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e ragazze - Il Capitello

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e ragazze - Il Capitello
3
Antologia 1
Storie di ragazzi
e ragazze
Voglia di amicizia, vita di scuola, giochi insieme
IL PIACERE DI leggere
VOGLIA DI AMICIZIA
Ditemi che cosa sono io
C. Alvaro
p.   42
LA DIFFICOLTÀ DI CRESCERE
La fuga
M. Twain
R. Dahl
Matilde
I. Mc Ewan
L'inventore di sogni
p.   44
p.   49
p.   53
A CHE GIOCO GIOCHIAMO?
I. Calvino
Un bastimento carico di granchi p.   56
I. Calvino
Lo scivolo
p.   61
Il piacere di leggere
Antologia 1
3. Storie di ragazzi e ragazze
voglia di amicizia
Ditemi che cosa sono io
Corrado Alvaro
P
Cesarino, un ragazzo
di città, trovatosi in un
paese di campagna,
comincia subito a
organizzare un
esercito di monelli.
Peppino, arrivato
in ritardo, vorrebbe
giocare con loro e
cerca in tutti i modi
di farsi notare.
er il sentiero dei campi si mise a correre verso di loro un ragazzo esile e corto. Aveva un cappello di paglia sfondato, e
portava soltanto un pantalone a una gamba. L’altra metà si era
scucita e formava uno straccio sventolante sulla gamba destra.
Sporco in faccia, più sporco degli altri, aveva il naso schiacciato
e due piccoli occhi attenti.
Si fermò sotto un albero e li guardò giocare. Poi, per darsi un
contegno, scalò l’albero e si sedette su un ramo. Scese d’un balzo col pugno chiuso. Aveva acchiappato un grillo grosso, verde, sodo come una gemma di fico. Un ragazzo glielo strappò di
mano e andò a consegnarlo a Cesarino. Il nuovo venuto cominciò
a domandare a destra e a sinistra:
– Mi volete far giocare con voi?
Ma nessuno gli dava retta. Poi chiese:
– Chi è quello col vestito nuovo?
Non gli risposero. Si accostò alla compagnia, si mise seduto a
guardare.
Gli occhi di Cesarino si posarono su di lui. Il ragazzo non sapeva
che fare. Si batteva con la mano la coscia nuda. Poi disse:
– Io so dove si trova un nido di rondoni.
Cesarino non lo udì. Ma guardandolo, fu preso da un’idea improvvisa.
– Come ti chiami? – gli domandò.
– Peppino – rispose quello.
– Benissimo – disse Cesarino – tu sei il nemico.
Peppino parve contento della sua parte.
– Che devo fare? – domandò.
– Corri, corri – gridò Cesarino. Quello si mise a correre. Correva con tutte le sue forze, col petto in fuori e agitando le braccia
coi gomiti piegati. Si voltava ridendo di tratto in tratto, quando
si accorse che era inseguito davvero dalla turba1 dei ragazzi che
gridavano:
– Il nemico! Il nemico!
Peppino non rideva più. Sentiva le grida che lo incalzavano2,
e cominciò a piangere, credendo davvero di aver fatto qualche
cosa di male. Poi si fermò, e tutti gli furono sopra. Ma di botto
42
1. turba: gruppo disordinato.
2. lo incalzavano:
lo inseguivano avvicinandosi
velocemente.
Il
piacere
di
leggere
si scansarono tutti. Peppino era rimasto solo in mezzo al prato
come se fosse caduto da una grande altezza, o destatosi da un
grave sonno. Si stringeva con la mano la fronte, zitto.
– Che hai? – gli chiese Cesarino. Quello levò la mano, si guardò
la palma, vide una goccia di sangue che vi aveva fatto una macchia. Sulla fronte una lieve ferita sanguinava. Allora si mise a
gridare:
– Muoio!
Cesarino lo guardava sgomento, come se capisse per la prima
volta che quella ragazzaglia era fatta di carne come lui. Si chinò
sul ferito e gli tenne la mano sulla fronte.
– Che è stato?
– Uno con un sasso.
Il ferito sentiva sulla fronte la mano calda e tenera di Cesarino.
La ferita palpitava come una vena, gli bruciava un poco. Aveva
smesso di piangere. Disse sottovoce:
– Se mi volete far giocare con voi mi passa.
– Sì – rispose Cesarino. Allora Peppino si alzò in piedi, si mise la
foglia di una pianta sulla ferita, attaccandola con la saliva. Poi si
mise a correre dietro a Cesarino, e ansimando gli diceva:
– Ditemi che cosa sono io. Sono anch’io un soldato?
E non sapeva che fare.
C. Alvaro,
43
L’amata alla finestra, Bompiani
Il
piacere
di
leggere
Il piacere di leggere
Antologia 1
3. Storie di ragazzi e ragazze
La difficoltà di crescere
La fuga
Mark Twain
T
Le pagine che leggerai
sono tratte dal
romanzo
Le avventure di Tom
Sawyer.
Tom è un ragazzo
impulsivo e ribelle
per il quale il rispetto di
ogni regola è fonte di
sofferenza.
Egli vive lungo le rive
del Mississippi con la
zia Polly e il fratello
Sidney, sognando
di diventare un eroe
come quelli delle sue
letture.
Un giorno, insofferente
per l’apparente severità
della zia, che gli è in
verità profondamente
affezionata, decide…
om aveva preso le sue decisioni. Addolorato e avvilito1, abbandonato da tutti, si sentiva come se non avesse più un solo
amico, nessuno che gli volesse bene. Se gli amici si fossero resi
conto fino a che punto l’avevano spinto si sarebbero certamente
pentiti. Chissà! Egli aveva cercato di comportarsi bene con tutti ma gli era servito ben poco. E allora, se le cose stavano così,
li avrebbe liberati della sua presenza. Certamente avrebbero detto (ci si può scommettere) che il torto era tutto suo. Lo avevano
proprio spinto e non c’era scelta: egli sarebbe diventato un delinquente, un bandito; non c’era altro da fare.
Con la mente agitata da questi pensieri si era inoltrato nella Prateria del Pascolo, quando a un certo punto gli giunse all’orecchio il suono debole e lontano della campanella della scuola. Allora si abbandonò al pianto. Mai più avrebbe udito quella musica
così familiare. Era una sorte dura alla quale lo avevano costretto gli altri. Volevano che andasse lontano vagabondando per il
vasto mondo gelido e inospitale? Ebbene accettava la sorte. E tuttavia perdonava. Intanto i suoi singhiozzi erano sempre più frequenti.
Proprio in quel momento si imbatté nell’amico del cuore, Joe
Harper. Anche Joe aveva lo sguardo truce e covava nella mente
1. avvilito: umiliato,
scoraggiato.
