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Figure e simboli del sacrificio
1 INDICE INDICE........................................................................................................... 2 PREFAZIONE ................................................................................................ 3 INTRODUZIONE .......................................................................................... 6 CAPITOLO I .................................................................................................. 9 ‘Sym-ballein’ ............................................................................................ 10 Simbolo e Significato................................................................................ 15 Simbolo e Rito .......................................................................................... 18 Simbolo e Mito ......................................................................................... 20 Simbolo e Ritmo ....................................................................................... 23 CAPITOLO II ............................................................................................... 25 Origine del simbolismo sonoro ................................................................. 26 Anima, corpo e totemismo musicale......................................................... 29 Ritmo: totalità dinamica............................................................................ 34 Unità dei sensi nel Ritmo-simbolo............................................................ 38 Morte del ritmo-simbolo e l’inizio del feticcio ......................................... 41 Semitono e Tritono ................................................................................... 44 I chiostri catalani....................................................................................... 51 CAPITOLO III.............................................................................................. 56 Creazione come atto sonoro...................................................................... 57 La voce del Sacrificio ............................................................................... 61 Il Sacrificio nei Riti................................................................................... 66 Il Sacrificio nel diritto............................................................................... 69 Il Sacrificio: atto violento e sacro ............................................................. 73 CAPITOLO IV ............................................................................................. 76 Il Sacrificio: cuore del pensiero indiano ................................................... 77 APPENDICE ................................................................................................ 87 Lo sconforto del Risorto ........................................................................... 88 BIBLIOGRAFIA .......................................................................................... 93 2 PREFAZIONE Ho la sensazione di esistere solo perché mi ricordo. La memoria sembra essere il cuore nascosto della mia coscienza. La mia vita mi sembra che inizia intorno ai cinque - sei anni; quello che mi è rimasto degli anni precedenti è solo un sogno dai contorni evanescenti, con poche immagini fuggevoli e volti mai ben definiti. L’infanzia che mi appare più chiara, invece, è quella che inizia con gli anni della scuola elementare. Un periodo molto stimolante, pieno di giochi divertenti, bambini da scoprire e tanta gioia e serenità. Credo di essere stata molto, molto fortunata. Da subito sono stata circondata da tanto Amore, un Amore che mi è entrato dentro e mi ha posseduta per diversi anni. Tutto è paradisiaco per una bambina così ben “custodita”, finché un giorno non vede passare la Morte. Ricordo molto bene la sensazione di sgretolamento provata quando ho capito che mi era stata sottratta quella persona così cara. A otto anni ti considerano ancora piccola, ma tu soffri come chiunque altro quando ti rendi conto che ti viene rubata per sempre la possibilità di dimostrargli ancora quanto gli vuoi bene. Lo sogni la notte, e spesso piangi in silenzio, di 3 nascosto, al ricordo di lui. Hai conosciuto la realtà della Morte; hai imparato che lentamente porta via tutti, te incluso, ma questo non ti terrorizza tanto quanto pensare che potrebbe portare via tutti tranne te. Questa sì che sarebbe una maledizione. Passa il tempo e la Morte smette di farmi paura. Imparo a considerarla come un elemento naturale e questo me la fa assomigliare alla notte profonda o all’abisso del mare: la contemplo ormai serenamente. Ma ben presto arriva un’altra realtà a sconvolgermi: la Sofferenza. È questa la vera Bestia. È dolore e disperazione e, quando ti prende, ti confonde i sensi, ti porta via da tutto ciò che ami, ti allontana anche da te stesso, tanto che non riesci più nemmeno a sentire le lacrime che scivolano lentamente sulle tue guance. Il dolore ha in sé una profonda violenza, che si annida silenziosamente nel tuo cuore e poi un giorno esplode e tu, urlando disperatamente, desideri solo la Morte. Ora essa ti è così cara, ti sembra l’unica amica, l’unica salvezza. Finché, esausto, ti rialzi, guardi in quello specchio e non riconosci più quel volto che ti è stato così intimo e famigliare per vent’anni; guardi quegl’occhi infiammati dalla violenza, bramosi di Morte , e ti spaventi: non li riconosci più. 4 Sconvolta da me stessa, sconvolta da ciò che desidero, da quel che sono e dal quel che, in potenza, potrei essere. Sconvolta, perché il ricordo di quelle ombre, mi ripete che, esse, sono parte di me, perché i gesti febbricitanti di quegl’anni, sono cicatrici sulla pelle, sono gli occhi, ormai spenti, di un’anima che morirà senza che alcun sguardo amoroso potrà posarsi su di lei nell’ultimo istante… Sola, le è stato negato anche l’ultimo sospiro d’amore… Il senso di colpa è il nuovo colore con cui s’è vestita oggi la sofferenza. Tutto è ben scisso tra bene e male; tutti siamo divisi in buoni e cattivi e mi chiedo come si fa ad uscire da questa perpetua condanna. Cerco la via per giungere oltre il giudizio e la sentenza. Io credo che si debba passare attraverso la porta in cui si incontrano gli estremi di ogni umana divisione, e fermarsi nel punto in cui essi si confondono e accostarsi al mistero che assimila Vita e Morte. 5 INTRODUZIONE L’argomento del testo, il sacrificio, è molto vasto e complicato, soprattutto perché presenta svariate sfaccettature; si trova contemplato nelle diverse “branche” del sapere, dall’antropologia alla filosofia, dalla teologia alle neuroscienze ed è difficile ridurre l’argomento ad un discorso organico che comprenda tutte le diverse visioni, anche perché, queste, considerano solo alcuni aspetti del fenomeno, limitati al loro ambito, e trascurano ciò che non rientra nel loro interesse. Certo è difficile, in ogni caso, pensare di trattare un argomento nella totalità delle sue varianti (dovute, spesso, al cambiamento del punto di vista), e queste pagine non pretendono di assolvere un tale compito. Qui si vuole solo portare all’attenzione del lettore una visione, per quanto filosofica, assolutamente generale, del sacrificio inserito nell’universo più ampio del simbolo. Questa visione è ciò che trapela da una serie di scritti, che trattano l’argomento più o meno direttamente, e che, nonostante la diversa provenienza (si citano testi di antropologia, filosofia, musica, ecc.) sembrano tracciare un’unica linea che identifica la natura del sacrificio stesso. 6 Il sacrificio appare come il cuore pulsante dell’esistenza e si manifesta nella musica e in tutta l’Arte in genere. Nel primo capitolo si parla del simbolo nei sui vari aspetti; se ne descrivono le caratteristiche e il “funzionamento”. Si sottolinea la sua presenza nei vari aspetti della tradizione: il simbolo è l’unico veicolo per accostarsi al rito; è l’elemento attorno a cui gira il mito; ha lo stesso andamento del ritmo. Concentrandosi su questo ultimo accostamento, simbolo-ritmo, si approfondisce il simbolismo sonoro. Esso origina dall’antica concezione armonica del mondo e dell’universo: è possibile cogliere un ritmo comune a tutto il creato e questo permette di superare tutte le “razionalizzazioni”. Il ritmo, grazie al suo dinamismo, che coinvolge tutte le parti del reale, sottolinea la totalità dell’essere. Questa totalità permette di unificare i sensi: così emerge la sinestesia. Lo sviluppo del pensiero porta allo scardinamento di un equilibrio tanto diretto, cosicché diventa più difficile cogliere le antiche relazioni mistiche. Tra l’uomo e la natura vengono a trovarsi gli “utensili”, che amplificano il ritmo dell’attività umana e divengono il medium delle cerimonie e dei riti. Anche 7 la musica nasce come interposta tra l’intelletto umano ed il suono puro della natura. Ma pur essendo una razionalizzazione umana, conserva in sé la parte irrazionale che le deriva dalla sua fonte extra-umana, divina. L’irrazionale è in natura; il “diabolico” è il cuore pulsante della realtà; in esso trova il suo senso il sacrificio. Nella maggior parte dei racconti della genesi, la creazione è assimilata ad un atto sonoro. Questo atto è sempre descritto come faticoso, ed è definito, più o meno esplicitamente, come il sacrificio che fa la divinità per dar vita al mondo. Dando la vita perde la propria, per questo è necessario che gli uomini facciano a loro volta dei sacrifici, per ridargli l’energia perduta. E’ una prima forma di riconoscenza, che crea le basi per tutti i rapporti umani gestiti sulle categorie di bene e male. Praticando questo sacrificio, ciò che in terra perde la vita, l’acquista in cielo. Il sacrificio si pone come atto che rovescia la realtà per garantirle il continuo fluire. Il sacrifico è la porta d’entrata e d’uscita del sacro; è il suo stesso cuore, come si vede bene nella cultura indiana. 8 CAPITOLO I Se “c’è ancora del caos, dentro di voi, c’è ancora una stella danzante” Nietsche 9 ‘Sym-ballein’ “Simbolo”, dal greco ‘symballein’, significa “mettere assieme, unire1”. In origine era l’uso di possedere metà di un bracciale, o di un anello, per dimostrare d’appartenere ad una famiglia che possedeva l’altra metà di un oggetto. Il contrario di unire è quindi “dividere” e il termine Figura 1 Kantharos bifronte con satiro e menade, metà del IV secolo a.C. di derivazione greca corrispondente è ‘dia-ballein’, in italiano è assimilabile al termine “diavolo”, ciò che non permette unità e conciliazione. Da questa prima definizione trapela una delle caratteristiche fondamentali del simbolo: il suo dualismo. Il simbolo si pone come ponte tra due realtà, mette in comunicazione i due opposti della cultura, ha la capacità di sintetizzarli, e per far questo, vuol dire che in sé già li possiede. Questo dualismo rende il simbolo una realtà totalmente dinamica. Grazie ad esso, la mente collega un oggetto ad un altro, in un continuo 1 U.Galimberti, “Quanti misteri nascosti in un simbolo”, La Repubblica, 7 aprile 2000 10 di tensione e rilassamento; ma l’essenziale di questo movimento è che non è lineare, ma ciclico. La ciclicità garantisce il continuo movimento, il continuo svolgersi del tempo, degli eventi, del mondo. Si parte da un punto, si arriva agli antipodi, e si ritorna al principio, e si continua all’infinito, con infiniti rinvii: è così che si svolge il simbolo, è così che si presenta la realtà a noi esseri umani, come una continua ripetizione di cicli uguali, ed è l’unico modo in cui la possiamo comprendere. La ciclicità implica il dualismo: lo sviluppo della luce è sviluppo delle tenebre, un ciclo che si ripete per far esistere entrambe; ma le due realtà non esistono di per sé, bensì in quanto dinamica dell’una all’altra. Il simbolo “cammina” tra due opposti estremi, non è un oggetto, ma un ciclo, che sarà diverso a seconda del contesto. E’ questa un’altra delle caratteristiche fondamentali del simbolo, la contestualità. Il suo significato dipende da dove è posto nello spazio e nel tempo, e questo avviene grazie al suo carattere ambiguo: il simbolo ha in sé un significato e il suo contrario e dipende sempre dal contesto. Ad esempio, il tamburo, viene usato dalle popolazioni primitive, tanto per i riti funebri quanto per quelli di fecondità. Il suo carattere dipende da un’infinità di varianti, come il materiale con cui è stato costruito, la forma, le decorazioni, ma è altrettanto importante il quando lo si suona (a mezzogiorno o al tramonto), chi lo suona (un uomo, una donna), come si suona (appoggiandolo a terra, tra le 11 gambe, sul ventre o sul collo), con cosa lo si suona (con dei bastoncini o con le mani nude); ogni dettaglio è essenziale perché ci trascina in un diverso ambito. L’ambiguità fa sussistere la contraddizione tra essere e non essere e in questo frangente nasce la questione del vero. Per il simbolo non esiste un vero assoluto, statico e definitivo; esso non si può definire e comprendere come accade per la musica: l’unico modo è ascoltarla, sentirla, viverla. Il grande regno del simbolo è l’analogia, dove ogni cosa somiglia ad un’altra, ma esse non sono uguali; la gemellarità inoltre è la caratteristica necessaria per capire e ricordare le cose: tutte hanno qualcosa di simile, di uguale, ma non l’identità. Il simbolo ha proprio la capacità di rilevare l’uguaglianza nei diversi e la diversità nelle cose uguali. Su questo funzionamento si basa tutta l’arte, le religioni, le scienze numeriche. La realtà si svolge come su un doppio binario e questo avviene sin dall’inizio: l’atto della creazione è già, di per sé, sdoppiamento, divisione, lacerazione. Da questa genesi nasce l’ideologia della dualità del reale, che si esplicita nel continuo passaggio da una ad un’altra, in quanto la realtà può essere scomposta in realtà uguali e disuguali. Qui si coglie il ‘ritmo comune’, cioè l’affinità tra le cose, che implica contemporaneamente uguaglianza e disuguaglianza. E’ questa discontinuità, questa interruzione, che permette la percezione. 