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osservazioni sulla toponomastica dell`area campana

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osservazioni sulla toponomastica dell`area campana
OSSERVAZIONI SULLA TOPONOMASTICA DELL’AREA
CAMPANA
1
Università Statale Gent
Facoltà di Lettere e Filosofia
Schaubroeck Stijn
Master francese-italiano
OSSERVAZIONI SULLA TOPONOMASTICA DELL’AREA
CAMPANA
Direttrice di tesi: Prof.ssa Dr. C. Crocco
2008
2
Ringraziamenti
Sinceri ringraziamenti alla Prof.ssa Dr. C. Crocco per la sua direzione, le sue correzioni e in
particolare per la sua pazienza.
3
Indice
Ringraziamenti p. 3
Indice p. 4
Premessa p. 7
PARTE PRIMA p. 9
0. Introduzione p. 9
1. I sostrati p. 11
1.1 Il sostrato preindeuropeo p. 11
1.2 Le migrazioni nella penisola italica e il loro influsso sulla toponomastica p. 12
2
Toponimi di origine latina p. 15
2.1 Latinizzazione della penisola p. 15
2.2 I registri dei toponimi latini p. 16
2.3 I suffissi latini p. 16
2.4 Gli arcaismi p. 18
3
I superstati p. 20
3.1 Le invasioni barbariche p. 20
3.2 I toponimi postlatini p. 21
4
Geonomastica: idronimi, limnonimi e oronimi p. 23
5
Toponomastica medievale p. 26
5.1 Toponomastica sacra o agiotoponomastica p. 26
5.2 Toponomastica urbana e stradale p. 30
4
PARTE SECONDA p. 32
1. Panoramica storica della Campania p. 33
2. Toponomastica campana p. 38
2.1 Le tante origini della toponomastica campana p. 38
2.2 Toponomastica antica p. 39
2.2.1
L‟osco p. 39
2.2.1.1
I Sanniti p. 40
2.2.1.2
La lingua osca p. 41
2.2.2
Naturalis Historia p. 44
2.2.3
Altri autori p. 57
2.2.4
Conclusione p. 58
3. Lessico campano p. 60
4. Il dialetto campano p. 62
4.1 Tratti tipici dei dialetti campani p. 62
4.1.1
Metafonesi napoletana: dittongazione e chiusura p. 63
4.1.2
Rafforzamento sintattico p. 64
4.1.3
Variazione consonantica p. 65
4.1.4
Il rafforzamento sintattico: marca del femminile plurale p. 66
4.1.5
La conservazione del genere neutro p. 66
5. Alcune particolarità della toponomastica Campana p. 68
5.1 Tratti panitaliani p. 69
5.1.1
5.1.2
5.1.3
Sintassi e formazione delle parole p. 69
a.
L‟obliquo privo di preposizione: Monteleone e Pontelandolfo p. 69
b.
Il suffisso -one: Castiglione p. 70
Morfologia p. 71
a.
Ablativo o accusativo: Pozzuoli, Pompei e Capri p. 71
b.
Resti del locativo: Amalfi p. 71
c.
Modificazioni fonetiche dell‟uscita del tema: Baselice p. 72
Fonetica p. 73
5
5.1.3.1
Vocalismo p. 73
a.
Io ed ea protonici: Napoli p. 73
b.
Caduta della vocale mediana nei proparossitoni: Ischia p. 73
c.
Le vocali e ed i atone di sillaba finale in Italia centrale: Napoli, Amalfi e Pozzuoli p.
74
5.1.3.2
Consonantismo p. 75
a.
Consonante più u in iato: Sessa Aurunca, Sessa Cilento p. 75
b.
Metatesi di r: Capri e San Francato p. 75
c.
Discrezione e concrezione dell‟articolo: Acerra, Atripalda e Afragola p. 76
5.2 Caratteristiche specifiche dell‟area campana p. 77
5.2.1
Morfologia p. 77
a.
5.2.2
Il tipo le corpora: Pratola Serra p. 77
Fonetica p. 78
5.2.2.1
a.
Vocalismo p. 78
Dittongazione condizionata di ę nell‟Italia meridionale: Surriento „Sorrento‟ e
Salierno „Salerno‟ p. 78
b.
5.2.2.2
Casi particolari dello sviluppo di o in Italia meridionale: Pezzulo „Pozzuoli‟ p. 78
Consonantismo p. 79
a.
b iniziale: Santo Vendetto, San Venditto, Barano d’Ischia e Benevento p. 79
b.
j iniziale: Gioi p. 80
c.
-d- intervocalica: Pròceta „Procida‟ p. 81
d.
-f- intervocalica: Alife, Carife, Sorifa, Tifata e Ufita p. 81
e.
Il nesso cl e tl in posizione interna: Forchia ed Ischia p. 82
f.
Il gruppo br: Venafro, Solofra, Solofrone, Rofrano p. 83
g.
Il nesso rb e lb: Alfano (Rohlfs 1966, § 262) p. 83
h.
Il gruppo sl: Ischia p. 84
i.
I nessi bi e vi: Caggiano, Vico Triggio, Largo Triggio e Faibano p. 84
j.
I nessi ssi, psi, rsi: Cassano p. 85
k.
Il nesso ti fuori della Toscana: Pozzuoli p. 86
6. Conclusione p. 87
ALLEGATI p. 89
Bibliografia p. 92
6
Premessa
Nel contesto degli studi linguistici, soprattutto diacronici, la toponomastica occupa una
posizione particolare: a lungo, infatti, non ne è stata riconosciuto adeguatamente l‟utilità.
Nel corso del XIX secolo i linguisti comparativi si resero conto del fatto che c‟erano delle
forti somiglianze tra le diverse lingue europee ed asiatiche. Essi supposero, pertanto,
l‟esistenza di un‟unica lingua alla base di tutte quelle che erano oggetto di studio. Tale lingua
archetipa fu denominata indeuropeo. Tuttavia, mancando tracce dirette di questa lingua, la
linguistica comparativa dovette servirsi principalmente di forme ricostruite e non attestate,
soprattutto a livello dello studio della fonetica.
Per quanto riguarda il lessico, i linguisti fecero ricorso alla comparazione di alcuni tra gli
elementi linguisticamente più stabili, cioè nomi di piante e di animali, i nomi che si
riferiscono alla geografia, e soprattutto i toponimi e gli antroponimi.
Così, attraverso gli studi di indeuropeistica, gli studi toponomastici hanno assunto per la
prima volta un notevole rilievo.
Nella prima parte di questa tesi, parlerò della toponomastica italiana in generale. Va osservato
che la toponomastica, pur facendo parte degli studi linguistici diacronici, intrattiene
indispensabilmente rapporti con gli studi storico-culturali. Perciò una parte considerevole del
lavoro consisterà di una rassegna generale della storia del mondo romano ed in particolare
della Campania.
Dopo aver presentato una panoramica delle varie invasioni, migrazioni e colonizzazioni in
Europa e nella penisola italica, tratterò nei primi capitoli la compagine degli strati che
precedono il latino (i sostrati), di quelli che sono coesistiti con il latino (gli adstrati) e quelli
che si sono sovrapposti al latino (i superstrati). Per ovvie ragioni mi soffermerò più a lungo
sullo strato latino. Per quanto riguarda la toponomastica latina, un intero capitolo è stato
dedicato ai vari registri, agli arcaismi e alla suffissazione.
Sempre nella prima parte prenderò in esame i vari componenti della toponomastica italiana: la
geotoponomastica (che tratta i limnonimi o i nomi dei laghi, gli idronimi o i nomi dei corsi
d‟acqua e gli oronimi o i nomi delle montagne), l‟agiotoponomastica o toponomastica sacra,
la toponomastica stradale (ed urbana), ecc.
Nella seconda parte seguirò lo stesso procedimento (migrazioni > sostrati > toponimi),
applicandolo però specificamente alla toponomastica dell‟area campana.
7
Tratterò poi in maggiore dettaglio la toponomastica antica, cercando di spiegare alcuni tratti
toponomastici meno trasparenti (i.e. che non provengono dello strato latino) esemplificandoli
con i toponimi campani presenti nella Naturalis Historia di Plinio il Vecchio. Metterò poi a
confronto le particolarità di derivazione dialettale dell‟area campana con alcune irregolarità
(dal punto di vista dell‟evoluzione latino > italiano) presenti nella toponomastica campana.
Vorrei ancora sottolineare che, sulla toponomastica del Mezzogiorno d‟Italia e sulla
toponomastica campana in particolare, le fonti sono piuttosto scarse. Al contrario abbondano
gli studi sulla toponomastica dell‟Italia settentrionale.
In conseguenza ho dovuto servirmi di opere che trattano la toponomastica in modo generale.
Cionondimeno ho cercato di distillare il maggior numero di elementi applicabile anche alla
toponomastica campana. Così, nelle esemplificazioni, ho sempre avvantaggiato i toponimi
campani e, nei casi in cui il testo non proponeva un toponimo campano, ho citato nei limiti del
possibile un toponimo di un‟area geograficamente vicina.
Vorrei sottolineare, infine, che lo scopo di questo lavoro non era di descrivere in modo
esauriente la toponomastica campana, quanto piuttosto di presentare un‟analisi-campione
sufficiente a definire con una certa precisione l‟insieme dei toponimi dell‟area campana.
8
PARTE PRIMA
0.
Introduzione1
«Toponomàstica [comp. di top(o)- e onomastica: 1884] s.f. 1 Settore dell‟onomastica che
studia i nomi propri dei luoghi. 2 Insieme dei nomi di luogo di una regione, di uno Stato,
di una lingua».
Come ci informa lo Zingarelli, la toponomastica italiana è una disciplina relativamente
giovane: non si parla di „toponomastica‟ prima del 1884. Ma come sempre l‟oggetto è più
vecchio che il suo nome. Della toponomastica possiamo fissare la data di nascita nel 1873,
l‟anno in cui Giovanni Flechia pubblicò la sua opera Di alcune forme di nomi locali dell’Italia
superiore. L‟obiettivo di Flechia era di ricostruire i significati originali di alcuni nomi locali
dell‟Italia settentrionale. Dobbiamo però notare che la toponomastica non è nata come una
disciplina autonoma, ma come disciplina tributaria della linguistica. All‟inizio la
toponomastica e la linguistica hanno percorsi paralleli: poco prima del Flechia, Graziadio
Isaia Ascoli aveva pubblicato i suoi Saggi Ladini, trattando anche dei dialetti dell‟Italia
settentrionale.
Prima del 1873, quando non si poteva ancora parlare di una vera disciplina toponomastica, le
ricerche sui toponimi erano condotte da storici e geografi, ma i loro metodi erano individuali e
non si poteva parlare di un vero metodo scientifico. I loro risultati erano dubbi e spesso basati
su congetture. È innegabile tuttavia il valore delle ricerche di geografi come Olinto Marinelli
per quanto riguarda i termini geografici e i geonimi.
La toponomastica come disciplina autonoma, cioè indipendente dalla geografia e dalla storia e
con una metodologia linguistica, si divide in due rami. Un primo ramo si occupa dello studio
di toponimi particolari provenienti dall‟intero territorio nazionale. Altri studi tentano di
spiegare tutti i toponimi di una particolare regione o di una determinata area. Ad esempio, per
quanto riguarda la toponomastica regionale, contributi validi sono stati elaborati da Silvio
Pieri che ha proposto un modello di studio che metteva in risalto la necessità di una vasta
documentazione e una ricerca archivistica. Così Pieri (1898, 1919, 1969) ha illustrato molto
bene i toponimi della Toscana sottolineando l‟influsso del sostrato etrusco. Sulla scorta dei
1
Per l‟introduzione mi sono basato su: G.B. Pellegrini, Toponomastica, «I. Sviluppo delle ricerche
toponomastiche», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen,
Niemeyer Verlag, 1988, pp. 431-433.
9
lavori del Pieri, sin dall‟inizio del „900, numerosi studiosi si sono occupati della studio dei
toponimi delle varie regioni in particolare.
In generale, tuttavia, la toponomastica italiana non ha mai potuto raggiungere lo stesso livello
di sviluppo delle altre discipline linguistiche sul piano dell‟accuratezza e della completezza.
Solo pochissimi studiosi sono riusciti a trattare la toponomastica italiana in modo esaustivo:
inoltre i risultati delle ricerche toponimiche di uno studioso concordano di rado con quelli di
un altro e sono spesso incerti.
10
1.
I sostrati2
1.1
Il sostrato preindeuropeo
Gran parte dei toponimi italiani derivano da nomi abbastanza antichi. Si tratta di toponimi che
traggono le proprie origini dai sostrati prelatini. Tuttavia, una concezione molto diffusa negli
studi toponimici francesi e italiani suppone l‟esistenza di un sostrato preindeuropeo, o
„mediterraneo‟ per V. Bertoldi3. Questa tesi poggia sul fatto che tra il 1500 e il 500 a.C. delle
tribù preindeuropee (se possiamo credere gli autori classici si tratterebbe degli antichi Liguri)
avrebbero occupato l‟area mediterranea. Secondo Bertoldi ed altri la loro lingua sarebbe
all‟origine di parecchi idronimi e termini fitonimici o geonomastici. Queste spiegazioni
semantiche rimangono però ipotetiche perché poggiano troppo su ricostruzioni fonetiche. Così
Pellegrini ci ammonisce che «alle interpretazioni „mediterranee‟ si può – e vero – muovere
assai spesso l‟appunto che esse si fondano, in molti casi, su equazioni soltanto apparenti o su
formanti ritenuti eccessivamente indicativi, con la concessione di alternanze vocaliche o
consonantiche non sempre controllabili, e spesso semplicistiche o erronee, di comodità
strategica. Assai più valido è il metodo che si propone di individuare l‟identità di intere parole
alle quali è più verosimile di attribuire un significato concreto, piuttosto che appoggiarsi
unicamente a temi o radici»4. Con più certezza possiamo fissare le origini prelatine dei
idronimi e dei nomi di città antiche che sono attestati nei testi di autori greci e latini (ad
esempio Plinio il vecchio per la Campania) o che ritroviamo nei graffiti o nelle iscrizioni
antiche.
2
Per la storia della lingua mi sono basato su: E. Roegiest, Vers les sources des langues romanes, Leuven, Acco,
2005.
3
Il sostrato mediterraneo di Bertoldi corrisponde al sostrato „iafetico‟ del linguista russo N. Marr. Secondo
quest‟ultimo l‟area del sostrato si espande dai Pirenei alla Caucasia. Secondo W. Von Wartburg un popolo di
origine nordafricano (i dati linguistici puntano nella direzione degli Iberi) avrebbe rotto quest‟unità linguistica
mediterranea.
4
G.B. Pellegrini, «Toponimi ed etnici nelle lingue dell‟Italia antica», in: A.L. Prosdocimi (a cura di), Lingue e
dialetti dell’Italia antica, Roma, Biblioteca di Storia Patria, 1978, p. 82.
11
1.2
Le migrazioni nella penisola italica e il loro influsso sulla toponomastica5
A partire del X secolo a.C. entrano in Italia varie popolazioni che non mancano di esercitare
un‟influenza sulla lingua e le cui tracce sono ancore oggi manifeste nella toponomastica
italiana.
Prima del X secolo a.C. alcune zone d‟Italia erano occupate da due popoli di cui oggi non
sapiamo molto: i Liguri e gli Iberi. I primi, probabilmente di origine preindeuropea
occupavavano l‟area costiera tra Massilia (Marsiglia) e La Spezia (più o meno l‟area della
Liguria odierna). Gli altri, di origine nordafricana, occupavano la Sicilia e la Sardegna. Dalla
forma ligure-leponzia *GWHORM („caldo‟) derivano i toponimi Bormio (Lombardia), Aquae
Bormidae e Bormida (Liguria). Dal sostrato iberico deriva il suffisso –essos in toponimi come
Herbessos (Sicilia) (cfr. in Spagna, Tartessos)6.
Intorno al X secolo a.C. le tribù italiche attraversarono le Alpi in due ondate. Prima del X
secolo a.C., i Protolatini si spinsero in Italia fino alla Calabria odierna occupando anche la
Sicilia alla quale diedero il loro nome (furono infatti i Siculi a conquistare la Sicilia). Furono
inoltre i Protolatini a dare alla penisola il suo nome Italia. Tale nome che designava all‟inizio
solo la parte centro-meridionale della penisola, deriva da Italus, il dio toro dei Protolatini e
significa „terra piena di bestiame‟.
Nel X secolo a.C., il secondo gruppo, gli Osco-Umbri, attraversarono le Alpi e si stabilirono
intorno a Bologna da dove si espansero verso il Sud, dividendo così il territorio protolatino in
due parte: la Sicilia e il Lazio. L‟osco, il dialetto dei Sanniti, era parlato da Roma alla
Campania. Cionondimeno è una lingua attualmente quasi sconosciuta. In Campania sono
scoperte delle iscrizioni, tra l‟altro un trattato fra due città e la legge municipale della città di
Bantia (che comprende 400 parole in osco) che risalgono ad un periodo compreso tra il III e il
I secolo a.C. come confermano alcuni graffiti trovati a Pompei. L‟osco fu la lingua ufficiale in
varie città dell‟Italia centro-meridionale (come Capua in Campania), fino al II secolo a.C.,
quando perse il suo prestigio e sparì, non senza però lasciare delle tracce. Il toponimo Nuceria
Alfaterna (Campania) ad esempio, si richiama all‟aggettivo umbro *NOUKRIA, *NOKRIA („la
nuova‟). Pompei (Campania) < Pompeji riprende il numerale osco pompe, „cinque‟ alludendo
alle cinque borghi di cui l‟antica città di Pompei era composta7.
5
Cfr. Carta I.
G.B. Pellegrini, Toponomastica, «II. Gli Studi sul sostrato», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen
Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, p. 433.
7
Ivi, p. 434.
6
12
Un secolo dopo, gli Etruschi, un popolo di origine incerta, fondarono un regno a nord del
Lazio fermando così l‟espansione osca. Tra il 800 e il 400 a.C. il loro regno si estese da
Bologna alla Campania. Vari nomi di città dell‟Italia centrale risalgono a questo sostrato
etrusco, come quello della capitale, per cui i toponomasti propongono due spiegazioni: Roma
< Rumon, altro nome per il Tevere; romanus dovrebbe essere stato l‟equivalente di „fluviale‟.
Oppure, Roma < ruma, „mammella‟, (cioè „colle‟), con riferimento allora al Palatino8.
Nello stesso secolo i Greci si stabilirono nelle zone costiere della Sicilia, della Calabria e della
Campania fino a Napoli. Popolo marinaro, i Greci occupavano le coste e senza penetrare mai
l‟entroterra. Dal VII al III secolo a.C. il greco servi come lingua di cultura nell‟Italia
meridionale. Il nome del capitale della regione di Campania deriva dal sostrato greco: Napoli
(Campania) < Νεάπολις (cioè „città nuova‟)9.
Prima dei Greci i Fenici avevano qualche colonia in Sicilia, ma questo popolo potè far sentire
la propria influenza solo sporadicamente: Tharros (Sardegna) < Tiro (nome fenicio), cfr. ebr.
zar „roccia‟, „scoglio‟10.
Dopo il 1000 a.C. due popoli di origine illirica attraversarono il mare Adriatico. I primi, i
Veneti, occupano le coste dell‟odierno golfo di Venezia. Una traccia del sostrato veneto
sarebbe riscontrabile nel suffisso –este, presente in toponimi come Trieste (in Friuli-Venezia
Giulia). I secondi, i Messapi, occuparono Puglia. Al sostrato veneto appartiene tra l‟altro
Vicetia, „Vicenza‟ (Veneto) cfr. lat. VICUS, gr. οἶ κος, ‟insediamento‟11; a quello dei Messapi
appartengono i toponimi pugliesi Brindisi e Taranto.
A partire del 400 a.C. i Celti, un popolo proveniente dalla Germania meridionale, attraversò le
Alpi cacciando via gli Etruschi dalla pianura padana. Al sostrato gallico risale il nome Milano
< Mediolanum („la pianura di mezzo‟) < gall. *LANUM („pianura‟)12. Nel 387 a.C. i Celti
assediarono Roma ma, incapaci di prendere il Campidoglio, si ritirano nella pianura padana
occidentale, da dove cacciarono via una parte della popolazione etrusca nelle Alpi, i Reti.
Ecco perché certi toponimi nelle Alpi svizzere portano il suffisso etrusco -enna (Clavenna,
Parsena). Inoltre, i nomi di alcuni comuni altoatesini come Vipiteno hanno un‟origine etrusca:
Vipitenum < personale etr. Vipiθenes13.
Viste le tante migrazioni nell‟Italia prelatina e la costellazione di sostrati che ne risulta, non
meraviglia la grande varietà diatopica dell‟italiano attuale. È nella toponomastica – i nomi di
8
Ivi, p. 433.
Ivi, p. 434.
10
Ibidem.
11
Ivi, p. 433.
12
Ibidem.
13
Ibidem.
9
13
luoghi sono degli elementi più stabili di una lingua - che questa frammentazione linguistica,
dovuta ai sostrati, ha persistito meglio.
2.
Toponimi di origine latina
14
2.1
Latinizzazione della penisola14
Benché i sostrati abbiano fatto sentire il proprio influsso, è il latino a marcare di più la
toponomastica italiana. La storia del latino comincia verso 800 a.C.. In quest‟epoca il latino
era un dialetto parlato a Roma, come lo erano anche l‟osco-umbro e l‟etrusco. Tra il 700 e 500
a.C. gli Etruschi erano il gruppo etnico dominante a Roma. Nel 509 a.C., quando i romani
spodestarono l‟ultimo re etrusco, Tarquinio il superbo, finì l‟egemonia etrusca. Tutto questo
però non sarebbe mai stato possibile senza l‟invasione dei Celti che, a partire dal 400 a.C.
misero gli etruschi sotto pressione. Un altro fattore importante fu la guerra civile tra Mario e
Silla nel 82 a.C. in cui la nobiltà etrusca sotto la guida di Mario dovè soccombere per mano
dei romani di Silla. Non è il merito di Silla aver messo fine al potere etrusco anche se fu lui a
dare agli Etruschi il colpo di grazia. Lo stesso successe con gli Osco-Umbri qualche anni
prima, con la guerra sociale dal 91 al 88 a.C..
Seguirono poi le guerre dei romani contro i Sanniti (alla fine del IV secolo a.C.).
L‟espansione nel meridione continuò nel 275 a.C., quando il re Pirro perse la guerra con i
Greci della Magna Graecia contro i romani. Tuttavia i romani, per avendo vinto sul piano
militare, non furono mai in grado di cancellare completamente il greco e la cultura greca
nell‟Italia meridionale.
Nel 241 a.C. fu annessa la Sicilia, tre anni dopo la Sardegna. Nel 191 a.C. venne inglobata la
Gallia Cisalpina e con l‟annessione della Liguria nel 154 a.C. i romani giunsero a controllare
il territorio dell‟Italia attuale.
Si potrebbe dire che, in Italia, si continuò a parlare latino fino all‟800, quando colla
rinascenza carolingia nacque la coscienza che il latino si era ormai differenziato in varie
lingue diverse. Non meraviglia dunque che durante questi sedici secoli il latino abbia marcato
in modo irreversibile la toponomastica italiana.
2.2
14
I registri dei toponimi latini
B. Migliorini, Storia della lingua italiana, Firenze, Sansoni, 1960, pp. 6-10.
15
I toponomi di origine latina sono facilmente riconoscibili perché sono quasi tutti composti da
un lessico di base. Inoltre, è possibile collocare i toponimi latini in alcune categorie principali.
In primo luogo, ci sono i toponimi che si riferiscono alla vita pubblica, con molti derivati di
FORUM,
„piazza pubblica‟, come San Giovanni di Porfiamma (Foligno) che deriva da FORUM
FLAMINII15.
Nella stessa categoria possiamo collocare i toponimi che alludono alla vita religiosa, ad
esempio i derivati di FANUM, „luogo sacro‟, „tempio‟, come i numerosi comuni italiani col
nome Fano, soprattutto in Toscana16.
Poi ci sono i toponimi che derivano dalla numerazione delle pietre miliari. Così si incontrano
in Italia nomi come Terzo < AD TERTIUM LAPIDEM, Quarto, Cinto e così via17, ad es. Terzo di
Mezzo (Campania, nella provincia di Salerno), quatro chilometri a est di Eboli; Quarto
(Campania), sei chilometri a ovest di Napoli ecc. Meno frequenti sono i casi che superano
dieci, ad es. Quintodecimo (Benevento), ma non si è sicuro che si tratti di un toponimo tratto
da una pietra miliare18.
Ci sono inoltre toponimi che alludono all‟agrimensura. Si tratta di toponimi che derivano tra
l‟altro da CENTURIA, „una misura di cento iugeri‟, come Centòja, Centòje in Toscana o
Centòra, Centòre altrove, e che derivano da CANNABULA, „un fosso di scolo per prosciugare i
fondi‟, come Canabbia (Toscana)19.