Il
piacere
di
leggere
44
qualche proponimento disperato. Un vero caso di «due anime e
un pensiero solo». Asciugatesi le lacrime con la manica, Tom incominciò un discorso confuso, nel quale parlava della sua volontà di allontanarsi dalla gente incapace di capirlo e che lo trattava
male, e di andarsene a vagabondare lontano per il vasto mondo.
Concluse confidando a Joe la speranza che almeno lui, l’amico
prediletto, l’avrebbe ricordato sempre.
Ma si dava il caso che Joe stesse per rivolgere a lui la stessa domanda, anzi lo cercava proprio per quello. Sua madre lo aveva
frustato incolpandolo di aver mangiato una crema che non solo
non aveva assaggiato, ma di cui ignorava anche l’esistenza in
casa. Era chiaro che anche sua madre desiderava che se ne andasse; bene, se sua madre la pensava così, a lui non rimaneva
che accontentarla, con l’augurio di essere felice e di non doversi pentire di avere spinto il suo povero ragazzo ad andarsene ramingo2 per il mondo, a soffrire e a morire.
Mentre camminavano curvi sotto il peso del loro dolore, i due ragazzi strinsero un nuovo patto di fraterna alleanza e di aiuto reciproco. Non si sarebbero lasciati mai finché la morte non fosse
venuta a liberarli dalle loro pene. Quindi si misero a discutere
il loro programma. Joe proponeva di andare a fare gli eremiti3
dentro una caverna lontana dal mondo, a vivere di croste di pane
e di bacche, attendendo la morte per il freddo, per le privazioni e
le sofferenze che un giorno o l’altro sarebbero certamente venute. Ma, dopo aver udito il progetto elaborato da Tom, riconobbe
che una vita di delitti comportava pure dei vantaggi e accettò di
diventare pirata anche lui.
Tre miglia4 a sud di St. Petersburg, nel punto dove il Mississippi
è largo poco più di un miglio, c’era un’isola lunga e stretta, fitta
45
2. ramingo: si dice di
persona che vagabonda senza
meta.
3. eremiti: persone che
si ritirano in solitudine per
dedicarsi alla preghiera,
conducendo una vita austera.
4. miglia: il miglio è una
unità di misura di lunghezza
in uso nei paesi anglosassoni;
equivale a circa 1600 metri.
Il
piacere
di
leggere
di boschi, con un bassofondo sabbioso all’estremità, ottimo come
rifugio e luogo di ritrovo. Era disabitata; e si trovava di fronte
a una foresta anch’essa folta e deserta. Fu scelta dunque l’isola di Jackson. Non fu deciso quali sarebbero state le prime vittime delle loro gesta piratesche, anzi a questa parte del programma non pensarono affatto. Andarono invece in cerca di Huckleberry Finn, il quale acconsentì immediatamente a mettersi con
loro; tanto per lui le carriere erano tutte uguali. Poi si divisero
dandosi appuntamento in un punto deserto vicino al fiume a due
miglia a nord del villaggio, naturalmente a mezzanotte. In quel
punto si trovava una piccola zattera fatta di tronchi d’albero, essi
l’avrebbero catturata. Ciascuno di loro si impegnava a portare
ami e lenza per la pesca e tutte le provviste di cui avrebbero potuto impadronirsi con i mezzi più romanzeschi e tenebrosi quali
si convenivano a tre fuorilegge. Prima che calasse la sera vollero
procurarsi la soddisfazione di dichiarare ai loro amici che ben
presto «avrebbero sentito parlare di loro». Questa confidenza era
sempre accompagnata dalla raccomandazione: «zitto e mosca»,
«aspettare e tacere».
Verso mezzanotte Tom giunse all’appuntamento munito di un
bel prosciutto cotto e di altre cosette da mangiare e si cacciò nel
folto di certi cespugli su un rialzo che dominava il punto stabilito. Il cielo era stellato e tutto intorno era silenzio. Il grande fiume sembrava un mare in bonaccia5. Tom si pose in ascolto; nessun rumore turbava la quiete. Egli emise un lungo fischio sommesso al quale subito rispose un altro fischio che veniva dal terrapieno. Fischiò ancora due volte e due volte gli risposero altri
fischi. Infine una voce sommessa domandò:
– Chi va là?
– Tom Sawyer, il Vendicatore Nero del Mar delle Antille. E i vostri nomi?
– Huck Finn Mano Rossa e Joe Harper Terrore dei Mari.
Erano nomi che lo stesso Tom aveva fornito prendendoli dai suoi
libri preferiti.
– Sta bene. E la parola d’ordine?
Due voci rauche e sommesse fecero udire simultaneamente6 nel
silenzio della notte la parola tremenda:
– SANGUE!
Allora Tom fece calare il suo prosciutto e lo seguì scivolando
lungo il terrapieno7, lacerandosi le brache e un po’ di pelle.
Sì, c’era anche un sentiero più comodo, ma per l’appunto era
troppo comodo e troppo sicuro per un pirata.
Il Terrore dei Mari aveva con sé un grosso pezzo di pancetta, talmente pesante che egli non ce la faceva più a trascinarlo. Quanto
a Finn Mano Rossa, aveva rubato una pentola, un po’ di tabac-
46
5. bonaccia: calma di mare
con assoluta mancanza di
vento.
6. simultaneamente:
nel medesimo momento.
7. terrapieno: cumulo di
terra ammassata come rinforzo
dell’argine del fiume, per
impedire eventuali stra­ripa­
men­ti.
Il
piacere
di
leggere
co semiconciato8 in foglie e anche alcune pannocchie di granturco per fabbricare pipe con i loro torsoli; dei tre pirati l’unico
che avesse l’abitudine di «ciccare» e di fumare era proprio lui. Il
Vendicatore Nero osservò che era necessario procurarsi del fuoco. E fu quello un saggio consiglio, perché in paese a quel tempo i fiammiferi erano quasi sconosciuti. Per fortuna c’era il fuoco ancora acceso sopra una zattera grande ormeggiata un centinaio di passi più su ed essi andarono a rubare un tizzone. Naturalmente nelle loro menti quel gesto si esaltò fino a diventare un’impresa audace e pericolosa; la compirono con frequenti
«Ssss», arrestandosi spesso con il dito in croce sulle labbra, e
ogni tanto portavano la mano al fianco per sguainare una spada immaginaria, ripetendosi l’un l’altro la raccomandazione di
immergerla, al bisogno, nella pancia del nemico fino all’elsa9,
dato che «uomo morto non racconta storie».
Sapevano bene che i barcaioli erano tutti in paese a fare provviste o a bere un bicchiere; ma questa non era una buona ragione
per non comportarsi secondo le norme della pirateria.
