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SCULTURA RINASCIMENTALE Sacrificio di
UNI 3 Villastellone ANNO ACCADEMICO 2011/2012
“CORSO DI ARCHITETTURA RINASCIMENTALE E BAROCCA”
SCULTURA RINASCIMENTALE
Sacrificio di Isacco (Brunelleschi).
Sacrificio di Isacco
Autore
Filippo Brunelleschi
Data
1401
Materiale
bronzo dorato
Dimensioni
45×38 cm
Ubicazione
Museo del Bargello, Firenze
Il Sacrificio di Isacco è una formella bronzea con dorature di Filippo Brunelleschi fusa in occasione
della partecipazione al concorso del 1401 per la porta nord del Battistero di Firenze. Oggi si trova
nel Museo del Bargello a Firenze.
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Storia
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“CORSO DI ARCHITETTURA RINASCIMENTALE E BAROCCA”
Il concorso del 1401
La competizione, alla quale parteciparono anche Lorenzo Ghiberti, Jacopo della Quercia e altri, fu
vinta da Ghiberti e il confronto con la sua formella (le uniche due superstiti), testimonia
straordinariamente le tendenze della scultura fiorentina dell'epoca durante il trapasso da gotico
internazionale al rinascimento. Il rinnovo delle forme artistiche a Firenze concise infatti con due
strade principali: da un lato l'importazione degli stilemi del gotico, che nel secolo precedente
erano stati rifiutati dalla scuola locale, dall'altro l'adesione a un più radicale classicismo, in linea
con la valorizzazione della tradizione locale e delle origini romane della città promossa dai
cancellieri della Repubblica come Coluccio Salutati. Una commissione valutò le opere pervenute,
che dovevano raffigurare un Sacrificio di Isacco entro un quadrilobo, come quelli già usati da
Andrea Pisano nella porta più antica. Le figure presenti dovevano essere Abramo nell'atto di
sacrificare il figlio su un altare, l'angelo che interviene per fermarlo, l'ariete che dovrà essere
immolato al posto di Isacco e infine il gruppo con l'asino e i due servitori. La vittoria andò a
Ghiberti, seppur di stretta misura. Dopo la sconfitta Brunelleschi compì un viaggio a Roma dove
poté studiare i modelli classici che saranno alla base della sua produzione artistica.
Vicende successive
Il Vasari ricorda come la formella venne più tardi donata a Cosimo il Vecchio, che la fece collocare
nell'altare della Sagrestia Vecchia di San Lorenzo. Passata al guardaroba granducale, venne donata
da Pietro Leopoldo agli Uffizi e nella seconda metà del XIX secolo passò al Bargello.
La formella di Brunelleschi
Brunelleschi divise la scena in due zone orizzontali, con le figure che occupano tutto lo spazio
disponibile, decentrate, adattandosi alle linee curve e dritte del quadrilobo. In basso l'asino, con
accanto i servitori seduti, con le schiene che seguono il semicerchio del bordo. Il personaggio di
sinistra è una citazione dello Spinario, opera ellenistica oggi agli Uffizi; questo gruppo forma la
base per la costruzione piramidale della parte superiore della formella. Qui al vertice, con uno stile
asciutto e apparentemente più arcaico di quello di Ghiberti, è raffigurato lo scontro delle tre
volontà dei protagonisti della scena, culminante nel nodo delle mani di Abramo, del collo di Isacco
e del braccio dell'angelo, che ferma Abramo afferrandolo. Lo scontro è anche sottolineato dal
corpo di Abramo, tutto scattante in avanti, tanto da lasciarsi dietro un lembo del mantello al
vento, e da quello efebico di Isacco, deformato dal terrore e piegato in senso contrario a quello
paterno, come a divincolarsi. La calma della parte inferiore, accentua per contrasto la tensione di
quella superiore. L'altare è composto in tre dimensioni illusorie e decorato da un rilievo
bizantineggiante sulla fronte. Le figure sono ben staccate dallo sfondo, quasi proiettate verso lo
spettatore, con un senso di movimento scattante ripreso da Giovanni Pisano e attualizzato con
un'attenzione al naturalismo di matrice nordica e citazioni dirette dell'antico, come lo Spinario e il
rilievo dell'altare. La formella di Brunelleschi è quindi più drammatica e originale nel modo di far
rivivere l'azione, per questo più proiettata verso il futuro, mentre quella di Ghiberti è più
accondicendente al gusto tradizionale. La forza espressiva della formella di Brunelleschi è tale da
far apparire al confronto la formella di Ghiberti una pacata recitazione. La vittoria spettò a
Ghiberti, segno di come Firenze non fosse ancora pronta al classicismo innovativo che fu all'origine
del Rinascimento, proprio in scultura prima che in pittura: di lì a poco la committenza si aprì, per
circa un decennio, ai modi del gotico internazionale, come dimostrano altre opere di Ghiberti,
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come il San Giovanni Battista, o di altri artisti attivi in città quali Lorenzo Monaco e Gentile da
Fabriano.