12 L’uguaglianza serve alla nostra mente per percepire e memorizzare, la disuguaglianza per orientarci. Nel movimento si staglia l’inversione, che possiamo visualizzare come la curva mediante la quale una realtà ritorna indietro, assicurando la continua ciclicità, e ci permette di considerare uniti due elementi apparentemente inconciliabili. Così gli opposti appaiono come aspetti diversi di uno stesso fenomeno e la loro caratteristica fondamentale è di essere complementari. Ogni cosa ha già in sé, come essenza e necessità, il suo opposto e questo permette di capire le ragioni per le quali ci sia bisogno di sacrifici e morti violente per assicurare la prosperità e la continuità. Il senso del simbolo non è un oggetto, ma un sentimento, evoca un termine che apparentemente si lascia raggiungere, ma il cui polo opposto è irraggiungibile: la razionalità, da sola, non lo può comprendere. Il simbolo si appella all’interpretazione e ad una certa predisposizione: è come la musica, una continua metamorfosi; è la trasformazione di ogni nota in un’altra. Essa, infatti, ha senso solo in rapporto alle altre, ha senso perché si evolve, cambia, muta, ed è il sentimento che essa genera in noi, che fa nascere il nostro assenso verso di lei. Il simbolo stabilisce rapporti extra-razionali, immaginativi, fra livelli di esistenza e fra i mondi cosmico, umano e divino. Di fronte alla musica, come al simbolo, sentiamo che la ragione non basta a cogliere quella realtà, essa non è autosufficiente ma ha bisogno di quel assenso interiore. 13 La verità non deriva dagli eventi, ma da qualcosa di sconosciuto che nasce dentro di noi, e il razionale poggia su un quid che non possiamo definire e che riporta verso e contro di sé. Così si genera l’autoconsapevolezza della propria fisicità e psichicità e l’accettazione della realtà esteriore. Quindi, quel qualcosa che rende stabile il nostro agire, non è in nostro potere, ma è figlio della tensione che alberga spontaneamente in ognuno di noi, e per questo noi attribuiamo, alla realtà, forme di assenso-verità in un certo contesto storico-sociale. Quindi, non ci si può appellare al vero, perché è vero solo il mondo fantastico creato dai nostri sentimenti e che nessuno può smentire. Per questo l’arte si rivolge sempre alla fantasia ed è questo che le dà veridicità: è evidentissimo nella musica ed ugualmente nel simbolo. 14 Simbolo e Significato “Non si deve chiedere che cosa significano i simboli, perché i simboli non significano2”. Questa Umberto affermazione di Galimberti, ci coglie di sorpresa, perché Figura 2 Soffitto ligneo della stanza del Labirinto, XVI secolo, Mantova, Palazzo Ducale sembra stravolgere la nostra concezione dell’essenza del simbolo come lo intendiamo da inesperti, o forse sarebbe meglio dire da persone che lo usano, ci si accostano, ma lo trattano con poca coscienza della sua profonda natura. Sì, perché i simboli occupano il centro della vita immaginativa, e il continuo uso dell’espressione simbolica denota la necessità di questo linguaggio per esprimere qualcosa di profondamente intriso di realtà, ma, allo stesso tempo, inafferrabile. Per questo il simbolo è il miglior modo per dire ciò che la parola non dice, perché esso stesso sfugge a qualsiasi definizione. Ogni volta che nominiamo il simbolo ci spingiamo in una dimensione in cui la ragione appare inutile e forse, ancor più spesso, è proprio a causa di tale inutilità che, inquieti, ricorriamo ad esso, affinché ci possa saziare, affinché ci possa evitare di precipitare 2 U.Galimberti, “Quanti misteri nascosti in un simbolo”, La Repubblica, 7 aprile 2000 15 nella sofferenza di una definizione che, per sua essenza, è sempre una lacerazione (in quanto separazione di una parte dal tutto). E’ così pieno, così intenso, così turbolento per la sua natura ambigua: il simbolo convoca a sé significati e sensi opposti, ed in esso s’intrecciano: esso infatti non spiega la parola, ma la rincontra al suo oriente; in esso l’anima può tornare ad intuire l’Unità del Tutto. Il simbolo non rappresenta né l’inizio né la fine di un ragionamento, ma è la via, una strada in cui ogni meta è un’illusione, poiché nasconde continui rinvii che c’inducono a continuare nel cammino; a chi percorre il simbolo è impossibile affermare: ”Sono giunto”. La comprensione del simbolo avviene dalla percezione diretta da parte della coscienza; esso è un microcosmo, ma non è una successione di particolari da sommare, bensì è da cogliere globalmente. E’ necessario uno sguardo sintottico, poiché la sua plurivalenza è rivelata simultaneamente. Il simbolo si percepisce come ‘sensazione’ che procede dalla persona nella sua interezza, non è mai acquisito una volta per tutte e la sua comprensione non è identica per tutti, ma nemmeno si confonde con il puro e semplice indeterminato. Si fonda su una specie di tema che conosce variazioni infinite. Esso è contemporaneamente acquisizione e dato, poiché nella sua espressione sensibile sono sintetizzate le forze istintuali e spirituali presenti nell’uomo, e che procedono secondo le stesse leggi che governano anche il mondo 16 vegetale e il mondo animale. In questo senso, il simbolo si pone all’attenzione del nostro cuore, anche se “abbiamo disimparato a intuire come il vegetale si tramuti in animale, e l’animale rifletta l’interiorità dell’uomo, il suo volto senza maschera”. Così il simbolo che noi, ponendoci al di fuori, vorremo interrogare, c’induce sottilmente al dialogo su noi stessi, con noi stessi, sentiamo la sua potenzialità e si espande dall’Uno verso il molteplice e poi in un secondo tempo, refluisce verso l’Unità. Si deve ben distinguere quindi il simbolo da tutte quelle forme immaginifiche con cui spesso viene confuso, quei segni che non oltrepassano il livello della significazione e sono buoni strumenti di comunicazione solo sul piano della conoscenza immaginativa e intellettuale, sono convenzioni arbitrarie in cui significato e significante restano estranei3. Questo non accade con il simbolo, che invece presuppone omogeneità tra i due termini e che Chevalier definisce ‘dinamismo organizzatore’4. Il simbolo è un prodotto della natura; il suo valore si afferma nel superamento del noto verso l’ignoto, del detto verso l’ineffabile: se il termine celato, ad un certo punto, si rivelasse, il simbolo si estinguerebbe. Se il significato viene alla luce, il simbolo muore. Il simbolo è quindi mistero e i misteri non s’interpretano, ai misteri ci si accosta. 3 4 J.Chevalier, “Dizionario dei simboli”, ed.BUR Ibiden 17 Simbolo e Rito Il simbolo manifesta l’ideologia del ritmo mistico della creazione e il grado di veridicità attribuito ad esso è un’espressione del rispetto che l’uomo è capace di concedergli. La base del pensiero mistico, come per il simbolo, è l’analogia; in essa si rincontrano tutti gli elementi di un Figura 3 Sistro. Strumento musicale usato nei riti isiaci. Le asticelle correndo sul supporto arcuato in alto, producevano un tintinnio fenomeno e costituiscono un complesso indissolubile. Grazie al simbolo, il dualismo della vita ritrova la sua Unità. La realtà è duale; gli elementi che la costituiscono sono asimmetrici, questo garantisce il continuo fluire della vita e del tempo. Senza questo movimento si precipiterebbe nella fine degli eventi. Quindi, la cosa più importante, è riuscire ad alimentare costantemente il moto e scongiurare l’evocazione della stasi. Un esempio sono gli equinozi: luce e tenebre durano le stesse ore, non c’è né pulsione né attrazione da parte di entrambe. In questo punto zero, è necessario introdurre una forza capace di sbilanciare l’equilibrio che tenderebbe 18 all’annullamento assoluto. Questa forza si scatena col rito; esso è il motore che mantiene vibrante la realtà, garantisce l’asimmetria degli opposti, interviene con irruenza a gestire lo squilibrio degli elementi. La natura del rito, come quella del simbolo, è inafferrabile ed è questo che le permette di gestire la realtà, intervenendo nei punti oscuri, dove risulta più indefinibile. Più forte e il rito, più energia si scatena, più gli elementi verranno portati lontano l’uno dall’altro, più aumenterà la tensione e sarà evitata l’implosione della realtà su se stessa. Attraverso il rito, scopriamo ‘l’entropia reversibile’ del simbolo. Qui il sacrificio trova la sua ragion d’essere, in questo paradosso tanto più insensato quanto più necessario ed efficace. Il sacrificio è il rito per eccellenza, con esso si scatena la massima forza: in esso si dà la morte per scongiurarla. E’ inutile tentare di comprendere con l’intelletto, ormai abbiamo abbandonato il regno della razionalità; qui dobbiamo appellarci al cuore e compiere un “atto di fede”. Solo il simbolo può aiutarci a non smarrirci. 19 Simbolo e Mito I simboli, carichi di grande potenza esprimono energetica, quegli schemi dinamici che Jung ha definito archetipi: essi si manifestano come delle strutture psichiche quasi universali, una specie di coscienza collettiva. Ma ciò che è comune all’umanità, sono le “strutture costanti”, insite in questi archetipi, e non le Figura 4 Disegno che orna una piastrella turca del XVIII secolo. Al centro è raffigurata la kaaba, "calamita" del mondo islamico immagini apparenti che li figurano e che variano a seconda delle epoche, delle etnie, degli individui. Il simbolo archetipo collega l’universale all’individuale e la sua trasposizione drammatica si presenta nel mito5. La funzione principale del mito è di fissare i modelli esemplari di tutte le azioni significative; esso è il “teatro del simbolo” e mette in scena le lotte interiori ed esterne che l’uomo affronta nel corso della sua esistenza, quando si spinge alla conquista della sua personalità. Il mito condensa in una storia una massa di situazioni analoghe e, al di là 5 E.Zolla, “Uscite dal mondo”, ed.Adelphi, Milano 1992 20 delle sue immagini movimentate, permette di scoprire i tipi di relazioni costanti, le strutture. Le immagini mitiche portano ad una comprensione immediata, non vanno intese nel loro significato letterale, né come “credenze” più o meno infantili, ma ogni parola-chiave racchiude in sé un universo di conoscenza che a noi risulta spesso oscuro.6 Il linguaggio del mito opera per generalizzazioni e non esiste altra tecnica che riesca altrettanto bene a “raccontare” la struttura. Il suo merito principale è l’intrinseca ambiguità: il mito può essere usato come veicolo per trasmettere conoscenze concrete indipendentemente dal grado di consapevolezza delle persone che concretamente narrano le storie, le favole o altro. I fatti storici non potranno mai spiegare i miti, mentre essi hanno sempre invaso la storia sotto mentite spoglie, foggiandola sottilmente secondo i propri fini. Le figure mitiche esprimono il comportamento di quel vasto complesso di variabili, un tempo chiamato cosmo. Esse combinano in sé varietà, eternità e ricorrenza, poiché tale è la natura del cosmo stesso. Tutti i miti presentano racconti che sono rappresentazioni parziali di un sistema che si svolge oltre di essi, e nella loro vastità e complessità, l’unico modo per procedere è induttivamente, evitando i 6 G.de Santillana, “Il mulino di Amleto”, ed.Adelphi, 2000 21 preconcetti e lasciando che sia l’argomentazione e condurci alle sue conclusioni, sempre che ce ne siano. 22 Simbolo e Ritmo Figura 5 Danzatrici sacre addestrate per esibirsi durante le feste religiose dei Khmer Suono è vibrazione che si espande nell’aria. Quando esso si muove nella realtà, ecco che appare il ritmo, l’essenza del movimento. L’uomo prima di cogliere un oggetto, coglie il suo ritmo. Grazie alle analogie tra i ritmi, si costituiscono le somiglianze nella realtà; si assomigliano le cose che hanno lo stesso ritmo. Esso, quindi, è qualcosa di molto profondo, è l’essenza ultima delle cose, altrimenti sarebbe impossibile accomunare un re, ad un leone, al sole: i tre elementi appartengono a regni diversi, hanno forme esteriori diverse, eppure il loro accostamento ci appaga e in noi nasce quel certo assenso di verità, che , se indaghiamo, ci sgomenta. Allora ciò che ci fa credere alla “regalità e solarità leonina”, va ben oltre l’apparenza sensibile. Verrebbe da dire: ”Sono simboli!”, e infatti, come ogni simbolo, non si ferma a sé, ma si svolge verso una realtà a cui è accomunata per il ritmo. 