Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi
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Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi
(Allegato 4) Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me. (Ap 3, 20) In ascolto della sua voce Sono le parole dell’Apocalisse con cui Gesù, tramite l’Apostolo Giovanni, si rivolge alla Chiesa di Laodicèa. Nel corso dei secoli, tutti i cristiani hanno sentito come rivolte a loro queste parole di Gesù. Giovanni Paolo II, fin dal primo giorno del suo pontificato, ci esorta: «Aprite le porte a Cristo!». È un invito a spalancare i nostri cuori a Colui che, solo, può farli traboccare di gioia. La metafora, infatti, della «cena a due» proprio questo vuol significare, e cioè l’abbondanza della gioia e di ogni altro bene che l’unione con Dio porta con sé. Ma quando e come Gesù parla oggi a ciascuno di noi? Come è possibile, fra tante voci e tanto frastuono, poter riconoscere la sua voce e aprirgli le porte del nostro cuore? Bisogna anzitutto far tacere le altre voci, quelle che ci turbano, ci preoccupano e ci ingannano. Ma non basta. Occorre sintonizzarci sull’onda della voce di Dio e questo si può fare se ci decidiamo ad amare: a fare dell’amore (l’amore vero, quello cristiano) il nostro stile di vita. Allora potremo sentire quella sua voce sottile, che non si può scambiare con nessun’altra, perché è la sola che dà pace, sicurezza, che ci sprona e ci illumina. Ci sono poi momenti particolarmente difficili e dolorosi in cui dentro e fuori c’è silenzio e buio. Sono momenti in cui solo la nuda fede nel suo amore ci fa credere che Lui è pur sempre lì, alla porta e bussa. E attende. Attende un nostro gesto di amore. Se sapremo abbracciare quel piccolo o grande dolore che è il volto, la veste sotto cui Lui si presenta, al di là del dolore troveremo solo l’amore, la gioia di stare con Lui. "«Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me». È una Parola che ci richiama ad un ascolto continuo della sua voce. Ma come fare, immersi come siamo in attività che assorbono tutte le nostre forze e la nostra attenzione? Basterà, all’inizio di una giornata di lavoro, o quando stiamo per dedicarci a qualcosa di impegnativo in famiglia, a scuola, in ufficio, dirgli con tutta la confidenza: «È Te che voglio incontrare in quelle persone, in quella situazione. È a Te, a Te solo, che voglio aprire la porta del mio cuore!». E allora quella giornata, quel colloquio, quell’impegno acquisterà un’altra dimensione, un altro “sapore”, quello dell’incontro con Gesù che, nel segreto, ci inonda con la dolcezza e la luce della sua presenza. Gesù, infatti, ci ha svelato un suo modo particolare, un suo “segreto” per vivere questa Parola. È la sua presenza nel fratello o nella sorella, per cui ogni prossimo che incontriamo è un’occasione per aprirgli la porta e comunicare con Lui. Ma in realtà è Lui ad accogliere noi e a colmarci dei suoi beni. E così, magari alla fine di una giornata tutta spesa nell’ascolto e nel dono a Gesù nei fratelli, sentiremo traboccare il cuore di una gioia pura e profonda. «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me». In questo mese in cui ricorre la “Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani”, che ha per suo motto queste parole di Gesù, Egli sta alla porta e bussa, chiedendoci ancora e sempre di ricomporre l’unità visibile e piena della Chiesa. Ascoltiamo dunque la sua voce e impegniamoci per arrivare alla piena comunione tra le Chiese. Vivere questa sua Parola farà più vicino il giorno della riconciliazione di tutti i cristiani, anticipando già sulla terra quella cena che ci vedrà tutti riuniti attorno a Lui, quella cena e quella tavola che Lui stesso ci prepara come ha promesso nel suo Vangelo. Chiara Lubich: Parola di vita di Gennaio 1996 Città Nuova n. 24/95 del 25.12.95 Aprirgli la porta Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me. (Ap 3, 20) Fra le tante cose di cui spesso ci dimentichiamo, ce n’è una particolarmente importante. Eppure, sopraffatti come siamo dai problemi familiari, sommersi dal lavoro, impegnati in molteplici attività, preoccupati da problemi particolari e dalle situazioni generali economiche, politiche, sociali e così via, non solo è facile che ci dimentichiamo di questa cosa importante, ma diventa addirittura difficile parlarne, come di una cosa quasi assurda, o almeno superflua e inopportuna. E ciononostante, e forse proprio per non essere del tutto sopraffatti ed alienati, è importante ricordare questa «cosa»: che ciascuno di noi è chiamato ed invitato personalmente ad un incontro con Dio e ad un colloquio con lui. C’è una frase che lo dice in un modo particolarmente bello: «Ecco, io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me». È questa una frase dell’Apocalisse, rivolta da Gesù, attraverso l’apostolo Giovanni, alla Chiesa di Laodicea, una città dell’Asia Minore. Ma sono parole di un valore universale. «Se qualcuno...» dice Gesù, genericamente. Non si rivolge in particolare al monaco, alla suora, a persone dedite alla preghiera. Anche i cristiani di Laodicea, per quel che ne sappiamo, erano persone comuni, dedite alle attività dei loro concittadini: commercio. banche, artigianato tessile, una scuola medico-farmaceutica, lo stadio, il teatro. Così, anche oggi, quel «qualcuno» può essere la massaia affaccendata, l’operaio della fabbrica, il pendolare sul