Confronto con Ghiberti
Sacrificio di Isacco, Ghiberti
Ghiberti divise la scena invece in due zone verticali armonizzate da uno sperone roccioso
leggermente inclinato. Le figure appaiono inscritte in un quadrato che non sfrutta tutto lo spazio
disponibile e la presenza dello sfondo roccioso crea un trapasso graduale tra figure e sfondo, privo
dei forti chiaroscuri presenti nell'opera di Brunelleschi: lo spazio sembra così "avvolgente" (non più
un semplice supporto dove collocare le figure), facendo da modello agli esperimenti di stiacciato
di Donatello.
Nonostante alcuni dettagli espressivi, come il volto di Abramo, la narrazione è piuttosto pacata,
con il calmo atteggiarsi di Isacco e il distaccato passeggiare dei due servitori in conversazione tra
loro. Le figure hanno pose eloquenti, ma senza trasalimenti né scatti. Vi convivono con
straordinaria sintesi sia elementi del gotico (come l'arcaicistica roccia spigolosa, antiquata già al
tempo di Giotto) e del tardo gotico (come l'elegante e cadenzata linea del panneggio), sia elementi
aggiornati all'antico, come le proporzioni dei corpi, soprattutto quello nudo di Isacco, dal perfetto
modellato, che ricorda, assieme alle girali a rilievo sull'altare, opere dell'arte ellenistica.
DAVID DI DONATELLO
Il David (o Mercurio) è una scultura in bronzo realizzata da Donatello all'incirca nel 1440. Misura
158 cm per un diametro massimo di 51 cm ed è conservata nel Museo nazionale del Bargello a
Firenze. Opera forse più celebre e al tempo stesso più atipica dell'artista, è emblematica
dell'intero Quattrocento italiano, densa di significati non tutti completamente svelati. Dai tempi
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dell'antica Roma è il primo rilievo a tutto tondo di un nudo, inteso come opera a sé stante, libera
da elementi architettonici.
Storia
Il David, realizzato probabilmente per il cortile di palazzo Medici, è di datazione molto controversa:
l'anno di fusione proposto negli studi critici oscilla tra il 1427 e il 1460. La datazione più diffusa è
quella che lo colloca tra le opere degli anni quaranta del Quattrocento, quando il grande scultore
lavorò per Cosimo de' Medici. La prima menzione documentaria risale al 1469, che lo segnala
presente nel cortile di casa Medici durante le celebrazioni per le nozze di Lorenzo il Magnifico con
Clarice Orsini. La statua era posta su una colonna di marmi policromi, decorata alla base da foglie e
arpie, opera perduta di Desiderio da Settignano che è descritta anche da Vasari. Negli anni
quaranta il cortile non era ancora compiuto, per cui - se è stata realizzato precedentemente - in
origine avrebbe potuto trovarsi in una sala.
Nel 1495, in occasione della seconda cacciata dei Medici, venne trafugato dalla folla e trasportato
in palazzo Vecchio, quale simbolo della libertà repubblicana. Qui venne esposta nel primo cortile,
quello che allora era l'unico e principale. Le collocazioni nel cortile di Palazzo Medici e poi a
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palazzo Vecchio sono in comune con quelle del gruppo di Giuditta e Oloferne sempre di Donatello,
con la quale faceva una sorta di pendant, anche se questa seconda opera venne certamente
scolpita nella fase tarda dell'attività dell'artista, verso il 1453-1457.
Tornato in mano medicea con Cosimo I, nel 1555 il David venne collocato in una nicchia esterna
sulla facciata del palazzo pubblico, vicino l'entrata, dove fu spostato nel 1592 per stare nel
secondo cortile e poi nella sala del guardaroba. Agli inizi del XVII secolo la statua si trovava sopra il
camino di una sala di rappresentanza di Palazzo Pitti. Nel 1777 pervenne agli Uffizi, dove il Lanzi la
collocò nella sala delle sculture moderne. Con la creazione del Museo nazionale del Bargello fu tra
le prime opere ad essere selezionate per la collezione di sculture rinascimentali del nuovo museo
ed il trasferimento avvenne nella seconda metà del XIX secolo. Inizialmente esposta nella sala dei
Bronzi, fu poi collocata in posizione predominante nel salone di Donatello al primo piano, dove si
trova tuttora, appoggiata su una base di marmo quattrocentesca.
