieni comunicata dal ritmo
dell’oggetto stesso.
Inoltre la percezione sonnolenta, fa entrare le esperienze
soggettive nella rappresentazione oggettiva. La confusione dei ritmi,
che si può avere in questo tipo di percezione, molto frequente nella
mistica, origina un’altra serie di analogie ed associazioni strane. A
questo punto, la forza dell’emozione, completamente integrata, prevale
nella definizione del fenomeno.
Dal punto di vista psicologico, la percezione sensoriale di
movimenti ritmici, che si verifica senza intervento della riflessione
cosciente si basa su impressioni di movimenti nel tempo e nello
36
spazio. Vivere una forma, è diverso da captare le relazioni causali fra
le parti .
Secondo la “Gestaltpsycologie”, la forma è un insieme la cui
condotta è determinata dalla sua natura interna, non dagli elementi
individuali; la totalità è più della somma delle parti.
Da ciò deriviamo che il senso di un fenomeno è dovuto alla
configurazione totale del complesso ritmo, e il significato dipende
completamente dalla situazione in cui s’inquadra.
L’uomo primitivo non percepisce il concetto di spazio
(oggetto) come essenziale; importante è il tempo, ossia il movimento
ritmico.
37
Unità dei sensi nel Ritmo-simbolo
Per il mistico, il
piano della realtà, è il piano
dei
movimenti
acustici;
l’orecchio è l’organo più
importante
e
l’udito,
il
senso principale, l’ultimo
dello sviluppo biologico.
Nelle alte culture, l’udito
diminuisce
di
valore
a
favore della vista.
Nei linguaggi antichi ci
sono molti più vocaboli per
indicare
Figura 9 Edipo e la sfinge, Gustave
Moreau, 1864
i
molteplici
fenomeni acustici. Questa
supremazia dell’udito, forse
è dovuta anche al fatto che nella foresta esso è il senso che ha il
maggior raggio d’azione e quindi risulta più utile. Da questo deriva
anche la tradizione che le orecchie grandi sono sinonimo di grande
saggezza.
38
La percezione mistica può essere divisa in tre parti: sapere
superiore che si percepisce nello spirito; sapere medio che si rivela nel
cuore; sapere basso che si capta nell’orecchio.
La scuola romantica tedesca è impregnata del pensiero mistico
musicale , un esempio è Friedrich Schlegel che afferma che la natura
dell’anima umana è acustica.
Il grande equilibrio che sussiste tra linguaggio e musica,
ugualmente si pone tra intelletto e sentimento; quando si parla
cantando, si diventa l’essenza dell’oggetto di cui si parla.
Anche grazie alla facoltà della parola, il piano acustico è il più
adeguato all’essere umano; grazie ad essa si dà il nome alle cose e
quest’atto è la trasposizione sul piano acustico di impressioni
sensoriali non acustiche. Un esempio di questo processo lo possiamo
ritrovare nel tamburo, il cui suono è ripetizione timbrata di ritmi
linguistici.
Questa trasposizione, di tutta la realtà, al piano acustico, può
spiegarsi solo con l’unità dei sensi13.
Il
parallelismo
dei
diversi
sensi,
deriva
dalla
somiglianza
approssimativa del ricambio dinamico dei processi fisiologici centrali.
Inoltre, la percezione sensoriale che si organizza per mezzo di forme e
insiemi ritmici, è un fenomeno psichico.
Dato che l’isomorfismo ritmico è la radice del pensiero mistico nella
vita cosmica, e che il simbolo rappresenta la parentela mistica che si
13
M.Schneider, “Gli animali simbolici”, ed.Rusconi, Milano 1986
39
stabilisce in base ai ritmi comuni, possiamo affermare che il “ritmosimbolo” corrisponde al ritmo comune.
In questa concezione, la voce è lo strumento più potente
dell’essere umano, poiché gli dà la facoltà di imitare i ritmi più
diversi.
La parentela viene “sentita”. Nulla può esprimere meglio questo
sentimento, che il grido imitativo: esso è un fenomeno essenzialmente
vago e psicofisico. In questo modo, l’uomo adotta la voce nel suo
ascendente mistico: è un tentativo di imitazione.
Lo sviluppo del pensiero analitico e formalista distrusse e
respinse nel subconscio l’Unità dei sensi e dimenticò la parentela
ritmica dei fenomeni, staccò il pensiero umano dal suo collegamento
cosmico. I caratteri di questo modo di vedere la Natura sopravvivono
ancora nella nostra cultura in alcuni detti popolari e nei miti.
40
Morte del ritmo-simbolo e l’inizio del feticcio
Figura 10 Per insegnare ai bambini i riti, gli Hopi fabbricano
delle bambole mascherate che raffigurano i vari Katchinas
Il grido-simbolo rappresenta la ristrutturazione dell’essenza del
fenomeno imitato: questa è la base della conoscenza mistica. Ma il
senso
originario
del
grido-simbolo
si
perde
con
l’avvento
dell’imitazione simbolica stilizzata. Questi sono i feticci, che fingono
di rappresentare esseri mistici esagerando l’una o l’altra parte del
ritmo totale. In questo modo si perde il vero simbolo e si generano
“simboli difettivi” o “ritmi artificiali”, che sono la conseguenza dello
sviluppo dell’intelligenza discorsiva e del progresso culturale tecnico
che produce immagini fabbricate che vengono collocate accanto al
ritmo-simbolo, il quale continua ad essere usato; ma subentra la
41
creazione di un cerimoniale nuovo in cui il feticcio sostituisce il grido.
L’antico ritmo della Natura è sostituito da un ritmo fantasma e non è
nient’altro che l’espressione della Volontà e dell’Intenzione, non della
Verità.
La deviazione, che consiste nell’imitazione di ritmi naturali per
mezzo di ritmi artificiali, porta una crisi che origina il pensiero
speculativo. Lo sviluppo dell’intelligenza distrugge la percezione di
una serie di insiemi naturali e la riflessione speculativa si pone a
selezionare. In questo modo va scomparendo l’antica relazione
mistica tra uomini-animali-imitazione ritmica esatta. Sopravvivono le
antiche idee, ma perdono il vero fondamento psicologico.
Questo nuovo atteggiamento fa crescere l’importanza del testo nelle
canzoni, in cui il linguaggio occulto si perde quasi del tutto.
Le ultime reliquie del pensiero mistico si manifestano nelle poesie
allegoriche delle alte culture. Così, il linguaggio mistico si risolve in
musica e poesia: nella musica vocale, le leggi musicali domineranno il
ritmo del linguaggio.
Avendo perduto il dono naturale di imitare con estremo
realismo, si creò una teoria che sostituisse la primitiva pratica, si
tentava di mantenere il realismo artificialmente tramite la costituzione
di piccoli intervalli sonori: si opina che basta impadronirsi di una parte
per possedere il tutto (legge della “pars pro toto14”). Questa idea si
manifesta attraverso l’aspetto e l’ideologia delle maschere e degli
14
M.Schneider, “Gli animali simbolici”, ed.Rusconi, Milano 1986
42
strumenti musicali. Assumono grande importanza gli utensili, che,
grazie alla loro triplice funzione di culto, lavoro e musica, amplificano
il ritmo dell’attività umana e permettono d’impadronirsene.
Qui occupano un posto di grande importanza, i riti di
fecondità: essi svolgono la funzione predominante nella vita
dell’uomo primitivo. Gli strumenti usati sono gli stessi per le
cerimonie funebri. Da questo si deduce che i due riti abbiano un
fattore comune che concilia nascita e morte: il sacrificio.
Ogni nuova vita si forma per il sacrificio totale o parziale di una vita
adulta che – direttamente (genitori) o indirettamente (antenati) – ha
prodotto questa nuova vita.
E’ una duplice continuità, un mutuo sacrificio in cui i due aspetti
principali sono quello erotico e il dovere: il primo corrisponde al
sacrificio parziale di forze vitali, il secondo si esprime nell’orazione,
che rappresenta il sacrificio del pneuma, e nella morte, ovvero il
sacrificio di sé.
Così, la fecondità appare nella sua forma tanto fisica quanto
metafisica.
43
Semitono e Tritono
Figura 11 Tlaloc, dio azteco, indossava come corazza un serpente a due
teste, incrostato di turchesi, con denti di conchigli; era la divinità della
pioggia e della tempesta
Con l’imporsi del pensiero analitico, il suono primigenio
naturale e spontaneo diventa musica.
Essa nasce attraverso il sodalizio di suoni e numeri, in cui questi
ultimi non rappresentano un’entità neutra senza forza, bensì sono
vibrazioni ricche di valenza emotiva.
