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Lionardo
Arte e territorio
Anno scolastico 2012.2013
Dario D’Antoni
Lionardo
!
Leonardo da Vinci
(1492-1519), il più vecchio dei
grandi maestri, nacque in un
villaggio toscano. Andò
apprendista in una delle principali
botteghe fiorentine, quella del
pittore e scultore Andrea del
Verrocchio. La fama del Verrocchio
era vastissima, tanto che la città di
Venezia gli ordinò il monumento in
bronzo a Bartolomeo Colleoni, un
condottiero a cui i veneti erano
particolarmente legati. Inoltre la
bottega produsse il palladio dorato
che orna la cupola di Santa Maria
del Fiore a Firenze e innumerevoli
capolavori per chiese, privati e istituzioni comunali in tutta l'Italia centro-settentrionale.
In questo laboratorio di arti figurative e plastiche, il giovane Leonardo aveva molto da imparare. Dalla
fonderia ad altre lavorazioni del metallo, dalla scultura allo studio di piante e animali insoliti da inserire nei
quadri. Si fosse trattato solo di un ragazzo intelligente, questo tirocinio sarebbe bastato a farne un artista di
talento ed eccellente, come molti che uscirono dalla bottega del Verrocchio: Luca Signorelli, Alessandro
Botticelli, Domenico Ghirlandaio. Ma Leonardo era più di un ragazzo intelligente.
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Era un genio, la cui mente possente resterà per sempre
oggetto di stupore e di ammirazione per i comuni mortali.
Conosciamo la vastità e la fecondità della sua mente
perché allievi e ammiratori ci conservarono i suoi schizzi e i
suoi taccuini, migliaia di pagine ricoperte di scritti e disegni,
con estratti di libri letti e progetti per libri da scrivere. Più si
leggono queste carte, meno si comprende come una
creatura umana abbia potuto eccellere in tanti e così
diversi campi di ricerca recando ovunque importanti
contributi.
Forse una delle ragioni va cercata nel fatto che egli fu
principalmente un
artista e non un dotto di
professione.
Egli riteneva che
compito dell'artista
fosse l'esplorazione del
mondo visibile condotta
in modo completo, intenso e accurato. Come Shakespeare,
probabilmente conosceva "poco latino e ancor meno greco": in
un'epoca in cui la cultura si basava sull'autorità degli ammirati maestri
antichi, Leonardo, il pittore, non accettava mai ciò che leggeva senza
prima controllarlo con i propri occhi. Tutte le volte che si trovava davanti
un problema, egli non ricorreva alle autorità ma cercava di risolverò con
qualche suo esperimento.
Nulla c'era nella natura che non destasse la sua curiosità e non
sollecitasse il suo ingegno. Esplorò i segreti del corpo umano sezionando
più di trenta cadaveri. Fu uno dei primi ad avventurarsi nel mistero della
crescita del feto nel grembo materno; investigò le leggi delle onde e
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delle correnti; passò anni osservando e analizzando il volo degli insetti e degli uccelli, per cercare di creare
una macchina volante che, era certo, un giorno sarebbe diventata realtà. Le forme delle rocce e delle nubi,
l'effetto dell'atmosfera sul colore degli oggetti distanti, le leggi della crescita degli alberi e delle piante,
l'armonia dei suoni, tutti questi argomenti formarono l'oggetto di una incessante ricerca che per lui doveva
essere la base stessa dell'arte.
I contemporanei lo giudicarono un essere bizzarro e piuttosto
misterioso. Principi e generali lo vollero come straordinario mago
capace di produrre opere di ingegneria militare, per costruire
fortificazioni e canali, nuove armi e ponti retrattili e smontabili.
Leonardo li intratteneva con i suoi giocattoli meccanici e ideava
scenografie per spettacoli e feste. Era ammirato come grande artista
e ricercato come musicista abilissimo ma, nonostante tutto ciò, egli
non pubblicò mai i suoi scritti e la loro esistenza era quasi da tutti
ignorata.
Era mancino e si era abituato a scrivere da destra a sinistra, cosicché i
suoi appunti si possono leggere solo con l’aiuto di uno specchio. Forse
non desiderava divulgare le sue scoperte o temeva di essere
considerato eretico. Così nei suoi scritti troviamo queste cinque
parole: ”il sole non si muove”, nelle quali evidentemente egli
anticipava tutte le teorie di Copernico e di Galilei.
Ma forse è probabile che Leonardo non avesse ambizioni
scientifiche: l’esplorazione della natura era per lui un mezzo per
acquistare quella conoscenza del mondo visibile di cui aveva bisogno
Frutta, ortaggi e altri studi 1487-89
Penna e inchiostro su carta, 235 x 176 mm
per la sua arte. Pensava che, posta su un piano scientifico, la sua
Institut de France, Paris
adorata arte del dipingere potesse trasformarsi da umile artigianato in
occupazione onorata e rispettata.