È stato recentemente sottoposto a un intervento di restauro (2007-2008), che ha riscoperto
abbondanti tracce della doratura originale. Dal termine del restauro è stato esposto accanto ad
una copia in bronzo che ne mostra il probabile aspetto originario [1]. Dal 7 maggio al 2 giugno 2009
è stato esposto, non senza polemiche, alla Fiera Campionaria di Milano[2].
Descrizione
I calzari di Mercurio
La statua ha gli attributi sia dell'eroe biblico (la testa di Golia ai piedi, la spada) simbolo delle virtù
civiche e del trionfo della ragione sulla forza bruta e sull'irrazionalità, sia del dio Mercurio (i calzari
alati), dio dei commerci (l'attività della famiglia Medici) che decapitò Argo Panoptes, il gigantesco
pastore dei cento occhi. L'eroe è raffigurato in piedi, con un insolito cappello a punta decorato da
una ghirlanda di alloro (il petaso dei pastori classici ripresi dal tipo classico dell'Antinoo silvano). I
capelli sono lunghi e sciolti, il volto rivolto leggermente verso il basso e enigmaticamente assorto.
Il corpo è nudo, a parte i calzari che arrivano al ginocchio, ed è mollemente appoggiato sulla
gamba destra, mentre la sinistra è poggiata sulla testa del mostro sconfitto, il gigante Golia. Il
corpo morbido e vivace, modellato all'antica, è quello di un fanciullo gracile ed efebico ma
estremamente armonioso e ponderatamente leggero, con una postura fiera e disinvolta allo
stesso tempo. Nella mano destra tiene la spada abbassata e in quella sinistra, appoggiata sul
fianco, nasconde il sasso con cui ha ucciso il rivale. La base è composta da una ghirlanda circolare
appoggiata orizzontalmente.
Stile
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Veduta posteriore (copia del V&AM)
Donatello qui dà un'interpretazione intellettualistica e raffinata della figura umana. La posa ricalca
la statuaria prassitelliana, ma l'insieme è molto più naturalistico. Il corpo giovane del David è
ritratto in tutta la sua perfezione e potenza, con la spada inclinata (usata come terzo punto
d'appoggio), la testa piegata e il piede alzato. Il modellato è sensibilissimo e la posa ha lievi
asimmetrie. Il viso di David non è solo pensieroso: se lo si guarda attentamente trasmette quella
sensazione di superiorità e malizia di un adolescente, con uno sguardo che è consapevole della sua
impresa mastodontica e ne è orgoglioso. È proprio questo senso del reale che evita la caduta nel
puro compiacimento estetico, con i riferimenti intellettuali trasformati in qualcosa di sostanziale e
vivo. La scultura non ha un lato privilegiato per la vista, anzi ruotandoci attorno si scoprono via via
nuovi dettagli e si ha sempre una visuale armoniosa dell'intero corpo. Ad esempio la veduta di
profilo permette di ammirare il caratteristico elmo a punta, mentre la veduta posteriore mostra
tutta la sensualità androgina del corpo di giovinetto. Vasari annotò come Donatello si sarebbe
rifatto all'osservazione di un modello dal vivo, piuttosto che a un repertorio di modelli scultorei
classici.
La testa di Golia è un capolavoro sotto più punti di vista, dalla forte espressività legata a un cesello
finissimo della barba e della decorazione dell'elmo, dove Donatello citò una danza di putti
presente su una gemma intagliata con il Trionfo di Bacco e Arianna, già appartenente a Paolo
Barbo ed entrata nelle collezioni medicee solo nel 1471.
Altre interpretazioni
Tra le molteplici interpretazioni Spina Barelli mise la statua in relazione con la corrente epicurea
attiva a Firenze tra il 1430 e il 1440, che ebbe come massimo esponente Lorenzo Valla: il David
sarebbe il simbolo dell'umanesimo che vince sui pagani (Golia), un soggetto forse suggerito da
Niccolò Niccoli. Janson sostenne la datazione precoce della statua, ritenendola una commissione
della Repubblica dopo il 1428, per la vittoria contro Filippo Maria Visconti, che venne poi
acquistata dai Medici verso il 1444. Pope-Hennessy la collegò al clima padovano ed alla cerchia di
Palla Strozzi. Ames-Lewis la collocò verso il 1460, come frutto di una collaborazione con Marsilio
Ficino che avrebbe suggerito il tema dell'"Amor caelestes" che trionfa sull'"Amor vulgaris".
Parronchi poi, riprendendo una conferenza di Lanyi (1940), la mise in relazione con la gara di
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poesia in volgare "certame coronario" organizzata da Leon Battista Alberti e svoltasi nel 1441: i
Medici, che ne furono i mecenati, in quell'occasione avrebbero potuto ricevere in premio proprio
la statua. Nella sua interpretazione spiega la statua come un'allegoria di Verità che sconfigge
l'Invidia. Scalini infine ipotizza che facesse parte originarimanete di una fontana e che raffigurasse
l'Amore che trionfa sull'"Odio capitale".
