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R. Matheson, Isolato in partenza

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R. Matheson, Isolato in partenza
IL
R AC C O N TO D I FA N TA SC I EN Z A
Richard Matheson
GENERI
Isolato in partenza
1. bisca clandestina:
locale in cui si gioca
d’azzardo, di nascosto
perché contro la legge.
2. losca: ambigua.
3. sofisticare: sottiliz-
zare, trovare da ridire.
1
«Il portiere mi fa venire i brividi», disse Ruth, quando rincasò quel
pomeriggio.
Alzai gli occhi dalla macchina per scrivere. Mia moglie depose pacchi e pacchetti e venne a piantarmisi di fronte. Io stavo rielaborando la seconda stesura di un romanzo.
«Parlo sul serio», disse Ruth. «Quell’uomo mi fa paura.»
«Gioia, che cosa ci può fare, quell’infelice, se ha quella faccia?», dissi. «È soltanto un pover’uomo che cerca di guadagnarsi il pane! Tiene pulito l’ingresso, carica la caldaia…»
«E va bene», sospirò Ruth, con un gesto sconsolato, «va bene. Se
non vuoi affrontare la realtà…»
«E quale sarebbe?», chiesi in tono incoraggiante.
«Ascoltami. Quell’uomo ha le sue ragioni, per stare qui. Non è un
portiere. Non mi meraviglierei se…»
«Se questa casa nascondesse una bisca clandestina1, o un covo di nemici pubblici, o una banda di falsari o di assassini.»
Stavo ancora parlando, e Ruth era già in cucina a riporre scatole e
barattoli nella credenza facendo un gran fracasso.
«Ma bene, ma benone!», mi disse, con un tono che significava: Se
poi ti ammazzano nel sonno non venire a lamentarti da me. «Poi non
dire che non t’avevo avvertito. Se ho sposato una testa di legno, non
posso farci niente.»
Mi avvicinai a lei, le passai un braccio intorno alla vita e la baciai.
«A che ora vengono Phil e Marge?», chiesi.
«Alle sei», rispose seccata Ruth.
«Dite quello che volete, la faccenda è losca2», sentenziò Ruth, la sera, mentre cenavamo.
Sorrisi a Phil, e il mio amico ricambiò il sorriso.
«Lo credo anch’io», disse Marge. «Da quando in qua si pagano soltanto sessantacinque dollari per un appartamento di cinque locali,
ammobiliato? Cucina elettrica, frigorifero, lavatrice… È incredibile!»
«Ragazze, non stiamo a sofisticare3», dissi. «Limitiamoci ad approfittare dell’occasione.»
«Però, la faccenda è curiosa davvero», disse Phil. «Pensaci un po’,
Rick.»
Ci pensai. Un appartamento di cinque locali, nuovo di zecca, ammobiliato con gusto superbo, e completo di tutto, compresi due costosi servizi di piatti…
Forse l’appartamento costava davvero troppo poco. Capivo benissimo che cosa intendevano dire gli altri.
Rosetta Zordan, Il Narratore, Fabbri Editori © 2008 RCS Libri S.p.A. - Divisione Education
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Phil, Marge, Ruth e io eravamo stati i primi inquilini di quella casa.
Il giorno seguente c’era stato un vero assalto. Non è facile trovare un
appartamento, al giorno d’oggi.
«Vi assicuro che c’è sotto qualcosa di strano», concluse Ruth. «E
poi, avete notato il portiere?»
«Fa paura», disse Marge. «Signore Iddio, sembra uscito da un film
dell’orrore. E che occhi ha!»
«Visto?», disse Ruth, trionfante. «Sento che c’è qualcosa che non
va.»
Phil e io accendemmo una sigaretta.
«Secondo te, c’è sotto davvero qualcosa di losco?», dissi.
Il mio amico si strinse nelle spalle.
«Non saprei, Rick», confessò. «Però, ecco, è strano che chiedano
così poco per un appartamento ammobiliato.»
Già, pensai.
4. mastello: recipiente
in legno munito di due
doghe sporgenti.
5. rimbeccò: replicò.
2
«Lo sapevo. Lo sapevo», dichiarò Ruth, fissandomi intensamente al
di sopra d’un mastello4 di panni.
«Che cosa sapevi, tesoro?», chiesi.
«In questa casa c’è qualcosa di losco. Ho scoperto delle macchine,
in cantina.»
«Anch’io sono stato in cantina, tesoro», le ricordai. «Come mai non
ho visto nessuna macchina?»
