codici comunicativi per non udenti e implicazioni per l`apprendimento
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codici comunicativi per non udenti e implicazioni per l`apprendimento
CODICI COMUNICATIVI PER NON UDENTI E IMPLICAZIONI PER L’APPRENDIMENTO Prof. Elio Borri Psicopedagogista I codici comunicativi (linguistici e non) sono sistemi convenuti con cui si trascrive o si traduce un messaggio. Essi sono il risultato di analisi e di sintesi degli studi nel campo della comunicazione, nel nostro caso, dei soggetti sordi. I codici sono strettamente connessi e correlati ai metodi che sono stati convenuti e scelti per i soggetti da educare. Facoltà tipica dell’uomo è la capacità di usare un linguaggio orale per comunicare. Ogni bambino fin dalla prima infanzia, se viene esposto ad una lingua in una situazione comunicativa adeguata, è in grado di sviluppare tale competenza. Il bambino che cresce in un ambiente dove si parla l’italiano imparerà l’italiano, e così anche se fosse immerso in un’altra o più lingue. Sembra esservi un periodo critico per l’acquisizione del linguaggio, che avviene normalmente per immersione e per imitazione: dalla nascita ai tre anni e mezzo circa, per proseguire con modalità diverse per tutta la vita. La capacità linguistica, pur costituendo una capacità cognitiva autonoma rispetto ad altre capacità cognitive è con queste intimamente interrelata. La mancata esposizione ad una lingua parlata dei soggetti sordi nei primi anni di vita impedisce il normale sviluppo della lingua che anche nell’eventualità di essere appresa presenta: - una certa rigidità lessicale - una marcata difficoltà a padroneggiare lessico, grammatica e sintassi della lingua - una notevole riduzione di informazioni e nozioni relative al mondo ed alla vita in genere - un ridotto patrimonio psico-socio-affettivo. Come dunque ovviare a tutto ciò e facilitare l’acquisizione e il completo sviluppo del linguaggio anche nelle persone sorde? La risposta è indubbiamente non facile. Attraverso le tecniche più recenti di diagnosi, protesizzazione e rieducazione precoce si è cercato di far sì che il bambino sordo ricevesse un input linguistico il più possibile simile a quello di un bambino udente in modo da sviluppare il linguaggio negli stessi tempi. Ma si è scoperto ben presto che questo obiettivo, difficile da raggiungere nel caso delle sordità lievi o medie, è praticamente impossibile (salvo rare eccezioni) nel caso di sordità gravi e profonde. L’apprendimento linguistico di questi bambini anche se diagnosticati, protesizzati e rieducati entro i primi due anni di vita sarà sempre diverso e ritardato rispetto a quello di un bambino udente. Nonostante le più aggiornate ricerche sull’acquisizione e sullo sviluppo del linguaggio sotto gli aspetti fonologico, morfosintattico, semantico, pragmatico e nei suoi diversi ambiti: parlato e scritto, il sordo, come conseguenza di questa diversità e di questo rallentamento, perderà una serie di contenuti, conoscenze e informazioni sul mondo che il bambino udente acquisisce proprio attraverso l’esposizione continua al linguaggio ed al suo ambiente parlante. Ai bambini sordi non manca la facoltà di linguaggio, il loro apparato fono-articolatorio è sano ed integro, manca la possibilità di sviluppare il linguaggio nella modalità acustico-vocale. Quale percorso, quale modalità, quale metodo e quale codice adottare nell'approccio rieducativo, quale privilegiare? Il metodo orale, dopo uno storico e secolare dibattito tra i sordi e gli esperti del tempo, fu da questi concordato nel Congresso di Milano del 1880 e diffuso; da quel momento esso ha dominato in modo quasi assoluto il panorama italiano dell’educazione dei sordi basata sulla parola. Dopo un lungo ostracismo al gesto sostitutivo, durato quasi un secolo, tutti gli oralisti concordano nell’esclusione, nell’ambito del linguaggio parlato e scritto, di qualsiasi uso dei segni, non negando il gesto integrativo. Essi puntano da una parte sull’allenamento acustico, per favorire l’utilizzo del residuo uditivo, dall’altra sul potenziamento della labiolettura alla base della comunicazione orale. Tra i massimi esponenti dell’oralismo italiano troviamo Massimo Del Bo e Adriana Cippone De Filippis1 che focalizzano l’intervento logopedico su alcuni punti ritenuti da loro essenziali quali: - la diagnosi precoce - l’esatta valutazione del deficit - l’immediata protesizzazione - la collaborazione della famiglia nell’intervento logopedico - l’integrazione nelle scuole normali. Questi aspetti del metodo orale sono comuni anche ai metodi misti, cioè a quei metodi che utilizzano i segni nella rieducazione con l’obiettivo tuttavia dell’insegnamento della lingua vocale al bambino sordo. La scelta oralista è stata messa in discussione da qualche decennio, a partire dalle prime