IL DAVID DI MICHELANGELO
l David è una celeberrima scultura, realizzata in marmo (h 410 cm, 517 con la base) da
Michelangelo Buonarroti, databile tra il 1501 e l'inizio del 1504 e oggi conservata nella Galleria
dell'Accademia a Firenze. Largamente considerato un capolavoro della scultura mondiale, è uno
degli emblemi del Rinascimento, nonché simbolo di Firenze e dell'Italia in generale all'estero [1].
Il David ritrae l'eroe biblico nel momento in cui si appresta ad affrontare Golia e fu
originariamente collocata in piazza della Signoria a Firenze come simbolo della Repubblica
fiorentina stessa, vigile e vittoriosa contro i nemici.
Storia
Le difficili premesse
Il 16 agosto del 1501 i consoli dell'Arte della Lana e gli Operai del Duomo di Firenze
commissionarono a Michelangelo una statua di Re Davide, da collocare in uno dei contrafforti
esterni posti nella zona absidale della cattedrale di Santa Maria del Fiore. Si trattava di un'impresa
colossale, che non aveva precedenti nell'arte rinascimentale, e che era già stata tentata due volte.
L'enorme blocco di marmo bianco destinato all'opera era infatti già stato abbozzato prima da
Agostino di Duccio nel 1463-1464 e poi da Bernardo Rossellino nel 1476, ma poi abbandonato da
entrambi per le caratteristiche non ottimali del pezzo [2]: si trattava di un problema di fragilità,
dovuta alla scarsa qualità del marmo, e di forma del blocco, considerato troppo alto e stretto,
insufficiente per un pieno sviluppo anatomico di una figura di tali dimensioni. Il blocco era
specialmente friabile nella zona sotto l'attuale braccio sinistro, e si temeva che una volta scolpito
non fosse in grado di reggere il peso della figura sulle sole gambe [3].
Nonostante le fonti tacciano al riguardo, è lecito pensare che il blocco dovesse presentare già
alcune forme antropomorfe, per quanto parziali, tanto che i fiorentini erano soliti già chiamarlo "il
Gigante"[4].
La scolpitura
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Installazione del novembre 2010 di una replica del David nella collocazione originaria prevista, su un
contrafforte della cupola di Santa Maria del Fiore
Nonostante le difficili premesse Michelangelo, allora poco più che venticinquenne, non si
scoraggiò, conscio dell'enorme prestigio che gli avrebbe garantito un successo, e accettò la sfida,
affrontando il blocco, definito "male abbozatum et sculptum", all'interno dell'Opera (l'attuale
cortile del Museo dell'Opera del Duomo)[2].
L'inizio del lavori di Michelangelo risale al 9 settembre 1501, quando l'artista provò la durezza del
blocco sbozzandolo con qualche colpo di scalpello, per poi mettersi effettivamente all'opera il 13.
Il 14 ottobre, probabilmente disturbato dagli occhi indiscreti di chi voleva vedere "il gigante" in
lavorazione, fece costruire un recinto di tavole attorno al suo campo di lavoro [2].
Pare che il soggetto fosse già stato predefinito come nudo e in un'iconografia innovativa, senza la
testa di Golia ai piedi (come nel David di Donatello e in quello di Verrocchio), quindi prima della
micidiale sfida.
Il marmo presentava numerose venature dette "taròli", che Michelangelo provvide a stuccare e
ricoprire con malta di calce restituendo alla superficie la levigatezza tipica delle sue sculture
giovanili[2].
Vi lavorò per un totale di tre anni, creando un'opera leggendaria che conteneva nella sua vicenda
tutte le premesse per il mito: l'enorme difficoltà tecnica, l'innegabile bellezza del risultato, capace
di togliere il fiato ancora ai giorni nostri, e le numerose vicende che ne hanno segnato la storia [4].
L'esecuzione dovette essere circondata da un'aura di mistero e trepidante attesa nei fiorentini,
consci dei successi romani dell'artefice e curiosi di sapere l'esito di una prova così difficoltosa. Lo
stretto riserbo venne sciolto solo la vigilia della festa di San Giovanni, patrono cittadino, il 23
giugno 1503, quando venne aperto il recinto e invitata la popolazione ad ammirare il capolavoro
ormai in via di completamento[5].
Il 25 gennaio 1504 la statua viene definita "quasi finita" e si procedette a nominare una
commissione per deciderne la collocazione [2].
