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osservazioni sulla toponomastica dell`area campana
OSSERVAZIONI SULLA TOPONOMASTICA DELL’AREA CAMPANA 1 Università Statale Gent Facoltà di Lettere e Filosofia Schaubroeck Stijn Master francese-italiano OSSERVAZIONI SULLA TOPONOMASTICA DELL’AREA CAMPANA Direttrice di tesi: Prof.ssa Dr. C. Crocco 2008 2 Ringraziamenti Sinceri ringraziamenti alla Prof.ssa Dr. C. Crocco per la sua direzione, le sue correzioni e in particolare per la sua pazienza. 3 Indice Ringraziamenti p. 3 Indice p. 4 Premessa p. 7 PARTE PRIMA p. 9 0. Introduzione p. 9 1. I sostrati p. 11 1.1 Il sostrato preindeuropeo p. 11 1.2 Le migrazioni nella penisola italica e il loro influsso sulla toponomastica p. 12 2 Toponimi di origine latina p. 15 2.1 Latinizzazione della penisola p. 15 2.2 I registri dei toponimi latini p. 16 2.3 I suffissi latini p. 16 2.4 Gli arcaismi p. 18 3 I superstati p. 20 3.1 Le invasioni barbariche p. 20 3.2 I toponimi postlatini p. 21 4 Geonomastica: idronimi, limnonimi e oronimi p. 23 5 Toponomastica medievale p. 26 5.1 Toponomastica sacra o agiotoponomastica p. 26 5.2 Toponomastica urbana e stradale p. 30 4 PARTE SECONDA p. 32 1. Panoramica storica della Campania p. 33 2. Toponomastica campana p. 38 2.1 Le tante origini della toponomastica campana p. 38 2.2 Toponomastica antica p. 39 2.2.1 L‟osco p. 39 2.2.1.1 I Sanniti p. 40 2.2.1.2 La lingua osca p. 41 2.2.2 Naturalis Historia p. 44 2.2.3 Altri autori p. 57 2.2.4 Conclusione p. 58 3. Lessico campano p. 60 4. Il dialetto campano p. 62 4.1 Tratti tipici dei dialetti campani p. 62 4.1.1 Metafonesi napoletana: dittongazione e chiusura p. 63 4.1.2 Rafforzamento sintattico p. 64 4.1.3 Variazione consonantica p. 65 4.1.4 Il rafforzamento sintattico: marca del femminile plurale p. 66 4.1.5 La conservazione del genere neutro p. 66 5. Alcune particolarità della toponomastica Campana p. 68 5.1 Tratti panitaliani p. 69 5.1.1 5.1.2 5.1.3 Sintassi e formazione delle parole p. 69 a. L‟obliquo privo di preposizione: Monteleone e Pontelandolfo p. 69 b. Il suffisso -one: Castiglione p. 70 Morfologia p. 71 a. Ablativo o accusativo: Pozzuoli, Pompei e Capri p. 71 b. Resti del locativo: Amalfi p. 71 c. Modificazioni fonetiche dell‟uscita del tema: Baselice p. 72 Fonetica p. 73 5 5.1.3.1 Vocalismo p. 73 a. Io ed ea protonici: Napoli p. 73 b. Caduta della vocale mediana nei proparossitoni: Ischia p. 73 c. Le vocali e ed i atone di sillaba finale in Italia centrale: Napoli, Amalfi e Pozzuoli p. 74 5.1.3.2 Consonantismo p. 75 a. Consonante più u in iato: Sessa Aurunca, Sessa Cilento p. 75 b. Metatesi di r: Capri e San Francato p. 75 c. Discrezione e concrezione dell‟articolo: Acerra, Atripalda e Afragola p. 76 5.2 Caratteristiche specifiche dell‟area campana p. 77 5.2.1 Morfologia p. 77 a. 5.2.2 Il tipo le corpora: Pratola Serra p. 77 Fonetica p. 78 5.2.2.1 a. Vocalismo p. 78 Dittongazione condizionata di ę nell‟Italia meridionale: Surriento „Sorrento‟ e Salierno „Salerno‟ p. 78 b. 5.2.2.2 Casi particolari dello sviluppo di o in Italia meridionale: Pezzulo „Pozzuoli‟ p. 78 Consonantismo p. 79 a. b iniziale: Santo Vendetto, San Venditto, Barano d’Ischia e Benevento p. 79 b. j iniziale: Gioi p. 80 c. -d- intervocalica: Pròceta „Procida‟ p. 81 d. -f- intervocalica: Alife, Carife, Sorifa, Tifata e Ufita p. 81 e. Il nesso cl e tl in posizione interna: Forchia ed Ischia p. 82 f. Il gruppo br: Venafro, Solofra, Solofrone, Rofrano p. 83 g. Il nesso rb e lb: Alfano (Rohlfs 1966, § 262) p. 83 h. Il gruppo sl: Ischia p. 84 i. I nessi bi e vi: Caggiano, Vico Triggio, Largo Triggio e Faibano p. 84 j. I nessi ssi, psi, rsi: Cassano p. 85 k. Il nesso ti fuori della Toscana: Pozzuoli p. 86 6. Conclusione p. 87 ALLEGATI p. 89 Bibliografia p. 92 6 Premessa Nel contesto degli studi linguistici, soprattutto diacronici, la toponomastica occupa una posizione particolare: a lungo, infatti, non ne è stata riconosciuto adeguatamente l‟utilità. Nel corso del XIX secolo i linguisti comparativi si resero conto del fatto che c‟erano delle forti somiglianze tra le diverse lingue europee ed asiatiche. Essi supposero, pertanto, l‟esistenza di un‟unica lingua alla base di tutte quelle che erano oggetto di studio. Tale lingua archetipa fu denominata indeuropeo. Tuttavia, mancando tracce dirette di questa lingua, la linguistica comparativa dovette servirsi principalmente di forme ricostruite e non attestate, soprattutto a livello dello studio della fonetica. Per quanto riguarda il lessico, i linguisti fecero ricorso alla comparazione di alcuni tra gli elementi linguisticamente più stabili, cioè nomi di piante e di animali, i nomi che si riferiscono alla geografia, e soprattutto i toponimi e gli antroponimi. Così, attraverso gli studi di indeuropeistica, gli studi toponomastici hanno assunto per la prima volta un notevole rilievo. Nella prima parte di questa tesi, parlerò della toponomastica italiana in generale. Va osservato che la toponomastica, pur facendo parte degli studi linguistici diacronici, intrattiene indispensabilmente rapporti con gli studi storico-culturali. Perciò una parte considerevole del lavoro consisterà di una rassegna generale della storia del mondo romano ed in particolare della Campania. Dopo aver presentato una panoramica delle varie invasioni, migrazioni e colonizzazioni in Europa e nella penisola italica, tratterò nei primi capitoli la compagine degli strati che precedono il latino (i sostrati), di quelli che sono coesistiti con il latino (gli adstrati) e quelli che si sono sovrapposti al latino (i superstrati). Per ovvie ragioni mi soffermerò più a lungo sullo strato latino. Per quanto riguarda la toponomastica latina, un intero capitolo è stato dedicato ai vari registri, agli arcaismi e alla suffissazione. Sempre nella prima parte prenderò in esame i vari componenti della toponomastica italiana: la geotoponomastica (che tratta i limnonimi o i nomi dei laghi, gli idronimi o i nomi dei corsi d‟acqua e gli oronimi o i nomi delle montagne), l‟agiotoponomastica o toponomastica sacra, la toponomastica stradale (ed urbana), ecc. Nella seconda parte seguirò lo stesso procedimento (migrazioni > sostrati > toponimi), applicandolo però specificamente alla toponomastica dell‟area campana. 7 Tratterò poi in maggiore dettaglio la toponomastica antica, cercando di spiegare alcuni tratti toponomastici meno trasparenti (i.e. che non provengono dello strato latino) esemplificandoli con i toponimi campani presenti nella Naturalis Historia di Plinio il Vecchio. Metterò poi a confronto le particolarità di derivazione dialettale dell‟area campana con alcune irregolarità (dal punto di vista dell‟evoluzione latino > italiano) presenti nella toponomastica campana. Vorrei ancora sottolineare che, sulla toponomastica del Mezzogiorno d‟Italia e sulla toponomastica campana in particolare, le fonti sono piuttosto scarse. Al contrario abbondano gli studi sulla toponomastica dell‟Italia settentrionale. In conseguenza ho dovuto servirmi di opere che trattano la toponomastica in modo generale. Cionondimeno ho cercato di distillare il maggior numero di elementi applicabile anche alla toponomastica campana. Così, nelle esemplificazioni, ho sempre avvantaggiato i toponimi campani e, nei casi in cui il testo non proponeva un toponimo campano, ho citato nei limiti del possibile un toponimo di un‟area geograficamente vicina. Vorrei sottolineare, infine, che lo scopo di questo lavoro non era di descrivere in modo esauriente la toponomastica campana, quanto piuttosto di presentare un‟analisi-campione sufficiente a definire con una certa precisione l‟insieme dei toponimi dell‟area campana. 8 PARTE PRIMA 0. Introduzione1 «Toponomàstica [comp. di top(o)- e onomastica: 1884] s.f. 1 Settore dell‟onomastica che studia i nomi propri dei luoghi. 2 Insieme dei nomi di luogo di una regione, di uno Stato, di una lingua». Come ci informa lo Zingarelli, la toponomastica italiana è una disciplina relativamente giovane: non si parla di „toponomastica‟ prima del 1884. Ma come sempre l‟oggetto è più vecchio che il suo nome. Della toponomastica possiamo fissare la data di nascita nel 1873, l‟anno in cui Giovanni Flechia pubblicò la sua opera Di alcune forme di nomi locali dell’Italia superiore. L‟obiettivo di Flechia era di ricostruire i significati originali di alcuni nomi locali dell‟Italia settentrionale. Dobbiamo però notare che la toponomastica non è nata come una disciplina autonoma, ma come disciplina tributaria della linguistica. All‟inizio la toponomastica e la linguistica hanno percorsi paralleli: poco prima del Flechia, Graziadio Isaia Ascoli aveva pubblicato i suoi Saggi Ladini, trattando anche dei dialetti dell‟Italia settentrionale. Prima del 1873, quando non si poteva ancora parlare di una vera disciplina toponomastica, le ricerche sui toponimi erano condotte da storici e geografi, ma i loro metodi erano individuali e non si poteva parlare di un vero metodo scientifico. I loro risultati erano dubbi e spesso basati su congetture. È innegabile tuttavia il valore delle ricerche di geografi come Olinto Marinelli per quanto riguarda i termini geografici e i geonimi. La toponomastica come disciplina autonoma, cioè indipendente dalla geografia e dalla storia e con una metodologia linguistica, si divide in due rami. Un primo ramo si occupa dello studio di toponimi particolari provenienti dall‟intero territorio nazionale. Altri studi tentano di spiegare tutti i toponimi di una particolare regione o di una determinata area. Ad esempio, per quanto riguarda la toponomastica regionale, contributi validi sono stati elaborati da Silvio Pieri che ha proposto un modello di studio che metteva in risalto la necessità di una vasta documentazione e una ricerca archivistica. Così Pieri (1898, 1919, 1969) ha illustrato molto bene i toponimi della Toscana sottolineando l‟influsso del sostrato etrusco. Sulla scorta dei 1 Per l‟introduzione mi sono basato su: G.B. Pellegrini, Toponomastica, «I. Sviluppo delle ricerche toponomastiche», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, pp. 431-433. 9 lavori del Pieri, sin dall‟inizio del „900, numerosi studiosi si sono occupati della studio dei toponimi delle varie regioni in particolare. In generale, tuttavia, la toponomastica italiana non ha mai potuto raggiungere lo stesso livello di sviluppo delle altre discipline linguistiche sul piano dell‟accuratezza e della completezza. Solo pochissimi studiosi sono riusciti a trattare la toponomastica italiana in modo esaustivo: inoltre i risultati delle ricerche toponimiche di uno studioso concordano di rado con quelli di un altro e sono spesso incerti. 10 1. I sostrati2 1.1 Il sostrato preindeuropeo Gran parte dei toponimi italiani derivano da nomi abbastanza antichi. Si tratta di toponimi che traggono le proprie origini dai sostrati prelatini. Tuttavia, una concezione molto diffusa negli studi toponimici francesi e italiani suppone l‟esistenza di un sostrato preindeuropeo, o „mediterraneo‟ per V. Bertoldi3. Questa tesi poggia sul fatto che tra il 1500 e il 500 a.C. delle tribù preindeuropee (se possiamo credere gli autori classici si tratterebbe degli antichi Liguri) avrebbero occupato l‟area mediterranea. Secondo Bertoldi ed altri la loro lingua sarebbe all‟origine di parecchi idronimi e termini fitonimici o geonomastici. Queste spiegazioni semantiche rimangono però ipotetiche perché poggiano troppo su ricostruzioni fonetiche. Così Pellegrini ci ammonisce che «alle interpretazioni „mediterranee‟ si può – e vero – muovere assai spesso l‟appunto che esse si fondano, in molti casi, su equazioni soltanto apparenti o su formanti ritenuti eccessivamente indicativi, con la concessione di alternanze vocaliche o consonantiche non sempre controllabili, e spesso semplicistiche o erronee, di comodità strategica. Assai più valido è il metodo che si propone di individuare l‟identità di intere parole alle quali è più verosimile di attribuire un significato concreto, piuttosto che appoggiarsi unicamente a temi o radici»4. Con più certezza possiamo fissare le origini prelatine dei idronimi e dei nomi di città antiche che sono attestati nei testi di autori greci e latini (ad esempio Plinio il vecchio per la Campania) o che ritroviamo nei graffiti o nelle iscrizioni antiche. 2 Per la storia della lingua mi sono basato su: E. Roegiest, Vers les sources des langues romanes, Leuven, Acco, 2005. 3 Il sostrato mediterraneo di Bertoldi corrisponde al sostrato „iafetico‟ del linguista russo N. Marr. Secondo quest‟ultimo l‟area del sostrato si espande dai Pirenei alla Caucasia. Secondo W. Von Wartburg un popolo di origine nordafricano (i dati linguistici puntano nella direzione degli Iberi) avrebbe rotto quest‟unità linguistica mediterranea. 4 G.B. Pellegrini, «Toponimi ed etnici nelle lingue dell‟Italia antica», in: A.L. Prosdocimi (a cura di), Lingue e dialetti dell’Italia antica, Roma, Biblioteca di Storia Patria, 1978, p. 82. 11 1.2 Le migrazioni nella penisola italica e il loro influsso sulla toponomastica5 A partire del X secolo a.C. entrano in Italia varie popolazioni che non mancano di esercitare un‟influenza sulla lingua e le cui tracce sono ancore oggi manifeste nella toponomastica italiana. Prima del X secolo a.C. alcune zone d‟Italia erano occupate da due popoli di cui oggi non sapiamo molto: i Liguri e gli Iberi. I primi, probabilmente di origine preindeuropea occupavavano l‟area costiera tra Massilia (Marsiglia) e La Spezia (più o meno l‟area della Liguria odierna). Gli altri, di origine nordafricana, occupavano la Sicilia e la Sardegna. Dalla forma ligure-leponzia *GWHORM („caldo‟) derivano i toponimi Bormio (Lombardia), Aquae Bormidae e Bormida (Liguria). Dal sostrato iberico deriva il suffisso –essos in toponimi come Herbessos (Sicilia) (cfr. in Spagna, Tartessos)6. Intorno al X secolo a.C. le tribù italiche attraversarono le Alpi in due ondate. Prima del X secolo a.C., i Protolatini si spinsero in Italia fino alla Calabria odierna occupando anche la Sicilia alla quale diedero il loro nome (furono infatti i Siculi a conquistare la Sicilia). Furono inoltre i Protolatini a dare alla penisola il suo nome Italia. Tale nome che designava all‟inizio solo la parte centro-meridionale della penisola, deriva da Italus, il dio toro dei Protolatini e significa „terra piena di bestiame‟. Nel X secolo a.C., il secondo gruppo, gli Osco-Umbri, attraversarono le Alpi e si stabilirono intorno a Bologna da dove si espansero verso il Sud, dividendo così il territorio protolatino in due parte: la Sicilia e il Lazio. L‟osco, il dialetto dei Sanniti, era parlato da Roma alla Campania. Cionondimeno è una lingua attualmente quasi sconosciuta. In Campania sono scoperte delle iscrizioni, tra l‟altro un trattato fra due città e la legge municipale della città di Bantia (che comprende 400 parole in osco) che risalgono ad un periodo compreso tra il III e il I secolo a.C. come confermano alcuni graffiti trovati a Pompei. L‟osco fu la lingua ufficiale in varie città dell‟Italia centro-meridionale (come Capua in Campania), fino al II secolo a.C., quando perse il suo prestigio e sparì, non senza però lasciare delle tracce. Il toponimo Nuceria Alfaterna (Campania) ad esempio, si richiama all‟aggettivo umbro *NOUKRIA, *NOKRIA („la nuova‟). Pompei (Campania) < Pompeji riprende il numerale osco pompe, „cinque‟ alludendo alle cinque borghi di cui l‟antica città di Pompei era composta7. 5 Cfr. Carta I. G.B. Pellegrini, Toponomastica, «II. Gli Studi sul sostrato», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, p. 433. 7 Ivi, p. 434. 6 12 Un secolo dopo, gli Etruschi, un popolo di origine incerta, fondarono un regno a nord del Lazio fermando così l‟espansione osca. Tra il 800 e il 400 a.C. il loro regno si estese da Bologna alla Campania. Vari nomi di città dell‟Italia centrale risalgono a questo sostrato etrusco, come quello della capitale, per cui i toponomasti propongono due spiegazioni: Roma < Rumon, altro nome per il Tevere; romanus dovrebbe essere stato l‟equivalente di „fluviale‟. Oppure, Roma < ruma, „mammella‟, (cioè „colle‟), con riferimento allora al Palatino8. Nello stesso secolo i Greci si stabilirono nelle zone costiere della Sicilia, della Calabria e della Campania fino a Napoli. Popolo marinaro, i Greci occupavano le coste e senza penetrare mai l‟entroterra. Dal VII al III secolo a.C. il greco servi come lingua di cultura nell‟Italia meridionale. Il nome del capitale della regione di Campania deriva dal sostrato greco: Napoli (Campania) < Νεάπολις (cioè „città nuova‟)9. Prima dei Greci i Fenici avevano qualche colonia in Sicilia, ma questo popolo potè far sentire la propria influenza solo sporadicamente: Tharros (Sardegna) < Tiro (nome fenicio), cfr. ebr. zar „roccia‟, „scoglio‟10. Dopo il 1000 a.C. due popoli di origine illirica attraversarono il mare Adriatico. I primi, i Veneti, occupano le coste dell‟odierno golfo di Venezia. Una traccia del sostrato veneto sarebbe riscontrabile nel suffisso –este, presente in toponimi come Trieste (in Friuli-Venezia Giulia). I secondi, i Messapi, occuparono Puglia. Al sostrato veneto appartiene tra l‟altro Vicetia, „Vicenza‟ (Veneto) cfr. lat. VICUS, gr. οἶ κος, ‟insediamento‟11; a quello dei Messapi appartengono i toponimi pugliesi Brindisi e Taranto. A partire del 400 a.C. i Celti, un popolo proveniente dalla Germania meridionale, attraversò le Alpi cacciando via gli Etruschi dalla pianura padana. Al sostrato gallico risale il nome Milano < Mediolanum („la pianura di mezzo‟) < gall. *LANUM („pianura‟)12. Nel 387 a.C. i Celti assediarono Roma ma, incapaci di prendere il Campidoglio, si ritirano nella pianura padana occidentale, da dove cacciarono via una parte della popolazione etrusca nelle Alpi, i Reti. Ecco perché certi toponimi nelle Alpi svizzere portano il suffisso etrusco -enna (Clavenna, Parsena). Inoltre, i nomi di alcuni comuni altoatesini come Vipiteno hanno un‟origine etrusca: Vipitenum < personale etr. Vipiθenes13. Viste le tante migrazioni nell‟Italia prelatina e la costellazione di sostrati che ne risulta, non meraviglia la grande varietà diatopica dell‟italiano attuale. È nella toponomastica – i nomi di 8 Ivi, p. 433. Ivi, p. 434. 10 Ibidem. 11 Ivi, p. 433. 12 Ibidem. 13 Ibidem. 9 13 luoghi sono degli elementi più stabili di una lingua - che questa frammentazione linguistica, dovuta ai sostrati, ha persistito meglio. 2. Toponimi di origine latina 14 2.1 Latinizzazione della penisola14 Benché i sostrati abbiano fatto sentire il proprio influsso, è il latino a marcare di più la toponomastica italiana. La storia del latino comincia verso 800 a.C.. In quest‟epoca il latino era un dialetto parlato a Roma, come lo erano anche l‟osco-umbro e l‟etrusco. Tra il 700 e 500 a.C. gli Etruschi erano il gruppo etnico dominante a Roma. Nel 509 a.C., quando i romani spodestarono l‟ultimo re etrusco, Tarquinio il superbo, finì l‟egemonia etrusca. Tutto questo però non sarebbe mai stato possibile senza l‟invasione dei Celti che, a partire dal 400 a.C. misero gli etruschi sotto pressione. Un altro fattore importante fu la guerra civile tra Mario e Silla nel 82 a.C. in cui la nobiltà etrusca sotto la guida di Mario dovè soccombere per mano dei romani di Silla. Non è il merito di Silla aver messo fine al potere etrusco anche se fu lui a dare agli Etruschi il colpo di grazia. Lo stesso successe con gli Osco-Umbri qualche anni prima, con la guerra sociale dal 91 al 88 a.C.. Seguirono poi le guerre dei romani contro i Sanniti (alla fine del IV secolo a.C.). L‟espansione nel meridione continuò nel 275 a.C., quando il re Pirro perse la guerra con i Greci della Magna Graecia contro i romani. Tuttavia i romani, per avendo vinto sul piano militare, non furono mai in grado di cancellare completamente il greco e la cultura greca nell‟Italia meridionale. Nel 241 a.C. fu annessa la Sicilia, tre anni dopo la Sardegna. Nel 191 a.C. venne inglobata la Gallia Cisalpina e con l‟annessione della Liguria nel 154 a.C. i romani giunsero a controllare il territorio dell‟Italia attuale. Si potrebbe dire che, in Italia, si continuò a parlare latino fino all‟800, quando colla rinascenza carolingia nacque la coscienza che il latino si era ormai differenziato in varie lingue diverse. Non meraviglia dunque che durante questi sedici secoli il latino abbia marcato in modo irreversibile la toponomastica italiana. 2.2 14 I registri dei toponimi latini B. Migliorini, Storia della lingua italiana, Firenze, Sansoni, 1960, pp. 6-10. 15 I toponomi di origine latina sono facilmente riconoscibili perché sono quasi tutti composti da un lessico di base. Inoltre, è possibile collocare i toponimi latini in alcune categorie principali. In primo luogo, ci sono i toponimi che si riferiscono alla vita pubblica, con molti derivati di FORUM, „piazza pubblica‟, come San Giovanni di Porfiamma (Foligno) che deriva da FORUM FLAMINII15. Nella stessa categoria possiamo collocare i toponimi che alludono alla vita religiosa, ad esempio i derivati di FANUM, „luogo sacro‟, „tempio‟, come i numerosi comuni italiani col nome Fano, soprattutto in Toscana16. Poi ci sono i toponimi che derivano dalla numerazione delle pietre miliari. Così si incontrano in Italia nomi come Terzo < AD TERTIUM LAPIDEM, Quarto, Cinto e così via17, ad es. Terzo di Mezzo (Campania, nella provincia di Salerno), quatro chilometri a est di Eboli; Quarto (Campania), sei chilometri a ovest di Napoli ecc. Meno frequenti sono i casi che superano dieci, ad es. Quintodecimo (Benevento), ma non si è sicuro che si tratti di un toponimo tratto da una pietra miliare18. Ci sono inoltre toponimi che alludono all‟agrimensura. Si tratta di toponimi che derivano tra l‟altro da CENTURIA, „una misura di cento iugeri‟, come Centòja, Centòje in Toscana o Centòra, Centòre altrove, e che derivano da CANNABULA, „un fosso di scolo per prosciugare i fondi‟, come Canabbia (Toscana)19. 