ricerche sulla Lingua Italiana dei Segni (LIS) portate avanti dal gruppo di lavoro di Virginia Volterra2 presso l’Istituto di Psicologia del CNR. Dopo le ricerche condotte dagli anni Sessanta negli USA da William Stokoe sulla ASL (American Sign Language) che portarono ad affermare che la Lingua dei Segni presenta tutte le caratteristiche morfologiche, grammaticali, sintattiche di ogni lingua naturale, anche in Italia si è cominciato a studiare ed a parlare di altri metodi logopedici e, dunque, nell’educazione al linguaggio del bambino sordo oggi è possibile scegliere tra vari percorsi rieducativi. Da molti operatori del settore i segni cominciano ad essere considerati un ausilio da utilizzare durante la ri-educazione al linguaggio orale. Nel metodo misto o bimodale si utilizza l’Italiano segnato (IS): la parola vocale è accompagnata dal segno corrispondente, pur lasciando inalterata la struttura della lingua verbale. ‘Bimodale’ significa doppia modalità e infatti nella metodologia bimodale vengono utilizzate la modalità acustico-verbale, poiché si parla, e la modalità visivo-gestuale, perché si segna, ma un’unica lingua: l’italiano. Oltre all’Italiano segnato, nel metodo bimodale si può far uso dell’Italiano segnato esatto (ISE): si fa ricorso a degli evidenziatori ed alla dattilologia (l’alfabeto manuale) per tutte quelle parti del discorso a cui non corrispondono dei segni (articoli, preposizioni, iniziali e finali di parola, gruppi consonantici all’interno della parola, plurale dei nomi, flessioni del verbo, mancanza di un segno, di adeguata decodifica labiale e/o di riferimenti culturali, …). L’obiettivo del metodo bimodale, come per quello orale, è l’acquisizione da parte del bambino sordo della migliore competenza possibile nella lingua parlata e scritta. E’ anche per questo, forse, che molti operatori, a conoscenza del fatto che i sordi acquisiscono con molta più facilità la lingua dei segni di quanto accade con la lingua vocale, perché i segni viaggiano sulla modalità visivo-gestuale e, quindi, su un canale integro, hanno adottato l’educazione bilingue, che si sostanzia nell’esporre il bambino sordo contemporaneamente alla lingua vocale e alla Lingua Italiana dei Segni (LIS). La concretizzazione di un’educazione bilingue del bambino sordo nella realtà implica una serie di problematiche sia in ambito linguistico che psicologico. Tra queste, prima fra tutte la difficoltà di esporre precocemente alla lingua dei segni il bambino sordo figlio di genitori udenti, che non la conoscono o se l’hanno imparata non è per loro comunque una prima lingua. Un’altra difficoltà è data dal fatto che solo il 5% della popolazione dei sordi, di circa 60.000 unità in Italia, è veramente competente nella LIS, ricevuta come lingua madre. Anche se è vero, e proprio per questo, che negli ultimi tempi la comunità dei sordi italiana si sta impegnando in attività scolastiche o di insegnamento della LIS. I segni usati dai sordi non sono un semplice insieme di gesti per comunicare3. Essi hanno una grammatica ben precisa, regole per declinare i verbi, per il plurale e il singolare. Costituiscono cioè una vera e propria lingua al pari delle lingue vocali. 1 Cippone De Filippis A. e Del Bo M., La sordità grave, 1974, 1990 ristampa. Volterra V., La lingua dei segni come sistema linguistico non vocale, (da Atti del 1° Sem. internaz.le Foniatria e Logopedia di Saint-Vincent, 1984). 2 3 Come una lingua vocale si esprime attraverso l’attività fono-articolatoria, così la Lingua dei Segni si esprime attraverso l’attività manuale, le mani assumono una determinata configurazione e si muovono in precisi punti dello spazio. Come nelle lingue vocali esistono delle regole che guidano tali attività lo stesso accade con le lingue dei segni. I segni possono essere eseguiti con una o due mani. I segni ad una mano vengono abitualmente eseguiti con la mano dominante. E’ importante sottolineare che queste regole, che sono state chiamate rispettivamente condizione di simmetria e condizione di dominanza, sembrano ritrovarsi in tutte le lingue dei segni. Inoltre, come nelle lingue vocali, è possibile individuare un numero ristretto di fonemi in parte diversi da lingua a lingua e dalla cui combinazione vengono prodotti tutti i segni di una particolare lingua, così nelle lingue dei segni è possibile individuare un numero ristretto di parametri dalla cui combinazione vengono prodotti tutti i segni di una particolare lingua e precisamente: - il luogo dello spazio dove viene eseguito il segno - la configurazione della mano (o delle mani) nell’eseguire il segno - l’orientamento del palmo e delle dita assunto dalle mani - il movimento prodotto dalle mani nello spazio. Sono stati individuati fino ad oggi nella LIS: 15 luoghi, 31 configurazioni, 6 orientamenti e 32 movimenti. Gli aspetti