2.3
I suffissi latini
L‟ultima tra le categorie principali è composta da quei toponimi che esprimono una proprietà
fondiaria. Si tratta principalmente di questi nomi che comprendono il suffisso –ano, preceduto
da un nome proprio. In latino il suffisso –anum si combinava spesso con un „nomen gentile‟ o
un „cognomen‟ per esprimere un‟appartenenza, ad es. fundus Vettianus - uno dei composti
nome + anum nella Tabula Alimentaria di Veleia trovata a Piacenza, Emilia-Romagna - cioè
15
G.B. Pellegrini, Toponomastica, «III. L‟elemento latino», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen
Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, p. 435.
16
Ibidem.
17
Ibidem.
18
G.B. Pellegrini, «Osservazioni di toponomastica stradale», in: id., Saggi di linguistica italiana: storia,
struttura, società, Torino, Boringhieri, 1975, pp. 218-219, 225. I toponimi che derivano da pietre miliari sono da
collocare nella toponomastica stradale (cfr. infra).
19
G.B. Pellegrini, Toponomastica, «III. L‟elemento latino», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen
Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, p. 435.
16
„la tenuta della stirpe Vettia‟. Carmignano (Padova, Veneto) < CARMINIUS e Caverzano
(Belluno, Veneto) < CARMINIUS, testimoniano ancore di questa formazione20.
Salta agli occhi che questo suffisso -anum > -ano si incontra in tutta Italia, salvo che
nell‟estremo Sud della Calabria, nella Sicilia e nella Sardegna. Nell‟Italia meridionale, cioè
l‟area che corrisponde più o meno alla Magna Graecia, dove si è fatto sentire l‟influsso greco,
il suffisso –anum > -ano ha fatto posto per quello greco -óς-anò come in Cagnanò
(Sicilia) < CANIUS, Gallieianò (Calabria) < GALLICIUS21.
Si osserva che anche i toponimi che risalgono ai sostrati prelatini esprimono spesso
un‟appartenenza e che ognuno di questi sostrati è all‟origine di un suffisso che può essere
preceduto dal nome del possessore. Così, nell‟Italia settentrionale si incontrano toponimi che
finiscono con i suffissi -ago < -acus, ad es. Giussago (Pavia) < JUSTIACUS, JUSTIUS; -ach < acus, ad es. Cugnàch (Sedico, Belluno), colla vocale finale caduta < COVINIUS; -acco < acus, ad es. Adegliacco (Friuli Venezia Giulia) < *ALLIACU, ALLIUS22. Probabilmente i
suffissi derivanti da -acus, -acum sono di origine celtica, analoghi a quelli che si osservano
nella Francia centro-meridionale: cfr. Cognac, Armagnac, Bergerac ecc., corrispondenti nella
Francia settentrionale ai suffissi -y, -ay < -iacum, ad es. Orly < AURELIACUM (cfr. Aurillac
nella Francia centrale)23.
Suffissi collo stesso senso sono -ate, molto frequente in Lombardia, ad es. Lambrate e -en(n)a
e -inus probabilmente di origine etrusca, ad es. Bibbiena (Toscana)24.
Il suffisso -asco < -ascus, ad es. in bergamasco (di Bergamo), comasco (di Como) ecc.,
merita particolare attenzione. Come i suffissi -anus e -acus, anche -asco si aggiunge a nomi di
persone e esprime un‟appartenenza. Ma per quanto riguarda la sua origine non esiste una
unanimità tra i toponomasti. Vista l‟alta frequenza del suffisso nel nordovest dell‟Italia, alcuni
come Giovanni Flechia (1873), suppongono una provenienza ligure. Il fatto però che il
suffisso –asco si trovi anche nel territorio ladino, ha spinto alcuni linguisti a propendere per
un‟origine celtica o indoeuropea. D‟altro canto, la prima attestazione del suffisso in
un‟iscrizione genovese del 117 a.C., elenca i fiumi Neviasca, Vinelasca, Veraglasca e
Tudelasca e sembra rinforzare l‟idea di una provenienza ligure. Inoltre anche in Corsica,
20
Ibidem.
Ibidem.
22
Ibidem.
23
G. Rohlfs, «Toponomastica italiana, origini, aspetti e problemi», in: id., Studi e ricerche su lingua e dialetti
d’Italia, Firenze, Sansoni, 1972, p. 38.
24
G.B. Pellegrini, Toponomastica, «III. L‟elemento latino», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen
Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, p. 436.
21
17
antico territorio ligure, si incontrano nomi geografici quali Aragnasco, Grillasca, Giuvellasca,
Palasca e Venzolasca25.
Secondo la tesi proposta dai sostenitori di un‟origine ligure il suffisso -asco sarebbe stato
preso in prestito dai Celti e poi dai Romani, che avevano già assunto suffisso celtico -acum. I
Romani accordavano ad -asco una funziona analoga a quella di -ano e -ago, come si verifica
nei doppioni Arnasco / Arnano, Arnago < ARNIUS; Calvignasco / Calvignano < CALVINIUS;
Maiasco / Maiano < MAIUS ecc26.
2.4
Gli arcaismi
Varie voci che esistevano nel latino volgare non si sono mantenute nelle lingue romanze.
Spesso queste parole venivano sostituite da termini innovativi o da parole con una
connotazione diversa. Tra queste parole possiamo collocare ad esempio la parole per
„cavallo‟, EQUUS („destriero‟), che nel latino volgare viene soppiantata dalla parola
spregiativa CABALLUS („ronzino‟) che risulta in it. cavallo, fr. cheval, prov. cat. cavall, sp.
caballo, port. cavalo, rum. cal. Altre termini vengono sostituiti da due o più forme, ad es.
l‟aggettivo PULCHER che nelle zone periferiche cede il posto a FORMOSUS: sp. hermoso, port.
formoso, rum. frumos mentre nelle aree centrali è l‟aggettivo BELLUS che s‟impone: it. bello,
fr. bel / beau27.
Si osserva anche una differenza tra zone periferiche, che sono generalmente più conservatrive,
e zone centrali, che tendono a essere più innovative. Così si può incontrare in lingue
periferiche parole che non esistono più nelle lingue centrali, ad es. MAGNUS („grande‟) e
DOMUS
(„casa‟) che nel Sardo risultano in mannu e domu, parole che non continuano nelle
altre lingue romanze28.
È dunque nel linguaggio conservativo che persiste un lessico arcaico. Ecco perché anche la
toponomastica – come si è detto, i nomi di luoghi sono tra gli elementi linguisticamente più
stabili – può servirci come una fonte per la conoscenza del lessico arcaico. Inoltre la
toponomastica ci permette anche di ricostruire meglio i confini dei sostrati e dei superstrati.
Ciò fa di essa una vera disciplina linguistica e non esclusivamente una disciplina storico25
G. Rohlfs, «Toponomastica italiana, origini, aspetti e problemi», in: id., Studi e ricerche su lingua e dialetti
d’Italia, Firenze, Sansoni, 1972, p. 39.
26
Ivi, p. 39-40.
27
G.B. Pellegrini, «Toponomastica e lessico arcaico», in: id., Saggi di linguistica italiana: storia, struttura,
società, Torino, Boringhieri, 1975, pp. 286-287.
28
Ivi, p. 287.
18
geografica29. Alcuni esempi di parole latine che non sopravvivono nelle lingue romanze ma di
cui possiamo ancora distinguere le tracce in parecchi toponimi sono ACERNUS (aggettivo
significante „di acero‟) > Acèrno (Campania), AGELLUS („campicello‟) > Aiello del Sabato
(Campania), ARX, ARCE („rocca‟, „altura‟) > Arce (Campania, presso Caserta), BASILICA
(„chiesa‟) > Baselice (Campania), CENTURIA („misura di cento iugeri, poi di duecento‟) >
Centora (Campania, presso Aversa), MAIOR, -ORE („maggiore‟) > Frattamaggiore
(Campania), SUBSICIVUM („particella di terreno che rimane esclusa della misurazione di una
centuria‟) > Succivo (Campania), THERMAE („bagni caldi‟) > Telese Terme (Campania),
VETUS, -ERIS
29
30
(„vecchio‟) > Castelvetere sul Calore (Campania)30.
Ivi, pp. 297-298.
Ivi, pp. 288-297.
19
3
I superstati
3.1
Le invasioni barbariche
All‟inizio del X secolo l‟impero romano è ormai sfaldato dalle tante tensioni e le popolazioni
slave e germaniche coglono l‟occasione per espandersi nei suoi confini.
Nel 406 i Vandali lasciarono l‟Ungheria per la penisola iberica, ma nel 410 furono cacciati via
dai Visigoti, dagli Svevi e dagli Alani e furono costretti ad attraversare il Mediterraneo verso
l‟Africa, da dove occuparono la Sicilia, la Sardegna, la Corsica e le Baleari. Nel 406,
cominciò anche l‟espansione dei Burgundi, un popolo proveniente della Germania
settentrionale, che, respinti dai Romani, si stabilirono nella Savoia e nella parte confinante
della Svizzera. Nello stesso periodo gli Alamani occuparono la Svizzera settentrionale, dove
alcuni anni dopo si stabilirono anche i Bavari, costringendo la popolazione romana di ritirarsi
nelle Alpi. Infine, nel 411, l‟esercito romano in Britannia si vide sconfitto dalla popolazione
anglosassone e poco dopo i Celti furono respinti verso l‟est.
All‟inizio del V secolo l‟impero romano era ormai ridotto alla sola penisola italica; la caduta
avvenne nel 476, quando Odoacre, il re degli Eruli, una piccola tribù germanica, depose
l‟imperatore d‟Occidente Romolo Augustolo. Il suo regno fu però di breve durata perché già
nel 493 Odoacre fu sconfitto dagli Ostrogoti di Teodorico a Ravenna. Il dominio di
quest‟ultimo resistè fino a 526, quando l‟imperatore dell‟oriente Giustiniano cominciò dalla
Sicilia la riconquista della penisola italica che finì nel 555. Nel frattempo si veniva
consolidando il regno dei Franchi sotto la guida di Clodoveo.
Nel 568 i Longobardi, respinti dalle popolazioni Slave dall‟area dove si trova oggi l‟Ungheria,
trovarono la pianura padana indifesa. Durante i due secoli seguenti occuparono quasi tutta la
penisola. Pavia diventò la capitale del regno longobardo. I Longobardi però, non riuscirono
mai a conquistare il sud. Il loro regno si estese fino a Benevento (Campania), ma il resto del
territorio meridionale (fino a Napoli) e le due isole rimasero bizantini. Carlo Magno sconfisse
definitivamente i Longobardi nel 773-774.
Nel IX secolo, la Sicilia, sempre dominata dai Bizantini, venne invasa dagli Arabi che
riuscirono a sottomettere i Bizantini in una guerra che durò quasi un secolo. Nello stesso
tempo attaccarono le coste dell‟Italia meridionale, senza riuscire ad imporre un proprio regno
durevole (salvo a Malta). Nella seconda metà del XI secolo gli Arabi furono cacciati via dai
Normanni invocati dai Bizantini. I Normanni fondarono in Sicilia un regno durevole che si
20
estendeva anche sulla penisola. Per quanto possa sembrare strano i Normanni furono in grado
di vivere in Sicilia in perfetta armonia con gli Arabi fino al XIII secolo.
Nell‟Italia meridionale troviamo anche alcuni stanziamenti albanesi. Nel XV secolo, gli
albanesi, in fuga dall‟espansione turca, sbarcavano a ondate in Calabria. Coinvolti come
mercenari del re di Napoli, ottennero terre e alcuni privilegi.
3.2
I toponimi postlatini
Numerosi sono i toponimi che si richiamano ai popoli che hanno invaso la penisola italica nel
periodo postlatino. Ad es. Alagna (Lombardia) < ALANI, Soave (Piemonte, Veneto) < SVEVI,
SVAVI,
Sassinoro (Emilia-Romagna e Campania, presso Benevento) < SASSONI, Burgondi
(Pavia) < BURGUNDI ecc31.
Ancora più numerosi sono i toponimi che si riferiscono alla presenza dei Goti, ad es. Castello
di Gòdego (Treviso), Gòdeghe (Vicenza), Goito (Mantova) ecc., e per quanto riguarda l‟Italia
meridionale Sant’Agata dei Goti (Campania, presso Benevento). Onnipresenti nella
toponomastica italiana sono inoltre i derivati longobardi ad es. FARA „insediamento di una
comunità di viaggio longobardo‟ (soprattutto nell‟Italia settentrionale) > Farra d’Isonzo
(Friuli Venezia Giulia), Farra d’Alpago (Belluno) e così via; BERG „monte‟ > Perga, Berga,
Valperga; GAHAGI „luogo chiuso da siepe‟, „bosco‟ > Caggiano (Campania); SALA „corte‟,
„casa padronale‟ > Sala Consilina (Campania, presso Salerno)32.
L‟influsso bizantino sulla toponomastica dell‟Italia meridionale è abbastanza considerevole,
soprattutto per quanto riguarda le due isole e la Calabria. Osserviamo tra l‟altro Cefalù
(Sicilia) che esiste nel greco classico e che tramite il bizantino ha formato il toponimi attuale,
Kefaloύd(i)ojCefalà Diana <Kefalάj ‟testone‟, e Deri (Sicilia, presso Messina) < dέ rη
‟colle‟, „giogo di monte‟33.
Vari sono i toponimi siciliani di origine araba, ad es. i tanti derivati delle parole arabe per
„castello‟ qalca(t) > Calatafimi qalcat fïmi „la rocca di Eufemio‟ o qasr > Càssaro (Palermo).
Particolare interesse meritano i casi di paronomasia come Caltanissetta. L‟antico nome di
questa città era Nis(s)a (abitata dai Nisseni) che viene interpretato dagli Arabi come nisā, il
plurale arabo per „donne‟. La parola araba per designare la loro cittadella era allora qalcat an31
G.B. Pellegrini, Toponomastica, «V. Toponimi di origine postlatina», in: G. Holtus, Lexicon der
Romanistischen Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, p. 437.
32
Ibidem.
33
Ivi, pp. 437-438.
21
nisā > Caltanissetta, cioè „castello delle donne‟. Lo stesso è successo per quanto riguarda
Ἕννα, Henna (Castrum Ennae) che veniva interpretata dagli Arabi come Yannah, Yanni cioè
Ioanni, Giovanni. Così troviamo attestato nel 1091 un Castrum Ioannis, nel 1142 kάstrou
iwάnnou, nell‟arabo qasr yānah, che diventa più tardo Castrogiovanni34.
Potremmo elencare i tanti esempi di toponimi siciliani che hanno subito l‟influsso arabo, ma
lo scopo qui è semplicemente quello di evidenziare l‟impatto enorme – ma non sorprendente,
dato che gli Arabi hanno vissuto durante cinque secoli nella regione - della civiltà araba sulla
Sicilia. Il fatto che gli Arabi siano stati in grado di modificare ancora nel Medioevo la
toponomastica siciliana, mette in risalto la loro importanza linguistica e culturale per l‟Italia
meridionale.
Per quanto riguarda la presenza albanese nell‟Italia meridionale, tracce chiare di tali
insediamenti si possono trovare nella toponomastica di questa zona: cfr. S. Cosmo Albanese
(Calabria), Falconara Albanese (Calabria)35.
34
35
Ivi, p. 438.
E. Finamore, I nomi locali italiani, Rimini, Edizioni Nuovo Frontespizio, 1980, p. 8.
22
4.
Geonomastica: idronimi, limnonimi e oronimi
Come ho già fatto notare sopra, certi termini geonomastici risalgono a tempi abbastanza
antichi. Si tratta di nomi di corsi d‟acqua detti „idronimi‟, di nomi laghi o „limnonimi‟ e di
nomi monti o „oronimi‟. Nell‟ottica di una datazione di questi termini geonomastici dobbiamo
inanzittutto fare una distinzione tra gli idronimi da un lato e i limnonimi e gli oronimi
dall‟altro. Generalmente gli idronimi sono più vecchi degli oronimi visto che i corsi d‟acqua
erano in tempi remoti quasi le uniche vie di communicazione e di circolazione. Dunque
spesso i nomi dei corsi d‟acqua derivano da strati molto antichi, non di rado indeuropei, cioè
prelatini. ad es. Serio (Lombardia) < Sarius < la radice iendeuropea *SER-/*SOR- „scorrere‟
(cfr. Sarca (Lago di Garda)); Àbano (fonte termale di) < APONUS < la radice indeuropea *ap„acqua‟, „fiume‟; Arno < la radica indeuropea *er-/*or- „mettere in movimento‟, „agitare‟ (cfr.
l‟Arne, un‟affluente della Suippe in Francia, nel dipartimento della Marna). Però questi
idronimi non si sa da quale sostrato derivino precisamente. Si può solamente dire da quali
strati provengano le modificazioni che hanno subito. Di altri idronimi italiani, spesso
settentrionali, i toponomasti hanno potuto precisare l‟origine. Ad es. Reno (Emilia-Romagna),
probabilmente di origine celtica *REINOS36.
H. Krahe37, ha fatto uno studio sugli idronimi dell‟Europa centro-settentrionale e ha potuto
distinguere alcuni suffissi ricorrenti in parecchi idronimi di origine indeuropea. Tuttavia gran
parte dei toponomasti italiani e francesi non condividono le sue tesi. Krahe individua tra
l‟altro il suffisso -nt(ia) come in Aventia > Avenza (Carrara) (cfr. Avena (Calabria)) in cui si
riconosce la radice *av-/*au- „fonte‟, „corso di fiume‟38.
Uno studio molto interessante sull‟idronomia è stato fatto dal linguista tedesco Gerhard
Rohlfs (1972). Egli individua differenti categorie di provenienza dei nomi di fiumi. Così
parecchi fiumi e torrenti prendono il nome di animali, ad es. Drago (Sicilia), Dragone
(Toscana), Serpente (Sicilia), Grue (Lombardia), Cervo (Piemonte), Corvo (Campania),
Cicogna (Veneto) ecc. Lo stesso vale per gli oronimi, ad es. Aquila (Calabria), Monte Corvo
(Sicilia), Monte Porco (Campania), Monteleone (Umbria, Campania) ecc39.
36
G.B. Pellegrini, Toponomastica, «VI. Idronimi ed oronimi», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen
Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, p. 438.
37
H. Krahe, Unsere ältesten Flussnamen, Wiesbaden, Harrassowitz, 1964, (citato in G.B. Pellegrini,
Toponomastica, «VI. Idronimi ed oronimi», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen Linguistik 4: Italiano,
Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, p. 439.)
38
G.B. Pellegrini, Toponomastica, «VI. Idronimi ed oronimi», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen
Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, p. 439.
39
G. Rohlfs, «Toponomastica italiana, origini, aspetti e problemi», in: id., Studi e ricerche su lingua e dialetti
d’Italia, Firenze, Sansoni, 1972, p. 46.
23
Anche i nomi di divinità possono apparire in oronimi o idronimi, come avviene nei
numerosissimi monti con il nome Monte Giove (Piemonte, Lombardia, Toscana, Abruzzo,
Calabria) e nei tanti oronimi nell‟Italia settentrionale che si richiamano alla dea romana
Minerva: Minerbe (Verona), Minerbio (Bologna), Manerbio (Brescia) < Minervium „tempio
di Minerva‟ e in Calabria c‟è un fiume dal nome Mércure. In vari nomi di paesi nell‟Italia
meridionale si riconosce il nome di Ercole. Sono le tracce di un antico culto erculeo in questi
regioni, Ercole (Campania), Erchie (Campania, presso Salerno), un paese omonimo si trova in
Salento40.
Molto particolare appare anche l‟idronimia degli affluenti, di cui i nomi sono spesso composti
dal nome del fiume in cui escono e un suffisso diminutivo che ci si aggiunge. Ad es.
l‟affluente del Tàmmaro (Campania, Benevento) si chiama la Tammarecchia, quello del
Tevere si chiama il Teverone e i due fiumiciattoli che si uniscono nel Crati (Calabria) si
chiamano il Cratone e il Craticchio41.
Secondo lo stesso Rohlfs, alcuni limnonimi prendono origine da credenze popolari. Si tratta
soprattutto di laghi che si trovano in aree disabitate e inospitali. In Sardegna esiste un Riu de
Giana „fiume della strega‟ (Giana < sard. jana „strega‟ < Diana), cfr. il nome del torrente
Janare (Campania, presso Benevento); in Calabria c‟è un fiume che si chiama Satanasso; in
Sicilia troviamo il fiume Madredonna < Mater domina < Mater matrona, che si riferisce
probabilmente all‟antico culto della dea Cibele42 (cfr. la Via Matromania (Capri): < la grotta
di Matromania, luogo di venerazione della dea Cibele)43.
Non si deve poi dimenticare che, non di rado, la presenza di un fiume, di un monte o un lago
può anche riflettersi nei toponimi delle località limitrofe. Si osservano i toponimi come
Fiume, Flúmene (Sardegna), Lago, Poggio, Rocca, che in certi casi sono specificati da un
aggettivo che segue come in Fiumefreddo, Flúminimaggiore (Sardegna), Lagonegro,
Poggioreale, Roccaforte, o come avviene di norma nella toponomastica francese centrosettentrionale, precede il nome: cfr. Altomonte, Belmonte. Spesso i toponimi di questo tipo
comprendono un suffisso diminutivo per esprimere la dimensione Roccella (Calabria),
Rocchetta (Liguria), Monticello (Piemonte), Fiumone, Petrone ecc44.
40
Ivi, p. 47.
Ibidem.
42
Ivi, pp. 47-48.
43
G. Rohlfs, «Nomi di stradi in Italia e i loro segreti», in: id., Studi e ricerche su lingua e dialetti d’Italia,
Firenze, Sansoni, 1972, p. 101.
44
G. Rohlfs, «Toponomastica italiana, origini, aspetti e problemi», in: id., Studi e ricerche su lingua e dialetti
d’Italia, Firenze, Sansoni, 1972, p. 32.
41
24
Elementi ricorrenti nella toponomastica delle aree montagnose sono Motta „monte con cima a
cupola‟, Serra „catena dentellata‟ (cfr. Serre in Campania), Morra „massa rocciosa‟ (cfr.
Morra de Sanctis in Campania) e Penna „cima‟, cioè elementi che alludono all‟aspetto delle
formazioni montagnose. Frequentissimi nell‟area appenninico meridionale (Campania,
Abruzzo) sono le forme peschio, pesco, cioè „roccia‟, e i loro derivati, ad es. Pesco
Lombardo, Pescopagano ecc. Altre forme costante sono péntima „rocca grande‟ (cfr. Péntima
in Abruzzo), ed altri toponimi che alludono alla forma delle montagne Montepertuso „monte
perforato‟ (Campania), Pettinascura „pettine oscuro‟ (Calabria). La vicinanza di un palude o
un avvallamento risulta in toponimi composti dalla forma pugliese lama, cioè „avvalamento
umido e paludoso‟, ad es. Lama dei Peligni (Abruzzo), Lamalunga (Puglie), Lamatorta
(Puglie) e così via45.
Viene anche frequentamente incorporata nei toponimi la nozione di „cavo‟ (grotta), ad es.
Grotte (Sicilia), Sperlonga (Campania), Sperlinga in Sicilia (dove una parte della popolazione
vive ancora in abitazioni scolpite nelle grotte), Spílinga (Calabria) < lat. spelunca < gr. ant.
spή lugga‟cavità‟46.
Anche la vicinanza di un fiume,di un lago, di un sorgente minerale o un bagno può essere
determinante per certi toponimi, ad es. Piedilago (Campania), Bagnoli (Campania), Pozzuoli
(Campania) < lat. puteoli47.
45
Ivi, p. 33.
Ibidem.
47
Ivi, p. 36.
46
25
5.
Toponomastica medievale
5.1
Toponomastica sacra o agiotoponomastica
Di particolare interesse per lo studio della storia culturale appare la toponomastica sacra, cioè
i nomi dei luoghi, spesso di piccole località, in cui figura un nome di un santo o di una santa.
Si osserva questo tipo di toponimi non prima dal VI secolo, cioè quando la fede cristiana si
era abbastanza diffusa. All‟inizio questi toponimi erano accompagnati dalle forme sanctus (o
sancta) e domnus (o domna). Quest‟ultima forma figura ancora nella toponomastica francese
agglutinata al nome del santo in toponimi del tipo Domrémy, Dompierre, Domgermain,
Dampierre, Dammartin, Donnemarie, Dannemarie ecc. Toponimi di tale formazione non
occorono in Italia. Però nella toponomastica dell‟Italia meridionale (Dompetrizzi, Don
Gennaro, Don Giovanni...) e di Sardegna (Don Antiogu, Don Efisi) è molto frequente l‟uso
dell‟appelativo „don‟ (cfr. la toponomastica spagnola), ma non si è sicuro che esso si riferisca
a un santo. Ciononostante si sa con maggiore certezza che appartengono alla toponomastica
sacra i nomi introdotti dalla forma femminile domina, come ad es. nella chiesa di
Donnaromita a Napoli48.