23 La caratteristica del ritmo è di essere movimento ordinato, misurato, e grazie a ciò, il suono diventa musica: la sua struttura è numerica, ma il suo carattere resta sentimentale. L’altezza, la durata, il timbro, l’intensità, sono tutte caratteristiche misurabili che la tengono in piedi, ma è grazie alla poesia che riesce a coinvolgerci ed emozionarci. Numero e sentimento, razionale e irrazionale si fondono nella musica e le danno verità e bellezza; il contingente e l’ineffabile s’incontrano e così si esprime la sua natura simbolica: è la fusione degli opposti Il ritmo si ritrova spontaneamente in natura, fa parte dell’essenza intima delle cose: ogni cosa ha il suo ritmo e il giusto accostamento di ognuno rispetto agli altri, crea nell’universo, l’armonia. Dal piano materiale, in un attimo, ci troviamo su quello metafisico. 24 CAPITOLO II “Gli aborigeni non credevano all’esistenza Del paese finché non lo vedevano e lo cantavano: allo stesso modo, nel Tempo del Sogno, il paese non era esistito finché gli Antenati non lo avevano cantato.” Bruce Chatwin 25 Origine del simbolismo sonoro Figura 6 I mantelli funebri peruviani riccamente ricamati, indicano l'importanza della vita dell'aldilà Analizzando i racconti delle culture primitive, emergono i tratti fondamentali delle loro credenze: principalmente, la superiorità morale degli animali rispetto agli uomini. Gli animali non sono mai cattivi per natura e il loro carattere è univoco, contrariamente all’uomo equivoco. Le caratteristiche morali dell’animale sono molto importanti perché danno un giudizio esatto delle cose e l’esprimono con grande fedeltà. Si coglie, inoltre, la profonda passione dell’uomo primitivo per la musica7. 7 M.Schneider, “Gli animali simbolici”, ed.Rusconi, Milano 1986 26 La filosofia primitiva della Natura esprime una concezione molto ordinata del cosmo e le sue idee sono fondate sulle rappresentazioni sensoriali e sull’osservazione quotidiana. Da questo emerge subito una grande convinzione: il dualismo della vita. La realtà appare come la metà di una totalità, essa è l’unione di tesi e antitesi, nasce dal macrocosmo e si ripete nel microcosmo. L’altra forza, a cui non è possibile sottrarsi, è il fattore emozionale, che pervade tutto il pensiero primitivo. Dall’esperienza l’uomo impara che i fenomeni semplici vengono colti seguendo la logica causale, mentre, per quelli complessi, è necessario il ragionamento per analogia che, come abbiamo già visto, è alla base del pensiero mistico. Grazie ad esso, si colgono i fattori che creano l’unità dei diversi fenomeni e che si basano sull’idea del ‘ritmo comune’8. Per le alte culture, questi sono valori astratti e sono ordinati seguendo una classificazione ragionata di carattere statico, che genera la concezione di una realtà ultima geometrica e scientifica, che si esprime nel riposo, nella stasi. Il primitivo, invece, percepisce il movimento e il carattere fluttuante dei fenomeni. In un certo senso, si potrebbe asserire, che essi “ballano e cantano la loro idee”, mentre, nelle alte civiltà, la partecipazione attiva del corpo, è sostituita da uno strumento. 8 M.Schneider, “Gli animali simbolici”, ed.Rusconi, Milano 1986 27 Le “leggi” della scienza naturale primitiva, hanno un aspetto antropomorfico. Ciò ha le sue origini nel fatto che il cosmo è concepito come un’Unità indissolubile, in cui l’uomo appartiene alla natura, ma è l’unico che può imitare (direttamente o indirettamente) i ritmi altrui e quelli fondamentali, della Natura stessa. Questo lo eleva al di sopra di ogni altro essere. Nella concezione primitiva, imitare coincide con identificarsi, che presuppone il conoscere le leggi intime; questa conoscenza dà il potere di dominare l’oggetto imitato. Dalla concezione dinamica del cosmo, quindi, si sviluppa l’iter attraverso cui, con l’intersecarsi di filosofia, religione e scienza applicata, si giunge alla magia. Per questo, il mezzo più sicuro, ma anche più pericoloso, è avventurarsi ad imitare la voce dello spirito dell’animale. 28 Anima, corpo e totemismo musicale Figura 7 Figura di danzatrice Il primitivo concepisce l’uomo, diviso in tre parti: il corpo mortale, l’anima materiale, che corrisponde alla sua ombra e ha la stessa natura del fuoco, e l’anima immortale, il cui elemento è l’acqua e corrisponde alla melodia interiore, che nelle ore mistiche dell’uomo, diventa il principio dominante. La parte immortale dell’Anima è la forma sonora, il ritmo essenziale e imperituro dell’uomo. Questo pensiero è evidente al momento della morte; si crede che il defunto difficilmente si separa dal proprio corpo; per questo è necessario cantare e suonare i tamburi in suo onore, per “facilitargli” il passaggio al mondo acustico puro. Questo canto è semplice, breve, dolce, sempre triste e monotono e cambia ritmo, timbro e altezza a seconda dell’individuo. Il punto culmine è quando si ode la propria 29 melodia contata da qualcosa o qualcuno “che sta fuori dal corpo fisico proprio”: questa è l’ora della morte9. La divisione dell’essere umano in tre piani d’intensità decrescente può essere paragonata a dei cerchi concentrici che girano attorno ad un punto centrale nel quale ha origine il ritmo fondamentale dell’uomo. Questo centro spirituale si espande verso la periferia materiale e da questo concetto generale emergono la tripartizioni mistca: testa, petto, ventre; mondo superiore, intermedio, inferiore; uccello, leone, vacca. Questa divisione però viene superata ricordando che ogni fenomeno positivo può essere sostituito con uno negativo grazie all’inversione o antitesi che è complemento naturale della tesi e non la negazione. Nelle culture di cacciatori primitivi, gli animali erano considerati come le incarnazioni mistiche degli antenati, ed erano i protettori della tribù. Col tempo, essi divengono le incarnazioni di spiriti con determinate qualità. Da questo graduale mutamento nasce l’idea che forse il Governo della terra deve essere suddiviso con diritti uguali fra uomini e animali. Quando un uomo trova in un animale il proprio ideale, quello diventa il suo animale-totem10. C’è un grande affetto che unisce ogni uomo al suo animale-totem, poiché il suo sangue è quello degli antenati e lo spirito è il suo protettore. 9 M.Schneider, “Gli animali simbolici”, ed.Rusconi, Milano 1986 Ibidem 10 30 Nelle ‘Società totemiche’(Gruppentotemismus) è più importante l’opinione della comunità che la volontà individuale: ad esempio, alla nascita di un bambino, è la comunità che decide riguardo alla sua parentela animale, e non i genitori. Il “primo grido” del neonato corrisponde alla “melodia della persona” ed esprime l’identità dell’animale che si manifesta in lui. Con la pubertà, il fanciullo, ormai uomo, assume una voce nuova e quindi s’identificherà con un nuovo animale. E’ importante sottolineare come nella scelta dell’animale contano numerose varianti quali il ritmo ambulatorio, le fattezze, la disposizione dei denti, la forma delle mani e dei piedi, il colore, l’aspetto generale dell’individuo. L’animale attribuisce il canto proprio e l’ora di cantare dev’essere l’ora mistica dell’animale-totem, ovvero, il momento più consono al contatto acustico e visivo con gli uomini. Importante è il carattere esoterico della canzone, “tre volte chiuso nella comprensione delle persone”. La canzone propria11 è solo quella parte strettamente individuale che si manifesta nel modo di cantare una melodia, è il carattere individuale; in questo senso, l’animale-totem è legittimazione dell’individuo. Da questo deduciamo il potere straordinario della parola; se l’imitazione potesse essere completa, l’individuo sarebbe completamente in balia dell’imitatore, giacché possedere il ritmo 11 M.Schneider, “Gli animali simbolici”, ed.Rusconi, Milano 1986 31 essenziale significa captarlo e dominarlo per conoscerne il nome, che costituisce la sua legge intima. Ma non può esistere imitazione completa di un individuo vivo, poiché rimane sempre una parte inimitabile: la canzone propria. L’uomo primitivo dispone di pochissimi oggetti di civiltà, ma lo sviluppo della cultura spirituale non dipende dall’elevatezza della cultura materiale. Il criterio per stabilire la parentela uomo-animale dipende dal ritmo e dal timbro della voce, che costituiscono il ritmo essenziale di tutti i fenomeni. Da questo si vede che, per il “mistico primitivo”, il piano più alto di tutto il creato è quello acustico: i movimenti sonori della voce sono un unione concentrata, microscopica, ma molto fedele, degli elementi caratteristici di un essere vivente. Il ritmo vocale è il riflesso più fedele di un individuo. Esiste una facoltà selettiva innata che ci permette di cogliere, percepire intuitivamente, i caratteri essenziali di un fenomeno. Questo ci avvicina di più ai modi di un artista anziché di uno scienziato; è un tentativo di ristrutturazione intesa come imitazione spontanea. Quindi gli individui con doti musicali, devono svolgere un ruolo di prim’ordine nella comunità. La musica imitativa è arte e scienza per eccellenza (nelle culture primitive). Essa è uno strumento di azione diretta, la più profonda fonte di conoscenza per costruire l’espressione 32 più sostanziale e sintetica dei fenomeni, la cui vera essenza sono i ritmi sonori. E’ l’instabilità degli oggetti che non permette alla musica primitiva di considerarli come realtà; il ritmo che li penetra, li eleva a tale stato. La manifestazione più alta ed essenziale è il tempo. L’inizio del tempo è l’atto della creazione e la musica è la manifestazione terrena del ritmo creativo e per questo è la forma suprema del conoscere. Ogni fenomeno può essere suddiviso in essenza e materia: la prima è espressa dal ritmo musicale, la seconda, dal timbro. La musica permette di ridurre le dimensioni dello spazio sul piano acustico (altezza, movimento e armonia) ed esprime tutte le proprietà qualitative, intensive ed estensive dei fenomeni, concentra in sé l’Unità dei sensi. La musica primitiva è descrittiva, si esprime attraverso il movimento del corpo e il testo non ha importanza. La visualizzazione di queste canzoni, genera un’impressione sensoriale immediata. 33 Ritmo: totalità dinamica Figura 8 Le rappresentazioni rievocano i riti frenetici dedicati agli dei erotici di Caanaan (3500 a.C.) La natura dinamica si sottrae a qualunque tentativo di scomposizione in elementi parziali. Per cogliere questa forme, è necessario viverle. Se resistiamo intellettualmente all’esperienza vissuta del ritmo, esso ci comunica un alto grado di nervosismo. Infatti ci serviamo del metodo intellettuale, costruiamo il sapere sull’ordine della successione dei valori brevi e lunghi: il solfeggio. Esso non è nient’altro che metro, “divisione” del tempo: questa è una concezione spaziale, non è un tempo vissuto. Il ritmo è un fenomeno indivisibile, un movimento continuo e omogeneo, scorre inesorabile come l’acqua di una cascata: è un fenomeno naturale, se lo si scompone, svanisce. La forma ritmica è una forma intera, è sensoriale, determinata, non sottoposta alla riflessione cosciente. L’uomo primitivo passa lungo tempo ad osservare la natura e contempla le totalità complesse e dinamiche, concepisce le forme ritmiche e le impressioni sensoriali s’imprimono col trascorrere del tempo. Percepisce la realtà come un insieme polifonico. Per lui, 34 esistono solo ritmi continui, movimenti analoghi, non oggetti; gli alberi, il mare, il gregge, sono soltanto piani paralleli di una manifestazione passeggera della stessa specie ritmica, che per se stessa costituisce una realtà. Ogni ritmo è specifico, cioè divide la specie. Un oggetto può cambiare completamente significato a seconda del ritmo o uso a cui è sottoposto, cioè del ritmo di finalità che lo invade. Il ritmo può essere quindi suddiviso in tre “sottoritmi”: i ritmi generali, che sono le pure ideologie; i ritmi tipici, cioè l’idea concepita sotto una certa modalità; i ritmi specifici, cioè la modalità del ritmo tipico. Un esempio può essere il ritmo generale legato all’idea della collera; il suo ritmo tipico potrebbe essere la collera del leone; il ritmo specifico dipende dal ritmo “leonino” che cambia a seconda che esso stia correndo, cacciando o dormendo. Come s’è detto prima, l’essere umano è equivoco (dal latino aequivocum, aequus-vox = stessa voce) e questa sua natura costituisce una ripetizione microscopica dei ritmi del macrocosmo12. Quindi il ritmo caratteristico dell’uomo, non è