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La decisione della collocazione
Leonardo da Vinci, studio del David di Michelangelo (dettaglio), Royal Library, Windsor
Era infatti chiaro che il risultato superava di gran lunga le aspettative e non era più adatto per i
contrafforti del Duomo, ma idoneo piuttosto a una collocazione più ambiziosa, in piazza dei Priori,
il cuore della vita politica cittadina: ciò venne proposto dal Gonfaloniere di Giustizia Pier Soderini,
evidentemente rifacendosi a un proposito dello stesso Michelangelo, trasferendo il valore
simbolico del David da un contesto religioso ad uno civile[2]. Evidentemente le autorità
repubblicane avevano immediatamente colto la forte simbologia politica del David: egli incarnava
la figura del giusto che, armato di sola fionda e della fede in Dio, riesce a prevalere sul forte ma
iniquo, immagine facilmente accostabile a quella di un buon governo, garante delle libertà e del
bene comune, protetto dal favore divino. Non si poteva chiedere una migliore "insegna" per la
Repubblica appena restaurata e per i suoi valori, dopo un periodo di forti turbolenze [5].
Nella commissione che doveva scegliere il luogo di esposizione dell'opera figuravano, tra gli altri,
tutti gli artisti famosi attivi in città: Sandro Botticelli, Filippino Lippi, Leonardo da Vinci, Pietro
Perugino, Lorenzo di Credi, Antonio e Giuliano da Sangallo, Simone del Pollaiolo, Andrea della
Robbia, Cosimo Rosselli, Davide Ghirlandaio, Francesco Granacci, Piero di Cosimo, Andrea
Sansovino. Le ipotesi plausibili erano diverse: Botticelli, isolatamente, preferiva una collocazione
nei pressi del Duomo[5]; l'araldo del Comune, sostenuto in primis da Filippino Lippi, prevedeva una
collocazione a lato della porta principale di Palazzo Vecchio, affacciata sulla piazza; altri
suggerirono anche al centro del suo cortile; un'altra strada indicava invece una collocazione sotto
la Loggia della Signoria[2].
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Le ragioni della seconda opzione, proposta da Giuliano da Sangallo, erano essenzialmente
conservative. A questa idea aderì Leonardo da Vinci, che prese parola per suggerire una
collocazione dell'opera a ridosso della parete breve della loggia, incorniciata da una nicchia, "in
modo che non guasti le cerimonie delli ufficiali". Si trattava di un'ipotesi che relegava la statua in
posizione defilata, equivocandone l'essenza fisica e ribaltandone i valori formali, in cui si è voluto
leggere uno spunto polemico tra i due geni, tra i quali dovevano correre pessimi rapporti.
Leonardo infatti scrisse che non apprezzava gli "eccessi" anatomici [6] che fanno parte dello stile
michelangiolesco e dei suoi seguaci, pur senza mai citare direttamente il rivale [7]: in uno schizzo
che fece del David si vede chiaramente come l'enfasi muscolare, calata nel suo stile morbido e
soffuso, appare quanto mai retorica e fuori luogo.
In ogni caso la posizione leonardesca rimase minoritaria, optando infine per una collocazione di
massimo risalto all'aperto, dominante e autorevole davanti a Palazzo Vecchio[8], al posto della
Giuditta di Donatello.
La sistemazione
La Galleria dell'Accademia negli anni cinquanta-sessanta
L'enorme statua venne trasportata in quattro giorni fino al 18 maggio 1504, con una
partecipazione di più di quaranta uomini, incaricati di trainare e sorvegliare lo scorrimento
all'interno di una gabbia lignea, che teneva il marmo prudentemente staccato dal fondo,
scorrendo su travi unte di grasso di sévo, per evitare al massimo vibrazioni che potessero
danneggiarlo[5].
Durante il tragitto, in una pausa notturna un gruppo di giovani fedeli alla fazione filo-medicea,
estromessa dal potere, aggredì la statua prendendola a sassate, in quanto simbolo riconosciuto del
governo repubblicano: il valore simbolico dell'opera era già estremamente evidente [5].
Michelangelo rifinì la statua sul posto dipingendo in oro il tronco d'albero dietro la gamba destra e
aggiungendo delle ghirlande di ottone con foglie in rame dorato che cingevano la testa e la cinghia
della fionda.
La Giuditta venne spostata sotto la loggia l'8 giugno[2]. Pochi giorni dopo, l'11, venne affidata
l'esecuzione di una base adeguata a Simone del Pollaiolo e Antonio da Sangallo, così che l'8
settembre di quell'anno il David poteva essere collocato al suo posto, "fornito e scoperto di
tutto"[9], esposto tuttavia al degrado causato dagli agenti atmosferici. Il David venne rivolto a sudovest, in segno di sfida alle popolazioni nemiche pronte ad attaccare Firenze. Accanto a lui doveva
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essere posta anche un'altra statua, raffigurante Ercole, a simboleggiare la forza sia fisica (Ercole)
che intellettuale (David) dei fiorentini e della Signoria, ma questa seconda statua non fu mai
realizzata da Michelangelo e solo in seguito venne scolpita da Baccio Bandinelli.