Nell‟Italia meridionale, presso gli insediamenti greci, parecchi nomi di località comprendono
le particelle ajo e as che risalgono al greco ἅ giojla forma equivalente del latino sanctus.
Però i toponimi di questo tipo si limitano alla Calabria meridionale, ad es. Ajom Betro „San
Pietro‟, Ajo Nicola, Ajo Laurendi ecc. e alle Puglie, ad es. As Antoni o nell‟accusativo An
Antoni, An Jako, An Aloi. Ogni tanto, tali particelle sono difficilmente riconoscibili, come in
Accisári „San Cesario‟ (Calabria) e Addunao „San Donato‟ (Calabria)49.
Appartengono alla stessa categoria i toponimi nell‟Italia meridionale che sono composti da
una forma derivata del greco ύrioj ‟domnus‟ (nel senso di „sanctus‟), come il monastero di
Cersosimo < Cyr Zosimo < ύrioj Zώ simoj (Lucania) o i toponimi calabresi Cernostasi (<
Anastasius), Cerantoni (< Antonius), Ceramarta (< Martha)50.
Non di rado, visto l‟uso frequente in Italia di forme vezzeggiative per i nomi propri, è difficile
determinare i nomi santi da cui certi toponimi derivano, ad es. San Mommé (Toscana) < San
Tommaso. Si considera anche le numerose forme aferetiche (caratterizzate dalla caduta di una
sillaba all‟inizio di una parola) o apocopate (con caduta di una sillaba alla fine della parola)
48
G. Rohlfs, «Nomi di santi nella toponomastica italiana (Hagiotoponomastica)», in: id., Studi e ricerche su
lingua e dialetti d’Italia, Firenze, Sansoni, 1972, pp. 75-76.
49
Ivi, p. 76.
50
Ibidem.
26
come San Boldo (Friuli) < Uboldo < Ubaldus, Sant’Aponal (nome di una chiesa veneziana) <
Sant‟Apollinare, Santa Stasia (Campania) < Sant‟Anastasia ecc51. In vari altri casi, si osserva
una connotazione simile nelle costruzioni con suffissi vezzeggiativi affettuosi (sovente
diminutivi) come in San Giovanniello (Campania), Sant’Angiolillo (Campania)52.
Come si è detto qui sopra, vari agiotoponimi subiscono tali modificazioni fonetiche (cfr.
infra) che, per chi non si intenda della materia, può risultare quasi impossibile riconoscere un
qualsiasi nome di santo. Si osservano ad esempio San Chiaffredo (Piemonte) < Santo
Theotfredus, San Forzorio (Sardegna) e San Rossore (presso Pisa) che sono tutti e due
riconducibili al santo Luxorius, e in Campania Sant’Elmo che si richiama al santo Erasmus53.
Non di rado, anche l‟appelativo romanzo San(to) / Santa o quello greco hágios, si dissolve nel
nome del santo o della santa, ad es. Selino (Bergamo) „San Lino‟, Santhià (Piemonte)
„sant‟Agata‟, Marcellino (Lombardia) era anticamente San Marcellino e così via; del greco
hágios rimane una traccia (As-) in Aspalmo (Calabria), Asparmu (Calabria), che si è perso
completamente in Jacurso (Calabria) < santo gr. Akurios e Jòppolo (Calabria) < lat. Opulus <
santo gr. Euplos54.
Anche il caso contrario, però, non è eccezionale. Può accadere cioé, che un qualsiasi
toponimo assuma ingiustamente l‟accezione „San(to)‟. Ciò è successo col nome del comune
campano di San Támmaro. Di questo preteso San Támmaro, considerato santo patrono anche
a Vico Pantano nel vescovato di Aversa, le fonti storiche non ci dicono niente. Secondo una
leggenda si tratterebbe di un santo che avrebbe vissuto prima in Africa e poi in Campania
(dopo l‟invasione africana dei Vandali). Durante il suo soggiorno campano sarebbe stato
vescovo di Benevento, dove avrebbe prestato il suo nome al fiume Támmaro (un affluente del
Calore). Più probabilmente però, un santo di nome Támmaro non è mai esistito ed è il fiume
che ha dato il suo nome a questo santo fittizio55.
Spesso toponimi che iniziano per „san‟, vengono scorrettamente considerati come
agiotoponimi. In Campania, nella provincia di Benevento, c‟è una località che si chiama San
Genito. Benché un santo di nome Genitus sia attestato, San Genito è più probabilmente
ricalcato sul nome dato in varie regioni italiane al corniolo, sanguine, che dappertutto in Italia
risulta in toponimi dal tipo Sanguineto, Sangineto ecc56.
51
Ibidem.
Ivi, pp. 83-84.
53
Ivi, p. 77.
54
Ivi, p. 79.
55
Ivi, p. 80.
56
Ivi, p. 81.
52
27
In altri casi esiste una confusione tra il maschile santo e il femminile santa, ad es. Santa Saba
(Calabria) dal santo Sabas, Santa Mama (Calabria) dal santo Mamas, Santa Jona (Abbruzzo)
dal santo Jonas, San Fosco (Campania, presso Benevento) da Santa Fosca57.
Molte volte gli appelativi San(to) e Santa indicano un santo o una santa non attestato, ad es.
San Cisano (Campania, nella provincia di Avellino), San Puoto (Campania, nella provincia di
Caserta), Santa Commara (Campania), Santa Marena (Campania), oppure accompagnano
altri nomi come in Sansepolcro (Toscana), Santa Spina (Calabria), Santa Trinità
(Campania)58.
Ho già accennato al fatto che l‟agiotoponomastica può fornire dati rilevanti per la ricerca
dialettologica. Così lo l‟evoluzione di un nome come Pancratius verso i toponimi San
Brancato (più volte nell‟Italia meridionale) o San Francato (Campania, nella provincia di
Salerno) illustra la sonorizzazione di certe consonanti sorde dopo un nasale nel dialetto
napoletano (cfr. infra per la metatesi di r). Ad esempio San Venditto e Santo Vendetto (tutti e
due in Campania) si richiamano di sicuro al santo Benedetto, visto che nel dialetto napoletano
una b in posizione iniziale evolve verso una v (cfr. infra)59.
Ogni tanto tali evoluzioni foneticche risultano nella venerazione di un altro santo. Il comune
Sant’Oreste (nei Monti Sabini) ha ricevuto il suo nome nel Medioevo dal santo Eristus o
Aristus < (H)edistus. Però, dal momento in cui si è scoperto che, accanto al santo Eristus,
esisteva anche un sant‟Oreste, ambedue sono stati considerati come patroni del comune60.
Occasionalmente due toponimi quasi omofoni (cioè con una minima differenza fonetica)
venivano considerati falsamente come riferiti a due santi diversi, come ad es. è avvenuto per i
toponimi San Nicandro (Campania) e San Licandro (Campania) in cui si tratta senz‟altro
dello stesso santo. Lo stesso vale per il doppione San Mango (Campania, Calabria) e San
Magno (Calabria)61.
Un caso ancora più complesso e oscuro è quello del toponimo campano (anche a Lucania,
Salerno) San Chirico, che di solito viene ricondotto a Cyriacus < Kuriakό j volg.
Kurikό jTale derivazione suppone ipoteticamente che nell‟Italia meridionale la kgreca si sia
mantenuta davanti a una vocale palatale. Più probabile è la tesi di Gerhard Rohlfs (1972) che
fa risalire il nome Chirico a quello del santo greco Clericus che nell‟Italia meridionale si
57
Ivi, p. 82.
Ivi, pp. 82-83.
59
Ivi, pp. 78-79.
60
Ivi, p. 77.
61
Ivi, p. 78.
58
28
sarebbe dovuto assimilare a Cyriacus. L‟altra ipotesi di Rohlfs parte dal nome Quiriacus, che
per confusione da luogo alla forma Quiricus, che avrebbe risultato in Chirico62.
Di particolare importanza socio-culturale è apparsa la ricerca della frequenza dell‟occorrenza
degli agionimi nei toponimi e la loro ripartizione sul territorio italiano. Nella toponomastica
italiana il nome Maria è il più frequente, appare 618 volte (44 volte nella toponomastica
francese), seguito da Martino (455 volte v. 238 volte in Francia), Giovanni (367 volte v. 162
volte in Francia) e Michele (274 volte v. 65 volte in Francia)63.
Spesso vari agiotoponimi che alludono a uno stesso agionimo si limitano ad aree determinate
e sovente è possibile determinarne il centro di culto. Inoltre certi agiotoponimi occorrono
unicamente in una regione. In questo caso si tratta di aree abbastanza isolate come la Sicilia
(Sant’Alfano, Sant’Alfio, San Ciro, San Fratello) e la Sardegna (Sant’Alenixedda,
Sant’Angius, Sant’Antioco, Sant’Arvara, Sant’Arzolo, ecc. (la lista comprende 29 nomi))64.
Il raffronto degli agiotoponimi permette anche di stabilire certi legami tra i regioni. Saltano
agli occhi le corrispondenze tra la Sardegna, la Corsica e Toscana. Vari agiotoponimi
occorrono in queste tre regioni mentre sono assenti nel resto dell‟Italia: Santa Reparata
(anche in Abruzzo), Santo Gavino, San Lussorio. La prima santa ha il suo centro di
venerazione in Toscana (Pisa, Firenze, Lucca), mentre gli ultimi due hanno il centro di culto
nella Sardegna. Nell‟alto Medioevo la Corsica ha dunque subito a turno l‟influsso toscano e
sardo65.
Ho già messo in evidenza il contributo greco alla toponomastica dell‟Italia meridionale. Un
altro apporto è stato dato dai Normanni e dai Francesi. Parecchi agiotoponimi nell‟Italia
meridionale sono ricalcati su agiotoponimi francesi: si confrontino Sant’Etiena (Campania,
nella provincia di Salerno) v. Saint-Etienne, Sant’Aloia (Basilicata, nella provincia di
Lucania) v. Saint-Eloi (Eligius), Santo Mardo e Santo Metaro (Puglie, nella provincia di
Taranto) v. Saint-Mard e Saint-Médard (ant.) (Medardus) e così via66.
5.2
Toponomastica urbana e stradale
62
Ibidem.
Ivi, p. 84.
64
Ivi, pp. 86-87.
65
Ivi, p. 88.
66
Ivi, p. 89.
63
29
Un altro tipo di toponomastica che prende origine nel Medioevo è la toponomastica stradale.
Da un lato, parecchi toponimi urbani risalgono all‟antichità. Dall‟altro, moltissimi sono stati
sostituiti da nuove forme nel corso del tempo. Spesso tali toponimi sono più trasparenti
rispetto a quelli antichi. Si tratta tra l‟altro di toponimi - spesso di minore rilevanza linguistica
- che tendono a immortalare persone illustri. Per quanto riguarda i toponimi antichi sono
frequentissimi i nomi che alludono all‟antica suddivisione delle città in terzieri o in quartieri
(per le piccole città), in sestieri, a partire dal XIII secolo e così via. Si pensi ad esempio alla
divisione in dodicesimi (per horae)67.
Certi quartieri prendono nome dalla popolazione che ci vive. Così appare molto interessante
l‟etimo della parola ghetto. Il Ghetto era il quatriere veneziano destinato nel 1516 agli Ebrei.
All‟origine questo quartiere era un‟isoletta dove si fondevano („ghettavano‟) le bombarde68
nelle tante fornaci che vi si trovavano. Nella stessa categoria vanno inseriti gli Schiavoni,
cioè, i quartieri destinati agli Slavi69. Per la Campania abbiamo ad es. Rua Francesca (Napoli)
„via dei francesi‟ dall‟antico gallico ruga, cioè „via‟70.
Numerosi sono anche i nomi stradali che ci informano sulla presenza di acqua, cioè fontane,
ponti, spiagge, porti, paludi, canali, ecc. Per gli esempi mi limito alle città campane71: Via
Chiaia (Napoli): napol. chiaja „spiaggia‟; Via del Lavinaio (Napoli): calabr. sicil. lavinaru
„canale d‟acqua, torrente‟; Mandracchio (Napoli, nome popolare del Porto Piccolo) „parte
interna e piccola di un porto‟; Fontana della Maruzza (Napoli): napol. maruzza „chiocciola‟;
Via Chiatamone (Napoli) e Via Platamone (Atrani, nella provincia di Salerno) < gr.
‟terreno piano di lido‟.
Molto tipici sono i nomi di strade in prossimità di incroci, ad es. Vico Triggio (Benevento),
Largo Triggio (Avellino) dal antico italiano trebbio „trivio‟.
Altre strade hanno ricevuto il nome dalla vicinanza di un edificio: Via dell’Anticaglia
(Napoli) „ruderi antichi‟, i.e. avanzi di antiche costruzioni che in forma di due archi passano al
di sopra della strada; Via Arce (Salerno, Sorrento): lat. arx „castello‟ (cfr. Arce, comune in
Campania); Via Foría (Napoli): ha preso il nome dagli antichi casali fuori mura chiamati tὰ
τwrίa (cfr. Forío in Ischia ed a Cilento); Galitta (Napoli) dall‟antica galitta „garitta‟, cioè un
67
G.B. Pellegrini, Toponomastica. «VII. Toponomastica urbana», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen
Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, pp. 439-440.
68
La bombarda è un « rudimentale tipo di bocca da fuoco dei secc. XIII e XIV» (Zingarelli)
69
G.B. Pellegrini, Toponomastica. «VII. Toponomastica urbana», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen
Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, p. 440.
70
G. Rohlfs, «Nomi di stradi in Italia e i loro segreti», in: id., Studi e ricerche su lingua e dialetti d’Italia,
Firenze, Sansoni, 1972, p. 98.
71
Gli esempi sono tratti da: G. Rohlfs, «Nomi di stradi in Italia e i loro segreti», in: id., Studi e ricerche su
lingua e dialetti d’Italia, Firenze, Sansoni, 1972, pp. 91-108.
30
casotto di soldati presso l‟ufficio delle Poste. Un caso particolare è quello della Via del
Parlascio (Capua), un nome stradale frequentissimo dappertutto in Italia ma di cui non si
conosce con certezza l‟etimo esatto. Alcuni prediligono un‟origine greca perielάsion, il
diminutivo dell‟antico periέ lasij, cioè „luogo dove si può girare attorno‟, che si sarebbe
trasmesso dalla Campania al resto d‟Italia, ancora prima della parola amphitheatrum. Però, ci
ne sono altri che suppongono che parlascio sarebbe derivato dal germanico bero-laz, cioè
„luogo di custodia per orsi‟. La vera origine del termine rimane un mistero.
La maggioranza degli altri nomi stradali non si inserisce in queste categorie, ciò nonostante
sono abbastanza marcati diatopicamente (cfr. infra) e diastraticamente, soprattutto per quanto
riguarda nomi dei vicoli napoletani ad es. Vico Barrettari (Napoli): dal napoletano barretta
cioè „berretta‟; Vicolo Calascione (Napoli): dal napoletano calascione cioè „colascione‟,
strumento musicale tipicamente napoletano; Le Chianche (Napoli): dal napoletano chianca
cioè „macelleria‟; Vicolo della Corsea (Napoli): dal napoletano corsea cioè „corsia, corridoio‟;
Vico dei Lammatari (Napoli): dal napoletano lammataro cioè „artigiano che lavora le lame
delle armi bianche‟; Vico della Tofa (Napoli): dal napoletano tofa cioè „conchiglia marina da
buccina‟72; Vico delle Zite (Napoli): it. mer. zita cioè „sposa novella‟ ecc.
72
La buccina era un tipo di strumento a fiato.
31
PARTE SECONDA
«Omnium non modo Italiae, sed toto orbe terrarum pulcherrima
Campaniae plaga est. Nihil mollius caelo: denique bis floribus vernat.
Nihil uberius solo: ideo Liberi Cererisque certamen dicitur. Nihil
hospitalius mari: hic illi nobiles portus Caieta, Misenus, tepentes
fontibus Baiae, Lucrinus et Avernus, quaedam maris otia. Hic amicti
vitibus montes Gaurus, Falernus, Massicus et pulcherrimus omnium
Vesuvius, Aetnaei ignis imitator. Urbes ad mare Formiae, Cumae,
Puteoli, Neapolis, Herculaneum, Pompei, et ipsa caput urbium,
Capua, quondam inter tres maximas (Romam Carthaginemque)
numerata. »
Publio Annio Floro, (Epitoma, 11)
32
1.
Panoramica storica della Campania1
L‟area della Campania odierna è sempre stata una regione densamente popolata, già nell‟età
preistorica. Oggi l‟incontestato centro gravità della regione è Napoli, ma non è sempre stato
così. Prima della seconda metà del „200 – cioè quando Carlo d‟Angiò ha stabilito la capitale a
Napoli – erano le altre città che si imponevano.
Nel IX secolo a.C., Capua, città etrusca, (ora Santa Maria Capua Vetere) dominava la regione.
In quel periodo la popolazione etrusca si estendeva fino al sud della regione. A partire del VII
secolo a.C. Capua perse d‟importanza, il che tornò a vantaggio di Cuma, una città fondata dai
Greci, che si erano già insediati nell‟isola di Ischia, cui diedero il nome Pithecusa, „isola della
scimmia‟.
Lo stanziamento greco a Cuma si estese poco a poco verso il sud, fino a
Dicearchia (l‟odierna Pozzuoli) e Partenope, un insediamento collinare (sul monte Echia)
presso il mare. I Greci tendevano inoltre a non espandere il loro territorio, che si limitava a
qualche insediamento sugli altopiani vicini al mare da cui erano in grado di dominare il
terreno sottostante.
Il Cilento, l‟area meridionale della Campania attuale, faceva invece parte del territorio lucano:
la zona montuosa, che circonda le valli del Calore e del Volturno (che delimitano la provincia
di Avellino e quella di Benevento) era occupata dai Sanniti e dagli Oschi.
Nel 524 a.C. i Greci sbaragliarono gli Etruschi a Cuma, lasciando così la pianura aperta ai
Sanniti che occupavano il territorio etrusco fino alla stessa Cuma. Allo stesso tempo Napoli
diventò un centro economico di primo piano, visti i tanti rapporti commerciali con altri porti.
Come ho già sottolineato, queste migrazioni di popolazioni non sono prive d‟importanza per
quanta riguarda la composizione della regione attuale e i suoi dialetti. Così, il dialetto di
Cilento condivide molte caratteristiche con il dialetto lucano. Nel 326 a.C. i Romani
sconfissero i Sanniti e fondarono dappertutto nella regione delle città fortificate, favorendo lo
sviluppo delle località circostanti. Ancora per più d‟un secolo le diverse popolazioni
continuarono a parlare la propria lingua, fino a 180 a.C., quando i Greci dovettero riconoscere
il prestigio del latino, facendone la lingua ufficiale a Cuma.
È grazie ai Romani che la città di Napoli ha potuto evolversi come il centro della regione, tra
l‟altro tramite la costruzione di una rete viaria che serviva le regioni limitrofe: la via Pompilia
che collegava Capua, Nola, Nocera, Salerno fino alla Lucania; e la via Appia che passando
per Capua, Benevento e Avellino collegava la capitale alle Puglie.
1
Per la parte della storia campana mi riferisco al primo capitolo «La regione e la sua storia», in: N. De Blasi,
Profilo linguistico della Campania, Roma-Bari, Laterza, 2006, pp. 3-14.
33
Verso il II secolo d.C. l‟impero romano cominciò a sgretolarsi, provocando lo spopolamento
della regione, la riduzione della produzione agricola e dell‟attività economica. Nel 493, la
penisola era divisa in due: il nord era occupato dai Bizantini che cercavano di conquistare il
sud che era in possesso dei Goti.
Nel VI secolo, arrivarono nella Campania i Longobardi. L‟entroterra campano fu occupato dai
Longobardi, mentre i Bizantini si erano stabiliti nel Cilento e nella zona costiera, dove
occupavano Gaeta, Napoli, Amalfi. Quest‟ultima serebbe diventata più tardi una vera gran
potenza marinara.
Le tracce della suddivisione della regione sono ancora oggi presenti nel dialetto campano. Nel
napoletano sono sopravvissute parecchie parole di origine greca, mentre nelle zone interne
vari toponimi indicano una presenza longobarda anteriore.
Teniamo anche presente che proprio nell‟area longobarda, cioè a Montecassino, si è
sviluppata una prima forma di volgare italiano (un volgare campano), attestata nei cosiddetti
Placiti Cassinesi, quattro giuramenti pronunciati tra il 960 e il 963 a Capua, a Sessa ed a
Teano, riguardanti la proprietà di alcune terre nel ducato di Benevento.
Nel XI secolo entrarono in Campania i Normanni, che si stabilirono soprattutto nelle città
(Aversa, Capua, Salerno, Napoli), mentre Benevento entrò a far parte dei possedimenti papali.
Spetta ai Normanni il merito di aver unificato la regione e di averne fissato i confini che
sarebbero rimasti quelli del Regno di Napoli. Durante il regno di Enrico VI (1191-1197) la
popolazione di Napoli era pari a 40.000 persone. Successivamente, Napoli fu in parte messa
in ombra da Palermo, che diventò la capitale sotto Federico II, figlio di Enrico VI.
Ciononostante, fu Federico II ad accordare a Napoli un certo potere politico e culturale ed a
fondare a Napoli uno Studio Universitario. In questo periodo alcuni gruppi venuti dall‟Italia
settentrionale si stabilirono in Campania. Ecco perché alcuni toponimi campani si richiamano
alla presenza di Lombardi, ad es. Torella dei Lombardi, Guardia dei Lombardi, Sant’Angelo
dei Lombardi.
Quando morì l‟imperatore Federico II, furono gli Angiò a reggere il timone del regno. Il
Regno di Napoli era stato infatti assegnato dal Papa a Carlo d‟Angiò. Questo incontrò la
resistenza di
Manfredi, figlio ed erede legittimo dell‟imperatore Federico, che fu però
sconfitto nel 1266. Sotto Carlo d‟Angiò la capitale si spostò di nuovo a Napoli. Questa però
non fu una buona decisione: l‟incremento demografico e l‟aggravio fiscale successivo creò un
profondo divario tra la capitale e il resto della regione, disturbando il sistema feudale fondato
dai Normanni, che aveva persistito fino a quel momento. Nello stesso tempo Napoli subì
l‟influsso di Francia, come testimoniano i numerosi francesismi nel dialetto napoletano.
34
Nel 1442 gli Angioni dovettero fare posto al re catalano Alfonso d‟Aragona, detto il
Magnanimo. È per opera di Alfonso d‟Aragona, che invitò alla corte gli umanisti più celebrati
del „400 (Pontano, il Panormita, Lorenzo Valla), che Napoli prese parte al dibattito
umanistico nel XV secolo. In questo periodo tuttavia la cancelleria si servì del latino e del
catalano, non dell‟italiano. La vita culturale si intensificò ancora sotto il regno di Ferdinando I
con la letteratura popolaresca e dialettale, e dunque italiana, di alcuni gentiluomini napoletani.
Abbastanza popolare furono anche i gliòmmeri (le frottole2), e le farse3. Alla fine de XV
secolo, comunque, con l‟Arcadia di Iacopo Sannazzaro (1504), la norma toscana raggiunge
anche Napoli4.
Contemporaneamente Napoli avanzava sempre più come gran potenza commerciale. Napoli
esercitava una forte attrazione su commercianti di ogni sorta. Questi si stabilirono nella zona
portuale della città, dove oggi si trovano ancora tracce di queste presenze nei nomi delle
strade: rua Catalana, Loggia di Genova, Loggia dei Pisani, piazza Francese, via Giudecca.
Nel 1503 entrarono nell‟Italia meridionale gli Spagnoli. In questo periodo continuò a crescere
il numero degli abitanti a Napoli, che non perse la sua forza d‟attrazione, necessitando anzi di
un certo ampliamento urbanistico, soprattutto per poter alloggiare l‟esercito spagnolo. Perciò,
per ordine del viceré Pedro di Toledo, furono costruiti i Quartieri spagnoli. Però.
Nel secolo successivo l‟Italia attravversò un periodo di fame e povertà. Nel 1607 il sistema
economico spagnolo rischiò la bancarotta. Gli Spagnoli continuavano ad aumentare le tasse
per sostenere la casse dello stato. Visto lo sfruttamento continuo dell‟Italia meridionale da
parte degli Spagnoli, una rivolta era inevitabile. In campagna i contadini si diedero al
brigantaggio e, nel 1647, quando la crisi aveva raggiunto il suo punto culminante, il popolo
napoletano, sotto la guida di Masaniello, insorse contro la tirannia spagnola. Questa
ribellione, però, venne presto respessa dagli Spagnoli. Oggi, vari strorici considerano lo
sfruttamento spagnolo dell‟Italia meridionale nel Seicento come il germe della Questione
Meridionale5.