tipico o univoco, perché la sua natura è poliritmica; questa è la base della sua superiorità e della sua depravazione. “Poliritmica” indica il raggruppamento di ritmi univoci (tipici) più diversi, la cui collisione determina il carattere equivoco e l’inquietudine spirituale dell’uomo. 12 M.Schneider, “Gli animali simbolici”, ed.Rusconi, Milano 1986 35 L’attenzione dell’uomo primitivo si rivolge a fenomeni rari o di carattere fuggevole: nella brevità della manifestazione ritmica sta il suo valore mistico. L’osservazione porta alla riduzione dei ritmi umani a ritmi univoci (animali). L’osservazione è assai impregnata di emozione tanto che insieme al luogo e all’ora, è una delle tre caratteristiche fondamentali. L’ora corrisponde alla luce del giorno e al momento preciso dell’osservazione: è il tempo, fattore dinamico, veicolo del ritmo creativo. Il luogo è il posto dove è avvenuto il fenomeno, ha in sé i ritmi caratteristici che la natura di qui ha imposto (saltare, acquattarsi, retrocedere). L’emozione è la situazione psicologica soggettiva dell’osservatore: è diretta e specifica e vieni comunicata dal ritmo dell’oggetto stesso. Inoltre la percezione sonnolenta, fa entrare le esperienze soggettive nella rappresentazione oggettiva. La confusione dei ritmi, che si può avere in questo tipo di percezione, molto frequente nella mistica, origina un’altra serie di analogie ed associazioni strane. A questo punto, la forza dell’emozione, completamente integrata, prevale nella definizione del fenomeno. Dal punto di vista psicologico, la percezione sensoriale di movimenti ritmici, che si verifica senza intervento della riflessione cosciente si basa su impressioni di movimenti nel tempo e nello 36 spazio. Vivere una forma, è diverso da captare le relazioni causali fra le parti . Secondo la “Gestaltpsycologie”, la forma è un insieme la cui condotta è determinata dalla sua natura interna, non dagli elementi individuali; la totalità è più della somma delle parti. Da ciò deriviamo che il senso di un fenomeno è dovuto alla configurazione totale del complesso ritmo, e il significato dipende completamente dalla situazione in cui s’inquadra. L’uomo primitivo non percepisce il concetto di spazio (oggetto) come essenziale; importante è il tempo, ossia il movimento ritmico. 37 Unità dei sensi nel Ritmo-simbolo Per il mistico, il piano della realtà, è il piano dei movimenti acustici; l’orecchio è l’organo più importante e l’udito, il senso principale, l’ultimo dello sviluppo biologico. Nelle alte culture, l’udito diminuisce di valore a favore della vista. Nei linguaggi antichi ci sono molti più vocaboli per indicare Figura 9 Edipo e la sfinge, Gustave Moreau, 1864 i molteplici fenomeni acustici. Questa supremazia dell’udito, forse è dovuta anche al fatto che nella foresta esso è il senso che ha il maggior raggio d’azione e quindi risulta più utile. Da questo deriva anche la tradizione che le orecchie grandi sono sinonimo di grande saggezza. 38 La percezione mistica può essere divisa in tre parti: sapere superiore che si percepisce nello spirito; sapere medio che si rivela nel cuore; sapere basso che si capta nell’orecchio. La scuola romantica tedesca è impregnata del pensiero mistico musicale , un esempio è Friedrich Schlegel che afferma che la natura dell’anima umana è acustica. Il grande equilibrio che sussiste tra linguaggio e musica, ugualmente si pone tra intelletto e sentimento; quando si parla cantando, si diventa l’essenza dell’oggetto di cui si parla. Anche grazie alla facoltà della parola, il piano acustico è il più adeguato all’essere umano; grazie ad essa si dà il nome alle cose e quest’atto è la trasposizione sul piano acustico di impressioni sensoriali non acustiche. Un esempio di questo processo lo possiamo ritrovare nel tamburo, il cui suono è ripetizione timbrata di ritmi linguistici. Questa trasposizione, di tutta la realtà, al piano acustico, può spiegarsi solo con l’unità dei sensi13. Il parallelismo dei diversi sensi, deriva dalla somiglianza approssimativa del ricambio dinamico dei processi fisiologici centrali. Inoltre, la percezione sensoriale che si organizza per mezzo di forme e insiemi ritmici, è un fenomeno psichico. Dato che l’isomorfismo ritmico è la radice del pensiero mistico nella vita cosmica, e che il simbolo rappresenta la parentela mistica che si 13 M.Schneider, “Gli animali simbolici”, ed.Rusconi, Milano 1986 39 stabilisce in base ai ritmi comuni, possiamo affermare che il “ritmosimbolo” corrisponde al ritmo comune. In questa concezione, la voce è lo strumento più potente dell’essere umano, poiché gli dà la facoltà di imitare i ritmi più diversi. La parentela viene “sentita”. Nulla può esprimere meglio questo sentimento, che il grido imitativo: esso è un fenomeno essenzialmente vago e psicofisico. In questo modo, l’uomo adotta la voce nel suo ascendente mistico: è un tentativo di imitazione. Lo sviluppo del pensiero analitico e formalista distrusse e respinse nel subconscio l’Unità dei sensi e dimenticò la parentela ritmica dei fenomeni, staccò il pensiero umano dal suo collegamento cosmico. I caratteri di questo modo di vedere la Natura sopravvivono ancora nella nostra cultura in alcuni detti popolari e nei miti. 40 Morte del ritmo-simbolo e l’inizio del feticcio Figura 10 Per insegnare ai bambini i riti, gli Hopi fabbricano delle bambole mascherate che raffigurano i vari Katchinas Il grido-simbolo rappresenta la ristrutturazione dell’essenza del fenomeno imitato: questa è la base della conoscenza mistica. Ma il senso originario del grido-simbolo si perde con l’avvento dell’imitazione simbolica stilizzata. Questi sono i feticci, che fingono di rappresentare esseri mistici esagerando l’una o l’altra parte del ritmo totale. In questo modo si perde il vero simbolo e si generano “simboli difettivi” o “ritmi artificiali”, che sono la conseguenza dello sviluppo dell’intelligenza discorsiva e del progresso culturale tecnico che produce immagini fabbricate che vengono collocate accanto al ritmo-simbolo, il quale continua ad essere usato; ma subentra la 41 creazione di un cerimoniale nuovo in cui il feticcio sostituisce il grido. L’antico ritmo della Natura è sostituito da un ritmo fantasma e non è nient’altro che l’espressione della Volontà e dell’Intenzione, non della Verità. La deviazione, che consiste nell’imitazione di ritmi naturali per mezzo di ritmi artificiali, porta una crisi che origina il pensiero speculativo. Lo sviluppo dell’intelligenza distrugge la percezione di una serie di insiemi naturali e la riflessione speculativa si pone a selezionare. In questo modo va scomparendo l’antica relazione mistica tra uomini-animali-imitazione ritmica esatta. Sopravvivono le antiche idee, ma perdono il vero fondamento psicologico. Questo nuovo atteggiamento fa crescere l’importanza del testo nelle canzoni, in cui il linguaggio occulto si perde quasi del tutto. Le ultime reliquie del pensiero mistico si manifestano nelle poesie allegoriche delle alte culture. Così, il linguaggio mistico si risolve in musica e poesia: nella musica vocale, le leggi musicali domineranno il ritmo del linguaggio. Avendo perduto il dono naturale di imitare con estremo realismo, si creò una teoria che sostituisse la primitiva pratica, si tentava di mantenere il realismo artificialmente tramite la costituzione di piccoli intervalli sonori: si opina che basta impadronirsi di una parte per possedere il tutto (legge della “pars pro toto14”). Questa idea si manifesta attraverso l’aspetto e l’ideologia delle maschere e degli 14 M.Schneider, “Gli animali simbolici”, ed.Rusconi, Milano 1986 42 strumenti musicali. Assumono grande importanza gli utensili, che, grazie alla loro triplice funzione di culto, lavoro e musica, amplificano il ritmo dell’attività umana e permettono d’impadronirsene. Qui occupano un posto di grande importanza, i riti di fecondità: essi svolgono la funzione predominante nella vita dell’uomo primitivo. Gli strumenti usati sono gli stessi per le cerimonie funebri. Da questo si deduce che i due riti abbiano un fattore comune che concilia nascita e morte: il sacrificio. Ogni nuova vita si forma per il sacrificio totale o parziale di una vita adulta che – direttamente (genitori) o indirettamente (antenati) – ha prodotto questa nuova vita. E’ una duplice continuità, un mutuo sacrificio in cui i due aspetti principali sono quello erotico e il dovere: il primo corrisponde al sacrificio parziale di forze vitali, il secondo si esprime nell’orazione, che rappresenta il sacrificio del pneuma, e nella morte, ovvero il sacrificio di sé. Così, la fecondità appare nella sua forma tanto fisica quanto metafisica. 43 Semitono e Tritono Figura 11 Tlaloc, dio azteco, indossava come corazza un serpente a due teste, incrostato di turchesi, con denti di conchigli; era la divinità della pioggia e della tempesta Con l’imporsi del pensiero analitico, il suono primigenio naturale e spontaneo diventa musica. Essa nasce attraverso il sodalizio di suoni e numeri, in cui questi ultimi non rappresentano un’entità neutra senza forza, bensì sono vibrazioni ricche di valenza emotiva. La musica non rimanda a nessun significato, essa è tutto quello che c’è, e se essa è numero, allora il numero è tutto ciò che c’è. Da questo deriva che i numeri sono interpreti di tutte le cose. La musica rimanda a sensazioni, è libera ed interpretabile e non ha valore assoluto. Al di fuori di questo apparato numerico, temporale e vibratorio, non c’è nulla. La fusione tra suono incodificabile, considerato “astrattezza sentimentale”, e numero, codificabile razionalmente e ritenuto un’ 44 “astrattezza logica”, avviene attraverso l’applicazione di quest’ultimo alla lingua: si dà un ritmo alle sillabe. Così, dalla prosa del discorso sciolto, si passa alla prosa ritmica, in cui la musicalità incide sulla memoria e si giunge al ritmo musicato della poesia. Le antiche orazioni, quando dovevano convincere il senato, dovevano comprendere nel discorso, una parte ritmica, per suscitare l’attenzione e imprimere musicalmente nella memoria il concetto, che rimaneva gradevolmente nella mente degli ascoltatori. Quindi, la parte musicale non riguarda solo la musica, ma anche il linguaggio e la memoria, che fa leva sui sentimenti e sulle sensazioni. Comunemente per numeri s’intende un sistema quantitativo per organizzare la micro e la macro realtà; ma se è possibile la fusione, tramite la musica, di qualità-quantità, emozione-logica, allora le due realtà hanno l’una qualcosa dell’altra. Questo era ciò che sosteneva Pitagora nel V secolo a.C.: se la realtà è numero, allora il numero è realtà ; se la realtà al di là delle apparenze è numero ed è qualitativa, allora il numero che la rappresenta è anch’ esso qualitativo; quindi se la realtà è qualità, anche il numero dev’essere qualità. Insomma, il numero, per interpretare la realtà nella sua dialettica di sensi ed elementi, deve essere qualitativamente non neutro. I numeri in sé, in rapporto, e nella loro gerarchia, hanno qualità e significati simbolici; sono quantità che si rinnovano in qualità. Ogni 45 numero è parente o figlio di un altro e tra essi c’è una complessa interazione. Pitagora filtra i numeri attraverso i suoni, perché, questi ultimi, sono ancora i fondamenti (arcani) dell’ Universo, e isola così i primi intervalli sonori, fondamenti di tutta la grammatica musicale successiva. Il semitono è l’ elemento di grande importanza di questo sistema; è il motore che innesca il meccanismo di ascesa e discesa, condensa in sé il conflitto e la tensione che generano il movimento; è duello e agonia, ha in sé passione, violenza, morte, proprio come ogni rito. Il semitono è la parte più piccola dell’ ottava (un dodicesimo) e dà la sensibilità; il valore della musica dipende da esso tanto che la sua posizione nella scala musicale decide il significato etico, estetico ed etnico della musica stessa. Il semitono è la parte sensibile del reale, identifica il colore delle cose, la qualità, permette il giudizio; esso dà il senso, ci dice la direzione, se siamo per una via ascendente o discendente, e quindi è il punto di riferimento per il nostro andamento, è il discriminante che ci fa distinguere le cose del reale, è ciò che ci permette di orientarci nel mondo. La sua importanza appare talmente grande che fino al ‘600 la sua presenza, in qualsiasi partitura musicale, è pretesa, e qualsiasi intervallo in cui esso non sia presente, non è concepito. Ciò significa che la vita, descritta attraverso questa musica, viene considerata un flusso continuo, un circolo eterno, in cui, il movimento perpetuo, è 46 generato e garantito dalla presenza di passione, violenza e agonia che culminano nella morte (il semitono). Ma la grammatica musicale ha sempre eluso un elemento, un intervallo racchiuso tra due semitoni e che non ha in sé il semitono stesso. Se la razionalità del mondo si basa sull’ esistenza di questo elemento, una realtà in cui