2.3 I suffissi latini L‟ultima tra le categorie principali è composta da quei toponimi che esprimono una proprietà fondiaria. Si tratta principalmente di questi nomi che comprendono il suffisso –ano, preceduto da un nome proprio. In latino il suffisso –anum si combinava spesso con un „nomen gentile‟ o un „cognomen‟ per esprimere un‟appartenenza, ad es. fundus Vettianus - uno dei composti nome + anum nella Tabula Alimentaria di Veleia trovata a Piacenza, Emilia-Romagna - cioè 15 G.B. Pellegrini, Toponomastica, «III. L‟elemento latino», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, p. 435. 16 Ibidem. 17 Ibidem. 18 G.B. Pellegrini, «Osservazioni di toponomastica stradale», in: id., Saggi di linguistica italiana: storia, struttura, società, Torino, Boringhieri, 1975, pp. 218-219, 225. I toponimi che derivano da pietre miliari sono da collocare nella toponomastica stradale (cfr. infra). 19 G.B. Pellegrini, Toponomastica, «III. L‟elemento latino», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, p. 435. 16 „la tenuta della stirpe Vettia‟. Carmignano (Padova, Veneto) < CARMINIUS e Caverzano (Belluno, Veneto) < CARMINIUS, testimoniano ancore di questa formazione20. Salta agli occhi che questo suffisso -anum > -ano si incontra in tutta Italia, salvo che nell‟estremo Sud della Calabria, nella Sicilia e nella Sardegna. Nell‟Italia meridionale, cioè l‟area che corrisponde più o meno alla Magna Graecia, dove si è fatto sentire l‟influsso greco, il suffisso –anum > -ano ha fatto posto per quello greco -óς-anò come in Cagnanò (Sicilia) < CANIUS, Gallieianò (Calabria) < GALLICIUS21. Si osserva che anche i toponimi che risalgono ai sostrati prelatini esprimono spesso un‟appartenenza e che ognuno di questi sostrati è all‟origine di un suffisso che può essere preceduto dal nome del possessore. Così, nell‟Italia settentrionale si incontrano toponimi che finiscono con i suffissi -ago < -acus, ad es. Giussago (Pavia) < JUSTIACUS, JUSTIUS; -ach < acus, ad es. Cugnàch (Sedico, Belluno), colla vocale finale caduta < COVINIUS; -acco < acus, ad es. Adegliacco (Friuli Venezia Giulia) < *ALLIACU, ALLIUS22. Probabilmente i suffissi derivanti da -acus, -acum sono di origine celtica, analoghi a quelli che si osservano nella Francia centro-meridionale: cfr. Cognac, Armagnac, Bergerac ecc., corrispondenti nella Francia settentrionale ai suffissi -y, -ay < -iacum, ad es. Orly < AURELIACUM (cfr. Aurillac nella Francia centrale)23. Suffissi collo stesso senso sono -ate, molto frequente in Lombardia, ad es. Lambrate e -en(n)a e -inus probabilmente di origine etrusca, ad es. Bibbiena (Toscana)24. Il suffisso -asco < -ascus, ad es. in bergamasco (di Bergamo), comasco (di Como) ecc., merita particolare attenzione. Come i suffissi -anus e -acus, anche -asco si aggiunge a nomi di persone e esprime un‟appartenenza. Ma per quanto riguarda la sua origine non esiste una unanimità tra i toponomasti. Vista l‟alta frequenza del suffisso nel nordovest dell‟Italia, alcuni come Giovanni Flechia (1873), suppongono una provenienza ligure. Il fatto però che il suffisso –asco si trovi anche nel territorio ladino, ha spinto alcuni linguisti a propendere per un‟origine celtica o indoeuropea. D‟altro canto, la prima attestazione del suffisso in un‟iscrizione genovese del 117 a.C., elenca i fiumi Neviasca, Vinelasca, Veraglasca e Tudelasca e sembra rinforzare l‟idea di una provenienza ligure. Inoltre anche in Corsica, 20 Ibidem. Ibidem. 22 Ibidem. 23 G. Rohlfs, «Toponomastica italiana, origini, aspetti e problemi», in: id., Studi e ricerche su lingua e dialetti d’Italia, Firenze, Sansoni, 1972, p. 38. 24 G.B. Pellegrini, Toponomastica, «III. L‟elemento latino», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, p. 436. 21 17 antico territorio ligure, si incontrano nomi geografici quali Aragnasco, Grillasca, Giuvellasca, Palasca e Venzolasca25. Secondo la tesi proposta dai sostenitori di un‟origine ligure il suffisso -asco sarebbe stato preso in prestito dai Celti e poi dai Romani, che avevano già assunto suffisso celtico -acum. I Romani accordavano ad -asco una funziona analoga a quella di -ano e -ago, come si verifica nei doppioni Arnasco / Arnano, Arnago < ARNIUS; Calvignasco / Calvignano < CALVINIUS; Maiasco / Maiano < MAIUS ecc26. 2.4 Gli arcaismi Varie voci che esistevano nel latino volgare non si sono mantenute nelle lingue romanze. Spesso queste parole venivano sostituite da termini innovativi o da parole con una connotazione diversa. Tra queste parole possiamo collocare ad esempio la parole per „cavallo‟, EQUUS („destriero‟), che nel latino volgare viene soppiantata dalla parola spregiativa CABALLUS („ronzino‟) che risulta in it. cavallo, fr. cheval, prov. cat. cavall, sp. caballo, port. cavalo, rum. cal. Altre termini vengono sostituiti da due o più forme, ad es. l‟aggettivo PULCHER che nelle zone periferiche cede il posto a FORMOSUS: sp. hermoso, port. formoso, rum. frumos mentre nelle aree centrali è l‟aggettivo BELLUS che s‟impone: it. bello, fr. bel / beau27. Si osserva anche una differenza tra zone periferiche, che sono generalmente più conservatrive, e zone centrali, che tendono a essere più innovative. Così si può incontrare in lingue periferiche parole che non esistono più nelle lingue centrali, ad es. MAGNUS („grande‟) e DOMUS („casa‟) che nel Sardo risultano in mannu e domu, parole che non continuano nelle altre lingue romanze28. È dunque nel linguaggio conservativo che persiste un lessico arcaico. Ecco perché anche la toponomastica – come si è detto, i nomi di luoghi sono tra gli elementi linguisticamente più stabili – può servirci come una fonte per la conoscenza del lessico arcaico. Inoltre la toponomastica ci permette anche di ricostruire meglio i confini dei sostrati e dei superstrati. Ciò fa di essa una vera disciplina linguistica e non esclusivamente una disciplina storico25 G. Rohlfs, «Toponomastica italiana, origini, aspetti e problemi», in: id., Studi e ricerche su lingua e dialetti d’Italia, Firenze, Sansoni, 1972, p. 39. 26 Ivi, p. 39-40. 27 G.B. Pellegrini, «Toponomastica e lessico arcaico», in: id., Saggi di linguistica italiana: storia, struttura, società, Torino, Boringhieri, 1975, pp. 286-287. 28 Ivi, p. 287. 18 geografica29. Alcuni esempi di parole latine che non sopravvivono nelle lingue romanze ma di cui possiamo ancora distinguere le tracce in parecchi toponimi sono ACERNUS (aggettivo significante „di acero‟) > Acèrno (Campania), AGELLUS („campicello‟) > Aiello del Sabato (Campania), ARX, ARCE („rocca‟, „altura‟) > Arce (Campania, presso Caserta), BASILICA („chiesa‟) > Baselice (Campania), CENTURIA („misura di cento iugeri, poi di duecento‟) > Centora (Campania, presso Aversa), MAIOR, -ORE („maggiore‟) > Frattamaggiore (Campania), SUBSICIVUM („particella di terreno che rimane esclusa della misurazione di una centuria‟) > Succivo (Campania), THERMAE („bagni caldi‟) > Telese Terme (Campania), VETUS, -ERIS 29 30 („vecchio‟) > Castelvetere sul Calore (Campania)30. Ivi, pp. 297-298. Ivi, pp. 288-297. 19 3 I superstati 3.1 Le invasioni barbariche All‟inizio del X secolo l‟impero romano è ormai sfaldato dalle tante tensioni e le popolazioni slave e germaniche coglono l‟occasione per espandersi nei suoi confini. Nel 406 i Vandali lasciarono l‟Ungheria per la penisola iberica, ma nel 410 furono cacciati via dai Visigoti, dagli Svevi e dagli Alani e furono costretti ad attraversare il Mediterraneo verso l‟Africa, da dove occuparono la Sicilia, la Sardegna, la Corsica e le Baleari. Nel 406, cominciò anche l‟espansione dei Burgundi, un popolo proveniente della Germania settentrionale, che, respinti dai Romani, si stabilirono nella Savoia e nella parte confinante della Svizzera. Nello stesso periodo gli Alamani occuparono la Svizzera settentrionale, dove alcuni anni dopo si stabilirono anche i Bavari, costringendo la popolazione romana di ritirarsi nelle Alpi. Infine, nel 411, l‟esercito romano in Britannia si vide sconfitto dalla popolazione anglosassone e poco dopo i Celti furono respinti verso l‟est. All‟inizio del V secolo l‟impero romano era ormai ridotto alla sola penisola italica; la caduta avvenne nel 476, quando Odoacre, il re degli Eruli, una piccola tribù germanica, depose l‟imperatore d‟Occidente Romolo Augustolo. Il suo regno fu però di breve durata perché già nel 493 Odoacre fu sconfitto dagli Ostrogoti di Teodorico a Ravenna. Il dominio di quest‟ultimo resistè fino a 526, quando l‟imperatore dell‟oriente Giustiniano cominciò dalla Sicilia la riconquista della penisola italica che finì nel 555. Nel frattempo si veniva consolidando il regno dei Franchi sotto la guida di Clodoveo. Nel 568 i Longobardi, respinti dalle popolazioni Slave dall‟area dove si trova oggi l‟Ungheria, trovarono la pianura padana indifesa. Durante i due secoli seguenti occuparono quasi tutta la penisola. Pavia diventò la capitale del regno longobardo. I Longobardi però, non riuscirono mai a conquistare il sud. Il loro regno si estese fino a Benevento (Campania), ma il resto del territorio meridionale (fino a Napoli) e le due isole rimasero bizantini. Carlo Magno sconfisse definitivamente i Longobardi nel 773-774. Nel IX secolo, la Sicilia, sempre dominata dai Bizantini, venne invasa dagli Arabi che riuscirono a sottomettere i Bizantini in una guerra che durò quasi un secolo. Nello stesso tempo attaccarono le coste dell‟Italia meridionale, senza riuscire ad imporre un proprio regno durevole (salvo a Malta). Nella seconda metà del XI secolo gli Arabi furono cacciati via dai Normanni invocati dai Bizantini. I Normanni fondarono in Sicilia un regno durevole che si 20 estendeva anche sulla penisola. Per quanto possa sembrare strano i Normanni furono in grado di vivere in Sicilia in perfetta armonia con gli Arabi fino al XIII secolo. Nell‟Italia meridionale troviamo anche alcuni stanziamenti albanesi. Nel XV secolo, gli albanesi, in fuga dall‟espansione turca, sbarcavano a ondate in Calabria. Coinvolti come mercenari del re di Napoli, ottennero terre e alcuni privilegi. 3.2 I toponimi postlatini Numerosi sono i toponimi che si richiamano ai popoli che hanno invaso la penisola italica nel periodo postlatino. Ad es. Alagna (Lombardia) < ALANI, Soave (Piemonte, Veneto) < SVEVI, SVAVI, Sassinoro (Emilia-Romagna e Campania, presso Benevento) < SASSONI, Burgondi (Pavia) < BURGUNDI ecc31. Ancora più numerosi sono i toponimi che si riferiscono alla presenza dei Goti, ad es. Castello di Gòdego (Treviso), Gòdeghe (Vicenza), Goito (Mantova) ecc., e per quanto riguarda l‟Italia meridionale Sant’Agata dei Goti (Campania, presso Benevento). Onnipresenti nella toponomastica italiana sono inoltre i derivati longobardi ad es. FARA „insediamento di una comunità di viaggio longobardo‟ (soprattutto nell‟Italia settentrionale) > Farra d’Isonzo (Friuli Venezia Giulia), Farra d’Alpago (Belluno) e così via; BERG „monte‟ > Perga, Berga, Valperga; GAHAGI „luogo chiuso da siepe‟, „bosco‟ > Caggiano (Campania); SALA „corte‟, „casa padronale‟ > Sala Consilina (Campania, presso Salerno)32. L‟influsso bizantino sulla toponomastica dell‟Italia meridionale è abbastanza considerevole, soprattutto per quanto riguarda le due isole e la Calabria. Osserviamo tra l‟altro Cefalù (Sicilia) che esiste nel greco classico e che tramite il bizantino ha formato il toponimi attuale, Kefaloύd(i)ojCefalà Diana <Kefalάj ‟testone‟, e Deri (Sicilia, presso Messina) < dέ rη ‟colle‟, „giogo di monte‟33. Vari sono i toponimi siciliani di origine araba, ad es. i tanti derivati delle parole arabe per „castello‟ qalca(t) > Calatafimi qalcat fïmi „la rocca di Eufemio‟ o qasr > Càssaro (Palermo). Particolare interesse meritano i casi di paronomasia come Caltanissetta. L‟antico nome di questa città era Nis(s)a (abitata dai Nisseni) che viene interpretato dagli Arabi come nisā, il plurale arabo per „donne‟. La parola araba per designare la loro cittadella era allora qalcat an31 G.B. Pellegrini, Toponomastica, «V. Toponimi di origine postlatina», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, p. 437. 32 Ibidem. 33 Ivi, pp. 437-438. 21 nisā > Caltanissetta, cioè „castello delle donne‟. Lo stesso è successo per quanto riguarda Ἕννα, Henna (Castrum Ennae) che veniva interpretata dagli Arabi come Yannah, Yanni cioè Ioanni, Giovanni. Così troviamo attestato nel 1091 un Castrum Ioannis, nel 1142 kάstrou iwάnnou, nell‟arabo qasr yānah, che diventa più tardo Castrogiovanni34. Potremmo elencare i tanti esempi di toponimi siciliani che hanno subito l‟influsso arabo, ma lo scopo qui è semplicemente quello di evidenziare l‟impatto enorme – ma non sorprendente, dato che gli Arabi hanno vissuto durante cinque secoli nella regione - della civiltà araba sulla Sicilia. Il fatto che gli Arabi siano stati in grado di modificare ancora nel Medioevo la toponomastica siciliana, mette in risalto la loro importanza linguistica e culturale per l‟Italia meridionale. Per quanto riguarda la presenza albanese nell‟Italia meridionale, tracce chiare di tali insediamenti si possono trovare nella toponomastica di questa zona: cfr. S. Cosmo Albanese (Calabria), Falconara Albanese (Calabria)35. 34 35 Ivi, p. 438. E. Finamore, I nomi locali italiani, Rimini, Edizioni Nuovo Frontespizio, 1980, p. 8. 22 4. Geonomastica: idronimi, limnonimi e oronimi Come ho già fatto notare sopra, certi termini geonomastici risalgono a tempi abbastanza antichi. Si tratta di nomi di corsi d‟acqua detti „idronimi‟, di nomi laghi o „limnonimi‟ e di nomi monti o „oronimi‟. Nell‟ottica di una datazione di questi termini geonomastici dobbiamo inanzittutto fare una distinzione tra gli idronimi da un lato e i limnonimi e gli oronimi dall‟altro. Generalmente gli idronimi sono più vecchi degli oronimi visto che i corsi d‟acqua erano in tempi remoti quasi le uniche vie di communicazione e di circolazione. Dunque spesso i nomi dei corsi d‟acqua derivano da strati molto antichi, non di rado indeuropei, cioè prelatini. ad es. Serio (Lombardia) < Sarius < la radice iendeuropea *SER-/*SOR- „scorrere‟ (cfr. Sarca (Lago di Garda)); Àbano (fonte termale di) < APONUS < la radice indeuropea *ap„acqua‟, „fiume‟; Arno < la radica indeuropea *er-/*or- „mettere in movimento‟, „agitare‟ (cfr. l‟Arne, un‟affluente della Suippe in Francia, nel dipartimento della Marna). Però questi idronimi non si sa da quale sostrato derivino precisamente. Si può solamente dire da quali strati provengano le modificazioni che hanno subito. Di altri idronimi italiani, spesso settentrionali, i toponomasti hanno potuto precisare l‟origine. Ad es. Reno (Emilia-Romagna), probabilmente di origine celtica *REINOS36. H. Krahe37, ha fatto uno studio sugli idronimi dell‟Europa centro-settentrionale e ha potuto distinguere alcuni suffissi ricorrenti in parecchi idronimi di origine indeuropea. Tuttavia gran parte dei toponomasti italiani e francesi non condividono le sue tesi. Krahe individua tra l‟altro il suffisso -nt(ia) come in Aventia > Avenza (Carrara) (cfr. Avena (Calabria)) in cui si riconosce la radice *av-/*au- „fonte‟, „corso di fiume‟38. Uno studio molto interessante sull‟idronomia è stato fatto dal linguista tedesco Gerhard Rohlfs (1972). Egli individua differenti categorie di provenienza dei nomi di fiumi. Così parecchi fiumi e torrenti prendono il nome di animali, ad es. Drago (Sicilia), Dragone (Toscana), Serpente (Sicilia), Grue (Lombardia), Cervo (Piemonte), Corvo (Campania), Cicogna (Veneto) ecc. Lo stesso vale per gli oronimi, ad es. Aquila (Calabria), Monte Corvo (Sicilia), Monte Porco (Campania), Monteleone (Umbria, Campania) ecc39. 36 G.B. Pellegrini, Toponomastica, «VI. Idronimi ed oronimi», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, p. 438. 37 H. Krahe, Unsere ältesten Flussnamen, Wiesbaden, Harrassowitz, 1964, (citato in G.B. Pellegrini, Toponomastica, «VI. Idronimi ed oronimi», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, p. 439.) 38 G.B. Pellegrini, Toponomastica, «VI. Idronimi ed oronimi», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, p. 439. 39 G. Rohlfs, «Toponomastica italiana, origini, aspetti e problemi», in: id., Studi e ricerche su lingua e dialetti d’Italia, Firenze, Sansoni, 1972, p. 46. 23 Anche i nomi di divinità possono apparire in oronimi o idronimi, come avviene nei numerosissimi monti con il nome Monte Giove (Piemonte, Lombardia, Toscana, Abruzzo, Calabria) e nei tanti oronimi nell‟Italia settentrionale che si richiamano alla dea romana Minerva: Minerbe (Verona), Minerbio (Bologna), Manerbio (Brescia) < Minervium „tempio di Minerva‟ e in Calabria c‟è un fiume dal nome Mércure. In vari nomi di paesi nell‟Italia meridionale si riconosce il nome di Ercole. Sono le tracce di un antico culto erculeo in questi regioni, Ercole (Campania), Erchie (Campania, presso Salerno), un paese omonimo si trova in Salento40. Molto particolare appare anche l‟idronimia degli affluenti, di cui i nomi sono spesso composti dal nome del fiume in cui escono e un suffisso diminutivo che ci si aggiunge. Ad es. l‟affluente del Tàmmaro (Campania, Benevento) si chiama la Tammarecchia, quello del Tevere si chiama il Teverone e i due fiumiciattoli che si uniscono nel Crati (Calabria) si chiamano il Cratone e il Craticchio41. Secondo lo stesso Rohlfs, alcuni limnonimi prendono origine da credenze popolari. Si tratta soprattutto di laghi che si trovano in aree disabitate e inospitali. In Sardegna esiste un Riu de Giana „fiume della strega‟ (Giana < sard. jana „strega‟ < Diana), cfr. il nome del torrente Janare (Campania, presso Benevento); in Calabria c‟è un fiume che si chiama Satanasso; in Sicilia troviamo il fiume Madredonna < Mater domina < Mater matrona, che si riferisce probabilmente all‟antico culto della dea Cibele42 (cfr. la Via Matromania (Capri): < la grotta di Matromania, luogo di venerazione della dea Cibele)43. Non si deve poi dimenticare che, non di rado, la presenza di un fiume, di un monte o un lago può anche riflettersi nei toponimi delle località limitrofe. Si osservano i toponimi come Fiume, Flúmene (Sardegna), Lago, Poggio, Rocca, che in certi casi sono specificati da un aggettivo che segue come in Fiumefreddo, Flúminimaggiore (Sardegna), Lagonegro, Poggioreale, Roccaforte, o come avviene di norma nella toponomastica francese centrosettentrionale, precede il nome: cfr. Altomonte, Belmonte. Spesso i toponimi di questo tipo comprendono un suffisso diminutivo per esprimere la dimensione Roccella (Calabria), Rocchetta (Liguria), Monticello (Piemonte), Fiumone, Petrone ecc44. 40 Ivi, p. 47. Ibidem. 42 Ivi, pp. 47-48. 43 G. Rohlfs, «Nomi di stradi in Italia e i loro segreti», in: id., Studi e ricerche su lingua e dialetti d’Italia, Firenze, Sansoni, 1972, p. 101. 44 G. Rohlfs, «Toponomastica italiana, origini, aspetti e problemi», in: id., Studi e ricerche su lingua e dialetti d’Italia, Firenze, Sansoni, 1972, p. 32. 41 24 Elementi ricorrenti nella toponomastica delle aree montagnose sono Motta „monte con cima a cupola‟, Serra „catena dentellata‟ (cfr. Serre in Campania), Morra „massa rocciosa‟ (cfr. Morra de Sanctis in Campania) e Penna „cima‟, cioè elementi che alludono all‟aspetto delle formazioni montagnose. Frequentissimi nell‟area appenninico meridionale (Campania, Abruzzo) sono le forme peschio, pesco, cioè „roccia‟, e i loro derivati, ad es. Pesco Lombardo, Pescopagano ecc. Altre forme costante sono péntima „rocca grande‟ (cfr. Péntima in Abruzzo), ed altri toponimi che alludono alla forma delle montagne Montepertuso „monte perforato‟ (Campania), Pettinascura „pettine oscuro‟ (Calabria). La vicinanza di un palude o un avvallamento risulta in toponimi composti dalla forma pugliese lama, cioè „avvalamento umido e paludoso‟, ad es. Lama dei Peligni (Abruzzo), Lamalunga (Puglie), Lamatorta (Puglie) e così via45. Viene anche frequentamente incorporata nei toponimi la nozione di „cavo‟ (grotta), ad es. Grotte (Sicilia), Sperlonga (Campania), Sperlinga in Sicilia (dove una parte della popolazione vive ancora in abitazioni scolpite nelle grotte), Spílinga (Calabria) < lat. spelunca < gr. ant. spή lugga‟cavità‟46. Anche la vicinanza di un fiume,di un lago, di un sorgente minerale o un bagno può essere determinante per certi toponimi, ad es. Piedilago (Campania), Bagnoli (Campania), Pozzuoli (Campania) < lat. puteoli47. 45 Ivi, p. 33. Ibidem. 47 Ivi, p. 36. 