Si staccarono dalla riva con la piccola zattera. Tom si era messo
al comando, Huck al remo di poppa mentre Joe manovrava quello di prua. Al centro del naviglio Tom era immobile, la fronte accigliata10, le braccia conserte. Egli dava gli ordini con voce sommessa ma decisa:
– Orza11 tutto e prendi il vento!
– Bene, signore.
– Poggia12, poggia!!!
– Fatto, signore!
– Punta a diritta!
– Sì signore, a diritta!
Naturalmente la zattera avanzava molto lentamente verso il centro del fiume, soltanto a forza di remi. I comandi venivano impartiti unicamente tanto per essere in carattere, senza nessuna
corrispondenza con la realtà.
– Che vele porti?
– Vele basse, gabbie e controfiocco, signore.
– Mollate i velacci, svelti, muoversi!
– Bene, signore!
– Adesso allungate le scotte13 e anche le drizze14! Coraggio, uomini del mare! Muoversi!
– Bene, signore!
– Pronti all’arrembaggio!
– Pronti!
La zattera oltrepassò il centro del fiume, i ragazzi misero la prua
sulla corrente e ritirarono i remi. Il fiume non era molto profondo e la corrente andava a non più di tre miglia all’ora. Per circa
47
8. semicon­ciato:
semilavorato. La concia è il
trattamento mediante il quale
le foglie di tabacco vengono
rese adatte a essere fumate.
9. elsa: impugnatura.
10. accigliata: corrugata,
aggrottata.
11. Orza: da orzare, che
significa navigare con la prua
contro vento.
12. Poggia: da poggiare,
cioè allontanare la prua
del­l’im­barca­zione a vela dalla
direzione da cui soffia il vento;
è il contrario di orzare.
13. scotte: cavi di manovra
per tendere le vele al vento.
14. drizze: cavi per innalzare
pennoni o vele.
Il
piacere
di
leggere
tre quarti d’ora non si udì una parola. La zattera scivolò alla deriva davanti al paese indicato da due o tre lumi di là dall’acqua
che rifletteva le stelle. Il villaggio dormiva profondamente ignaro dei terribili eventi che si stavano svolgendo. Il Vendicatore
Nero, diritto sul ponte, le braccia conserte, guardava, forse per
l’ultima volta, lo scenario delle sue gioie passate e dei suoi dolori
recenti. Fantasticava che avrebbe voluto che «lei»15 lo potesse vedere in quel momento, lontano, sull’Oceano selvaggio, sfidando
il pericolo e la morte con cuore intrepido e un amaro sorriso sulle labbra. Non c’era bisogno di un grande sforzo di fantasia per
trasportare l’isola di Jackson più lontana dell’orizzonte stesso,
invisibile dal paese, così «quell’ultimo sguardo» diventava davvero irrimediabile. Anche per gli altri due pirati era il momento
dell’ultimo sguardo, con il cuore spezzato e pure pieno di orgoglio. Quell’ultimo sguardo si prolungò oltre il dovuto, tanto che
per poco non si lasciavano alle spalle l’isola. Ma si accorsero in
tempo dell’errore e si misero ai remi. Verso le due del mattino la
zattera si incagliò sul banco di sabbia duecento metri a monte
dell’isola. I tre pirati dovettero sbarcare il carico guadando16 più
volte. L’attrezzatura della zattera comprendeva una vecchia tela
che venne distesa fra due cespugli a mo’ di riparo delle provviste. Quanto a loro, da veri pirati, intendevano dormire all’aperto,
sempre che il tempo lo permettesse.
Accesero il fuoco a una trentina di passi dall’acqua, presso un
tronco d’albero abbattuto, e arrostirono nella padella un po’ di
lardo per la cena. Arrostirono anche alcune pannocchie di granturco, una metà della provvista. Fu un magnifico banchetto nella sconfinata libertà della foresta vergine, su un’isola ugualmente inesplorata, lontano dai luoghi abitati dall’uomo.
I tre pirati erano decisi a non tornare mai più in mezzo alla gente cosiddetta civile.
M. Twain,
48
15. «lei»: la ragazzina di
cui Tom è innamorato senza
essere ricambiato.
16. guadando:
attraversando a piedi le acque
basse del fiume.
Le avventure di Tom Sawyer, Editrice Piccoli
Il
piacere
di
leggere
Il piacere di leggere
Antologia 1
3. Storie di ragazzi e ragazze
La difficoltà di crescere
Matilde
Roald Dahl
M
Il padre di Matilde
pensa al lavoro
e al guadagno,
si diverte guardando
la televisione
ed è convinto
che «l’onestà non fa
diventare ricchi».
Matilde invece…
ichele, il fratello di Matilde, era un ragazzo perfettamente normale, ma a veder lei vi sarebbero schizzati gli occhi
dalle orbite. A diciotto mesi parlava correntemente e conosceva
altrettante parole della maggior parte degli adulti. Ma i suoi genitori, invece di lodarla, le dicevano che era una fastidiosa chiacchierona e aggiunsero seccamente che le brave bambine non dovrebbero farsi né vedere né sentire.
A tre anni, Matilde aveva imparato a leggere da sola, grazie ai
giornali e alle riviste sparsi per casa. A quattro anni leggeva
speditamente e cominciava ad avere una gran voglia di libri perché, in quella casa geniale, di libri ce n’era uno solo, intitolato
Cucinare è facile, che apparteneva a sua madre. Dopo averlo letto da cima a fondo, imparando a memoria tutte le ricette, Matilde
decise di cercare letture più interessanti.
– Papà, mi compreresti un libro?
– Un libro? E per che cavolo farci?
– Per leggerlo.
– Diavolo, ma cosa non va con la tele? Abbiamo
una stupenda tele a ventiquattro pollici e vieni
a chiedermi un libro! Sei viziata, ragazza mia!
Quasi ogni giorno Matilde restava sola in casa
per tutto il pomeriggio. Il fratello, che aveva
cinque anni più di lei, andava a scuola, e il padre al lavoro. Sua madre, invece, andava in città (lontana una dozzina di chilometri) a giocare a bingo1. La signora Dalverme era maniaca
del bingo, e ci giocava cinque pomeriggi alla
settimana. Il giorno in cui suo padre rifiutò di
comprarle un libro, Matilde andò a piedi sino
alla biblioteca pubblica del paese, da sola.
49
1. bingo:
gioco, simile alla tombola, in
cui si punta del denaro.
[Matilde viene accolta con gentilezza dalla bibliotecaria e scopre il fascino della lettura.
Prende così l’abitudine di recarsi quotidianamente in biblioteca, dove legge in breve tempo
moltissimi libri.]