La musica non rimanda a nessun significato, essa è tutto quello
che c’è, e se essa è numero, allora il numero è tutto ciò che c’è. Da
questo deriva che i numeri sono interpreti di tutte le cose. La musica
rimanda a sensazioni, è libera ed interpretabile e non ha valore
assoluto. Al di fuori di questo apparato numerico, temporale e
vibratorio, non c’è nulla.
La fusione tra suono incodificabile, considerato “astrattezza
sentimentale”, e numero, codificabile razionalmente e ritenuto un’
44
“astrattezza logica”, avviene attraverso l’applicazione di quest’ultimo
alla lingua: si dà un ritmo alle sillabe. Così, dalla prosa del discorso
sciolto, si passa alla prosa ritmica, in cui la musicalità incide sulla
memoria e si giunge al ritmo musicato della poesia.
Le antiche orazioni, quando dovevano convincere il senato, dovevano
comprendere nel discorso, una parte ritmica, per suscitare l’attenzione
e imprimere musicalmente nella memoria il concetto, che rimaneva
gradevolmente nella mente degli ascoltatori.
Quindi, la parte musicale non riguarda solo la musica, ma anche il
linguaggio e la memoria, che fa leva sui sentimenti e sulle sensazioni.
Comunemente per numeri s’intende un sistema quantitativo
per organizzare la micro e la macro realtà; ma se è possibile la
fusione, tramite la musica, di qualità-quantità, emozione-logica, allora
le due realtà hanno l’una qualcosa dell’altra. Questo era ciò che
sosteneva Pitagora nel V secolo a.C.: se la realtà è numero, allora il
numero è realtà ; se la realtà al di là delle apparenze è numero ed è
qualitativa, allora il numero che la rappresenta è anch’ esso
qualitativo; quindi se la realtà è qualità, anche il numero dev’essere
qualità.
Insomma, il numero, per interpretare la realtà nella sua dialettica di
sensi ed elementi, deve essere qualitativamente non neutro.
I numeri in sé, in rapporto, e nella loro gerarchia, hanno qualità e
significati simbolici; sono quantità che si rinnovano in qualità. Ogni
45
numero è parente o figlio di un altro e tra essi c’è una complessa
interazione.
Pitagora filtra i numeri attraverso i suoni, perché, questi ultimi, sono
ancora i fondamenti (arcani) dell’ Universo, e isola così i primi
intervalli sonori, fondamenti di tutta la grammatica musicale
successiva.
Il semitono è l’ elemento di grande importanza di questo sistema; è il
motore che innesca il meccanismo di ascesa e discesa, condensa in sé
il conflitto
e la tensione che generano il movimento; è duello e
agonia, ha in sé passione, violenza, morte, proprio come ogni rito.
Il semitono è la parte più piccola dell’ ottava (un dodicesimo) e dà la
sensibilità; il valore della musica dipende da esso tanto che la sua
posizione nella scala musicale decide il significato etico, estetico ed
etnico della musica stessa.
Il semitono è la parte sensibile del reale, identifica il colore delle cose,
la qualità, permette il giudizio; esso dà il senso, ci dice la direzione, se
siamo per una via ascendente o discendente, e quindi è il punto di
riferimento per il nostro andamento, è il discriminante che ci fa
distinguere le cose del reale, è ciò che ci permette di orientarci nel
mondo. La sua importanza appare talmente grande che fino al ‘600 la
sua presenza, in qualsiasi partitura musicale, è pretesa, e qualsiasi
intervallo in cui esso non sia presente, non è concepito. Ciò significa
che la vita, descritta attraverso questa musica, viene considerata un
flusso continuo, un circolo eterno, in cui, il movimento perpetuo, è
46
generato e garantito dalla presenza di passione, violenza e agonia che
culminano nella morte (il semitono).
Ma la grammatica musicale ha sempre eluso un elemento, un
intervallo racchiuso tra due semitoni e che non ha in sé il semitono
stesso.
Se la razionalità del mondo si basa sull’ esistenza di questo elemento,
una realtà in cui esso non è presente viene considerata irrazionale:
questa realtà è il tritono.
Il tritono imploderebbe su se stesso se non ci fossero i semitoni esterni
che ne mantengono viva la tensione. E’ il punto morto in cui tutta la
musica cesserebbe, è un elemento senza qualità, senza valore, senza
direzione, senza senso, non ha in sé un elemento che ne giustifica la
presenza, eppure non si può annullare, perché esiste in natura. Affiora
come elemento totalmente irrazionale, paradossalmente, dalla
divisione più razionale (la divisione pitagorica per quattro della corda
sonora). E’ un elemento turbolento: non avendo in sé il semitono,
cerca di aggrapparsi ai suoi argini, ma i suoi estremi gli sfuggono e
così in esso si genera una tensione centrifuga (la stessa forza per cui
un ponte sta teso tra i due argini), esso contiene contemporaneamente
l’ascesa e la discesa e quindi, il meccanismo totale, è insieme
ascendente e discendente. Questo intervallo è legatura e rottura;
emette un suono “discordante”
ed è concepito come doloroso.
Rappresenta l’unità degli opposti in continua contrazione ed
47
estensione, esso è la continua lotta tra luce e tenebre, leone e pesce,
fuoco ed acqua, Sole e Luna, uomo e donna, pari e dispari.
I suoi elementi sono l’equivoco, la gemellarità, l’invertibilità,
gli stessi del simbolo.
La metafisica dell’Universo comincia quindi da questo elemento, per
poi farvi continuo ritorno: il mondo razionale genera da un quid
irrazionale che è il suo cuore e il suo fine. In questa maniera, il
tritono, con tutti i riti ed i simboli, tiene in piedi, congiunti, ciò che
sale e ciò che scende, il sopra e il sotto, il cielo e la terra; ma questa
congiunzione è dinamica poiché il sopra e il sotto vengono spinti
reciprocamente al loro opposto, ed è per questo che ogni grande rito
va dalla “Valle della Morte” alla “Montagna della Glorificazione”. Il
passaggio in giù, dal celeste al terrestre, avviene attraverso un
cammino non traumatico, più naturale, ed è rappresentato dalla
nascita; i passaggi da giù a su, invece, sono molto traumatici e faticosi
e si attuano attraverso la morte.
Queste morti appaiono ora necessarie affinché l’universo continui a
pulsare. Il semitono è il sacrificio necessario all’esistenza; se non c’è
il semitono, siamo nell’ambito del diabolico.
Attrazione e repulsione, aggressività e sottomissione, sono gli
elementi della lotta, espressione della tensione, la stessa che fa sì che
la musica vada da un luogo ad un altro nel tempo. E’ la dialettica del
su-giu che avviene temporalmente e spazialmente: questa è la musica,
simbolo della realtà. Tutto accade nel semitono, motore dell’esistenza,
48
frutto di qualcosa che si consuma sia per salire che per scendere; la
consumazione è sacrificio, e il sacrificio è morte.
Il simbolo aiuta a comprendere, e il migliore della realtà è la
musica; la simbologia è oralità, narrazione, racconto di miti, è scorrere
del tempo, ritorno del tempo su sé stesso, andare indietro nel tempo. Il
racconto è evocazione, ripetizione, esprime l’antica concezione del
tempo, infinito, circolare, lo stesso della musica.
Le esperienze devono mettere in moto i turbamenti; il viaggio
è la fatica delle proprie gambe, è costituito di tappe da cui ci si
allontana, a cui ci si avvicina, e risvegliarsi ogni mattina e trovare la
forza di riprendere il cammino, e l’andata non sarà mai uguale al
ritorno. Una persona dopo il viaggio non è più la stessa.
Percorrere una strada è allontanarsi dal proprio centro, perdere se
stessi passo dopo passo.
Anche la musica è un viaggio che va per tappe, che sono i suoi punti
nodali e determinano il suo significato. I punti nodali sono i punti neri
dell’Universo, i punti morti della realtà (che devono essere gestiti dai
riti) in cui non c’è né vinto né vincitore. In questi punti devono
intervenire i riti a scardinare l’equilibrio mortifero; il rito anticipa
l’evento in modo che quando arriverà si sarà già preparati, cosicché si
riannodino le fila e il tempo torni indietro. Bisogna anticiparlo perché
noi non riusciremmo a cogliere il punto morto, il punto zero, poiché è
inafferrabile, in quanto l’estremo di una realtà coincide sempre con il
49
principio di un’altra. Il simbolo coglie ciò che con la mente umana
non si riesce.
Nel reale non tutto è bene; esiste il male, il dolore, la sofferenza, il
sacrificio. Lo stesso vale per la musica: al suo interno c’è il diabolus.