esso non è presente viene considerata irrazionale: questa realtà è il tritono. Il tritono imploderebbe su se stesso se non ci fossero i semitoni esterni che ne mantengono viva la tensione. E’ il punto morto in cui tutta la musica cesserebbe, è un elemento senza qualità, senza valore, senza direzione, senza senso, non ha in sé un elemento che ne giustifica la presenza, eppure non si può annullare, perché esiste in natura. Affiora come elemento totalmente irrazionale, paradossalmente, dalla divisione più razionale (la divisione pitagorica per quattro della corda sonora). E’ un elemento turbolento: non avendo in sé il semitono, cerca di aggrapparsi ai suoi argini, ma i suoi estremi gli sfuggono e così in esso si genera una tensione centrifuga (la stessa forza per cui un ponte sta teso tra i due argini), esso contiene contemporaneamente l’ascesa e la discesa e quindi, il meccanismo totale, è insieme ascendente e discendente. Questo intervallo è legatura e rottura; emette un suono “discordante” ed è concepito come doloroso. Rappresenta l’unità degli opposti in continua contrazione ed 47 estensione, esso è la continua lotta tra luce e tenebre, leone e pesce, fuoco ed acqua, Sole e Luna, uomo e donna, pari e dispari. I suoi elementi sono l’equivoco, la gemellarità, l’invertibilità, gli stessi del simbolo. La metafisica dell’Universo comincia quindi da questo elemento, per poi farvi continuo ritorno: il mondo razionale genera da un quid irrazionale che è il suo cuore e il suo fine. In questa maniera, il tritono, con tutti i riti ed i simboli, tiene in piedi, congiunti, ciò che sale e ciò che scende, il sopra e il sotto, il cielo e la terra; ma questa congiunzione è dinamica poiché il sopra e il sotto vengono spinti reciprocamente al loro opposto, ed è per questo che ogni grande rito va dalla “Valle della Morte” alla “Montagna della Glorificazione”. Il passaggio in giù, dal celeste al terrestre, avviene attraverso un cammino non traumatico, più naturale, ed è rappresentato dalla nascita; i passaggi da giù a su, invece, sono molto traumatici e faticosi e si attuano attraverso la morte. Queste morti appaiono ora necessarie affinché l’universo continui a pulsare. Il semitono è il sacrificio necessario all’esistenza; se non c’è il semitono, siamo nell’ambito del diabolico. Attrazione e repulsione, aggressività e sottomissione, sono gli elementi della lotta, espressione della tensione, la stessa che fa sì che la musica vada da un luogo ad un altro nel tempo. E’ la dialettica del su-giu che avviene temporalmente e spazialmente: questa è la musica, simbolo della realtà. Tutto accade nel semitono, motore dell’esistenza, 48 frutto di qualcosa che si consuma sia per salire che per scendere; la consumazione è sacrificio, e il sacrificio è morte. Il simbolo aiuta a comprendere, e il migliore della realtà è la musica; la simbologia è oralità, narrazione, racconto di miti, è scorrere del tempo, ritorno del tempo su sé stesso, andare indietro nel tempo. Il racconto è evocazione, ripetizione, esprime l’antica concezione del tempo, infinito, circolare, lo stesso della musica. Le esperienze devono mettere in moto i turbamenti; il viaggio è la fatica delle proprie gambe, è costituito di tappe da cui ci si allontana, a cui ci si avvicina, e risvegliarsi ogni mattina e trovare la forza di riprendere il cammino, e l’andata non sarà mai uguale al ritorno. Una persona dopo il viaggio non è più la stessa. Percorrere una strada è allontanarsi dal proprio centro, perdere se stessi passo dopo passo. Anche la musica è un viaggio che va per tappe, che sono i suoi punti nodali e determinano il suo significato. I punti nodali sono i punti neri dell’Universo, i punti morti della realtà (che devono essere gestiti dai riti) in cui non c’è né vinto né vincitore. In questi punti devono intervenire i riti a scardinare l’equilibrio mortifero; il rito anticipa l’evento in modo che quando arriverà si sarà già preparati, cosicché si riannodino le fila e il tempo torni indietro. Bisogna anticiparlo perché noi non riusciremmo a cogliere il punto morto, il punto zero, poiché è inafferrabile, in quanto l’estremo di una realtà coincide sempre con il 49 principio di un’altra. Il simbolo coglie ciò che con la mente umana non si riesce. Nel reale non tutto è bene; esiste il male, il dolore, la sofferenza, il sacrificio. Lo stesso vale per la musica: al suo interno c’è il diabolus. All’interno del razionale esiste l’irrazionale: se viene mostrato, nominato, è distruttivo, ma se rimane innominato e lo si lascia avvenire è generativo. 50 I chiostri catalani Nell’uomo primitivo, il ritmo è percepito fuggevolmente e viene espresso mediante un simbolo vivo, mentre, gli animali favolosi, sono oggetti morti, scolpiti nella pietra; questi sono il tentativo delle alte culture di esprimere la sostanza di un ritmo- Figura 12 Suonatore di arpa: "Non fermare la musica e la danza, ma allontana ogni preoccupazione" simbolo15. Ma la riduzione di piani paralleli della realtà ad un piano comune, si può realizzare totalmente solo su quello acustico; esso è il più fine, la sua sostanza è energia fluente, è la realtà che si esprime nel suo negarsi, un andamento ascendente e discendente senza corpo. Le creazioni di pietra vengono quindi strutturate secondo “leggi musicali”. Qui sta la grande evoluzione: la musica si stacca dall’imitazione diretta dei modelli naturali. Ciò avviene con la depurazione e il rifacimento della mistica grazie ai principi musicoastronomici e astrologici16. La nuova mistica mostra una predilezione per le forme statiche e il nuovo spirito 15 16 M.Schneider, “Gli animali simbolici”, ed.Rusconi, Milano 1986 Ibidem 51 sistematizzatore origina una serie di piani paralleli nuovi, tra cui la relazione numeri-idee da cui avrà origine il sistema tonale con suoni propriamente musicali. Aumentando il numero di piani paralleli della realtà, aumenta naturalmente il sistema di corrispondenze mistiche e ritmiche. Il primo tentativo di sistemazione ragionata delle idee mistiche corrisponde alla creazione del primo sistema musicale-teorico, ovvero il primo sistema tonale ragionato, che ha alla base la relazione numeri-suoni. Con il tempo, la musica diviene la più alta sapienza; abbandona il carattere empirico e passa ad un piano molto più astratto, riempiendosi di filosofia cosmica speculativa. Dalla transizione tra i vari piani paralleli, si generano le corrispondenze tra i vari elementi del reale ed è così che si passa ad accomunare idee , numeri, suoni, animali. Un esempio, sono i due chiostri catalani medievali di San Cugat del Vallés e la cattedrale di Gerona, risalenti alla fine del XII secolo. Appena si entra in questi luoghi, gli occhi vengono rapiti dalla serie di animali scolpiti sui capitelli delle colonne che circondano i chiostri .Analizzando da vicino i vari tipi di animali, ci si accorge che si possono suddividere principalmente in tre tipi: gli animali favolosi, quelli più o meno stilizzati, quelli normali o più realistici. Sembra 52 assente una spiegazione soddisfacente per una così strana successione, e si pensa che in passato abbia costituito un sapere segreto. In questa serie di rappresentazioni animali, il bue ed il leone sono quelli più realistici e quindi i più sicuri per l’interpretazione:su di essi non ci si può sbagliare. Il bue viene sottomesso dal leone, soccombe, viene messo a terra, in lui si concentra la discesa di tutte le cose; egli rappresenta tutto ciò che va in giù, che precipita. Al contrario, il leone, vincitore della lotta, domina, e , fiero, si protende verso l’alto; egli è l’ascesa, simbolo di tutto ciò che percorre una strada in su. Il leone ed il bue in lotta sono l’immagine ricorrente, l’immagine chiave ed esplicita; si mette in scena il duello tra il re della luce e il dominatore delle tenebre, si rappresenta il continuo alternarsi del dì e della notte, l’alterna vittoria dell’uno sull’altra; due forze che si contendono la supremazia: una verso il sole, verso il cielo, l’altra verso le tenebre, l’abisso. In queste immagini ritroviamo la tensione dell’ascesa e della discesa, vediamo espressa, scolpita nella pietra, tutta la forza del semitono. E’ in questo scontro continuo tra elementi opposti che si scorge la necessità che qualcosa soccomba e muoia affinché qualcos’ altro viva. Ogni volta che un leone deve prendere il suo trono, un bue deve morire; ogni volta che deve sorgere il sole, la luna deve tramontare. Qualcuno deve sacrificare la propria esistenza per alimentare la vita altrui. 53 E’ proprio qui il paradosso: ogni vita è alimentata dalla morte violenta del sacrificio. Queste che possono apparire come idee infondate, hanno invece le loro fondamenta e prove di verità proprio nelle pietre scolpite dei due chiostri catalani. La precisione delle rappresentazioni permette di passare dal piano della figurazione visiva a quello acustico. Credendo che alla base delle sculture ci siano delle motivazioni musicali, si prova a fare l’operazione inversa, cioè scoprire la musica che sta dentro le “pietre”. Seguendo l’idea di simbolo finora sostenuta, e applicandola ai capitelli si è giunti ad attribuire a ciascuno una nota, la cui successione ordinata ha formato una melodia. La vera prova è il fatto che, ciascun chiostro, attraverso gli “animali sonori”, intona l’inno del santo a cui venne eretto, lo stesso che i monaci continuano a cantare da secoli, e che forse, una volta, era unito alla camminata intorno al chiostro stesso. Dal chiostro di San Cugat del Vallés scopriamo il canto che innalza alla gloria il martire San Cucufante, mentre da quello di Gerona trapela la triste melodia della Vergine Addolorata. Naturalmente l’identificazione delle note musicali con gli animali di pietra, non è una semplice corrispondenza. Siamo nel regno del simbolo e ciò implica che si colgono gli elementi nella loro totalità e dinamicità, rimanendo fedeli al contesto. A contribuire all’aspetto sonoro dei capitelli è l’intera costruzione; è importante la forma della 54 pianta, trapezoidale nella cattedrale di Gerona. Questa forma evoca la testa del bue sacrificale, del dolore e della discordanza ad esso legata attraverso il semitono. Inoltre la costruzione è stata orientata in modo che anche temporalmente possa esprimere l’ora mistica dell’animale, la sera, a nord-ovest, cala il sole e regnano le tenebre. C’è un continuo flusso che regola la vita di quei animali di pietra. Percorrere il chiostro è inneggiare al Santo;è una realtà dinamica che agisce anche senza la nostra consapevolezza e volontà. 55 CAPITOLO III “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio.” Gv 1,1 “E il Verbo si fece carne,[…]” Gv 1,14 56 Creazione come atto sonoro Figura 13 L'uovo cosmico, miniatura del Liber Scibias di Ildegard Von Binghen, circa 1165 In moltissime culture ogni volta che la genesi del mondo viene descritta con sufficiente precisione, è un elemento acustico che interviene nel momento decisivo dell’azione. Da ciò deriva che la fonte dalla quale emana il mondo è sempre una fonte acustica. Questo suono nasce dal Vuoto; l’ abisso primordiale è dunque un “fondo di risonanza” e la prima forza creatrice è il suono che da esso scaturisce. Se il creatore è un Canto, è evidente che il mondo che da esso è 57 generato, sarà della stessa natura, cioè acustico. Da ciò deriva ragionevolmente che la radice, la potenza e la forma di tutte le cose sono costituite dalla loro parte sonora: la loro voce e il nome che portano, poiché tutti gli esseri non esistono se non in virtù del fatto che sono stati chiamati per nome; i loro nomi sono essi stessi. Un gran numero di miti racconta che i canti della creazione portarono il chiarore e l’ aurora; quei canti sono ora voci luminose, ora suoni che producono chiarore. Il suono si trova così tra le tenebre e la luce e sul piano umano, la musica si trova tra l’ oscurità dell’inconscio e la chiarezza dell’intelletto; appartiene in gran parte al mondo del sogno17. La creazione è un evento lungo e articolato;in essa i suoni si precisano e si concentrano in tre “linguaggi” secondari derivanti da quello primario: il primo è quello della “musica” propriamente detta; il secondo s’incarna nelle frasi chiare e distinte, soggette al pensiero logico; il terzo si trasforma a poco a poco in materia. Questi nuovi “oggetti” sono i simboli materiali dei primi fenomeni puramente acustici. A questo proposito, la tradizione ebraica18, afferma che “prima” della creazione vi erano solo Dio e il suo Nome. Col farsi parola, il Nome diventa una parte costitutiva di quello che si può chiamare il linguaggio di Dio, in cui Dio stesso si presenta, si 17 M.Schneider, “La musica primitiva”, ed.Adelphi, Milano 1992 Gershom Scholem, “Il nome di Dio e la teorica cabbalistica del linguaggio”, ed.Adelphi, Milano 2001 18 58 manifesta e insieme si comunica alla sua creazione, la quale appunto viene ad esistere nel medium di tale linguaggio. La Torah, concepita