grammaticali, riferibili a coniugazioni, congiunzioni, preposizioni e avverbi vengono espressi dalla LIS con meccanismi come l’uso dello spazio e la modulazione del movimento. Infine l’ordine dei segni nella frase non è affatto casuale, ma segue delle regole precise, in molti casi diverse da quelle dell’italiano: L’auto della mamma è rotta = mamma sua auto rotta; La palla è sul tavolo = tavolo palla sopra. L’ordine degli elementi, insieme all’espressione facciale, ha anche un ruolo cruciale nell’esprimere le diverse intenzioni comunicative di una frase: interrogativa, condizionale, imperativa. La LIS si è via via affermata come la lingua dei sordi con un proprio specifico di lessico e di sintassi e grammatica di cui si rinvia a testi specifici consultabili e presenti ormai in qualsiasi buona libreria. A livello giuridico una risoluzione del Parlamento europeo del 1988 invitava i Paesi membri a riconoscere le rispettive lingue dei segni come lingue ufficiali. L'Italia non si è ancora uniformata a questa disposizione. Nel 1995 a Trieste si è tenuto il primo convegno nazionale sulla LIS, cui hanno partecipato molti sordi e udenti di vari paesi: ricercatori, operatori del settore, insegnanti, e persone semplicemente interessate. E’ emersa dal convegno "un’ipotesi di partenza per una disciplina che analizzi – con valenza antropologica) - la sordità come una risorsa generatrice di cultura". Tab. 1 – Differenze tra segni e gesti [da Lingua Italiana dei Segni o Linguaggio Mimico Gestuale Italiano? Che confusione!... di Mauro Prattella Monastra (da Studi e Ricerche – l’Educazione dei sordi – 4 – 1992)] I SEGNI I GESTI Sono usati da sordi Sono usati da udenti Uso mani, espressioni facciali, occhi, posture Uso delle mani, espressioni facciali, occhi, posture corpo corpo Tali mezzi sono flessibili: la modifica dei Tali mezzi sono fissi ed acquistano significati movimenti è significativa perché riguarda le regole diversi sulla base dell’espressione verbale che grammaticali accompagnano I movimenti delle mani sono vari e impiegati in I movimenti delle mani sono ripetitivi e fissi nello diversi luoghi dello spazio spazio Il significato è molto vario perché ogni forma Il significato è limitato delle mani, il luogo dove è eseguito il segno e il movimento corrispondono a significati diversi Questa comunicazione è usata solo da sordi Questa comunicazione è usata da udenti e perché gli udenti riscontrano in essa serie ed spontaneamente anche da sordi. enormi difficoltà In Italia la Lingua dei Segni, anche se viene prevalentemente usata nei circoli, in famiglia o negli istituti per sordi fuori dalle classi, non è usata ufficialmente in contesti educativo-scolastici, ha scarse occasioni di essere utilizzata nel corso di incontri tra sordi e udenti a livello nazionale o internazionale, non ha avuto molte opportunità di diffondersi nelle università o in molti altri ambiti formativi; nessuna delle varietà usate si è affermata come lingua ‘standard’ o ufficiale. Infatti le metafore visive sottostanti le diverse configurazioni possono variare da lingua a lingua e sono strettamente collegate alla comunità in cui quella lingua viene utilizzata. Studi e ricerche sui bambini sordi negli U.S.A. hanno dimostrato che molti di loro hanno una scarsa competenza nella struttura della lingua inglese e trovano molta difficoltà nell'esprimersi sia oralmente che nel linguaggio dei segni, oltre che nel leggere e scrivere. Nel tentativo di migliorare questa situazione, la maggior parte dei bambini con sordità profonda negli Stati Uniti vengono educati con programmi di Comunicazione Totale (CT). Questo metodo si avvale della stimolazione linguistica precoce mediata dalla lingua dei segni, supportata dalla vista, per dare una base linguistica adeguata per l'apprendimento futuro. Si crede che i bambini sordi, stimolati col linguaggio dei segni, svilupperanno una competenza linguistica più naturale e spontanea di come la svilupperebbero se fossero stimolati soltanto con il linguaggio parlato. Uno studio fatto da Geers e altri4 ha messo a confronto la lingua inglese prodotta da bambini sordi profondi, che frequentavano un programma Audio-Orale in diverse scuole degli Stati Uniti, con quella di altri bambini sordi profondi educati con programmi che facevano uso della Comunicazione Totale. I bambini sono stati sottoposti al test GAEL-S (Grammatical Analysis of Elicited Language Simple Sentence Level) per valutare la lingua parlata: diversamente da come si era ipotizzato, non è stata trovata nessuna differenza significativa fra la lingua parlata dai bambini dei programmi audio-orali e la lingua dei segni dei bambini che frequentavano programmi di Comunicazione Totale, in tutti i gruppi di età. Inoltre la differenza di qualità fra la lingua dei segni e la lingua parlata dai bambini