46 25 5. Toponomastica medievale 5.1 Toponomastica sacra o agiotoponomastica Di particolare interesse per lo studio della storia culturale appare la toponomastica sacra, cioè i nomi dei luoghi, spesso di piccole località, in cui figura un nome di un santo o di una santa. Si osserva questo tipo di toponimi non prima dal VI secolo, cioè quando la fede cristiana si era abbastanza diffusa. All‟inizio questi toponimi erano accompagnati dalle forme sanctus (o sancta) e domnus (o domna). Quest‟ultima forma figura ancora nella toponomastica francese agglutinata al nome del santo in toponimi del tipo Domrémy, Dompierre, Domgermain, Dampierre, Dammartin, Donnemarie, Dannemarie ecc. Toponimi di tale formazione non occorono in Italia. Però nella toponomastica dell‟Italia meridionale (Dompetrizzi, Don Gennaro, Don Giovanni...) e di Sardegna (Don Antiogu, Don Efisi) è molto frequente l‟uso dell‟appelativo „don‟ (cfr. la toponomastica spagnola), ma non si è sicuro che esso si riferisca a un santo. Ciononostante si sa con maggiore certezza che appartengono alla toponomastica sacra i nomi introdotti dalla forma femminile domina, come ad es. nella chiesa di Donnaromita a Napoli48. Nell‟Italia meridionale, presso gli insediamenti greci, parecchi nomi di località comprendono le particelle ajo e as che risalgono al greco ἅ giojla forma equivalente del latino sanctus. Però i toponimi di questo tipo si limitano alla Calabria meridionale, ad es. Ajom Betro „San Pietro‟, Ajo Nicola, Ajo Laurendi ecc. e alle Puglie, ad es. As Antoni o nell‟accusativo An Antoni, An Jako, An Aloi. Ogni tanto, tali particelle sono difficilmente riconoscibili, come in Accisári „San Cesario‟ (Calabria) e Addunao „San Donato‟ (Calabria)49. Appartengono alla stessa categoria i toponimi nell‟Italia meridionale che sono composti da una forma derivata del greco ύrioj ‟domnus‟ (nel senso di „sanctus‟), come il monastero di Cersosimo < Cyr Zosimo < ύrioj Zώ simoj (Lucania) o i toponimi calabresi Cernostasi (< Anastasius), Cerantoni (< Antonius), Ceramarta (< Martha)50. Non di rado, visto l‟uso frequente in Italia di forme vezzeggiative per i nomi propri, è difficile determinare i nomi santi da cui certi toponimi derivano, ad es. San Mommé (Toscana) < San Tommaso. Si considera anche le numerose forme aferetiche (caratterizzate dalla caduta di una sillaba all‟inizio di una parola) o apocopate (con caduta di una sillaba alla fine della parola) 48 G. Rohlfs, «Nomi di santi nella toponomastica italiana (Hagiotoponomastica)», in: id., Studi e ricerche su lingua e dialetti d’Italia, Firenze, Sansoni, 1972, pp. 75-76. 49 Ivi, p. 76. 50 Ibidem. 26 come San Boldo (Friuli) < Uboldo < Ubaldus, Sant’Aponal (nome di una chiesa veneziana) < Sant‟Apollinare, Santa Stasia (Campania) < Sant‟Anastasia ecc51. In vari altri casi, si osserva una connotazione simile nelle costruzioni con suffissi vezzeggiativi affettuosi (sovente diminutivi) come in San Giovanniello (Campania), Sant’Angiolillo (Campania)52. Come si è detto qui sopra, vari agiotoponimi subiscono tali modificazioni fonetiche (cfr. infra) che, per chi non si intenda della materia, può risultare quasi impossibile riconoscere un qualsiasi nome di santo. Si osservano ad esempio San Chiaffredo (Piemonte) < Santo Theotfredus, San Forzorio (Sardegna) e San Rossore (presso Pisa) che sono tutti e due riconducibili al santo Luxorius, e in Campania Sant’Elmo che si richiama al santo Erasmus53. Non di rado, anche l‟appelativo romanzo San(to) / Santa o quello greco hágios, si dissolve nel nome del santo o della santa, ad es. Selino (Bergamo) „San Lino‟, Santhià (Piemonte) „sant‟Agata‟, Marcellino (Lombardia) era anticamente San Marcellino e così via; del greco hágios rimane una traccia (As-) in Aspalmo (Calabria), Asparmu (Calabria), che si è perso completamente in Jacurso (Calabria) < santo gr. Akurios e Jòppolo (Calabria) < lat. Opulus < santo gr. Euplos54. Anche il caso contrario, però, non è eccezionale. Può accadere cioé, che un qualsiasi toponimo assuma ingiustamente l‟accezione „San(to)‟. Ciò è successo col nome del comune campano di San Támmaro. Di questo preteso San Támmaro, considerato santo patrono anche a Vico Pantano nel vescovato di Aversa, le fonti storiche non ci dicono niente. Secondo una leggenda si tratterebbe di un santo che avrebbe vissuto prima in Africa e poi in Campania (dopo l‟invasione africana dei Vandali). Durante il suo soggiorno campano sarebbe stato vescovo di Benevento, dove avrebbe prestato il suo nome al fiume Támmaro (un affluente del Calore). Più probabilmente però, un santo di nome Támmaro non è mai esistito ed è il fiume che ha dato il suo nome a questo santo fittizio55. Spesso toponimi che iniziano per „san‟, vengono scorrettamente considerati come agiotoponimi. In Campania, nella provincia di Benevento, c‟è una località che si chiama San Genito. Benché un santo di nome Genitus sia attestato, San Genito è più probabilmente ricalcato sul nome dato in varie regioni italiane al corniolo, sanguine, che dappertutto in Italia risulta in toponimi dal tipo Sanguineto, Sangineto ecc56. 51 Ibidem. Ivi, pp. 83-84. 53 Ivi, p. 77. 54 Ivi, p. 79. 55 Ivi, p. 80. 56 Ivi, p. 81. 52 27 In altri casi esiste una confusione tra il maschile santo e il femminile santa, ad es. Santa Saba (Calabria) dal santo Sabas, Santa Mama (Calabria) dal santo Mamas, Santa Jona (Abbruzzo) dal santo Jonas, San Fosco (Campania, presso Benevento) da Santa Fosca57. Molte volte gli appelativi San(to) e Santa indicano un santo o una santa non attestato, ad es. San Cisano (Campania, nella provincia di Avellino), San Puoto (Campania, nella provincia di Caserta), Santa Commara (Campania), Santa Marena (Campania), oppure accompagnano altri nomi come in Sansepolcro (Toscana), Santa Spina (Calabria), Santa Trinità (Campania)58. Ho già accennato al fatto che l‟agiotoponomastica può fornire dati rilevanti per la ricerca dialettologica. Così lo l‟evoluzione di un nome come Pancratius verso i toponimi San Brancato (più volte nell‟Italia meridionale) o San Francato (Campania, nella provincia di Salerno) illustra la sonorizzazione di certe consonanti sorde dopo un nasale nel dialetto napoletano (cfr. infra per la metatesi di r). Ad esempio San Venditto e Santo Vendetto (tutti e due in Campania) si richiamano di sicuro al santo Benedetto, visto che nel dialetto napoletano una b in posizione iniziale evolve verso una v (cfr. infra)59. Ogni tanto tali evoluzioni foneticche risultano nella venerazione di un altro santo. Il comune Sant’Oreste (nei Monti Sabini) ha ricevuto il suo nome nel Medioevo dal santo Eristus o Aristus < (H)edistus. Però, dal momento in cui si è scoperto che, accanto al santo Eristus, esisteva anche un sant‟Oreste, ambedue sono stati considerati come patroni del comune60. Occasionalmente due toponimi quasi omofoni (cioè con una minima differenza fonetica) venivano considerati falsamente come riferiti a due santi diversi, come ad es. è avvenuto per i toponimi San Nicandro (Campania) e San Licandro (Campania) in cui si tratta senz‟altro dello stesso santo. Lo stesso vale per il doppione San Mango (Campania, Calabria) e San Magno (Calabria)61. Un caso ancora più complesso e oscuro è quello del toponimo campano (anche a Lucania, Salerno) San Chirico, che di solito viene ricondotto a Cyriacus < Kuriakό j volg. Kurikό jTale derivazione suppone ipoteticamente che nell‟Italia meridionale la kgreca si sia mantenuta davanti a una vocale palatale. Più probabile è la tesi di Gerhard Rohlfs (1972) che fa risalire il nome Chirico a quello del santo greco Clericus che nell‟Italia meridionale si 57 Ivi, p. 82. Ivi, pp. 82-83. 59 Ivi, pp. 78-79. 60 Ivi, p. 77. 61 Ivi, p. 78. 58 28 sarebbe dovuto assimilare a Cyriacus. L‟altra ipotesi di Rohlfs parte dal nome Quiriacus, che per confusione da luogo alla forma Quiricus, che avrebbe risultato in Chirico62. Di particolare importanza socio-culturale è apparsa la ricerca della frequenza dell‟occorrenza degli agionimi nei toponimi e la loro ripartizione sul territorio italiano. Nella toponomastica italiana il nome Maria è il più frequente, appare 618 volte (44 volte nella toponomastica francese), seguito da Martino (455 volte v. 238 volte in Francia), Giovanni (367 volte v. 162 volte in Francia) e Michele (274 volte v. 65 volte in Francia)63. Spesso vari agiotoponimi che alludono a uno stesso agionimo si limitano ad aree determinate e sovente è possibile determinarne il centro di culto. Inoltre certi agiotoponimi occorrono unicamente in una regione. In questo caso si tratta di aree abbastanza isolate come la Sicilia (Sant’Alfano, Sant’Alfio, San Ciro, San Fratello) e la Sardegna (Sant’Alenixedda, Sant’Angius, Sant’Antioco, Sant’Arvara, Sant’Arzolo, ecc. (la lista comprende 29 nomi))64. Il raffronto degli agiotoponimi permette anche di stabilire certi legami tra i regioni. Saltano agli occhi le corrispondenze tra la Sardegna, la Corsica e Toscana. Vari agiotoponimi occorrono in queste tre regioni mentre sono assenti nel resto dell‟Italia: Santa Reparata (anche in Abruzzo), Santo Gavino, San Lussorio. La prima santa ha il suo centro di venerazione in Toscana (Pisa, Firenze, Lucca), mentre gli ultimi due hanno il centro di culto nella Sardegna. Nell‟alto Medioevo la Corsica ha dunque subito a turno l‟influsso toscano e sardo65. Ho già messo in evidenza il contributo greco alla toponomastica dell‟Italia meridionale. Un altro apporto è stato dato dai Normanni e dai Francesi. Parecchi agiotoponimi nell‟Italia meridionale sono ricalcati su agiotoponimi francesi: si confrontino Sant’Etiena (Campania, nella provincia di Salerno) v. Saint-Etienne, Sant’Aloia (Basilicata, nella provincia di Lucania) v. Saint-Eloi (Eligius), Santo Mardo e Santo Metaro (Puglie, nella provincia di Taranto) v. Saint-Mard e Saint-Médard (ant.) (Medardus) e così via66. 5.2 Toponomastica urbana e stradale 62 Ibidem. Ivi, p. 84. 64 Ivi, pp. 86-87. 65 Ivi, p. 88. 66 Ivi, p. 89. 63 29 Un altro tipo di toponomastica che prende origine nel Medioevo è la toponomastica stradale. Da un lato, parecchi toponimi urbani risalgono all‟antichità. Dall‟altro, moltissimi sono stati sostituiti da nuove forme nel corso del tempo. Spesso tali toponimi sono più trasparenti rispetto a quelli antichi. Si tratta tra l‟altro di toponimi - spesso di minore rilevanza linguistica - che tendono a immortalare persone illustri. Per quanto riguarda i toponimi antichi sono frequentissimi i nomi che alludono all‟antica suddivisione delle città in terzieri o in quartieri (per le piccole città), in sestieri, a partire dal XIII secolo e così via. Si pensi ad esempio alla divisione in dodicesimi (per horae)67. Certi quartieri prendono nome dalla popolazione che ci vive. Così appare molto interessante l‟etimo della parola ghetto. Il Ghetto era il quatriere veneziano destinato nel 1516 agli Ebrei. All‟origine questo quartiere era un‟isoletta dove si fondevano („ghettavano‟) le bombarde68 nelle tante fornaci che vi si trovavano. Nella stessa categoria vanno inseriti gli Schiavoni, cioè, i quartieri destinati agli Slavi69. Per la Campania abbiamo ad es. Rua Francesca (Napoli) „via dei francesi‟ dall‟antico gallico ruga, cioè „via‟70. Numerosi sono anche i nomi stradali che ci informano sulla presenza di acqua, cioè fontane, ponti, spiagge, porti, paludi, canali, ecc. Per gli esempi mi limito alle città campane71: Via Chiaia (Napoli): napol. chiaja „spiaggia‟; Via del Lavinaio (Napoli): calabr. sicil. lavinaru „canale d‟acqua, torrente‟; Mandracchio (Napoli, nome popolare del Porto Piccolo) „parte interna e piccola di un porto‟; Fontana della Maruzza (Napoli): napol. maruzza „chiocciola‟; Via Chiatamone (Napoli) e Via Platamone (Atrani, nella provincia di Salerno) < gr. ‟terreno piano di lido‟. Molto tipici sono i nomi di strade in prossimità di incroci, ad es. Vico Triggio (Benevento), Largo Triggio (Avellino) dal antico italiano trebbio „trivio‟. Altre strade hanno ricevuto il nome dalla vicinanza di un edificio: Via dell’Anticaglia (Napoli) „ruderi antichi‟, i.e. avanzi di antiche costruzioni che in forma di due archi passano al di sopra della strada; Via Arce (Salerno, Sorrento): lat. arx „castello‟ (cfr. Arce, comune in Campania); Via Foría (Napoli): ha preso il nome dagli antichi casali fuori mura chiamati tὰ τwrίa (cfr. Forío in Ischia ed a Cilento); Galitta (Napoli) dall‟antica galitta „garitta‟, cioè un 67 G.B. Pellegrini, Toponomastica. «VII. Toponomastica urbana», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, pp. 439-440. 68 La bombarda è un « rudimentale tipo di bocca da fuoco dei secc. XIII e XIV» (Zingarelli) 69 G.B. Pellegrini, Toponomastica. «VII. Toponomastica urbana», in: G. Holtus, Lexicon der Romanistischen Linguistik 4: Italiano, Corso, Sardo, Tübingen, Niemeyer Verlag, 1988, p. 440. 70 G. Rohlfs, «Nomi di stradi in Italia e i loro segreti», in: id., Studi e ricerche su lingua e dialetti d’Italia, Firenze, Sansoni, 1972, p. 98. 71 Gli esempi sono tratti da: G. Rohlfs, «Nomi di stradi in Italia e i loro segreti», in: id., Studi e ricerche su lingua e dialetti d’Italia, Firenze, Sansoni, 1972, pp. 91-108. 30 casotto di soldati presso l‟ufficio delle Poste. Un caso particolare è quello della Via del Parlascio (Capua), un nome stradale frequentissimo dappertutto in Italia ma di cui non si conosce con certezza l‟etimo esatto. Alcuni prediligono un‟origine greca perielάsion, il diminutivo dell‟antico periέ lasij, cioè „luogo dove si può girare attorno‟, che si sarebbe trasmesso dalla Campania al resto d‟Italia, ancora prima della parola amphitheatrum. Però, ci ne sono altri che suppongono che parlascio sarebbe derivato dal germanico bero-laz, cioè „luogo di custodia per orsi‟. La vera origine del termine rimane un mistero. La maggioranza degli altri nomi stradali non si inserisce in queste categorie, ciò nonostante sono abbastanza marcati diatopicamente (cfr. infra) e diastraticamente, soprattutto per quanto riguarda nomi dei vicoli napoletani ad es. Vico Barrettari (Napoli): dal napoletano barretta cioè „berretta‟; Vicolo Calascione (Napoli): dal napoletano calascione cioè „colascione‟, strumento musicale tipicamente napoletano; Le Chianche (Napoli): dal napoletano chianca cioè „macelleria‟; Vicolo della Corsea (Napoli): dal napoletano corsea cioè „corsia, corridoio‟; Vico dei Lammatari (Napoli): dal napoletano lammataro cioè „artigiano che lavora le lame delle armi bianche‟; Vico della Tofa (Napoli): dal napoletano tofa cioè „conchiglia marina da buccina‟72; Vico delle Zite (Napoli): it. mer. zita cioè „sposa novella‟ ecc. 72 La buccina era un tipo di strumento a fiato. 31 PARTE SECONDA «Omnium non modo Italiae, sed toto orbe terrarum pulcherrima Campaniae plaga est. Nihil mollius caelo: denique bis floribus vernat. Nihil uberius solo: ideo Liberi Cererisque certamen dicitur. Nihil hospitalius mari: hic illi nobiles portus Caieta, Misenus, tepentes fontibus Baiae, Lucrinus et Avernus, quaedam maris otia. Hic amicti vitibus montes Gaurus, Falernus, Massicus et pulcherrimus omnium Vesuvius, Aetnaei ignis imitator. Urbes ad mare Formiae, Cumae, Puteoli, Neapolis, Herculaneum, Pompei, et ipsa caput urbium, Capua, quondam inter tres maximas (Romam Carthaginemque) numerata. » Publio Annio Floro, (Epitoma, 11) 32 1. Panoramica storica della Campania1 L‟area della Campania odierna è sempre stata una regione densamente popolata, già nell‟età preistorica. Oggi l‟incontestato centro gravità della regione è Napoli, ma non è sempre stato così. Prima della seconda metà del „200 – cioè quando Carlo d‟Angiò ha stabilito la capitale a Napoli – erano le altre città che si imponevano. Nel IX secolo a.C., Capua, città etrusca, (ora Santa Maria Capua Vetere) dominava la regione. In quel periodo la popolazione etrusca si estendeva fino al sud della regione. A partire del VII secolo a.C. Capua perse d‟importanza, il che tornò a vantaggio di Cuma, una città fondata dai Greci, che si erano già insediati nell‟isola di Ischia, cui diedero il nome Pithecusa, „isola della scimmia‟. Lo stanziamento greco a Cuma si estese poco a poco verso il sud, fino a Dicearchia (l‟odierna Pozzuoli) e Partenope, un insediamento collinare (sul monte Echia) presso il mare. I Greci tendevano inoltre a non espandere il loro territorio, che si limitava a qualche insediamento sugli altopiani vicini al mare da cui erano in grado di dominare il terreno sottostante. Il Cilento, l‟area meridionale della Campania attuale, faceva invece parte del territorio lucano: la zona montuosa, che circonda le valli del Calore e del Volturno (che delimitano la provincia di Avellino e quella di Benevento) era occupata dai Sanniti e dagli Oschi. Nel 524 a.C. i Greci sbaragliarono gli Etruschi a Cuma, lasciando così la pianura aperta ai Sanniti che occupavano il territorio etrusco fino alla stessa Cuma. Allo stesso tempo Napoli diventò un centro economico di primo piano, visti i tanti rapporti commerciali con altri porti. Come ho già sottolineato, queste migrazioni di popolazioni non sono prive d‟importanza per quanta riguarda la composizione della regione attuale e i suoi dialetti. Così, il dialetto di Cilento condivide molte caratteristiche con il dialetto lucano. Nel 326 a.C. i Romani sconfissero i Sanniti e fondarono dappertutto nella regione delle città fortificate, favorendo lo sviluppo delle località circostanti. Ancora per più d‟un secolo le diverse popolazioni continuarono a parlare la propria lingua, fino a 180 a.C., quando i Greci dovettero riconoscere il prestigio del latino, facendone la lingua ufficiale a Cuma. È grazie ai Romani che la città di Napoli ha potuto evolversi come il centro della regione, tra l‟altro tramite la costruzione di una rete viaria che serviva le regioni limitrofe: la via Pompilia che collegava Capua, Nola, Nocera, Salerno fino alla Lucania; e la via Appia che passando per Capua, Benevento e Avellino collegava la capitale alle Puglie. 1 Per la parte della storia campana mi riferisco al primo capitolo «La regione e la sua storia», in: N. De Blasi, Profilo linguistico della Campania, Roma-Bari, Laterza, 2006, pp. 3-14. 33 Verso il II secolo d.C. l‟impero romano cominciò a sgretolarsi, provocando lo spopolamento della regione, la riduzione della produzione agricola e dell‟attività economica. Nel 493, la penisola era divisa in due: il nord era occupato dai Bizantini che cercavano di conquistare il sud che era in possesso dei Goti. Nel VI secolo, arrivarono nella Campania i Longobardi. L‟entroterra campano fu occupato dai Longobardi, mentre i Bizantini si erano stabiliti nel Cilento e nella zona costiera, dove occupavano Gaeta, Napoli, Amalfi. Quest‟ultima serebbe diventata più tardi una vera gran potenza marinara. Le tracce della suddivisione della regione sono ancora oggi presenti nel dialetto campano. Nel napoletano sono sopravvissute parecchie parole di origine greca, mentre nelle zone interne vari toponimi indicano una presenza longobarda anteriore. Teniamo anche presente che proprio nell‟area longobarda, cioè a Montecassino, si è sviluppata una prima forma di volgare italiano (un volgare campano), attestata nei cosiddetti Placiti Cassinesi, quattro giuramenti pronunciati tra il 960 e il 963 a Capua, a Sessa ed a Teano, riguardanti la proprietà di alcune terre nel ducato di Benevento. Nel XI secolo entrarono in Campania i Normanni, che si stabilirono soprattutto nelle città (Aversa, Capua, Salerno, Napoli), mentre Benevento entrò a far parte dei possedimenti papali. Spetta ai Normanni il merito di aver unificato la regione e di averne fissato i confini che sarebbero rimasti quelli del Regno di Napoli. Durante il regno di Enrico VI (1191-1197) la popolazione di Napoli era pari a 40.000 persone. Successivamente, Napoli fu in parte messa in ombra da Palermo, che diventò la capitale sotto Federico II, figlio di Enrico VI. Ciononostante, fu Federico II ad accordare a Napoli un certo potere politico e culturale ed a fondare a Napoli uno Studio Universitario. In questo periodo alcuni gruppi venuti dall‟Italia settentrionale si stabilirono in Campania. Ecco perché alcuni toponimi campani si richiamano alla presenza di Lombardi, ad es. Torella dei Lombardi, Guardia dei Lombardi, Sant’Angelo dei Lombardi. Quando morì l‟imperatore Federico II, furono gli Angiò a reggere il timone del regno. Il Regno di Napoli era stato infatti assegnato dal Papa a Carlo d‟Angiò. Questo incontrò la resistenza di Manfredi, figlio ed erede legittimo dell‟imperatore Federico, che fu però sconfitto nel 1266. Sotto Carlo d‟Angiò la capitale si spostò di nuovo a Napoli. Questa però non fu una buona decisione: l‟incremento demografico e l‟aggravio fiscale successivo creò un profondo divario tra la capitale e il resto della regione, disturbando il sistema feudale fondato dai Normanni, che aveva persistito fino a quel momento. Nello stesso tempo Napoli subì l‟influsso di Francia, come testimoniano i numerosi francesismi nel dialetto napoletano. 