Ruth si guardò attorno. Non mi piacque il suo modo di farlo. Aveva
l’aria di credere veramente che ci fosse qualcuno in agguato dietro
la finestra, ad ascoltare le nostre parole.
«Le macchine sono sotto la cantina», mi spiegò.
Assunsi un’aria molto dubbiosa e Ruth scattò in piedi.
«Oh, accidenti. Vieni che te le faccio vedere!»
Mi prese per mano. Attraversammo il pianerottolo ed entrammo
nella cabina dell’ascensore.
«Quando le hai viste, le macchine?», chiesi, tanto per fare conversazione.
«Quando sono scesa a lavare la biancheria. Cioè, le ho viste nel corridoio, mentre riportavo di sopra il bucato. Stavo andando all’ascensore e ho notato una porta. Era aperta di qualche centimetro,
sono entrata e ho visto le macchine.»
«Erano grosse?»
L’ascensore si fermò, e gli sportelli si aprirono. Uscimmo.
«Te lo farò vedere, com’erano grosse», rimbeccò5 mia moglie. «È
qui.»
Il muro era assolutamente liscio. Guardai Ruth. Battei alcuni colpetti contro la parete.
«Ma, tesoro…», feci.
«Probabilmente il muro le scorre davanti», affermò Ruth, cominciando a sua volta a picchiettare la parete. A me parve solidissima.
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«Oh, insomma! Ti dico che ho visto quella porta!»
La voce del portiere, bassa e insinuante, risuonò alle nostre spalle.
Colta in fallo, Ruth emise un gemito soffocato. Anch’io trasalii lievemente.
«Mia moglie crede che ci sia una…»
«Stavo insegnando a mio marito come si fa ad attaccare un quadro»,
s’affrettò a interrompermi Ruth. «Si fa così caro.» E si voltò verso di
me. «Il chiodo si mette obliquo, non dritto. Hai capito, finalmente?»
Il portiere sorrise.
«Arrivederci», dissi goffamente. Continuai a sentire i suoi occhi, fissi su di noi, mentre ci dirigevamo all’ascensore.
Quando gli sportelli si chiusero Ruth si voltò, rapidamente.
«Che Dio ti benedica», disse con aria tempestosa. «Che cosa conti
di fare? Vuoi che si insospettisca sul nostro conto?»
«Che cosa?»
«Lascia perdere. Ti dico che laggiù ci sono delle macchine. Delle
macchine enormi. Io le ho viste, e lui sa che ci sono. Credi che sia
pazza?»
«Credo che tu abbia una fantasia molto fertile», sospirai.
«Te le mostrerò», insistette Ruth. «Scenderemo di nuovo in cantina,
questa notte, quando il portiere dorme. Se dorme.»
Cominciai a preoccuparmi.
Per tutto il pomeriggio rimasi a fissare la mia macchina per scrivere,
senza riuscire a cavarne una riga.
Ero troppo preoccupato.
Ruth tremava. Aveva la faccia color gesso e mi guardava con gli occhi sbarrati.
«Il portiere ha tre occhi!»
«Tesoro…», dissi, prendendola fra le braccia. Ruth era veramente
spaventata. Anch’io provai una specie di paura. E non perché il portiere aveva un occhio in più.
Non dissi niente. Che cosa si può dire, quando vostra moglie viene
fuori con una notizia simile?
Ruth cercò di raccontarmi, tra le lacrime, che cos’era successo, ma
non ci riuscì. Più tardi, quando si fu calmata, disse: «Stavo attraversando l’atrio, a pianterreno. Volevo vedere se c’era posta. Sono passata vicino al portiere e…».
«E…?», chiesi, con una gran paura di quello che sarebbe seguito.
«Mi ha sorriso», continuò Ruth. «Sai bene come sorride. Dolcemente, ma con la freddezza di un assassino.»
«E poi?», chiesi.
«Gli sono passata davanti, rabbrividendo, perché mi guardava con
l’aria di sapere qualcosa di me, che io non immaginavo neppure.
Non m’importa quello che pensi. T’assicuro che mi sentivo così. E
poi ho sentito che mi guardava.»
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6. si
si strinsicontraeva:
contraeva:
si
geva.
stringeva.
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Anch’io avevo sentito il suo sguardo pesarmi addosso, quando ci
aveva sorpresi in cantina. Sapevo che cosa voleva dire, Ruth. Si aveva l’impressione fisica di essere guardati.
«D’accordo», dissi. «Ti credo.»
«Ma non crederai a quello che sto per dirti. Quando mi sono voltata, lui stava camminando nella direzione opposta alla mia.»
«Oh! Vi siete voltati nello stesso momento?»