della Comunicazione Totale emerge per i soggetti meno dotati ed indica che in pratica l'uso dei segni può causare difficoltà e confusione interferendo con lo sviluppo della lingua parlata. A fianco del metodo orale, del metodo combinato (misto - metodo bimodale, Comunicazione totale), della LIS ci sono altri metodi e modi di intervento: il metodo verbo-tonale, in Italia, USA, exYugoslavia, Paesi Bassi, il metodo mimico (-gestuale)5, il metodo grafico6 e il metodo che prevede il ricorso agli interpreti. Alla luce del dibattito sui metodi e codici adottabili, il campo è occupato saldamente dagli oralisti, con tutte le variabili di tipo cognitivistico, ed i sostenitori della Lingua Italiana dei Segni. Il fervore dialettico ha portato tante ragioni, ma non ancora supportate da studi adeguatamente approfonditi. Ci sono domande a cui non sono state date risposte. Non è difficile convenire sul fatto 4 Ann E. Geers (Istituto Centrale per sordi di St. Louis (MO) U.S.A.) - Comunicazione Totale e metodo audioorale nell'insegnamento ai bambini audiolesi 5 Il metodo mimico, francese, si basa su un linguaggio d'azione, completato dai gesti convenzionali e dall'alfabeto manuale. I parametri del gesto: le espressioni facciali, le configurazioni, il movimento, l’orientamento del palmo, la direzionalità, il luogo. L'individualità del gesto (es. l'agitarsi della mano nell'atto di riprodurre l'azione dello scrivere può significare secondo i casi: penna, matita, scrivere, disegnare, e chi più ne ha più ne metta), l'indeterminatezza del gesto (che subisce l'influsso dell'interpretazione di ciascun individuo e delle diverse circostanze), l'extrasocialità (la comunità umana è composta di parlanti e non di mimi) non depongono certo a favore di questo metodo che nonostante quanto detto è molto usato in situazioni e in ambienti non integrati. Il Linguaggio Mimico Gestuale Italiano (LMGI) presenta le seguenti caratteristiche: mancanza di codifica in ambito nazionale; presenza di dialetti provinciali/regionali/locali; ricerca solo agli inizi, in Italia; scarsa competenza metalinguistica; varianti segniche frequenti, casuali, soggettive, temporali; necessità di una commissione di esperti sordi linguisticamente preparati con la presenza di linguisti; espansione del lessico per aree semantiche per una maggiore autonomia linguistica. 6 Scarso credito hanno il metodo combinato (!) e il metodo grafico (!) per motivi di opportunità. L'anacusico che vuole (!) inserirsi nell'ambiente sociale e produttivo deve adeguarsi, e a tale fine educato, all'uso della maggioranza. che la Lingua Italiana dei Segni, come si è detto, è la lingua dei sordi. Una lingua a tutti gli effetti come l’italiano, l’inglese, il francese7, ecc.; infatti si parla generalmente di lingua quando si tratta di un sistema di simboli relativamente arbitrari e di regole grammaticali che mutano nel tempo e che i membri di una comunità condividono e usano per diversi scopi, quali: - interagire gli uni con gli altri, comunicare le idee, le intenzioni, le emozioni, elaborare i dati interni della conoscenza; - far parte della cultura di questa comunità da trasmettere di generazione in generazione. Ma questi aspetti sono sufficienti per offrire ai soggetti sordi il loro ottimale sviluppo cognitivo e psichico e la loro migliore collocazione sociale? Quali implicazioni per l’apprendimento? Al fine di procedere alla formulazione di un piano d'intervento psicopedagogico realistico e rispettoso di tutte le diverse esigenze e della personalità del bambino sordo come della collettività, è importante prendere in esame la complessa materia delle sordità infantili e delle loro conseguenze sullo sviluppo della persona. Il bambino sordo è destinato a diventare anche muto, se rimane isolato ed emarginato in un mondo di udenti e di parlanti. Lo studio del bambino sordo investe il problema generale della relazione tra il pensiero come processo psichico e i contenuti del linguaggio fono-articolato. Per lungo tempo è stato dibattuto il problema dell'esistenza di un pensiero 'puro', senza immagini e senza linguaggio. Molti studi sono stati fatti sul tema delle influenze reciproche tra i due processi dell'acquisizione del linguaggio e del pensiero come sviluppo intellettivo. Tutte le teorie, fin dai tempi più antichi, variavano tra i due estremi di un'identificazione e di una separazione del pensiero e del linguaggio. Vygotsky8, considerato il pioniere di questi studi, afferma: "Lo studio del pensiero e del linguaggio è uno dei settori della psicologia in cui è molto importante avere una chiara conoscenza delle relazioni interfunzionali. Fintantoché noi non comprendiamo il rapporto esistente tra pensiero e linguaggio, non possiamo porre esattamente nessuna delle domande più specifiche che sorgono in questo campo, né tanto meno