come unità mistica, è il Nome di Dio, strumento che ha permesso al mondo di venire alla luce, rappresenta la stessa forza concentrata di Dio, che viene portata a espressione nel Nome. Gli dèi, quindi, nelle antiche tradizioni, presentano spesso una natura duplice e questo carattere ermafrodita porta all’identificazione con la musica, da sempre ambigua e, da essa, all’aurora, fusione della notte e del giorno, delle acque e dei fuochi. Una legge essenzialmente musicale si esprime materialmente in tutti quei fenomeni naturali che presentano due aspetti antitetici. Nei miti in cui il mondo nasce da uno strumento musicale è spesso difficile capire se lo strumento sia un attributo del dio o il dio stesso. Ma la creazione è un atto che non si esegue senza sforzo; la filosofia e i riti lo descrivono come uno strofinamento, una via a spirale, un viaggio circolare, un movimento a mulinello, oppure un sacrificio , con il quale si realizza il trasferimento delle forze; è energia fluente, che permea ogni cosa ad ogni istante successivo. Prima della creazione, finché gli dèi erano soli, il sacrificio si svolgeva dentro di loro e tra di loro; poi si estende per aver luogo fra gli dèi e il loro creato. Le cosmogonie vediche, indù e persiane narrano che, già nei tempi mitici, dèi e dèmoni, conoscendo la potenza del sacrificio sonoro, si batterono per il possesso di quella forza. Con il tempo, il 59 sacrificio sonoro si rivestì di materia e ora, le immagini materiali, sono i riflessi delle antiche immagini acustiche. La condizione mortale appare come la conseguenza diretta della materializzazione dei corpi sonori e luminosi dei primi uomini creati. Gli dèi sfuggirono alla degradazione perché ebbero paura e si rifugiarono in tempo nel sacrificio sonoro. Sfuggirono alla materia e non furono mai vittime di quella illusione dei sensi che impedisce di riconoscere l’essenza sonora e luminosa della realtà metafisica; gli uomini hanno un’unica via per risalire parzialmente la corrente della materializzazione: la pratica del sacrificio. Esso è il ponte tra il Creatore e gli uomini, fra realtà metafisica e fisica, un ponte che si può percorrere solo con uno straordinario grado di fiducia. 60 La voce del Sacrificio Figura 14 I cinque sensi: l'udito, incisione di Cornelis Cort, Franz Floris, circa 1561 “L’invisibilità, l’impalpabilità e la comparsa stessa (l’emissione) del fenomeno sonoro richiedono una fiducia-forza più grande di qualsiasi altro sacrificio19”. I riti ed i canti sono necessari agli uomini per recuperare la loro essenza immortale e gli dèi non possono ignorare i sacrifici sonori perché toccano la loro stessa sostanza. Il sacrificio è reciproco: è la legge del mondo. Gli dèi sono sempre avidi di canti di lode che li fortificano e li fanno crescere e gli uomini hanno bisogno dei canti della grazia divina20. La voce travalica la materialità e il significato; la voce è 19 20 C.Bologna, “Flatus vocis”, ed.Il Mulino, Bologna 1992 M.Schneider, “La musica primitiva”, ed.Adelphi, Milano 1992 61 suono e rappresenta il luogo di incontro dell’universo e dell’intelligenza; essa è dissimulata nel silenzio del corpo, da esso emana e, in ogni istante, può ritornare alla sua matrice. La voce costituisce una forza archetipica: è l’immagine primordiale del potente dinamismo creatore, è imperioso grido di presenza, pulsione universale e modulazione cosmica tramite la quale la storia irrompe nel mondo della natura. La voce è una pulsione e si confonde tra le pulsazioni corporee che sfuggono alla coscienza, perché la precedono. Il “primato dell’acusticità” trova conferma nel pensiero miticocosmogonico. Hegel, per avvio al discorso della metafisica della voce, scrive: in quella notte che si distende immobile prima dell’emergere della luminosa coscienza, nessuna voce interruppe il silenzio. La nominazione (fin da quella di Adamo, che diede senso alle cose ignote e indicibili nel giardino dell’Eden prima della storia) è la genesi del linguaggio e della memoria che lo garantisce, rendendolo trasmissibile, utilizzabile: negando ciò che nomina, il nomen lo conserva nel segno sonoro. L’animale non possiede una voce “sonora”: la sua è “voce vuota”, pura vocale indifferenziata, grido privo di uno specifico contenuto; solo nell’atto della morte, l’animale,esalando l’anima, “ha una voce, esprime se stesso come annullato e conservato21”. 21 C.Bologna, “Flatus vocis”, ed.Il Mulino, Bologna 1992 62 La voce è morte e memoria dell’ animale; il linguaggio umano che articola e nega il puro suono, articola la morte che ricorda e così, può diventare voce della coscienza e linguaggio significante. L’ ambiguità della voce si svolge nella coscienza in cui l’evento di una nascita è memoria di una morte. Col tempo, al suono della voce si affiancano degli strumenti che poi diverranno utensili, la cui potenza risiederà nella loro origine musicale. Per accrescere la forza del sacrificio sonoro degli strumenti, ci si servirà anche dei cadaveri, per far cantare i morti. In questo ambito possiamo vedere anche il tamburo, ricavato dalle pelli degli animali uccisi; bisogna bagnare, tirare e poi sfregare e percuotere la pelle per farla suonare, bisogna torturare l’animale per farne uscire la voce. Ogni strumento musicale occupa il centro del mondo; sacrificando le proprie forze e l’individualità suonando lo strumento, l’uomo rende un “servigio agli dèi” con l’azione delle sue mani e del suo soffio. Lo strumento serve al sacrificio del dio; il canto è il sacrificio dell’uomo22. La creazione, come pure la conservazione dell’universo, sono funzione di un moto continuo la cui origine è una vibrazione acustica: questa è l’ unità vibratoria del mondo. 22 E.Zolla, “Uscita dal mondo”, ed.Adelphi, Milano 1992 63 Ciò che si realizza in modo mistico nel canto, viene rappresentato in maniera concreta dai riti, che ne sono l’espressione materiale. La melodia gli dà sostanza, i riti gli conferiscono un aspetto concreto; la musica e i riti manifestano la natura del cielo e della terra, fanno scendere gli spiriti dall’alto e uscire gli spiriti dal basso e realizzano la sostanza di tutti gli esseri. La musica unifica immagine e suono, il rito li differenzia. La musica, resa visibile dai riti, deve creare armonia tra cielo e terra. Quando la magia è soppiantata dalla religione, e il sacrificio al dio diventa sacrificio del dio, la musica è in primo luogo un offerta e un omaggio. Così i riti diventano sempre più indipendenti dalla musica, che spesso non fa altro che “accompagnare” la pantomima. La magia si serve della musica per stabilire un buono equilibrio fra il cielo e la terra ed opera soprattutto per sinfonia. I maghi considerano la vita terrestre una parte complementare dell’armonia universale; considerano la cortesia la sola forma ammissibile e feconda di ogni genere di relazioni. La canzone-offerta è accompagnata da un’offerta materiale. Gli uomini sono necessari agli dei, i quali sono caverne di risonanza che hanno bisogno di cantare e sentir cantare. Se gli uomini non si occupano di loro, gli spiriti possono diventare pericolosi; se invece li nutrono, diventano grandi protettori. Gli spiriti malvagi sono anime 64 refrattarie al sacrificio. Li si scaccio con il suono del sacrificio o con l’assoluto silenzio23. 23 E.Zolla, “Uscita dal mondo”, ed.Adelphi, Milano 1992 65 Il Sacrificio nei Riti Nella creazione, l’Energia fluente dà vita alla materia; l’Energia fluente è il suono e l’azione per cui la realtà sta in piedi è un sacrificio continuo. La realtà risulta quindi instabile, è tale perché tutto vibra (“panta rei”). Nel mondo antico, quindi, la razionalità delle Figura 15 Coperchio del sarcofago di Pacal, illustra il viaggio del suo spirito nel regno dei morti. La figura centrale è adagiata davanti e sotto l'albero sacro che, secondo i Maya, collegala terra al mondo sotterraneo e ai cieli. Tutt'intorno si scorgono immagini di draghi e simboli degli antenati cose sta movimento nel loro e nella contemplazione di questo. Così tutto si riassume nella gestione dell’instabilità della realtà, cioè nell’equilibrare l’ascesa e la discesa, il dare e avere; è qui che troviamo i riti. I riti avvengono nei punti nodali, nei punti morti, in cui le realtà opposte sono equivalenti e c’è la necessità di “forzare la porta”, creare uno squilibrio affinché l’energia continui a fluire, la realtà continui ad esistere. I morti sono canti, perciò nei riti funebri è dedicato gran spazio alla musica. 66 Un’anima si prepara a percorrere la via del mondo acustico, si sforza a sbarazzarsi del corpo e può riuscirci solo grazie al sacrificio sonoro: l’anima ha bisogno dell’aiuto dei vivi. La sostanza sonora del defunto viene spesso identificata col nome, che, quindi, viene ripetuto continuamente. E’ indispensabile rimanere in buoni rapporti con i morti poiché sono gli intermediari fra gli dèi e gli uomini24. Durante i riti stagionali e di fecondità, si narra che la luna interroga le anime e rinvii sulla terra solo quelle che non sanno rispondere correttamente. Le anime destinate alla reincarnazione cadono dall’albero della morte (luna nera) e cantano quando la pioggia feconda la terra e le donne si sentono incinte. Per questo le cerimonie di fecondità si svolgono spesso dinanzi alle tombe. Gli dèi sono canti e le anime che si liberano cavalcano i loro canti, i quali, materializzandosi, penetrano nella pioggia e nel seme degli uomini per fecondare la terra e le donne25. La malattia o il peccato accrescono la materia inerte dell’uomo e riducono la sostanza sonora. Nei riti di guarigione quindi, la musicoterapia cerca di ricondurre la materia alla sua origine sonora e luminosa e restituire all’uomo la sua originaria purezza acustica. 24 25 E.Zolla, “Uscita dal mondo”, ed.Adelphi, Milano 1992 Ibidem 67 Ogni rito curativo è un sacrificio espiatorio che depura al tempo stesso il malato e il demone della malattia. La spirito si farà sacrificare confessando il proprio nome. Ogni malato è un mezzo morto. Spesso la guarigione può essere ottenuta solo quando il “medico” si decide ad offrire il proprio corpo alla malattia; bisogna che lo sciamano mangi il demone in modo rituale26. Nei riti il simbolo generale della musica è il tamburo o l’albero;indica la relazione e l’armonia fra il cielo e la terra. Per mezzo del canto l’uomo corregge se stesso e manifesta la propria virtù. La preoccupazione di bellezza e di equilibrio del suono comincia a manifestarsi soltanto alle soglie della musica artistica. Finché dominano le grandi civiltà, che possiedono un più ricco assortimento di strumenti, ripartiti in diversi gruppi etnici, la voce è l’uomo e l’uomo è la misura di tutto. Trasformato in risuonatore cosmico, l’uomo si erge come l’albero parlante. La forza sonora andrà a stabilirsi nella sua pelle e nel suo scheletro, quando il sacrificio sarà stato totale. Le sue ossa saranno preziosi amuleti nelle mani dei figli27. 26 27 E.Zolla, “Uscita dal mondo”, ed.Adelphi, Milano 1992 M.Schneider, “La musica primitiva”, ed.Adelphi, Milano 1992 68 Il Sacrificio nel diritto Figura 16 Amuleto a forma di occhio "ugiat" “All’origine del diritto comune sono le consuetudini magiche germaniche28”. Infatti se si analizza ogni ordinamento, esso svela tratti primordiali che rinviano ad un diritto sacro fondato su un rapporto con il divino e su una simbologia astronomica di gesti solenni, di potere, che sanciscono condizioni giuridiche indicando situazioni del Sole nello zodiaco. Da ciò deriva che esistono delle certezze universali, criteri di bene e male, che si trovano in forma chiara e distinta nei primordi, in forma confusa e frantumata in epoche posteriori. C’è uno stato ottimo per l’uomo, quando egli si sente sostenuto da una sottile energia; tutto per lui procede secondo destino, fende il tempo, legato ad esatti riti, ai morti ed ai vivi e trabocca di gratitudine. La salute diventa bellezza e la pienezza,perfezione:questo concetto, 28 E.Zolla, “Uscita dal mondo”, ed.Adelphi, Milano 1992 69 nel greco ellenistico è in un certo senso la giustizia. Spesso si designa come gloria, fama, ardore, forza o ispirazione e in alcune culture è magnificenza, magia29. La diritta via, la direzione incrollabile è ciò che rende ogni essere ciò che è per essenza. Ma questa giustizia come conformità al destino può venir meno, la sua diritta via può essere smarrita. In quest’ambito scopriamo che “venenum” è tanto il fascino maligno quanto la corruzione degli umori corporei, per tanto, il veneficio va represso: nascono insieme la medicina e il diritto. Così il medico e il giudice furono una sola persona: lo sciamano. Lo sciamano è l’esperto in riti di cure, istruito da visioni nelle quali individuava ricette e responsi, dunque in grado di guarire e restaurare la giustizia. Lo stato ottimo proviene dal giusto contatto che si mantiene con la sua fonte, fonte d’ogni vita e d’ogni morte: il sacro. Punto di trapasso da esso al nostro mondo è la