Il
piacere
di
leggere
I genitori di Matilde possedevano una casetta graziosa con tre
camere da letto al primo piano e una sala da pranzo, un salotto e
una cucina al pianterreno. Suo padre vendeva automobili usate e
sembrava cavarsela bene.
– Il segreto del mio successo – diceva con orgoglio – è la segatura. E non costa nulla. Alla segheria me la danno gratis.
– A che cosa serve? – chiese Matilde.
– Ah Ah! Ti piacerebbe saperlo, vero?
– Non capisco che cosa c’entri la segatura con le macchine usate, papà.
– Perché sei una povera cretinetti che non sa niente di niente.
Non usava espressioni molto delicate, ma Matilde ormai ci aveva
fatto l’abitudine. Sapeva anche che era un gran fanfarone, e perciò non si faceva scrupolo di punzecchiarlo.
– Devi essere bravissimo per riuscire a utilizzare una cosa che
non costa nulla. Vorrei saperlo fare anch’io.
– Non ci riusciresti. Sei troppo scema. Ma posso spiegarlo a Michele, dato che un giorno verrà a lavorare con me.
Ignorando Matilde, si rivolse al figlio: – Sono sempre felice di
comprare un’auto che qualche pazzo ha trattato in modo da rovinare il cambio, che ora gratta da matti. Non devo far altro che
aggiungere segatura all’olio del cambio, e la macchina cammina
a meraviglia.
– Ma dopo quanto tempo ricomincia a «grattare»? – chiese Matilde.
– Solo quando il compratore è abbastanza lontano – disse il padre, sghignazzando. – Diciamo dopo centosessanta chilometri.
– Ma non è onesto, papà. È un imbroglio!
– L’onestà non fa diventare ricchi, e i clienti esistono apposta per
essere imbrogliati!
Il signor Dalverme era un ometto con la faccia da topo e i denti
che sporgevano sotto i baffi spelacchiati. Gli piaceva indossare
giacche a quadri dai colori vistosi, e cravatte gialle o verdine. –
Prendiamo il chilometraggio, per esempio – continuò. – Quando
si decide di comprare un’auto usata, la prima cosa che si vuol sapere è quanti chilometri ha fatto. Giusto?
– Giusto – disse il figlio.
– Dunque, io compro una vecchia carcassa che ha fatto almeno
duecentotrentamila chilometri. Naturalmente me la danno per
poco. Ma chi comprerebbe una macchina che ha camminato tanto, chi? Di questi tempi non puoi più togliere semplicemente il
contachilometri e rimetterlo indietro, come si faceva una volta.
Ormai truccarlo è impossibile, a meno di essere un dannato orologiaio o qualcosa del genere. Allora io che faccio? Uso il cervello, ragazzo mio, ecco quel che faccio!
50
Il
piacere
di
leggere
– Cioè? – chiese il figlio, affascinato. Sembrava proprio che avesse ereditato la passione paterna per gli imbrogli.
– Mi siedo e comincio a chiedermi come posso cambiare il chilometraggio, portandolo da 250.000 a 15.000 senza smontare il
contachilometri. Bene, se faccio andare la macchina a marcia indietro per un tempo sufficiente, è fatta. I numeri scattano all’indietro. Ma solo un povero cretino sarebbe disposto a guidare
un’automobile all’indietro per migliaia e migliaia di chilometri!
– Certo – annuì Michele.
– A quel punto mi gratto la testa e mi spremo il cervello. Quando si ha un’intelligenza come la mia, bisogna saperla sfruttare.
Ed ecco fatto: ho trovato la soluzione. Mi sentivo come doveva essersi sentito quel bel tipo che ha scoperto la penicillina2, garantito.
– E che cosa hai fatto, papà?
– Il contachilometri è azionato da un cavo collegato a una delle
ruote anteriori. Allora, prima tolgo il collegamento, prendo un
trapano superveloce e lo applico all’estremità di questo cavo, in
modo che quando il trapano gira, gira anche il cavo, ma all’indietro. Hai capito? Mi segui?
– Sì, papà.
– Un trapano di quel tipo è spaventosamente veloce, perciò, appena lo metto in moto, i numeri scattano all’indietro a una velocità pazzesca. In pochi minuti riesco a cancellare centomila chilometri, e, quando ho finito, l’auto non ne ha fatti più di diecimila ed è pronta per essere venduta. «È come nuova» dico al cliente.
«Ha fatto appena diecimila chilometri. Apparteneva a una vecchietta che la usava solo una volta alla settimana, per andare a
fare la spesa».
– Ma davvero riesci a cancellare i chilometri con un trapano
elettrico? – chiese Michele.
– Ti sto rivelando i segreti del mestiere, ma non devi parlarne
con nessuno. Non vorrai che tuo padre finisca in galera, no?
– Sarò muto come un pesce – promise Michele. – Lo fai spesso?
– Tutte le macchine che mi passano per le mani ricevono lo stesso trattamento. Prima di metterle in vendita riduco il chilometraggio a meno di quindicimila chilometri. E pensa che questo
sistema l’ho inventato io, da solo. Ci ho guadagnato una fortuna.
Matilde, che ascoltava con attenzione, disse: – Ma papà, è ancora più disonesto che usare la segatura. È proprio una vergogna.
Imbrogli gente che si fida di te.
– Se non ti va, allora non mangiare alla nostra tavola. Qui il
cibo si compra con quel che guadagno io.
– Hai proprio ragione, Enrico – disse la madre; e rivolgendosi a
Matilde aggiunse: – Hai una bella faccia tosta: parlare così a tuo
51
2. penicillina: antibiotico,
scoperto da Alexander
Fleming, che risulta parti­
colarmente attivo nella cura
di molte gravi malattie come
polmonite, meningite, tetano,
ecc.
Il
piacere
di
leggere
padre! Adesso chiudi quella boccaccia e lasciaci guardare la televisione in pace.
Erano seduti in soggiorno, davanti al televisore, con il vassoio
della cena sulle ginocchia, mangiando pietanze precotte in contenitori d’alluminio divisi in scomparti: stufato di manzo, patate
e piselli. La signora Dalverme mangiava con gli occhi incollati
al teleschermo (stavano trasmettendo l’ennesima puntata di una
telenovela molto sentimentale). Era una donna grassa, con i capelli tinti in biondo platino, d’un castano grigiastro alle radici.
Pesantemente truccata, aveva un fisico davvero infelice: sembrava che i suoi rotoli di grasso fossero stati legati con lo spago per
non farli ruzzolare giù.
– Mamma – disse Matilde – ti dispiacerebbe se cenassi in sala da
pranzo? Così potrei leggere il mio libro.
Il padre alzò gli occhi. – Dispiace a me! – disse in tono aspro. –
La cena è un momento in cui tutta la famiglia si riunisce, e nessuno può alzarsi da tavola finché non è finita.