All’interno del razionale esiste l’irrazionale: se viene mostrato,
nominato, è distruttivo, ma se rimane innominato e lo si lascia
avvenire è generativo.
50
I chiostri catalani
Nell’uomo
primitivo,
il
ritmo è percepito fuggevolmente e
viene
espresso
mediante
un
simbolo vivo, mentre, gli animali
favolosi,
sono
oggetti
morti,
scolpiti nella pietra; questi sono il
tentativo delle alte culture di
esprimere la sostanza di un ritmo-
Figura 12 Suonatore di arpa:
"Non fermare la musica e la
danza, ma allontana ogni
preoccupazione"
simbolo15.
Ma la riduzione di piani paralleli
della realtà ad un piano comune, si può realizzare totalmente solo su
quello acustico; esso è il più fine, la sua sostanza è energia fluente, è
la realtà che si esprime nel suo negarsi, un andamento ascendente e
discendente senza corpo.
Le creazioni di pietra vengono quindi strutturate secondo
“leggi musicali”. Qui sta la grande evoluzione: la musica si stacca
dall’imitazione diretta dei modelli naturali. Ciò avviene con la
depurazione e il rifacimento della mistica grazie ai principi musicoastronomici e astrologici16. La nuova mistica mostra una predilezione
per le forme statiche e il nuovo spirito
15
16
M.Schneider, “Gli animali simbolici”, ed.Rusconi, Milano 1986
Ibidem
51
sistematizzatore origina una serie di piani paralleli nuovi, tra cui la
relazione numeri-idee da cui avrà origine il sistema tonale con suoni
propriamente musicali.
Aumentando il numero di piani paralleli della realtà, aumenta
naturalmente il sistema di corrispondenze mistiche e ritmiche. Il primo
tentativo di sistemazione ragionata delle idee mistiche corrisponde alla
creazione del primo sistema musicale-teorico, ovvero il primo sistema
tonale ragionato, che ha alla base la relazione numeri-suoni.
Con il tempo, la musica diviene la più alta sapienza;
abbandona il carattere empirico e passa ad un piano molto più astratto,
riempiendosi di filosofia cosmica speculativa.
Dalla transizione tra i vari piani paralleli, si generano le
corrispondenze tra i vari elementi del reale ed è così che si passa ad
accomunare idee , numeri, suoni, animali.
Un esempio, sono i due chiostri catalani medievali di San
Cugat del Vallés e la cattedrale di Gerona, risalenti alla fine del XII
secolo.
Appena si entra in questi luoghi, gli occhi vengono rapiti dalla serie di
animali scolpiti sui capitelli delle colonne che circondano i chiostri
.Analizzando da vicino i vari tipi di animali, ci si accorge che si
possono suddividere principalmente in tre tipi: gli animali favolosi,
quelli più o meno stilizzati, quelli normali o più realistici. Sembra
52
assente una spiegazione soddisfacente per una così strana successione,
e si pensa che in passato abbia costituito un sapere segreto.
In questa serie di rappresentazioni animali, il bue ed il leone sono
quelli più realistici e quindi i più sicuri per l’interpretazione:su di essi
non ci si può sbagliare. Il bue viene sottomesso dal leone, soccombe,
viene messo a terra, in lui si concentra la discesa di tutte le cose; egli
rappresenta tutto ciò che va in giù, che precipita. Al contrario, il leone,
vincitore della lotta, domina, e , fiero, si protende verso l’alto; egli è
l’ascesa, simbolo di tutto ciò che percorre una strada in su.
Il leone ed il bue in lotta sono l’immagine ricorrente,
l’immagine chiave ed esplicita; si mette in scena il duello tra il re della
luce e il dominatore delle tenebre, si rappresenta il continuo alternarsi
del dì e della notte, l’alterna vittoria dell’uno sull’altra; due forze che
si contendono la supremazia: una verso il sole, verso il cielo, l’altra
verso le tenebre, l’abisso.
In queste immagini ritroviamo la tensione dell’ascesa e della discesa,
vediamo espressa, scolpita nella pietra, tutta la forza del semitono. E’
in questo scontro continuo tra elementi opposti che si scorge la
necessità che qualcosa soccomba e muoia affinché qualcos’ altro viva.
Ogni volta che un leone deve prendere il suo trono, un bue deve
morire; ogni volta che deve sorgere il sole, la luna deve tramontare.
Qualcuno deve sacrificare la propria esistenza per alimentare la vita
altrui.
53
E’ proprio qui il paradosso: ogni vita è alimentata dalla morte violenta
del sacrificio.
Queste che possono apparire come idee infondate, hanno
invece le loro fondamenta e prove di verità proprio nelle pietre
scolpite dei due chiostri catalani. La precisione delle rappresentazioni
permette di passare dal piano della figurazione visiva a quello
acustico.
Credendo che alla base delle sculture ci siano delle motivazioni
musicali, si prova a fare l’operazione inversa, cioè scoprire la musica
che sta dentro le “pietre”. Seguendo l’idea di simbolo finora sostenuta,
e applicandola ai capitelli si è giunti ad attribuire a ciascuno una nota,
la cui successione ordinata ha formato una melodia. La vera prova è il
fatto che, ciascun chiostro, attraverso gli “animali sonori”, intona
l’inno del santo a cui venne eretto, lo stesso che i monaci continuano a
cantare da secoli, e che forse, una volta, era unito alla camminata
intorno al chiostro stesso. Dal chiostro di San Cugat del Vallés
scopriamo il canto che innalza alla gloria il martire San Cucufante,
mentre da quello di Gerona trapela la triste melodia della Vergine
Addolorata.
Naturalmente l’identificazione delle note musicali con gli animali di
pietra, non è una semplice corrispondenza. Siamo nel regno del
simbolo e ciò implica che si colgono gli elementi nella loro totalità e
dinamicità, rimanendo fedeli al contesto. A contribuire all’aspetto
sonoro dei capitelli è l’intera costruzione; è importante la forma della
54
pianta, trapezoidale nella cattedrale di Gerona. Questa forma evoca la
testa del bue sacrificale, del dolore e della discordanza ad esso legata
attraverso il semitono. Inoltre la costruzione è stata orientata in modo
che anche temporalmente possa esprimere l’ora mistica dell’animale,
la sera, a nord-ovest, cala il sole e regnano le tenebre.
C’è un continuo flusso che regola la vita di quei animali di
pietra.
Percorrere il chiostro è inneggiare al Santo;è una realtà dinamica che
agisce anche senza la nostra consapevolezza e volontà.
55
CAPITOLO III
“In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio,
e il Verbo era Dio.”
Gv 1,1
“E il Verbo si fece carne,[…]”
Gv 1,14
56
Creazione come atto sonoro
Figura 13 L'uovo cosmico, miniatura del Liber Scibias di
Ildegard Von Binghen, circa 1165
In moltissime culture ogni volta che la genesi del mondo viene
descritta con sufficiente precisione, è un elemento acustico che
interviene nel momento decisivo dell’azione. Da ciò deriva che la
fonte dalla quale emana il mondo è sempre una fonte acustica. Questo
suono nasce dal Vuoto; l’ abisso primordiale è dunque un “fondo di
risonanza” e la prima forza creatrice è il suono che da esso scaturisce.
Se il creatore è un Canto, è evidente che il mondo che da esso è
57
generato, sarà della stessa natura, cioè acustico. Da ciò deriva
ragionevolmente che la radice, la potenza e la forma di tutte le cose
sono costituite dalla loro parte sonora: la loro voce e il nome che
portano, poiché tutti gli esseri non esistono se non in virtù del fatto
che sono stati chiamati per nome; i loro nomi sono essi stessi.
Un gran numero di miti racconta che i canti della creazione portarono
il chiarore e l’ aurora; quei canti sono ora voci luminose, ora suoni che
producono chiarore. Il suono si trova così tra le tenebre e la luce e sul
piano umano, la musica si trova tra l’ oscurità dell’inconscio e la
chiarezza dell’intelletto; appartiene in gran parte al mondo del
sogno17.
La creazione è un evento lungo e articolato;in essa i suoni si
precisano e si concentrano in tre “linguaggi” secondari derivanti da
quello primario: il primo è quello della “musica” propriamente detta;
il secondo s’incarna nelle frasi chiare e distinte, soggette al pensiero
logico; il terzo si trasforma a poco a poco in materia. Questi nuovi
“oggetti” sono i simboli materiali dei primi fenomeni puramente
acustici.