34 Nel 1442 gli Angioni dovettero fare posto al re catalano Alfonso d‟Aragona, detto il Magnanimo. È per opera di Alfonso d‟Aragona, che invitò alla corte gli umanisti più celebrati del „400 (Pontano, il Panormita, Lorenzo Valla), che Napoli prese parte al dibattito umanistico nel XV secolo. In questo periodo tuttavia la cancelleria si servì del latino e del catalano, non dell‟italiano. La vita culturale si intensificò ancora sotto il regno di Ferdinando I con la letteratura popolaresca e dialettale, e dunque italiana, di alcuni gentiluomini napoletani. Abbastanza popolare furono anche i gliòmmeri (le frottole2), e le farse3. Alla fine de XV secolo, comunque, con l‟Arcadia di Iacopo Sannazzaro (1504), la norma toscana raggiunge anche Napoli4. Contemporaneamente Napoli avanzava sempre più come gran potenza commerciale. Napoli esercitava una forte attrazione su commercianti di ogni sorta. Questi si stabilirono nella zona portuale della città, dove oggi si trovano ancora tracce di queste presenze nei nomi delle strade: rua Catalana, Loggia di Genova, Loggia dei Pisani, piazza Francese, via Giudecca. Nel 1503 entrarono nell‟Italia meridionale gli Spagnoli. In questo periodo continuò a crescere il numero degli abitanti a Napoli, che non perse la sua forza d‟attrazione, necessitando anzi di un certo ampliamento urbanistico, soprattutto per poter alloggiare l‟esercito spagnolo. Perciò, per ordine del viceré Pedro di Toledo, furono costruiti i Quartieri spagnoli. Però. Nel secolo successivo l‟Italia attravversò un periodo di fame e povertà. Nel 1607 il sistema economico spagnolo rischiò la bancarotta. Gli Spagnoli continuavano ad aumentare le tasse per sostenere la casse dello stato. Visto lo sfruttamento continuo dell‟Italia meridionale da parte degli Spagnoli, una rivolta era inevitabile. In campagna i contadini si diedero al brigantaggio e, nel 1647, quando la crisi aveva raggiunto il suo punto culminante, il popolo napoletano, sotto la guida di Masaniello, insorse contro la tirannia spagnola. Questa ribellione, però, venne presto respessa dagli Spagnoli. Oggi, vari strorici considerano lo sfruttamento spagnolo dell‟Italia meridionale nel Seicento come il germe della Questione Meridionale5. Dopo il breve regno austriaco (fino al 1734), Napoli si sottomise al dominio di Carlo III di Borbone, un re illuminista, che riportò la città di Napoli al suo antico splendore. Carlo III impiegò molti capitali spagnoli per la modernizzazione e il rinnovamento culturale della città: 2 Frottola: «Composizione poetica italiana di origine popolare e giullaresca in voga nel XIV e XV sec., di vario metro, spesso di senso oscuro per la presenza d'indovinelli o proverbi». (Zingarelli) 3 Farsa: «Genere teatrale, risalente al XV sec. ma vivo ancor oggi, di carattere comico e grossolano». (Zingarelli) 4 Per la letteratura napoletana quattrocentesca: B. Migliorini, Storia della lingua italiana, Firenze, Sansoni, 1960, pp. 277-280. 5 Con questo termine si intende il divario economico tra l‟Italia settentrionale che dopo il Risorgimento (1860) ha potuto industrializzarsi come il resto dell‟Europa, e l‟Italia meridionale che è rimasta, in larga misura, una società contadina. 35 per ordine suo vennero costruiti monumenti e nuove strade: la reggia di Caserta, il Teatro San Carlo a Napoli e anche un dormitorio pubblico, il cosiddetto Albergo dei Poveri. Carlo III progettò anche di rendere l‟istruzione accessibile per tutti; questo progetto però non fu messo in pratica. Durante il regno di Carlo III di Borbone Napoli si aprì anche alle idee rivoluzionarie francesi. A seguito di un moto rivoluzionario, nel 1799 fu proclamata la Repubblica partenopea. La rivoluzione partenopea fu però stroncata sul nascere perché le idee rivoluzionarie degli intelletuali non ottennero un grosso consenso presso la plebe, che rimase fedele alla monarchia. Dal 1806 fu Napoleone Bonaparte a tenere le sorti del Regno di Napoli, fino al Congresso di Vienna nel 1815 che lo consegnò di nuovo ai re Borbone. Nel primo Ottocento, mentre dappertutto in Italia germogliavano le idee di unificazione politica (anche a Napoli dove all‟Università sorgevano nuovi circoli intellettuali), la centralità di Napoli giocò un ruolo determinante sul piano linguistico. Furono l‟amministrazione e la Chiesa napoletane a diffondere tramite i documenti scritti la lingua italiana nel resto della regione. Nel 1861 il Regno di Napoli smise di essere un‟entità autonoma ed entrò a far parte del Regno d‟Italia. Cambiò così anche il nome di una parte del Regno di Napoli: fu ripristinato l‟antico nome di Campania, il nome che utilizzavano anche i Romani. Con l‟unificazione dell‟Italia, Napoli, che non era più il capitale del Regno di Napoli ma il capoluogo di una regione italiana, perse gran parte della sua forza d‟attrazione così come gran parte del suo prestigio culturale e del suo influsso politico. Diminuì anche l‟attività commerciale. Allo stesso tempo il brigantaggio diventò sempre più sistematico e si organizzò nella camorra. Lo squilibrio attuale tra nord e sud è, secondo vari storici, la conseguenza diretta della crisi seicentesca, che colpì soprattutto l‟Italia meridionale, e del peggioramento dei problemi del Mezzogiorno avvenuto durante e dopo il Risorgimento. In seguito ai problemi sociali molti giovani lasciarono l‟Italia meridionale per il Nord America. Inoltre la crisi sociale provocò anche lo spopolamento delle campagne, trasmettendo la crisi anche all‟agricoltura campana. Tutti questi sconvolgimenti hanno avuto il loro influsso sulla situazione linguistica in questa regione. La migrazione dalla campagna alle città non favorì la sopravvivenza dei dialetti campani, visto che nelle città la lingua quotidiana che si andava imponendo era l‟italiano. Si sono perdute così molte parole che si riferivano all‟agricoltura, alla viticoltura e al artigianato. 36 Anche l‟insegnamento scolastico ha giocato un ruolo di primo piano per quanto riguarda la perdita progressiva dei dialetti. Il suo scopo principale era di insegnare l‟italiano e di sopprimere il più possibile l‟uso dei dialetti ovvero di cancellarli completamente. 37 2. Toponomastica campana6 2.1 Le tante origini della toponomastica campana La seguente rassegna dei toponimi campani rende conto di tutti questi movimenti migratori in Campania durante la sua storia. I toponimi, che non sono sensibili alla variazione diacronica quanto altri elementi della lingua, testimoniano fedelmente dei contributi linguistici dei differenti invasori campani. Cominciamo col nome della regione: Campania, sarebbe di origine etrusca e si riferirebbe agli abitanti della città di Capua, che dagli Etruschi venivano chiamati Cappani e poi Campani. Di conseguenza, va da se che all‟inizio la Campania comprendeva solo l‟area intorno a Capua, il cosiddetto Terra di Lavoro. Il toponimo Capua deriva dall‟etrusco Capys, cioè „uccello rapace‟. Anche il nome del fiume Volturno, che in tempi assai remoti è stato anche il nome di Capua, sarebbe di origine etrusca. Volturno si richiama a velthur „uccello‟. Di origine osca sono: Avella < ant. Abella e Avellino < ant. Abellinum, che derivano dalla radice indeuropea *ABEL, cioè „mela‟. Di origine greca sono Cuma e Agropoli (presso Paestum), Procida < gr. prochutòs „sparso‟, Forìo < gr. Χὸ ριον „villaggio‟ e Lacco Ameno (nell‟isola di Ischia) < laccòs „fossa‟. Anche il nome del capoluogo campano è di origine greca: Napoli < gr. Νεὰ Pὸ λις, cioè „città nuova‟ per distinguerlo dal nome antica Palὲ poli, cioè „città antica‟. In Campania sono frequentissimi i toponimi di origine romana che alludono alle proprietà fondiarie, che sono composti da un nome proprio e dal suffisso di appartenenza latina -anum, ad es. Gragnano < Granius, Secondigliano < Secondilius, Marano < Marus, Calvizzano < Calvitius, Savignano < Sabinius, Sicignano < Sicinius, Giugliano < Iulius. Numerosissimi nella campagna campana sono i toponimi che si richiamano a nomi di piante, ad es. Corleto < coryletum „nocciolo‟, Faicchio < Fagetulum e Faìto (monte) < fagetum si riferiscono tutti e due al faggio, Laurito < Lauretum „bosco di lauri‟. All‟occupazione longobarda di Napoli risalgono i toponimi Sala Consilina < long. sala „la corte o l‟edificio dei signori‟, San Bartolomeo e Gallo Matese < long. wald „bosco‟. Il fatto che in processo di tempo la popolazione indigena non si rendesse più conto del significato esatto di tali prestiti longobardi è provato dal toponimo Bosco del Gaudio, la cui traduzione 6 Tutti gli esempi sono tratti dal §7 del primo capitolo capitolo «La regione e la sua storia», in: N. De Blasi, Profilo linguistico della Campania, Roma-Bari, Laterza, 2006, pp. 14-19. 38 letterale è „bosco del bosco‟. Ancora altri toponimi derivano da nomi di persone germanici, ad es. Pontelandolfo < Landulfo, Atripalda < Tripaldo. Si richiamano rispettivamente ai Bulgari e ai Sassoni i toponimi Celle in Bulgheria e Sassinoro, ai Slavi il toponimo Schiavi, che nel 1862 viene sostiuto da Liberi, perché si pensava erratamente che il vecchio nome si riferisse ad una condizione di schiavitù. 2.2 Toponomastica antica7 In questo paragrafo presenterò alcuni toponimi campani confrontandoli con le loro forme antiche, cioè con il nome che fu loro attribuito dalle popolazioni che nell‟epoca classica si erano stabilite nell‟Italia centro-meridionale. Durante il periodo augusteo, la penisola italica era divisa in undici Regioni. Questa reorganizzazione amministrativa fu instaurata dall‟imperatore Augusto nel 7 d.C.. Ovviamente le frontiere delle Regioni dell‟Italia augustea non corrispondevano a quelle attuali, ma rispettavano le aree abitate dalle popolazioni indigene. Per quanto riguardava Campania, il suo territorio corrispondeva più o meno alla parte meridionale della I Regione (Latium et Campania). Le due altre parti della I Regione costituiscono oggi la regione di Lazio. Quest‟area era prima abitata dagli Aurunci, gli Alfaterni, i Picenti, i Pentri (un popolo sannitico) e i Sidicini, che parlavano tutti la lingua osca. L‟area della Campania al sud del Sele faceva parte della III Regione (Lucania et Bruttii) è fu abitata dai Lucani, un popolo del tipo osco. Una zona che ricopre in grande parte la provincia di Avellino, e in parte minore quella di Benevento, era abitata dagli Irpini, anche loro una popolazione osca (sannitica). 2.2.1 L’osco Come vedremo anche nell‟analisi di alcuni toponimi particolari che figurano nella Naturalis Historia di Plinio il Vecchio, di tutti i sostrati prelatini sembra quello osco di aver marcato il più la toponomastica campana. È dunque il sostrato osco che merita ancora una volta la nostra attenzione particolare. 7 Per il paragrafo introduttivo mi riferisco a: D. Detlefsen, Quellen und Forschungen zur alten Geschichte und Geographie, ed. W. Sieglin, Leipzig, Verlag von Eduard Avenarius, 1901. 39 2.2.1.1 I Sanniti8 Attorno al V secolo a.C. le tribù italiche attraversarono le montagne sannitiche e raggiunsero la pianura campana. Gli Etruschi di Capua, impreparati all‟arrivo dei nuovi nemici perché coinvolti in una lotta con la popolazione indigena, furono le prime vittime della marcia sannitica. In Campania i Sanniti accolsero elementi etruschi - e dunque in maniera indiretta anche elementi della popolazione opica indigena - e certi elementi provenienti della cultura greca. Tutti questi i componenti concorsero quindi a costituire l‟identità campana - già abbastanza diversa da quella originale sannitica. La popolazione sannitica in Campania non potè mai organizzarsi e rimase sparsa durante tutto il IV secolo. I Sanniti si disposero in piccoli stati: il territorio dei Sidicini, la lega campana, la federazione di Nola, quella di Abella e quella di Nocera. Nel 341 a.C. la lega campana, di cui il potere fu centralizzato a Capua, invocò il soccorso dei Romani contro i Sanniti del Sannio, che cercarono di assaltare i Sidicini. Così, dal tempo della prima guerra sannitica, la storia romana rimase inestricabilmente legata a quella sannitica. Con l‟approvazione dell‟aristocrazia sannitica (ad es. nei casi di matrimoni misti), varie famiglie romani si stabilirono in Campania. Quando il partito aristocratico e proromano dovette infine cedere il passo a quello democratico ed antiromano, la città di Capua insorse contro Roma, ma fu rapidamente sconfitta nel 338 a.C. Cionondimeno la città di Capua conservò una certa autodeterminazione: Roma, infatti, non le tolse il diritto di battere moneta. Sono tra l‟altro propriamente i conii sulle monete osche che ci hanno procurato dei dati che, dal punto di vista linguistico, e soprattutto al livello degli studi toponomastici, non sono meno interessante di quelli che ci presentano i graffiti o le iscrizioni. Sulle monete osche troviamo coniati ad esempio i toponimi9: allibanon, alliba, alifha, allifanwne alifa (Allifae, l‟attuale Alife nella provincia di Caserta), akudunniad (Aquilonia, l‟odierna Lacedonia nella provincia di Avellino), aderl (Atella, l‟odierna Castellone di Sant‟Arpino), benuentod-proprom e 8 Per la parte storica sui Sanniti mi riferisco a: A.L. Prosdocimi, «L‟osco», in: id., Lingue e Dialetti dell’Italia antica, Roma, Biblioteca di Storia Patria, 1978, pp. 845-846. 9 Per la moneta osca mi riferisco a: V. Pisani, Le lingue dell’Italia antica oltre il latino, Torino, Rosenberg & Sellier, 1953, pp. 102-106. 40 L(Benevento, nella provincia omonima), kaiatinum (Caiatia, l‟odierna Caiazzo nella provincia di Caserta), le forme kampanom, kampano e kappano(Campani, nomi con cui qui si intende la popolazione e non la regione), kapv (Capua, l‟attuale Santa Maria Capua Vetere nella provincia di Caserta), nuvkrinum alafaternum – egvinum num, nuvkirinum alaf[ate]rnum e nuvirkum alavfum (Nuceria Alfaterna, l‟attuale Nocera Superiore nella provincia di Salerno), tíanud – sidikinud, tianud – sidikinud, tiia ud – [s]idikinud e tiano (Teanum Sidicinum, l‟odierna Teano nella provincia di Caserta), tedis (Telesia, attualmente situato presso San Salvatore Telesino nella provincia di Benevento). Nei capitoli che seguono cercheremmo di spiegare l‟elemento osco nei toponimi sopraelencati. Fino al 216 a.C. i capuani si piegarono al dominio romano. Con lo sgretolarsi del partito aristocratico però, il partito democratico-popolare assunse pieni poteri ed incitò i capuani all‟insurrezione contro Roma. La loro intenzione non era di semplicemente scuotere il giogo romano, ma anche di imporre la propria autorità sull‟antico dominatore. Perciò, loro fu prestato soccorso da Annibale. Ciononostante la rivolta sannitica fu sedata quasi sull‟istante. Nel 211 a.C. Capua si arrese, e uscì dal conflitto con i Romani con la testa rotta: perse per sempre ogni diritto di autodeterminazione. 2.2.1.2 La lingua osca11 L‟osco fa parte delle lingue italiche. Esse vengono ripartite generalmente in due famiglie: il gruppo latino-falisco (al quale appartiene il latino) e quello osco-umbro. Questi due gruppi si erano già separati prima della loro entrata nella penisola italica. Anche il gruppo osco-umbro si suddivide in due sottogruppi12: (a) l‟umbro è il dialetto più settentrionale, attestato soltanto nelle tavole iguvine (7 tavole bronzee scoperte nel 1444 a Gubbio). Il testo, venti pagine di prescrizioni di preghiera scritto tra il I e il III secolo a.C., è stato redatto parzialmente in alfabeto etrusco e parzialmente in alfabeto latino. 10 Si noti che anche gli Oschi si servivano dell‟alfabeto greco. Il nome benuentod-proprom è di origine latina e dunque più recente del toponimo originale osco L. (cfr. infra) 11 Le informazioni e gli esempi sulla lingua osca sono tratti da E. Roegiest, Vers les sources des langues romanes, Leuven, Acco, 2005, pp. 15-18. 12 Anche il dialetti sabellici e il dialetto dei Sabini appartengono al gruppo osco-umbro e occupano linguisticamente una posizione intermedia tra le due lingue. 41 (b) l‟osco era il dialetto dei Sanniti, a cui appartenevano i Caudini, gli Irpini, i Pentri e i Carnicini; era ugualmente la lingua degli Opici, degli Aurunci e dei Sidicini. Il territorio dei Sanniti si estendeva da Lazio alla Campania13. Si conosce l‟osco solamente tramite le iscrizioni scoperte in Campania (cfr. la legge municipale della città di Bantia) stese in un particolare alfabeto. Tutte le attestazioni dell‟osco risalgono al periodo tra il III secolo a.C. e il I secolo d.C. (l‟osco perse gran parte del suo prestigio colle guerre sociali del 88 a.C.): alcuni dei graffiti scoperti a Pompei - non più tardi del 79 d.C., data dell‟eruzione del Vesuvio - erano redatti in osco, ad es. le sette linee iscritte su una lastra di travertino scoperta a Pompei che si riferiscono all‟edificazione di un portico14: v.aadírans.v.eítuvam.paam vereiiaí.púmpaiianaí.trístaa mentud.deded.eísak.eítiuvad v.viínikiís.mr.kvaísstur.púmp aiians.trííbúm.ekak.kúmben nieís.tanginud.úpsannam. deded.ísídum.prúfatted „V. Adiranus V. f. pecuniam quam / iuventuti Pompeianae testa / -mento dedit, ea pecunia / V. Vicinius Mr. f. quaestor Pomp / -eianus aedificium hoc conven / -tus sententia faciendum / dedit, idem probavit‟15 Il dialetto osco si distingue dagli altri con i tratti seguenti16: (b) Contrariamente al latino, le consonanti aspirate indeuropee diventano delle fricative nel dialetto osco: bh, dh > f , ad es. tefe „tibi‟, alfu „albus‟ (cfr. Nuceria 13 Cfr. Carta I. Lastra di travertino (alt. 410 x 760; sp. 40) con iscrizioni di sette linee; attualmente nel Mus. Naz. Di Napoli (Inv. N. 2542), tratto da: A.L. Prosdocimi, «L‟osco», in: id., Lingue e Dialetti dell’Italia antica, Roma, Biblioteca di Storia Patria, 1978, p. 870. 15 Traduzione in latino tratta da: V. Pisani, Le lingue dell’Italia antica oltre il latino, Torino, Rosenberg & Sellier, 1953, p. 58. 16 E. Roegiest, Vers les sources des langues romanes, Leuven, Acco, 2005, pp. 16-18. 14 42 Alfaterna, l‟odierna Nocera Superiore), rufru „ruber‟ (cfr. Rufrae, l‟odierna Presenzano), prufatted „probavit‟, mefiai „mediae‟, ecc. (c) I suoni labiovelari protoitalici, che rimangono conservati in latino, perdono il tratto velare in osco: qu e gu seguiti da vocale > p e b, ad es. pid „quid‟, petur „quattuor‟, pispis „quisquis‟, nep „neque‟, kumbened „conuenit‟, biuus „uiuus‟, «eisei terei nep Aballanus nep Nuvlanus pidum tribazakattins» „in eo territorio neque Abellani neque Nolani quidquam aedificauerint‟. (d) Assimilazione: nd > nn, mb > mm, ad es. upsannam „opusandam‟, pihaner „piandi‟, ecc. (e) Dissociazione del nesso consonante + liquida, ad es sakarater „sacra‟, alafis „albus‟, aragetu „argento‟, Atella (Castellone di Sant‟Arpino) < osc. Aderla < *Atrola „nero‟, ecc. Il passaggio di parole osco-umbre al latino è anche dovuto alla forte simbiosi nel periodo arcaico tra le differenti popolazioni di Roma, che in questo tempo era una città trilingue: vi si parlavano il latino, l‟osco-umbro (il dialetto della popolazione sabina) e l‟etrusco. Al dialetto osco-umbro dei Sabini risalgono i fenomeni seguenti17: (a) una l in alcune parole in cui ci si avrebbe aspettato una d: ad es. lingua < lat. ant. dingua, lacrima < gr. , olere/odor, Capitolium/Capitodium, solium/sedere, impelimenta/impedire, Ulixes/Odysseus, ecc. (b) la f intervocalica: ad es. bufalus/bubalus, sifilare/sibilare, scrofa/scroba, tufer/tuber, *tafanus/tabanus, *bufulcus/bubulcus, *octufer/october, *glefa/gleba. (c) Parole come bos (invece di uos), lupus (invece di lucus). (d) Il mantenimento della s intervocalica in ad es. casa, asinus, ecc. (e) Monottongazione di au > o, ad es. cauda > coda. (f) Pronuncia diversa di [k] davanti a a, o/u e e/i che spiega nel medesimo tempo le diverse grafie osche: rispettivamente k, q e c. (g) Esitazione tra i vocali o (sabina) ed u (latina), i (sabina) ed e (latina), ad es. longus/lungus, firmus/fermus. 17 E. Roegiest, Vers les sources des langues romanes, Leuven, Acco, 2005, p. 19. 43 2.2.2 Naturalis Historia18 Gli esempi presentati in questo paragrafo, il cui scopo è fornire un quadro generale del mosaico costituito dai toponimi antichi dell‟area campana, sono tutti tratti dal Naturalis Historia di Plinio il Vecchio (23 d.C. -79 d.C.). Nel terzo libro (dei 37) Plinio descrive la situazione geo- ed etnografica dell‟Europa occidentale. Una parte abbastanza elaborata, rispetto alle altre, tratta della costellazione etnografica e della condizione geografica della penisola italica. Di seguito riporto per ogni toponimo tutte le informazioni necessarie per situarlo in un quadro etno- e geografico: il nome latino, il nome attuale (fra parentesi ho messo, in forma abbreviata19, il nome della provincia in cui si trova oggi) e i nomi delle popolazioni prelatine che vi s‟erano insediate. Va però detto che la lista di toponimi antichi riportata di sotto è soltanto una selezione20 e che non tutti i toponimi dell‟area campana che occorono nel testo di Plinio sono stati analizzati. Parimenti è stata tralasciata l‟impronta latina sulla toponomastica campana, dato che non costituisce un tratto particolare di quest‟area. «Aliud miraculum: a Cerceiis palus Pomptina est, quem locum XXIII urbium fuisse Mucianus ter consul prodidit. Dein flumen Ufens, supra quod Terracina oppidum, lingua Volscorum Anxur dictum: et ubi fuere Amyclae, a serpentibus deletae. Dein locus speluncae, lacus Fundanus, Caieta portus. Oppidum Formiae, Hormiae prius olim dictum: ut existimavere, antiqua Laestrigonum sedes. Ultra fuit oppidum Pyrae: colonia Minturnae, Liri amne divisa, Clani appellato. Oppidum Sinuessa, extremum in adjecto Latio, quam quidam Sinopen dixere vocitatam». (III, 9, 6) Caiatia Clanius Caiazzo Sanniti / Il toponimo si confonde con Calatia che risale ad un (CE) Sidicini Regi sostrato mediterraneo *kala- 'collina'. Lagni Aurunci / I studiosi immaginano una radice clan-/glan- che 18 Il testo è tratto da: Pline, Histoire Naturelle, avec la traduction de M.E. Littré, a cura di M. Nisard, Parigi, Firmin-Didot et Cte, libraires, 1877, pp. 163-172. 19 Le abbreviazioni usate sono: CE (Caserta), NA (Napoli), SA (Salerno), AV (Avellino) e BN (Benevento). 20 Le selezione dei toponimi e la loro analisi sono quelle di Antonio Sciarretta in Toponomastica dell’Antichità, consultabile su [http://digilander.libero.it/toponomastica/ancient-topo.html]. Dello stesso autore sono stati pubblicati: Toponomastica della Maiella orientale, Ortona, Edizioni Menabò, 1997; «Toponomastica del versante aquilano del Gran Sasso: la montagna di San Franco, la montagna della Ienca ed il Pizzo di Camarda, la montagna di Assergi, la montagna di Filetto», in: Bollettino del CAI dell’Aquila, L‟Aquila, 1995-1999; Toponomastica della riserva naturale Monte Genzana ed Alto Gizio, Pettorano sul Gizio, 2000; «La toponomastica», in: Guida turistica della Comunità montana Campo Imperatore e Altopiano di Navelli, Ortona, Edizioni Menabò, 2000. 