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Se ricordiamo il Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare e le parti che egli affida a Snug lo
stipettaio, Bottom il tessitore e Snout il calderaio possiamo comprendere lo sfondo sul quale si svolge questa
lotta: quello degli artigiani rappresenta il mondo dell’arte che avvicina e mette in comunicazione la
razionalità e la fantasia e si fa portatore di un legame indissolubile tra la vita reale e quella ideale.
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Databile agli anni 1593-­‐‑95, il Sogno si presenta come commedia probabilmente composta in occasione della celebrazione solenne di nozze tra i membri dell’aristocrazia inglese. Al di là della funzione più o meno pratica, questo curioso copione racchiude in sé, come sempre accade in Shakespeare, eterogenei spunti di tipo tematico, stilistico e paradigmatico.
Mito, fiaba, e quotidianità si intersecano continuamente senza soluzione di continuità e questo porta a riconoscere, all’interno dell’opera, suggestioni che vanno da fonti classiche (Metamorfosi ovidiane ed apuleiane) al patrimonio folkloristico tipico dell’Inghilterra (fate e folleLi burloni) sempre originalmente e genialmente contaminati e ricreati dalla fervida fantasia del drammaturgo.
Poeta è chi sa aLingere ai sogni e diffondere sogni, questa pare essere l’idea base che soLende a tale copione -­‐‑ illusione, sogno e follia rappresentano, del resto, il terreno su cui si innesta l’idea stessa di creazione, magistrale esempio di dramma nel dramma. FaLo insolito (e straordinariamente moderno) è che delle varie situazioni presentate in quest’opera, quella più realistica e credibile ( ed in effeLi più “comica”) sia quella legata alla compagnia degli aLori -­‐‑ per antonomasia figli di un mondo di finzioni.
Il Sogno di una no*e di mezza estate racconta delle imminenti nozze tra Teseo, duca d’Atene, e Ippolita, regina delle Amazzoni, da lui sconfiLa e suo boLino di guerra. Un gruppo di artigiani-­‐‑aLori prepara una recita per l’occasione, mentre Titania e Oberon, rispeLivamente regina e re delle fate, sono in lite fra loro e assistono nel bosco, tra un dispeLo e l’altro, all’incontro tra amanti incompresi, amanti in fuga, amanti non corrisposti...Un fiLo bosco di equivoci e malintesi, un re e una regina litigiosi, folleLi dispeLosi e creature magiche sono gli ingredienti ideali per una commedia divertente ma anche ricca di poesia e delicatezza, apparentemente elegante e cortese, impregnata di spunti noir e talvolta inquietanti. Il noLurno, le visioni, il sovrapporsi di atmosfere che precedono il sonno e la veglia, l’inquietudine, sono caraLeristiche che aLraversano l’opera e lo speLacolo e che permeLono di fare un vero salto nel fantastico da un lato, un’incursione nelle ambigue immagini della mente umana dall’altro. Il Sogno di una no*e di mezza estate è un vero e proprio teorema sull’amore ma anche sul nonsense della vita degli uomini che si rincorrono e che si affannano per amarsi, che si innamorano e si desiderano senza spiegazioni, che si incontrano per una serie di casualità di cui non sono padroni.
Gli uomini si affannano in un folle girotondo e nel fraLempo le fate si burlano di loro per soddisfare i propri capricci: il dissidio tra Oberon e Titania, infaLi, sconvolge la natura e le stagioni mentre un magico fiore rompe le dinamiche degli innamorati che si scambiano ruoli e amanti.
In questo turbine di parallelismi e proiezioni si sviluppano le vicende del Sogno imbastito su tre piani, tre regni differenti ognuno dei quali è regolato da linguaggi e dinamiche specifiche.
Il mondo delle fate è un mondo parallelo, mentre Oberon e Titania sono proiezioni Oberononiriche del duca d’Atene e della di lui futura sposa. Gli eterei sovrani però, sono più vivi degli uomini. La legge che li governa è la natura intesa come passione, sensualità e debolezza.
Non sono astraLi ed inconsistenti ma masticano piuLosto passioni e pensieri senza dubbio umani.
Al contrario la razionalità e la legge dominano il mondo degli uomini.
Quello degli artigiani rappresenta invece il mondo dell’arte che avvicina e meLe in comunicazione gli altri due e si fa portatore di un legame indissolubile tra la vita reale e quella ideale.