A questo proposito, la tradizione ebraica18, afferma che
“prima” della creazione vi erano solo Dio e il suo Nome. Col farsi
parola, il Nome diventa una parte costitutiva di quello che si può
chiamare il linguaggio di Dio, in cui Dio stesso si presenta, si
17
M.Schneider, “La musica primitiva”, ed.Adelphi, Milano 1992
Gershom Scholem, “Il nome di Dio e la teorica cabbalistica del linguaggio”, ed.Adelphi,
Milano 2001
18
58
manifesta e insieme si comunica alla sua creazione, la quale appunto
viene ad esistere nel medium di tale linguaggio.
La Torah, concepita come unità mistica, è il Nome di Dio, strumento
che ha permesso al mondo di venire alla luce, rappresenta la stessa
forza concentrata di Dio, che viene portata
a espressione nel Nome.
Gli dèi, quindi, nelle antiche tradizioni, presentano spesso una natura
duplice e questo carattere ermafrodita porta all’identificazione con la
musica, da sempre ambigua e, da essa, all’aurora, fusione della notte e
del giorno, delle acque e dei fuochi. Una legge essenzialmente
musicale si esprime materialmente in tutti quei fenomeni naturali che
presentano due aspetti antitetici. Nei miti in cui il mondo nasce da uno
strumento musicale è spesso difficile capire se lo strumento sia un
attributo del dio o il dio stesso.
Ma la creazione è un atto che non si esegue senza sforzo; la filosofia e
i riti lo descrivono come uno strofinamento, una via a spirale, un
viaggio circolare, un movimento a mulinello, oppure un sacrificio ,
con il quale si realizza il trasferimento delle forze; è energia fluente,
che permea ogni cosa ad ogni istante successivo. Prima della
creazione, finché gli dèi erano soli, il sacrificio si svolgeva dentro di
loro e tra di loro; poi si estende per aver luogo fra gli dèi e il loro
creato. Le cosmogonie vediche, indù e persiane narrano che, già nei
tempi mitici, dèi e dèmoni, conoscendo la potenza del sacrificio
sonoro, si batterono per il possesso di quella forza. Con il tempo, il
59
sacrificio sonoro si rivestì di materia e ora, le immagini materiali,
sono i riflessi delle antiche immagini acustiche.
La condizione mortale appare come la conseguenza diretta
della materializzazione dei corpi sonori e luminosi dei primi uomini
creati. Gli dèi sfuggirono alla degradazione perché ebbero paura e si
rifugiarono in tempo nel sacrificio sonoro. Sfuggirono alla materia e
non furono mai vittime di quella illusione dei sensi che impedisce di
riconoscere l’essenza sonora e luminosa della realtà metafisica; gli
uomini hanno un’unica via per risalire parzialmente la corrente della
materializzazione: la pratica del sacrificio. Esso è il ponte tra il
Creatore e gli uomini, fra realtà metafisica e fisica, un ponte che si
può percorrere solo con uno straordinario grado di fiducia.
60
La voce del Sacrificio
Figura 14 I cinque sensi: l'udito, incisione di Cornelis Cort, Franz Floris,
circa 1561
“L’invisibilità,
l’impalpabilità
e
la
comparsa
stessa
(l’emissione) del fenomeno sonoro richiedono una fiducia-forza più
grande di qualsiasi altro sacrificio19”.
I riti ed i canti sono necessari agli uomini per recuperare la loro
essenza immortale e gli dèi non possono ignorare i sacrifici sonori
perché toccano la loro stessa sostanza. Il sacrificio è reciproco: è la
legge del mondo.
Gli dèi sono sempre avidi di canti di lode che li fortificano e li fanno
crescere e gli uomini hanno bisogno dei canti della grazia divina20. La
voce travalica la materialità e il significato; la voce è
19
20
C.Bologna, “Flatus vocis”, ed.Il Mulino, Bologna 1992
M.Schneider, “La musica primitiva”, ed.Adelphi, Milano 1992
61
suono
e
rappresenta
il
luogo
di
incontro
dell’universo
e
dell’intelligenza; essa è dissimulata nel silenzio del corpo, da
esso emana e, in ogni istante, può ritornare alla sua matrice.
La voce costituisce una forza archetipica: è l’immagine primordiale
del potente dinamismo creatore, è imperioso grido
di presenza, pulsione universale e modulazione cosmica tramite la
quale la storia irrompe nel mondo della natura. La voce è una pulsione
e si confonde tra le pulsazioni corporee che sfuggono alla coscienza,
perché la precedono.
Il “primato dell’acusticità” trova conferma nel pensiero miticocosmogonico. Hegel, per avvio al discorso della metafisica della
voce, scrive: in quella notte che si distende immobile prima
dell’emergere della luminosa coscienza, nessuna voce interruppe il
silenzio. La nominazione (fin da quella di Adamo, che diede senso
alle cose ignote e indicibili nel giardino dell’Eden prima della storia) è
la genesi del linguaggio e della memoria che lo garantisce, rendendolo
trasmissibile, utilizzabile: negando ciò che nomina, il nomen lo
conserva nel segno sonoro. L’animale non possiede una voce
“sonora”: la sua è “voce vuota”, pura vocale indifferenziata, grido
privo di uno specifico contenuto; solo nell’atto della morte,
l’animale,esalando l’anima, “ha una voce, esprime se stesso come
annullato e conservato21”.
21
C.Bologna, “Flatus vocis”, ed.Il Mulino, Bologna 1992
62
La voce è morte e memoria dell’ animale; il linguaggio umano che
articola e nega il puro suono, articola la morte che ricorda e così, può
diventare voce della coscienza e linguaggio significante. L’ ambiguità
della voce si svolge nella coscienza in cui l’evento di una nascita è
memoria di una morte.
Col tempo, al suono della voce si affiancano degli strumenti
che poi diverranno utensili, la cui potenza risiederà nella loro origine
musicale. Per accrescere la forza del sacrificio sonoro degli strumenti,
ci si servirà anche dei cadaveri, per far cantare i morti. In questo
ambito possiamo vedere anche il tamburo, ricavato dalle pelli degli
animali uccisi; bisogna bagnare, tirare e poi sfregare e percuotere la
pelle per farla suonare, bisogna torturare l’animale per farne uscire la
voce.
Ogni strumento musicale occupa il centro del mondo;
sacrificando le proprie forze e l’individualità suonando lo strumento,
l’uomo rende un “servigio agli dèi” con l’azione delle sue mani e del
suo soffio. Lo strumento serve al sacrificio del dio; il canto è il
sacrificio dell’uomo22.
La creazione, come pure la conservazione dell’universo, sono
funzione di un moto continuo la cui origine è una vibrazione acustica:
questa è l’ unità vibratoria del mondo.
22
E.Zolla, “Uscita dal mondo”, ed.Adelphi, Milano 1992
63
Ciò che si realizza in modo mistico nel canto, viene
rappresentato in maniera concreta dai riti, che ne sono l’espressione
materiale. La melodia gli dà sostanza, i riti gli conferiscono un aspetto
concreto; la musica e i riti manifestano la natura del cielo e della terra,
fanno scendere gli spiriti dall’alto e uscire gli spiriti dal basso e
realizzano la sostanza di tutti gli esseri. La musica unifica immagine e
suono, il rito li differenzia. La musica, resa visibile dai riti, deve
creare armonia tra cielo e terra.
Quando la magia è soppiantata dalla religione, e il sacrificio al dio
diventa sacrificio del dio, la musica è in primo luogo un offerta e un
omaggio. Così i riti diventano sempre più indipendenti dalla musica,
che spesso non fa altro che “accompagnare” la pantomima.
La magia si serve della musica per stabilire un buono equilibrio fra il
cielo e la terra ed opera soprattutto per sinfonia. I maghi considerano
la vita terrestre una parte complementare dell’armonia universale;
considerano la cortesia la sola forma ammissibile e feconda di ogni
genere di relazioni.
La canzone-offerta è accompagnata da un’offerta materiale.
Gli uomini sono necessari agli dei, i quali sono caverne di risonanza
che hanno bisogno di cantare e sentir cantare. Se gli uomini non si
occupano di loro, gli spiriti possono diventare pericolosi; se invece li
nutrono, diventano grandi protettori. Gli spiriti malvagi sono anime
64
refrattarie al sacrificio. Li si scaccio con il suono del sacrificio o con
l’assoluto silenzio23.