44 (fiume) (CE/NA) Ausoni dovrebbe significare approssimativamente qualcosa come „fango, muco‟. Però, alcuni toponimi analoghi come Clanis (Etr./Laz.) derivano dall‟IE *g‟hel„sfavillare verde, oro, azzurro‟ > *g‟hle, in conformità col preteso sostrato liguro-sicano *gh>k. Il corso inferiore del Clanius riceve più tardi il nome Liternus. Sinuessa Cellole (CE) Aurunci < IE *sein- < *sei- 'essere umido, gocciolare' + *wed-sa < *(a)ued- 'acqua' «Hinc felix illa Campania est. Ab hoc sinu incipiunt vitiferi colles, et temulentia nobilis succo per omnes terras inclyto, atque (ut veteres dixere) summum Liberi Patris cum Cerere certamen. Hinc Setini et Caecubi protenduntur agri. His junguntur Falerni, Caleni. Dein consurgunt Massici, Gaurani, Surrentinique montes. Ibi Laborini campi sternuntur, et in delicias alicae populatur messis. Haec littora fontibus calidis rigantur: praeterque caetera in toto mari conchylio et pisce nobili adnotantur. Nusquam generosior oleae liquor: et hoc quoque certamen humanae voluptatis. tenuere Osci, Graeci, Umbri, Thusci, Campani». (III, 9, 7-8) *Falernum Zona Massicus (monte) < IE *fal- „chiarificazione‟ < *bhel- settentrionale „brillante, bianco‟ della Il toponimo si collega con Falerio (Picenum) provincia Cales Aurunci di e Falerii (Etruria). La -f iniziale fa supporre Caserta un‟influenza italica. Calvi Risorta Aurunci < IE *kal- < *kel-/*kwal- 'macchiato' > (CE) „fango, argilla' Mássico (CE) Aurunci < lat. massa „massa‟, nel senso arcaico di „podere‟. Massa: «Riunione di poderi e case rurali in una specie di amministrazione, comune con originaria propria dell'alto Medioevo, di cui resta traccia in taluni toponimi: Massa Marittima; 45 Massalombarda»21. Gaurus Barbaro Campani (monte) (NA) Surrentum Sorrento (SA) Alfaterni *gau- „alterigia‟ Picenti Leboriae < greco gauroj „alto, superbo, fiero‟ < IE / < greco surrέw 'io straripo di, trabocco di' (quest'etimo spiega il nesso -rr-) un‟area nella Campani < IE *(s)leib- „scivoloso‟ con il tratto osco provincia *ei>e di Napoli Il nome si riferisce presumibilmente all‟umidità dell‟area. «in ora Savo fluvius: Vulturnum oppidum cum amne, Liternum, Cumae Chalcidensium, Misenum, portus Baiarum, Bauli, lacus Lucrinus et Avernus, juxta quem Cimmerium oppidum quondam. Dein Puteoli colonia Dicaearchia dicti: postque Phlegraei campi, Acherusia palus Cumis vicina» (III, 9, 9) Savo (fiume) Savone (CE) Aurunci < IE *seu- „liquido, succo‟ che tramite la forma liguro-sicana *sav- risulta in Savo Volturnus Volturno Campani Volturno si collega con il toponimo Capua, di (fiume) cui era l‟antico nome. Ambedue significano „uccello rapace‟ (cfr. Santa Maria Capua Vetere). Si suppone che derivi dall‟etrusco velthur < IE *gwletur- „avvoltoio‟. Plutarco lo chiama Olotronus „fiume meandrico‟ < IE *uel(e)- „curvare‟ + il suffisso autoriale *ter-. Liternum 21 Giugliano in Campani La radice indeuropea Campania risulterebbe in osc. *leudh- 'popolo' *Louferno- e lat. Le opere Zanichelli in Cd-Rom, Bologna, Editore Zanichelli S.p.A, 1996-2006. 46 (NA) *Liderno, si presume dunque un terzo strato dei cosiddetti Opici22 (o nel senso più largo il strato dei Liguro-Sicani) in cui *dh>t. Un'altra ipotesi propone la radice IE *(s)lei 'rovesciare/scivoloso'. Liternus Regi Lagni Campani (fiume) (NA) Literna Patria (NA) Cfr. Liternum Il Liternus è il corso inferiore del Clanius. Campani Cfr. Liternum (palude) Cumae Misenum Cuma di Campani < greco Kύmη (luogo nell'antica Eolide) Pozzuoli Cuma è stata colonizzata dagli abitanti (NA) dell'isola d'Ischia (Pithecusa). Miseno di Campani Bacoli (NA) Il toponimo deriva dal nome del personaggio mitologico greco Misenus, un trombettiere troiano (in Virgilio) Baiae Baia di Campani Etimo sconosciuto Bacoli (NA) Bauli presso Bacoli Campani Sono state avanzate due distinte ipotesi: (NA) 1. < greco per „stalla per le mucche‟ < bouj „vacca‟ + aύlἠ v „stalla‟ 2. < IE *beu- „crescere, gonfiare‟ con riferimento alla collina su cui era situato il borgo. La forma Bauli è un diminutivo plurale. Lucrinus Lucrino (NA) Campani Lucrinus < Luca (Etruria) < IE *leuk„chiaro, sfavillare, vedere‟. Il cambiamento o (lago) estensione semantica in IE da „chiaro‟ a „palude/lago‟ proviene dalla similitudine tra una palude e un luogo aperto in un bosco. Avernus (lago) Averno (NA) Campani < IE *(a)uer- „acqua, pioggia, flusso‟ Una spiegazione popolare dell‟idronimo 22 Antonio Sciarretta, in: Toponomastica dell’Antichità, propone la derivazione seguente: Opici (popolo osco): Osci < *Op-sci. (consultabile su [http://digilander.libero.it/toponomastica/ancient-topo.html]). 47 parte dal greco *aornos „senza uccelli‟. Puteoli Pozzuoli Campani < lat. putere 'puzzare' (cfr. dagli odori sulfurei23) o puteus 'fonte' (NA) Pozzuoli è stata fondata dagli abitanti di Samo e si chiamava originariamente Dicearchia 'la città dove regna la giustizia'. Phlegraei Campi Campi Flegrei (NA) Acherusia Fusaro (NA) (palude) Campani < greco Campani Acherusia oj 'fiammeggiando' si riferisce ad Ἀ cέ rwn (Acheronte), il nome del fiume infernale nella mitologia greca. Questo nome è stato attribuito alla palude dai coloni greci di Cuma. «Littore autem Neapolis Chalcidensium et ipsa, Parthenopea a tumulo Sirenis appellata: Herculanium: Pompeii haud procul spectante monte Vesuvio, alluente vero Sarno amne: ager Nucerinus: et novem millia passuum a mari, ipsa Nuceria». (III, 9, 9) Neapolis Parthenope / Napoli (NA) Campani < greco Νεάπολις 'città nuova', Parθenό pη è il nome di una Sirena. Napoli è stata fondata dai Cumani presso Palὲ poli 'città vecchia'. Herculaneum Ercolano (NA) Pompeii Pompei (NA) Campani < greco Ἡ rά kleiᾰ (città nella Magna Graecia) < Hercules Campani < osco *pompe 'cinque' < IE *penkwe 'cinque' con riferimento ai cinque borghi di cui la città di Pompei era composta. Vesuvius Vesuvio (monte) (NA) Sarnus (fiume) Sarno Campani < IE *aues- „sfavellare‟ o IE *eus- „bruciare‟ Campani < IE *ser- „colare‟ 23 Pozzuoli si trova nella zona vulcanica della Solfatara, dove le caratteristiche fumarole emettono fumi che odorano (puzzano!) di zolfo. 48 (NA) + un suffisso aggettivale -rnus Il vocalismo *e>a è attribuito al sostrato ligurosicano delle coste tirreniche (illirico). Nuceria Nocera Alfaterni Nuceria < osco-umbro *noukria < *nouk- < IE Alfaterna Superiore / Picenti (SA) *neu- 'nuovo' + *okr- < umbr. ocar 'pendío roccioso' (cfr. lat. ocris 'altezza'); Alfaterna < osco alfu < IE *albho „bianco‟ + -teria „parcella‟ < IE *(s)ter- „saldo‟ o *ters„arido‟, „sete‟ «Intus coloniae: Capua ab campo dicta, Aquinum, Suessa, Venafrum, Sora, Teanum Sidicinum cognomine, Nola. Oppida: Abellinum, Aricia, Alba Longa, Acerrani, Allifani, Atinates, Alterinates, Anagnini, Atellani, Affilani, Arpinates, Auximates, Avellani, Alfaterni: et qui ex agro Latino, item Hernico, item Labicano cognominati: Bovillae, Calatiae, Casinum, Calenum, Capitulum Hernicum, Cereatini qui Mariani cognominantur: Corani a Dardano Trojano orti: Cubulterini, Castrimonienses, Cingulani: Fabienses, in monte Albano: Foropopulienses, ex Falerno: Frusinates, Ferentinates, Freginates, Fabraterni Veteres, Fabraterni Novi, Ficolenses, Foroappii, Forentani, Gabini: Interamnates Succasini qui et Lirenates vocantur: Ilionenses, Lanivini, Norbani, Nomentani, Praenestini, urbe quondam Stephane dicta, Privernates, Setini, Signini, Suessulani, Telini, Trebulani cognomine Balinienses, Trebani, Tusculani, Verulani [...]» (III, 9, 11) Capua Santa Maria Campani 1. < lat. campus 'campo' Capua 2. < lat. caput 'capitale' Vetere (CE) 3. < sann. Capya (nome del capo sannitico a 423 a.C.) 4. < etr. capu 'avvoltoio' Anche il nome della regione stessa deriva da Capua: Campania < kampano < kappano < kap-uano < Capua Suessa Sessa Aurunca Aurunca Aurunci < IE *sued-sa < *suedh- (assensa del tratto osco *dh>f ) < *se-/*s(e)ue- „se‟ (pron.rifl) > „il nostro‟ (CE) 49 Teanum Teano (CE) Sanniti / < osco *teia-no (cfr. il tratto osco *ei>e) < IE Sidicini Sidicinum *(s)tei- 'aguzzo' probabilmente con riferimento ad una collina appuntita. Nola Nola (NA) Campani < osco núvla- < *Nuvela < IE *nouo-la- < IE *neuos 'nuovo' Abellinum Atripalda Irpini Appellativo osco, diminutivo di Abella. Protropi (AV) Acerrae Acerra (NA) Campani 1. < IE *akwa- 'acqua/fiume' 2. Più presumibilmente Acerra deriva dal lat. acerrae 'cassetta da incenso'. Allifae Alife (CE) Sanniti / < IE *Alliba(e) (cfr. IE *bh>b) probabilmente di Sidicini origine opica con l‟intervento dell‟Osco Allifae < Allibae (cfr. osc. *bh>f). Il toponimo è composto dal osc. alnus 'ontano' < IE *el- 'rosso' + il suffisso collettivo *-dha-/*-bha-. Atina Atena Lucani Lucana (SA) Per questo toponimo possono essere avanzate diverse ipotesi: 1. < lig. atina 'olmo'; 2. < prelat. attinae 'pietra di confine' Aletrium Calitri (AV) Irpini < IE *al- „crescere‟, „allattare/alimentare‟ o IE *al„macinare‟ + il suffisso IE *-ter- che indica un autore. Il dizionario di toponomastica dell‟UTET suppone la radice pre-IE *galatro- „una specie di erba‟ Atella Castellone di Campani < osco Aderl(a) < *Atrola 'nero' (cfr. lat. ater) Sant'Arpino (CE) Abella Avella (AV) Irpini Avella < *abel-na „città delle mele‟ in riferimento alla forma di una collina. La radice IE ricostruita per mela è *abel-. Alfateria non Alfaterni < osco alfu < IE *albho „bianco‟ identificato / Picenti (SA) + -teria „parcella‟ < IE *(s)ter- „saldo‟ o *ters„arido‟, „sete‟ 50 Galazze Calatia di Campani cfr. Cales Maddaloni (CE) Cubulteria presso Sanniti / < IE *keub- „cavità‟ < IE *keu „piegare‟ Alvignano Sidicini „arido‟, „sete‟ (CE) Calabricito Suessula di + -teria „parcella‟ < IE *(s)ter- „saldo‟ o *ters- Campani < osco *suessa (cfr. Sessa Aurunca) Acerra (NA) San Telesia Irpini < IE *tel(e)- „piano/piatto‟, „pianura‟ Salvatore Secondo i linguisti dell‟UTET il toponimo sarebbe Telesino di origine preindeuropea. (BN) Trebula Treglia di Sanniti / < osco triibum 'casa, edificio' o Umbro tremnu Balliensis Pontelatone Sidicini (CE) 'tabernaculo' che derivano tutti e due dal IE *treb'edificio, capanna' «In prima regione praeterea fuere: in Latio clara oppida, Satricum, Pometia, Scaptia, Pitulum, Politorium, Tellene, Tifata, Caenina, Ficana, Crustumerium, Ameriola, Medullia, Corniculum, Saturnia, ubi nunc Roma est [...]» (III, 9, 16) Tifata (monte) Tifata (CE) Campani L‟oronimo si collega con i nomi osco-umbri Tifernus (fiume, Sannio) e Tifernum (Umbria). Si presume un appellativo osco *tifa „colline‟ (cfr. lat. teba). Cfr. Tifata in Plinio, con riferimento alle rovine di una città latina. «Ita ex antiquo Latio LIII populi interiere sine vestigiis. In Campano autem agro Stabiae oppidum fuere usque ad Cn. Pompeium L. Catonem Consules, pridie Kalend, Maii. quo die L. Sylla legatus bello sociali id delevit, quod nunc in villam abiit. Intercidit ibi et Taurania. Sunt et morientis Casilini reliquiae. Praeterea auctor est Antias oppidum Latinorum Apiolas captum a L. Tarquinio rege, ex cuius praeda Capitolium is inchoaverit. 51 A Surrento ad Silerum amnem triginta millia passuum ager Picentinus fuit Tuscorum, templo Junonis Argivae ab Jasone condito insigini. Intus oppidum Salerni, Picentia». (III, 9, 17) Stabiae Castellammare Campani < IE *steb(h)- 'pilastro, poggiare' < *sta 'stare' di La -b- proviene dallo strato osco, la forma con una Stabia (NA) Taurania -bh- sarebbe di origine opica. Alfaterni 1. < lat. taurus „toro‟ (cfr. osc. tauro- e umbr. Presso Pagani (SA) / Picenti turu-) 2. < medit. *tauro- „montagna‟ (cfr. Torino) Casilinum Capua (CE) Campani < IE dal nome proprio *Kasi-lo- < *k'as 'griggio' + il suffisso di appartenenza latino -ino Picentia Picenza di Alfaterni Il nome deriva dai Piceni/Picenti, il popolo a cui i Pontecagna- / Picenti Romani consegnarono quest'area in 268 a.C. no-Faiano (SA) Salernum Salerno (SA) Alfaterni < IE *sal- 'sale/acqua salata' / Picenti Secondo altri il toponimo risale ad un sostrato mediterraneo *sala 'canale' con il suffisso -ernche sarebbe tipico per questo per questo sostrato. «A Silaro regio tertia, et ager Lucanus Bruttiusque incipit: nec ibi rara incolarum mutatione. Tenuerunt eam Pelasgi, Oenotrii, Itali, Morgetes, Siculi, Graeciae maxime populi: novissime Lucani Samnitibus orti duce Lucio. Oppidum Paestum, Graecis Posidonia appellatum: sinus Paestanus: oppidum Elea, quae nunc Velia. Promontorium Palinurum: a quo sinu recedente trajectus ad columnam Rhegiam centum M. pass. Proximum autem huic flumen Melpes: oppidum Buxentum, Graece Pyxus: Laus amnis: fuit et oppidum eodem nomine. [...] In peninsula fluvius Acheron, a quo oppidani Acherontini». (III, 10, 1-2) Silarus (fiume) Sele (SA) Alfaterni Picenti / < *seil- (di possibile origine illirica) < IE *sei„essere umido, gocciolare‟ + il suffisso -arus 52 Elea / Velia Casal Velino Lucani < greco Ἐ lέ a (Velia in latino) deriva dal nome (SA) di una fonte < gr. Hyele < *Vel- < IE *au(e)„acqua‟ Cfr. Venilus e Velia in Sannio e la radice etrusca veli- „fonte‟ Palinurum Palinuro Lucani (SA) Melpes Lambro (SA) Secondo Virgilio il toponino prende nome da Palinurus, un compagno di Enea. Lucani (fiume) 1. < mediterr. *melf-/melp- „fango‟ 2. < IE *melbh- che risulta in melf- nelle lingue italiche orientali (cfr. *Melfa in Puglia) e in melp- nelle area che hanno subito l‟influsso del sostrato liguro-sicano. Melpes Mingardo (fiume) (SA) Buxentum Pyxus Lucani / Policastro di Lucani Santa Marina (SA) Cfr. Melpes (Lambro) < greco j < pύ xoj „bosso‟ + -ountos (suffisso collettivo). Il nome Buxentum è presumibilmente una traduzione latino buxus. Buxentum è stato fondato dai Sibariti. (Sibari è un‟antica colonia greca in Calabria fondata nel 720 a.C.) «In Puteolano autem sinu Pandateria, Prochyta: non ab Aeneae nutrice, sed quia profusa ab Aenaria erat. Aenaria a statione navium Aeneae, Homero Inarime dicta, Graecis Pithecusa, non a simiarum multitudine (ut aliqui existimavere), sed a figlinis doliorum. Inter Pausilypum et Neapolim Megaris: mox a Surrento octo millibus passuum distantes, Tiberii principis arce nobiles Capreae, circuit XI millium passuum» (III, 12, 3) Prochyta Procida (NA) Greci Il nome deriva dall'antica credenza che l'isola di Procida fosse stata creata con la materia emessa dal condotto vulcanico del Vesuvio. Il che spiega l'etimo dal greco Pro tη 'sparso'. 53 Pithecusa / Ischia (NA) Inarime / Greci Vista la completa assenza di questi animali sull'isola, già Plinio riteneva impossibile la derivazione dal greco pi ηkoj 'scimmia'. Più Aenaria presumibilmente sarebbe l'origine greca pikoj 'brocca, boccia'. Ciononostante anche il nome etrusco dell‟isola Inarime 'scimmia' (cfr. nome utilizzato da Omero) si richiama a questo animale < *arim- 'scimmia'. Fa eccezione il nome latino Aenaria che si riferisce alla legenda omonima. Capreae Capri (NA) Greci 1. < grec. κάπρος, 'cinghiale'; 2. < etr. capra 'sepoltura'; 3. < lat. capra 'capra'. «Colonia autem una, quae vocatur ad turrim Libysonis. Sardiniam ipsam Timaeus Sandaliotim appellavit ab effigie soleae, Myrsilus Ichnusam a similitudine vestigii. Contra Paestanum sinum Leucasia est, a Sirene ibi sepulta appellata. Contra Veliam, Pontia et Iscia24, utraeque uno nomine Oenotrides, argumentum possessae ab Oenotris Italiae. Contra Vibonem parvae, quae vocantur Ithacesiae, ab Ulyssis specula». (III, 13, 3) Leucosia Licosa Lucani < greco λεσκός „bianco‟ o „chiaro‟ col senso di „senza alberi‟. Secondo Plinio la Sirena Leucosia (SA) ha prestato il suo nome all‟isola. All‟inizio il toponimo designava probabilmente anche Punta Licosa. Isacia sparita Lucani (SA) < IE *eis- „agitare‟ + IE *akwa- „acqua‟ = „l‟isola al fiume rapido‟ (il fiume sarebbe in questo caso l‟Alento) 24 Si evita la confusione con l‟isola d‟Ischia. 54 «In ea ora flumina innumera, sed memoratu digna a Locris Sagra et vestigia oppidi Caulonis, Mustiae, Consilinum castrum, Cocynthum, quod esse longissimum Italiae promunturium aliqui existimant». (III, 15, 1) Consilinum Padula (SA) Lucani Etimo sconosciuto L‟elemento cons- potrebbe significare „confluenza‟. «Mediterranei Bruttiorum, Aprustani tantum: Lucanorum autem, Atenates, Bantini, Eburini, Grumentini, Potentini, Sontini, Sirini, Tergilani, Ursentini, Volcentani, quibus Numestrani iunguntur». (III, 15, 3) Eburum Eboli (SA) Lucani Deriva dall‟appellativo osco legato al nome gallico eburos „tasso‟ < IE *ereb(h)- „una specie di colore scuro‟. Vanno osservate la metatesi *ereb(h)- > eburos e l‟assenza dell‟aspirazione *bh>f tipica per l‟Osco. *Sontia Sanza (SA) Lucani In assenza di un *Ae-sontia precedente, il toponimo deriva presumibilmente dal participio IE *sont„essere‟ nel senso di „vero‟ o „buono‟. Ursentum Caggiano Lucani Il toponimo risale ad una forma osca derivata dal sostantivo latino ursus „orso‟ < IE *rek‟sos „orso‟. (SA) L‟uscita -entum deriva dal suffisso collettivo IE *uent „pieno di‟. Alcuni linguisti (UTET) prediligono la derivazione da una radice pre-IE *urs-. Volcei Buccino (SA) Lucani Il nome Velecha è stata accordata ai Volci (Etruria) e deriverebbe dalla radice IE *uelk- „luogo umido‟. Nel caso in cui l‟antroponimo è originale e il toponimo derivato, la forma *ulekwos „lupo‟ può essere all‟origine. 55 «Cetera intus in secunda regione Hirpinorum colonia una Beneventum auspicatius mutato nomine, quae quondam appellata Maleventum, Aeculani, Aquiloni, Abellinates cognomine Protropi, Compsani, Caudini, Ligures qui cognominantur Corneliani et qui Baebiani, Vescellani. Ausculani, Aletrini, Abellinates cognominati Marsi, Atrani, Aecani, Alfellani, Atinates, Arpani, Borcani, Collatini, Corinenses et nobiles clade Romana Cannenses, [...] Veretini ». (III, 16, 6-7) Beneventum Benevento Irpini (BN) Il toponimo originale osco era Maleventum. I Romani, a cui non piacque la parte iniziale, lo cambiarono in Beneventum. I linguisti dell‟UTET suppongono una radice preIE *mal- „montagna‟. Ma presumibilmente Maleventum trae origine da IE *mel- „apparire‟, „sorgere‟. + il suffisso IE *-uent- „pieno di‟, il che favorisce l‟interpretazione di Male- derivato da IE *melo„piccolo animale‟ Aeculanum Mirabella Irpini Eclano (AV) Deriva dalla radice IE *aikwo- „pianura‟. Il toponimo non presenta tratti oschi come *kw>p, si presume dunque un substrato pre-osco, probabilmente Duano25. Aquilonia Compsa Lacedonia Irpini < osco Akudunnia „acqua oscura‟ (cfr. lat. (AV) aquilus) con riferimento ad un fiume. Conza della Irpini < IE *keme- „appezzamento (di terra)‟ > *Comesa Campania > Compsa > Conza (AV) Caudium / Ponteligno di Irpini < lat. cudere < IE *kau- „tagliare‟ con riferimento Furculae Montesarchi alla gola di Furculae Caudinae. Caudinae o (AV) Altre proposte dell‟UTET non spiegano il toponimo in base a tratti oschi. 25 I Duani furono un‟antico popolo pugliese. 56 2.2.3 Altri autori L‟esemplarità della Naturalis Historia non toglie che anche i testi di altri autore possano fornire la materia per uno studio di toponomastica antica: Virgilio, Cicerone, Orazio, ma soprattutto i geografi greci Strabone ( φί α) e Tolomeo (Γεω φί α) e l‟istoriografo Tito Livio (Ab Urbe Condita, in cui descrive tra l‟altro le Guerre Sannitiche)26. Ma quello che dà la Naturalis Historia un rilievo particolare è il fatto che per la composizione Plinio ha impiegato le osservazioni anteriori di autori come Augusto (Descriptio Italiae), Agrippa (Corografia); per l‟etnografia: Catone, Nepote e Varrone27. Nei scritti di questi autori troviamo tra l‟altro i toponimi seguenti28: Aequum Ariano Tuticum Irpino (AV) Irpini < lat. aequum „pianura‟ + osco touto < IE *teuta- „popolo‟, „paese‟ < IE *teu- „crescere‟, „folla‟, „grasso‟, „forte‟, „bollire‟ Alburnus Alburni (monte) (SA) Calor (fiume) Calore (SA/AV) Lucani < osco *albho- „bianco‟ Lucani / < lat. calor „calore‟ Irpini Più probabilmente deriva dalla radice IE *kal„macchiato > fango‟ Fistelia Orbitanium / Roccaglorio- Lucani Fistelia (cfr. la -f- iniziale tipica per il dialetto osco) < IE *bheid- „pungere, bucare‟. (Orbitanium sa (SA) è di origine latina). Oplontis Torre Campani Etimo sconosciuto Annunziata (NA) Romulea Bisaccia (AV) Irpini Etimo sconosciuto Si suppone la derivazione dall‟IE *rem- „restare‟, „poggiare‟ > *ram- con riferimento all‟acqua di un fiume. 26 Un‟altra fonte importanta per la toponomastica è la Tabula Peutingeriana, una carta geografica che risale al periodo augusteo e su cui sono indicati tutti gli itinerari del mondo allora conosciuto. 27 D. Detlefsen, Quellen und Forschungen zur alten Geschichte und Geographie, ed. W. Sieglin, Leipzig, Verlag von Eduard Avenarius, 1901. 28 Le selezione dei toponimi e la loro analisi sono quelle di Antonio Sciarretta in Toponomastica dell’Antichità, consultabile su [http://digilander.libero.it/toponomastica/ancient-topo.html]. 57 Rufrae Saticula Presenzano Sanniti / < osco-umbro rufr- < lat. ruber < IE *reudh- (CE) Sidicini 'rosso' Sant'Agata Irpini È stata ricostruita una forma *sati-ko-, della quale de' Goti il toponimo Saticula sarebbe il diminutivo. Il (BN) senso della radice ricostruita rimane comunque un mistero. Sirenusae Li Galli (SA) Greci Il nome deriva dalle Sirene, le creazioni della mitologia classica. Taburnus Taburno (monte) (BN) Tamarus Tammaro (fiume) (BN) Irpini < IE *steb(h)- „pilastro, poggiare‟ (a condizione che la s iniziale sia mobile) Irpini 1. < *tam- < IE *tei- „fondere, dissolvere‟ + il suffisso -arus 2. < IE *tem(e)- „buio‟ > *teme(s)-ro- „il fiume buio‟ Taurasia Taurasi Irpini (AV) < osco tauro- „toro‟ + il suffiso locativo -asi Una teoria più antica presuppone la radice mediterranea *tauro „montagna‟, che secondo i sostenitori sarebbe alla base di parecchi toponimi nell‟area mediterranea. Tegianum Teggiano Lucani Etimo sconosciuto (SA) 2.2.4 Conclusione La toponomastica campana ci mostra una doppia influenza. Nella parte nordoccidentale e centrale, che prima dell‟occupazione romana era abitata dai Sanniti, la lingua osca ha lasciato la propria impronta sulla toponomastica. I toponimi di origine osca si concentrano soprattutto nelle provincie di Caserta e di Napoli ma si estendono, cionondimeno, fino all‟estremo sud della regione (fino a Fistelia, l‟odierna Roccagloriosa, in cui si nota la f- iniziale tipica del sostrato osco). 