Dopo il breve regno austriaco (fino al 1734), Napoli si sottomise al dominio di Carlo III di
Borbone, un re illuminista, che riportò la città di Napoli al suo antico splendore. Carlo III
impiegò molti capitali spagnoli per la modernizzazione e il rinnovamento culturale della città:
2
Frottola: «Composizione poetica italiana di origine popolare e giullaresca in voga nel XIV e XV sec., di vario
metro, spesso di senso oscuro per la presenza d'indovinelli o proverbi». (Zingarelli)
3
Farsa: «Genere teatrale, risalente al XV sec. ma vivo ancor oggi, di carattere comico e grossolano». (Zingarelli)
4
Per la letteratura napoletana quattrocentesca: B. Migliorini, Storia della lingua italiana, Firenze, Sansoni, 1960,
pp. 277-280.
5
Con questo termine si intende il divario economico tra l‟Italia settentrionale che dopo il Risorgimento (1860)
ha potuto industrializzarsi come il resto dell‟Europa, e l‟Italia meridionale che è rimasta, in larga misura, una
società contadina.
35
per ordine suo vennero costruiti monumenti e nuove strade: la reggia di Caserta, il Teatro San
Carlo a Napoli e anche un dormitorio pubblico, il cosiddetto Albergo dei Poveri. Carlo III
progettò anche di rendere l‟istruzione accessibile per tutti; questo progetto però non fu messo
in pratica.
Durante il regno di Carlo III di Borbone Napoli si aprì anche alle idee rivoluzionarie francesi.
A seguito di un moto rivoluzionario, nel 1799 fu proclamata la Repubblica partenopea. La
rivoluzione partenopea fu però stroncata sul nascere perché le idee rivoluzionarie degli
intelletuali non ottennero un grosso consenso presso la plebe, che rimase fedele alla
monarchia.
Dal 1806 fu Napoleone Bonaparte a tenere le sorti del Regno di Napoli, fino al Congresso di
Vienna nel 1815 che lo consegnò di nuovo ai re Borbone.
Nel primo Ottocento, mentre dappertutto in Italia germogliavano le idee di unificazione
politica (anche a Napoli dove all‟Università sorgevano nuovi circoli intellettuali), la centralità
di Napoli giocò un ruolo determinante sul piano linguistico. Furono l‟amministrazione e la
Chiesa napoletane a diffondere tramite i documenti scritti la lingua italiana nel resto della
regione.
Nel 1861 il Regno di Napoli smise di essere un‟entità autonoma ed entrò a far parte del Regno
d‟Italia. Cambiò così anche il nome di una parte del Regno di Napoli: fu ripristinato l‟antico
nome di Campania, il nome che utilizzavano anche i Romani. Con l‟unificazione dell‟Italia,
Napoli, che non era più il capitale del Regno di Napoli ma il capoluogo di una regione
italiana, perse gran parte della sua forza d‟attrazione così come gran parte del suo prestigio
culturale e del suo influsso politico. Diminuì anche l‟attività commerciale. Allo stesso tempo
il brigantaggio diventò sempre più sistematico e si organizzò nella camorra. Lo squilibrio
attuale tra nord e sud è, secondo vari storici, la conseguenza diretta della crisi seicentesca, che
colpì soprattutto l‟Italia meridionale, e del peggioramento dei problemi del Mezzogiorno
avvenuto durante e dopo il Risorgimento.
In seguito ai problemi sociali molti giovani lasciarono l‟Italia meridionale per il Nord
America. Inoltre la crisi sociale provocò anche lo spopolamento delle campagne, trasmettendo
la crisi anche all‟agricoltura campana. Tutti questi sconvolgimenti hanno avuto il loro influsso
sulla situazione linguistica in questa regione. La migrazione dalla campagna alle città non
favorì la sopravvivenza dei dialetti campani, visto che nelle città la lingua quotidiana che si
andava imponendo era l‟italiano. Si sono perdute così molte parole che si riferivano
all‟agricoltura, alla viticoltura e al artigianato.
36
Anche l‟insegnamento scolastico ha giocato un ruolo di primo piano per quanto riguarda la
perdita progressiva dei dialetti. Il suo scopo principale era di insegnare l‟italiano e di
sopprimere il più possibile l‟uso dei dialetti ovvero di cancellarli completamente.
37
2.
Toponomastica campana6
2.1
Le tante origini della toponomastica campana
La seguente rassegna dei toponimi campani rende conto di tutti questi movimenti migratori in
Campania durante la sua storia. I toponimi, che non sono sensibili alla variazione diacronica
quanto altri elementi della lingua, testimoniano fedelmente dei contributi linguistici dei
differenti invasori campani.
Cominciamo col nome della regione: Campania, sarebbe di origine etrusca e si riferirebbe
agli abitanti della città di Capua, che dagli Etruschi venivano chiamati Cappani e poi
Campani. Di conseguenza, va da se che all‟inizio la Campania comprendeva solo l‟area
intorno a Capua, il cosiddetto Terra di Lavoro. Il toponimo Capua deriva dall‟etrusco Capys,
cioè „uccello rapace‟. Anche il nome del fiume Volturno, che in tempi assai remoti è stato
anche il nome di Capua, sarebbe di origine etrusca. Volturno si richiama a velthur „uccello‟.
Di origine osca sono: Avella < ant. Abella e Avellino < ant. Abellinum, che derivano dalla
radice indeuropea *ABEL, cioè „mela‟.
Di origine greca sono Cuma e Agropoli (presso Paestum), Procida < gr. prochutòs „sparso‟,
Forìo < gr. Χὸ ριον „villaggio‟ e Lacco Ameno (nell‟isola di Ischia) < laccòs „fossa‟. Anche il
nome del capoluogo campano è di origine greca: Napoli < gr. Νεὰ Pὸ λις, cioè „città nuova‟
per distinguerlo dal nome antica Palὲ poli, cioè „città antica‟.
In Campania sono frequentissimi i toponimi di origine romana che alludono alle proprietà
fondiarie, che sono composti da un nome proprio e dal suffisso di appartenenza latina -anum,
ad es. Gragnano < Granius, Secondigliano < Secondilius, Marano < Marus, Calvizzano <
Calvitius, Savignano < Sabinius, Sicignano < Sicinius, Giugliano < Iulius.
Numerosissimi nella campagna campana sono i toponimi che si richiamano a nomi di piante,
ad es. Corleto < coryletum „nocciolo‟, Faicchio < Fagetulum e Faìto (monte) < fagetum si
riferiscono tutti e due al faggio, Laurito < Lauretum „bosco di lauri‟.
All‟occupazione longobarda di Napoli risalgono i toponimi Sala Consilina < long. sala „la
corte o l‟edificio dei signori‟, San Bartolomeo e Gallo Matese < long. wald „bosco‟. Il fatto
che in processo di tempo la popolazione indigena non si rendesse più conto del significato
esatto di tali prestiti longobardi è provato dal toponimo Bosco del Gaudio, la cui traduzione
6
Tutti gli esempi sono tratti dal §7 del primo capitolo capitolo «La regione e la sua storia», in: N. De Blasi,
Profilo linguistico della Campania, Roma-Bari, Laterza, 2006, pp. 14-19.
38
letterale è „bosco del bosco‟. Ancora altri toponimi derivano da nomi di persone germanici, ad
es. Pontelandolfo < Landulfo, Atripalda < Tripaldo.
Si richiamano rispettivamente ai Bulgari e ai Sassoni i toponimi Celle in Bulgheria e
Sassinoro, ai Slavi il toponimo Schiavi, che nel 1862 viene sostiuto da Liberi, perché si
pensava erratamente che il vecchio nome si riferisse ad una condizione di schiavitù.
2.2
Toponomastica antica7
In questo paragrafo presenterò alcuni toponimi campani confrontandoli con le loro forme
antiche, cioè con il nome che fu loro attribuito dalle popolazioni che nell‟epoca classica si
erano stabilite nell‟Italia centro-meridionale.
Durante il periodo augusteo, la penisola italica era divisa in undici Regioni. Questa
reorganizzazione amministrativa fu instaurata dall‟imperatore Augusto nel 7 d.C..
Ovviamente le frontiere delle Regioni dell‟Italia augustea non corrispondevano a quelle
attuali, ma rispettavano le aree abitate dalle popolazioni indigene. Per quanto riguardava
Campania, il suo territorio corrispondeva più o meno alla parte meridionale della I Regione
(Latium et Campania). Le due altre parti della I Regione costituiscono oggi la regione di
Lazio. Quest‟area era prima abitata dagli Aurunci, gli Alfaterni, i Picenti, i Pentri (un popolo
sannitico) e i Sidicini, che parlavano tutti la lingua osca. L‟area della Campania al sud del
Sele faceva parte della III Regione (Lucania et Bruttii) è fu abitata dai Lucani, un popolo del
tipo osco. Una zona che ricopre in grande parte la provincia di Avellino, e in parte minore
quella di Benevento, era abitata dagli Irpini, anche loro una popolazione osca (sannitica).
2.2.1 L’osco
Come vedremo anche nell‟analisi di alcuni toponimi particolari che figurano nella Naturalis
Historia di Plinio il Vecchio, di tutti i sostrati prelatini sembra quello osco di aver marcato il
più la toponomastica campana. È dunque il sostrato osco che merita ancora una volta la nostra
attenzione particolare.
7
Per il paragrafo introduttivo mi riferisco a: D. Detlefsen, Quellen und Forschungen zur alten Geschichte und
Geographie, ed. W. Sieglin, Leipzig, Verlag von Eduard Avenarius, 1901.
39
2.2.1.1 I Sanniti8
Attorno al V secolo a.C. le tribù italiche attraversarono le montagne sannitiche e raggiunsero
la pianura campana. Gli Etruschi di Capua, impreparati all‟arrivo dei nuovi nemici perché
coinvolti in una lotta con la popolazione indigena, furono le prime vittime della marcia
sannitica.
In Campania i Sanniti accolsero elementi etruschi - e dunque in maniera indiretta anche
elementi della popolazione opica indigena - e certi elementi provenienti della cultura greca.
Tutti questi i componenti concorsero quindi a costituire l‟identità campana - già abbastanza
diversa da quella originale sannitica.
La popolazione sannitica in Campania non potè mai organizzarsi e rimase sparsa durante tutto
il IV secolo. I Sanniti si disposero in piccoli stati: il territorio dei Sidicini, la lega campana, la
federazione di Nola, quella di Abella e quella di Nocera.
Nel 341 a.C. la lega campana, di cui il potere fu centralizzato a Capua, invocò il soccorso dei
Romani contro i Sanniti del Sannio, che cercarono di assaltare i Sidicini. Così, dal tempo della
prima guerra sannitica, la storia romana rimase inestricabilmente legata a quella sannitica.
Con l‟approvazione dell‟aristocrazia sannitica (ad es. nei casi di matrimoni misti), varie
famiglie romani si stabilirono in Campania. Quando il partito aristocratico e proromano
dovette infine cedere il passo a quello democratico ed antiromano, la città di Capua insorse
contro Roma, ma fu rapidamente sconfitta nel 338 a.C. Cionondimeno la città di Capua
conservò una certa autodeterminazione: Roma, infatti, non le tolse il diritto di battere moneta.
Sono tra l‟altro propriamente i conii sulle monete osche che ci hanno procurato dei dati che,
dal punto di vista linguistico, e soprattutto al livello degli studi toponomastici, non sono meno
interessante di quelli che ci presentano i graffiti o le iscrizioni. Sulle monete osche troviamo
coniati ad esempio i toponimi9: allibanon, alliba, alifha, allifanwne alifa (Allifae, l‟attuale
Alife nella provincia di Caserta), akudunniad (Aquilonia, l‟odierna Lacedonia nella provincia
di Avellino), aderl (Atella, l‟odierna Castellone di Sant‟Arpino), benuentod-proprom e
8
Per la parte storica sui Sanniti mi riferisco a: A.L. Prosdocimi, «L‟osco», in: id., Lingue e Dialetti dell’Italia
antica, Roma, Biblioteca di Storia Patria, 1978, pp. 845-846.
9
Per la moneta osca mi riferisco a: V. Pisani, Le lingue dell’Italia antica oltre il latino, Torino, Rosenberg &
Sellier, 1953, pp. 102-106.
40
L(Benevento, nella provincia omonima), kaiatinum (Caiatia, l‟odierna Caiazzo nella
provincia di Caserta), le forme kampanom, kampano e kappano(Campani, nomi con cui qui
si intende la popolazione e non la regione), kapv (Capua, l‟attuale Santa Maria Capua Vetere
nella provincia di Caserta), nuvkrinum alafaternum –
egvinum
num, nuvkirinum
alaf[ate]rnum e nuvirkum alavfum (Nuceria Alfaterna, l‟attuale Nocera Superiore nella
provincia di Salerno), tíanud – sidikinud, tianud – sidikinud, tiia ud – [s]idikinud e tiano
(Teanum Sidicinum, l‟odierna Teano nella provincia di Caserta), tedis (Telesia, attualmente
situato presso San Salvatore Telesino nella provincia di Benevento). Nei capitoli che seguono
cercheremmo di spiegare l‟elemento osco nei toponimi sopraelencati.
Fino al 216 a.C. i capuani si piegarono al dominio romano. Con lo sgretolarsi del partito
aristocratico però, il partito democratico-popolare assunse pieni poteri ed incitò i capuani
all‟insurrezione contro Roma. La loro intenzione non era di semplicemente scuotere il giogo
romano, ma anche di imporre la propria autorità sull‟antico dominatore. Perciò, loro fu
prestato soccorso da Annibale. Ciononostante la rivolta sannitica fu sedata quasi sull‟istante.
Nel 211 a.C. Capua si arrese, e uscì dal conflitto con i Romani con la testa rotta: perse per
sempre ogni diritto di autodeterminazione.
2.2.1.2 La lingua osca11
L‟osco fa parte delle lingue italiche. Esse vengono ripartite generalmente in due famiglie: il
gruppo latino-falisco (al quale appartiene il latino) e quello osco-umbro. Questi due gruppi si
erano già separati prima della loro entrata nella penisola italica. Anche il gruppo osco-umbro
si suddivide in due sottogruppi12:
(a)
l‟umbro è il dialetto più settentrionale, attestato soltanto nelle tavole iguvine (7 tavole
bronzee scoperte nel 1444 a Gubbio). Il testo, venti pagine di prescrizioni di preghiera
scritto tra il I e il III secolo a.C., è stato redatto parzialmente in alfabeto etrusco e
parzialmente in alfabeto latino.
10
Si noti che anche gli Oschi si servivano dell‟alfabeto greco. Il nome benuentod-proprom è di origine latina e
dunque più recente del toponimo originale osco L. (cfr. infra)
11
Le informazioni e gli esempi sulla lingua osca sono tratti da E. Roegiest, Vers les sources des langues
romanes, Leuven, Acco, 2005, pp. 15-18.
12
Anche il dialetti sabellici e il dialetto dei Sabini appartengono al gruppo osco-umbro e occupano
linguisticamente una posizione intermedia tra le due lingue.
41
(b)
l‟osco era il dialetto dei Sanniti, a cui appartenevano i Caudini, gli Irpini, i Pentri e i
Carnicini; era ugualmente la lingua degli Opici, degli Aurunci e dei Sidicini. Il
territorio dei Sanniti si estendeva da Lazio alla Campania13. Si conosce l‟osco
solamente tramite le iscrizioni scoperte in Campania (cfr. la legge municipale della
città di Bantia) stese in un particolare alfabeto. Tutte le attestazioni dell‟osco risalgono
al periodo tra il III secolo a.C. e il I secolo d.C. (l‟osco perse gran parte del suo
prestigio colle guerre sociali del 88 a.C.): alcuni dei graffiti scoperti a Pompei - non
più tardi del 79 d.C., data dell‟eruzione del Vesuvio - erano redatti in osco, ad es. le
sette linee iscritte su una lastra di travertino scoperta a Pompei che si riferiscono
all‟edificazione di un portico14:
v.aadírans.v.eítuvam.paam
vereiiaí.púmpaiianaí.trístaa
mentud.deded.eísak.eítiuvad
v.viínikiís.mr.kvaísstur.púmp
aiians.trííbúm.ekak.kúmben
nieís.tanginud.úpsannam.
deded.ísídum.prúfatted
„V. Adiranus V. f. pecuniam quam / iuventuti Pompeianae testa / -mento dedit, ea pecunia /
V. Vicinius Mr. f. quaestor Pomp / -eianus aedificium hoc conven / -tus sententia faciendum /
dedit, idem probavit‟15
Il dialetto osco si distingue dagli altri con i tratti seguenti16:
(b)
Contrariamente al latino, le consonanti aspirate indeuropee diventano delle
fricative nel dialetto osco: bh, dh > f , ad es. tefe „tibi‟, alfu „albus‟ (cfr. Nuceria
13
Cfr. Carta I.
Lastra di travertino (alt. 410 x 760; sp. 40) con iscrizioni di sette linee; attualmente nel Mus. Naz. Di Napoli
(Inv. N. 2542), tratto da: A.L. Prosdocimi, «L‟osco», in: id., Lingue e Dialetti dell’Italia antica, Roma,
Biblioteca di Storia Patria, 1978, p. 870.
15
Traduzione in latino tratta da: V. Pisani, Le lingue dell’Italia antica oltre il latino, Torino, Rosenberg &
Sellier, 1953, p. 58.
16
E. Roegiest, Vers les sources des langues romanes, Leuven, Acco, 2005, pp. 16-18.
14
42
Alfaterna, l‟odierna Nocera Superiore), rufru „ruber‟ (cfr. Rufrae, l‟odierna
Presenzano), prufatted „probavit‟, mefiai „mediae‟, ecc.
(c)
I suoni labiovelari protoitalici, che rimangono conservati in latino, perdono il tratto
velare in osco: qu e gu seguiti da vocale > p e b, ad es. pid „quid‟, petur „quattuor‟,
pispis „quisquis‟, nep „neque‟, kumbened „conuenit‟, biuus „uiuus‟, «eisei terei nep
Aballanus nep Nuvlanus pidum tribazakattins» „in eo territorio neque Abellani
neque Nolani quidquam aedificauerint‟.
(d)
Assimilazione: nd > nn, mb > mm, ad es. upsannam „opusandam‟, pihaner
„piandi‟, ecc.
(e)
Dissociazione del nesso consonante + liquida, ad es sakarater „sacra‟, alafis
„albus‟, aragetu „argento‟, Atella (Castellone di Sant‟Arpino) < osc. Aderla <
*Atrola „nero‟, ecc.
Il passaggio di parole osco-umbre al latino è anche dovuto alla forte simbiosi nel periodo
arcaico tra le differenti popolazioni di Roma, che in questo tempo era una città trilingue: vi si
parlavano il latino, l‟osco-umbro (il dialetto della popolazione sabina) e l‟etrusco. Al dialetto
osco-umbro dei Sabini risalgono i fenomeni seguenti17:
(a)
una l in alcune parole in cui ci si avrebbe aspettato una d: ad es. lingua < lat. ant.
dingua, lacrima < gr. , olere/odor, Capitolium/Capitodium, solium/sedere,
impelimenta/impedire, Ulixes/Odysseus, ecc.
(b)
la f intervocalica: ad es. bufalus/bubalus, sifilare/sibilare, scrofa/scroba,
tufer/tuber, *tafanus/tabanus, *bufulcus/bubulcus, *octufer/october, *glefa/gleba.
(c)
Parole come bos (invece di uos), lupus (invece di lucus).
(d)
Il mantenimento della s intervocalica in ad es. casa, asinus, ecc.
(e)
Monottongazione di au > o, ad es. cauda > coda.
(f)
Pronuncia diversa di [k] davanti a a, o/u e e/i che spiega nel medesimo tempo le
diverse grafie osche: rispettivamente k, q e c.
(g)
Esitazione tra i vocali o (sabina) ed u (latina), i (sabina) ed e (latina), ad es.
longus/lungus, firmus/fermus.
17
E. Roegiest, Vers les sources des langues romanes, Leuven, Acco, 2005, p. 19.
43
2.2.2 Naturalis Historia18
Gli esempi presentati in questo paragrafo, il cui scopo è fornire un quadro generale del
mosaico costituito dai toponimi antichi dell‟area campana, sono tutti tratti dal Naturalis
Historia di Plinio il Vecchio (23 d.C. -79 d.C.). Nel terzo libro (dei 37) Plinio descrive la
situazione geo- ed etnografica dell‟Europa occidentale. Una parte abbastanza elaborata,
rispetto alle altre, tratta della costellazione etnografica e della condizione geografica della
penisola italica.
Di seguito riporto per ogni toponimo tutte le informazioni necessarie per situarlo in un quadro
etno- e geografico: il nome latino, il nome attuale (fra parentesi ho messo, in forma
abbreviata19, il nome della provincia in cui si trova oggi) e i nomi delle popolazioni prelatine
che vi s‟erano insediate.
Va però detto che la lista di toponimi antichi riportata di sotto è soltanto una selezione20 e che
non tutti i toponimi dell‟area campana che occorono nel testo di Plinio sono stati analizzati.
Parimenti è stata tralasciata l‟impronta latina sulla toponomastica campana, dato che non
costituisce un tratto particolare di quest‟area.
«Aliud miraculum: a Cerceiis palus Pomptina est, quem locum XXIII urbium fuisse
Mucianus ter consul prodidit. Dein flumen Ufens, supra quod Terracina oppidum, lingua
Volscorum Anxur dictum: et ubi fuere Amyclae, a serpentibus deletae. Dein locus
speluncae, lacus Fundanus, Caieta portus. Oppidum Formiae, Hormiae prius olim dictum:
ut existimavere, antiqua Laestrigonum sedes. Ultra fuit oppidum Pyrae: colonia
Minturnae, Liri amne divisa, Clani appellato. Oppidum Sinuessa, extremum in adjecto
Latio, quam quidam Sinopen dixere vocitatam». (III, 9, 6)
Caiatia
Clanius
Caiazzo
Sanniti / Il toponimo si confonde con Calatia che risale ad un
(CE)
Sidicini
Regi
sostrato mediterraneo *kala- 'collina'.
Lagni Aurunci / I studiosi immaginano una radice clan-/glan- che
18
Il testo è tratto da: Pline, Histoire Naturelle, avec la traduction de M.E. Littré, a cura di M. Nisard, Parigi,
Firmin-Didot et Cte, libraires, 1877, pp. 163-172.
19
Le abbreviazioni usate sono: CE (Caserta), NA (Napoli), SA (Salerno), AV (Avellino) e BN (Benevento).
20
Le selezione dei toponimi e la loro analisi sono quelle di Antonio Sciarretta in Toponomastica dell’Antichità,
consultabile su [http://digilander.libero.it/toponomastica/ancient-topo.html]. Dello stesso autore sono stati
pubblicati: Toponomastica della Maiella orientale, Ortona, Edizioni Menabò, 1997; «Toponomastica del
versante aquilano del Gran Sasso: la montagna di San Franco, la montagna della Ienca ed il Pizzo di Camarda, la
montagna di Assergi, la montagna di Filetto», in: Bollettino del CAI dell’Aquila, L‟Aquila, 1995-1999;
Toponomastica della riserva naturale Monte Genzana ed Alto Gizio, Pettorano sul Gizio, 2000; «La
toponomastica», in: Guida turistica della Comunità montana Campo Imperatore e Altopiano di Navelli, Ortona,
Edizioni Menabò, 2000.
44
(fiume)
(CE/NA)
Ausoni
dovrebbe significare approssimativamente qualcosa
come „fango, muco‟. Però, alcuni toponimi analoghi
come Clanis (Etr./Laz.) derivano dall‟IE *g‟hel„sfavillare verde, oro, azzurro‟ > *g‟hle, in
conformità col preteso sostrato liguro-sicano *gh>k.
Il corso inferiore del Clanius riceve più tardi il nome
Liternus.
Sinuessa
Cellole (CE) Aurunci
< IE *sein- < *sei- 'essere umido, gocciolare'
+ *wed-sa < *(a)ued- 'acqua'
«Hinc felix illa Campania est. Ab hoc sinu incipiunt vitiferi colles, et temulentia nobilis
succo per omnes terras inclyto, atque (ut veteres dixere) summum Liberi Patris cum
Cerere certamen. Hinc Setini et Caecubi protenduntur agri. His junguntur Falerni, Caleni.
Dein consurgunt Massici, Gaurani, Surrentinique montes. Ibi Laborini campi sternuntur,
et in delicias alicae populatur messis. Haec littora fontibus calidis rigantur: praeterque
caetera in toto mari conchylio et pisce nobili adnotantur. Nusquam generosior oleae
liquor: et hoc quoque certamen humanae voluptatis. tenuere Osci, Graeci, Umbri, Thusci,
Campani». (III, 9, 7-8)
*Falernum
Zona
Massicus
(monte)
<
IE
*fal-
„chiarificazione‟
<
*bhel-
settentrionale
„brillante, bianco‟
della
Il toponimo si collega con Falerio (Picenum)
provincia
Cales
Aurunci
di
e Falerii (Etruria). La -f iniziale fa supporre
Caserta
un‟influenza italica.