Allo scultore vennero pagati, in tutto, 400 fiorini.
Il mito del David
Il retro
Il successo del David di Michelangelo fu immediato. L'umanista Pomponio Gaurico nel suo dialogo
De Sculptura del 1504 lo porta come esempio di arte eccelsa, lo stesso fece Benedetto Varchi anni
dopo mentre a testimonianza del mito che la statua incarnava nella cultura umanistica
rinascimentale valgono le parole di Giorgio Vasari nelle Le vite de' più eccellenti architetti, pittori,
et scultori italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri nell'edizione del 1550 "[...] e veramente che
questa opera ha tolto il grido a tutte le statue moderne et antiche, o greche o latine che elle si
fossero [...] Perché in essa sono contorni di gambe bellissime et appiccature e sveltezza di fianchi
divine; né mai più s'è veduto un posamento sí dolce né grazia che tal cosa pareggi, né piedi, né
mani, né testa che a ogni suo membro di bontà d'artificio e di parità, né di disegno s'accordi tanto.
E certo chi vede questa non dee curarsi di vedere altra opera di scultura fatta nei nostri tempi o ne
gli altri da qualsivoglia artefice."
Sin dai tempi della sua prima apparizione la statua del David venne celebrata come l'opera capace
di mutare il gusto estetico del suo tempo e di affermarsi quale espressione ideale del
Rinascimento, tutto questo grazie all'applicazione dello studio anatomico al fine di rendere con
forme virili possenti e armoniche l'immagine del nudo eroico, la cui forma era la realizzazione
fisica, di un complesso insieme di valori filosofici ed estetici. I Fiorentini si immedesimarono con
l'aspetto atletico e fiero del giovane eroe interpretandolo come espressione della forza e della
potenza della città stessa nel momento del suo massimo splendore, per i sostenitori della
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Repubblica divenne il simbolo della vittoria della democrazia sulla tirannide esercitata in
precedenza dalla famiglia Medici.
Danni e riparazioni
Nel 1512 una saetta colpì il basamento, che preoccupò per le "crettature", cioè i segni di
cedimento, all'altezza delle caviglie, ma in definitiva non ci furono danni [2]. Il 26 aprile del 1527
durante la seconda cacciata dei Medici da Firenze ci furono dei tumulti in città e un gruppo di
repubblicani, asserragliati in Palazzo Vecchio, per difendersi dagli oppositori lanciarono dalle
finestre pietre, tegole e mobili, che andarono a cadere anche sul David, causando gravi danni,
quali la frantumazione del braccio sinistro in tre pezzi e la scheggiatura della fionda all'altezza della
spalla. Giorgio Vasari e Francesco Salviati, devoti estimatori di Michelangelo, raccolsero
personalmente i frammenti della statua e li nascosero in casa del Salviati. Con il ritorno del
Granduca Cosimo I si provvide al restauro. I segni dell'episodio sono ancora visibili [2]. Nel 1813 il
dito medio della mano destra fu ricostruito in seguito a un danneggiamento. Nel 1843 lo scultore
Lorenzo Bartolini, direttore delle "Regie Fabbriche", incaricò Aristodemo Costoli del restauro, che
fu eseguito con un metodo drastico di pulitura a base di acido cloridrico e di ferri taglienti per
togliere le croste superficiali, intervento che nel corso degli anni si rivelò nefasto per i danni
irreparabili alla superficie del marmo. Il 29 agosto 1846 il fonditore Clemente Papi fece il calco in
gesso che servì poi come base della futura gettatura in bronzo della copia che attualmente si trova
in piazzale Michelangelo, sulla terrazza che domina Firenze.
Il trasferimento
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La copia attualmente in piazza della Signoria (1910)
Nel 1872 viste le condizioni precarie di conservazione fu deciso il ricovero della statua nella
Galleria dell'Accademia a Firenze. Per accogliere la grande statua venne incaricato l'architetto
Emilio De Fabris di costruire una nuova Tribuna scenograficamente posta al termine della Galleria
dei Quadri antichi, con un'illuminazione propria, garantita in alto da un lucernario. Nell'agosto del
1873 la statua venne imbracata in un complesso carro ligneo, il cui modellino è visibile nel museo
della Casa Buonarroti, e scorse su rotaie per le vie del centro fino all'Accademia, ancora una volta
tra imponenti misure di sicurezza, accompagnata dal clamore popolare [5].
Nel museo restò però chiusa nella sua cassa per ben nove anni, in attesa del termine dei lavori alla
Tribuna[10]. Nel 1875, con le celebrazioni del IV centenario della nascita di Michelangelo si decise di
creare una mostra con le riproduzioni in gesso dei suoi capolavori scultorei, e per l'occasione il
David venne spacchettato provvisoriamente, entro la tribuna allestita con tendaggi che coprissero
la zona al di sopra della trabeazione ancora in fase di edificazione [10].