23
E.Zolla, “Uscita dal mondo”, ed.Adelphi, Milano 1992
65
Il Sacrificio nei Riti
Nella
creazione,
l’Energia fluente dà vita
alla
materia;
l’Energia
fluente è il suono
e
l’azione per cui la realtà
sta in piedi è un sacrificio
continuo. La realtà risulta
quindi instabile, è tale
perché tutto vibra (“panta
rei”). Nel mondo antico,
quindi, la razionalità delle
Figura 15 Coperchio del sarcofago di Pacal,
illustra il viaggio del suo spirito nel regno
dei morti. La figura centrale è adagiata
davanti e sotto l'albero sacro che, secondo i
Maya, collegala terra al mondo sotterraneo
e ai cieli. Tutt'intorno si scorgono immagini
di draghi e simboli degli antenati
cose
sta
movimento
nel
loro
e
nella
contemplazione di questo.
Così tutto si riassume nella
gestione dell’instabilità della realtà, cioè nell’equilibrare l’ascesa e la
discesa, il dare e avere; è qui che troviamo i riti. I riti avvengono nei
punti nodali, nei punti morti, in cui le realtà opposte sono equivalenti
e c’è la necessità di “forzare la porta”, creare uno squilibrio affinché
l’energia continui a fluire, la realtà continui ad esistere.
I morti sono canti, perciò nei riti funebri è dedicato gran spazio
alla musica.
66
Un’anima si prepara a percorrere la via del mondo acustico, si sforza a
sbarazzarsi del corpo e può riuscirci solo grazie al sacrificio sonoro:
l’anima ha bisogno dell’aiuto dei vivi.
La sostanza sonora del defunto viene spesso identificata col nome,
che, quindi, viene ripetuto continuamente.
E’ indispensabile rimanere in buoni rapporti con i morti poiché sono
gli intermediari fra gli dèi e gli uomini24.
Durante i riti stagionali e di fecondità, si narra che la luna
interroga le anime e rinvii sulla terra solo quelle che non sanno
rispondere correttamente. Le anime destinate alla reincarnazione
cadono dall’albero della morte (luna nera) e cantano quando la
pioggia feconda la terra e le donne si sentono incinte. Per questo le
cerimonie di fecondità si svolgono spesso dinanzi alle tombe.
Gli dèi sono canti e le anime che si liberano cavalcano i loro canti, i
quali, materializzandosi, penetrano nella pioggia e nel seme degli
uomini per fecondare la terra e le donne25.
La malattia o il peccato accrescono la materia inerte dell’uomo
e riducono la sostanza sonora.
Nei riti di guarigione quindi, la musicoterapia cerca di ricondurre la
materia alla sua origine sonora e luminosa e restituire all’uomo la sua
originaria purezza acustica.
24
25
E.Zolla, “Uscita dal mondo”, ed.Adelphi, Milano 1992
Ibidem
67
Ogni rito curativo è un sacrificio espiatorio che depura al tempo
stesso il malato e il demone della malattia. La spirito si farà
sacrificare confessando il proprio nome.
Ogni malato è un mezzo morto. Spesso la guarigione può essere
ottenuta solo quando il “medico” si decide ad offrire il proprio corpo
alla malattia; bisogna che lo sciamano mangi il demone in modo
rituale26.
Nei riti il simbolo generale della musica è il tamburo o
l’albero;indica la relazione e l’armonia fra il cielo e la terra.
Per mezzo del canto l’uomo corregge se stesso e manifesta la propria
virtù.
La preoccupazione di bellezza e di equilibrio del suono comincia a
manifestarsi soltanto alle soglie della musica artistica.
Finché dominano le grandi civiltà, che possiedono un più ricco
assortimento di strumenti, ripartiti in diversi gruppi etnici, la voce è
l’uomo e l’uomo è la misura di tutto.
Trasformato in risuonatore cosmico, l’uomo si erge come l’albero
parlante. La forza sonora andrà a stabilirsi nella sua pelle e nel suo
scheletro, quando il sacrificio sarà stato totale. Le sue ossa saranno
preziosi amuleti nelle mani dei figli27.
26
27
E.Zolla, “Uscita dal mondo”, ed.Adelphi, Milano 1992
M.Schneider, “La musica primitiva”, ed.Adelphi, Milano 1992
68
Il Sacrificio nel diritto
Figura 16 Amuleto a forma di occhio "ugiat"
“All’origine del diritto comune sono le consuetudini magiche
germaniche28”.
Infatti se si analizza ogni ordinamento, esso svela tratti primordiali
che rinviano ad un diritto sacro fondato su un rapporto con il divino e
su una simbologia astronomica di gesti solenni, di potere, che
sanciscono condizioni giuridiche indicando situazioni del Sole nello
zodiaco. Da ciò deriva che esistono delle certezze universali, criteri di
bene e male, che si trovano in forma chiara e distinta nei primordi, in
forma confusa e frantumata in epoche posteriori.
C’è uno stato ottimo per l’uomo, quando egli si sente sostenuto
da una sottile energia; tutto per lui procede secondo destino, fende il
tempo, legato ad esatti riti, ai morti ed ai vivi e trabocca di gratitudine.
La salute diventa bellezza e la pienezza,perfezione:questo concetto,
28
E.Zolla, “Uscita dal mondo”, ed.Adelphi, Milano 1992
69
nel greco ellenistico è in un certo senso la giustizia. Spesso si designa
come gloria, fama, ardore, forza o ispirazione e in alcune culture è
magnificenza, magia29.
La diritta via, la direzione incrollabile è ciò che rende ogni essere ciò
che è per essenza. Ma questa giustizia come conformità al destino può
venir meno, la sua diritta via può essere smarrita.
In quest’ambito scopriamo che “venenum” è tanto il fascino maligno
quanto la corruzione degli umori corporei, per tanto, il veneficio va
represso: nascono insieme la medicina e il diritto.
Così il medico e il giudice furono una sola persona: lo
sciamano. Lo sciamano è l’esperto in riti di cure, istruito da visioni
nelle quali individuava ricette e responsi, dunque in grado di guarire e
restaurare la giustizia.
Lo stato ottimo proviene dal giusto contatto che si mantiene con la sua
fonte, fonte d’ogni vita e d’ogni morte: il sacro. Punto di trapasso da
esso al nostro mondo è la santità.
Il sacro si paragonerà a un leone, un toro, un bufalo, un serpente o un
drago mai addomesticabile, sempre temibile, da accostare con
vigilanza.
Nel sacro Morte e Vita s’invertono e confondono; lo stesso
accade per il Bene e il Male, poiché esso è il cuore, il centro delle
direzioni opposte. Essendo fonte di Vita e di Morte, chiunque voglia
la vita dovrà attingervi, e unico modo di farlo è ricordare che esso è
29
E.Zolla, “Uscita dal mondo”, ed.Adelphi, Milano 1992
70
anche fonte di morte, perciò se ne deve prevenire la natura letale
consegnandogli, consacrandogli, sacrificandogli appunto qualcosa di
noi o di nostro30.
Se ad un essere sacro dedichiamo, doniamo qualcosa, dobbiamo
escluderla dalla realtà visibile, profana, spedendola (missa est=è stata
spedita) nell’altro mondo, al di là dalla soglia della morte e della
nascita.
Quindi sacrificando ci si santifica.
Sacrificare non è tanto fare un dono, quanto conoscere che non ci sia
niente che non sia del Sacro. Sacrificio è la tragedia
primordiale, in cui l’essere più prezioso e il più immacolato è ridato
alla divinità31.
Tragedia è l’ode del capro (dal greco “tragos”), capitale amatissimo
del montanaro, dal quale proviene o vita o morte; si presta quindi ad
essere l’incarnazione della sacralità assoluta.
Dirà Aristotele: la tragedia è la fonte di purificazione mercè l’errore e
la pietà che suscita. Chi sacrifica l’animale, l’eroe prediletto, rimane
tutto scosso e sconvolto, trema d’orrore e pietà. L’Ara è la pietra di
fondamento, il centro e l’origine da cui emana il mondo32.
Chi ufficia il sacrificio è il sacerdote, “colui che dà il sacro” e
compie l’Azione per eccellenza (ac-tio da ac,spingere, donde agon, da
cui deriva agonium, sacrificio e agonia33). Il sacerdote spinge (mittit)
30
E.Zolla, “Uscita dal mondo”, ed.Adelphi, Milano 1992
M.Schneider, “La musica primitiva”, ed.Adelphi, Milano 1992
32
E.Zolla, “Uscita dal mondo”, ed.Adelphi, Milano 1992
33
Ibidem
31
71
nell’al di là; il suo è un atto orrendo. E invece di contaminare, grazie
alla forza dell’intenzione, si ribalta nel contrario e da esso provengono
santità e giustizia a chi ne partecipi.