rispondere ad esse". Per dimostrare l'interrelazione tra pensiero e linguaggio sono stati avviati o presi come spunto numerosi esperimenti e ricerche. Una delle fonti d'informazione più importanti nell'ambito di queste ricerche è il confronto tra bambini sordi e udenti. “I sordi, afferma Oléron9, risolvono alcune prove sulle capacità percettive (non uditive) con successi confrontabili a quelli ottenuti dagli udenti, mentre sono ritardati nelle altre. Nelle seriazioni non trovano difficoltà degne di nota quando si tratta di serie di elementi fisicamente dati, soprattutto nel caso di una seriazione semplice. Compaiono, invece, alcune difficoltà di fronte a una seriazione doppia o che richieda la rappresentazione di elementi che si sono succeduti nel tempo”. Le ricerche di Oléron consentono in sintesi di affermare: - che il possesso del linguaggio crea un sistema di abitudini grazie al quale il soggetto si trova addestrato a passare dal piano della percezione al piano dell'astrazione (1951) - che l'uso della lingua favorisce negli udenti alcune conoscenze, la capacità di interpretazione degli stimoli percepiti e la possibilità di modificare l'organizzazione delle risposte, con evidente privilegio dell'influenza dei fattori culturali nella soluzione di problemi (1966) - che in definitiva la funzione della lingua è quella di un processo di codificazione (1972). La condizione del bambino sordo, nei primi anni di vita, per l'assenza dello scambio verbale, influenza profondamente lo sviluppo della sua personalità. 7 L.S.F. (Langue de Signes Française) usata in Francia; L.S.E. (Languaje de Signos Español) in Spagna; B.L.S. (British Sign Language) in Gran Bretagna; A.S.L. (American Sign Language) in USA; J.S.L. (Japanese Sign Language) in Giappone,… 8 Vygotsky Lev S., Pensiero e linguaggio, Giunti Barbera, Firenze, 1966. 9 Oléron P., Le attività intellettive, Giunti barbera, Firenze, 1973. Il ricorso al linguaggio è in un certo senso una presa di distanza in rapporto agli oggetti percepiti, pertanto si potrà ritenere che il suo uso abituale costituisce un addestramento per questa presa di distanza. Il soggetto addestrato si libera della tentazione di reagire immediatamente e di mobilitare schemi d'azione puramente pratici. L'uso abituale del linguaggio può rendere il soggetto più prudente, più circospetto verso le impressioni immediate. Anche avvertimenti ed esortazioni, trasmessi a loro volta per via verbale, contribuiscono a favorire quest'atteggiamento sociale. La LIS è in grado di garantire l’acquisizione di questa presa di distanza? In quale misura? E in rapporto al soggetto educato all’oralismo, più o meno ? Quali e quanti sordi possono accedere a questo atteggiamento socializzante? L'intelligenza del bambino sordo si sviluppa secondo schemi necessariamente diversi da quelli usuali per gli udenti e la sua capacità di adattamento non è e non può essere la stessa pur essendo in grado di risolvere i suoi problemi con una discreta efficienza. Nei bambini sordi carenze a livello di apprendimento e di riflessione sono viste in conseguenza di una minore attività dimostrata nell'uso del linguaggio, che è strettamente legato all'astrazione e alla manipolazione o richiamo dell'astratto. Per i concetti più astratti sono necessarie le parole per dare loro un supporto che permette di comprenderli e di combinarli. Questi concetti fanno parte di un sistema che comporta solo di tanto in tanto il riferimento a ciò che è percepito. Nel bambino sordo questo riferimento è costante, e come si avvicinerà meglio ai questi concetti astratti, con il codice della lingua orale o con quello dei segni? La LIS è in grado di operare, e con quale attesa di risultati, sulla difficoltà, caratteristica dei soggetti sordi, di rendersi conto proprio delle norme sociali e morali che regolano i rapporti interpersonali di cui può cogliere solo gli aspetti più esterni ed elementari, per l'appunto quelli visivi? Solo per altre vie senza ricorso al linguaggio verbale sarà possibile rendersi conto di alcuni rapporti sociali o anche solo dei legami parentali, con pregiudizio allo sviluppo della socializzazione, alla autonomia ed alla stessa costituzione del senso di fiducia fondamentale nei primi anni di vita? Pur investendo solo indirettamente lo sviluppo cognitivo, quale influenza verrà esercitata sulla personalità, soprattutto sul piano emotivo e motivazionale? Si avrà uno scadimento prestazionale nei confronti degli udenti, di quale entità? Educare il bambino sordo a trovarsi a proprio agio in una struttura con il minimo di frustrazione e il massimo di gratificazione dipende dai processi di apprendimento nel gruppo di appartenenza mediante il fenomeno fondamentale dell'interazione tra persone, dei bambini tra loro e con gli adulti, sordi e non. Il processo d'interazione