Il 22 luglio 1882 il Museo michelangiolesco venne finalmente inaugurato e la statua rivelata alla
fruizione del pubblico[10].
In piazza della Signoria venne collocata una copia nel 1910.
Vicende recenti e il restauro [modifica]
Nel 1991 un folle danneggiò la statua con un martello, come era accaduto circa vent'anni prima
alla Pietà vaticana. In confronto a quell'atto vandalico però, i danni al David furono assai più
limitati, rompendo l'alluce del piede, che venne subito completato adoperando i frammenti
originali e servendosi dei numerosi calchi esistenti per reintegrare la lacuna in maniera esatta.
Una nuova copia della statua è stata offerta dalla città di Firenze alla città di Gerusalemme nel
2004 per celebrare il terzo millennio dalla conquista della città da parte di David. La proposta ha
scatenato la protesta di alcuni religiosi ortodossi che consideravano il nudo michelangiolesco non
degno di un eroe biblico e anzi troppo vicino ad un ideale estetico classicista e dunque pagano; alla
fine un compromesso è stato raggiunto, optando per una riproduzione totalmente vestita.
A partire dal 2003 è stato sottoposto ad un accuratissimo lavaggio e restauro a cura del
laboratorio di restauro dell'Opificio delle pietre dure di Firenze (vedi sezione sottostante). Questo
lungo lavoro è stato realizzato per celebrare il cinquecentenario della realizzazione dell'opera nel
2004. Al termine dei lavori sono stati esposti accanto al David opere ed installazioni di artisti
contemporanei internazionali (fra i quali Jannis Kounellis), con un accostamento molto originale
che ha suscitato clamore e interesse in tutto il mondo. Nel giorno d'oggi questa scultura è stata
anche ripresa dalla celebre ditta di abbigliamento Levis. --188.216.153.64 (msg) 15:54, 26 nov
2011 (CET)G.G
La disputa tra Comune e Stato [modifica]
Nel 2008 il Comune di Firenze, guidato dall'allora sindaco Leonardo Domenici, propose un nuovo
trasferimento del David per decongestionare il turismo nel centro cittadino, proponendo come
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sede alternativa la Stazione Leopolda[11]. La proposta, presa più che altro come una provocazione,
non venne ascoltata, ma fu all'origine di un contenzioso tuttora aperto tra Comune e Stato.
Con ricerche d'archivio fatte in quell'occasione, saltò infatti fuori che nell'atto di donazione di
Palazzo Vecchio dallo stato al Comune (1871) era incluso l'Arengario (cioè la platea rialzata davanti
al palazzo) e tutte le statue presenti, compreso quindi il David[12]. Ciò ha indotto il neo-eletto
sindaco Matteo Renzi a intraprendere una contesa legale con lo Stato rivendicando la proprietà
della statua, che a oggi frutta circa 8 milioni d'euro all'anno in introiti legati agli ingressi alla
Galleria dell'Accademia e al merchandising[13].
Dal canto suo lo Stato ha risposto, tramite i suoi legali, che la statua non era compresa nella
donazione, non essendo elencata negli inventari, poiché era già sottinteso il suo trasferimento
all'Accademia, al quale infatti il Comune allora non si oppose [12].
Descrizione e stile
Veduta laterale
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Veduta laterale
Veduta dal basso
Il soggetto del David, fortemente radicato nella tradizione figurativa fiorentina, venne rielaborato
evitando gli schemi compositivi consolidati, scegliendo di rappresentare il momento di
concentrazione prima della battaglia. I muscoli del corpo sono poderosi ma ancora a riposo,
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tuttavia capaci di trasmettere il senso di una straordinaria potenza fisica [3]. L'espressione accigliata
e lo sguardo penetrante rivelano la forte concentrazione mentale, manifestando quindi la potenza
intellettuale che va a sommarsi a quella fisica.
L'eroe biblico è rappresentato nel momento in cui si appresta ad affrontare Golia, il gigante
filisteo; nella mano destra, infatti, stringe il sasso con il quale sconfiggerà il nemico da lì a poco. Lo
sguardo fiero e concentrato è rivolto al nemico, con le sopracciglia aggrottate, le narici dilatate e
una leggera smorfia sulle labbra che forse tradisce un sentimento di disprezzo verso Golia. Nella
realizzazione degli occhi Michelangelo perfezionò la tecnica di perforare le pupille affinché
potessero evitare la luce e creare un gioco di ombre che rende gli occhi molto più penetranti.