santità. Il sacro si paragonerà a un leone, un toro, un bufalo, un serpente o un drago mai addomesticabile, sempre temibile, da accostare con vigilanza. Nel sacro Morte e Vita s’invertono e confondono; lo stesso accade per il Bene e il Male, poiché esso è il cuore, il centro delle direzioni opposte. Essendo fonte di Vita e di Morte, chiunque voglia la vita dovrà attingervi, e unico modo di farlo è ricordare che esso è 29 E.Zolla, “Uscita dal mondo”, ed.Adelphi, Milano 1992 70 anche fonte di morte, perciò se ne deve prevenire la natura letale consegnandogli, consacrandogli, sacrificandogli appunto qualcosa di noi o di nostro30. Se ad un essere sacro dedichiamo, doniamo qualcosa, dobbiamo escluderla dalla realtà visibile, profana, spedendola (missa est=è stata spedita) nell’altro mondo, al di là dalla soglia della morte e della nascita. Quindi sacrificando ci si santifica. Sacrificare non è tanto fare un dono, quanto conoscere che non ci sia niente che non sia del Sacro. Sacrificio è la tragedia primordiale, in cui l’essere più prezioso e il più immacolato è ridato alla divinità31. Tragedia è l’ode del capro (dal greco “tragos”), capitale amatissimo del montanaro, dal quale proviene o vita o morte; si presta quindi ad essere l’incarnazione della sacralità assoluta. Dirà Aristotele: la tragedia è la fonte di purificazione mercè l’errore e la pietà che suscita. Chi sacrifica l’animale, l’eroe prediletto, rimane tutto scosso e sconvolto, trema d’orrore e pietà. L’Ara è la pietra di fondamento, il centro e l’origine da cui emana il mondo32. Chi ufficia il sacrificio è il sacerdote, “colui che dà il sacro” e compie l’Azione per eccellenza (ac-tio da ac,spingere, donde agon, da cui deriva agonium, sacrificio e agonia33). Il sacerdote spinge (mittit) 30 E.Zolla, “Uscita dal mondo”, ed.Adelphi, Milano 1992 M.Schneider, “La musica primitiva”, ed.Adelphi, Milano 1992 32 E.Zolla, “Uscita dal mondo”, ed.Adelphi, Milano 1992 33 Ibidem 31 71 nell’al di là; il suo è un atto orrendo. E invece di contaminare, grazie alla forza dell’intenzione, si ribalta nel contrario e da esso provengono santità e giustizia a chi ne partecipi. E’ importante e pericoloso assimilare la sostanza sacrificante della vittima sacra; se ne beveva il sangue e, dopo essersene aspersi, se ne mangiava la carne. In questo rito si celava il rischio più grande, poiché l’impuro rimaneva dannato: questo è ciò che si definisce primitivo processo alle più intime intenzioni34 (questo comprende il giuramento, la scommessa, la prova d’innocenza). Dall’azione sacrificale, così articolata e ricca di eventi, provengono teatro, arte e ogni atto giuridico. Ogni rito civile origina dal rito sacro. Il sacrificio, essendo il contatto con l’Altro per eccellenza, include il modello di ogni rapporto con gli altri. 34 E.Zolla, “Uscita dal mondo”, ed.Adelphi, Milano 1992 72 Il Sacrificio: atto violento e sacro Figura 17 Sacrificio del toro davanti al sarcofago. Pittura a tempera su intonaco di fango e paglia Il sacrificio, essendo il passaggio dall’ambito comune a quello sacro, è una consacrazione. Esso ha un potere irradiante in quanto è un atto reliogioso che “modifica lo stato della persona morale che lo compie e lo stato di certi oggetti di cui la persona si interessa35.” Il sacrificio è un atto sacro che può essere compiuto solo in ambito sacro e con la mediazione di agenti essenzialmente sacri; prevede la fede nella divinità ed è necessario il rito con una lunga serie di cerimonie. 35 Hubert-Mauss, “Saggio sul sacrificio” 73 Sacro è tutto quel che domina l’uomo con tanta maggior sicurezza, quanto più l’uomo si ritiene capace di dominarlo. E’ una lotta al dominio, al potere, alla supremazia, e come in ogni lotta, anche nel sacro, la violenza è il cuore e l’anima segreta36. La violenza è definita irrazionale, ha sempre bisogno di una vittima, è un flussso di energia che si sposta da un essere ad un altro. La società cerca di proteggere, a tutti i costi, i suoi membri dalla violenza, e per farlo cerca di sviarla in direzione di una vittima relativamente indifferente, una vittima “sacrificabile”. Il sacrificio, così, è fondato sullo spostamento della violenza dall’oggetto da esso originariamente preso di mira, ad un altro. In quest’ambito è importante la continuità perfetta37 della cerimonia, affinchè le forze in gioco non si disperdano, e tutta l’energia si concentri al centro, verso la vittima, che sarà la porta tra i due mondi. A questo livello agiscono i simboli: essi creano il collegamento, sono il ponte tra la terra ed il cielo. Non si può fare a meno della violenza per porre fine alla violenza, ma non si può nemmeno pensare che possa esistere una violenza che distrugga la violenza stessa; l’unico modo è credere (quindi fare un atto di fede) che esista una violenza legittima ed una illegittima. Questo è l’unico modo per distinguere un sacrificio da un assassinio38. In questo modo, la vittima, concentra in sé la vioenza e la sua stessa 36 Renè Girard, “La violenza e il sacro”, ed.Adelphi Hubert-Mauss, “Saggio sul sacrificio” 38 Renè Girard, “La violenza e il sacro”, ed.Adelphi 37 74 fine, la vita e la morte, è il centro di attrazione e rpulsione, è arrivo e superamento, è l’incarnazione del semitono, ed è tanto angoscioso, doloroso e diabolico quanto il tritono. “Ora la violenza presenta agli uomini un volto terribile, e moltiplica follemente le sue devastazioni; ora, invece, si mostra in una luce pacificatrice, diffonde intorno a sé i benefici del sacrificio39.” Far violenza al violento significa lasciarsi contaminare dalla sua stessa violenza, per questo, nel sacrificio, il “principio di colpevolezza” non viene rispettato. Per evitare l’impurità rituale, che deriva dalla violenza, è necessario che almeno la vittima sia pura. Il sacrificio ha la funzione di “purificare” la violenza, ossia di “ingannarla” e di dissiparla su vittime che non rischiano di essere vendicate (misconoscimento). Ma il segreto della sua efficacia gli sfugge, e forse e proprio in questo mistero risiede la divinità, che chiede inesorabilmente i sacrifici, condizione della sua stessa esistenza, poiché forniscono la materia immortale di cui vivono gli dèi. Quindi il sacrificio è il creatore di tutte le cose, perché in esso sta il principio di ogni vita40. 39 40 Renè Girard, “La violenza e il sacro”, ed.Adelphi Hubert-Mauss, “Saggio sul sacrificio” 75 CAPITOLO IV MESSA ROSSA Per la orribile cena Tra lo splendore accecante dell’oro Alla luce tremenda delle candele S’avvicina all’altare – Pierrot! La mano,consacrata a dio Lacera le vesti sacerdotali Per la orribile cena Tra lo splendore accecante dell’oro Con atto benedicente Mostra alle anime timorose La rossa ostia gocciolante Il suo cuore – tra le dita insanguinate Per la orribile cena! Arnold Schoemberg 76 Il Sacrificio: cuore del pensiero indiano41 Il Veda (1400 a.C.),nel senso lato del termine, è definito, dalla tradizione indiana, come l’insieme dei “mantra” e dei “brahmana”. I “mantra” sono strofe che costituiscono gli Inni (sukta) oppure gli elementi, in prosa o in versi, delle formule sacrificali chiamate “yajus”. Per il sacrificio, ciò che conta, è la strofa isolata e non l’inno nella sua totalità. Il Veda è parte costitutiva del Rito, allo stesso titolo della materia oblatoria o della vittima: è nel sacrificio e non si presenta come un discorso sul sacrificio.Gli Inni dicono che tutto il pensiero brahminico è organizzato intorno al tema del sacrificio. Sacrificare vuol dire riprodurre il sacrificio iniziale del Purusha, che, con l’oblazione creatrice di se stesso, ha stabilito, nel medesimo tempo, il modello e le condizioni necessarie al compimento del sacrificio offerto agli uomini. Sacrificare è anche porre rimedio a questo primo sacrificio: i riti eseguiti dagli dèi e, dopo di loro,dagli uomini (in particolare la costruzione dell’altare di fuoco), hanno il fine di ricostruire il corpo di Purusha-Prajapati che si è disperso nella sua creazione. Capire il sacrificio è percepire il legame fra il sacrificio hic et nunc e ciò a cui esso rimanda e che è la sua ragione d’essere. 41 Malamoud Charles, “Cuocere il mondo”, ed.Adelphi, Milano 1994 77 Il sacrificio vedico appare in primo luogo come un lavoro; il lavoro sfocia in un’opera, ma è principalmente un trasferimento di materia ed energia, e soprattutto è sforzo e fatica. Ma se ci si sforza di descrivere il sacrificio , anziché definirlo, si constata che esso è principalmente una cucina: una preparazione che consiste talvolta nella combinazione e sempre nella cottura di sostanze commestibili. E quando l’operazione di cottura non ha luogo nel corso del sacrificio stesso, è perché le sostanze manipolate sono state cottte in precedenza. E’ interessante parlare del rito della costruzione dell’altare del fuoco, o “impilaggio del fuoco”, sacrificio del quale i mattoni sono la materia oblatoria e Agni, il fuoco, è il destinatario. Conviene leggere il sacrificio come la serie degli stratagemmi grazie ai quali il sacrificante inizia con il darsi, si dà in parte, poi riprende se stesso, facendo scivolare al suo posto dei sostituti, animali o vegetali; riprende se stesso, non tanto per salvarsi, ma per continuare a sacrificare. Nel caso di Prajapati, questi sostituti non esistono: il sacrificante può soltanto pagare di persona, fino in fondo. “Prajapati creò gli esseri viventi: con i soffi di inspirazione ed espirazione emise gli dèi, con i soffi inferiori, i mortali, al di sopra dei quali creò la Morte per divorarli.” Alla fine Prajapati si ritirò svuotato e disse al fuoco, Agni: ricostruscimi. Sia, rispose Agni, ma a condizione che io possa entrare in lui quando sarà completo. Per questo,una volta ricostruito, Prajapati 78 è Agni. Egli è nello stesso tempo il padre di Agni e degli dei perché li ha creati, e il loro figlio perché è stato da loro ricreato. Prajapati è ricomposto quando l’edificio di tutti i mattoni impilati, gli uni sugli altri, è completo. Questo edificio costituisce l’altare del fuoco. L’altare è costituito da cinque strati di mattoni, separati da quattro strati di terriccio. Edificando l’altare di mattoni, si stringono le parti mortali tra quelle immortali che le proteggono: così si rende immortale il tutto. Secondo alcuni testi Prajapati è l’anno. Le cinque parti del corpo che si erano sparpagliate durante la creazione sono le cinque stagioni. I cinque strati di mattoni ricompongono le cinque stagioni. Ma Prajapati è anche lo spazio: i cinque strati sono i cinque punti cardinali: est, sud, ovest, nord e zenit. Il Purushasukta42, inno cosmico del Rig Veda, X, 90, in cui Purusha si autosacrifica per creare il mondo con ciascuna parte del suo “corpo disarticolato”,recita così: “Purusha ha mille teste; mille occhi e mille piedi. Copre l’intera terra e la oltrepassa ancora di dieci dita”. “Purusha altri non è che l’Universo, il mondo passato e il mondo futuro. Egli è il padrone del regno immortale, perché va oltre il nutrimento,[…]”. 42 Pierre Soliè, “Il sacrificio”, ed.ECIG, Genova 1997 79 “Da lui è nata l’energia creatrice [Viraj] dall’energia creatrice è nato l’uomo. Una volta nato, egli si è disteso al di là della Terra, tanto indietro che avanti”. “Quando gli dèi presentarono il sacrificio con Purusha come sostanza oblatoria, la primavera fu realizzata come burro [rituale], l’estate come fiammifero per appiccare il fuoco e l’autunno come offerta”. “Sul rogo [sacro] si compiva l’aspersione di Purusha, che risaliva alle origini. Per mezzo di lui gli dèi compirono il sacrificio come i Santi e i Veggenti”. “Da quel sacrificio offerto completamente fu estratto il grasso maculato. Con esso furono creati gli animali che sono nell’aria, quelli del deserto e quelli della città”. “Da quel sacrificio offerto nacquero le strofe e le melodie. Nacquero anche i metri e la formula”. “Da esso nacquero i cavalli e tutti gli animali a doppio ordine di denti. Nacquero anche i bovini, le capre e le pecore”.[…] “La bocca divenne i brahmani, le braccia diventarono i guerrieri, le cosce gli artigiani e i piedi i servitori”. “La luna è nata dalla sua coscienza, dal suo sguardo è nato il sole, dalla bocca Indra e Agni, dal respiro è nato il vento”. “Il mondo aereo uscì dal suo ombelico, il cielo si sviluppò dalla testa, dai piedi la terra, dall’orecchio gli orienti: così furono regolati i mondi”. 