– Ma non siamo a tavola – protestò Matilde. – Mangiamo sempre
davanti alla televisione, con il vassoio sulle ginocchia.
– E che c’è di male a guardare la televisione, sentiamo? – la voce
di suo padre si era fatta sorda e minacciosa.
Matilde non rispose. Rimase in silenzio, ribollendo di rabbia. Sapeva che odiare i propri genitori non era una bella cosa, ma non
riusciva a impedirselo. I libri le avevano mostrato la vita sotto
una luce che loro ignoravano. Se soltanto avessero letto un romanzo di Dickens, o di Kipling3, avrebbero scoperto che imbrogliare la gente e guardare la televisione non è tutto.
R. Dahl,
3. Dickens… Kipling:
Charles Dickens (1812-1870)
e Rudyard Kipling (18651936) sono due famosissimi
romanzieri inglesi le cui opere,
come David Copperfield o Il
libro della jungla, sono spesso
conosciute anche dai ragazzi.
52
Matilde, Salani
Il
piacere
di
leggere
Il piacere di leggere
Antologia 1
3. Storie di ragazzi e ragazze
La difficoltà di crescere
L’inventore di sogni
Ian McEwan
F
Alla tua età, forse più
che in altri momenti
della vita, si pensa al
futuro, a quando si
«diventerà grandi».
Si incomincia allora a
guardare con maggiore
attenzione il mondo
degli adulti, a
fantasticare su quello
che fanno e che anche
tu un giorno forse
dovrai fare… Peter, il
protagonista di questo
brano, si sente ancora
fortemente attratto dal
mondo dei bambini.
u lì in Cornovaglia1 nell’estate dei suoi dodici anni che Peter incominciò a notare quanto fossero diversi il mondo dei
grandi e quello dei bambini. Non sarebbe stato esatto dire che i
genitori non si divertivano mai. Anche loro facevano il bagno,
ma non rimanevano in acqua per più di venti minuti. Anche
loro facevano qualche partita di palla a volo, ma della durata
di mezz’ora al massimo. Certe volte li si poteva persino convincere a giocare a nascondino, o a guardie e ladri, o a costruire
un enorme castello di sabbia, ma si trattava sempre di occasioni
speciali. La verità era che tutti i grandi, alla minima opportunità, preferivano sprofondare in una delle tre tipiche attività da
spiaggia: stare seduti a cianciare, leggere libri e giornali, o dormicchiare. Se decidevano di fare un po’ di movimento, ammesso
che lo si voglia così definire, era solo per dedicarsi a passeggiate
interminabili quanto noiose, le quali si riducevano a pretesti per
continuare a parlare. Sulla spiaggia, guardavano spesso l’ora e,
ben prima che qualcuno avesse fame, si mettevano a dire che
forse era meglio incominciare a pensare al pranzo o alla cena.
Si inventavano anche delle commissioni da fare: dal meccanico
della zona, dal carrozziere in paese, o nei negozi della città più
vicina per fare la spesa. Poi tornavano lamentandosi del traffico
vacanziero, dimenticando completamente di esserne parte. Questi grandi irrequieti facevano continue visite alla cabina del telefono in fondo al vicolo, e da lì chiamavano parenti, colleghi d’ufficio, o figli già grandi. Peter aveva
notato che quasi tutti i grandi non erano in grado di incominciare sereni una nuova giornata se
prima non erano andati in macchina a comperare
il giornale, quello giusto, s’intende. Altri non sarebbero sopravvissuti senza le sigarette. Altri ancora, senza una birra. Altri, senza un caffè. Certi
poi, non riuscivano a leggere il giornale senza fumare una sigaretta e bere un caffè. Questi adulti
non facevano altro che schioccare le dita e scuotere il capo perché qualcuno era appena arrivato
dalla città dimenticando qualcosa: mancava sem-
1. Cornovaglia: penisola
del­l’Inghilterra sudocciden­tale.
Il
piacere
di
leggere
53
pre una cosa all’appello, e ci si riprometteva regolarmente di rimediare l’indomani: ancora una sedia a sdraio, lo shampoo, uno
spicchio d’aglio, gli occhiali da sole, qualche molletta per stendere, quasi che la vacanza non potesse riuscire, non potesse anzi
neppure incominciare, finché tutti questi inutili arnesi non fossero stati raccolti.
Frattanto, Peter e i suoi amici neanche sapevano che giorno e
che ora fosse. Scorrazzavano per la spiaggia, rincorrendosi, nascondendosi, ingaggiando battaglie e invasioni tra navi pirata
e alieni di altri pianeti. Con la sabbia costruivano dighe, canali,
fortini e zoo acquatici che poi riempivano di granchi e paguri2.
Peter e gli altri bambini più grandi inventavano storie tremende
che spacciavano per vere per far paura ai più piccoli. Mostri marini che uscivano strisciando dal mare e coi tentacoli acciuffavano i bimbi per le caviglie per poi trascinarli in fondo agli abissi.
O quella del pazzo dai capelli d’alghe che abitava dentro la grotta
e trasformava i bambini in aragoste. Peter ci metteva tanto impegno nell’inventare queste storie che finiva col ritrovarsi restìo3
a entrare da solo dentro la grotta, e, quando nuotava, gli capitava di rabbrividire se un ciuffo di alghe per caso gli accarezzava
una gamba.
Qualche volta la Banda del Mare faceva incursioni nell’entroterra, nel prato dove si stavano costruendo un accampamento. Oppure si avventuravano lungo il vecchio binario morto fino alla
galleria proibita. Tra le assi che la sbarravano c’era un’ampia fessura e i bambini si sfidavano a passarci dentro per poi ritrovarsi dall’altra parte, nel buio totale. Di dentro si udiva l’eco sinistra
e agghiacciante di una goccia d’acqua, che andava a piovere in
una pozzanghera. C’erano anche dei trapestii4 che avevano pensato di attribuire alla presenza di topi, e si sentiva una corrente d’aria umida e greve5 che secondo una delle bambine grandi
doveva essere l’alito di una strega. Non che gli altri le avessero
creduto, naturalmente, ma nessuno comunque si era mai spinto
dentro la galleria per più di pochi passi.
Questi giorni d’estate incominciavano presto e finivano tardi.
Certe volte, andando a dormire, Peter si sforzava di ricordare
come fosse incominciata la giornata. Sembrava che gli avvenimenti del mattino si fossero verificati settimane prima. Gli era
anche capitato di addormentarsi, senza essere riuscito a farsi
tornare alla mente il principio del giorno.