Ruth batté una mano, forte, sulla tavola.
«Io mi sono voltata. Lui no.»
«Ma, hai detto ora…»
«Il portiere mi stava guardando. Stava allontanandosi da me, aveva
la faccia rivolta nella direzione opposta e mi guardava.»
Mi sedetti, istupidito. «Ma com’è possibile, tesoro?»
«Aveva un occhio sulla nuca.»
«Ma tesoro!»
Mia moglie chiuse gli occhi. Era bianca come la cera.
«L’ho visto», disse a voce bassa. «Te lo giuro. L’ho visto. I capelli gli
si erano divisi, Rick, e prima di scappare via, io li ho visti tornare al
loro posto e coprire l’occhio, in modo che non si notasse niente.»
Che cosa può dire un pover’uomo, a sua moglie, quando gli parla
così? Sei squilibrata? Sei matta? Hai lavorato troppo?
«Vieni con me, in cantina, questa notte?», mi chiese.
«D’accordo», risposi, calmo. «D’accordo, amore, ma ora, va’ a riposare un po’.»
Quando Ruth si fu addormentata, io attraversai il pianerottolo senza far rumore e andai a trovare Phil.
«Hai intenzione di scendere in cantina con lei?», mi chiese.
«Solo se insiste. Altrimenti no.»
«Quando scendi, vieni a prenderci.»
Guardai Phil incuriosito, aggrottando la fronte.
«Vuoi dire che ti sei lasciato influenzare anche tu?»
Il mio amico mi diede un’occhiata strana. Notai che gli si contraeva6
la gola.
«Non dirlo a nessuno», mi raccomandò. Si guardò in giro, poi tornò
a voltarsi. «Marge m’ha detto la stessa cosa», soggiunse. «M’ha detto che il portiere ha tre occhi.»
«Rick, è ora», mormorò Ruth. Mia moglie mi scrollò. Mi svegliai e
guardai l’orologio. Erano quasi le quattro.
«Vuoi che scendiamo proprio adesso? E va bene», brontolai. «Dammi il tempo di vestirmi.»
La casa era immersa in un silenzio profondo. Eravamo a metà strada, diretti all’ascensore, quando mi ricordai di Phil e Marge. Spiegai
a Ruth che volevo far venire anche loro.
«Non possiamo aspettare», mi disse lei. «Tra poco sarà giorno.»
«Vedo soltanto se sono alzati», affermai. «Ci metterò un secondo.»
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Ruth non disse niente e si fermò presso la porta dell’ascensore. Attraversai il pianerottolo e bussai piano alla porta dei nostri amici.
Non mi rispose nessuno. Mi voltai a guardare il pianerottolo. Ruth
era sparita.
Mi balzò il cuore in gola.
«Ruth!», urlai, correndo verso le scale.
Quando arrivai in cantina vidi l’ascensore con la porta spalancata
tutto illuminato. Era vuoto.
Mi guardai intorno, in cerca d’un interruttore della luce, ma non ce
n’erano. Mi avviai per il corridoio buio, camminando più in fretta
che potevo.
«Tesoro», mormoravo ansiosamente. «Ruth, dove sei?»
La trovai in piedi, davanti a una porta nel muro. Aperta.
«E ora la smetterai di comportarti come se fossi pazza», disse freddamente.
Sbarrai gli occhi. Ruth aveva ragione. La porta dava su una rampa di
scale. E il piano inferiore era tutto illuminato. Udii dei rumori… cigolii metallici e strani ronzii.
M’avvicinai a Ruth e la presi per mano.
Cominciammo a scendere. E, all’improvviso, mi balenò un’idea: se
Ruth aveva ragione circa la porta e le macchine, doveva aver ragione anche a proposito del portiere. Quindi il portiere aveva tre…
Ci fermammo in fondo alle scale e restammo a guardare.
Macchine ce n’erano, indubbiamente. Macchine fantastiche. E mentre le guardavo, e studiavo la loro struttura, cominciai a capire di che
macchine si trattava. Avevo scritto, a suo tempo, alcuni articoli
scientifici, e avevo letto molto in proposito. Mi girò la testa.
Non so quanto tempo trascorse, ma finalmente cominciai a rendermi conto che dovevo andarmene da lì immediatamente e correre a
informare qualcuno. Bisognava fare qualcosa. Uscire, innanzitutto.
«Vieni via», sussurrai.
A un tratto, mentre attraversavamo il primo locale della cantina, vedemmo il portiere venire verso di noi. Afferrai Ruth per un braccio
e mi nascosi con lei dietro un pilastro. Restammo immobili, trattenendo il fiato, ad ascoltare il fruscio dei passi che si avvicinavano.