completo e produttivo prevede un sistema di comunicazione valido, che nell'uomo della società ampia è costituito dal linguaggio fono-articolato. Promuovendo un intervento più precoce possibile per ridurre al minimo l’inevitabile isolamento nel gruppo familiare e nel gruppo degli udenti coetanei e adulti e sfruttando le leggi della percezione, è possibile abituare il piccolo sordo a 'leggere' i segni e/o dalle labbra di chi parla i fonemi resi visibili dai movimenti che li distinguono, integrandoli con gli elementi della parola la cui articolazione non può essere rilevata dalla vista. Allo stesso modo è possibile allenare il bambino sordo a comunicare con i segni e/o ad articolare la voce, senza servirsi del feed-back uditivo, in modo intelligibile da parte dei non sordi. Lo sviluppo psichico del bambino non udente presenta solitamente mancanza di plasticità, una ridotta capacità di rispondere agli stimoli ed una scarsa discriminazione degli aspetti della realtà. La LIS è funzionale ad influire adeguatamente su questo sviluppo? In tutti i soggetti? Più o meno di altri codici adottati? Nella sfera intellettiva si hanno quattro funzioni fondamentali: la percezione, la memoria, il pensiero e l'intelligenza. Alla base dell'attività rappresentativa e della conoscenza ci sono le percezioni. Tramite la percezione gli input interni ed esterni (i dati propriocettivi ed esterocettivi) vengono recepiti, interpretati e strutturati. I dati giungono alla psiche per mezzo delle senso-percezioni, la memoria li registra immagazzinandoli; il pensiero li combina in schemi, classificazioni e rapporti e, infine, l'intelligenza li utilizza. Ogni funzione è influenzata dalle altre ed interdipendente con queste. Vi è un processo attivo, che parte dalla percezione e arriva all'intelligenza, ed un processo riflessivo chiamato anche retroattivo o feed-back dove l'intelligenza ed il pensiero influiscono sulla percezione modificando le successive percezioni della stessa realtà. L'alunno sordo ha maggiori difficoltà a chiarire le informazioni ricevute, a percepire adeguatamente gli eventi in quanto la sua esperienza, la sua percezione, è essenzialmente visiva, anche quella del linguaggio parlato. La percezione del non udente ha particolari caratteristiche che si rivelano di impedimento quando si tratta di abbandonare il percepito per cogliere il quadro generale; la ricchezza delle immagini concrete sarebbe la ragione di un minor sviluppo dei sistemi simbolici nel bambino audioleso. L'handicap uditivo può essere, in parte, supplito sfruttando le informazioni veicolate dagli altri sensi intatti, come la vista, il senso cinestetico e le sensazioni vibro-tattili. Questa vicarietà sensoriale sta alla base della rieducazione del sordo. La vista è utilizzata come senso di vigilanza dei cambiamenti dei secondi piani dell'ambiente, la cinestesia, unita alla vista, per controllare i primi piani e labioleggere. Se il bambino possiede un residuo uditivo, potenziale con la protesi, è opportuno sfruttarlo al massimo affinché possa integrare maggiormente la percezione e consentire un'informazione il più precisa e completa possibile. Anche l'attenzione è percezione, nel senso che è punto di partenza, predisposizione a percepire e conoscere e mezzo operativo per la maturazione psichica. Il bambino sordo rivela alcuni comportamenti attenzionali caratteristici in quanto la privazione uditiva gli rende variamente impossibile prestare adeguata attenzione agli stimoli uditivi e, contemporaneamente, non gli permette che una limitata decodificazione dei segnali della comunicazione. L'insegnante, perciò, nella sua relazione educativa con l'alunno audioleso deve tener conto di alcune considerazioni: l'udire ha una funzione fisica di unione del soggetto con il mondo interno e con quello esterno vicino o lontano, visibile o non visibile, ma per il bambino sordo l'ambiente che egli vede rimane privo di informazioni sonore ed egli può coglierne esclusivamente gli aspetti visivo-motori; l'udire è importante dal punto di vista psicologico poiché l'informazione uditiva aiuta a trovare spiegazioni in relazione al mondo e agli altri, essendo l'udito il canale tipico della socialità e fattore di socializzazione; il bambino sordo assume atteggiamenti di diffidenza e di distacco verso gli altri come meccanismo di difesa al "non-sentire", al non poter comprendere ed essere compreso da chi lo circonda. L'immaginazione è il potere che ha l'uomo di trasformare progressivamente nella sua coscienza i dati della sua esperienza e di creare elementi nuovi con dati vecchi. L'immaginazione, che si suddivide in riproduttrice, integratrice e creatrice, riveste un'importanza rilevante nei processi mentali, intendendo come immaginazione non solo la ricostruzione delle esperienze sensoriali, ma anche un'attività che