58 Nei toponimi dell‟area costiera traspare da un lato un sostrato liguro-sicano dall‟altro il sostrato greco. Erano greche la zona costiera da Napoli ingiù e le isole. I Greci erano un popolo di navigatori e di commercianti a cui non interessò di conquistare territori. Si accontentarono del litorale a partire di cui poterono commerciare. Rimane tuttavia difficile determinare con precisazione le caratteristiche così come la portata del cosiddetto sostrato liguro-sicano. Lo stesso problema si presenta nell‟Italia settentrionale: «Anche per il fatto che il ligure fu assorbito, prima che dal latino, dal celtico, non siempre riesce facile distinguere, nell‟area ligure, tra le voci indoeuropee e quelle celtiche [...]»29. Ciononostante, «lo studio delle parole lasciate dai Liguri [...] ha ravvisato come tali alcune parole già note ai Romani [...] e molte altre di cui si hanno testimonianze sia nella toponomastica, sia nei dialetti alpini moderni [...]»30. 29 30 B. Migliorini, Storia della lingua italiana, Firenze, Sansoni, 1960, p. 24. Ibidem. 59 3. Lessico campano31 Tracce dell‟occupazione greco-bizantino in Campania si ritrovano soprattutto nei dialetti napoletani e del Cilento. Numerosissimi sono i grecismi che risalgono a quest‟epoca: imbosemà „inamidare‟, grasta „vaso di coccio‟, centìmulu „frantoio‟, poteca „bottega‟, scalandrone „scala di legno‟, ecc. Nei dialetti campani centrali sono inoltre presenti varie parole di origine longobarda: gàfio/alifetto/gaifetto < long. *waifa cioè „una scalinata di accesso a una o più abitazioni‟, ndrengolià cioè „scuotere, oscillare‟ < long. *hringilon „tintinnare‟. Tramite l‟occupazione normanna, sono entrate nei dialetti campani parecchie parole di origine francese. Qualche esempi di tali francesismi sono perciare „bucare‟ che mediante il francese deriva dal verbo latino PERTUSIARE. Questa derivazione risulta tra l‟altro nei napoletanismi perciante cioè „persona noiosa‟ e perciatielli, una specie di pasta che rassomigla ai bucatini. Altro napoletanismo che risale all‟invasione normanna è vanella, cioè „vicoletto o spazio racchiuso tra due palazzi‟, derivata da venella, il diminutivo di vena. Però, non tutti i francesismi hanno un‟origine normanna, Altri sono abbastanza recenti è sono invece le tracce della presenza angioina nell‟Italia meridionale: alcuni di questi francesismi sono stati ripresi da Giovanni Boccaccio nella sua Epistola napoletana. Ancora più recenti sono gli ispanismi o gli iberismi, cioè le parole di provenienza catalana entrate nel napoletano durante il periodo della dominazione aragonese, ad es. ammuinare „agitare‟ e ammuina „agitazione‟, tràstola „traffico poco limpido‟ < cat. traste „masserizia, bagaglio‟. Una parola tipicamente napoletana di origine catalana è caracò(l), cioè scala a chiocciola (furono infatti i catalani ad insegnare ai campani a costruire questo tipo di scale in pietra). Altre parole spagnole, stavolta di origine castigliana, entrano nel napoletano nel XVI e XVII secolo, ad es. lazzari , cioè il nome utilizzato dagli Spagnoli per indicare i seguaci di Masaniello, < sp. làzaro „poveraccio‟. Oggi nel napoletano lazzaro significa „qualcuno che non si tiene alle regole o che non ha maniere‟. Numerose sono gli ispanismi di questo periodo: ofano/ufano „superbo‟, ofanità „superbia‟, palià „bastonare‟, arrasso „lontano‟, attrasso „ritardo‟, ecc. I prestiti più recenti nel dialetto napoletano sono i francesismi che risalgono alla fine del Settecento. Si tratta soprattutto di un lessico che appartiene al campo semantico della politica, della rivoluzione, ma anche della cultura, dell‟abbigliamento e della gastronomia, ad es. 31 Tutti gli esempi sono tratti dal §7 del primo capitolo capitolo « La regione e la sua storia », in: N. De Blasi, Profilo linguistico della Campania, Roma-Bari, Laterza, 2006, pp. 14-19. 60 monsù „cuoco‟ < monsieur, crocché „panzarotto di patate‟, gattò „pasticcio di patate‟, sartù „piatto di riso guarnito‟, rraù „sugo di carne‟, ecc. 61 4. Il dialetto campano32 Viste le tante migrazioni sul territorio campano non meraviglia che non si parli un unico dialetto in tutta la regione. Possiamo individuare nei dialetti campani delle caratteristiche di portata differente: tratti panitaliani, tratti centrali e meridionali, tratti tipicamente campania e particolarità proprie ad uno o l‟altro dialetto campano. Non è privo di importanza il prendere in considerazione anche i dialetti delle regioni confinanti, visto che una regione come ente di amministrazione non corrisponde mai al territorio circoscritto dai confini linguistici. Va osservato che sebbene la città di Napoli abbia fatto sentire il proprio influsso sul piano linguistico, questo non ci permette di uguagliare il dialetto campano e il dialetto napoletano. Teniamo presente che insieme con la perdita del peso economico e del prestigio culturale di Napoli è andato perdendosi anche il prestigio del dialetto napoletano. Persa la sua posizione di capitale del Regno e allo stesso tempo incapace di svilupparsi come centro di gravità della regione, Napoli non è stata in grado di imporre il suo dialetto all‟intera regione. 4.1 Tratti tipici dei dialetti campani Le caratteristische linguistiche dell‟area campana si verificano anche, con collocazione e frequenza diverse, nei dialetti delle regioni confinanti. Tuttavia, possiamo individuare alcuni tratti che sono più tipicamente campani (e soprattutto napoletani) che meridionali: il dittongo metafonico, la chiusura metafonica, il femminile plurale con rafforzamento sintattico, la vitalità del genere neutro, la variazione consonantica e il suono indistinto finale. Tali tratti non sono esclusivamente campani, ma sono collegati, cioè si estendono tutti insieme su un territorio definibile in generale come Campania. È presumibilmente il merito di Napoli aver favorito la diffusione di alcuni tratti provenienti dalle zone circostanti, pur senza unificare linguisticamente la Campania. L‟indebolirsi di alcuni di questi tratti nelle zone periferiche e il propagarsi di alcune caratteristiche provenienti da altre regione ha ostacolato in modo incostestabile l‟unificazione linguistica da parte di Napoli, e ha comportato differenziazioni dialettali nell‟area campana. Nelle note a piè di pagina citerò alcuni tratti dialettali che sono anche presenti nella toponomastica campana. Questi tratti, descritti da Gerhard Rohlf nel suo Grammatica storica 32 Basato su sul secondo capitoli dal titolo « Tratti tipici dell‟area campana », in: N. De Blasi, Profilo linguistico della Campania, Roma-Bari, Laterza, 2006, pp. 20-43. 62 della lingua italiana e dei suoi dialetti (1966, 1968, 1969) verranno sviluppati nel capitolo seguente. 4.1.1 Metafonesi napoletana: dittongazione e chiusura Il fenomeno di metafonesi o metafonia risulta nella chiusura della vocale tonica sotto l‟influenza di un‟altra vocale (i, u) nella silliba seguente. Per cominciare il nostro discorso dobbiamo risalire al latino, più precisamente al suo sistema vocalico. Il sistema vocalico del latino distingueva dieci vocali: cinque vocali brevi e cinque vocali lunghe: Ī ĬĒ Ĕ ĀĂ Ŏ ŌŬ Ū Ben presto, verso la fine dell‟età imperiale, la distinzione di quantità del latino classico cede il posto alla distinzione di grado di apertura: le vocali brevi diventarono aperte, quelle lunghe diventarono chiuse, il che portò con sé l‟avvicinamento di alcuni suoni prossimi che si ridussero ad un unico suono: Ĭ e Ē > é, Ā e Ă > a, Ō e Ŭ > ó. Tali mutamenti risultarono nel sistema vocalico a sette vocali delle lingue romanze: i é è a ò ó u Nel caso in cui una -I o una -U segua una vocale tonica aperta -è-, -ò-, avviene la dittongazione metafonica. Le vocali toniche, cioè, si dittongano in -ie- e in -uo-33. Alcuni esempi di -è- > -ie-: aniello „anello‟, ciento „cento‟, nuvielle „novelli‟, pietto „petto‟, turmiento „tormento‟; di -ò- > -uo-: attuorno „attorno‟, cuollo „collo‟, cuorpo „corpo‟, suonno „sonno‟, ecc. Come si può notare negli esempi sopraelencati, non importa la struttura sillabica: l‟apertura della sillaba in cui si trova la vocale tonica non è una condizione necessaria per la dittongazione. Su questo punto il dialetto campano si distingue dal fiorentino, in cui la dittongazione avviene solo in una sillaba aperta. Nel caso in cui una -I o una -U segua una vocale chiusa -é-, -ó-, avviene invece la chiusura metafonica, che risulta in: -é- > -i-, -ó- > -u-. Alcuni esempi di -é- > -i- sono acito „aceto‟, beneditto „benedetto‟, niro „nero‟, paise „paesi‟; e di -ó- > -u-: cetrulo „cetriolo‟, culure „colori‟, giuvene „giovani‟, serviture „servitori‟, ecc. 33 Cfr. infra: Dittongazione condizionata di ę nell‟Italia meridionale: Salierno e Surriento (Rohlfs 1966, § 101). 63 Va osservato anche che la metafonia occorre unicante con nomi e aggettivi di cui l‟uscita deriva da una -I o una -U finale latina. Fanno eccezione parole come porto < porto (ind. pres. 1sg.) di cui la o finale non risale alla -U latina (cfr. il sostantivo puorto „porto‟ < lat. portum). Sono esclusi ugualmente i nomi e gli aggettivi femminili. Il che non sorprende vista l‟esclusione della -I e della -U latina in posizione finale in nomi e aggittivi femminili: apierto/aperta, buono/bona, beneditto/benedetta, curiuso/curiosa, ecc. Si comprende allora anche l‟occorrenza di alcune forme plurali con esiti metafonetici mentre il loro singolare non ammette la metafonie. Si tratta di parole che escono in -e e hanno il plurale in -i, ad es. cìcere „ceci‟/ cécere „cece‟, culure/colore, padrune/padrone, ecc. Dato che in parecchi dialetti campani la pronuncia delle vocali finali s‟indebolisce, il fenomeno della metafonia appare di particolare importanza per distinguere il maschile dal femminile e il singolare dal plurale. In alcuni casi (la seconda persona del singolare) la metafonia marca anche la flessione verbale: ciò avviene quando la desinenza verbale provoca la dittongazione o la chiusura della vocale tonica: cfr. porto „io porto‟, puorti „tu porti‟, porta „egli porta‟; corro „io corro‟, curri „tu corri‟, corre „egli corre‟. 4.1.2 Rafforzamento sintattico34 Con il termine rafforzamento sintattico ci si riferire al rafforzamento della pronuncia delle consonanti iniziali a condizione che succedano ad una parola monosillabica o ad alcune parole tipiche. In realtà il rafforzamento sintattico non è una caratteristica tipicamente campana. Al contrario, si presenta anche in italiano. Però, nei dialetti campani il rafforzamento sintattico svolge un ruolo importante al livello della morfologia per il fatto che distingue i plurali femminili e i sostantivi neutri. Le parole che provocano il rafforzamento sintattico derivano generalmente da parole monosillabiche latine uscenti in consonante, come AD > a, TRES > tre, PLUS > più. Così va rafforzata la c nel caso di „vado a casa‟ (vado accasa), mentre rimane inalterata in la casa. È la consonante finale della parola che provoca il rafforzamento che entra in un processo di assimilazione35 con la parola affetta. Nell‟esempio sopracitato, la d finale della preposizione 34 Cfr. infra: b iniziale (Rohlfs 1966, § 150); j iniziale (Rohlfs 1966, § 158). Assimilazione: « (ling.) Processo per cui due suoni a contatto o a breve distanza tendono a divenire identici o ad assumere caratteri comuni ». (Zingarelli) 35 64 latina si assimila dunque alla c iniziale di casa, che risulta quindi rafforzata. La pausa, che normalmente separa due parole sul piano sintattico, viene annullata. Il rafforzamento sintattico è un tratto condiviso dai dialetti centrali e meridionali, mentre non è altrettanto diffuso nell‟Italia settentrionale. Le forme che provocano il rafforzamento sintattico non sono le stesse per tutti i dialetti centrali e meridionali. Per la Campania le forme che producono il rafforzamento sintattico sono le seguenti: le congiunzioni e, né; la negazione nu (non); le preposizioni a, cu, pe; gli indefiniti ogne, quacche; il che interrogativo; accussì; cchiù „più‟; tre; l‟articolo neutro ‘o; il pronome neutro ‘o; gli articoli, i pronomi e gli aggettivi femminili; i pronomi maschili e femminili plurali; le forme verbali so’ („sono‟), si’ („sei‟) e sto (<stare). La terza persona del singolare del verbo avere ha, che provoca il rafforzamento sintattico in italiano (ha ccantato), fa eccezione nel dialetto campano (ha cantato). 4.1.3 Variazione consonantica Con variazione consonantica si intende di norma il fatto che in italiano, come in qualsiasi lingua, una consonante può occupare una posizione forte o una posizione debole. In posizione forte la consonante viene pronunciata in maniera intensa, in posizione debole invece, la pronuncia non è intensa ma scempia. Confrontiamo gli esempi seguenti: nu cavallo janco v. ‘o cavallo è gghianco. Nel primo caso l‟aggettivo bianco si trova in posizione debole per il che la sua pronuncia è realizzata come scempia: janco. Nella seconda frase la pronuncia dell‟aggettivo bianco, adesso in posizione forte, risulta ivece intensa: gghianco. Nei dialetti dell‟area campana la distinzione tra consonanti sorde e sonore s‟indebolisce. La pronuncia intensa o scempia delle consonanti dipende dunque sostanzialmente del contesto. Posizione forte Posizione debole [bj] bianco ‘o cavallo è gghianco („il cavallo è bianco‟) [j] nu cavallo janco („un cavallo bianco‟) [j] [d] gioco che gghiuóco? („che gioco?‟) [g] nu juoco („un gioco‟) [j] [d] denti tre ddiente („tre denti‟) [dd] ‘e riente („i denti‟) [r] [g] gallo tre ggalli („tre galli‟) [gg] nu ’allo („un gallo‟) [b] borsa tre bborze („tre borse‟) [bb] ‘a vorza („la borsa‟) [v] [v] veleno ‘o bbeleno/’o vveleno („il veleno) [bb] [vv] non cambia [v] 65 4.1.4 Il rafforzamento sintattico: marca del femminile plurale Come ho già menzionato, il rafforzamento sintattico ricopre un‟importante funzione grammaticale nei dialetti campani, poiché è l‟unico elemento che permette di distinguere i femminili plurali dai femminili singolari, altrimenti omofoni. Si osserva negli esempi sottostanti come il rafforzamento sintattico marchi le forme femminili plurali rispetto alle singolari, considerato che nei dialetti campani (soprattutto intorno a Napoli) le vocali finali tendono a perdere forza. Di conseguenza il rafforzamento sintattico assume la funzione grammaticale che normalmente dovrebbe essere assunta dall‟articolo e dalle desinenze. Femminile singolare Femminile plurale ‘a retë („la rete‟) ‘e rretë („le reti‟) ‘a machinë („l‟automobile‟) ‘e mmachinë („le automobili‟) ‘a sorë („la sorella‟) ‘e ssorë („le sorelle‟) Il rafforzamento sintattico appare particolarmente importante poiché marca i femminili nei casi in cui altrimenti si confonderebbero con una forma maschile omofona, il che risulta estemamente rilevante sul piano interpretativo. Si differenziano così i doppioni seguenti: Maschili Femminili ‘e pizzë („le trine‟) ‘e ppizzë („le pizze‟) ‘e pilë („il peli‟) ‘e ppilë („le batterie, le pile‟) ‘e tavulë („i tavoli‟) ‘e ttavulë („le tavole‟) 4.1.5 La conservazione del genere neutro Contrariamente alle lingue romanze, i dialetti del centro e del meridione della Campania hanno conservato un genere neutro molto vivo. Alcuni neutri derivano da parole neutre latine (latte, sale, ferro), altri sono neoconiazioni - alcune sono abbastanza recenti come ‘o rrep („la musica rap‟) - sconosciute dal latino (caffè). Di norma questi neutri appartengono alle categorie seguenti: materiali (‘o ffierro), alimenti o bevande (‘o ccafè, ‘o ggrano), colori (‘o rrusso), infiniti sostantivati (‘o ppenzà < pensare), sostantivi generici (‘o mmale, ‘o bbene). Va osservato che i nomi neutri sono tutti singolari. Infatti si tratta di nomi che non ammettono il plurale, altrimenti perdono il loro senso generico e non sono più di genere neutro: cfr. ‘o 66 ffierro (materiale) ma per i ferri di un chirurgo ad esempio si utilizza la forma plurale ‘e fierre (=plurale/maschile/senso concreto). Va osservato inoltre che i neutri introdotti dall‟articolo determinativo ‘o36 la consonante iniziale risulta rafforzata. Benché l‟articolo determinativo neutro e maschile siano omonimi sono etimologicamente diversi. L‟articolo maschile ‘o deriva dal pronome latino ILLUM, mentre l‟articolo neutro ‘o deriva dal pronome latino ILLUD. Laddove la -m finale di ILLUM si perde già in un‟antico stadio del latino, la -d finale di ILLUD rimane conservata e si assimilisce con la consonante iniziale della parola neutra che viene allora rafforzata. Il rafforzamento della consonante iniziale di una parola dopo l‟articolo determinativo neutro indica dunque che si intende trasferire un senso generico. Così si distinguono l‟uno dall‟altro i sintagmi ‘o rrusso (colore) e ‘o russo (per designare una persona con i capelli rossi). Anche il pronome personale neutro ‘o provoca il rafforzamento consonantico: «Ma sapite comm‟è... Chille „o ttrovano a vénnere cchiù caro e nun se fanno vedé cchiù»37. In questa frase il pronome personale ‘o riferisce al nome neutro „burro‟ e provoca dunque il rafforzamento consonantico della forma verbale ttrovano. Lo stesso vale per i nomi femminili con un senso collettivo o generale, anche essi possono essere ripresi da un pronome neutro: «Chi „o ttene, „o ttenne zuffunnato e nun „o ccaccia»38. Qui il pronome neutro si richiama ad una medicina introvabile. Anche nel caso in cui il sintagma „tutte cose‟ viene ripetuto da un pronome, esso assume il genere neutro, così come i pronomi demostrativi chisto „questo‟ e chilo „quello‟ che allora non vengono alterati dalla metafonia e prendono rispettivamente le forme chesto e chello: «Chesto „o ffacimmo a brodo»39. 36 In altre zone della Campania l‟articolo determinatico neutro prende la forma lo (nella provincia di Avellino), lu (nella zona meridionale della provincia di Salerno), ‘u (nelle provincie di Napoli e Caserta), ru (nelle provincie di Salerno e Avellino), ‘o (intorno a Napoli) e le (nella provincia di Benevento). 37 Una frase dalla commedia Napoli milionaria! di Eduardo de Filippo, citato in: N. De Blasi, Profilo linguistico della Campania, Roma-Bari, Laterza, 2006, p. 38. Traduzione in italiano standard: „Ma sapete com‟è... (Quelli) riescono a venderlo [il burro] più caro e non si fanno più vedere‟. 38 Ibidem. Traduzione in italiano standard: „Chi ce l‟ha [la medicina], ce l‟ha nascosta e non la tira fuori‟. 39 Ibidem. Traduzione in italiano standard: „Questo [questa cosa] lo facciamo in brodo‟. 67 5. Alcune particolarità della toponomastica Campana Nei paragrafi seguenti vengono elaborati alcuni tratti che caratterizzano tanto il dialetto quanto la toponomastica campani. Dapprima saranno presentate alcune particolarità che non sono tipicamente campane ma che possiamo caratterizzare come tratti generali o panitaliani, cioè sono presenti su tutto il territorio italiano (non di rado anche nella lingua standard) e non marcano un dialetto in particolare. Nella parte che segue verranno trattate le caratteristiche della toponomastica dell‟Italia centrale e/o meridionale (cfr. linguisticamente la Campania occupa una posizione mediana tra l‟Italia centrale e l‟Italia meridionale), che si presentano anche nell‟area campana, e che distinguono la toponomastica campana dalla toponomastica settentrionale e dalla toponomastica italiana in generale. Va osservato che i tratti che marcano la toponomastica campana sono spesso di tipo fonetico. Può trattarsi di una pronuncia dialettale di un dato toponimo, o di una pronuncia dialettale che si è lessicalizzata, cioè fissata nella grafia. I tratti morfologici e sintattici presenti nella toponomastica campana, invece, non sono quasi mai marcati diatopicamente. Lo scopo di questo elenco è di mostrare come anche la toponomastica può servire come la fonte per una conoscenza sincronica ma soprattutto diacronica della lingua, cioè come i toponimi, in quanto „fossili‟ linguistici possono rendere conto delle evoluzioni della lingua standard ma soprattutto dei diversi dialetti. Ho fatto precedere questo capitolo da una breve relazione sulle particolarità del parlato campano, proprio al fine di dare una prima impressione dei tratti locali che spesso marcano anche i toponimi. I tratti sottoelencati provengono dalla Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti di Gerhard Rohlfs40 (Berlino 1892 – Tübingen 1986), autorità incontestabile nel campo della linguistica storico-geografica. Rohlfs svolse i studi linguistici all‟Università di Grenoble e di Berlino, dove ottenne un dottorato nel 1919. Nel 1922 cominciò ad insegnare filologia romanza a Grenoble; trasferendosi a Tübingen nel 1926, lasciò questa città nel 1938 per Monaco. Il primo contibuto linguistico di Rohlfs è un articolo sull‟onomastica del 1922. Sempre più interessato alla linguistica geografica, iniziò nel 1923 le sue indagini linguistiche nell‟Italia meridionale (soprattutto in Calabria e nella penisola salentina) che durarono sei 40 Per i dati biografici di Gerhard Rohlfs: G. Casagrande, «In Memoriam Gerhard Rohlfs», in: Italica, vol. 3, «Linguistics: theoretical and applied», autunno 1987, pp. 533-536. 