...

Il giovane favoloso - Cineforum Pensotti Bruni

by user

on
Category: Documents
11

views

Report

Comments

Transcript

Il giovane favoloso - Cineforum Pensotti Bruni
Il giovane favoloso
Titolo originale:
Regia:
Sceneggiatura:
Fotografia:
Montaggio:
Musica:
Scenografia:
Interpreti:
Produzione:
Distribuzione:
Durata:
Origine:
Il giovane favoloso
Mario Martone
Mario Martone, Ippolita Di Majo
Renato Berta
Jacopo Quadri
Sascha Ring
Giancarlo Muselli
Elio Germano (Giacomo Leopardi), Michele
Riondino (Antonio Ranieri), Massimo Popolizio
(Monaldo Leopardi), Anna Mouglalis (Fanny
Targioni Tozzetti), Valerio Binasco (Pietro
Giordani), Isabella Ragonese (Paolina Leopardi),
Paolo Graziosi (Carlo Antici), Iaia Forte (Sig.ra
Rosa), Gloria Ghergo (Teresa Fattorini)
Carlo Degli Espositi, Patrizia Massa e Nicola Serra
per Palomar/Rai Cinema
01 Distribution
135 min.
Italia 2014
Due cose belle al mondo: Amore e Morte
Mario Martone ci racconta Giacomo Leopardi (Recanati 1798 - Napoli 1837) affidandosi alle testimonianze
storiche e alle parole scritte dal poeta stesso ai suoi interlocutori (e viceversa) raccolte nell’Epistolario,
restituendoci in modo credibile la vicenda umana e quella intellettuale/artistica di un personaggio tanto
complesso quanto geniale. Il ritratto di un uomo libero di pensiero, desideroso d’amore, ironico “Il mio
organismo è talmente debole da non riuscire a sviluppare una malattia forte che lo uccida, quindi
vivo”, ribelle; in un certo senso scomodo per la società letteraria di allora, che lo considera un emarginato in
quanto malinconico e pessimista a causa della sua malattia. Il poeta, dal canto suo, non può fare altro che
rivendicare la sua libertà d’espressione, affermando più volte: “Le mie opinioni non hanno niente a che
vedere con le mie sofferenze personali. Fatemi la grazia di non attribuire al mio stato quello che si
deve solo al mio intelletto. Se proprio vi appassiona, dedicatevi a demolire i miei ragionamenti,
piuttosto che accusare le mie malattie”.
L’opera di Martone inizia come in un filmino d'infanzia: vediamo un fanciullo che gioca brandendo una spada
nel cortile di casa a Recanati, inseguito dal fratello Carlo e dalla sorella Paolina. E’ Giacomo, il primogenito
di Monaldo Leopardi e Adelaide Antici. Il suo volto esprime spensieratezza e il suo cuore speranza di felicità.
Sin dalla più tenera età Giacomo dimostra una straordinaria dote d’intelligenza e, sotto la guida orgogliosa e
autoritaria del padre, trascorre le sue giornate nella grande biblioteca di casa leggendo di tutto “lo studio
matto e disperatissimo”. Il suo mondo è lì, davanti alla sua casa, ma la sua mente desidera andare oltre,
viaggiare al di fuori di quelle mura domestiche. Aiutato dalla sua immaginazione inizia a scrivere poesie e
ben presto entra in corrispondenza con il letterato Pietro Giordano. Giorno dopo giorno la sua salute già
fragile peggiora, ma non desiste dal tentare una fuga che però viene sventata dal padre. Nel frattempo
muore di tisi la ragazza (Teresa Fattorini) di cui Giacomo si era innamorato e a cui, dieci anni più tardi,
dedicherà la poesia “A Silvia”. A ventiquattro anni il poeta lascia Recanati per Firenze, dove lo aspettano i
maggiori circoli intellettuali, ma il suo temperamento libero non sa adattarsi al mondo ipocrita che lo
circonda. E’ insofferente nei confronti di chi riesce a vivere dimenticando quella “malinconia dell’esistere”,
come ironicamente asserisce: “la felicità della vita è una delle più grandi scoperte di questo secolo”.
Incontra Antonio Ranieri, un rivoluzionario napoletano in esilio, che si prenderà cura di lui e resterà amico
fedele fino alla sua morte, dato che le malattie che lo affliggono lo rendono sempre più debole. I suoi occhi
vedono a malapena, ma Antonio è al suo fianco e scrive i versi che lui gli detta. A un ricevimento Leopardi
incontra la dama fiorentina Fanny Targioni-Tozzetti, di cui s’invaghisce, non corrisposto. Dopo aver ottenuto
un modesto assegno dalla famiglia, parte per Napoli con Ranieri (a cui, nel frattempo, è stata concessa
l’amnistia) sperando che il clima mite di quella città possa giovare alla sua salute. Durante il tragitto sosta a
Roma (città che Leopardi detesta per la sua grandezza ed il potere) per una visita agli zii materni. A Napoli
Leopardi vive pienamente la sua libertà assistito dalla sorella di Ranieri, Paolina. Evita volontariamente i
salotti e i circoli letterari, ove l’accoglienza è fredda e distaccata e, quando il fisico lo sostiene, scende nei
vicoli e si intrattiene con la gente comune nelle osterie. Da lì a breve purtroppo scoppia un'epidemia di colera
e Ranieri, sempre preoccupato per la salute dell’amico, lo allontana dalla città. Trovano rifugio in collina, ai
piedi del Vesuvio in una villa di un amico. Ed è proprio in questo luogo, davanti al vulcano che erutta fuoco,
che Martone cala il sipario sul volto sofferente e malinconico di Leopardi, mentre la voce fuori campo recita
La Ginestra.