è anticipatrice e creatrice. Mentre la percezione è sempre vera e reale e ci dà il dato oggettivo, l'immagine, il risultato dell'immaginazione, porta un contenuto liberamente modificato dal soggetto, è una sua produzione personale e come egli può costruirla così può disfarla. Le immagini sono contenuti della nostra memoria a breve termine e subiscono presto dei mutamenti poiché, a confronto con la percezione della realtà, perdono le loro caratteristiche originarie diventando pura informazione. Nel sordo, invece, i caratteri percettivi delle immagini visive rimangono più a lungo, anzi costituiscono una particolare caratteristica della sua attività rappresentativa. L'immaginazione del sordo ha delle caratteristiche specifiche: il bambino non udente tende a conservare in memoria l'immagine visiva delle cose e delle variazioni dell'ambiente e ricompone prevalentemente con questa le sue esperienze, a differenza del bambino normoudente che utilizza, invece, informazioni di tipo semantico legate quindi al linguaggio. Mancandogli il dato uditivo, il non udente non riesce a formarsi l'immagine completa dell'oggetto che interessa, poiché la presenza del deficit altera tutta l'organizzazione percettiva dell'ambiente. Infatti, più sono numerose le informazioni percettive, più si ha la possibilità di strutturare correttamente l'immagine di un oggetto, di una persona, di un ambiente e di identificarla. Essendo il senso dell'udito a strutturare il concetto di tempo, mentre la vista struttura lo spazio, il non udente ha un solo dato percettivo a disposizione e, di conseguenza, evidenzia difficoltà di strutturazione (spazio-)temporale; infatti non avendo potuto cogliere gli aspetti legati al tempo (il tempo esiste per lo più attraverso le verbalizzazioni), la sua attività immaginativa e rappresentativa non è in grado di recuperarli. L'attività immaginativa è, in un certo modo, un'attività rappresentativa anche se molto più concreta della simbolizzazione. Attraverso le immagini il sordo costruisce dentro di sé la capacità di distinguere somiglianze visive ed anche relazioni funzionali tra le cose. Benché immaginare non sia percepire, cioè raccogliere continue informazioni nuove, le immagini consentono all'audioleso delle anticipazioni percettuali della realtà. Nel linguaggio orale il sordo memorizza con più facilità le parole riferite ad oggetti o situazioni concreti, perché evocano immediatamente le immagini visive ad essi collegate. Le parole con basso valore d'immagine, invece, sono rievocate con difficoltà perché si riferiscono a concetti astratti, a relazioni che non richiamano direttamente immagini visive. La demutizzazione e lo sviluppo del linguaggio articolato risulteranno, oltre che il mezzo di comunicazione con gli altri, da cui ci proviene la maggior parte delle nozioni e dei concetti, un supporto importantissimo del pensiero. L'educazione al linguaggio orale intesa anche come educazione al pensare, utilizzando cioè il linguaggio nel quadro di attività cognitive: parole legate ad operazioni, relazioni, inferenze ... è finalizzata a raggiungere ed a padroneggiare significati. Il pensiero risulta essere una forma di adattamento interiore alla realtà in un insieme soggettivo ed obiettivo. L'individuo interiorizza solamente ciò che può appartenere al 'mondo' della sua persona e se ne impossessa tanto più velocemente e tenacemente quanto più esso risponde ai suoi bisogni fisici, psicologici, sociali, etici, ... . E' importante fornire all'audioleso una molteplicità e chiarezza di stimoli, affinché egli possa raggiungere i contenuti della funzione del pensiero cioè: l'apprendimento dei meccanismi, l'acquisizione dei concetti, lo sviluppo delle idee, la formazione delle opinioni. L'accrescimento auxologico non offre differenziazioni tra soggetto normale e soggetto minorato dell'udito; invece, mentre nel settore dello sviluppo psichico già nel primo e nel secondo periodo dell'infanzia il normoudente acquisisce il linguaggio, l'anacusico, per la sua minorazione sensoriale, resta tagliato fuori dall'ambiente parlante proprio quando la senso-percezione, l'affettività, l'immaginazione, la memoria, l'organizzazione spazio-temporale, tutte le potenzialità fisio-psichiche sono tese all'acquisizione del linguaggio. La fonte che fornisce maggiori possibilità di sviluppo dei meccanismi linguistici è l'udito. Quando il bambino normale, a un anno, comincia ad imitare, giocando con la propria voce, i suoni (la fase dell'ecolalia), dice una parola e progressivamente arriva alla denominazione (cioè l'essenza della funzione simbolica del linguaggio) è un anno che ha sentito il tutto; il sordo non ha sentito. Il normoudente, a due anni, passa dagli interessi motori a quelli glossici. Egli raggiunge un bagaglio di duecento parole plurisignificative (la fase della