E’ importante e pericoloso assimilare la sostanza
sacrificante della vittima sacra; se ne beveva il sangue e, dopo
essersene aspersi, se ne mangiava la carne. In questo rito si celava il
rischio più grande, poiché l’impuro rimaneva dannato: questo è ciò
che si definisce primitivo processo alle più intime intenzioni34 (questo
comprende il giuramento, la scommessa, la prova d’innocenza).
Dall’azione sacrificale, così articolata e ricca di eventi, provengono
teatro, arte e ogni atto giuridico.
Ogni rito civile origina dal rito sacro. Il sacrificio, essendo il
contatto con l’Altro per eccellenza, include il modello di ogni rapporto
con gli altri.
34
E.Zolla, “Uscita dal mondo”, ed.Adelphi, Milano 1992
72
Il Sacrificio: atto violento e sacro
Figura 17 Sacrificio del toro davanti al sarcofago. Pittura a
tempera su intonaco di fango e paglia
Il sacrificio, essendo il passaggio dall’ambito comune a quello
sacro, è una consacrazione.
Esso ha un potere irradiante in quanto è un atto reliogioso che
“modifica lo stato della persona morale che lo compie e lo stato di
certi oggetti di cui la persona si interessa35.”
Il sacrificio è un atto sacro che può essere compiuto solo in ambito
sacro e con la mediazione di agenti essenzialmente sacri; prevede la
fede nella divinità ed è necessario il rito con una lunga serie di
cerimonie.
35
Hubert-Mauss, “Saggio sul sacrificio”
73
Sacro è tutto quel che domina l’uomo con tanta maggior sicurezza,
quanto più l’uomo si ritiene capace di dominarlo. E’ una lotta al
dominio, al potere, alla supremazia, e come in ogni lotta, anche nel
sacro, la violenza è il cuore e l’anima segreta36.
La violenza è definita irrazionale, ha sempre bisogno di una vittima, è
un flussso di energia che si sposta da un essere ad un altro. La società
cerca di proteggere, a tutti i costi, i suoi membri dalla violenza, e per
farlo cerca di sviarla in direzione di una vittima relativamente
indifferente, una vittima “sacrificabile”. Il sacrificio, così, è fondato
sullo spostamento della violenza dall’oggetto da esso originariamente
preso di mira, ad un altro.
In quest’ambito è importante la continuità perfetta37 della cerimonia,
affinchè le forze in gioco non si disperdano, e tutta l’energia si
concentri al centro, verso la vittima, che sarà la porta tra i due mondi.
A questo livello agiscono i simboli: essi creano il collegamento, sono
il ponte tra la terra ed il cielo.
Non si può fare a meno della violenza per porre fine alla violenza, ma
non si può nemmeno pensare che possa esistere una violenza che
distrugga la violenza stessa; l’unico modo è credere (quindi fare un
atto di fede) che esista una violenza legittima ed una illegittima.
Questo è l’unico modo per distinguere un sacrificio da un assassinio38.
In questo modo, la vittima, concentra in sé la vioenza e la sua stessa
36
Renè Girard, “La violenza e il sacro”, ed.Adelphi
Hubert-Mauss, “Saggio sul sacrificio”
38
Renè Girard, “La violenza e il sacro”, ed.Adelphi
37
74
fine, la vita e la morte, è il centro di attrazione e rpulsione, è arrivo e
superamento, è l’incarnazione del semitono, ed è tanto angoscioso,
doloroso e diabolico quanto il tritono.
“Ora la violenza presenta agli uomini un volto terribile, e
moltiplica follemente le sue devastazioni; ora, invece, si mostra in una
luce pacificatrice, diffonde intorno a sé i benefici del sacrificio39.”
Far violenza al violento significa lasciarsi contaminare dalla sua stessa
violenza, per questo, nel sacrificio, il “principio di colpevolezza” non
viene rispettato. Per evitare l’impurità rituale, che deriva dalla
violenza, è necessario che almeno la vittima sia pura. Il sacrificio ha la
funzione di “purificare” la violenza, ossia di “ingannarla” e di
dissiparla su vittime che non rischiano di essere vendicate
(misconoscimento).
Ma il segreto della sua efficacia gli sfugge, e forse e proprio in
questo mistero risiede la divinità, che chiede inesorabilmente i
sacrifici, condizione della sua stessa esistenza, poiché forniscono la
materia immortale di cui vivono gli dèi.
Quindi il sacrificio è il creatore di tutte le cose, perché in esso
sta il principio di ogni vita40.
39
40
Renè Girard, “La violenza e il sacro”, ed.Adelphi
Hubert-Mauss, “Saggio sul sacrificio”
75
CAPITOLO IV
MESSA ROSSA
Per la orribile cena
Tra lo splendore accecante dell’oro
Alla luce tremenda delle candele
S’avvicina all’altare – Pierrot!
La mano,consacrata a dio
Lacera le vesti sacerdotali
Per la orribile cena
Tra lo splendore accecante dell’oro
Con atto benedicente
Mostra alle anime timorose
La rossa ostia gocciolante
Il suo cuore – tra le dita insanguinate
Per la orribile cena!
Arnold Schoemberg
76
Il Sacrificio: cuore del pensiero indiano41
Il Veda (1400 a.C.),nel senso lato del termine, è definito, dalla
tradizione indiana, come l’insieme dei “mantra” e dei “brahmana”. I
“mantra” sono strofe che costituiscono gli Inni (sukta) oppure gli
elementi, in prosa o in versi, delle formule sacrificali chiamate
“yajus”. Per il sacrificio, ciò che conta, è la strofa isolata e non l’inno
nella sua totalità.
Il Veda è parte costitutiva del Rito, allo stesso titolo della materia
oblatoria o della vittima: è nel sacrificio e non si presenta come un
discorso sul sacrificio.Gli Inni dicono che tutto il pensiero brahminico
è organizzato intorno al tema del sacrificio.
Sacrificare vuol dire riprodurre il sacrificio iniziale del
Purusha, che, con l’oblazione creatrice di se stesso, ha stabilito, nel
medesimo tempo, il modello e le condizioni necessarie al compimento
del sacrificio offerto agli uomini. Sacrificare è anche porre rimedio a
questo primo sacrificio: i riti eseguiti dagli dèi e, dopo di loro,dagli
uomini (in particolare la costruzione dell’altare di fuoco), hanno il fine
di ricostruire il corpo di Purusha-Prajapati che si è disperso nella sua
creazione. Capire il sacrificio è percepire il legame fra il sacrificio hic
et nunc e ciò a cui esso rimanda e che è la sua ragione d’essere.
41
Malamoud Charles, “Cuocere il mondo”, ed.Adelphi, Milano 1994
77
Il sacrificio vedico appare in primo luogo come un lavoro; il
lavoro sfocia in un’opera, ma è principalmente un trasferimento di
materia ed energia, e soprattutto è sforzo e fatica.
Ma se ci si sforza di descrivere il sacrificio , anziché definirlo, si
constata che esso è principalmente una cucina: una preparazione che
consiste talvolta nella combinazione e sempre nella cottura di
sostanze commestibili. E quando l’operazione di cottura non ha luogo
nel corso del sacrificio stesso, è perché le sostanze manipolate sono
state cottte in precedenza.
E’ interessante parlare del rito della costruzione dell’altare del
fuoco, o “impilaggio del fuoco”, sacrificio del quale i mattoni sono la
materia oblatoria e Agni, il fuoco, è il destinatario.
Conviene leggere il sacrificio come la serie degli stratagemmi grazie
ai quali il sacrificante inizia con il darsi, si dà in parte, poi riprende se
stesso, facendo scivolare al suo posto dei sostituti, animali o vegetali;
riprende se stesso, non tanto per salvarsi, ma per continuare a
sacrificare.
Nel caso di Prajapati, questi sostituti non esistono: il sacrificante può
soltanto pagare di persona, fino in fondo. “Prajapati creò gli esseri
viventi: con i soffi di inspirazione ed espirazione emise gli dèi, con i
soffi inferiori, i mortali, al di sopra dei quali creò la Morte per
divorarli.” Alla fine Prajapati si ritirò svuotato e disse al fuoco, Agni:
ricostruscimi. Sia, rispose Agni, ma a condizione che io possa entrare
in lui quando sarà completo. Per questo,una volta ricostruito, Prajapati
78
è Agni. Egli è nello stesso tempo il padre di Agni e degli dei perché li
ha creati, e il loro figlio perché è stato da loro ricreato.