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Aristotele nel mondo greco aveva distinto tra arti cosiddette «liberali» (la grammatica, la geometria, la
musica) e arti denominate «meccaniche» o manuali (la scultura, l’artigianato, la pittura) e quindi servili,
inadatte a un gentiluomo. Invece Leonardo voleva dimostrare che la pittura è un’arte liberale, e che il lavoro
manuale che richiede non è maggiore della fatica di scrivere una poesia. «La poesia è pittura cieca, la
pittura è poesia muta» scrisse, a testimoniare quando profondamente credeva nella facoltà che avevano le
immagini dipinte di evocare mondi reali.
Sappiamo che spesso Leonardo non portò a termine le opere affidategli. Cominciava un quadro per
poi lasciarlo incompleto, nonostante le sollecitazioni del cliente. Inoltre rifiutava di consegnarlo se non ne
fosse personalmente e completamente soddisfatto. Non sorprende quindi che poche delle opere di
Leonardo siano state portate a termine, mentre molto del suo tempo è stato impiegato in continui
spostamenti da Firenze a Milano e da Milano a Firenze, poi al servizio dell’avventuriero Cesare Borgia, ancora
a Roma e infine alla corte di re
Francesco I di Francia, dove, più
ammirato che compreso, morì
nel 1519.
Per singolare sfortuna i pochi
lavori che Leonardo completò
nella maturità ci sono arrivati in
cattivo stato. Così, quando
guardiamo ciò che rimane del
famoso affresco dell’Ultima
Cena dobbiamo sforzarci di
immaginare come doveva
apparire ai frati per i quali fu
dipinto.
Ultima Cena 1495-98
Affresco, 460 x 856 cm
Santa Maria delle Grazie, Milano
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L’opera copre la parete di una sala rettangolare che serviva da mensa
ai frati del convento di Santa Maria delle Grazie a Milano. Cerchiamo di
immaginare l’impressione che fece il capolavoro allorché fu scoperto, quando,
accanto alle lunghe tavole dei frati, apparve la tavola sulla quale cenavano
Cristo e gli apostoli, ritratti a grandezza naturale. Mai prima di allora il sacro
episodio era apparso così vicino e così verosimile. Era come se un’altra sala
fosse stata aggiunta alle loro e che, in essa, l’Ultima Cena avesse assunto forma
tangibile. Come cadeva chiara la luce sulla mensa e come conferiva volume e
solidità alle figure!
Certamente i frati furono
coliti dalla fedeltà con cui
tutti i particolari erano stati
ritratti al naturale, i piatti
sulla tovaglia e le pieghe
dei panneggi. Allora,
come adesso, le opere
d’arte venivano giudicate dai profani secondo la loro
somiglianza con il vero.
Ma, dopo la prima stupefacente impressione, ci si rese
conto che nulla in questo lavoro somigliava alle vecchie
iconografie tradizionali dove gli apostoli erano
rappresentati tutti in fila, seduti compostamente a
tavola (solo Giuda un pò discosto), mentre Cristo
somministrava il Sacramento.Il nuovo dipinto era molto
diverso, vibrante di drammaticità e di animazione.
Leonardo era risalito al testo evangelico e aveva
tentato di raffigurarsi la scena nel momento in cui Cristo
pronuncia le parole :”In verità vi dico che uno di voi mi tradirà”, e gli apostoli afflitti domandavano “Son forse
io, Signore?” (Matteo 26, 21-22).
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È tutto questo gioco di domande e di cenni che anima l’episodio. Gesù ha appena pronunciato le tragiche
parole e tutti quelli che gli sono accanto si ritraggono inorriditi dalla rivelazione.
Alcuni sembrano protestare il loro amore e la loro innocenza, altri discutono gravemente a chi Cristo abbia
voluto alludere, altri sembrano guardarlo per avere spiegazione di ciò che ha detto.
Ma nonostante l’atmosfera concitata creata dalle parole di Gesù, nel dipinto non c’è nulla di caotico. I
dodici apostoli sono suddivisi in quattro gruppi di tre, legati tra loro da gesti e movimenti. C’è grande ordine
nella varietà delle azioni e tanta varietà nell’ordine che non si riesce ad esaurire il gioco armonioso degli
opposti movimenti. Resta la potente
impressione di trovarsi di fronte a un pezzo
San Pietro, più impetuoso, si precipita su san Giovanni, alla destra di Cristo, e
di realtà concreto, e lo stupore di fronte
mentre gli sussurra qualcosa all’orecchio, spinge in avanti Giuda. Giuda, pur
alla fantasia che permette a Leonardo di
non essendo separato dagli altri, sembra quasi isolato: è l’unico che non
evocare la scena davanti ai nostri occhi.
gesticola e non fa domande. Si china in avanti e guarda con sospetto e rabbia ciò
che accade. Questa figura forma un evidente contrasto con la calma rassegnata
di Gesù.