68 anni. Durante questi anni Rohlfs tentò di mettere a confronto i dialetti del Mezzogiorno con il fiorentino standard. Da queste ricerche risultò la sua Historische Grammatik der italienischen Sprachen und ihrer Mundarten. Molto apprezzati sono anche i suoi contibuti sul piano della toponomastica italiana (cfr. bibliografia). 5.1 Tratti panitaliani 5.1.1 Sintassi e formazione delle parole41 a. L’obliquo privo di preposizione42: Monteleone e Pontelandolfo La perdita delle distinzioni fonetiche nel latino tardo creò delle difficoltà per le coniugazione e la declinazione (ad es. la perdita della distinzione tra ă e ā, tra ŭ e ō e la perdita della -m in posizione finale provocano il dissolversi di parole come rosă/rosā, dominum/domino, militem/milite). Il sistema latino a cinque casi venne ridotto a un sistema bicasuale: il nominativo del latino persisteva nel casus rectus, mentre il casus obliquus continuava l‟accusativo e incorporava allo stesso tempo anche il genitivo. Questa riduzione casuale risultò in un ordine delle parole meno libero. Poteva dunque avvenire che un sostantivo nel casus obliquus non introdotto da una preposizione esprimesse un possesso, il che in latino veniva espresso dal genitivo, ad es. in casa i Frescobaldi (D. Compagni) per „nella casa dei Frescobaldi‟, a casa la donna (G. Boccaccio) per „nella casa della donna‟, in casa un buffone (F. Sacchetti) per „nella casa di un buffone‟, a casa la madre (N. Macchiavelli) per „alla casa della madre‟, ecc. Tale costruzione poteva essere presente anche con un antecedente non introdotto da una preposizione, ad es. lo figlio Arsami (B. Latini) per „il figlio di Arsami‟, la moglie Menelao (B. Latini) per „la moglie di Menelao‟, lo canto San Simeon (P. da Barsegapé) per „il canto di San Simeone‟, ecc. Nella toponomastica campana questo tipo di costruzione si trova ad esempio in: Monteleone „il monte del leone‟ (nella provincia di Napoli e di Salerno) e Pontelandolfo „il ponte di Landulfo‟ (nella provincia di Benevento). Si tratta però di un fenomeno frequentissimo in tutte le regioni italiane (soprattutto nel Lazio meridionale). 41 G. Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, «Sintassi e formazione delle parole», Torino, Einaudi, 1969. 42 Rohlfs 1969, § 630. 69 b. Il suffisso -one43: Castiglione Il suffisso -one prende origine dalla desinenza latina -o, -onis, che esprimeva di norma un tratto caratteristico di una persona: ladro „ladrone‟, bibo „bevitore‟, soprattutto nei nomignoli come ci sono Publius Ovidius Naso („dal naso caratteristico‟), Marcus Tullius Cicero („con un‟escrescenza simile ad un cece‟), ecc. Si tratta generalmente di particolarità che sono molto vistose. Ecco perché il suffisso avrebbe assunto più tardi una connotazione legata alle dimensioni, cioè -one è diventato un suffisso accrescitivo. Un tratto simile esiste anche in spagnolo (camisón „camicia grossa‟) e in portoghese (casão „grossa casa‟). Non di rado il suffisso -one si unisce con un sostantivo femminile (un leprone, un piazzone, ecc.). Però, in certi dialetti come nel napoletano, esiste una forma femminile del suffisso, -ona, ad es. in cetatone e cetatona „cittadona‟, manone e manona, femmenone e femmenona, ecc., il che ha il vantaggio di permettere la distinzione tra forme maschili e forme femminili. Avviene anche che -one si combini con un aggettivo (grandone „molto grande‟, poverone, verdone, ecc.) o con certi avverbi (soprattutto nei dialetti meridionali) ad es. nel napoletano tardone „tardissimo‟. Dobbiamo tuttavia tenere presente che la funzione originale del suffisso -one rimane quella di indicare una peculiarità, ad es. buffone, ciarlone, cafone, testone, urlone, ecc. (la funzione indicante la grossezza vi si aggiunge più tardi). Va osservato anche che le parolo in -one, designante persone, si distinguono dalle parole che finiscono col suffisso -tore che indica invece semplicemente l‟autore di un‟azione, e riceve così una connotazione più o meno dispregiativa. Nondimeno, -one mantiene la sua funzione originale, e può ad esempio indicare gli abitanti di una città (papasiròni „abitanti di Papasidero‟ (Calabria)). Non è privo di importanza il fatto che mediante l‟influsso del francese il suffisso -one abbia assunto anche un valore diminutivo, soprattutto nel Mezzogiorno. Per la toponomastica è più interessante una variante di -o, -onis, cioè il suffisso -io, che all‟inizio aveva un valore spregiativo, al quale è seguito più tardi un valore diminutivo. Incontriamo le tracce di questo suffisso ancora in vari toponimi. Per la Campania possiamo citare ad esempio Castiglione (nella provincia di Salerno) cfr. franc. Châtillon, spagn. Castéjón. Vanno comunque tenuti distinti i toponimi in –(i)one con valore diminutivo o spregiativo e i toponimi in –one che derivano da nomi gentilizi romani (cfr. supra). 43 Rohlfs 1969, § 1095. 70 5.1.2 a. Morfologia44 Ablativo o accusativo45: Pozzuoli, Pompei e Capri Certe parole italiane uscenti in vocale come sale, miele, vimine, cuore, latte, genere, ecc. derivano da neutri con uscita consonantica della terza declinazione latina: sal, mel, vimin, cor, lac, genus. Le forme italiane possono essere considerate come ablativi o come accusativi analogici. Secondo quest‟ultina ipotesi, tali forme deriverebbero dalla creazione di un accusativo avente una forma analogica a quella dell‟ablativo, come in acc. latte e abl. de latte, acc. vimine e abl. de vimine, ecc. Tale processo di formazione si osserva anche in certi dialetti italiani per la parola examen, che dà le forme analogiche seguenti: calabr. sámina, umbro ssáməno, marchig. assáminu. Inoltre, la forma miele (meridionale mèle), che continua l‟accusativo latino mèle e non l‟ablativo melle, rende conto che per quanto riguarda le forme soprelencate, si tratta di accusativi analogici e non di ablativi. Poche volte un ablativo si conserva nella toponomastica. Citiamo ad esempio il francese Aix e Dax che continuano il latino Aquis (cfr. Acqui in Piemonte) e i toponimi uscenti in -i, traccia della desinenza -is dell‟ablativo latino, come in Pozzuoli (Campania, nella provincia di Napoli) < Puteolis, Pompei (Campania, nella provincia di Napoli) < Pompeis, Capri (Campania, nella provincia di Napoli) < Capris, ecc. b. Resti del locativo46: Amalfi Già nell‟epoca classica il locativo perde terreno rispetto all‟ablativo per quanto riguarda l‟espressione dello stato in luogo o del tempo determinato: Romae/Roma, Capuae/Capua, Tarenti/Tarento. Nel IV secolo d.C. l‟uso del locativo è diventato rarissimo. Rohlfs cita però alcuni linguisti, secondo i quali il locativo continua in certi toponimi uscenti di norma in -i, come Ascoli, Asti (Hastae), Rimini, Girgenti, Tivoli, ecc. Va però osservato che non tutti i toponimi uscenti in -i derivano da locativi. Parecchi hanno subito cambiamenti vocalici nel corso del tempo: Frascati < Frascata, Nemi < Nemo, Cori < Core, Velletri < Beletro, ecc. Per la Campania citiamo Amalfi (nella provincia di Salerno), che in dialetto napoletano si 44 G. Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, «Morfologia», Torino, Einaudi, 1968. Rohlfs 1968, § 348. 46 Rohlfs 1968, § 349. 45 71 chiamava anticamente Amarfa. Viceversa, l‟attuale Acerno (nella provincia di Salerno) era chiamata nel Medioevo Acerni. c. Modificazioni fonetiche dell’uscita del tema47: Baselice Il volgere al plurale di una parola puó in vari casi provocare la palatalizzazione della consonante finale del tema che nel singolare aveva un valore velare. Così l‟uscita -co passa di norma a -ci (amico: amici). In altri casi più dubbi rimangono le due possibilità -ci e -ki ( ad es. le forme - ormai disusate - grechi e greci, stomachi e stomaci, ecc.). Lo stesso vale per certi aggettivi in -ico che oggi terminano in -ici, ma che in tempi assai remoti avevano il plurale in -ichi (fantastici e fantastichi (Sacchetti), domestici e domestichi (Boccaccio), ecc.). Questo tipo di palatalizzazione è molto frequente nei dialetti dell‟Italia meridionale, come nel napoletano sínnəcə „sindaci‟, juncə „giunchi‟. La desinenza -go presenta un‟esitazione simile tra mantenimento della velare (luogo: luoghi) e casi eccezionali di palatalizzazione (mago: magi). Dall‟altro la palatalizzazione è del tutto impossibile per i plurali delle desinenze femminili -ca e -ga che sono tutti del tipo (monaca: monache, piaga: piaghe). Secondo il Meyer-Lübke48 la palatalizzazione delle desinenze è dovuta a una tendenza all‟analogia con il singolare o all‟influsso del latino. Secondo altri (Pieri, Goidànich)49 la forma rimasta velare, cioè non modificata dalla palatalizzazione (amico: amichi) continua la varietà popolare del toscano medioevale, mentre la forma palatalizzata (amico: amici) caratterizza in questo periodo un parlato diastraticamente più alto. Così, nel toscano popolare si incontrano forme palatalizzate e non palatalizzate con pari frequenza (bruco e brucio, il che presuppone un antico plurale bruci a cui la forma singolare brucio si sarebbe adeguata). In modo corrispondente si incontra nel dialetto campano funcu (fungə) che presuppone il plurale fungi (funci). Nella toponomastica troviamo attestato questo tipo di palatalizzazione tra l‟altro in Baselice (Campania, nella provincia di Benevento) < basilicae. 47 Rohlfs 1968, § 374. Citato in: Rohlfs 1968, § 374. 49 Ibidem. 48 72 5.1.3 Fonetica50 5.1.3.1 Vocalismo a. Io ed ea protonici51: Napoli Generalmente il dittongo io in posizione protonica passa in Toscana ad i, ad es. Firenze < Fiorenze, Chifenti < Chiofenti < Confluentes, ecc., ma anche in parte dell‟Italia meridionale, ad es. in Calabria Nicastro < Neocastron. Nelle stesse condizioni ea passa ad a, ad es. Neapolis > Napoli. b. Caduta della vocale mediana nei proparossitoni52: Ischia La sincope, cioè la caduta di una vocale o di una sillaba all‟interno di una parola, è un fenomeno antico. I primi casi di sincope risalgono al latino: domina > domna > donna, viridis > virdis > verde, calidus > caldus > caldo, frigidus > frigdus > freddo, oculus > oclus > occhio. Va osservato che i casi più antichi di caduta della vocale riguardano sempre una o due consonanti sonore: mn, rd, ld, gd, cl. Numerosissimi sono inoltre i casi di sincope che derivano da parole latine che racchiudono il suffisso -ulus: *fenŭculum > finocchio, genŭculum > ginocchio, *parĭculum > parecchio. Altre parole latine, spesso si tratta di forme latineggianti del registro alto, tuttavia, sono rimaste intoccate dalla sincope: isola, tegola, ecc. Però, in alcuni casi, cioè in ambiti popolari, la sincope si è realizzata tuttavia: tegola > popol. tegghia. Analogamente si è formato il toponimo Ischia < *iscla < *isla < insula. Dobbiamo tenere presente che la caduta della vocale mediana è la regola nelle regioni settenrionali (Emilia-Romagna), ma che – eccezione fatta dalle sincopi comuni italiane e romanze – nei dialetti meridionali la vocale mediana si mantiene nella maggioranza dei casi, ad es. persica > tosc. pesca / calabr. pérsica, pulicem > tosc. pulce / calabr. púlice. 50 G. Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, «Fonetica», Torino, Einaudi, 1966. Rohlfs 1966, § 136. 52 Rohlfs 1966, § 138. 51 73 c. Le vocali e ed i atone di sillaba finale in Italia centrale53: Napoli, Amalfi e Pozzuoli Nel toscano le vocali finali rimangono di norma conservate. Però, le vocali atoni ē, ĕ ed ĭ in posizione finale si unificano nella vocale -e, laddove la -ī persiste. Meraviglia dunque che in alcuni casi in cui aspettiamo una -e, abbiamo nella lingua odierna una -i, dove nell‟antico italiano c‟era ancora una -e. Il caso si presenta tra l‟altro in parole come avanti, davanti, dieci, dodici, fuori, forsi, quasi, quinci, quindi, ogni, oggi, domani, tardi, lungi, anzi, altrimenti, parimenti. D‟Ovidio54 spiega alcuni casi con il fenomeno di analogia, cioè la grammaticalizzazione di una specie di „i avverbiale‟: la i finale di oggi e domani proverrebbe dalla i finale di ieri. Lo stesso vale per la i finale in dieci che deriverebbe dalla i finale di venti. In altri casi si tratterebbe di una tendenza latineggiante, ad es. in quasi ed ivi. In ogni caso sembra anche più difficile determinare l‟origine della i finale in alcuni toponimi. Qualche volta la i finale si spiega etimologicamente, ad es. in Assisi < Assisium, Brindisi < Brundisium. Può inoltre essere presente una tendenza all‟analogia. Spesso, infine, bisogna considerare i casi a sé stanti facendo ricorso ai tratti regionali o dialettali. Nel caso di Napoli, Pozzuoli, Amalfi, bisogna infine tenere conto del fatto che la -i finale è presente nel toponimo ufficiale ma non necessariamente nella sua versione dialettale: Napoli < ant. napol. Napole, Amalfi < ant. napol. Amarfe, Pozzuoli < ant. napol. Pezzulo. 53 Rohlfs 1966, § 142. Citato in: Rohlfs 1966, § 150. Francesco D‟Ovidio nacque a Campobasso in 1849. Dopo i suoi studi a Pisa insegna rispettivamente a Bologna – dove conobbe la sua moglie Maria Bertolini – a Milano, a Roma e infine all‟Università di Napoli dove occupò per 50 anni la cattedra di “Storia comparata delle lingue e letterature neolatine e letteratura dantesca”. Anche una cecità parziale non potè ostacolare i suoi studi. D‟Ovidio è autore in particolare di apprezzabili contributi agli studi danteschi: Studi sulla Divina Commedia (Milano, 1901), Nuovi studi danteschi (Milano, 1906-7, 2 vol.), Versificazione italiana e arte poetica medioevale (Milano, 1910). Morì a 1925. (C.H. Grangent, «D‟Ovidio Francesco», in: Italica, vol. 9, n°3, (sett. 1932), pp. 69-70; R. Attrocchi, «Commemoration of D‟Ovidio», in: Italica, vol. 3, n°1, (febb. 1926), pp. 18-19). 54 74 5.1.3.2 Consonantismo Consonante più u in iato55: Sessa Aurunca, Sessa Cilento a. Secondo l‟evoluzione normale latino > romanzo, la vocale i in iato provoca l‟allongamento della consonante che precede. Allo stesso modo anche la u in posizione postonica causa l‟allungamente della consonante precedente. Tuttavia la u non provoca la velarizzazione della consonante precente come la i ne causa la palatalizzazione. La u in iato rimane conservata o si perde nell‟assimilazione (si confonde allora con la consonante precedente): cfr. nel toscano acqua, tacqui, nacqui in opposizione a ebbi > habui, tenni, venni, volli, ecc. Per l‟Italia meridionale possiamo citare tra l‟altro sappi < sapui, appi „ebbi‟ < habui (tutti e due calabrese). Nel caso in cui u segua una doppia consonante o un gruppo consonantico, essa sparisce senza lasciare alcuna traccia: cfr. mortus > morto, battuo > batto. Lo stesso vale quando la u segue una s: posi < posui. La u s‟indebolisce anche quando precede una vocale accentata come accade nel toponimo meridionale Suessa > Sessa: cfr. in Campania Sessa Aurunca e Sessa Cilento. b. Metatesi di r56: Capri e San Francato Un caso tipico di metatesi di r avviene quando questa, preceduta da una consonante nella seconda sillaba, si sposta in avanti e si si agglutina al gruppo consonantico iniziale. Questo fenomeno occorre raramente nella letteratura, ma è invece presente nei dialetti: cfr. in napoletano vritə „vetro‟, Krapə „Capri‟; in lucano e in campano attrufu „ottobre‟; cfr. anche il nome della località Campana San Francato (nella provincia di Salerno) che deriva dall‟agionimo Pancratius. Frequentissime nei dialetti meridionali sono le forme crapa „capra‟, preta „petra‟, freve „febbre‟, frábbica „fabbrica‟, frivaru „febbraio‟. Anche se la r è situata nella terza sillaba può risalire fino alla prima sillaba: cfr. calabr. frinesta < finestra. Può anche avvenire che la r in posizione preconsonantica si metta insieme con la consonante della sillaba precedente: cfr. napol. frèmma „ferma‟, tromiento „tormento‟. Meno frequente sono i casi in cui la r che segue la consonante iniziale, si mette davanti alla consonante 55 56 Rohlfs 1966, § 293. Rohlfs 1966, § 322. 75 seguente: cfr. calabr. e sicil. purpaina „propaggine‟. Del tutto raro è il caso in cui tale r avanza nella parola per occupare la seguente posizione postconsonantica: cfr. ant. padov. pàtriga „pratica‟. Più numerosi sono i casi in cui la r cambia la posizione postconsonantica per quella preconsonantica: cfr. calabr. fernesta „finestra‟. Più insolito è il caso opposto, cioè quando la r cambia la posizione preconsonantica per quella postconsonantica: cfr. ant. napol. vavra „barba‟, sevra „serva‟, evra „erba‟. c. Discrezione e concrezione57 dell’articolo58: Acerra, Atripalda e Afragola La discrezione dell‟articolo riguarda i casi nei quali la l iniziale di una parole viene interpretata erratamente come un articolo che si sarebbe agglutinato alla parola: cfr. nella lingua letteraria usignolo < lusignolo < lat. lusciniolus; friul. uśérta < lucerta „lucertola‟; calabr. merid. niddí < lunedí. In altri casi una a all‟inizio di parola viene attribuita all‟articolo femminile la: cfr. nella lingua letteraria la rena, la badessa, la pecchia, la ragna e la sugna derivano rispettivamente dalle forme l’arena, l’abadessa, l’apecchia, l’aragna e l’assugna. Frequentissime nell‟Italia meridionale sono le forme la recchia per l’arecchia „l‟orecchio‟ e la liva per l’aliva „l‟oliva‟. Per la toponomastica campana citiamo la Cerra, nel dialetto napoletano a Cerra (cfr. la Strada della Cerra a Napoli) dal toponimo Acerra (nella provincia di Napoli) < Acerra, nello stesso modo sono formate la Tripalda < Atripalda (nella provincia di Avellino), e la Fragola < Afragola (nella provincia di Napoli), attestate negli scrittori dell‟Italia meridionale. Analogamente anche una n iniziale può essere attribuita ad un articolo indeterminativo: cfr. una narancia > un‟arancia. Non di rado il fenomeno della discrezione dell‟articolo provoca la confusione del genere come nel sostantivo maschile l’orígano compare all‟isola d‟Ischia come la régana „maggiorana‟. 57 Discrezione o deglutinazione: « (ling.) Perdita del suono iniziale di una parola, perché sentito come articolo o preposizione (ad. es. usignolo, da lusignolo) ». (Zingarelli) Concrezione o agglutinazione: « (ling.) Procedimento di formazione di parole tramite semplice giustapposizione di elementi diversi ». (Zingarelli) 58 Rohlfs 1966, § 342. 76 5.2 Caratteristiche specifiche dell’area campana 5.2.1 Morfologia59 a. Il tipo le corpora60: Pratola Serra I neutri della terza declinazione latina uscenti in -s, avevano il plurale in -ora (corpus/corpora). Nel IV-V secolo questo modo di volgere al plurale si è generalizzato, per analogia, in varie regioni, e soprattutto Lombardia e Campania. Vengono formate secondo questo tipo moltissime parole, anche di origine germanica, ad es. burgora, waldora, morgincapora ecc. Però, poco a poco le forme in -ora sono coinvolte nella formazione dei plurali femminili e, in alcuni documenti sono attestate forme in -ora a cui viene anche aggiunto la -s del plurale femminile. La forma plurale in -ora viene allora interpretata come un femminile singolare (neutr. campus/campora > femm. campora/camporas). Si osserva la sopravvivenza del suffisso -ora soprattutto nel Mezzogiorno (Abruzzo, la Campania rurale, la Lucania orientale e la Puglia da Foggia a Taranto). Per la Campania possiamo citare forme dialettali quali ad es. pərtósərə „buchi‟ (Meta), prátura (Acerno), ákora (Cilento), piáttərə (Monte di Procida), détərə (ibid.), denókkiərə „ginocchia‟ (ibid.), cfr. ant. napol. lenguaiora „linguaggi‟. Dappertutto si usa l‟articolo femminile. Tra l‟altro in Campania il suffisso -ora è passato a -ola per causa di dissimilazione61. Questo fenomeno si è poi generalizzato in toponimi meridionali come il frequentissimo Pratola, ad es. Pratola Serra (Campania, nella provincia di Avellino) < pratora, cfr. nel dialetto napoletano òrtola, trònola „tuoni‟, vécole „vicoli‟, ecc. 59 G. Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, «Morfologia», Torino, Einaudi, 1968. Rohlfs 1968, § 370. 61 Dissimilazione: « (ling.) Processo per il quale due suoni identici o simili, trovandosi a contatto o a breve distanza, tendono a differenziarsi (ad es., dal lat. venenum si ha l'italiano veleno, con dissimilazione di -n-/-n- in -l-/-n-)». (Zingarelli) 60 77 5.2.2 Fonetica62 5.2.2.1 Vocalismo a. Dittongazione condizionata di ę nell’Italia meridionale63: Surriento ‘Sorrento’ e Salierno ‘Salerno’ Se la ę64 si conserva nell‟estremo sud dell‟Italia (Calabria) e in Sicilia (dove si dice pętra „pietra‟, mięli „miele‟, pędi „piedi‟, ecc.) essa si dittonga nel resto dell‟Italia meridionale, ma soltanto in determinate condizioni. Generalmente, nel caso di una -e o una -a finali (oppure nella sillaba seguente) la ę si conserva, però se una -i o una -u occorrono in posizione finale (oppure nella sillaba seguente) la ę si metafonizza e si trasforma in ẹ o nel dittongo ie. Non importa si la ę si trovi in sillaba chiusa o libera (il che condiziona la sua dittongazione nel passaggio dal latino all‟italiano). La dittongazione caratterizza tra l‟altro il dialetto napoletano in cui si dice Surriento e Salierno invece di Sorrento e Salerno. Già i testi che risalgono al Medioevo, attestano questa dittongazione condizionata: cfr. ant. napol. dienti, fierro, castiello, ecc. In alcune altre zone (Ausonia, Sora, ambedue in Lazio) la ę si metafonizza e passa ad ẹ, ad es. cẹlə „cielo‟. Alcuni linguisti tendono a credere che prima del passaggio di ę in ẹ ci sarebbe statto il passo intermedio della dittongazione di ę in ie. La ẹ sarebbe allora una specie di riduzione del dittongo ie. Altri rifiutano completamente quest‟ipotesi, e considerano la ẹ come il risultato diretto della ę. Questa sembra l‟ipotesi più valida, visto l‟assenza completa di attestazioni del dittongo ie come grado intermedio tra ę e ẹ nell‟Italia meridionale. b. Casi particolari dello sviluppo di o in Italia meridionale65: Pezzulo ‘Pozzuoli’ Una o che precede nei dialetti toscani il nesso consonantico nt è di norma una ọ chiusa (pọnte, fọnte, frọnte, mọntem), anche quando nella radice latina la ŏ era breve (lat. pŏntem, fŏntem v. frōntem, mōntem). I dialetti italiani meridionali, però, conservano la distinzione quantitativa 62 G. Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, «Fonetica», Torino, Einaudi, 1966. Rohlfs 1966, § 101. 64 Il suono ę corrisponde ad una e aperta ed atona. 65 Rohlfs 1966, § 126. 63 78 del latino, cioè la distinzione tra ŏ breve e ō lunga che risulta in ponti, fonti ma frunti, munti (cfr. nel napoletano fontə (pl. fuontə) v. frọntə (pl. fruntə). L‟italiano lungo che continua il latino *lōngus, si contradistingue secondo la stessa regola dal meridionale luongo (napoletano), luongu (calabrese) e lengu (leccese) che continuano il latino lŏngus. Il suffisso latino -íolus, in italiano risulta in una o aperta o in una ọ chiusa. Questo fenomeno si spiega dal fatto che prima del periodo in cui nell‟Italia meridionale si faceva la distinzione tra quantità lunga e quantità breve -íŏlus dava luogo a -iōlus. Una volta perso l‟antico rapporto di quantità -íŏlus dà soltanto origine a -iŏlus. Il -iōlus napoletano risale dal periodo in cui non era ancora perso l‟antico rapporto di quantità: fugliulo, fasulo, agliarulo „orzaiuolo‟, lenzulo, cetrulo, rasulo. Anche l‟antico nome di „Pozzuoli‟ ne fa prova: Pezzulo. Anche il dialetto salentino continua la varietà anteriore: figghiulu, favarulu/falauru „baco di fagiolo‟ < *fabareolus, pasulu „fagiuolo‟, majulu < malleolus, rešigghiullu „orzaiuolo‟, ecc. Nel resto del territorio meridionale la o di –iŏlus è breve (cfr. calabr. sicil. figghiolu). 5.2.2.2 Consonantismo b iniziale66: Santo Vendetto, San Venditto, Barano d’Ischia e Benevento a. Nell‟Italia settentrionale la b iniziale rimane conservata, ad es. il toscano bagno, bocca e il milanese bagn, bev „bere‟. Però in gran parte del Mezzogiorno la b iniziale passa a v-. Possiamo confinare questa zona come l‟area al sud della linea Roma-Ancona, salvo la metà meridionale della Calabria e l‟Abruzzo. Alcune tracce di tale passaggio sono da ritrovare nel dialetto napoletano contemporaneo, ad es. valanza, varva, vàttere, vescuotto, vévere „bere‟, vocca, vúfaro „bufalo‟ così come nella toponomastica campana: dal nome di San Benedetto derivano i toponimi Santo Vendetto e San Venditto (nella provincia di Caserta). Nella parte meridionale della Calabria troviamo bb dove nel resto del Mezzogiorno si presenta una v-, ad es. bbarca, bbagnu, bbarba. Però, alle volte bb si trova anche nelle altre zone del sud, come nel napoletano: bbannèra „bandiera‟, bbannito „bandito‟, talora bb viene appoggiata dalla vocale a, cfr. napol. abbalestriere „balestriero‟, abbasca „affanno‟. Va osservato che le parole 66 Rohlfs 1966, § 150. 79 che fanno eccezione alla norma appartengono quasi tutti al registro alto letterario. Inoltre, parole generiche come buono, bene e bello presentano bb dappertutto nel Mezzogiorno: cfr. napol. bbuono, bbène, bbiello. Certe parole napoletane che oggi iniziano con bb, presentavano prima una v-, come bbarba, che prima era varva, il che significa oggi „mento‟. Una b- semplice non esiste nei dialetti meridionali. Solo il dialetto lucano presenta in alcuni casi il consonante bilabiale β, ad es. βin „vino‟, βáreβe „barba‟. In altre aree il suono labiale si annulla completamente. Nel napoletano, come nel calabrese, certe parole possono provocare il rafforzamento del consonante iniziale, cfr. salern. vífaru ma tre bbífari „tre agnelli tardivi‟; napol. Varanə „Barano (d‟Ischia)‟ (nella provincia di Napoli) ma a Bbaranə. Lo stesso fenomeno da luogo a ipercorrettismi nel dialetto salentino, ad es. nu bbarde „non arde‟. Anche nel salentino la b può passare ad m, come in Minijentu „Benevento‟. b. j iniziale67: Gioi La j iniziale si è evoluta nelle lingue romanze nello stesso modo della g seguita da una vocale chiara. Tenendo conto del suo sviluppo caotico, mi limito qui a riassumere la situazione dell‟Italia meridionale68. Nel Mezzogiorno (a sud della linea Roma-Ancona) si continua generalmente l‟antica forma j, cfr. napolet. Jácovo, jocà, jódəćə, jonta, ecc. Soltanto il salentino, i dialetti della Campania oriëntale e, in minor misura, anche il calabrese settentrionale, presentano il grado assordito š, che trae origine in una τ anteriore: šuogghiu „gioglio‟, šíšəvə „gioggiola‟ < *jijula. Le parole che appartengono ai dialetti meridionali, ma in cui appare nondimeno il suono ģ provengono di norma della lingua letteraria, ad es. nel napoletano giubelo, giesuito, giacunno „giocondo‟, Giacchino „Gioacchino‟. Come b, anche j si raddoppia dopo certe parole, cfr. napol. va a ģ´ģ´oka, tre ģ´ģ´èngə „tre giovenche‟. Un caso particolare costituiscono i prestiti dal francese. Nell‟Italia settentrionale la j francese viene uguagliata alla j latina. Nel Mezzogiorno la j francese viene di regola sostituita dalla ģ 67 Rohlfs 1966, § 158. Nella zona interna della Sardegna la g persiste; nel Cantone dei Grigioni e nella Valtellina j passa all‟affricata mediopalatale `ģ, laddove g passa a ž; nell‟Italia centrale g risulta in ž, ģ (=dž) o ź (= dś). 68 80 non indigena69, come nel toponimo campano Gioi (nella provincia di Salerno) che deriva dall‟antico provenzale joi, il che viene attestato dal suo antico nome napoletano Joi. c. -d- intervocalica70: Pròceta ‘Procida’ Di solito la d intervocalica del latino rimane conservata nella lingua letteraria: cfr. piede, nudo, nodo, ecc., eccezionalmente è andata persa, come nelle parole latine uscenti in -de che hanno subite l‟apocope: cfr. fé, mercé, piè, prò. Lo stesso vale per i sostantivi latini uscenti in -ade/-ate, ad es. bontà, città. Nei dialetti settenrionali la d si perde, soprattutto nell‟area occidentale (padov. coa, creere, veere). Solo rade volte d passa ad r (coresto „codesto‟) o viene sostituita da un suono transitorio (cova „coda‟). Nell‟Italia meridionale (per la Campania soltanto la parte settentrionale) la d latina cede di frequente il posto alla fricativa interdentale δ, ad es. il siciliano niδu, suδari. In Campania δ si evolve spesso ad r, cfr. napol. pèrə, cura, niru, rúrici „dodici‟. Nella zona settentrionale della Campania la d si assordisce in vari casi: cfr. a Sora (nella provincia di Caserta) pètə, nitə, ràtəca, lòtəla, mətólla. Soprattutto i proparossitoni sono sensibili all‟assordimento: cfr. napol. límpeto, líqueto, gravéto. Lo stesso è avvenuto per il toponimo Procida > Pròceta (Campania, nella provincia di Napoli). Altri sviluppi della d intervocalica in Campania sono: d > l ad Ischia e Procida: cfr. pélə „piede‟; la caduta di d nel antico napoletano: cfr. creo, veo; la sostituzione della d intervocalica da un suono di transizione nel napoletano: cfr. nijə/nivə „nido‟, vave „vado‟. d. -f- intervocalica71: Alife, Carife, Sorifa, Tifata e Ufita In latino la f non si trovava mai in posizione intervocalica, fatta eccezione per le parole prefissate: cfr. re-formare, pro-fanus; per le parole di origine greca: cfr. raphanus, typhus, Stephanus; e per le parole che derivano dal dialetto osco-umbro: cfr. scrofa, bufalus. In queste parole la f intervocalica ha persistito. 69 A eccezione di ć in ciardino (napol.) < giardin. Rohlfs 1966, § 216. 71 Rohlfs 1966, § 219. 70 81 Nei dialetti settentrionali la f passa a v, in conformità colla regola: cfr. le forme settentrionali Stèva (lig.), Stèvu (piem.), Stèven (lomb.). Non di rado, in vicinanza di o e u, v si perde, ad es. milan. beólk „bifolco‟, venez. biolco. Nell‟Italia meridionale la f intervocalica rimane conservata, ad es. tavanu, tavanə < lat. tafanu. Di parecchie delle parole sopraelencate si suppone un‟origine osco-umbra: scrofa, bufalo, tafano, bifolco. Verosimilmente la f intervocalica sarebbe provocata dalla dissimilazione, come nel campano bufə „gufo‟. Anche per il napoletano cafónə „cavità‟ e per il campano tufa/tófa „corno a conchiglia dei pastori‟ si presume una provenienza osca. C‟è da considerare anche l‟origine osca della f intervocalica in vari nomi geografici dell‟Italia centro-meridionale: cfr. Tifata (l‟antico nome per il Monte Tifata in Campania), Alife, Carife, Sorifa, Ufita (fiume campano, presso Benevento). e. Il nesso cl e tl in posizione interna72: Forchia ed Ischia Già nel latino volgare il nesso consonantico tl si confonde con cl, ad es. vet(u)lu > veclu. Il nesso sl si conduce analogamente e risulta in scl, ad es. *is(u)la > iscla. In posizione interna il nesso cl si converte in kki un po‟ dappertutto in Italia: cfr. napoletano. uocchio, arecchia, denucchio „ginocchio‟, viecchio salvo nell‟Italia settentrionale dove il nesso cl si è sviluppato in modo diverso, il che non tratterò qui. Non di rado si osserva nel toscano e nell‟italiano standard il suono ł invece di kki: cfr. coniglio, bottiglia, miraglio, ecc. il che presume un‟influenza francese o italiana meridionale. Ogni tanto queste parole sono entrate nei dialetti meridonali mediante la lingua letteraria: cfr. calabr. cunigliu, buttiglia. Se il nesso cl è preceduto da una consonante, passa a ć nell‟Italia centrale e meridionale, ad es. tosc. maschio, fischiare, teschio, cerchio. Lo stesso vale per i toponimi campani Forchia (due volte, nella provincia di Benevento e nella provincia di Caserta) ed Ischia (*iscla < insula). Nel dialetto napoletano, però, così come in altri dialetti meridionali, ski passa di norma a šk: cfr. calabr. mašcu, fišcare e napol. Išca „Ischia‟. 72 Rohlfs 1966, § 248. 82 Visto che nell‟Italia meridionale una consonante preceduta da una nasale si sonorizza, il nesso ki (ć) passa allora a gi (ģ). Nel dialetto napoletano si ha dunque ngnostra (ñostra) „inchiostro‟, cravugno „carbonchio‟, granógna „rana‟. Il gruppo br73: Venafro, Solofra, Solofrone, Rofrano f. Nel toscano la b nel nesso br generalmente si raddoppia: cfr. labbro, febbre, febbraio. Però, forme latineggianti come „libro‟ e „ventilabro‟ fanno eccezione. In altri casi l‟elemento bilabiale si perde completamente: cfr. sen. liro „libro‟, tosc. popol. feraio „febbraio‟. Avviene anche che nelle zone gallo-italiane il gruppo br passa a vr, ad es. lomb. fevré „febbraio‟ (cfr. franc. février), venez. lavro „labro‟ (cfr. franc. lèvre) e ogni tanto si produce la metatesi di r: cfr. venez. fravo „fabbro‟. Nell‟Italia meridionale la b passa di regola a v, come nel napoletano varva „barba‟, vaso „bacio‟ (vedere anche la parte sulla b iniziale). Di conseguenza anche il gruppo br è passato a vr nel dialetto napoletano: cfr. lavro, frève (per metatesi da févre), fráveca (per metatesi da fávreca), livra, ottovre, livro, ecc. Un fenomeno tipicamente meridionale è la conservazione del gruppo fr che risale al oscoumbro: cfr. lifra „libra‟, come nel napoletano attufro/ottrufo „ottobre‟, o nella zona meridionale della Campania (Cilento) attrufo. Lo stesso elemento osco-umbro ritroviamo nella toponomastica di questa regione: cfr. Venafro, Solofra e Solofrone (nella provincia di Avellino), Rofrano (nella provincia di Salerno). Il nesso rb e lb74: Alfano g. I nessi rb e lb rimangono conservati nel Settentrione e nell‟Italia centrale, ad es. carbone, acerbo, barba, sorba, erba, ecc. Spesso si incontrano delle ipercorrezioni (dovute al passaggio in queste zone di rv a rb sotto l‟infuenza dell‟etrusco): cfr. mòrvido „morbido‟, morviglione „morbiglione‟. Nel Mezzogiorno rb (lb) passa di norma a rv (lv): cfr. campan. aciervo, cravone (per metatesi da carvone), varva, erva, suorvo „sorba‟, árvolo „albero‟. Spesso nell‟Italia meridionale si 73 74 Rohlfs 1966, § 261. Rohlfs 1966, § 262. 83 inserisce nel nesso rv una vocale anaptittica (per facilitare la pronuncia): cfr. ad Ischia sòrəvə „sorba‟, èrəvə, cuórəvə; napol. várəva (per metatesi da vávəra), acierəvə (per metatesi da aciérvərə). Nella toponomastica meridionale si incontra spesso lf (rf) invece di lv (rv), ad es. Alfano (Campania, nella provincia di Salerno). Questi toponimi hanno probabilmente conservato la f italica (proveniente del sostrato osco-umbro) invece della b latina. h. Il gruppo sl75: Ischia Di norma, si m, n, l o s formano un‟unità consonantica con una l o una r che le segue, queste consonanti vengono separate da un suono di transizione (d o b), eccezione fatta dal gruppo sl, quando si inserisce una k. Anche nel caso in cui una vocale si mantiene tra le consonanti, il suono transitorio può occorrere: ant. ital. membrare < lat. memorare, insembre „insieme‟; cfr. nel dialetto campano (San Donato Val Comino) cundra „culla‟ < lat. tard. cunula. Fanno eccezione alcuni meridionalismi per quanto riguarda il gruppo sl: cfr. Ischia (Campania, nella provincia di Napoli); campan. išca, ašca „scheggia di legno‟ (*ascla < assula), ecc. i. I nessi bi e vi76: Caggiano, Vico Triggio, Largo Triggio e Faibano Nelle lingue romanze i nessi latini bi e vi hanno prodotto lo stesso esito, cioè l‟allungamento, sotto l‟influenza della vocale in iato, della consonante che li precede e, in un secondo luogo, provoca anche l‟assordimento di v > b. Nel toscano, come nell‟antico italiano la vocale in iato rimane conservata: cfr. tosc. abbia < habeat; ant. ital. debbia < debeat, gabbia < cavea, trebbio < trivium. Alcuni forme toscane come aggia „abbia‟ e deggio „debbo‟ risalgono al latino volgare e derivano rispettivamente da ajat e dejo. Lo stesso è successo per i dialetti dell‟Italia settentrionale: cfr. ant. mil. abia, debia; lomb. ģöbia; piem. Robbio < Retovium; Carrobbio (nella provincia di Mantova) < quadruvium; Bebbio (Emilia) < Bivium; Trebbio (Lombardia) < trivium. 75 76 Rohlfs 1966, § 270. Rohlfs 1966, § 274. 84 Invece, in aiba < habeat (ant. emil. e ant. lomb.) si osserva che la vocale in iato può formare un‟unità colla vocale accentata: cfr. Gaiba (Veneto) < cavea. Nelle zone occidentali dell‟Italia settentrionale (Liguria, Piemonte) il nesso bi si evolve tramite j verso ģ: cfr. lat. jovia > ant. lig. zoja > lig. odierno źoģa. Nel Mezzogiorno il nesso bi passa a ģģ; cfr. napol. aģģe < habeo; e nei toponimi meridionali: cfr. Caggiano (Lucania) < Cavianum, Vico Triggio (nella provincia di Benevento) e Largo Triggio (nella provincia di Avellino) < trivium; Faibano (nella provincia di Napoli) < Fabianum col spostamento in avanti, cioè nella sillaba radicale, della vocale in iato. Nelle regioni di Lazio e Abruzzo si hanno j: cfr. Trejo (Velletri) < trivium; ant. roman. haia „abbia‟, raia „rabbia‟, ecc. j. I nessi ssi, psi, rsi77: Cassano Nel caso in cui una consonante precede a si, questo nesso non provoca la sonorizzazione ma dovrebbe risultare in š nell‟Italia centrale e settentrionale, e in ss nell‟Italia meridionale. In Toscana si hanno le forme seguenti: prescia < *pressia, grascia < *grassia, rovesciare < *reversiare, ecc. Nelle Marche incontriamo tra l‟altro ruššu/rušu < *russeu; cfr. umbr. ruššu, laz. róššo/ruššu. Si osserva ad un medesimo tempo i toponimi Casciana (Toscana) < Cassiana, Basciano (id.) < Bassianu, Marsciano (Umbria) < Marsius, Pasciano (id.) < Passius. Nel Mezzogiorno il verbo *bassiare „abbassare‟ presenta le forme vaššá (napoletano), vasciare (calabrese), basciare (siciliano) così come gli aggettivi derivati vaššə (napoletano e pugliese, vasciu (calabrese), vasciu/basciu (siciliano). Però il toponimo derivato dal latino Cassianu compare in Campania sotto la forma Cassano (8 volte nell‟Italia meridionale). Ad ogni modo, al momento della redazione della Grammatica di Rohlfs, era ancora una questione aperta se il passaggio ssi > šš fosse di origine meridionale. Inoltre, anche nell‟Italia settentrionale si osservano toponimi assumono certi tratti che si tende ad attribuire piuttosto ai toponimi meridionali: cfr. Bassano (Lombardia e Veneto), Cassano (Lombardia). 77 Rohlfs 1966, § 288. 85 k. Il nesso ti fuori della Toscana78: Pozzuoli Nel Settentrione il nesso latino ti passa da un lato ad una z sorda (ts): cfr. ant. venez. beleça che si è sviluppata verso una s priva di occlusione: cfr. lomb. belezza (=belesa); dall‟altro si ha nell‟Italia settentrionale una ž sonora: cfr. ant. lomb. rason, posone, ecc. Oggi, però, questo suono non è di alta frequenza nei dialetti settentrionale: cfr. milan. stažõ, ražõ. Nel Mezzogiorno il nesso ti risulta di norma in zz (tts): cfr. calabr. chiazza „piazza‟, spazzu, stazzu, ecc. Analogamente possiamo citare il toponimo campano Pozzuoli (nella provincia di Napoli) < Puteoli. Nondimeno nei dialetti meridionali ci sono delle parole in cui compare il suono ž, tratto allora dal toscano ma che nel Mezzogiorno passa di norma al suono ģ (o ģģ) o š: cfr. calabr. stagiune; napolet. stašonə. Altre volte si presenta nell‟Italia meridionale una ź sonora (invece di una z (ts) toscana), in questi casi si tratta quasi sempre di parole latineggianti: cfr. calabr. serviźiu, preźiusu, ecc. 78 Rohlfs 1966, § 290. 86 6. Conclusione Dalle pagine precedenti traspare come la storia turbolenta dell‟area campana abbia lasciato la sua impronta nella toponomastica. Le terre vulcaniche, e dunque molto fertili, hanno sempre esercitato una forte attrazione su vari popoli. Inoltre, vista la sua posizione intermedia tra l‟Italia centrale e l‟Italia meridionale, la Campania ha ospitato popoli provenienti del Sud così come popoli di origine settentrionale: Etruschi, Greci, Sanniti, Romani, Visigoti, Slavi, Longobardi, Spagnoli, Francesi, Giudei, ecc. Questo susseguirsi di migrazioni, invasioni e colonizzazioni durante un periodo di più di tremila anni hanno prodotto la diversità che caratterizza ora la toponomastica campana. Benché sia soprattutto la lingua latina ad aver marcato i toponimi della Campania, anche diversi altri strati linguistici hanno contribuito alla policromia della toponomastica campana. Così, dal punto di vista storico-linguistico fu molto significativo l‟apporto osco, che sembra di aver marcato la toponomastica campana più che gli altri strati, come ci confermano i testi degli autori classici. L‟influsso osco sulla toponomastica campana non meraviglia visto che l‟osco è stato l‟unica lingua – eccezione fatta per il latino – ad essere parlata in tutta l‟area dell‟odierna Campania durante un periodo abbastanza lungo. Le altre lingue che hanno fatto sentire il proprio influsso sulla formazione dei toponimi campani sono andate offuscate relativamente presto da altri strati linguistici e nessuna di loro (salvo il latino e l‟osco) ha potuto imporsi profondamente su l‟intero territorio della Campania attuale. Non va tuttavia sottovalutata l‟importanza della lingua greca nella formazione del lessico toponimico campano. Tuttavia, mentre l‟elemento osco sia presente in tutta la regione, quello greco ricopre interessava soltanto l‟area costiera al sud di Napoli, ad inclusione delle isole. Ciononostante i toponimi di origine greca sono più facilmente riconoscibili mentre l‟apporto osco in alcuni toponimi è meno trasparente. Inoltre, non è senza importanza il fatto che il latino e l‟osco appartengano alla stessa famiglia e si differenzino fondamentalmente dal greco, con cui hanno una parentela meno stretta. Ancora, l‟apporto osco e più spesso di tipo fonetico mentre l‟influsso greco è stato fondamentalmente lessicale. Dunque, in un certo senso, si potrebbe dire che, per quanto riguarda la toponomastica campana, il sostrato osco conosce una portata maggiore di quello del greco, ma che, d‟altro canto, il contributo greco al lessico in generale è stato più imponente. Quando esaminiamo le tracce individuate da Rohlfs, dobbiamo costatare che la toponomastica campana - nonostante la sua posizione centro- meridionale, e anche tenendo conto del fatto che già in epoca antica la Campania gravitava nell‟area del Lazio, con il quale fu unita fin dal 87 periodo augusteo - si collega sostanzialmente con quella degli altri dialetti del Mezzogiorno. Probabilmente è stata Napoli - la forza più o meno unificante dei dialetti campani – ad aver indotto la regione linguisticamente verso il Sud. L‟elemento condiviso da Napoli e l‟Italia meridionale è sempre stato l‟elemento greco (Napoli essendo la città più settentrionale della Magna Graecia). Va tenuta presente, però, anche la presenza di un sostrato indeuropeo, che è alla base di gran parte dei limno-, oro- ed idronimi, ma di cui le nostre conoscenze, che poggiano soltanto su ricostruzioni fonetiche, rimangono abbastanza limitate, come ho già sottolineato più di una volta. Va osservato anche che i toponimi, in tanto elementi relativamente stabili della lingua, possono anche sparire in favore di un‟altro nome (il che succede non di rado con i nomi delle strade). Così vanno spesso perse informazioni di rilevanza storica (spesso i toponimi sono le testimonianze della presenza di una popolazione), linguistica (toponimi in cui rimangono conservati alcuni arcaismi lessicali) e culturale (toponimi che espongono certi costumi e credenze popolari). La toponomastica rimane dunque un campo per fondamentali esplorazioni. 88 ALLEGATI 89 Carta I1 1 Carta delle «Popolazioni e Centri principali dell‟Italia antica», tratta da: A.L. Prosdocimi, Lingue e Dialetti dell’Italia antica, Roma, Biblioteca di Storia Patria, 1978, p.12. 90 Carta II2 2 Carta delle «Lingue dell‟Italia antica», tratta da: A.L. Prosdocimi, Lingue e Dialetti dell’Italia antica, Roma, Biblioteca di Storia Patria, 1978, p.13. 91 Bibliografia R. 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