Il portiere ci passò davanti. Aveva in mano una torcia elettrica, ma
non la muoveva in giro. Puntava dritto verso la porta aperta. Quando arrivò nel rettangolo di luce che usciva dalla porta aperta si
fermò. In quel momento ci dava le spalle e aveva la faccia rivolta alle scale.
Eppure ci guardava.
Mi sentii mancare il poco fiato che m’era rimasto. Rimasi agghiacciato a fissare l’occhio nella nuca del portiere. Sebbene intorno non
avesse faccia, quell’orribile occhio sorrideva. Un sorriso malvagio,
insolente, spaventevole. L’occhio ci vedeva e ne era divertito.
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7. propulsori: che met-
tono in moto (l’astronave).
8. precorrano: prece-
dano.
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Il portiere varcò la soglia, l’uscio si chiuse con un tonfo, alle sue
spalle, e un segmento del muro di pietra scivolò silenziosamente davanti alla porta nascondendola alla nostra vista.
Io e Ruth restammo al nostro posto. Tremavamo.
«L’hai visto?», mi chiese finalmente mia moglie.
«Sì.»
«Sa che abbiamo visto le macchine, eppure non ci ha fatto niente.»
Continuammo a parlare, anche in ascensore.
«Forse non c’è niente di veramente losco», dissi. «Forse…»
M’interruppi. Mi erano tornate alla mente le macchine e il tipo di
macchine che erano.
«Che cosa dobbiamo fare?», mi chiese Ruth, spaventata.
«Ci conviene filarcela alla svelta.»
«Così? Senza fare le valigie?»
«Raduniamo tutta la nostra roba e andiamocene, prima dell’alba.
Non credo che loro possano…»
«Loro?», m’interruppe Ruth.
Perché avevo detto loro? Eppure doveva trattarsi per forza di un
gruppo di persone. Il portiere da solo non avrebbe potuto fabbricare tutte quelle macchine, o anche solo portarle dov’erano.
Fu il terzo occhio, credo, a confermare la mia ipotesi. Quando ci fermammo da Phil e Marge ed essi ci chiesero che cos’era successo, raccontai tutto quello che pensavo. Non credo che Ruth ne fosse molto
sorpresa. Probabilmente era arrivata da sola alla stessa conclusione.
«Credo che questa casa sia un’astronave», dissi.
«Che cosa?», chiese Marge, con aria assente. Non aveva capito.
«So che sembra una pazzia», insistetti. «Ma le macchine sono razzi
propulsori7.»
«Il portiere non è un uomo», disse mia moglie. «Lo prova il terzo occhio, senza ombra di dubbio. Forse il portiere… e gli altri sono extraterrestri. Può darsi che vogliano impossessarsi di alcuni abitanti
della Terra per fare qualche esperimento. Hanno costruito un aerorazzo che sembrava una casa, hanno chiesto un affitto molto basso e
se la sono trovata piena di gente in un batter d’occhio.»
Mia moglie ci guardò con la fermezza di una roccia.
«E poi», continuò, «un bel giorno aspetteranno le prime ore dell’alba, quando tutti dormono, e addio Terra.»
Era un’idea pazza… ma non mi sembrava il caso di rischiare. E poi,
chissà perché, sentivo che mia moglie aveva ragione.
«Tutta la casa sarebbe un razzo?», stava chiedendo Phil. «Come
possono sollevarla in aria?»
«Se veramente vengono da un altro pianeta, è probabile che ci precorrano8 di qualche secolo, per quanto riguarda il volo interplanetario.»
Phil fece per rispondere, s’impaperò, poi disse: «Ma la casa non ha
l’aspetto di un razzo».
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9. annaspando: agi-
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tandoci.
10. piantare baracca e
burattini: abbandonare
tutto.
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«Può darsi che la casa sia come un guscio, intorno al razzo», intervenni. «Può proprio essere così. È possibile che il razzo comprenda
solo le camere da letto. A loro non occorre altro. Tutti si troveranno
appunto là, nelle prime ore del mattino, quando…»
«No», m’interruppe Ruth. «Non potrebbero far saltare il guscio senza attirare l’attenzione.»
Restammo tutti in silenzio, annaspando9 in una nuvola di confusione e di paura.
«Può darsi che sia veramente una casa», disse Ruth a un tratto. «Può
darsi che il razzo sia al di fuori di essa. Quella gente è senz’altro molto più avanti di noi nel campo della scienza. Forse sono riusciti a ottenere l’invisibilità della materia.»