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Narra un testimone di aver spesso visto Leonardo al lavoro
intorno all’Ultima Cena. Saliva sull’impalcatura restando
giornate intere a contemplare con le braccia conserte
quanto aveva fatto fatto fino ad allora. È proprio il risultato di
queste giornate di riflessione e di ripensamento che egli ci ha
lasciato. Per questo, sia pure danneggiato, il Cenacolo
rimane uno dei miracoli del genio umano.
C’è un’altra opera di Leonardo forse ancora più famosa
della Cena. È il ritratto di una dama fiorentina di nome Lisa
Gherardini, Monna Lisa («La Gioconda»). Una fama come la
sua non è sempre una fortuna per un’opera d’arte. Siamo
talmente abituati a vederla sulle pagine dei giornali e suoi
cartelloni pubblicitari che ci riesce difficile guardarla con
un’occhio nuovo, libero da ogni pregiudizio o
condizionamento. Ma val la pena di dimenticare ciò che
sappiamo o che crediamo di sapere intorno al quadro per
guardarlo come se fossimo i primi a scoprirlo.
Ciò che colpisce è in primo luogo l’intensa vitalità con
cui Lisa ci appare: essa sembra veramente guardarci e
pensare. Come un essere vivente, sembra mutare sotto i nostri
occhi e risultare un pò diversa ogni volta che torniamo a
guardarla. A volte Lisa sembra beffarsi di noi, ma ecco che di
nuovo ci sembra di cogliere un’ombra di tristezza nel suo
sorriso. Ma Leonardo sapeva benissimo come aveva
ottenuto questo effetto e con quali mezzi. Da grande Mona Lisa (La Gioconda) c. 1503-5
osservatore della natura conosceva bene i meccanismi Oil on panel, 77 x 53 cm
Musée du Louvre, Paris
dell’occhio umano.
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È difficilissimo, per un pittore, combinare insieme esattezza di disegno e armonia di composizione.
Nessuno poteva essere più paziente nell’imitazione della natura di Van Eyck, nessuno poteva essere più
esperto nella resa delle atmosfere di Antonello. Eppure, nonostante
l’impressione di grandiosità delle loro rappresentazioni naturalistiche,
le figure somigliano piuttosto a statue che a esseri vivi. Più
dettagliatamente si ritrae una figura, linea per linea e particolare per
particolare, tanto meno sembra che essa possa muoversi o respirare.
Ma solo Leonardo trovò la soluzione esatta del problema: il pittore
deve lasciare allo spettatore qualcosa da indovinare. Se i contorni
non sono delineati rigidamente,
se si lascia un poco vaga la
forma come se svanisse
nell’ombra, ogni impressione di
rigidità sarà evitata. Questa è la
famosa invenzione leonardesca
detta «lo sfumato»: il contorno
evanescente e i colori pastosi
fanno confluire una for ma
nell’altra lasciando sempre un margine alla nostra immaginazione.
Adesso proviamo nuovamente a guardare Monna Lisa. Leonardo
si è valso larghissimamente dello sfumato: chiunque abbia provato a
disegnare un volto sa che l’espressione si cela soprattutto tra gli angoli
della bocca e gli angoli degli occhi. Ora, sono precisamente queste
parti che Leonardo ha lasciato volutamente indefinite, immergendole in
una morbida penombra. Ecco perché non siamo mai sicuri della
direzione dello sguardo di Lisa e la sua espressione pare sempre sfuggirci.
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Ma naturalmente non è soltanto l’indistinto e il “non finito” che produce un simile effetto. C’è ben altro. Se osserviamo
attentamente il quadro, vediamo che le due metà non sono simmetriche. Ciò risulta evidente nel fantasioso paesaggio dello
sfondo. L’orizzonte a sinistra è assai più basso che a destra, per cui, quando guardiamo a sinistra, la donna sembra più
alta ed eretta che non quando osserviamo il lato destro. Anche nel volto i due lati non si accordano. Trucchi cerebrali,
quindi, ma non giochi di prestigio. Leonardo ha ben chiaro il senso del limite, e rende i dettagli in modo quasi miracoloso.
Si osservi com’è modellata la mano o come siano rese le
maniche con le loro minutissime e innumerevoli pieghe. Leonardo
poteva essere meticoloso come Van Eyck, Masaccio o Antonello nella
riproduzione degli elementi visibili, ma non ne era più schiavo
incondizionato. Il grande scienziato Leonardo conosceva l’incantesimo
grazie al quale poteva infondere vita nei colori distesi dal suo magico
pennello.
Tutte le considerazioni sono rielaborate e sintetizzate da Dario D’Antoni.
Le citazioni sono liberamente tratte dai testi
Ernst H. Gombrich Il mondo dell’arte (Verona 1952)
Honour-Fleming Storia universale dell’arte (Bari 1982)
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Pagina 10
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