Calvi Risorta Aurunci
< IE *kal- < *kel-/*kwal- 'macchiato' >
(CE)
„fango, argilla'
Mássico (CE) Aurunci
< lat. massa „massa‟, nel senso arcaico di
„podere‟.
Massa: «Riunione di poderi e case rurali in
una
specie
di
amministrazione,
comune
con
originaria
propria
dell'alto
Medioevo, di cui resta traccia in taluni
toponimi:
Massa
Marittima;
45
Massalombarda»21.
Gaurus
Barbaro
Campani
(monte)
(NA)
Surrentum
Sorrento (SA) Alfaterni
*gau- „alterigia‟
Picenti
Leboriae
< greco gauroj „alto, superbo, fiero‟ < IE
/ < greco surrέw 'io straripo di, trabocco di'
(quest'etimo spiega il nesso -rr-)
un‟area nella Campani
< IE *(s)leib- „scivoloso‟ con il tratto osco
provincia
*ei>e
di
Napoli
Il
nome
si
riferisce
presumibilmente
all‟umidità dell‟area.
«in ora Savo fluvius: Vulturnum oppidum cum amne, Liternum, Cumae Chalcidensium,
Misenum, portus Baiarum, Bauli, lacus Lucrinus et Avernus, juxta quem Cimmerium
oppidum quondam. Dein Puteoli colonia Dicaearchia dicti: postque Phlegraei campi,
Acherusia palus Cumis vicina» (III, 9, 9)
Savo (fiume)
Savone (CE)
Aurunci
< IE *seu- „liquido, succo‟ che tramite la
forma liguro-sicana *sav- risulta in Savo
Volturnus
Volturno
Campani
Volturno si collega con il toponimo Capua,
di
(fiume)
cui
era
l‟antico
nome.
Ambedue
significano „uccello rapace‟ (cfr. Santa Maria
Capua Vetere).
Si suppone che derivi dall‟etrusco velthur <
IE *gwletur- „avvoltoio‟.
Plutarco
lo
chiama
Olotronus
„fiume
meandrico‟ < IE *uel(e)- „curvare‟
+ il suffisso autoriale *ter-.
Liternum
21
Giugliano in Campani
La
radice
indeuropea
Campania
risulterebbe in
osc.
*leudh-
'popolo'
*Louferno-
e lat.
Le opere Zanichelli in Cd-Rom, Bologna, Editore Zanichelli S.p.A, 1996-2006.
46
(NA)
*Liderno, si presume dunque un terzo strato
dei cosiddetti Opici22 (o nel senso più largo il
strato dei Liguro-Sicani) in cui *dh>t.
Un'altra ipotesi propone la radice IE *(s)lei
'rovesciare/scivoloso'.
Liternus
Regi
Lagni Campani
(fiume)
(NA)
Literna
Patria (NA)
Cfr. Liternum
Il Liternus è il corso inferiore del Clanius.
Campani
Cfr. Liternum
(palude)
Cumae
Misenum
Cuma
di Campani
< greco Kύmη (luogo nell'antica Eolide)
Pozzuoli
Cuma è stata colonizzata dagli abitanti
(NA)
dell'isola d'Ischia (Pithecusa).
Miseno
di Campani
Bacoli (NA)
Il toponimo deriva dal nome del personaggio
mitologico greco Misenus, un trombettiere
troiano (in Virgilio)
Baiae
Baia
di Campani
Etimo sconosciuto
Bacoli (NA)
Bauli
presso Bacoli Campani
Sono state avanzate due distinte ipotesi:
(NA)
1. < greco per „stalla per le mucche‟ < bouj
„vacca‟ + aύlἠ v „stalla‟
2. < IE *beu- „crescere, gonfiare‟ con
riferimento alla collina su cui era situato il
borgo. La forma Bauli è un diminutivo
plurale.
Lucrinus
Lucrino (NA) Campani
Lucrinus < Luca (Etruria) < IE *leuk„chiaro, sfavillare, vedere‟. Il cambiamento o
(lago)
estensione semantica in IE da „chiaro‟ a
„palude/lago‟ proviene dalla similitudine tra
una palude e un luogo aperto in un bosco.
Avernus
(lago)
Averno (NA)
Campani
< IE *(a)uer- „acqua, pioggia, flusso‟
Una spiegazione popolare dell‟idronimo
22
Antonio Sciarretta, in: Toponomastica dell’Antichità, propone la derivazione seguente: Opici (popolo osco):
Osci < *Op-sci. (consultabile su [http://digilander.libero.it/toponomastica/ancient-topo.html]).
47
parte dal greco *aornos „senza uccelli‟.
Puteoli
Pozzuoli
Campani
< lat. putere 'puzzare' (cfr. dagli odori
sulfurei23) o puteus 'fonte'
(NA)
Pozzuoli è stata fondata dagli abitanti di
Samo
e
si
chiamava
originariamente
Dicearchia 'la città dove regna la giustizia'.
Phlegraei
Campi
Campi
Flegrei (NA)
Acherusia
Fusaro (NA)
(palude)
Campani
< greco
Campani
Acherusia
oj 'fiammeggiando'
si
riferisce
ad
Ἀ cέ rwn
(Acheronte), il nome del fiume infernale
nella mitologia greca. Questo nome è stato
attribuito alla palude dai coloni greci di
Cuma.
«Littore autem Neapolis Chalcidensium et ipsa, Parthenopea a tumulo Sirenis appellata:
Herculanium: Pompeii haud procul spectante monte Vesuvio, alluente vero Sarno amne:
ager Nucerinus: et novem millia passuum a mari, ipsa Nuceria». (III, 9, 9)
Neapolis
Parthenope
/ Napoli
(NA)
Campani < greco Νεάπολις 'città nuova', Parθenό pη è il
nome di una Sirena.
Napoli è stata fondata dai Cumani presso Palὲ poli
'città vecchia'.
Herculaneum
Ercolano
(NA)
Pompeii
Pompei
(NA)
Campani < greco Ἡ rά kleiᾰ (città nella Magna Graecia) <
Hercules
Campani < osco *pompe 'cinque' < IE *penkwe 'cinque' con
riferimento ai cinque borghi di cui la città di
Pompei era composta.
Vesuvius
Vesuvio
(monte)
(NA)
Sarnus (fiume) Sarno
Campani < IE *aues- „sfavellare‟ o IE *eus- „bruciare‟
Campani < IE *ser- „colare‟
23
Pozzuoli si trova nella zona vulcanica della Solfatara, dove le caratteristiche fumarole emettono fumi che
odorano (puzzano!) di zolfo.
48
(NA)
+ un suffisso aggettivale -rnus
Il vocalismo *e>a è attribuito al sostrato ligurosicano delle coste tirreniche (illirico).
Nuceria
Nocera
Alfaterni Nuceria < osco-umbro *noukria < *nouk- < IE
Alfaterna
Superiore
/ Picenti
(SA)
*neu- 'nuovo'
+ *okr- < umbr. ocar 'pendío roccioso' (cfr. lat.
ocris 'altezza');
Alfaterna < osco alfu < IE *albho „bianco‟
+ -teria „parcella‟ < IE *(s)ter- „saldo‟ o *ters„arido‟, „sete‟
«Intus coloniae: Capua ab campo dicta, Aquinum, Suessa, Venafrum, Sora, Teanum
Sidicinum cognomine, Nola. Oppida: Abellinum, Aricia, Alba Longa, Acerrani, Allifani,
Atinates, Alterinates, Anagnini, Atellani, Affilani, Arpinates, Auximates, Avellani,
Alfaterni: et qui ex agro Latino, item Hernico, item Labicano cognominati: Bovillae,
Calatiae, Casinum, Calenum, Capitulum Hernicum, Cereatini qui Mariani cognominantur:
Corani a Dardano Trojano orti: Cubulterini, Castrimonienses, Cingulani: Fabienses, in
monte Albano: Foropopulienses, ex Falerno: Frusinates, Ferentinates, Freginates,
Fabraterni Veteres, Fabraterni Novi, Ficolenses, Foroappii, Forentani, Gabini:
Interamnates Succasini qui et Lirenates vocantur: Ilionenses, Lanivini, Norbani,
Nomentani, Praenestini, urbe quondam Stephane dicta, Privernates, Setini, Signini,
Suessulani, Telini, Trebulani cognomine Balinienses, Trebani, Tusculani, Verulani [...]»
(III, 9, 11)
Capua
Santa Maria Campani 1. < lat. campus 'campo'
Capua
2. < lat. caput 'capitale'
Vetere (CE)
3. < sann. Capya (nome del capo sannitico a 423
a.C.)
4. < etr. capu 'avvoltoio'
Anche il nome della regione stessa deriva da Capua:
Campania < kampano < kappano < kap-uano <
Capua
Suessa
Sessa
Aurunca
Aurunca
Aurunci
< IE *sued-sa < *suedh- (assensa del tratto osco
*dh>f ) < *se-/*s(e)ue- „se‟ (pron.rifl) > „il nostro‟
(CE)
49
Teanum
Teano (CE)
Sanniti / < osco *teia-no (cfr. il tratto osco *ei>e) < IE
Sidicini
Sidicinum
*(s)tei- 'aguzzo' probabilmente con riferimento ad
una collina appuntita.
Nola
Nola (NA)
Campani < osco núvla- < *Nuvela < IE *nouo-la- < IE *neuos
'nuovo'
Abellinum
Atripalda
Irpini
Appellativo osco, diminutivo di Abella.
Protropi
(AV)
Acerrae
Acerra (NA) Campani 1. < IE *akwa- 'acqua/fiume'
2. Più presumibilmente Acerra deriva dal lat.
acerrae 'cassetta da incenso'.
Allifae
Alife (CE)
Sanniti / < IE *Alliba(e) (cfr. IE *bh>b) probabilmente di
Sidicini
origine opica con l‟intervento dell‟Osco Allifae <
Allibae (cfr. osc. *bh>f). Il toponimo è composto dal
osc. alnus 'ontano' < IE *el- 'rosso' + il suffisso
collettivo *-dha-/*-bha-.
Atina
Atena
Lucani
Lucana (SA)
Per questo toponimo possono essere avanzate
diverse ipotesi:
1. < lig. atina 'olmo';
2. < prelat. attinae 'pietra di confine'
Aletrium
Calitri (AV) Irpini
< IE *al- „crescere‟, „allattare/alimentare‟ o IE *al„macinare‟
+ il suffisso IE *-ter- che indica un autore.
Il dizionario di toponomastica dell‟UTET suppone
la radice pre-IE *galatro- „una specie di erba‟
Atella
Castellone di Campani < osco Aderl(a) < *Atrola 'nero' (cfr. lat. ater)
Sant'Arpino
(CE)
Abella
Avella (AV)
Irpini
Avella < *abel-na „città delle mele‟ in riferimento
alla forma di una collina. La radice IE ricostruita per
mela è *abel-.
Alfateria
non
Alfaterni < osco alfu < IE *albho „bianco‟
identificato
/ Picenti
(SA)
+ -teria „parcella‟ < IE *(s)ter- „saldo‟ o *ters„arido‟, „sete‟
50
Galazze
Calatia
di Campani cfr. Cales
Maddaloni
(CE)
Cubulteria
presso
Sanniti / < IE *keub- „cavità‟ < IE *keu „piegare‟
Alvignano
Sidicini
„arido‟, „sete‟
(CE)
Calabricito
Suessula
di
+ -teria „parcella‟ < IE *(s)ter- „saldo‟ o *ters-
Campani < osco *suessa (cfr. Sessa Aurunca)
Acerra
(NA)
San
Telesia
Irpini
< IE *tel(e)- „piano/piatto‟, „pianura‟
Salvatore
Secondo i linguisti dell‟UTET il toponimo sarebbe
Telesino
di origine preindeuropea.
(BN)
Trebula
Treglia
di Sanniti / < osco triibum 'casa, edificio' o Umbro tremnu
Balliensis
Pontelatone
Sidicini
(CE)
'tabernaculo' che derivano tutti e due dal IE *treb'edificio, capanna'
«In prima regione praeterea fuere: in Latio clara oppida, Satricum, Pometia, Scaptia,
Pitulum, Politorium, Tellene, Tifata, Caenina, Ficana, Crustumerium, Ameriola, Medullia,
Corniculum, Saturnia, ubi nunc Roma est [...]» (III, 9, 16)
Tifata
(monte)
Tifata (CE)
Campani
L‟oronimo si collega con i nomi osco-umbri Tifernus
(fiume, Sannio) e Tifernum (Umbria). Si presume un
appellativo osco *tifa „colline‟ (cfr. lat. teba).
Cfr. Tifata in Plinio, con riferimento alle rovine di una
città latina.
«Ita ex antiquo Latio LIII populi interiere sine vestigiis. In Campano autem agro Stabiae
oppidum fuere usque ad Cn. Pompeium L. Catonem Consules, pridie Kalend, Maii. quo
die L. Sylla legatus bello sociali id delevit, quod nunc in villam abiit. Intercidit ibi et
Taurania. Sunt et morientis Casilini reliquiae. Praeterea auctor est Antias oppidum
Latinorum Apiolas captum a L. Tarquinio rege, ex cuius praeda Capitolium is inchoaverit.
51
A Surrento ad Silerum amnem triginta millia passuum ager Picentinus fuit Tuscorum,
templo Junonis Argivae ab Jasone condito insigini. Intus oppidum Salerni, Picentia». (III,
9, 17)
Stabiae
Castellammare
Campani < IE *steb(h)- 'pilastro, poggiare' < *sta 'stare'
di
La -b- proviene dallo strato osco, la forma con una
Stabia (NA)
Taurania
-bh- sarebbe di origine opica.
Alfaterni 1. < lat. taurus „toro‟ (cfr. osc. tauro- e umbr.
Presso
Pagani (SA) / Picenti
turu-)
2. < medit. *tauro- „montagna‟ (cfr. Torino)
Casilinum
Capua (CE)
Campani < IE dal nome proprio *Kasi-lo- < *k'as 'griggio' +
il suffisso di appartenenza latino -ino
Picentia
Picenza
di Alfaterni Il nome deriva dai Piceni/Picenti, il popolo a cui i
Pontecagna- / Picenti
Romani consegnarono quest'area in 268 a.C.
no-Faiano
(SA)
Salernum
Salerno (SA) Alfaterni < IE *sal- 'sale/acqua salata'
/ Picenti
Secondo altri il toponimo risale ad un sostrato
mediterraneo *sala 'canale' con il suffisso -ernche sarebbe tipico per questo per questo sostrato.
«A Silaro regio tertia, et ager Lucanus Bruttiusque incipit: nec ibi rara incolarum
mutatione. Tenuerunt eam Pelasgi, Oenotrii, Itali, Morgetes, Siculi, Graeciae maxime
populi: novissime Lucani Samnitibus orti duce Lucio. Oppidum Paestum, Graecis
Posidonia appellatum: sinus Paestanus: oppidum Elea, quae nunc Velia. Promontorium
Palinurum: a quo sinu recedente trajectus ad columnam Rhegiam centum M. pass.
Proximum autem huic flumen Melpes: oppidum Buxentum, Graece Pyxus: Laus amnis:
fuit et oppidum eodem nomine. [...] In peninsula fluvius Acheron, a quo oppidani
Acherontini». (III, 10, 1-2)
Silarus
(fiume)
Sele (SA)
Alfaterni
Picenti
/ < *seil- (di possibile origine illirica) < IE *sei„essere umido, gocciolare‟
+ il suffisso -arus
52
Elea / Velia
Casal Velino Lucani
< greco Ἐ lέ a (Velia in latino) deriva dal nome
(SA)
di una fonte < gr. Hyele < *Vel- < IE *au(e)„acqua‟
Cfr. Venilus e Velia in Sannio e la radice
etrusca veli- „fonte‟
Palinurum
Palinuro
Lucani
(SA)
Melpes
Lambro (SA)
Secondo Virgilio il toponino prende nome da
Palinurus, un compagno di Enea.
Lucani
(fiume)
1. < mediterr. *melf-/melp- „fango‟
2. < IE *melbh- che risulta in melf- nelle lingue
italiche orientali (cfr. *Melfa in Puglia) e in
melp- nelle area che hanno subito l‟influsso del
sostrato liguro-sicano.
Melpes
Mingardo
(fiume)
(SA)
Buxentum
Pyxus
Lucani
/ Policastro di Lucani
Santa Marina
(SA)
Cfr. Melpes (Lambro)
< greco
j < pύ xoj „bosso‟
+ -ountos (suffisso collettivo).
Il nome Buxentum è presumibilmente una
traduzione latino buxus.
Buxentum è stato fondato dai Sibariti. (Sibari è
un‟antica colonia greca in Calabria fondata nel
720 a.C.)
«In Puteolano autem sinu Pandateria, Prochyta: non ab Aeneae nutrice, sed quia profusa
ab Aenaria erat. Aenaria a statione navium Aeneae, Homero Inarime dicta, Graecis
Pithecusa, non a simiarum multitudine (ut aliqui existimavere), sed a figlinis doliorum.
Inter Pausilypum et Neapolim Megaris: mox a Surrento octo millibus passuum distantes,
Tiberii principis arce nobiles Capreae, circuit XI millium passuum» (III, 12, 3)
Prochyta
Procida (NA) Greci
Il nome deriva dall'antica credenza che l'isola
di Procida fosse stata creata con la materia
emessa dal condotto vulcanico del Vesuvio.
Il che spiega l'etimo dal greco Pro
tη
'sparso'.
53
Pithecusa
/ Ischia (NA)
Inarime
/
Greci
Vista la completa assenza di questi animali
sull'isola, già Plinio riteneva impossibile la
derivazione dal greco pi ηkoj 'scimmia'. Più
Aenaria
presumibilmente sarebbe l'origine greca pikoj
'brocca, boccia'. Ciononostante anche il nome
etrusco dell‟isola Inarime 'scimmia' (cfr.
nome utilizzato da Omero) si richiama a
questo animale < *arim- 'scimmia'. Fa
eccezione il nome latino Aenaria che si
riferisce alla legenda omonima.
Capreae
Capri (NA)
Greci
1. < grec. κάπρος, 'cinghiale';
2. < etr. capra 'sepoltura';
3. < lat. capra 'capra'.
«Colonia autem una, quae vocatur ad turrim Libysonis. Sardiniam ipsam Timaeus
Sandaliotim appellavit ab effigie soleae, Myrsilus Ichnusam a similitudine vestigii. Contra
Paestanum sinum Leucasia est, a Sirene ibi sepulta appellata. Contra Veliam, Pontia et
Iscia24, utraeque uno nomine Oenotrides, argumentum possessae ab Oenotris Italiae.
Contra Vibonem parvae, quae vocantur Ithacesiae, ab Ulyssis specula». (III, 13, 3)
Leucosia
Licosa
Lucani
< greco λεσκός „bianco‟ o „chiaro‟ col senso di
„senza alberi‟. Secondo Plinio la Sirena Leucosia
(SA)
ha prestato il suo nome all‟isola.
All‟inizio il toponimo designava probabilmente
anche Punta Licosa.
Isacia
sparita
Lucani
(SA)
< IE *eis- „agitare‟
+ IE *akwa- „acqua‟
= „l‟isola al fiume rapido‟ (il fiume sarebbe in
questo caso l‟Alento)
24
Si evita la confusione con l‟isola d‟Ischia.
54
«In ea ora flumina innumera, sed memoratu digna a Locris Sagra et vestigia oppidi
Caulonis, Mustiae, Consilinum castrum, Cocynthum, quod esse longissimum Italiae
promunturium aliqui existimant». (III, 15, 1)
Consilinum
Padula (SA) Lucani
Etimo sconosciuto
L‟elemento cons- potrebbe significare „confluenza‟.
«Mediterranei Bruttiorum, Aprustani tantum: Lucanorum autem, Atenates, Bantini,
Eburini, Grumentini, Potentini, Sontini, Sirini, Tergilani, Ursentini, Volcentani, quibus
Numestrani iunguntur». (III, 15, 3)
Eburum
Eboli (SA)
Lucani
Deriva dall‟appellativo osco legato al nome gallico
eburos „tasso‟ < IE *ereb(h)- „una specie di colore
scuro‟.
Vanno osservate la metatesi *ereb(h)- > eburos e
l‟assenza dell‟aspirazione *bh>f tipica per l‟Osco.
*Sontia
Sanza (SA)
Lucani
In assenza di un *Ae-sontia precedente, il toponimo
deriva presumibilmente dal participio IE *sont„essere‟ nel senso di „vero‟ o „buono‟.
Ursentum
Caggiano
Lucani
Il toponimo risale ad una forma osca derivata dal
sostantivo latino ursus „orso‟ < IE *rek‟sos „orso‟.
(SA)
L‟uscita -entum deriva dal suffisso collettivo IE *uent
„pieno di‟. Alcuni linguisti (UTET) prediligono la
derivazione da una radice pre-IE *urs-.
Volcei
Buccino
(SA)
Lucani
Il nome Velecha è stata accordata ai Volci (Etruria) e
deriverebbe dalla radice IE *uelk- „luogo umido‟.
Nel caso in cui l‟antroponimo è originale e il
toponimo derivato, la forma *ulekwos „lupo‟ può
essere all‟origine.
55
«Cetera intus in secunda regione Hirpinorum colonia una Beneventum auspicatius mutato
nomine, quae quondam appellata Maleventum, Aeculani, Aquiloni, Abellinates
cognomine Protropi, Compsani, Caudini, Ligures qui cognominantur Corneliani et qui
Baebiani, Vescellani. Ausculani, Aletrini, Abellinates cognominati Marsi, Atrani, Aecani,
Alfellani, Atinates, Arpani, Borcani, Collatini, Corinenses et nobiles clade Romana
Cannenses, [...] Veretini ». (III, 16, 6-7)
Beneventum
Benevento
Irpini
(BN)
Il toponimo originale osco era Maleventum. I
Romani, a cui non piacque la parte iniziale, lo
cambiarono in Beneventum.
I linguisti dell‟UTET suppongono una radice preIE
*mal-
„montagna‟.
Ma
presumibilmente
Maleventum trae origine da IE *mel- „apparire‟,
„sorgere‟.
+ il suffisso IE *-uent- „pieno di‟, il che favorisce
l‟interpretazione di Male- derivato da IE *melo„piccolo animale‟
Aeculanum
Mirabella
Irpini
Eclano (AV)
Deriva dalla radice IE *aikwo- „pianura‟. Il
toponimo non presenta tratti oschi come *kw>p, si
presume
dunque
un
substrato
pre-osco,
probabilmente Duano25.
Aquilonia
Compsa
Lacedonia
Irpini
< osco Akudunnia „acqua oscura‟ (cfr. lat.
(AV)
aquilus) con riferimento ad un fiume.
Conza della Irpini
< IE *keme- „appezzamento (di terra)‟ > *Comesa
Campania
> Compsa > Conza
(AV)
Caudium
/ Ponteligno di Irpini
< lat. cudere < IE *kau- „tagliare‟ con riferimento
Furculae
Montesarchi
alla gola di Furculae Caudinae.
Caudinae
o (AV)
Altre proposte dell‟UTET non spiegano il
toponimo in base a tratti oschi.
25
I Duani furono un‟antico popolo pugliese.
56
2.2.3 Altri autori
L‟esemplarità della Naturalis Historia non toglie che anche i testi di altri autore possano
fornire la materia per uno studio di toponomastica antica: Virgilio, Cicerone, Orazio, ma
soprattutto i geografi greci Strabone (
φί α) e Tolomeo (Γεω
φί α) e
l‟istoriografo Tito Livio (Ab Urbe Condita, in cui descrive tra l‟altro le Guerre Sannitiche)26.
Ma quello che dà la Naturalis Historia un rilievo particolare è il fatto che per la composizione
Plinio ha impiegato le osservazioni anteriori di autori come Augusto (Descriptio Italiae),
Agrippa (Corografia); per l‟etnografia: Catone, Nepote e Varrone27. Nei scritti di questi autori
troviamo tra l‟altro i toponimi seguenti28:
Aequum
Ariano
Tuticum
Irpino (AV)
Irpini
< lat. aequum „pianura‟
+ osco touto < IE *teuta- „popolo‟, „paese‟ < IE
*teu- „crescere‟, „folla‟, „grasso‟, „forte‟, „bollire‟
Alburnus
Alburni
(monte)
(SA)
Calor (fiume) Calore
(SA/AV)
Lucani
< osco *albho- „bianco‟
Lucani / < lat. calor „calore‟
Irpini
Più probabilmente deriva dalla radice IE *kal„macchiato > fango‟
Fistelia
Orbitanium
/ Roccaglorio- Lucani
Fistelia (cfr. la -f- iniziale tipica per il dialetto
osco) < IE *bheid- „pungere, bucare‟. (Orbitanium
sa (SA)
è di origine latina).