Una sera dopo cena Peter litigò con uno degli altri bambini che
si chiamava Henry. A scatenare la lite era stato un pezzo di cioccolata, ma ben presto la cosa si trasformò in uno sfogo di insulti reciproci. Per chissà quale ragione tutti i bambini, fatta eccezione ovviamente per Kate, si schierarono dalla parte di Hen-
54
2. paguri: crostacei marini
che si proteggono intro­ducen­
dosi nelle conchiglie lasciate
vuote dai molluschi.
3. restìo: riluttante, contrario
a fare una determinata cosa.
4. trapestii: rumori confusi
di passi.
5. greve: pesante e
opprimente.
Il
piacere
di
leggere
ry. Allora Peter gettò la cioccolata per terra in mezzo alla sabbia
e se ne andò tutto solo. Kate entrò in casa a prendere un cerotto
per un taglio che si era fatta su
un piede. E il resto del gruppo si
allontanò sulla spiaggia. Peter si
voltò a guardarli andare via. Li
sentiva ridere. Forse stavano parlando di lui.
Mentre il gruppo si allontanava
nella luce del crepuscolo, i contorni dei singoli individui si andarono perdendo in una sorta di
macchia che si muoveva e si allungava in lontananza. Con ogni
probabilità, si erano già scordati
di lui e avevano inventato un altro gioco.
Peter rimase così, con le spalle rivolte al mare. Un’improvvisa folata di vento freddo lo fece rabbrividire. Diede un’occhiata verso
le case. Riusciva appena a distinguere il mormorio basso della
conversazione dei grandi, il suono di un tappo di sughero tirato dalla bottiglia, la musica di una risata femminile, forse della sua mamma. Quella sera di agosto, restando lì in mezzo ai
due gruppi, con il mare che gli lambiva appena i piedi nudi, Peter all’improvviso afferrò qualcosa di molto ovvio e terribile: un
giorno o l’altro, avrebbe lasciato il gruppo che scorrazzava sfrenato lungo la spiaggia, per unirsi a quello di chi restava seduto a parlare. Era difficile crederci, ma sapeva che sarebbe andata proprio così. Allora si sarebbe interessato a cose diverse, come
lavoro, denaro, tasse, interessi bancari, chiavi e caffè, e sarebbe
rimasto a parlare, per ore e ore, seduto.
Questi pensieri gli pesavano sul cuore quella sera quando decise
di andare a dormire. Non si poteva certo definirli pensieri felici.
Chi avrebbe potuto rallegrarsi alla prospettiva di una vita trascorsa stando seduti a parlare? O facendo commissioni e andando a lavorare? Senza giocare mai, senza mai divertirsi sul serio?
Un giorno o l’altro, sarebbe stato una persona del tutto diversa.
Data la lentezza del fenomeno, non se ne sarebbe neppure accorto, e una volta successo quel Peter giocoso e allegro di undici
anni sarebbe stato talmente lontano, talmente strano e incomprensibile, quanto apparivano adesso gli adulti a lui. E con questa malinconia, se ne andò scivolando nel sonno.
I. McEwan,
55
L’ inventore di sogni, Einaudi
Il
piacere
di
leggere
Il piacere di leggere
Antologia 1
3. Storie di ragazzi e ragazze
a che gioco giochiamo?
Un bastimento carico di granchi
Italo Calvino
I
Un’avventura vissuta
da un gruppo di
ragazzi in una città di
mare, a bordo di un
bastimento affondato
dai tedeschi durante la
Seconda
guerra mondiale e
ormai diventato rifugio
di animali marini.
l primo bagno dell’anno i ragazzi di Piazza dei Dolori lo fecero
una domenica d’aprile, col cielo azzurro nuovo nuovo e un sole
allegro e giovane. Scesero correndo per i carrugi1 sventolando le
brachette di maglia rattoppate, qualcuno ciabattando già in zoccoli per l’acciottolato2, i più senza calze, per non dover faticare
a rimettersele sui piedi bagnati. Corsero al molo saltando le reti
che si dilungavano per terra e s’alzavano sui piedi nudi e callosi
dei pescatori acculati3 a rammendarle.
Tra gli scogli della massicciata4 si spogliarono, contenti di
quell’odore agro di vecchie alghe marcite e di quel volare di gabbiani che cercava di riempire il cielo troppo grande. I vestiti e le
scarpe li nascosero nei cavi degli scogli suscitando fughe di giovani granchi; e cominciarono a saltare scalzi e spogliati da uno
scoglio all’altro aspettando che uno si decidesse a tuffarsi per
primo.
L’acqua era calma ma non limpida, di un denso azzurro con riflessi verdi crudi. Gian Maria detto Mariassa salì in cima a uno
scoglio alto e soffiò col pollice sotto il naso in quel suo gesto da
pugile.
– Alé – disse; giunse le mani avanti e si tuffò di testa. Uscì qualche metro più in là, sputando a zampillo e facendo il morto.
– Fredda? – gli chiesero.
– Caldissima – gridò e si mise a dar bracciate furiose per non
gelare.
– Banda! Con me! – disse Cicin che faceva conto d’essere il capo
sebbene nessuno gli desse mai retta.
Si tuffarono tutti: Pier Lingera che fece la capriola, Bombolo
che prese la panciata, Paulò, Carruba, e per ultimo Menin che
dell’acqua aveva una paura maledetta e si tuffò di piedi tenendosi il naso tappato con le dita.
In acqua Pier Lingera che era il più forte fece bere tutti uno per
volta, poi tutti si misero d’accordo e insieme fecero bere Pier Lingera.
Allora Gian Maria detto Mariassa propose:
– La nave! Andiamo sulla nave!
C’era ancora il bastimento attraverso al porto, affondato duran-
56
1. carrugi: viuzze, tipiche
delle città di mare.
2. acciottolato: selciato.
3. acculati: seduti.
4. massicciata: l’insieme
dei massi che costituiscono la
base del molo.
Il
piacere
di
leggere
te la guerra dai tedeschi per ostruirlo. Anzi ce n’erano due uno
sopra l’altro, quello che si vedeva poggiava sopra uno tutto sommerso.
– Alé – dissero gli altri.
– Si può montarci sopra? – chiese Menin. – È minato.
– Balle: minato! – disse Carruba. – Quelli dell’Arenella ci montano quando vogliono e ci giocano alla guerra.
Si misero a nuotare verso la nave.
– Banda! Con me! – disse Cicin che voleva fare il capo: ma gli altri andavano più forte di lui e lo lasciarono indietro, eccetto Menin che nuotava a rana ed era sempre l’ultimo.