Per evitare di porre il peso della statua sulla parte sinistra del blocco, più debole, Michelangelo
appoggiò tutto il peso sulla gamba destra, rafforzata da un piccolo tronco che ha una funzione
essenzialmente statica. La posa è quella tipica del contrapposto, che, tramandata anche nel
medioevo, derivava dal canone di Policleto.
Il corpo atletico, al culmine della forza giovanile, si manifesta tramite un accuratissimo studio dei
particolari anatomici, dalla torsione del collo attraversato da una vena, alla struttura dei tendini,
dalle venature su mani e piedi, alla tensione muscolare delle gambe, fino alla perfetta muscolatura
del torso.
Per dare maggiore espressività e risalto Michelangelo ingrandì leggermente la testa e le mani, nodi
cruciali, perfezionati armonicamente con la veduta privilegiata dal basso. Questo effetto si è
attenuato in seguito al suo trasferimento nel museo dove la statua è stata collocata su un
piedistallo più basso di 63 centimetri. In queste variazioni di proporzionamento si possono leggere
anche motivazioni di carattere filosofico: la testa rappresenta la ragione, quindi il mezzo che
permette all'uomo di pensare e di distinguersi dalle bestie; le mani sono invece lo strumento di cui
la ragione si serve per operare.
La forza del David non proviene dalla fede religiosa in Dio, come altre versioni artistiche dell'eroe,
gracile e quasi femmineo, sembrano avallare: la sua forza è assolutamente autogenerata ed
autosufficiente.
Tra i riferimenti a statue precedenti gli storici colsero analogia coi Dioscuri di Montecavallo[14], con
le rappresentazioni di Ercole su sarcofagi romani o sul pulpito del Battistero di Pisa di Nicola
Pisano[15]; per quanto riguarda l'opera michelangiolesca, precedenti legati al trattamento della
capigliatura e all'espressione concentrata e fiera sono ravvisabili, sebbene in piccolo, nel San
Procolo dell'Arca di San Domenico a Bologna o nel San Paolo dell'Altare Piccolomini a Siena[2].
Il restauro moderno e lo stato di conservazione [modifica]
L'ultimo intervento di restauro è del 2003. Sono state utilizzate nella fase di diagnosi metodi
modernissimi, come la scansione al laser dell'intera superficie, per simulare le zone di maggiore
esposizione alla pioggia e agli altri agenti atmosferici e inquinanti. Il David è stato diviso in 68 zone
fotografate digitalmente ognuna delle quali è stata analizzata secondo quattro tipologie di
problemi conservativi: difetti del marmo, depositi di materiali in superficie, rotture, residui di
lavorazioni precedenti.
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Per quanto riguarda la natura e la qualità del marmo, questo è attraversato da una grande
quantità di venature e "taròli", inusuali nei marmi considerati buoni dagli artisti del XVI secolo;
inoltre le zone maggiormente esposte alla pioggia (spalle, braccio destro, mano e piede sinistro)
mostravano una erosione superficiale maggiore che nelle altre statue simili. Questa erosione è
attribuibile anche in parte ai danni causati dall'incauto restauro del 1843 del Costoli, effettuato
con metodi aggressivi, che arrivò a scavare la pelle del marmo in alcuni punti fino a 2 millimetri.
Vennero monitorati anche i "cretti", cioè le microscopiche crepe, concentrate all'altezza delle
caviglie, apparse, secondo le fonti storiche, dopo il fulmine del 1512 e accentuate anche dal fatto
che nella collocazione originaria la statua sporgeva di circa 28 centimetri rispetto al baricentro a
causa del dissesto del terreno.
La statua inoltre mostrava ancora residui del calco in gesso, tracce di encausto steso in funzione
protettiva nel 1813, macchie di cera depositata in occasione di cerimonie pubbliche durante i
secoli di esposizione, e anche delle macchie brune di ossidi di ferro lasciati durante la costruzione
di un gabbiotto protettivo nel 1872.
Alcuni particolari del David sono veri e proprio rifacimenti di diverse epoche: parte della fionda e
della mano destra sono successivi ai danneggiamenti del 1527, il dito medio della mano destra è
del 1813, il mignolo del piede destro è del 1851.
Il lavoro di ripulitura del David è stato effettuato con tecniche molto semplici. I residui di gesso
sono stati asportati con impacchi di acqua distillata su polpa di cellulosa e sepiolite con
interposizione di carta giapponese. Le macchie di cera sono state asportate con un tampone
imbevuto di un'essenza di petrolio, mentre l'encausto è stato eliminato meccanicamente con il
bisturi e l'ausilio del microscopio. Con lo stesso sistema sono state tolte le stuccature della
ricostruzione del braccio sinistro, sostituito da un impasto di calce e marmi polverizzati.
Oltre alla dovuta pulitura i restauratori hanno cercato di ottenere una maggiore uniformità
cromatica e una migliore leggibilità al capolavoro michelangiolesco.
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