Oplontis
Torre
Campani Etimo sconosciuto
Annunziata
(NA)
Romulea
Bisaccia
(AV)
Irpini
Etimo sconosciuto
Si suppone la derivazione dall‟IE *rem- „restare‟,
„poggiare‟ > *ram- con riferimento all‟acqua di un
fiume.
26
Un‟altra fonte importanta per la toponomastica è la Tabula Peutingeriana, una carta geografica che risale al
periodo augusteo e su cui sono indicati tutti gli itinerari del mondo allora conosciuto.
27
D. Detlefsen, Quellen und Forschungen zur alten Geschichte und Geographie, ed. W. Sieglin, Leipzig, Verlag
von Eduard Avenarius, 1901.
28
Le selezione dei toponimi e la loro analisi sono quelle di Antonio Sciarretta in Toponomastica dell’Antichità,
consultabile su [http://digilander.libero.it/toponomastica/ancient-topo.html].
57
Rufrae
Saticula
Presenzano
Sanniti / < osco-umbro rufr- < lat. ruber < IE *reudh-
(CE)
Sidicini
'rosso'
Sant'Agata
Irpini
È stata ricostruita una forma *sati-ko-, della quale
de'
Goti
il toponimo Saticula sarebbe il diminutivo. Il
(BN)
senso della radice ricostruita rimane comunque un
mistero.
Sirenusae
Li Galli (SA) Greci
Il nome deriva dalle Sirene, le creazioni della
mitologia classica.
Taburnus
Taburno
(monte)
(BN)
Tamarus
Tammaro
(fiume)
(BN)
Irpini
< IE *steb(h)- „pilastro, poggiare‟ (a condizione
che la s iniziale sia mobile)
Irpini
1. < *tam- < IE *tei- „fondere, dissolvere‟
+ il suffisso -arus
2. < IE *tem(e)- „buio‟ > *teme(s)-ro- „il fiume
buio‟
Taurasia
Taurasi
Irpini
(AV)
< osco tauro- „toro‟
+ il suffiso locativo -asi
Una teoria più antica presuppone la radice
mediterranea *tauro „montagna‟, che secondo i
sostenitori sarebbe alla base di parecchi toponimi
nell‟area mediterranea.
Tegianum
Teggiano
Lucani
Etimo sconosciuto
(SA)
2.2.4 Conclusione
La toponomastica campana ci mostra una doppia influenza. Nella parte nordoccidentale e
centrale, che prima dell‟occupazione romana era abitata dai Sanniti, la lingua osca ha lasciato
la propria impronta sulla toponomastica. I toponimi di origine osca si concentrano soprattutto
nelle provincie di Caserta e di Napoli ma si estendono, cionondimeno, fino all‟estremo sud
della regione (fino a Fistelia, l‟odierna Roccagloriosa, in cui si nota la f- iniziale tipica del
sostrato osco).
58
Nei toponimi dell‟area costiera traspare da un lato un sostrato liguro-sicano dall‟altro il
sostrato greco. Erano greche la zona costiera da Napoli ingiù e le isole. I Greci erano un
popolo di navigatori e di commercianti a cui non interessò di conquistare territori. Si
accontentarono del litorale a partire di cui poterono commerciare.
Rimane tuttavia difficile determinare con precisazione le caratteristiche così come la portata
del cosiddetto sostrato liguro-sicano. Lo stesso problema si presenta nell‟Italia settentrionale:
«Anche per il fatto che il ligure fu assorbito, prima che dal latino, dal celtico, non siempre
riesce facile distinguere, nell‟area ligure, tra le voci indoeuropee e quelle celtiche [...]»29.
Ciononostante, «lo studio delle parole lasciate dai Liguri [...] ha ravvisato come tali alcune
parole già note ai Romani [...] e molte altre di cui si hanno testimonianze sia nella
toponomastica, sia nei dialetti alpini moderni [...]»30.
29
30
B. Migliorini, Storia della lingua italiana, Firenze, Sansoni, 1960, p. 24.
Ibidem.
59
3.
Lessico campano31
Tracce dell‟occupazione greco-bizantino in Campania si ritrovano soprattutto nei dialetti
napoletani e del Cilento. Numerosissimi sono i grecismi che risalgono a quest‟epoca:
imbosemà „inamidare‟, grasta „vaso di coccio‟, centìmulu „frantoio‟, poteca „bottega‟,
scalandrone „scala di legno‟, ecc.
Nei dialetti campani centrali sono inoltre presenti varie parole di origine longobarda:
gàfio/alifetto/gaifetto < long. *waifa cioè „una scalinata di accesso a una o più abitazioni‟,
ndrengolià cioè „scuotere, oscillare‟ < long. *hringilon „tintinnare‟.
Tramite l‟occupazione normanna, sono entrate nei dialetti campani parecchie parole di origine
francese. Qualche esempi di tali francesismi sono perciare „bucare‟ che mediante il francese
deriva dal verbo latino PERTUSIARE. Questa derivazione risulta tra l‟altro nei napoletanismi
perciante cioè „persona noiosa‟ e perciatielli, una specie di pasta che rassomigla ai bucatini.
Altro napoletanismo che risale all‟invasione normanna è vanella, cioè „vicoletto o spazio
racchiuso tra due palazzi‟, derivata da venella, il diminutivo di vena.
Però, non tutti i francesismi hanno un‟origine normanna, Altri sono abbastanza recenti è sono
invece le tracce della presenza angioina nell‟Italia meridionale: alcuni di questi francesismi
sono stati ripresi da Giovanni Boccaccio nella sua Epistola napoletana.
Ancora più recenti sono gli ispanismi o gli iberismi, cioè le parole di provenienza catalana
entrate nel napoletano durante il periodo della dominazione aragonese, ad es. ammuinare
„agitare‟ e ammuina „agitazione‟, tràstola „traffico poco limpido‟ < cat. traste „masserizia,
bagaglio‟. Una parola tipicamente napoletana di origine catalana è caracò(l), cioè scala a
chiocciola (furono infatti i catalani ad insegnare ai campani a costruire questo tipo di scale in
pietra). Altre parole spagnole, stavolta di origine castigliana, entrano nel napoletano nel XVI e
XVII secolo, ad es. lazzari , cioè il nome utilizzato dagli Spagnoli per indicare i seguaci di
Masaniello, < sp. làzaro „poveraccio‟. Oggi nel napoletano lazzaro significa „qualcuno che
non si tiene alle regole o che non ha maniere‟. Numerose sono gli ispanismi di questo
periodo: ofano/ufano „superbo‟, ofanità „superbia‟, palià „bastonare‟, arrasso „lontano‟,
attrasso „ritardo‟, ecc.
I prestiti più recenti nel dialetto napoletano sono i francesismi che risalgono alla fine del
Settecento. Si tratta soprattutto di un lessico che appartiene al campo semantico della politica,
della rivoluzione, ma anche della cultura, dell‟abbigliamento e della gastronomia, ad es.
31
Tutti gli esempi sono tratti dal §7 del primo capitolo capitolo « La regione e la sua storia », in: N. De Blasi,
Profilo linguistico della Campania, Roma-Bari, Laterza, 2006, pp. 14-19.
60
monsù „cuoco‟ < monsieur, crocché „panzarotto di patate‟, gattò „pasticcio di patate‟, sartù
„piatto di riso guarnito‟, rraù „sugo di carne‟, ecc.
61
4.
Il dialetto campano32
Viste le tante migrazioni sul territorio campano non meraviglia che non si parli un unico
dialetto in tutta la regione. Possiamo individuare nei dialetti campani delle caratteristiche di
portata differente: tratti panitaliani, tratti centrali e meridionali, tratti tipicamente campania e
particolarità proprie ad uno o l‟altro dialetto campano. Non è privo di importanza il prendere
in considerazione anche i dialetti delle regioni confinanti, visto che una regione come ente di
amministrazione non corrisponde mai al territorio circoscritto dai confini linguistici.
Va osservato che sebbene la città di Napoli abbia fatto sentire il proprio influsso sul piano
linguistico, questo non ci permette di uguagliare il dialetto campano e il dialetto napoletano.
Teniamo presente che insieme con la perdita del peso economico e del prestigio culturale di
Napoli è andato perdendosi anche il prestigio del dialetto napoletano. Persa la sua posizione
di capitale del Regno e allo stesso tempo incapace di svilupparsi come centro di gravità della
regione, Napoli non è stata in grado di imporre il suo dialetto all‟intera regione.
4.1
Tratti tipici dei dialetti campani
Le caratteristische linguistiche dell‟area campana si verificano anche, con collocazione e
frequenza diverse, nei dialetti delle regioni confinanti. Tuttavia, possiamo individuare alcuni
tratti che sono più tipicamente campani (e soprattutto napoletani) che meridionali: il dittongo
metafonico, la chiusura metafonica, il femminile plurale con rafforzamento sintattico, la
vitalità del genere neutro, la variazione consonantica e il suono indistinto finale. Tali tratti non
sono esclusivamente campani, ma sono collegati, cioè si estendono tutti insieme su un
territorio definibile in generale come Campania. È presumibilmente il merito di Napoli aver
favorito la diffusione di alcuni tratti provenienti dalle zone circostanti, pur senza unificare
linguisticamente la Campania. L‟indebolirsi di alcuni di questi tratti nelle zone periferiche e il
propagarsi di alcune caratteristiche provenienti da altre regione ha ostacolato in modo
incostestabile l‟unificazione linguistica da parte di Napoli, e ha comportato differenziazioni
dialettali nell‟area campana.
Nelle note a piè di pagina citerò alcuni tratti dialettali che sono anche presenti nella
toponomastica campana. Questi tratti, descritti da Gerhard Rohlf nel suo Grammatica storica
32
Basato su sul secondo capitoli dal titolo « Tratti tipici dell‟area campana », in: N. De Blasi, Profilo linguistico
della Campania, Roma-Bari, Laterza, 2006, pp. 20-43.
62
della lingua italiana e dei suoi dialetti (1966, 1968, 1969) verranno sviluppati nel capitolo
seguente.
4.1.1 Metafonesi napoletana: dittongazione e chiusura
Il fenomeno di metafonesi o metafonia risulta nella chiusura della vocale tonica sotto
l‟influenza di un‟altra vocale (i, u) nella silliba seguente. Per cominciare il nostro discorso
dobbiamo risalire al latino, più precisamente al suo sistema vocalico. Il sistema vocalico del
latino distingueva dieci vocali: cinque vocali brevi e cinque vocali lunghe:
Ī ĬĒ Ĕ ĀĂ Ŏ ŌŬ Ū
Ben presto, verso la fine dell‟età imperiale, la distinzione di quantità del latino classico cede il
posto alla distinzione di grado di apertura: le vocali brevi diventarono aperte, quelle lunghe
diventarono chiuse, il che portò con sé l‟avvicinamento di alcuni suoni prossimi che si
ridussero ad un unico suono: Ĭ e Ē > é, Ā e Ă > a, Ō e Ŭ > ó. Tali mutamenti risultarono nel
sistema vocalico a sette vocali delle lingue romanze:
i é è a ò ó u
Nel caso in cui una -I o una -U segua una vocale tonica aperta -è-, -ò-, avviene la
dittongazione metafonica. Le vocali toniche, cioè, si dittongano in -ie- e in -uo-33. Alcuni
esempi di -è- > -ie-: aniello „anello‟, ciento „cento‟, nuvielle „novelli‟, pietto „petto‟,
turmiento „tormento‟; di -ò- > -uo-: attuorno „attorno‟, cuollo „collo‟, cuorpo „corpo‟, suonno
„sonno‟, ecc. Come si può notare negli esempi sopraelencati, non importa la struttura
sillabica: l‟apertura della sillaba in cui si trova la vocale tonica non è una condizione
necessaria per la dittongazione. Su questo punto il dialetto campano si distingue dal
fiorentino, in cui la dittongazione avviene solo in una sillaba aperta.
Nel caso in cui una -I o una -U segua una vocale chiusa -é-, -ó-, avviene invece la chiusura
metafonica, che risulta in: -é- > -i-, -ó- > -u-. Alcuni esempi di -é- > -i- sono acito „aceto‟,
beneditto „benedetto‟, niro „nero‟, paise „paesi‟; e di -ó- > -u-: cetrulo „cetriolo‟, culure
„colori‟, giuvene „giovani‟, serviture „servitori‟, ecc.
33
Cfr. infra: Dittongazione condizionata di ę nell‟Italia meridionale: Salierno e Surriento (Rohlfs 1966, § 101).
63
Va osservato anche che la metafonia occorre unicante con nomi e aggettivi di cui l‟uscita
deriva da una -I o una -U finale latina. Fanno eccezione parole come porto < porto (ind. pres.
1sg.) di cui la o finale non risale alla -U latina (cfr. il sostantivo puorto „porto‟ < lat. portum).
Sono esclusi ugualmente i nomi e gli aggettivi femminili. Il che non sorprende vista
l‟esclusione della -I e della -U latina in posizione finale in nomi e aggittivi femminili:
apierto/aperta, buono/bona, beneditto/benedetta, curiuso/curiosa, ecc.
Si comprende allora anche l‟occorrenza di alcune forme plurali con esiti metafonetici mentre
il loro singolare non ammette la metafonie. Si tratta di parole che escono in -e e hanno il
plurale in -i, ad es. cìcere „ceci‟/ cécere „cece‟, culure/colore, padrune/padrone, ecc.
Dato che in parecchi dialetti campani la pronuncia delle vocali finali s‟indebolisce, il
fenomeno della metafonia appare di particolare importanza per distinguere il maschile dal
femminile e il singolare dal plurale.
In alcuni casi (la seconda persona del singolare) la metafonia marca anche la flessione
verbale: ciò avviene quando la desinenza verbale provoca la dittongazione o la chiusura della
vocale tonica: cfr. porto „io porto‟, puorti „tu porti‟, porta „egli porta‟; corro „io corro‟, curri
„tu corri‟, corre „egli corre‟.
4.1.2 Rafforzamento sintattico34
Con il termine rafforzamento sintattico ci si riferire al rafforzamento della pronuncia delle
consonanti iniziali a condizione che succedano ad una parola monosillabica o ad alcune parole
tipiche. In realtà il rafforzamento sintattico non è una caratteristica tipicamente campana. Al
contrario, si presenta anche in italiano. Però, nei dialetti campani il rafforzamento sintattico
svolge un ruolo importante al livello della morfologia per il fatto che distingue i plurali
femminili e i sostantivi neutri.
Le parole che provocano il rafforzamento sintattico derivano generalmente da parole
monosillabiche latine uscenti in consonante, come AD > a, TRES > tre, PLUS > più. Così va
rafforzata la c nel caso di „vado a casa‟ (vado accasa), mentre rimane inalterata in la casa. È
la consonante finale della parola che provoca il rafforzamento che entra in un processo di
assimilazione35 con la parola affetta. Nell‟esempio sopracitato, la d finale della preposizione
34
Cfr. infra: b iniziale (Rohlfs 1966, § 150); j iniziale (Rohlfs 1966, § 158).
Assimilazione: « (ling.) Processo per cui due suoni a contatto o a breve distanza tendono a divenire identici o
ad assumere caratteri comuni ». (Zingarelli)
35
64
latina si assimila dunque alla c iniziale di casa, che risulta quindi rafforzata. La pausa, che
normalmente separa due parole sul piano sintattico, viene annullata.
Il rafforzamento sintattico è un tratto condiviso dai dialetti centrali e meridionali, mentre non
è altrettanto diffuso nell‟Italia settentrionale. Le forme che provocano il rafforzamento
sintattico non sono le stesse per tutti i dialetti centrali e meridionali. Per la Campania le forme
che producono il rafforzamento sintattico sono le seguenti: le congiunzioni e, né; la negazione
nu (non); le preposizioni a, cu, pe; gli indefiniti ogne, quacche; il che interrogativo; accussì;
cchiù „più‟; tre; l‟articolo neutro ‘o; il pronome neutro ‘o; gli articoli, i pronomi e gli aggettivi
femminili; i pronomi maschili e femminili plurali; le forme verbali so’ („sono‟), si’ („sei‟) e
sto (<stare). La terza persona del singolare del verbo avere ha, che provoca il rafforzamento
sintattico in italiano (ha ccantato), fa eccezione nel dialetto campano (ha cantato).
4.1.3 Variazione consonantica
Con variazione consonantica si intende di norma il fatto che in italiano, come in qualsiasi
lingua, una consonante può occupare una posizione forte o una posizione debole. In posizione
forte la consonante viene pronunciata in maniera intensa, in posizione debole invece, la
pronuncia non è intensa ma scempia. Confrontiamo gli esempi seguenti: nu cavallo janco v.
‘o cavallo è gghianco. Nel primo caso l‟aggettivo bianco si trova in posizione debole per il
che la sua pronuncia è realizzata come scempia: janco. Nella seconda frase la pronuncia
dell‟aggettivo bianco, adesso in posizione forte, risulta ivece intensa: gghianco.
Nei dialetti dell‟area campana la distinzione tra consonanti sorde e sonore s‟indebolisce. La
pronuncia intensa o scempia delle consonanti dipende dunque sostanzialmente del contesto.
Posizione forte
Posizione debole
[bj] bianco
‘o cavallo è gghianco („il cavallo è bianco‟) [j]
nu cavallo janco („un cavallo bianco‟) [j]
[d] gioco
che gghiuóco? („che gioco?‟) [g]
nu juoco („un gioco‟) [j]
[d] denti
tre ddiente („tre denti‟) [dd]
‘e riente („i denti‟) [r]
[g] gallo
tre ggalli („tre galli‟) [gg]
nu ’allo („un gallo‟)
[b] borsa
tre bborze („tre borse‟) [bb]
‘a vorza („la borsa‟) [v]
[v] veleno
‘o bbeleno/’o vveleno („il veleno) [bb] [vv]
non cambia [v]
65
4.1.4 Il rafforzamento sintattico: marca del femminile plurale
Come ho già menzionato, il rafforzamento sintattico ricopre un‟importante funzione
grammaticale nei dialetti campani, poiché è l‟unico elemento che permette di distinguere i
femminili plurali dai femminili singolari, altrimenti omofoni. Si osserva negli esempi
sottostanti come il rafforzamento sintattico marchi le forme femminili plurali rispetto alle
singolari, considerato che nei dialetti campani (soprattutto intorno a Napoli) le vocali finali
tendono a perdere forza. Di conseguenza il rafforzamento sintattico assume la funzione
grammaticale che normalmente dovrebbe essere assunta dall‟articolo e dalle desinenze.
Femminile singolare
Femminile plurale
‘a retë („la rete‟)
‘e rretë („le reti‟)
‘a machinë („l‟automobile‟)
‘e mmachinë („le automobili‟)
‘a sorë („la sorella‟)
‘e ssorë („le sorelle‟)
Il rafforzamento sintattico appare particolarmente importante poiché marca i femminili nei
casi in cui altrimenti si confonderebbero con una forma maschile omofona, il che risulta
estemamente rilevante sul piano interpretativo. Si differenziano così i doppioni seguenti:
Maschili
Femminili
‘e pizzë („le trine‟)
‘e ppizzë („le pizze‟)
‘e pilë („il peli‟)
‘e ppilë („le batterie, le pile‟)
‘e tavulë („i tavoli‟)
‘e ttavulë („le tavole‟)
4.1.5 La conservazione del genere neutro
Contrariamente alle lingue romanze, i dialetti del centro e del meridione della Campania
hanno conservato un genere neutro molto vivo. Alcuni neutri derivano da parole neutre latine
(latte, sale, ferro), altri sono neoconiazioni - alcune sono abbastanza recenti come ‘o rrep („la
musica rap‟) - sconosciute dal latino (caffè). Di norma questi neutri appartengono alle
categorie seguenti: materiali (‘o ffierro), alimenti o bevande (‘o ccafè, ‘o ggrano), colori (‘o
rrusso), infiniti sostantivati (‘o ppenzà < pensare), sostantivi generici (‘o mmale, ‘o bbene).
Va osservato che i nomi neutri sono tutti singolari. Infatti si tratta di nomi che non ammettono
il plurale, altrimenti perdono il loro senso generico e non sono più di genere neutro: cfr. ‘o
66
ffierro (materiale) ma per i ferri di un chirurgo ad esempio si utilizza la forma plurale ‘e fierre
(=plurale/maschile/senso concreto).
Va osservato inoltre che i neutri introdotti dall‟articolo determinativo ‘o36 la consonante
iniziale risulta rafforzata. Benché l‟articolo determinativo neutro e maschile siano omonimi
sono etimologicamente diversi. L‟articolo maschile ‘o deriva dal pronome latino ILLUM,
mentre l‟articolo neutro ‘o deriva dal pronome latino ILLUD. Laddove la -m finale di ILLUM
si perde già in un‟antico stadio del latino, la -d finale di ILLUD rimane conservata e si
assimilisce con la consonante iniziale della parola neutra che viene allora rafforzata. Il
rafforzamento della consonante iniziale di una parola dopo l‟articolo determinativo neutro
indica dunque che si intende trasferire un senso generico. Così si distinguono l‟uno dall‟altro i
sintagmi ‘o rrusso (colore) e ‘o russo (per designare una persona con i capelli rossi).
Anche il pronome personale neutro ‘o provoca il rafforzamento consonantico: «Ma sapite
comm‟è... Chille „o ttrovano a vénnere cchiù caro e nun se fanno vedé cchiù»37. In questa
frase il pronome personale ‘o riferisce al nome neutro „burro‟ e provoca dunque il
rafforzamento consonantico della forma verbale ttrovano. Lo stesso vale per i nomi femminili
con un senso collettivo o generale, anche essi possono essere ripresi da un pronome neutro:
«Chi „o ttene, „o ttenne zuffunnato e nun „o ccaccia»38. Qui il pronome neutro si richiama ad
una medicina introvabile. Anche nel caso in cui il sintagma „tutte cose‟ viene ripetuto da un
pronome, esso assume il genere neutro, così come i pronomi demostrativi chisto „questo‟ e
chilo „quello‟ che allora non vengono alterati dalla metafonia e prendono rispettivamente le
forme chesto e chello: «Chesto „o ffacimmo a brodo»39.
36
In altre zone della Campania l‟articolo determinatico neutro prende la forma lo (nella provincia di Avellino),
lu (nella zona meridionale della provincia di Salerno), ‘u (nelle provincie di Napoli e Caserta), ru (nelle
provincie di Salerno e Avellino), ‘o (intorno a Napoli) e le (nella provincia di Benevento).
37
Una frase dalla commedia Napoli milionaria! di Eduardo de Filippo, citato in: N. De Blasi, Profilo linguistico
della Campania, Roma-Bari, Laterza, 2006, p. 38.
Traduzione in italiano standard: „Ma sapete com‟è... (Quelli) riescono a venderlo [il burro] più caro e non si
fanno più vedere‟.
38
Ibidem.
Traduzione in italiano standard: „Chi ce l‟ha [la medicina], ce l‟ha nascosta e non la tira fuori‟.
39
Ibidem.
Traduzione in italiano standard: „Questo [questa cosa] lo facciamo in brodo‟.
67
5.
Alcune particolarità della toponomastica Campana
Nei paragrafi seguenti vengono elaborati alcuni tratti che caratterizzano tanto il dialetto
quanto la toponomastica campani.
Dapprima saranno presentate alcune particolarità che non sono tipicamente campane ma che
possiamo caratterizzare come tratti generali o panitaliani, cioè sono presenti su tutto il
territorio italiano (non di rado anche nella lingua standard) e non marcano un dialetto in
particolare.
Nella parte che segue verranno trattate le caratteristiche della toponomastica dell‟Italia
centrale e/o meridionale (cfr. linguisticamente la Campania occupa una posizione mediana tra
l‟Italia centrale e l‟Italia meridionale), che si presentano anche nell‟area campana, e che
distinguono la toponomastica campana dalla toponomastica settentrionale e dalla
toponomastica italiana in generale.
Va osservato che i tratti che marcano la toponomastica campana sono spesso di tipo fonetico.
Può trattarsi di una pronuncia dialettale di un dato toponimo, o di una pronuncia dialettale che
si è lessicalizzata, cioè fissata nella grafia. I tratti morfologici e sintattici presenti nella
toponomastica campana, invece, non sono quasi mai marcati diatopicamente.
Lo scopo di questo elenco è di mostrare come anche la toponomastica può servire come la
fonte per una conoscenza sincronica ma soprattutto diacronica della lingua, cioè come i
toponimi, in quanto „fossili‟ linguistici possono rendere conto delle evoluzioni della lingua
standard ma soprattutto dei diversi dialetti. Ho fatto precedere questo capitolo da una breve
relazione sulle particolarità del parlato campano, proprio al fine di dare una prima
impressione dei tratti locali che spesso marcano anche i toponimi.