Arrivarono sotto e il bastimento alzava le murate5 nere di vecchio catrame, nude e muffite, con le sovrastrutture6 smantellate contro il cielo azzurro nuovo. Una barba d’alghe putride saliva
a ricoprirlo su dalla chiglia7 e la vecchia vernice si scrostava a
grandi segmenti; i ragazzi gli girarono tutt’intorno, poi rimasero sotto la poppa8 a guardare il nome tutto cancellato: Abukir,
Egypt. C’era la catena dell’ancora, tesa obliqua che ogni tanto
oscillava alle acquate della marea, scricchiolando negli enormi
anelli rugginosi.
– Non saliamo – disse Bombolo.
– Ma va’ – fece Pier Lingera e già s’era attaccato alla catena,
mani e piedi. S’arrampicò come una scimmia e gli altri lo seguirono.
Bombolo a metà scivolò e ribatté di pancia in mare; Menin non
riusciva a salire e dovettero venire in due a tirarlo.
A bordo cominciarono a girare in silenzio, per quella nave smantellata, si misero a cercare la ruota del timone, la sirena, i boccaporti9, le scialuppe10, tutte quelle cose che ci dovevano essere su
una nave. Ma questa era una nave squallida come una zattera,
coperta solo di sterco bianchiccio di gabbiano. Ce n’erano cinque,
di gabbiani, appoggiati a una murata; a sentire i passi scalzi della masnada s’alzarono a volo uno dopo l’altro con gran sbattere
d’ali.
– Uhà! – fece il verso Paulò e tirò dietro all’ultimo un bullone
raccattato.
– Banda: andiamo dalle macchine! – disse Cicin. Certo giocare
in mezzo ai macchinari o nella stiva sarebbe stato più bello.
– Si potrà scendere alla nave che c’è sotto? – chiese Carruba.
Questo sarebbe stato bellissimo: stare là sotto, tutti chiusi, con il
mare intorno e sopra come in un sottomarino.
– Quella di sotto è minata! – disse Menin.
– Sei tu, minato! – gli dissero.
Presero giù da una scaletta. Fatti pochi gradini si fermarono: ai
57
5. murate: parti laterali
esterne dello scafo di una
nave.
6. sovrastrutture: le
opere della nave costruite
sopracoperta.
7. chiglia: struttura rigida
che collega la parte anteriore a
quella posteriore della nave.
8. poppa: parte posteriore
della nave.
9. boccaporti: sportelli sui
ponti delle navi che chiudono
gli accessi alle parti interne.
10. scialuppe: barche di
salvataggio.
Il
piacere
di
leggere
loro piedi cominciava l’acqua nera, e sciabordava11 nel chiuso. I
ragazzi di Piazza dei Dolori guardavano fermi e in silenzio; in
fondo a quell’acqua, un luccichio nero di aculei12: colonie di ricci che divaricavano lenti le spine. E le pareti tutt’intorno erano
incrostate di patelle13 dal guscio barbuto d’alghe verdi, abbarbicate14 al ferro delle pareti che sembrava roso. E c’era un brulicare di granchi ai margini dell’acqua, migliaia di granchi di tutte
le forme e di tutte le età che ruotavano sulle zampe curve e raggiate, e digrignavano le chele15, e sporgevano gli occhi senza
sguardo. Il mare sciacquava sordo nel quadrato delle mura di
ferro, lambendo16 quelle piatte pance di granchio. Forse tutta la
stiva della nave era piena di granchi brancolanti e un giorno la
nave si sarebbe mossa sulle zampe dei granchi e avrebbe camminato per il mare.
Risalirono sopracoperta, a prua17. Allora videro la bambina. Non
l’avevano vista prima, pure sembrava fosse sempre stata lì. Era
una bambina sui sei anni, grassa, con i capelli lunghi e ricci.
Era tutta abbronzata e aveva indosso solo le mutandine bianche.
Non si capiva da che parte fosse arrivata.
Non li guardò nemmeno. Era tutta attenta a una medusa capovolta sull’impiantito di legno, con i festoni mollicci dei tentacoli
sparpagliati intorno. La bambina con uno stecco cercava di rimetterla con la calotta18 in alto.
I ragazzi di Piazza dei Dolori le si fermarono intorno, a bocca
aperta. Mariassa si fece avanti per primo. Tirò su dal naso.
– Chi sei? – disse.
La bambina alzò gli occhi celesti nella faccia paffuta e scura; poi
riprincipiò a far leva con lo stecco sotto la medusa.
– Dev’essere della banda dell’Arenella – disse Carruba che era
pratico.
I ragazzi dell’Arenella avevano delle bambine che venivano con
loro a nuotare e a giocare al pallone, e anche a far la guerra con
le canne.
– Tu – disse Mariassa – sei nostra prigioniera.
– Banda! – fece Cicin. – Prendetela viva!
La bambina continuava a manovrare la medusa.
– All’armi! – gridò Paulò che s’era voltato indietro per caso. – La
banda dell’Arenella!
Mentre loro stavano attenti alla bambina, i ragazzi dell’Arenella che passavano in acqua le giornate erano arrivati nuotando
sott’acqua, erano saliti in silenzio per la catena dell’ancora, erano apparsi scavalcando quatti le murate. Erano ragazzi bassi e
tarchiati, soffici come gatti, coi capelli rasi, la pelle scura. Le
loro brache non erano nere e lunghe e cascanti come quelle dei
58
11. ­sciaborda­va: si agitava,
si rimescolava.
12. aculei: pungiglioni.
13. patelle: piccoli molluschi
marini commestibili.
14. a­bbar­bicate: attaccate.
15. chele: organi di presa e di
difesa, a forma di pinze, tipiche
dei granchi e dei crostacei in
genere.
16. lambendo: sfiorando.
17. prua: parte anteriore
della nave.
18. calotta: struttura
anatomica a forma convessa.
Il
piacere
di
leggere
ragazzi dei Dolori, ma fatte solo di una striscia di tela bianca.
Cominciò la lotta.
I ragazzi di Piazza dei Dolori erano magri e tutti nervi, tranne
Bombolo che era un pancione, ma avevano una rabbia fanatica
nel picchiarsi, agguerrita dalle lunghe zuffe nei piccoli carrugi
della città vecchia contro le bande di San Siro e dei Giardinetti.
Quelli dell’Arenella ebbero il sopravvento in principio per via della sorpresa, ma poi quelli dei Dolori si abbarbicarono alle scalette e di lì non ci fu verso di spostarli, perché non volevano a nessun costo lasciarsi trasportare alle murate, dove era facile farsi sbattere a bagno. Alla fine Pier Lingera che era più forte dei
compagni e anche più vecchio, e veniva con loro solo perché era
ripetente, riuscì a far arretrare uno dell’Arenella fino ai bordi e a
spingerlo giù in mare.
Allora quelli dei Dolori passarono all’offensiva: quelli dell’Arenella, che si sentivano più nel loro19 in acqua e, gente pratica,
non avevano puntigli d’onore per la testa, uno dopo l’altro sfuggirono ai nemici e si tuffarono.