treno, il malato nella corsia d’ospedale, il contadino, il manager, la ragazza che sboccia alla vita, lo studente sprofondato nei libri, il giovane impegnato nello sport. È una frase rivolta a tutti, possibile per tutti, anzi, ognuno si può dire veramente cristiano, tanto quanto è capace di rispondere a questo invito personale di Gesù. Essa ci dice che Gesù è vicino. C’è chi non lo conosce perché non lo ha mai cercato, o chi «accantona il problema» perché è troppo impegnativo. C’è chi crede in lui, un po’ per tradizione, un po’ per convinzione, ma non conosce l’incontro e il colloquio personale con lui. C’è chi è diventato «né caldo né freddo», come Gesù rimprovera già, appunto, ai cristiani di Laodicea. E c’è anche chi conosce bene la religione, frequenta la chiesa, studia la teologia, ma non ha «centrato» bene la sua vita su questo continuo rapporto personale con Gesù. A tutti Gesù ripete che «sta alla porta e bussa». Ci possono essere tanti modi di incontrarlo, e ne abbiamo già parlato. Ma quello che più ci interessa, ora, è il modo più semplice, alla portata di tutti in qualsiasi momento: quello di cercarlo «dentro di noi», se così si può dire. È un’esperienza più semplice da vivere che non da descrivere. Se volessimo in qualche modo spiegarcelo, dovremmo ripensare ad alcune realtà fondamentali della nostra vita di cristiani. E ricordare che Gesù ci ha mandato il suo Spirito, per suggerirci e farci capire tutto quello che ci ha insegnato; oppure che la legge di Cristo è scritta nel nostro cuore, per la grazia che abbiamo ricevuto; oppure che tutta la nostra vita psichica, e la nostra coscienza, è impregnata di questa nostra partecipazione alla vita di Dio e che attraverso tutto questo la voce di Gesù, che è voce di Dio, si fa sentire in noi. Ma quel che ci interessa ora è piuttosto il «vivere» questa parola di Gesù. Potremmo allora dire che, se ci rivolgiamo a Gesù, a Dio, con purezza di cuore, raccogliendoci un po’, in qualsiasi circostanza della nostra vita, possiamo sentirci illuminati, orientati, spinti al bene, chiarificati; possiamo trovare forza e pace. Potremmo anzi dire, usando un linguaggio tecnico, che nell’intimo della nostra anima riceviamo continuamente degli impulsi di luce e di energia, ma che solo una minima parte di essi viene captata e sfruttata da noi, perché non ci mettiamo in sintonia, o togliamo i contatti. Oppure, se vogliamo tornare al linguaggio di Gesù, diciamo che lui effettivamente bussa, ma che noi qualche volta teniamo la porta ben chiusa. «Aprirgli la porta» può significare dunque sgombrare il nostro cuore da quegli ostacoli che si possono frapporre fra noi e lui. Uno di questi può essere il timore che ci chieda di cambiare qualcosa nella nostra vita; o che ci domandi qualcosa che non siamo disposti a dare. Un altro può essere una immagine falsa che ci siamo fatta di lui e che pone in noi una certa diffidenza. Oppure può essere il nostro affaccendarci in mille cose, che riteniamo non ci lasci tempo di pensare a lui. Per ognuno c’è forse un ostacolo diverso, giacché ogni cuore umano racchiude un suo mistero, ma non c’è ostacolo che non si possa rimuovere e porta che non si possa aprire, prima o poi. E «ascoltare la sua voce» significa per noi imparare a rivolgerci a Gesù nelle più varie circostanze della nostra vita. Ci confrontiamo con lui prima di prendere una decisione; ci raccogliamo un momento con lui prima di cominciare un lavoro o di incontrare una persona. A conclusione di una qualsiasi attività, l’affidiamo alla sua misericordia, perché colmi le inevitabili lacune. Ricorriamo a lui nella tentazione, lo preghiamo nella necessità, lo ringraziamo nella gioia, ci uniamo a lui nel dolore. Trascorriamo del tempo con lui nella preghiera. E ci accorgiamo che questo «ascoltare la sua voce» non è un modo di dire o una cosa sentimentale, ma una profonda realtà. Possiamo abitare, vivere, parlare, lavorare con Gesù, o lasciarlo «fuori della porta», ai margini della nostra vita. La differenza dei risultati sarà certo notevole. Ma la conseguenza più importante che ne deriva, è quella che ci dice Gesù a completamento della sua frase: «Verrò da lui, cenerò con lui, ed egli con me». Tutta la vita di unione con Dio è racchiusa in queste parole. Esse ci possono ricordare anche l’ultima cena e l’Eucarestia; e tutte quelle parabole in cui il regno dei cieli è paragonato ad un convito; e certo, verrà anche il momento dell’incontro definitivo con Gesù, al termine della vita. Ma queste parole valgono già per questa vita, per ora. Anzi, quanto più qui avremo imparato ad «ascoltare la sua voce», tanto più semplice sarà ascoltare il suo ultimo invito ad andare con lui ed a cenare con lui, in quel Regno che non avrà fine. Ne ho avuto la conferma ieri, quando sono andato a trovare B. all’ospedale. Aveva una settimana di vita, e lo sapeva. Ma non c’era tristezza nella sua stanza, e tanto meno nel suo sorriso semplice e straordinariamente luminoso, o in quella semplicità quasi dimessa con cui pronunciava delle parole che mi si piantavano nell’anima. «Sono sempre più debole – diceva. Sempre più debole nel corpo, e sempre più forte nello spirito. Nell’anima ho solo una gioia grandissima, e un’attesa grandissima... per questo incontro con lui». Avrei detto che «lui» era veramente lì, sulla soglia. Giorgio Marchetti: Parola di vita di Gennaio 1975 Città Nuova n. 24/74 del 25.12.74