I tratti sottoelencati provengono dalla Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi
dialetti di Gerhard Rohlfs40 (Berlino 1892 – Tübingen 1986), autorità incontestabile nel
campo della linguistica storico-geografica. Rohlfs svolse i studi linguistici all‟Università di
Grenoble e di Berlino, dove ottenne un dottorato nel 1919. Nel 1922 cominciò ad insegnare
filologia romanza a Grenoble; trasferendosi a Tübingen nel 1926, lasciò questa città nel 1938
per Monaco. Il primo contibuto linguistico di Rohlfs è un articolo sull‟onomastica del 1922.
Sempre più interessato alla linguistica geografica, iniziò nel 1923 le sue indagini linguistiche
nell‟Italia meridionale (soprattutto in Calabria e nella penisola salentina) che durarono sei
40
Per i dati biografici di Gerhard Rohlfs: G. Casagrande, «In Memoriam Gerhard Rohlfs», in: Italica, vol. 3,
«Linguistics: theoretical and applied», autunno 1987, pp. 533-536.
68
anni. Durante questi anni Rohlfs tentò di mettere a confronto i dialetti del Mezzogiorno con il
fiorentino standard. Da queste ricerche risultò la sua Historische Grammatik der italienischen
Sprachen und ihrer Mundarten. Molto apprezzati sono anche i suoi contibuti sul piano della
toponomastica italiana (cfr. bibliografia).
5.1
Tratti panitaliani
5.1.1
Sintassi e formazione delle parole41
a.
L’obliquo privo di preposizione42: Monteleone e Pontelandolfo
La perdita delle distinzioni fonetiche nel latino tardo creò delle difficoltà per le coniugazione
e la declinazione (ad es. la perdita della distinzione tra ă e ā, tra ŭ e ō e la perdita della -m in
posizione finale provocano il dissolversi di parole come rosă/rosā, dominum/domino,
militem/milite).
Il sistema latino a cinque casi venne ridotto a un sistema bicasuale: il nominativo del latino
persisteva nel casus rectus, mentre il casus obliquus continuava l‟accusativo e incorporava
allo stesso tempo anche il genitivo. Questa riduzione casuale risultò in un ordine delle parole
meno libero. Poteva dunque avvenire che un sostantivo nel casus obliquus non introdotto da
una preposizione esprimesse un possesso, il che in latino veniva espresso dal genitivo, ad es.
in casa i Frescobaldi (D. Compagni) per „nella casa dei Frescobaldi‟, a casa la donna (G.
Boccaccio) per „nella casa della donna‟, in casa un buffone (F. Sacchetti) per „nella casa di un
buffone‟, a casa la madre (N. Macchiavelli) per „alla casa della madre‟, ecc. Tale costruzione
poteva essere presente anche con un antecedente non introdotto da una preposizione, ad es. lo
figlio Arsami (B. Latini) per „il figlio di Arsami‟, la moglie Menelao (B. Latini) per „la moglie
di Menelao‟, lo canto San Simeon (P. da Barsegapé) per „il canto di San Simeone‟, ecc.
Nella toponomastica campana questo tipo di costruzione si trova ad esempio in: Monteleone
„il monte del leone‟ (nella provincia di Napoli e di Salerno) e Pontelandolfo „il ponte di
Landulfo‟ (nella provincia di Benevento). Si tratta però di un fenomeno frequentissimo in
tutte le regioni italiane (soprattutto nel Lazio meridionale).
41
G. Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, «Sintassi e formazione delle parole»,
Torino, Einaudi, 1969.
42
Rohlfs 1969, § 630.
69
b.
Il suffisso -one43: Castiglione
Il suffisso -one prende origine dalla desinenza latina -o, -onis, che esprimeva di norma un
tratto caratteristico di una persona: ladro „ladrone‟, bibo „bevitore‟, soprattutto nei nomignoli
come ci sono Publius Ovidius Naso („dal naso caratteristico‟), Marcus Tullius Cicero („con
un‟escrescenza simile ad un cece‟), ecc. Si tratta generalmente di particolarità che sono molto
vistose. Ecco perché il suffisso avrebbe assunto più tardi una connotazione legata alle
dimensioni, cioè -one è diventato un suffisso accrescitivo. Un tratto simile esiste anche in
spagnolo (camisón „camicia grossa‟) e in portoghese (casão „grossa casa‟). Non di rado il
suffisso -one si unisce con un sostantivo femminile (un leprone, un piazzone, ecc.). Però, in
certi dialetti come nel napoletano, esiste una forma femminile del suffisso, -ona, ad es. in
cetatone e cetatona „cittadona‟, manone e manona, femmenone e femmenona, ecc., il che ha il
vantaggio di permettere la distinzione tra forme maschili e forme femminili. Avviene anche
che -one si combini con un aggettivo (grandone „molto grande‟, poverone, verdone, ecc.) o
con certi avverbi (soprattutto nei dialetti meridionali) ad es. nel napoletano tardone
„tardissimo‟.
Dobbiamo tuttavia tenere presente che la funzione originale del suffisso -one rimane quella di
indicare una peculiarità, ad es. buffone, ciarlone, cafone, testone, urlone, ecc. (la funzione
indicante la grossezza vi si aggiunge più tardi). Va osservato anche che le parolo in -one,
designante persone, si distinguono dalle parole che finiscono col suffisso -tore che indica
invece semplicemente l‟autore di un‟azione, e riceve così una connotazione più o meno
dispregiativa. Nondimeno, -one mantiene la sua funzione originale, e può ad esempio indicare
gli abitanti di una città (papasiròni „abitanti di Papasidero‟ (Calabria)). Non è privo di
importanza il fatto che mediante l‟influsso del francese il suffisso -one abbia assunto anche un
valore diminutivo, soprattutto nel Mezzogiorno.
Per la toponomastica è più interessante una variante di -o, -onis, cioè il suffisso -io, che
all‟inizio aveva un valore spregiativo, al quale è seguito più tardi un valore diminutivo.
Incontriamo le tracce di questo suffisso ancora in vari toponimi. Per la Campania possiamo
citare ad esempio Castiglione (nella provincia di Salerno) cfr. franc. Châtillon, spagn.
Castéjón.
Vanno comunque tenuti distinti i toponimi in –(i)one con valore diminutivo o spregiativo e i
toponimi in –one che derivano da nomi gentilizi romani (cfr. supra).
43
Rohlfs 1969, § 1095.
70
5.1.2
a.
Morfologia44
Ablativo o accusativo45: Pozzuoli, Pompei e Capri
Certe parole italiane uscenti in vocale come sale, miele, vimine, cuore, latte, genere, ecc.
derivano da neutri con uscita consonantica della terza declinazione latina: sal, mel, vimin, cor,
lac, genus. Le forme italiane possono essere considerate come ablativi o come accusativi
analogici. Secondo quest‟ultina ipotesi, tali forme deriverebbero dalla creazione di un
accusativo avente una forma analogica a quella dell‟ablativo, come in acc. latte e abl. de latte,
acc. vimine e abl. de vimine, ecc. Tale processo di formazione si osserva anche in certi dialetti
italiani per la parola examen, che dà le forme analogiche seguenti: calabr. sámina, umbro
ssáməno, marchig. assáminu. Inoltre, la forma miele (meridionale mèle), che continua
l‟accusativo latino mèle e non l‟ablativo melle, rende conto che per quanto riguarda le forme
soprelencate, si tratta di accusativi analogici e non di ablativi.
Poche volte un ablativo si conserva nella toponomastica. Citiamo ad esempio il francese Aix e
Dax che continuano il latino Aquis (cfr. Acqui in Piemonte) e i toponimi uscenti in -i, traccia
della desinenza -is dell‟ablativo latino, come in Pozzuoli (Campania, nella provincia di
Napoli) < Puteolis, Pompei (Campania, nella provincia di Napoli) < Pompeis, Capri
(Campania, nella provincia di Napoli) < Capris, ecc.
b.
Resti del locativo46: Amalfi
Già nell‟epoca classica il locativo perde terreno rispetto all‟ablativo per quanto riguarda
l‟espressione dello stato in luogo o del tempo determinato: Romae/Roma, Capuae/Capua,
Tarenti/Tarento. Nel IV secolo d.C. l‟uso del locativo è diventato rarissimo. Rohlfs cita però
alcuni linguisti, secondo i quali il locativo continua in certi toponimi uscenti di norma in -i,
come Ascoli, Asti (Hastae), Rimini, Girgenti, Tivoli, ecc. Va però osservato che non tutti i
toponimi uscenti in -i derivano da locativi. Parecchi hanno subito cambiamenti vocalici nel
corso del tempo: Frascati < Frascata, Nemi < Nemo, Cori < Core, Velletri < Beletro, ecc. Per
la Campania citiamo Amalfi (nella provincia di Salerno), che in dialetto napoletano si
44
G. Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, «Morfologia», Torino, Einaudi, 1968.
Rohlfs 1968, § 348.
46
Rohlfs 1968, § 349.
45
71
chiamava anticamente Amarfa. Viceversa, l‟attuale Acerno (nella provincia di Salerno) era
chiamata nel Medioevo Acerni.
c.
Modificazioni fonetiche dell’uscita del tema47: Baselice
Il volgere al plurale di una parola puó in vari casi provocare la palatalizzazione della
consonante finale del tema che nel singolare aveva un valore velare. Così l‟uscita -co passa di
norma a -ci (amico: amici). In altri casi più dubbi rimangono le due possibilità -ci e -ki ( ad es.
le forme - ormai disusate - grechi e greci, stomachi e stomaci, ecc.). Lo stesso vale per certi
aggettivi in -ico che oggi terminano in -ici, ma che in tempi assai remoti avevano il plurale in
-ichi (fantastici e fantastichi (Sacchetti), domestici e domestichi (Boccaccio), ecc.). Questo
tipo di palatalizzazione è molto frequente nei dialetti dell‟Italia meridionale, come nel
napoletano sínnəcə „sindaci‟, juncə „giunchi‟.
La desinenza -go presenta un‟esitazione simile tra mantenimento della velare (luogo: luoghi)
e casi eccezionali di palatalizzazione (mago: magi). Dall‟altro la palatalizzazione è del tutto
impossibile per i plurali delle desinenze femminili -ca e -ga che sono tutti del tipo (monaca:
monache, piaga: piaghe).
Secondo il Meyer-Lübke48 la palatalizzazione delle desinenze è dovuta a una tendenza
all‟analogia con il singolare o all‟influsso del latino. Secondo altri (Pieri, Goidànich)49 la
forma rimasta velare, cioè non modificata dalla palatalizzazione (amico: amichi) continua la
varietà popolare del toscano medioevale, mentre la forma palatalizzata (amico: amici)
caratterizza in questo periodo un parlato diastraticamente più alto. Così, nel toscano popolare
si incontrano forme palatalizzate e non palatalizzate con pari frequenza (bruco e brucio, il che
presuppone un antico plurale bruci a cui la forma singolare brucio si sarebbe adeguata).
In modo corrispondente si incontra nel dialetto campano funcu (fungə) che presuppone il
plurale fungi (funci). Nella toponomastica troviamo attestato questo tipo di palatalizzazione
tra l‟altro in Baselice (Campania, nella provincia di Benevento) < basilicae.
47
Rohlfs 1968, § 374.
Citato in: Rohlfs 1968, § 374.
49
Ibidem.
48
72
5.1.3 Fonetica50
5.1.3.1 Vocalismo
a.
Io ed ea protonici51: Napoli
Generalmente il dittongo io in posizione protonica passa in Toscana ad i, ad es. Firenze <
Fiorenze, Chifenti < Chiofenti < Confluentes, ecc., ma anche in parte dell‟Italia meridionale,
ad es. in Calabria Nicastro < Neocastron. Nelle stesse condizioni ea passa ad a, ad es.
Neapolis > Napoli.
b.
Caduta della vocale mediana nei proparossitoni52: Ischia
La sincope, cioè la caduta di una vocale o di una sillaba all‟interno di una parola, è un
fenomeno antico. I primi casi di sincope risalgono al latino: domina > domna > donna, viridis
> virdis > verde, calidus > caldus > caldo, frigidus > frigdus > freddo, oculus > oclus >
occhio. Va osservato che i casi più antichi di caduta della vocale riguardano sempre una o due
consonanti sonore: mn, rd, ld, gd, cl. Numerosissimi sono inoltre i casi di sincope che
derivano da parole latine che racchiudono il suffisso -ulus: *fenŭculum > finocchio,
genŭculum > ginocchio, *parĭculum > parecchio.
Altre parole latine, spesso si tratta di forme latineggianti del registro alto, tuttavia, sono
rimaste intoccate dalla sincope: isola, tegola, ecc. Però, in alcuni casi, cioè in ambiti popolari,
la sincope si è realizzata tuttavia: tegola > popol. tegghia. Analogamente si è formato il
toponimo Ischia < *iscla < *isla < insula.
Dobbiamo tenere presente che la caduta della vocale mediana è la regola nelle regioni
settenrionali (Emilia-Romagna), ma che – eccezione fatta dalle sincopi comuni italiane e
romanze – nei dialetti meridionali la vocale mediana si mantiene nella maggioranza dei casi,
ad es. persica > tosc. pesca / calabr. pérsica, pulicem > tosc. pulce / calabr. púlice.
50
G. Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, «Fonetica», Torino, Einaudi, 1966.
Rohlfs 1966, § 136.
52
Rohlfs 1966, § 138.
51
73
c.
Le vocali e ed i atone di sillaba finale in Italia centrale53: Napoli, Amalfi e Pozzuoli
Nel toscano le vocali finali rimangono di norma conservate. Però, le vocali atoni ē, ĕ ed ĭ in
posizione finale si unificano nella vocale -e, laddove la -ī persiste. Meraviglia dunque che in
alcuni casi in cui aspettiamo una -e, abbiamo nella lingua odierna una -i, dove nell‟antico
italiano c‟era ancora una -e. Il caso si presenta tra l‟altro in parole come avanti, davanti, dieci,
dodici, fuori, forsi, quasi, quinci, quindi, ogni, oggi, domani, tardi, lungi, anzi, altrimenti,
parimenti.
D‟Ovidio54 spiega alcuni casi con il fenomeno di analogia, cioè la grammaticalizzazione di
una specie di „i avverbiale‟: la i finale di oggi e domani proverrebbe dalla i finale di ieri. Lo
stesso vale per la i finale in dieci che deriverebbe dalla i finale di venti. In altri casi si
tratterebbe di una tendenza latineggiante, ad es. in quasi ed ivi.
In ogni caso sembra anche più difficile determinare l‟origine della i finale in alcuni toponimi.
Qualche volta la i finale si spiega etimologicamente, ad es. in Assisi < Assisium, Brindisi <
Brundisium. Può inoltre essere presente una tendenza all‟analogia. Spesso, infine, bisogna
considerare i casi a sé stanti facendo ricorso ai tratti regionali o dialettali. Nel caso di Napoli,
Pozzuoli, Amalfi, bisogna infine tenere conto del fatto che la -i finale è presente nel toponimo
ufficiale ma non necessariamente nella sua versione dialettale: Napoli < ant. napol. Napole,
Amalfi < ant. napol. Amarfe, Pozzuoli < ant. napol. Pezzulo.
53
Rohlfs 1966, § 142.
Citato in: Rohlfs 1966, § 150. Francesco D‟Ovidio nacque a Campobasso in 1849. Dopo i suoi studi a Pisa
insegna rispettivamente a Bologna – dove conobbe la sua moglie Maria Bertolini – a Milano, a Roma e infine
all‟Università di Napoli dove occupò per 50 anni la cattedra di “Storia comparata delle lingue e letterature
neolatine e letteratura dantesca”. Anche una cecità parziale non potè ostacolare i suoi studi. D‟Ovidio è autore in
particolare di apprezzabili contributi agli studi danteschi: Studi sulla Divina Commedia (Milano, 1901), Nuovi
studi danteschi (Milano, 1906-7, 2 vol.), Versificazione italiana e arte poetica medioevale (Milano, 1910). Morì
a 1925. (C.H. Grangent, «D‟Ovidio Francesco», in: Italica, vol. 9, n°3, (sett. 1932), pp. 69-70; R. Attrocchi,
«Commemoration of D‟Ovidio», in: Italica, vol. 3, n°1, (febb. 1926), pp. 18-19).
54
74
5.1.3.2 Consonantismo
Consonante più u in iato55: Sessa Aurunca, Sessa Cilento
a.
Secondo l‟evoluzione normale latino > romanzo, la vocale i in iato provoca l‟allongamento
della consonante che precede. Allo stesso modo anche la u in posizione postonica causa
l‟allungamente della consonante precedente. Tuttavia la u non provoca la velarizzazione della
consonante precente come la i ne causa la palatalizzazione. La u in iato rimane conservata o si
perde nell‟assimilazione (si confonde allora con la consonante precedente): cfr. nel toscano
acqua, tacqui, nacqui in opposizione a ebbi > habui, tenni, venni, volli, ecc. Per l‟Italia
meridionale possiamo citare tra l‟altro sappi < sapui, appi „ebbi‟ < habui (tutti e due
calabrese).
Nel caso in cui u segua una doppia consonante o un gruppo consonantico, essa sparisce senza
lasciare alcuna traccia: cfr. mortus > morto, battuo > batto. Lo stesso vale quando la u segue
una s: posi < posui.
La u s‟indebolisce anche quando precede una vocale accentata come accade nel toponimo
meridionale Suessa > Sessa: cfr. in Campania Sessa Aurunca e Sessa Cilento.
b.
Metatesi di r56: Capri e San Francato
Un caso tipico di metatesi di r avviene quando questa, preceduta da una consonante nella
seconda sillaba, si sposta in avanti e si si agglutina al gruppo consonantico iniziale. Questo
fenomeno occorre raramente nella letteratura, ma è invece presente nei dialetti: cfr. in
napoletano vritə „vetro‟, Krapə „Capri‟; in lucano e in campano attrufu „ottobre‟; cfr. anche il
nome della località Campana San Francato (nella provincia di Salerno) che deriva
dall‟agionimo Pancratius. Frequentissime nei dialetti meridionali sono le forme crapa
„capra‟, preta „petra‟, freve „febbre‟, frábbica „fabbrica‟, frivaru „febbraio‟. Anche se la r è
situata nella terza sillaba può risalire fino alla prima sillaba: cfr. calabr. frinesta < finestra.
Può anche avvenire che la r in posizione preconsonantica si metta insieme con la consonante
della sillaba precedente: cfr. napol. frèmma „ferma‟, tromiento „tormento‟. Meno frequente
sono i casi in cui la r che segue la consonante iniziale, si mette davanti alla consonante
55
56
Rohlfs 1966, § 293.
Rohlfs 1966, § 322.
75
seguente: cfr. calabr. e sicil. purpaina „propaggine‟. Del tutto raro è il caso in cui tale r avanza
nella parola per occupare la seguente posizione postconsonantica: cfr. ant. padov. pàtriga
„pratica‟. Più numerosi sono i casi in cui la r cambia la posizione postconsonantica per quella
preconsonantica: cfr. calabr. fernesta „finestra‟. Più insolito è il caso opposto, cioè quando la r
cambia la posizione preconsonantica per quella postconsonantica: cfr. ant. napol. vavra
„barba‟, sevra „serva‟, evra „erba‟.
c.
Discrezione e concrezione57 dell’articolo58: Acerra, Atripalda e Afragola
La discrezione dell‟articolo riguarda i casi nei quali la l iniziale di una parole viene
interpretata erratamente come un articolo che si sarebbe agglutinato alla parola: cfr. nella
lingua letteraria usignolo < lusignolo < lat. lusciniolus; friul. uśérta < lucerta „lucertola‟;
calabr. merid. niddí < lunedí.
In altri casi una a all‟inizio di parola viene attribuita all‟articolo femminile la: cfr. nella lingua
letteraria la rena, la badessa, la pecchia, la ragna e la sugna derivano rispettivamente dalle
forme l’arena, l’abadessa, l’apecchia, l’aragna e l’assugna. Frequentissime nell‟Italia
meridionale sono le forme la recchia per l’arecchia „l‟orecchio‟ e la liva per l’aliva „l‟oliva‟.
Per la toponomastica campana citiamo la Cerra, nel dialetto napoletano a Cerra (cfr. la
Strada della Cerra a Napoli) dal toponimo Acerra (nella provincia di Napoli) < Acerra, nello
stesso modo sono formate la Tripalda < Atripalda (nella provincia di Avellino), e la Fragola
< Afragola (nella provincia di Napoli), attestate negli scrittori dell‟Italia meridionale.
Analogamente anche una n iniziale può essere attribuita ad un articolo indeterminativo: cfr.
una narancia > un‟arancia.
Non di rado il fenomeno della discrezione dell‟articolo provoca la confusione del genere
come nel sostantivo maschile l’orígano compare all‟isola d‟Ischia come la régana
„maggiorana‟.
57
Discrezione o deglutinazione: « (ling.) Perdita del suono iniziale di una parola, perché sentito come articolo o
preposizione (ad. es. usignolo, da lusignolo) ». (Zingarelli)
Concrezione o agglutinazione: « (ling.) Procedimento di formazione di parole tramite semplice giustapposizione
di elementi diversi ». (Zingarelli)
58
Rohlfs 1966, § 342.
76
5.2 Caratteristiche specifiche dell’area campana
5.2.1 Morfologia59
a.
Il tipo le corpora60: Pratola Serra
I neutri della terza declinazione latina uscenti in -s, avevano il plurale in -ora
(corpus/corpora). Nel IV-V secolo questo modo di volgere al plurale si è generalizzato, per
analogia, in varie regioni, e soprattutto Lombardia e Campania. Vengono formate secondo
questo tipo moltissime parole, anche di origine germanica, ad es. burgora, waldora,
morgincapora ecc. Però, poco a poco le forme in -ora sono coinvolte nella formazione dei
plurali femminili e, in alcuni documenti sono attestate forme in -ora a cui viene anche
aggiunto la -s del plurale femminile. La forma plurale in -ora viene allora interpretata come
un femminile singolare (neutr. campus/campora > femm. campora/camporas).
Si osserva la sopravvivenza del suffisso -ora soprattutto nel Mezzogiorno (Abruzzo, la
Campania rurale, la Lucania orientale e la Puglia da Foggia a Taranto). Per la Campania
possiamo citare forme dialettali quali ad es. pərtósərə „buchi‟ (Meta), prátura (Acerno), ákora
(Cilento), piáttərə (Monte di Procida), détərə (ibid.), denókkiərə „ginocchia‟ (ibid.), cfr. ant.
napol. lenguaiora „linguaggi‟. Dappertutto si usa l‟articolo femminile.
Tra l‟altro in Campania il suffisso -ora è passato a -ola per causa di dissimilazione61. Questo
fenomeno si è poi generalizzato in toponimi meridionali come il frequentissimo Pratola, ad
es. Pratola Serra (Campania, nella provincia di Avellino) < pratora, cfr. nel dialetto
napoletano òrtola, trònola „tuoni‟, vécole „vicoli‟, ecc.
59
G. Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, «Morfologia», Torino, Einaudi, 1968.
Rohlfs 1968, § 370.
61
Dissimilazione: « (ling.) Processo per il quale due suoni identici o simili, trovandosi a contatto o a breve
distanza, tendono a differenziarsi (ad es., dal lat. venenum si ha l'italiano veleno, con dissimilazione di -n-/-n- in
-l-/-n-)». (Zingarelli)
60
77
5.2.2 Fonetica62
5.2.2.1 Vocalismo
a.
Dittongazione condizionata di ę nell’Italia meridionale63: Surriento ‘Sorrento’ e
Salierno ‘Salerno’
Se la ę64 si conserva nell‟estremo sud dell‟Italia (Calabria) e in Sicilia (dove si dice pętra
„pietra‟, mięli „miele‟, pędi „piedi‟, ecc.) essa si dittonga nel resto dell‟Italia meridionale, ma
soltanto in determinate condizioni. Generalmente, nel caso di una -e o una -a finali (oppure
nella sillaba seguente) la ę si conserva, però se una -i o una -u occorrono in posizione finale
(oppure nella sillaba seguente) la ę si metafonizza e si trasforma in ẹ o nel dittongo ie. Non
importa si la ę si trovi in sillaba chiusa o libera (il che condiziona la sua dittongazione nel
passaggio dal latino all‟italiano). La dittongazione caratterizza tra l‟altro il dialetto napoletano
in cui si dice Surriento e Salierno invece di Sorrento e Salerno. Già i testi che risalgono al
Medioevo, attestano questa dittongazione condizionata: cfr. ant. napol. dienti, fierro, castiello,
ecc.
In alcune altre zone (Ausonia, Sora, ambedue in Lazio) la ę si metafonizza e passa ad ẹ, ad es.
cẹlə „cielo‟. Alcuni linguisti tendono a credere che prima del passaggio di ę in ẹ ci sarebbe
statto il passo intermedio della dittongazione di ę in ie. La ẹ sarebbe allora una specie di
riduzione del dittongo ie. Altri rifiutano completamente quest‟ipotesi, e considerano la ẹ come
il risultato diretto della ę. Questa sembra l‟ipotesi più valida, visto l‟assenza completa di
attestazioni del dittongo ie come grado intermedio tra ę e ẹ nell‟Italia meridionale.
b.