Prajapati è ricomposto quando l’edificio di tutti i mattoni
impilati, gli uni sugli altri, è completo. Questo edificio costituisce
l’altare del fuoco. L’altare è costituito da cinque strati di mattoni,
separati da quattro strati di terriccio. Edificando l’altare di mattoni, si
stringono le parti mortali tra quelle immortali che le proteggono: così
si rende immortale il tutto.
Secondo alcuni testi Prajapati è l’anno. Le cinque parti del corpo che
si erano sparpagliate durante la creazione sono le cinque stagioni. I
cinque strati di mattoni ricompongono le cinque stagioni. Ma Prajapati
è anche lo spazio: i cinque strati sono i cinque punti cardinali: est, sud,
ovest, nord e zenit.
Il Purushasukta42, inno cosmico del Rig Veda, X, 90, in cui
Purusha si autosacrifica per creare il mondo con ciascuna parte del suo
“corpo disarticolato”,recita così:
“Purusha ha mille teste; mille occhi e mille piedi. Copre l’intera terra
e la oltrepassa ancora di dieci dita”.
“Purusha altri non è che l’Universo, il mondo passato e il mondo
futuro. Egli è il padrone del regno immortale, perché va oltre il
nutrimento,[…]”.
42
Pierre Soliè, “Il sacrificio”, ed.ECIG, Genova 1997
79
“Da lui è nata l’energia creatrice [Viraj] dall’energia creatrice è nato
l’uomo. Una volta nato, egli si è disteso al di là della Terra, tanto
indietro che avanti”.
“Quando gli dèi presentarono il sacrificio con Purusha come sostanza
oblatoria, la primavera fu realizzata come burro [rituale], l’estate
come fiammifero per appiccare il fuoco e l’autunno come offerta”.
“Sul rogo [sacro] si compiva l’aspersione di Purusha, che risaliva alle
origini. Per mezzo di lui gli dèi compirono il sacrificio come i Santi e i
Veggenti”.
“Da quel sacrificio offerto completamente fu estratto il grasso
maculato. Con esso furono creati gli animali che sono nell’aria, quelli
del deserto e quelli della città”.
“Da quel sacrificio offerto nacquero le strofe e le melodie. Nacquero
anche i metri e la formula”.
“Da esso nacquero i cavalli e tutti gli animali a doppio ordine di denti.
Nacquero anche i bovini, le capre e le pecore”.[…]
“La bocca divenne i brahmani, le braccia diventarono i guerrieri, le
cosce gli artigiani e i piedi i servitori”.
“La luna è nata dalla sua coscienza, dal suo sguardo è nato il sole,
dalla bocca Indra e Agni, dal respiro è nato il vento”.
“Il mondo aereo uscì dal suo ombelico, il cielo si sviluppò dalla testa,
dai piedi la terra, dall’orecchio gli orienti: così furono regolati i
mondi”.
80
Prajapati quando è disarticolato e svotato desidera Agni.
Questi si schermisce, fugge e si nasconde negli animali. Prajapati li
vede e riconosce Agni in essi. Dice fra sé e sé: gli occhi di questi
animali brillano come brilla Agni quando è acceso; il loro fiato sale,
come sale il fumo di Agni; Agni consuma e gli animali divorano; e
come Agni lascia cadere le ceneri di ciò che ha consumato, così gli
animali espellono escrementi che cadono a terra. Questi animali che
per così tanti aspetti assomigliano ad Agni, sono in verità Agni.
Per propiziare Agni gli sacrifica questi animali, così come l’altare è
un’offerta di fuoco al fuoco.
La strofa vedica (brhati) è costituita da trentasei piedi, divisa in
otto, più otto, più dodici,più otto. I mondi celesti possiedono la stessa
natura del brhati e dividendo in trentesei parti il corpo della vittima, ci
si fonda sui mondi celesti, si fa della vittima un essere celeste. Il
numero delle parti della vittima è lo stesso che definisce un metro
vedico, cioè un tutto articolato, un dato la cui unità prestabilita è
costituita da elementi nello stesso tempo discontinui e solidali.
Situazione simmetrica e contraria a quella descritta da Pindaro: il
poeta taglia la materia verbale come il sacrificatore la carne
dell’animale; le articolazioni del verso sono l’immagine delle membra
del corpo e le cesure una trasposizione delle incisioni, ecc; il poema
può essere un’offerta perché un’equivalente della vittima. In India, la
81
vittima può essere un’offerta perché il coltello di colui che taglia e
pezzi ne fa l’equivalente di un poema.
E torna in mente una poesia di A. Schoemberg, “Die Kreuze43” (Le
Croci):
Sante croci sono i versi
Su cui silenziosamente dissanguano i poeti
Colpiti alla cieca dallo svolazzante
Stormo spettrale di avvoltoi!
Nei corpi sguazzarono spade
Sfarzosamente nel sangue scarlatto!
Sante croci sono i versi
Su cui silenziosamente dissanguano i poeti
Morto il capo – rizzati i capelli –
Lontano, cessano i rumori del popolo.
Lentamente scende il sole,
Una corona reale rossa.
Sante croci sono i versi!
La preoccupazione di ricostruire un tutto mediante le parti, che
ci si sforza tuttavia di isolare, si manifesta a proposito dell’intero
sacrificio, che è concepito come una successione di atti e momenti
distinti, di cui però bisogna assicurarsi che formino un “continuum”.
Passiamo, come si può vedere, a un livello più astratto. Non si tratta di
esseri viventi a cui ci si sforza di dar vita dopo averli uccisi e fatti a
pezzi. Si tratta di avvenimenti parziali o individuali, destinati ad
armonizzarsi fra loro, a produrre i loro effetti e a costruire insieme,
alla fine, la totalità che è il sacrificio.
43
“La musica moderna” vol.IV, Fratelli fabbri Editori, Milano 1967
82
Esaminando il sacrificio del Soma, ciò che caratterizza
l’offerta è il fatto di essere una combinazione di silenzio e parola;
dapprima si accumula silenzio, “trattenendo la parola”; poi uno degli
officianti pronuncia l’esclamazione “hin!” e si “lascia andare la
parola”, cioè ci si mette a pronunciare “mantra” a bassa voce, ad alta
voce o a voce molto alta. Grazie a questo procedimento, la parola si
raccoglie per il scrificante, invece di disperdersi. Il Silenzio è qualcosa
di diverso dalla semplice assenza di parola: una forza positiva.
La Parola che diventa strofa è il veicolo verbale dell’oblazione; così l’
“atman” del sacrificio ne penetra ogni parte.
Occorre capire che il sacrificio, incastro e combinazione di
atti, agenti e sostanze, che noi moderni definiamo come un dispositivo
o un “meccanismo”, è assimilato, in questi testi, ad un organismo
vivente.
Realizzare il sacrificio è dispiegarlo: dargli tutta la sua estensione
preservandone la continuità. Ma è allo stesso tempo ucciderlo: non
soltanto perché la vita del sacrificio si confonde con la vita della
vittima o della sostanza oblatoria vegetale (o lattea), ma anche perché
la successione degli atti parziali, la frammentazione nel tempo e nello
spazio del “corpus” sacrificale è l’uccisione del sacrficio come unità
simultanea.
83
Nella cultura indù, anche la realizzazione delle immagini sacre
è un rito.
Dopo che l’immagine è stata modellata (le misure di ogni parte del
corpo sono fissate da prescrizioni molto rigorose), si compie l’
”apertura degli occhi”, rito che ha l’effetto di animare la statua e
infonderle la vita stessa di un dio.
Sia essa inamovibile o trasportabile, l’immagine è necessariamente
immobolizzata per sempre in un’unica postura. I teorici e gli artisti
indù non si rassegnano a questa immobilità forzata. Insegnano che per
diventare scultori o pittori, bisogna prima passare per l’apprendistato
del canto, poi della musica strumentale, infine famigliarizzare con le
tecniche della danza: a quanto sembra, questo è un modo per dire che
tutte le arti hanno in comune il movimento e il ritmo. Messosi
all’opera, il pittore o lo scultore si sforza, fissando un’immagine, di
rendere il movimento e nello stesso tempo di suggerire l’ubiquità e la
molteplicità degli aspetti del dio (data l’immagine di più coppie di
braccia e talvolta di molte teste). La costruzione avviene a poco a
poco recitando ad alta voce o in silenzio, nella sequenza corretta, le
formule e preghiere che corrispondono alle diverse parti del corpo
divino e hanno il potere di farle apparire.
Attraverso i soffi della preghiera, il corpo del dio rimane preso nel
corpo del devoto.