prefrase). Con il processo maturativo le parole vengono usate in combinazione (la fase della frase contratta), si collegano a norme grammaticali e sintattiche, si evolvono in frasi sempre più vaste e complesse corrispondenti alle situazioni nuove e alle esperienze raccolte (la fase della frase grammaticale dal terzo anno a seguire). A quattro anni, l'udente possiede il linguaggio e l'anacusico (non rieducato) una rudimentale forma mimica di comunicazione coi familiari, limitata alle necessità più elementari. A sei-sette anni il normoudente sale dagli interessi concreti a quelli astratti e raggiunge la nozione delle realizzazioni del pensiero. L'azione naturale è "irreversibile", ma, vissuta attraverso l’idea, diviene "reversibile" promuovendo lo sviluppo intellettuale e costituendo la base del rapporto causale e della perfetta organizzazione spazio-temporale. Il sordo ha un corredo linguistico ridottissimo e comunque insufficiente ad uno studio riflesso. Nel periodo dell'adolescenza l'udente passa dalla morfologia infantile a quella più matura dell'adulto, la sua mente si forma, le sue idee e convinzioni si rafforzano ... e il sordo? Più il normale si arricchisce nell'età evolutiva, più si allarga lo "scarto" che lo divide dal sordo, che procede al rallentatore con lentezze, remore e arresti: un grave squilibrio fra età fisiologica ed età mentale. E' utile precisare tuttavia che per squilibrio si intende non deficienza, ma ritardo, grave, causato da assenza di linguaggio, che si manifesta nelle prove di complessità e di astrazione, molto meno, se non annullato, ai livelli più concreti. In merito alla scolarizzazione il sordo viene definito: "Vero anormale sensoriale e falso anormale psichico". Con questa espressione non si può fare a meno di constatare da un lato l'esistenza di un deficit sensoriale, che purtroppo persiste nonostante lo sviluppo della scienza medica e della tecnica acustica; dall'altro si mette in evidenza la recettività e quindi la possibilità di scolarizzazione, e con successo il più delle volte, del soggetto audioleso. Se falsa è la sua anormalità psichica, vuol dire che si è di fronte ad un soggetto potenzialmente normale. Nell'anacusico tuttavia può verificarsi un certo squilibrio anche fra istinto e ragione. In lui gli istinti restano quelli che sono in ogni essere umano, ma manifestazioni di immaturità affettiva, infantilismo regressivo, strutture nevrotiche e caratteriali non subiscono nei tempi dei cosiddetti normali l'azione frenante attuata dalla ragione e dalla riflessione. Analizzati, ancorché molto parzialmente, i codici adottabili per l’educazione e lo sviluppo delle potenzialità cognitive e psichiche del soggetto audioleso nei loro punti di forza e nei punti di criticità, ripongo la domanda d’inizio intervento: quale percorso, quale metodo e quale codice adottare nell'approccio rieducativo, quale privilegiare? Nonostante, anzi forse proprio per questo, non abbia certezze sull’adozione di un codice, ritengo importante procedere alla costituzione di uno staff territoriale (composto da figure parentali, magari di un parents-group, e poliprofessionali) che intervenga nel definire e prefigurare, attraverso un Indice di Prevedibilità, su modello di quelli già operativi negli USA10, una guida oggettiva al metodo più appropriato da adottare perché ciascun bambino sordo possa comunicare e sviluppare al meglio la sua istruzione. L'Indice di Prevedibilità potrebbe essere costituito dalla somma dei punti ottenuti in cinque o più fattori di previsione che sono stati presi in considerazione: l. Udito residuo utilizzabile 2. Competenza nella lingua italiana 3. Comprensione del linguaggio non verbale 4. Aiuto da parte della famiglia 5. Attitudine alla comunicazione orale Con l’assegnazione di punteggi predefiniti si potrebbe pervenire all’assegnazione del programma precoce e dinamico educativo e di sostegno (anche con valenza di Orientamento scolastico e di educazione alla salute) più consono ai singoli bambini. 1 Ann E. Geers – op. cit. __________________________________________________ ELIO BORRI Laureato in pedagogia, ha svolto attività di docente di sostegno ed operatore psicopedagogico nella scuola media e logopedista e terapista della riabilitazione presso il Centro Audiofonologico della provincia di Venezia. Docente e tutor nei Corsi Biennali di Specializzazione, nei Corsi di Riconversione e nei Corsi di Alta Qualificazione organizzati dai Provveditorati agli Studi di Venezia, Belluno, Pordenone e Udine e dalle Università di Padova e Venezia e incaricato per l’insegnamento di riabilitazione logopedica generale e speciale nel Corso di laurea in Educatore Professionale all’Università di Urbino. Ha pubblicato articoli su Logopedia contemporanea e sul bollettino Scuola Handicap del Provveditorato di Venezia.