– Venite a prenderci in acqua, se avete coraggio – gridarono.
– Banda! Con me! – urlò Cicin e già stava per tuffarsi.
– Sei scemo? – lo trattenne Mariassa. – In acqua l’hanno vinta
come vogliono! –. E prese a gridare insolenze ai fuggiaschi.
Quelli dell’Arenella cominciarono a tirare acqua da sotto; e la tiravano tanto forte che non c’era posto sulla nave dove non arrivassero le loro acquate. Alla fine si stancarono e presero il largo
a testa bassa e braccia arcuate, rialzandosi ogni tanto per respirare con piccoli schizzi.
Quelli di Piazza dei Dolori erano rimasti padroni del campo. Andarono a prua: la bambina era sempre lì. Era riuscita a voltare la
medusa e ora cercava di sollevarla sullo stecco.
– Ci hanno lasciato un ostaggio! – fece Mariassa.
– Banda! Un ostaggio! – s’eccitò Cicin.
– Vigliacchi! – gridò Carruba dietro ai fuggiaschi. – Lasciare le
donne in mano ai nemici!
Avevano un senso dell’onore molto spiccato, a Piazza dei Dolori.
– Vieni con noi – disse Mariassa e fece per metterle una mano
su una spalla.
La bambina gli fece cenno di star fermo: stava per riuscire a sollevare la medusa. Mariassa si chinò a guardare. Allora la bambina tirò su lo stecco, con la medusa in bilico sopra, lo tirò su, lo
tirò su, sbatté la medusa in faccia a Mariassa.
– Porca! – gridò Mariassa sputando e premendosi la faccia.
La bambina guardava tutti e rideva. Poi si voltò, andò proprio in
cima alla prua, alzò le braccia congiungendo la punta delle dita,
si tuffò ad angelo, e nuotò via senza voltarsi. I ragazzi di Piazza
59
19. si sentivano più nel
loro: si sentivano più a loro
agio.
Il
piacere
di
leggere
dei Dolori non si erano mossi.
– Di’ – chiese Mariassa, palpandosi una guancia. – È vero che le
meduse fanno bruciare tutta la pelle?
– Aspetta e lo saprai – fece Pier Lingera. – Però è meglio che ti
tuffi subito.
– Alé – disse Mariassa, avviandosi con gli altri.
Poi si fermò:
– D’ora in avanti dobbiamo avere una donna anche noi nella banda! Menin! Farai venire tua sorella!
– Mia sorella è scema – disse Menin.
– Non importa – disse Mariassa – alé – e diede uno spintone a
Menin buttandolo a mare, perché tanto a tuffarsi non era capace. Poi si tuffarono tutti.
I. Calvino,
Racconti, Einaudi
60
Il
piacere
di
leggere
Il piacere di leggere
Antologia 1
3. Storie di ragazzi e ragazze
a che gioco giochiamo?
Lo scivolo
Italo Calvino
C
Chi di voi non ha mai
provato l’irresistibile
tentazione di farsi
una bella scivolata
sul mancorrente
delle scale?
Rischiando pericoli
e sgridate…
i arrampicavamo sugli alberi, risalivamo i torrenti saltando da uno scoglio all’altro, esploravamo caverne in riva al
mare, scivolavamo per le balaustre1 di marmo delle scalinate della villa.
Di scivolare per la balaustra di marmo delle scale, a dire il vero,
eravamo stati di già diffidati2, non per paura che ci rompessimo
una gamba o un braccio, che di questo i nostri genitori non si
preoccuparono mai e fu perciò – io credo – che non ci rompemmo
mai nulla; ma perché crescendo e aumentando di peso potevamo
buttar giù le statue di antenati che nostro padre aveva fatto porre sui pilastrini terminali delle balaustre a ogni rampa di scale. Difatti, Cosimo una volta aveva già fatto crollare un trisàvolo3 vescovo, con la mitria4 e tutto; fu punito, e da allora imparò a
frenare un attimo prima d’arrivare alla fine della rampa e a saltar giù proprio a un pelo dallo sbattere contro la statua. Anch’io
imparai, perché lo seguivo in tutto, solo che io, sempre più modesto e prudente, saltavo giù a metà rampa, oppure facevo le scivolate a pezzettini, con frenate continue. Un giorno lui scendeva per la balaustra come una freccia, e chi c’era che saliva per le
scale? L’Abate Fauchelafleur5 che se n’andava a zonzo col breviario6 aperto davanti, ma con lo sguardo fisso nel vuoto come una
gallina. Fosse stato mezz’addormentato come il solito! No, era in
61
1. balaustre: parapetti che
servono a delimitare scale o
terrazze.
2. di già diffidati: già
avvertiti di non fare una
determinata azione.
3. trisàvolo: antenato.
4. mitria: copricapo da
cerimonia usato dai vescovi; è
alto e rigido, con due punte e
due larghi nastri ricadenti sulla
nuca.
5. L’Abate Fauchelafleur:
l’insegnante privato dei due
ragazzi.
Il
piacere
di
leggere
62
uno di quei momenti che pure gli venivano, d’estrema attenzione
e apprensione per tutte le cose. Vede Cosimo, pensa: balaustra,
statua, ora ci sbatte, ora sgridano anche me (perché ad ogni monelleria nostra veniva sgridato anche lui che non sapeva sorvegliarci) e si butta sulla balaustra a trattenere mio fratello.
Cosimo sbatte contro l’Abate, lo travolge giù per la balaustra (era
un vecchiettino pelle e ossa), non può frenare, cozza con raddoppiato slancio contro la statua del nostro antenato Cacciaguerra Piovasco crociato in Terrasanta, e diroccano tutti a piè delle
scale7: il crociato in frantumi (era di gesso), l’Abate e lui. Furono ramanzine8 a non finire, frustate, pensi9, reclusione a pane e
minestrone freddo. E Cosimo, che si sentiva innocente perché la
colpa non era stata sua ma dell’Abate, uscì in quell’invettiva10 feroce: «Io me n’infischio di tutti i vostri antenati, signor padre!»
che già annunciava la sua vocazione11 di ribelle.
I. Calvino,
6. breviario:
libro delle preghiere
che i sacerdoti devono recitare
ogni giorno.
7. diroccano tutti a piè delle scale:
precipitano tutti ai piedi delle
scale.
8. ramanzine:
sgridate, rimproveri.
9. pensi:
punizioni consistenti in lavori
scolastici straordinari.
10. invettiva:
frase o discorso impetuoso.
11. vocazione:
inclinazione, predispo­sizione.
Il barone rampante, Garzanti
Il
piacere
di
leggere
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