84
Il corpo materiale di Agni è costituito dai diversi fuochi accesi
nell’area sacrificale, e agni è anche il nome comune che significa
“fuoco”; il corpo materiale del dio Soma è il vegetale dello stesso
nome, produce una bevanda inebriante e forse allucinogena; il corpo
materiale di Prajapati, è da una parte la somma di tutti gli atti,di tutte
le parole e di tutte le sostanze che costituiscono il sacrificio, e
dall’altra, in modo più limitato e concreto, la sovrapposizione dei
cinque strati di mattoni.
Le tre divinità creano un tutt’uno; ciascuna delle diverse parti del
corpo di questo Prajapati-Agni-Soma è la sede di una divinità del
pantheon, ma anche – e questo è fondmentale – di un elemento del
Veda, e più precisamente di uno degli schemi metrici impiegati nella
poesia. Esiste, infatti, un simbolismo degli schemi metrici
estremamente elaborato e invocato con grande frequenza. Gli autori di
alcuni testi hanno persino individuato, nel corpo di mattoni, il luogo in
cui s’insediano i versi irregolari, resi imperfetti da una sillaba in più o
in meno.
Il corpo del dio è composito; è costruito con i riti, consiste in
riti; le parole del Veda e i ritmi della poesia vedica sono anch’essi la
sostanza del corpo divino.
La mente oscilla costantemente fra la rappresentazione degli
oggetti che nell’area scrificale costituiscono il corpo materiale degli
dèi e le forme mutevoli del loro corpo divino, delineato solo dalle
85
parole del testo. Le parole vediche sono quanto di più consistente, di
più concreto e di più individualizzato ci sia nel corpo degli dèi. “Il
corpo più caro” di Agni consiste negli schemi metrici della poesia
sacra. Gli dèi sono “nel supremo firmamento, (cioè) nella sillaba
indistruttibile della strofa”.
“E’ il sacrificio che dispiegandosi diviene continuamente queste
divinità”.
Gli dèi, di fatto, esistono soltanto in funzione del sacrificio, all’interno
del sacrificio. La divinità, rispetto al sacrificio, è un fattore
subordinato, una specie di mezzo: affinchè il sacrificio sia completo,
occorre che vi sia anche una divinità, un destinatario dell’oblazione.
Ma non è la divinità a produrre i risultati del sacrificio; è una forza
che promana dal sacrificio stesso.
Ciò che conta, in un dio, è il nome: la formula di offerta deve
includere il nome esatto della divinità; il sacrificio sarebbe inoperante
se la divinità fosse invocata con un nome che, pur essendo il suo, non
fosse quello prescritto dal Veda in tale precisa circostanza.
E’ il sacrificio a conferire agli dèi una forma e la parola vedica
a dar loro realtà.
86
APPENDICE
87
Lo sconforto del Risorto
“Basta dare uno sguardo a questo affresco per sentire tutto lo
sconforto44”.
E’ la “Resurrezione” di Piero della Francesca.
L’opera è caratterizzata dall’estremo ordine della composizione. Tutta
la costruzione è volta ad esaltare la figura del Risorto; l’autore
enfatizza lo stacco tra Cristo e il “mondo di quaggiù”. Non appare
alcun segno di morte nel paesaggio, ma nemmeno qualcosa che evochi
“trionfali o primaverili resurrezioni”.
La figura sta; Egli appare eretto, ben piantato, con il tronco
irremovibile, giusto in ogni fibra del suo corpo, costruito secondo
perfette proporzioni, divine norme, aurei numeri.
Egli è Logos, proporzione e rapporto, perfezione del dire,
comunicazione inequivocabile.
Verbum è Logos.
Questa figura riesce a dire conflitto, dissidio, ricerca, nell’ordine del
Logos, senza patetismi, perché è misura, misura del Verbum.
Cristo è l’incarnazione del Verbum e del Logos.
Il suo sguardo è penetrante, ha la forza di interrogare. Nei suoi tratti si
esprime la più calma misura di libertà che mai sia stata posta in
immagine: di nessun destino questa figura può esser schiava.
44
Massimo Caciari, “Il Risorto di San Sepolcro”, da “Etruria oggi” anno XVI, numero 49,
dicembre 1998
88
Le sue labbra serrate trasmettono genialmente una profonda
malinconia.
La luce appare nelle tenebre.
La luce è nelle tenebre che si manifesta. Le tenebre non possono
riceverne la rivelazione, non hanno potere sul suo principio. Ma
neppure s’illuminano alla sua venuta, l’accolgono in sé, ne capiscono
la vita. Mai le tenebre potranno cancellare questa figura che risorge;
ma mai sapranno corrispondere alla misura della sua libertà. Mai
potranno annullare la verità; ma mai potranno comprenderla in sé.
Solo il Cristo sofferente; solo il Cristo Risorto.
I soldati simboleggiano quasi l’ignoranza e impotenza delle tenebre
che non “comprehendono” la luce: dormienti, infatui, incapaci di
proferire verbum.
Il Figlio è apparso e ora ri-appare, ribadisce l’assoluta verità
della sua venuta. Riappare al mondo dopo la morte, a testimonianza
che il nemico è vincibile. Ma nessuno trova ad accoglierlo e
“comprehenderlo”.
Mai il Verbum è stato predicato con più forza che da questa
figura silenziosa e sola.
In Lui s’incarnano contemporaneamente la sofferenza della
Croce e la gloria della Resurrezione; quindi Croce e Resurrezione non
possono venir di fatto disgiunte. La Resurrezione compie il senso della
Croce, rende “perfetto” quel atto di dono che la Croce rappresenta.
La tragedia è oltre lo sperare e il disperare.
89
Questa figura si è liberamente decisa per custodire aperto lo spaziosi
questa interrogazione, e dunque si è decisa d’esser per l’altro anche se
l’altro mai dovesse venire.
In Lui è resa la sospensione dell’essere.
Egli custodisce il passaggio tra la Vita e la Morte; attraversandolo si è
soffermato sulla soglia ed è divenuto Egli stesso la porta. In Lui
s’incarna un passaggio sempre aperto, una via sempre percorribile.
E’ il ritorno della Croce, evoca la stessa angoscia, la stessa
malinconia, lo stesso scoramento.
Si mette di nuovo in scena il semitono con la sua tensione; è lo
stesso dolore. E’ la raffigurazione del canto triste, tombale, in plagale.
E’ la più alta espressione figurativa del “Resurrexi” gregoriano. Nel
canto, risalta il semitono; esso è sempre discendente, cioè non si
risolve mai sul “fa”, ma ricade sempre sul “mi”, simbolo del bue
sacrificale, vinto nella lotta, sottomesso, gettato giù nell’abisso, nelle
tenebre.
Questo canto esprime la stessa atmosfera dell’affresco: non si esulta,
non si gioisce ma si rimane lì, inquieti. Nemmeno l’ “Alleluia”, che
dovrebbe essere l’inno di trionfo per la vittoria sulla Morte, manifesta
la gloria dell’ascesa, ma continua ad invocare il semitono e la sua
discesa.
Chi conosce la melodia del canto gregoriano “Resurrexi” non rimane
sconcertato davanti allo sguardo attonito di questo Cristo che , mesto,
per nulla trionfante, annuncia: “Sono risorto”. L’atmosfera (o sarebbe
90
meglio dire, la Stimmung) è la stessa: si percepisce la sospensione
dell’essere, Egli indugia sulla sogli e questo lo fa apparire
interrogativo.
Qui il Risorto evoca il Crocifisso: i due sono assimilati nella
sua immagine.
Croce e Resurrezione sono l’entrata e l’uscita attraverso la stessa
porta, sono due argini del fiume su cui poggia lo stesso ponte; non
hanno senso se non in funzione l’una dell’altra, non quindi strano
applicare gli attributi dell’una all’altra.
La Resurrezione è tanto sconcertante quanto la Croce; la Croce dovrà
quindi essere tanto trionfale quanto la Resurrezione.
Cosa succede quando vicino e lontano, discesa e salita si
confondono? Tutti i punti si accozzano, non sembrano più i rapporti
che li hanno definiti e ne hanno statuito la posizione prossima e
remota, calante e ascendente: entrano in un vortice e di conseguenza
noi si cessa di essere rappresentati dal soggetto che sta di fronte alla
natura, non siamo più contrapposti all’oggettività. Questo vortice
travolge tutto il nostro mondo abituale, strappa le forme alle quali
siamo in qualche misura abituati o conformati; c’è da restare affranti,
tale è la rovina inaudita di tutto il mondo e di ogni sua premessa.
91
Figura 18 "Resurrezione" - Piero della Francesca
92
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93
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1967
“DELI”, M. Cortelazzo – P.Zolli, ed. Zanichelli, Milano 1999
94
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