“Rendere Leopardi è difficile perché la densità del suo pensiero è concentrata e attraversa modalità diverse
di espressione. E’ un pensatore capace di esprimersi in maniera altissima, tanto con la poesia, quanto con
l’argomentazione. Nell’Ottocento sono pochi i testi filosofici italiani in grado di competere con lo Zibaldone e
con le Operette Morali. La sua visione del mondo è costituita da due tesi fondamentali. La prima è una
visione tendenzialmente sensistica del reale: la vita è nient’altro che ciò di cui abbiamo percezione sensibile;
quindi, di fatto, non c’è alcuna trascendenza, alcuna ulteriorità rispetto ai sensi. Tutto ciò che possiamo dire
della vita è ciò di cui facciamo esperienza. Ma, ed ecco la seconda tesi, questa esperienza è
fondamentalmente quella del dolore e della sofferenza: le poche gioie affiorano come rade isole in un mare
di amarezza, che si riconosce se solo si ha l’onestà di alzare gli occhi su ciò che ci circonda (testo tratto dal
libro “ Al cinema con il filosofo” di Roberto Mordacci)
Come Martone (regista e co-sceneggiatore insieme alla compagna Ippolita Di Majo) anche il resto del cast,
sia tecnico che recitativo, ha dato il meglio per la riuscita di questa bellissima e importante opera. Primo fra
tutti Elio Germano (David di Donatello come miglior protagonista) che con grande sensibilità si è calato
anima e corpo nella parte del poeta.
Mario Martone: “Sono un’anima sognante ma coi piedi per terra, e in questo rivedo i miei genitori.
Mamma era una donna che amava la cultura e mi ha trasmesso l’amore per il cinema e i libri. Mio padre era
un artigiano, un uomo abituato a fare più che a pensare. Questa commistione per me è stata importante: mi
sento una persona che ha a che fare col pensiero, ma che si sa rimboccare le maniche e lavorare” (Anna
Bandettini da Rep 31/7/2011).
Classe 1959, Mario Martone, appena diciassettenne, inizia a fare teatro a Napoli con un paio di amici del
liceo Umberto. Due anni più tardi, grazie ai fondi messi a disposizione dall'Università, fonda il gruppo teatrale
Nobili di Rosa che diventa, nel 1979, Falso Movimento, con cui mette in scena delle rappresentazioni di
repertorio sia classico che contemporaneo. Dieci anni dopo, il gruppo si unisce al Teatro dei Mutamenti di
Antonio Neiwiller e al Teatro Studio di Caserta di Toni Servillo, dando origine a Teatri Uniti. Con il nuovo
gruppo Martone, oltre ad aumentare il suo impegno per il teatro, inizia a girare alcuni film da indipendente.
Nel 1992 realizza il suo primo lungometraggio, Morte di un matematico napoletano, con il quale vince il Gran
premio della Giuria alla Mostra del Cinema di Venezia, il David di Donatello e il Nastro d’argento come
miglior esordiente. Tre anni più tardi gira L'amore molesto (David per la miglior regia) tratto dall’omonimo
romanzo di Elena Ferrante, seguito dall’episodio La salita, del film I vesuviani (1997). L’anno dopo è la volta
di Teatro di guerra in cui si narra della tragedia del conflitto nella ex Iugoslavia. Per il triennio 1999-2001
viene nominato direttore artistico del Teatro Argentina di Roma e, nel frattempo, continua ad alternare
l’impegno teatrale con quello cinematografico (inclusi documentari, tra cui ricordiamo Una disperata vitalità,
del 1999, con Laura Betti che narra le poesie di Pasolini e cortometraggi). Nel 2004 realizza L’odore del
sangue tratto da un romanzo di Goffredo Parise. Nello stesso anno presenta la rilettura dell’Edipo a Colono
al Teatro India, da lui fondato nel 1999. Dal 2008 ad oggi ricopre la carica di direttore artistico del Teatro
Stabile di Torino. Nel 2010 Martone concorre alla 67ma Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di
Venezia con la pellicola sul risorgimento Noi credevamo (ispirato all’omonimo romanzo di Anna Banti)
ottenendo il Premio Navicella e successivamente premiato con sette David di Donatello, tra cui miglior film
italiano del 2011. Lo stesso anno mette in scena le Operette morali di Giacomo Leopardi. Questa esperienza
gli permetterà, qualche anno più tardi, di arricchire la sceneggiatura del Giovane Favoloso (Nastro d’Argento
e David di Donatello 2015 per la regia) che viene presentato in anteprima alla 71ma Mostra di Venezia nel
2014 riscuotendo un enorme successo, sia di critica che di pubblico. Da annotare che, negli ultimi anni,
Martone ha curato come regista diverse opere liriche, tra cui La Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni, Le
nozze di Figaro e il Don Giovanni di Mozart, Fidelio di Beethoven. Nel 2015 il regista ha partecipato al
Festival di Locarno con un cortometraggio dal titolo Pastorale Cilentana, dove racconta il rapporto uomonatura (nel film si ascoltano solo i suoni della natura) nelle campagne del Cilento verso la metà del XIV
secolo. La pellicola è stata scelta come installazione del Padiglione Zero all’ EXPO milanese.
A cura di Elena Toia
Legnano, 11 – 12 / 11/ 2015
Cineforum Marco Pensotti Bruni
60ma Stagione Cinematografica
www.cineforumpensottilegnano.it
Fly UP