Casi particolari dello sviluppo di o in Italia meridionale65: Pezzulo ‘Pozzuoli’
Una o che precede nei dialetti toscani il nesso consonantico nt è di norma una ọ chiusa (pọnte,
fọnte, frọnte, mọntem), anche quando nella radice latina la ŏ era breve (lat. pŏntem, fŏntem v.
frōntem, mōntem). I dialetti italiani meridionali, però, conservano la distinzione quantitativa
62
G. Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, «Fonetica», Torino, Einaudi, 1966.
Rohlfs 1966, § 101.
64
Il suono ę corrisponde ad una e aperta ed atona.
65
Rohlfs 1966, § 126.
63
78
del latino, cioè la distinzione tra ŏ breve e ō lunga che risulta in ponti, fonti ma frunti, munti
(cfr. nel napoletano fontə (pl. fuontə) v. frọntə (pl. fruntə).
L‟italiano lungo che continua il latino *lōngus, si contradistingue secondo la stessa regola dal
meridionale luongo (napoletano), luongu (calabrese) e lengu (leccese) che continuano il latino
lŏngus.
Il suffisso latino -íolus, in italiano risulta in una o aperta o in una ọ chiusa. Questo fenomeno
si spiega dal fatto che prima del periodo in cui nell‟Italia meridionale si faceva la distinzione
tra quantità lunga e quantità breve -íŏlus dava luogo a -iōlus. Una volta perso l‟antico
rapporto di quantità -íŏlus dà soltanto origine a -iŏlus.
Il -iōlus napoletano risale dal periodo in cui non era ancora perso l‟antico rapporto di quantità:
fugliulo, fasulo, agliarulo „orzaiuolo‟, lenzulo, cetrulo, rasulo. Anche l‟antico nome di
„Pozzuoli‟ ne fa prova: Pezzulo. Anche il dialetto salentino continua la varietà anteriore:
figghiulu, favarulu/falauru „baco di fagiolo‟ < *fabareolus, pasulu „fagiuolo‟, majulu <
malleolus, rešigghiullu „orzaiuolo‟, ecc. Nel resto del territorio meridionale la o di –iŏlus è
breve (cfr. calabr. sicil. figghiolu).
5.2.2.2 Consonantismo
b iniziale66: Santo Vendetto, San Venditto, Barano d’Ischia e Benevento
a.
Nell‟Italia settentrionale la b iniziale rimane conservata, ad es. il toscano bagno, bocca e il
milanese bagn, bev „bere‟. Però in gran parte del Mezzogiorno la b iniziale passa a v-.
Possiamo confinare questa zona come l‟area al sud della linea Roma-Ancona, salvo la metà
meridionale della Calabria e l‟Abruzzo. Alcune tracce di tale passaggio sono da ritrovare nel
dialetto napoletano contemporaneo, ad es. valanza, varva, vàttere, vescuotto, vévere „bere‟,
vocca, vúfaro „bufalo‟ così come nella toponomastica campana: dal nome di San Benedetto
derivano i toponimi Santo Vendetto e San Venditto (nella provincia di Caserta). Nella parte
meridionale della Calabria troviamo bb dove nel resto del Mezzogiorno si presenta una v-, ad
es. bbarca, bbagnu, bbarba. Però, alle volte bb si trova anche nelle altre zone del sud, come
nel napoletano: bbannèra „bandiera‟, bbannito „bandito‟, talora bb viene appoggiata dalla
vocale a, cfr. napol. abbalestriere „balestriero‟, abbasca „affanno‟. Va osservato che le parole
66
Rohlfs 1966, § 150.
79
che fanno eccezione alla norma appartengono quasi tutti al registro alto letterario. Inoltre,
parole generiche come buono, bene e bello presentano bb dappertutto nel Mezzogiorno: cfr.
napol. bbuono, bbène, bbiello. Certe parole napoletane che oggi iniziano con bb, presentavano
prima una v-, come bbarba, che prima era varva, il che significa oggi „mento‟.
Una b- semplice non esiste nei dialetti meridionali. Solo il dialetto lucano presenta in alcuni
casi il consonante bilabiale β, ad es. βin „vino‟, βáreβe „barba‟. In altre aree il suono labiale si
annulla completamente.
Nel napoletano, come nel calabrese, certe parole possono provocare il rafforzamento del
consonante iniziale, cfr. salern. vífaru ma tre bbífari „tre agnelli tardivi‟; napol. Varanə
„Barano (d‟Ischia)‟ (nella provincia di Napoli) ma a Bbaranə. Lo stesso fenomeno da luogo a
ipercorrettismi nel dialetto salentino, ad es. nu bbarde „non arde‟. Anche nel salentino la b
può passare ad m, come in Minijentu „Benevento‟.
b.
j iniziale67: Gioi
La j iniziale si è evoluta nelle lingue romanze nello stesso modo della g seguita da una vocale
chiara. Tenendo conto del suo sviluppo caotico, mi limito qui a riassumere la situazione
dell‟Italia meridionale68.
Nel Mezzogiorno (a sud della linea Roma-Ancona) si continua generalmente l‟antica forma j,
cfr. napolet. Jácovo, jocà, jódəćə, jonta, ecc. Soltanto il salentino, i dialetti della Campania
oriëntale e, in minor misura, anche il calabrese settentrionale, presentano il grado assordito š,
che trae origine in una τ anteriore: šuogghiu „gioglio‟, šíšəvə „gioggiola‟ < *jijula. Le parole
che appartengono ai dialetti meridionali, ma in cui appare nondimeno il suono ģ provengono
di norma della lingua letteraria, ad es. nel napoletano giubelo, giesuito, giacunno „giocondo‟,
Giacchino „Gioacchino‟. Come b, anche j si raddoppia dopo certe parole, cfr. napol. va a
ģ´ģ´oka, tre ģ´ģ´èngə „tre giovenche‟.
Un caso particolare costituiscono i prestiti dal francese. Nell‟Italia settentrionale la j francese
viene uguagliata alla j latina. Nel Mezzogiorno la j francese viene di regola sostituita dalla ģ
67
Rohlfs 1966, § 158.
Nella zona interna della Sardegna la g persiste; nel Cantone dei Grigioni e nella Valtellina j passa all‟affricata
mediopalatale `ģ, laddove g passa a ž; nell‟Italia centrale g risulta in ž, ģ (=dž) o ź (= dś).
68
80
non indigena69, come nel toponimo campano Gioi (nella provincia di Salerno) che deriva
dall‟antico provenzale joi, il che viene attestato dal suo antico nome napoletano Joi.
c.
-d- intervocalica70: Pròceta ‘Procida’
Di solito la d intervocalica del latino rimane conservata nella lingua letteraria: cfr. piede,
nudo, nodo, ecc., eccezionalmente è andata persa, come nelle parole latine uscenti in -de che
hanno subite l‟apocope: cfr. fé, mercé, piè, prò. Lo stesso vale per i sostantivi latini uscenti in
-ade/-ate, ad es. bontà, città.
Nei dialetti settenrionali la d si perde, soprattutto nell‟area occidentale (padov. coa, creere,
veere). Solo rade volte d passa ad r (coresto „codesto‟) o viene sostituita da un suono
transitorio (cova „coda‟).
Nell‟Italia meridionale (per la Campania soltanto la parte settentrionale) la d latina cede di
frequente il posto alla fricativa interdentale δ, ad es. il siciliano niδu, suδari. In Campania δ si
evolve spesso ad r, cfr. napol. pèrə, cura, niru, rúrici „dodici‟. Nella zona settentrionale della
Campania la d si assordisce in vari casi: cfr. a Sora (nella provincia di Caserta) pètə, nitə,
ràtəca, lòtəla, mətólla. Soprattutto i proparossitoni sono sensibili all‟assordimento: cfr. napol.
límpeto, líqueto, gravéto. Lo stesso è avvenuto per il toponimo Procida > Pròceta (Campania,
nella provincia di Napoli).
Altri sviluppi della d intervocalica in Campania sono: d > l ad Ischia e Procida: cfr. pélə
„piede‟; la caduta di d nel antico napoletano: cfr. creo, veo; la sostituzione della d
intervocalica da un suono di transizione nel napoletano: cfr. nijə/nivə „nido‟, vave „vado‟.
d.
-f- intervocalica71: Alife, Carife, Sorifa, Tifata e Ufita
In latino la f non si trovava mai in posizione intervocalica, fatta eccezione per le parole
prefissate: cfr. re-formare, pro-fanus; per le parole di origine greca: cfr. raphanus, typhus,
Stephanus; e per le parole che derivano dal dialetto osco-umbro: cfr. scrofa, bufalus. In queste
parole la f intervocalica ha persistito.
69
A eccezione di ć in ciardino (napol.) < giardin.
Rohlfs 1966, § 216.
71
Rohlfs 1966, § 219.
70
81
Nei dialetti settentrionali la f passa a v, in conformità colla regola: cfr. le forme settentrionali
Stèva (lig.), Stèvu (piem.), Stèven (lomb.). Non di rado, in vicinanza di o e u, v si perde, ad es.
milan. beólk „bifolco‟, venez. biolco.
Nell‟Italia meridionale la f intervocalica rimane conservata, ad es. tavanu, tavanə < lat.
tafanu. Di parecchie delle parole sopraelencate si suppone un‟origine osco-umbra: scrofa,
bufalo, tafano, bifolco. Verosimilmente la f intervocalica sarebbe provocata dalla
dissimilazione, come nel campano bufə „gufo‟. Anche per il napoletano cafónə „cavità‟ e per
il campano tufa/tófa „corno a conchiglia dei pastori‟ si presume una provenienza osca.
C‟è da considerare anche l‟origine osca della f intervocalica in vari nomi geografici dell‟Italia
centro-meridionale: cfr. Tifata (l‟antico nome per il Monte Tifata in Campania), Alife, Carife,
Sorifa, Ufita (fiume campano, presso Benevento).
e.
Il nesso cl e tl in posizione interna72: Forchia ed Ischia
Già nel latino volgare il nesso consonantico tl si confonde con cl, ad es. vet(u)lu > veclu. Il
nesso sl si conduce analogamente e risulta in scl, ad es. *is(u)la > iscla. In posizione interna il
nesso cl si converte in kki un po‟ dappertutto in Italia: cfr. napoletano. uocchio, arecchia,
denucchio „ginocchio‟, viecchio salvo nell‟Italia settentrionale dove il nesso cl si è sviluppato
in modo diverso, il che non tratterò qui.
Non di rado si osserva nel toscano e nell‟italiano standard il suono ł invece di kki: cfr.
coniglio, bottiglia, miraglio, ecc. il che presume un‟influenza francese o italiana meridionale.
Ogni tanto queste parole sono entrate nei dialetti meridonali mediante la lingua letteraria: cfr.
calabr. cunigliu, buttiglia.
Se il nesso cl è preceduto da una consonante, passa a ć nell‟Italia centrale e meridionale, ad
es. tosc. maschio, fischiare, teschio, cerchio. Lo stesso vale per i toponimi campani Forchia
(due volte, nella provincia di Benevento e nella provincia di Caserta) ed Ischia (*iscla <
insula).
Nel dialetto napoletano, però, così come in altri dialetti meridionali, ski passa di norma a šk:
cfr. calabr. mašcu, fišcare e napol. Išca „Ischia‟.
72
Rohlfs 1966, § 248.
82
Visto che nell‟Italia meridionale una consonante preceduta da una nasale si sonorizza, il nesso
ki (ć) passa allora a gi (ģ). Nel dialetto napoletano si ha dunque ngnostra (ñostra) „inchiostro‟,
cravugno „carbonchio‟, granógna „rana‟.
Il gruppo br73: Venafro, Solofra, Solofrone, Rofrano
f.
Nel toscano la b nel nesso br generalmente si raddoppia: cfr. labbro, febbre, febbraio. Però,
forme latineggianti come „libro‟ e „ventilabro‟ fanno eccezione. In altri casi l‟elemento
bilabiale si perde completamente: cfr. sen. liro „libro‟, tosc. popol. feraio „febbraio‟. Avviene
anche che nelle zone gallo-italiane il gruppo br passa a vr, ad es. lomb. fevré „febbraio‟ (cfr.
franc. février), venez. lavro „labro‟ (cfr. franc. lèvre) e ogni tanto si produce la metatesi di r:
cfr. venez. fravo „fabbro‟.
Nell‟Italia meridionale la b passa di regola a v, come nel napoletano varva „barba‟, vaso
„bacio‟ (vedere anche la parte sulla b iniziale). Di conseguenza anche il gruppo br è passato a
vr nel dialetto napoletano: cfr. lavro, frève (per metatesi da févre), fráveca (per metatesi da
fávreca), livra, ottovre, livro, ecc.
Un fenomeno tipicamente meridionale è la conservazione del gruppo fr che risale al oscoumbro: cfr. lifra „libra‟, come nel napoletano attufro/ottrufo „ottobre‟, o nella zona
meridionale della Campania (Cilento) attrufo. Lo stesso elemento osco-umbro ritroviamo
nella toponomastica di questa regione: cfr. Venafro, Solofra e Solofrone (nella provincia di
Avellino), Rofrano (nella provincia di Salerno).
Il nesso rb e lb74: Alfano
g.
I nessi rb e lb rimangono conservati nel Settentrione e nell‟Italia centrale, ad es. carbone,
acerbo, barba, sorba, erba, ecc. Spesso si incontrano delle ipercorrezioni (dovute al
passaggio in queste zone di rv a rb sotto l‟infuenza dell‟etrusco): cfr. mòrvido „morbido‟,
morviglione „morbiglione‟.
Nel Mezzogiorno rb (lb) passa di norma a rv (lv): cfr. campan. aciervo, cravone (per metatesi
da carvone), varva, erva, suorvo „sorba‟, árvolo „albero‟. Spesso nell‟Italia meridionale si
73
74
Rohlfs 1966, § 261.
Rohlfs 1966, § 262.
83
inserisce nel nesso rv una vocale anaptittica (per facilitare la pronuncia): cfr. ad Ischia sòrəvə
„sorba‟, èrəvə, cuórəvə; napol. várəva (per metatesi da vávəra), acierəvə (per metatesi da
aciérvərə).
Nella toponomastica meridionale si incontra spesso lf (rf) invece di lv (rv), ad es. Alfano
(Campania, nella provincia di Salerno). Questi toponimi hanno probabilmente conservato la f
italica (proveniente del sostrato osco-umbro) invece della b latina.
h.
Il gruppo sl75: Ischia
Di norma, si m, n, l o s formano un‟unità consonantica con una l o una r che le segue, queste
consonanti vengono separate da un suono di transizione (d o b), eccezione fatta dal gruppo sl,
quando si inserisce una k. Anche nel caso in cui una vocale si mantiene tra le consonanti, il
suono transitorio può occorrere: ant. ital. membrare < lat. memorare, insembre „insieme‟; cfr.
nel dialetto campano (San Donato Val Comino) cundra „culla‟ < lat. tard. cunula. Fanno
eccezione alcuni meridionalismi per quanto riguarda il gruppo sl: cfr. Ischia (Campania, nella
provincia di Napoli); campan. išca, ašca „scheggia di legno‟ (*ascla < assula), ecc.
i.
I nessi bi e vi76: Caggiano, Vico Triggio, Largo Triggio e Faibano
Nelle lingue romanze i nessi latini bi e vi hanno prodotto lo stesso esito, cioè l‟allungamento,
sotto l‟influenza della vocale in iato, della consonante che li precede e, in un secondo luogo,
provoca anche l‟assordimento di v > b.
Nel toscano, come nell‟antico italiano la vocale in iato rimane conservata: cfr. tosc. abbia <
habeat; ant. ital. debbia < debeat, gabbia < cavea, trebbio < trivium. Alcuni forme toscane
come aggia „abbia‟ e deggio „debbo‟ risalgono al latino volgare e derivano rispettivamente da
ajat e dejo.
Lo stesso è successo per i dialetti dell‟Italia settentrionale: cfr. ant. mil. abia, debia; lomb.
ģöbia; piem. Robbio < Retovium; Carrobbio (nella provincia di Mantova) < quadruvium;
Bebbio (Emilia) < Bivium; Trebbio (Lombardia) < trivium.
75
76
Rohlfs 1966, § 270.
Rohlfs 1966, § 274.
84
Invece, in aiba < habeat (ant. emil. e ant. lomb.) si osserva che la vocale in iato può formare
un‟unità colla vocale accentata: cfr. Gaiba (Veneto) < cavea.
Nelle zone occidentali dell‟Italia settentrionale (Liguria, Piemonte) il nesso bi si evolve
tramite j verso ģ: cfr. lat. jovia > ant. lig. zoja > lig. odierno źoģa.
Nel Mezzogiorno il nesso bi passa a ģģ; cfr. napol. aģģe < habeo; e nei toponimi meridionali:
cfr. Caggiano (Lucania) < Cavianum, Vico Triggio (nella provincia di Benevento) e Largo
Triggio (nella provincia di Avellino) < trivium; Faibano (nella provincia di Napoli) <
Fabianum col spostamento in avanti, cioè nella sillaba radicale, della vocale in iato. Nelle
regioni di Lazio e Abruzzo si hanno j: cfr. Trejo (Velletri) < trivium; ant. roman. haia „abbia‟,
raia „rabbia‟, ecc.
j.
I nessi ssi, psi, rsi77: Cassano
Nel caso in cui una consonante precede a si, questo nesso non provoca la sonorizzazione ma
dovrebbe risultare in š nell‟Italia centrale e settentrionale, e in ss nell‟Italia meridionale. In
Toscana si hanno le forme seguenti: prescia < *pressia, grascia < *grassia, rovesciare <
*reversiare, ecc. Nelle Marche incontriamo tra l‟altro ruššu/rušu < *russeu; cfr. umbr. ruššu,
laz. róššo/ruššu. Si osserva ad un medesimo tempo i toponimi Casciana (Toscana) <
Cassiana, Basciano (id.) < Bassianu, Marsciano (Umbria) < Marsius, Pasciano (id.) <
Passius.
Nel Mezzogiorno il verbo *bassiare „abbassare‟ presenta le forme vaššá (napoletano),
vasciare (calabrese), basciare (siciliano) così come gli aggettivi derivati vaššə (napoletano e
pugliese, vasciu (calabrese), vasciu/basciu (siciliano). Però il toponimo derivato dal latino
Cassianu compare in Campania sotto la forma Cassano (8 volte nell‟Italia meridionale). Ad
ogni modo, al momento della redazione della Grammatica di Rohlfs, era ancora una questione
aperta se il passaggio ssi > šš fosse di origine meridionale.
Inoltre, anche nell‟Italia settentrionale si osservano toponimi assumono certi tratti che si tende
ad attribuire piuttosto ai toponimi meridionali: cfr. Bassano (Lombardia e Veneto), Cassano
(Lombardia).
77
Rohlfs 1966, § 288.
85
k.
Il nesso ti fuori della Toscana78: Pozzuoli
Nel Settentrione il nesso latino ti passa da un lato ad una z sorda (ts): cfr. ant. venez. beleça
che si è sviluppata verso una s priva di occlusione: cfr. lomb. belezza (=belesa); dall‟altro si
ha nell‟Italia settentrionale una ž sonora: cfr. ant. lomb. rason, posone, ecc. Oggi, però, questo
suono non è di alta frequenza nei dialetti settentrionale: cfr. milan. stažõ, ražõ.
Nel Mezzogiorno il nesso ti risulta di norma in zz (tts): cfr. calabr. chiazza „piazza‟, spazzu,
stazzu, ecc. Analogamente possiamo citare il toponimo campano Pozzuoli (nella provincia di
Napoli) < Puteoli. Nondimeno nei dialetti meridionali ci sono delle parole in cui compare il
suono ž, tratto allora dal toscano ma che nel Mezzogiorno passa di norma al suono ģ (o ģģ) o
š: cfr. calabr. stagiune; napolet. stašonə. Altre volte si presenta nell‟Italia meridionale una ź
sonora (invece di una z (ts) toscana), in questi casi si tratta quasi sempre di parole
latineggianti: cfr. calabr. serviźiu, preźiusu, ecc.
78
Rohlfs 1966, § 290.
86
6.
Conclusione
Dalle pagine precedenti traspare come la storia turbolenta dell‟area campana abbia lasciato la
sua impronta nella toponomastica. Le terre vulcaniche, e dunque molto fertili, hanno sempre
esercitato una forte attrazione su vari popoli. Inoltre, vista la sua posizione intermedia tra
l‟Italia centrale e l‟Italia meridionale, la Campania ha ospitato popoli provenienti del Sud così
come popoli di origine settentrionale: Etruschi, Greci, Sanniti, Romani, Visigoti, Slavi,
Longobardi, Spagnoli, Francesi, Giudei, ecc. Questo susseguirsi di migrazioni, invasioni e
colonizzazioni durante un periodo di più di tremila anni hanno prodotto la diversità che
caratterizza ora la toponomastica campana.
Benché sia soprattutto la lingua latina ad aver marcato i toponimi della Campania, anche
diversi altri strati linguistici hanno contribuito alla policromia della toponomastica campana.
Così, dal punto di vista storico-linguistico fu molto significativo l‟apporto osco, che sembra di
aver marcato la toponomastica campana più che gli altri strati, come ci confermano i testi
degli autori classici. L‟influsso osco sulla toponomastica campana non meraviglia visto che
l‟osco è stato l‟unica lingua – eccezione fatta per il latino – ad essere parlata in tutta l‟area
dell‟odierna Campania durante un periodo abbastanza lungo. Le altre lingue che hanno fatto
sentire il proprio influsso sulla formazione dei toponimi campani sono andate offuscate
relativamente presto da altri strati linguistici e nessuna di loro (salvo il latino e l‟osco) ha
potuto imporsi profondamente su l‟intero territorio della Campania attuale.
Non va tuttavia sottovalutata l‟importanza della lingua greca nella formazione del lessico
toponimico campano. Tuttavia, mentre l‟elemento osco sia presente in tutta la regione, quello
greco ricopre interessava soltanto l‟area costiera al sud di Napoli, ad inclusione delle isole.
Ciononostante i toponimi di origine greca sono più facilmente riconoscibili mentre l‟apporto
osco in alcuni toponimi è meno trasparente. Inoltre, non è senza importanza il fatto che il
latino e l‟osco appartengano alla stessa famiglia e si differenzino fondamentalmente dal greco,
con cui hanno una parentela meno stretta. Ancora, l‟apporto osco e più spesso di tipo fonetico
mentre l‟influsso greco è stato fondamentalmente lessicale. Dunque, in un certo senso, si
potrebbe dire che, per quanto riguarda la toponomastica campana, il sostrato osco conosce
una portata maggiore di quello del greco, ma che, d‟altro canto, il contributo greco al lessico
in generale è stato più imponente.
Quando esaminiamo le tracce individuate da Rohlfs, dobbiamo costatare che la toponomastica
campana - nonostante la sua posizione centro- meridionale, e anche tenendo conto del fatto
che già in epoca antica la Campania gravitava nell‟area del Lazio, con il quale fu unita fin dal
87
periodo augusteo - si collega sostanzialmente con quella degli altri dialetti del Mezzogiorno.
Probabilmente è stata Napoli - la forza più o meno unificante dei dialetti campani – ad aver
indotto la regione linguisticamente verso il Sud. L‟elemento condiviso da Napoli e l‟Italia
meridionale è sempre stato l‟elemento greco (Napoli essendo la città più settentrionale della
Magna Graecia).
Va tenuta presente, però, anche la presenza di un sostrato indeuropeo, che è alla base di gran
parte dei limno-, oro- ed idronimi, ma di cui le nostre conoscenze, che poggiano soltanto su
ricostruzioni fonetiche, rimangono abbastanza limitate, come ho già sottolineato più di una
volta.
Va osservato anche che i toponimi, in tanto elementi relativamente stabili della lingua,
possono anche sparire in favore di un‟altro nome (il che succede non di rado con i nomi delle
strade). Così vanno spesso perse informazioni di rilevanza storica (spesso i toponimi sono le
testimonianze della presenza di una popolazione), linguistica (toponimi in cui rimangono
conservati alcuni arcaismi lessicali) e culturale (toponimi che espongono certi costumi e
credenze popolari). La toponomastica rimane dunque un campo per fondamentali
esplorazioni.
88
ALLEGATI
89
Carta I1
1
Carta delle «Popolazioni e Centri principali dell‟Italia antica», tratta da: A.L. Prosdocimi, Lingue e Dialetti
dell’Italia antica, Roma, Biblioteca di Storia Patria, 1978, p.12.
90
Carta II2
2
Carta delle «Lingue dell‟Italia antica», tratta da: A.L. Prosdocimi, Lingue e Dialetti dell’Italia antica, Roma,
Biblioteca di Storia Patria, 1978, p.13.
91
Bibliografia
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92
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Firmin-Didot et Cte, libraires, 1877.
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