80 Prajapati quando è disarticolato e svotato desidera Agni. Questi si schermisce, fugge e si nasconde negli animali. Prajapati li vede e riconosce Agni in essi. Dice fra sé e sé: gli occhi di questi animali brillano come brilla Agni quando è acceso; il loro fiato sale, come sale il fumo di Agni; Agni consuma e gli animali divorano; e come Agni lascia cadere le ceneri di ciò che ha consumato, così gli animali espellono escrementi che cadono a terra. Questi animali che per così tanti aspetti assomigliano ad Agni, sono in verità Agni. Per propiziare Agni gli sacrifica questi animali, così come l’altare è un’offerta di fuoco al fuoco. La strofa vedica (brhati) è costituita da trentasei piedi, divisa in otto, più otto, più dodici,più otto. I mondi celesti possiedono la stessa natura del brhati e dividendo in trentesei parti il corpo della vittima, ci si fonda sui mondi celesti, si fa della vittima un essere celeste. Il numero delle parti della vittima è lo stesso che definisce un metro vedico, cioè un tutto articolato, un dato la cui unità prestabilita è costituita da elementi nello stesso tempo discontinui e solidali. Situazione simmetrica e contraria a quella descritta da Pindaro: il poeta taglia la materia verbale come il sacrificatore la carne dell’animale; le articolazioni del verso sono l’immagine delle membra del corpo e le cesure una trasposizione delle incisioni, ecc; il poema può essere un’offerta perché un’equivalente della vittima. In India, la 81 vittima può essere un’offerta perché il coltello di colui che taglia e pezzi ne fa l’equivalente di un poema. E torna in mente una poesia di A. Schoemberg, “Die Kreuze43” (Le Croci): Sante croci sono i versi Su cui silenziosamente dissanguano i poeti Colpiti alla cieca dallo svolazzante Stormo spettrale di avvoltoi! Nei corpi sguazzarono spade Sfarzosamente nel sangue scarlatto! Sante croci sono i versi Su cui silenziosamente dissanguano i poeti Morto il capo – rizzati i capelli – Lontano, cessano i rumori del popolo. Lentamente scende il sole, Una corona reale rossa. Sante croci sono i versi! La preoccupazione di ricostruire un tutto mediante le parti, che ci si sforza tuttavia di isolare, si manifesta a proposito dell’intero sacrificio, che è concepito come una successione di atti e momenti distinti, di cui però bisogna assicurarsi che formino un “continuum”. Passiamo, come si può vedere, a un livello più astratto. Non si tratta di esseri viventi a cui ci si sforza di dar vita dopo averli uccisi e fatti a pezzi. Si tratta di avvenimenti parziali o individuali, destinati ad armonizzarsi fra loro, a produrre i loro effetti e a costruire insieme, alla fine, la totalità che è il sacrificio. 43 “La musica moderna” vol.IV, Fratelli fabbri Editori, Milano 1967 82 Esaminando il sacrificio del Soma, ciò che caratterizza l’offerta è il fatto di essere una combinazione di silenzio e parola; dapprima si accumula silenzio, “trattenendo la parola”; poi uno degli officianti pronuncia l’esclamazione “hin!” e si “lascia andare la parola”, cioè ci si mette a pronunciare “mantra” a bassa voce, ad alta voce o a voce molto alta. Grazie a questo procedimento, la parola si raccoglie per il scrificante, invece di disperdersi. Il Silenzio è qualcosa di diverso dalla semplice assenza di parola: una forza positiva. La Parola che diventa strofa è il veicolo verbale dell’oblazione; così l’ “atman” del sacrificio ne penetra ogni parte. Occorre capire che il sacrificio, incastro e combinazione di atti, agenti e sostanze, che noi moderni definiamo come un dispositivo o un “meccanismo”, è assimilato, in questi testi, ad un organismo vivente. Realizzare il sacrificio è dispiegarlo: dargli tutta la sua estensione preservandone la continuità. Ma è allo stesso tempo ucciderlo: non soltanto perché la vita del sacrificio si confonde con la vita della vittima o della sostanza oblatoria vegetale (o lattea), ma anche perché la successione degli atti parziali, la frammentazione nel tempo e nello spazio del “corpus” sacrificale è l’uccisione del sacrficio come unità simultanea. 83 Nella cultura indù, anche la realizzazione delle immagini sacre è un rito. Dopo che l’immagine è stata modellata (le misure di ogni parte del corpo sono fissate da prescrizioni molto rigorose), si compie l’ ”apertura degli occhi”, rito che ha l’effetto di animare la statua e infonderle la vita stessa di un dio. Sia essa inamovibile o trasportabile, l’immagine è necessariamente immobolizzata per sempre in un’unica postura. I teorici e gli artisti indù non si rassegnano a questa immobilità forzata. Insegnano che per diventare scultori o pittori, bisogna prima passare per l’apprendistato del canto, poi della musica strumentale, infine famigliarizzare con le tecniche della danza: a quanto sembra, questo è un modo per dire che tutte le arti hanno in comune il movimento e il ritmo. Messosi all’opera, il pittore o lo scultore si sforza, fissando un’immagine, di rendere il movimento e nello stesso tempo di suggerire l’ubiquità e la molteplicità degli aspetti del dio (data l’immagine di più coppie di braccia e talvolta di molte teste). La costruzione avviene a poco a poco recitando ad alta voce o in silenzio, nella sequenza corretta, le formule e preghiere che corrispondono alle diverse parti del corpo divino e hanno il potere di farle apparire. Attraverso i soffi della preghiera, il corpo del dio rimane preso nel corpo del devoto. 84 Il corpo materiale di Agni è costituito dai diversi fuochi accesi nell’area sacrificale, e agni è anche il nome comune che significa “fuoco”; il corpo materiale del dio Soma è il vegetale dello stesso nome, produce una bevanda inebriante e forse allucinogena; il corpo materiale di Prajapati, è da una parte la somma di tutti gli atti,di tutte le parole e di tutte le sostanze che costituiscono il sacrificio, e dall’altra, in modo più limitato e concreto, la sovrapposizione dei cinque strati di mattoni. Le tre divinità creano un tutt’uno; ciascuna delle diverse parti del corpo di questo Prajapati-Agni-Soma è la sede di una divinità del pantheon, ma anche – e questo è fondmentale – di un elemento del Veda, e più precisamente di uno degli schemi metrici impiegati nella poesia. Esiste, infatti, un simbolismo degli schemi metrici estremamente elaborato e invocato con grande frequenza. Gli autori di alcuni testi hanno persino individuato, nel corpo di mattoni, il luogo in cui s’insediano i versi irregolari, resi imperfetti da una sillaba in più o in meno. Il corpo del dio è composito; è costruito con i riti, consiste in riti; le parole del Veda e i ritmi della poesia vedica sono anch’essi la sostanza del corpo divino. La mente oscilla costantemente fra la rappresentazione degli oggetti che nell’area scrificale costituiscono il corpo materiale degli dèi e le forme mutevoli del loro corpo divino, delineato solo dalle 85 parole del testo. Le parole vediche sono quanto di più consistente, di più concreto e di più individualizzato ci sia nel corpo degli dèi. “Il corpo più caro” di Agni consiste negli schemi metrici della poesia sacra. Gli dèi sono “nel supremo firmamento, (cioè) nella sillaba indistruttibile della strofa”. “E’ il sacrificio che dispiegandosi diviene continuamente queste divinità”. Gli dèi, di fatto, esistono soltanto in funzione del sacrificio, all’interno del sacrificio. La divinità, rispetto al sacrificio, è un fattore subordinato, una specie di mezzo: affinchè il sacrificio sia completo, occorre che vi sia anche una divinità, un destinatario dell’oblazione. Ma non è la divinità a produrre i risultati del sacrificio; è una forza che promana dal sacrificio stesso. Ciò che conta, in un dio, è il nome: la formula di offerta deve includere il nome esatto della divinità; il sacrificio sarebbe inoperante se la divinità fosse invocata con un nome che, pur essendo il suo, non fosse quello prescritto dal Veda in tale precisa circostanza. E’ il sacrificio a conferire agli dèi una forma e la parola vedica a dar loro realtà. 86 APPENDICE 87 Lo sconforto del Risorto “Basta dare uno sguardo a questo affresco per sentire tutto lo sconforto44”. E’ la “Resurrezione” di Piero della Francesca. L’opera è caratterizzata dall’estremo ordine della composizione. Tutta la costruzione è volta ad esaltare la figura del Risorto; l’autore enfatizza lo stacco tra Cristo e il “mondo di quaggiù”. Non appare alcun segno di morte nel paesaggio, ma nemmeno qualcosa che evochi “trionfali o primaverili resurrezioni”. La figura sta; Egli appare eretto, ben piantato, con il tronco irremovibile, giusto in ogni fibra del suo corpo, costruito secondo perfette proporzioni, divine norme, aurei numeri. Egli è Logos, proporzione e rapporto, perfezione del dire, comunicazione inequivocabile. Verbum è Logos. Questa figura riesce a dire conflitto, dissidio, ricerca, nell’ordine del Logos, senza patetismi, perché è misura, misura del Verbum. Cristo è l’incarnazione del Verbum e del Logos. Il suo sguardo è penetrante, ha la forza di interrogare. Nei suoi tratti si esprime la più calma misura di libertà che mai sia stata posta in immagine: di nessun destino questa figura può esser schiava. 44 Massimo Caciari, “Il Risorto di San Sepolcro”, da “Etruria oggi” anno XVI, numero 49, dicembre 1998 88 Le sue labbra serrate trasmettono genialmente una profonda malinconia. La luce appare nelle tenebre. La luce è nelle tenebre che si manifesta. Le tenebre non possono riceverne la rivelazione, non hanno potere sul suo principio. Ma neppure s’illuminano alla sua venuta, l’accolgono in sé, ne capiscono la vita. Mai le tenebre potranno cancellare questa figura che risorge; ma mai sapranno corrispondere alla misura della sua libertà. Mai potranno annullare la verità; ma mai potranno comprenderla in sé. Solo il Cristo sofferente; solo il Cristo Risorto. I soldati simboleggiano quasi l’ignoranza e impotenza delle tenebre che non “comprehendono” la luce: dormienti, infatui, incapaci di proferire verbum. Il Figlio è apparso e ora ri-appare, ribadisce l’assoluta verità della sua venuta. Riappare al mondo dopo la morte, a testimonianza che il nemico è vincibile. Ma nessuno trova ad accoglierlo e “comprehenderlo”. Mai il Verbum è stato predicato con più forza che da questa figura silenziosa e sola. In Lui s’incarnano contemporaneamente la sofferenza della Croce e la gloria della Resurrezione; quindi Croce e Resurrezione non possono venir di fatto disgiunte. La Resurrezione compie il senso della Croce, rende “perfetto” quel atto di dono che la Croce rappresenta. La tragedia è oltre lo sperare e il disperare. 89 Questa figura si è liberamente decisa per custodire aperto lo spaziosi questa interrogazione, e dunque si è decisa d’esser per l’altro anche se l’altro mai dovesse venire. In Lui è resa la sospensione dell’essere. Egli custodisce il passaggio tra la Vita e la Morte; attraversandolo si è soffermato sulla soglia ed è divenuto Egli stesso la porta. In Lui s’incarna un passaggio sempre aperto, una via sempre percorribile. E’ il ritorno della Croce, evoca la stessa angoscia, la stessa malinconia, lo stesso scoramento. Si mette di nuovo in scena il semitono con la sua tensione; è lo stesso dolore. E’ la raffigurazione del canto triste, tombale, in plagale. E’ la più alta espressione figurativa del “Resurrexi” gregoriano. Nel canto, risalta il semitono; esso è sempre discendente, cioè non si risolve mai sul “fa”, ma ricade sempre sul “mi”, simbolo del bue sacrificale, vinto nella lotta, sottomesso, gettato giù nell’abisso, nelle tenebre. Questo canto esprime la stessa atmosfera dell’affresco: non si esulta, non si gioisce ma si rimane lì, inquieti. Nemmeno l’ “Alleluia”, che dovrebbe essere l’inno di trionfo per la vittoria sulla Morte, manifesta la gloria dell’ascesa, ma continua ad invocare il semitono e la sua discesa. Chi conosce la melodia del canto gregoriano “Resurrexi” non rimane sconcertato davanti allo sguardo attonito di questo Cristo che , mesto, per nulla trionfante, annuncia: “Sono risorto”. L’atmosfera (o sarebbe 90 meglio dire, la Stimmung) è la stessa: si percepisce la sospensione dell’essere, Egli indugia sulla sogli e questo lo fa apparire interrogativo. Qui il Risorto evoca il Crocifisso: i due sono assimilati nella sua immagine. Croce e Resurrezione sono l’entrata e l’uscita attraverso la stessa porta, sono due argini del fiume su cui poggia lo stesso ponte; non hanno senso se non in funzione l’una dell’altra, non quindi strano applicare gli attributi dell’una all’altra. La Resurrezione è tanto sconcertante quanto la Croce; la Croce dovrà quindi essere tanto trionfale quanto la Resurrezione. Cosa succede quando vicino e lontano, discesa e salita si confondono? Tutti i punti si accozzano, non sembrano più i rapporti che li hanno definiti e ne hanno statuito la posizione prossima e remota, calante e ascendente: entrano in un vortice e di conseguenza noi si cessa di essere rappresentati dal soggetto che sta di fronte alla natura, non siamo più contrapposti all’oggettività. Questo vortice travolge tutto il nostro mondo abituale, strappa le forme alle quali siamo in qualche misura abituati o conformati; c’è da restare affranti, tale è la rovina inaudita di tutto il mondo e di ogni sua premessa. 91 Figura 18 "Resurrezione" - Piero della Francesca 92 BIBLIOGRAFIA 93 Bologna Corrado, “FLETUS VOCIS”, ed. il Mulino, Bologna 1992 Cacciari Massimo, “IL RISORTO DI SAN SEPOLCRO”, da “Etruria oggi”, anno XVI, n°49, dicembre 1998 Chevalier Jean, “DIZIONARIO DEI SIMBOLI”, ed. 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