Trasalimmo tutti, contemporaneamente.
«Ma tesoro!», esclamai.
«Non è possibile?», chiese Ruth in tono di sfida.
«È possibile», sospirai. «Non so più che cosa è possibile e che cosa
non lo è.»
Restammo di nuovo in silenzio. «Ascoltatemi», dissi dopo un po’.
«In cantina ci sono delle macchine e il portiere ha veramente tre occhi. In base a questo abbiamo ragioni sufficienti per piantare baracca e burattini10. Questa notte stessa.»
Su questo punto, almeno, fummo tutti d’accordo.
«Dobbiamo avvertire tutti gli altri inquilini», disse Ruth. «Non possiamo lasciarli qui.»
«Ci vorrebbe troppo tempo», disse Marge.
«No, è nostro dovere farlo», affermai. «Prepara le valigie. Agli inquilini penserò io.»
Andai alla porta e afferrai la maniglia. La maniglia era bloccata.
Mi sentii percorrere da un brivido di panico. Strinsi forte la maniglia e la tirai con violenza. Per un secondo pensai che la porta fosse
chiusa a chiave dall’interno e controllai la chiave. Ma l’uscio era
chiuso dall’esterno.
Marge era sul punto di lanciare un urlo.
«Allora è vero!», esclamò Ruth, inorridita. «Oh, Dio mio, allora è
vero!»
Con un solo balzo fui alla finestra. La casa cominciò a vibrare. I piatti tintinnarono, si urtarono, caddero dagli scaffali. Dalla cucina venne il tonfo d’una seggiola.
«Che cosa succede?», gemette Marge.
Phil la prese tra le braccia, mentre lei cominciava a singhiozzare.
Ruth corse verso di me e restammo vicini, agghiacciati, sentendo il
pavimento tremare sotto i nostri piedi.
«Le macchine!», urlò Ruth, a un tratto. «Si sono messe in moto!»
«Ma devono ancora scaldarsi», spiegai, sperando con tutta l’anima
di non sbagliarmi. «Possiamo ancora scappare!»
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Mi sciolsi dall’abbraccio di Ruth e afferrai una sedia. Ma per qualche ragione ero convinto che anche le finestre fossero state sbarrate,
automaticamente. Non era così.
Scaraventai la sedia e il vetro andò in frantumi. Le vibrazioni intanto stavano aumentando d’intensità.
«Presto!», urlai, in mezzo al frastuono. «Scendiamo per la scala di
soccorso! Forse ce la facciamo ancora!»
Travolti dal panico Marge e Phil attraversarono di corsa la stanza,
barcollando sul pavimento che ormai rollava. Li spinsi, attraverso il
buco nel vetro. Marge si strappò la gonna. Ruth si tagliò un dito. Io
passai per ultimo e una larga scheggia di vetro mi incise tutta la gamba. Non sentii nemmeno il dolore. Ero troppo sconvolto.
Continuavo a far premura agli altri tre, a spingerli giù per le scale di
soccorso.
Sentimmo altre finestre andare in frantumi, sopra e sotto di noi. Pareva che i gradini non dovessero finire più. Il caseggiato tremava
molto forte adesso. La mia voce si unì al grido unanime della folla
che scendeva.
«Presto! Presto!»
Il palazzo tremava e si scuoteva. Adesso l’aria era tutta piena del
boato delle macchine.
Mentre percorrevamo la via, correndo come pazzi, intravedemmo
l’agente Johnson che passava su e giù, tra la gente, cercando di tenerla tutta unita.
«Su da bravi!», gridava. «State calmi!»
Io e Ruth corremmo da lui.
«Johnson!», balbettai. «Il razzo è…»
«Razzo?», l’agente mi guardò, con l’aria di non capire.
«La casa! È un aerorazzo! E…»
La terra ebbe una scossa violenta.
Johnson si voltò per afferrare qualcuno che scappava.
Mi si mozzò il fiato. Ruth emise un gemito, poi nascose la faccia tra
le mani e lanciò una specie di grido d’orrore.
Johnson ci stava ancora guardando. Con il terzo occhio. Quello che
sorrideva.
«No!», urlò Ruth. «No!»
E in quel momento, il cielo che stava schiarendosi, diventò nero. Mi
girai di scatto. Le donne urlavano a squarciagola dal terrore. Guardai in tutte le direzioni.
Solide mura nascondevano il cielo.
«Non possiamo scappare», mormorò Ruth. «È tutto l’isolato!»
E in quel momento il razzo decollò.
(da Regola per sopravvivere, Mondadori, Milano, rid. e adatt.)
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