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Uno che lo chiamavano Strano
La reazione fascista Uno che lo chiamavano Strano Mentre i gap stanno per dare inizio all’offensiva contro le linee ferroviarie i fascisti, grazie ad una spia infiltrata all’interno dell’organizzazione partigiana, riescono ad ottenere il loro primo vero successo: l’arresto di 10 giovani partgiani che si apprestavano a partire per raggiungere l’ 8a. brigata Garibaldi. 14 [marzo] - Parecchi dei giovani richiamati sono andati coi ribelli in montagna. Sono avvenuti nelle notti passate conflitti con la Polizia che tentava di ostacolare la loro turpe fuga. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino) Il 7 corr. verso le ore 20, elementi della G.N.R., appostati nei pressi di Cesena (Forlì), arrestarono 10 individui, in maggioranza renitenti alla leva, in parte armati ed equipaggiati, in procinto di raggiungere le bande ribelli della zona montana. Durante l’operazione venne fermato, dopo conflitto a fuoco, un autocarro targato polizia, di proprietà del Ministero degli Interni, trafugato poco prima dai ribelli. Alcuni elementi, che riuscirono a sfuggire alla cattura, sono stati identificati e si ricercano. (Dal Notiziario della GNR dell’11 marzo 1944 - ISRFC. GNR 1120) Mo quant i saltet, int la i cunteda nisun? Quant i saltet int e’ fiom. D’e’ pont vec avnì só, i s’ aveva da truvè a lè quii ad Cesena. Quii da ‘d là d’ e’ pont, quii da ’d qua... J era tot d’acord. U s’ faset la spia la moi d’un fasesta (...) E fot pó cla volta che parec i chins saltè int l’acua. Ch’i s’ saivet int l’atraversadura de’ fiom pr andè ‘d là. Parché la aveva fat la spia a lou e quand j andet par truves tot insem par partì u j era una squedra ad fasesta. E lia l’eva santì quand ch’j faseva al riunuon ch’i partiva. U j era Ubaldo d’Imolesi, (...) Ubaldo l’era un ch’l’aveva de’ curag. Tot lurit! Lo l’aveva da purtè via la Sita d’in piaza e u la purtet via! Sol che quand ch’i fot a qua da muntè só chjit. U j era i fasesta che e’ suzidet e’ patatrach e i faset un gran fom ad s-ciuptedi. I piò i paset ad là d’ e’ fiom. Di murt a n’ cred miga. (...) I ngn’ era miga andè in du... Pustè a lè u j era ventvinzenqv fasesta tot a lè a e’ circul, dria. Quand j è ‘rivet a lè... Chjit j era prunt, lè tot masì, par muntè só... I faset un gran atach a lè e pó i s’ salvet... (Guido Pio Bartolini - 1998) Mi presero il 7 marzo 1944 fu quello il momento in cui c’era più bisogno per i partigiani, mandavamo materiale su in montagna. Fui arrestato insieme ad altri nove mentre andavo in montagna. Fu una spia che era fra di noi, per cui i fascisti avevano bloccato tutte le strade. Eravamo tutti della zona. C’era Maresi [Imolesi] Ubaldo, Lunedei Nazario, Marchesini Peppino, Pino... tutti i nomi non li ricordo. I fascisti ci portarono nella caserma dei carabinieri di Cesena, ci interrogarono e poi ci mandarono a Forlì. Il processo si doveva tenere a Ferrara e lì ci accompagnarono i tedeschi, ma [a] Ferrara era stata bombardata la caserma dove si doveva tenere il processo, quindi ci riportarono a Forlì e poi ci portarono a Bologna per mandarci in Germania. Lì siamo scappati buttandoci giù dal camion. Un gruppo fu portato a Borgo Panigale e l’altro a Verona. Del gruppo di Cesena che era nel camion, uno alla volta ci siamo buttati giù. C’era Imolesi Attilio, Abbondanza Rino... l’altro gruppo era più avanti ed è andato per suo conto. (Dino Amadori - dattiloscritto 1984) In base a notizie circa progettati esodi di giovani chiamati alle armi verso la montagna, per congiungersi a bande di ribelli, notizie pervenute al Segretario Politico del fascio Repubblicano di Cesena, questi organizzava la sera del 7 corr. un servizio di appiattamento nei pressi della casa Maceri in questa via periferica Molino Cento per catturare tali rinnegati. A mezzo di varie macchine del Fascio locale e di questo ufficio, verso le ore 19,30 del su citato 7 corr. partivano per detta località circa 40 uomini tra fascisti, militi, carabinieri ed agenti di P.S., i quali sotto la direzione del segretario Politico si disponevano in modo da chiudere gli sbocchi di accesso alla montagna dalla predetta località. Mentre il grosso di tale forma, subito dopo giunto sul posto, sorprendeva e catturava sette individui sospetti, una pattuglia di retroguardia composta di tre fascisti e dalla guardia di P.S., avente il compito di sorvegliare le vicinanze dell’accesso del ponte vecchio, sorprendeva altri due individui diretti al punto prestabilito. Subito dopo quest’ultima pattuglia di retroguardia, mentre una voce proveniente dal fiume invocava ripetutamente aiuto, con la palese intenzione di gettare l’allarme fra coloro che si accingevano a raggiungere i compagni già arrestati, notavano l’approssimarsi di un autocarro che a discreta velocità attraversava il ponte vecchio imboccando la via del Molino Cento anzidetta. Mentre faceva appiattare a terra i compagni sul margine a monte della strada, si metteva in mezzo alla strada stessa in piedi e coprendosi abilmente la fascia bianca di Polizia per non farsi riconoscere dai ribelli, intimava il fermo dell’autocarro, mettendosi con l’Arma in posizione di sparo. Egli notava nel frattempo che l’autocarro portava la targa della Polizia e che andava rallentando. Improvvisamente, l’autocarro riprendeva la marcia a forte andatura a pochi passi di distanza da lui con l’evidente scopo di investirlo, ed una delle persone a bordo metteva fuori dello sportello una pistola mitragliatrice tedesca di grosso calibro. Con un salto acrobatico si gettava nel fossato, riuscendo a mala pena a salvarsi ed istantaneamente faceva fuoco col proprio fucile mitragliatore contro la cabina dell’autocarro colpendo questa, come poi è stato accertato nella parte centrale dello sportello sinistro. Dalla cabina venivano sparati contro i quattro uomini della pattuglia molti colpi di pistola mitragliatrice che per fortuna non producevano danni alle persone. Dopo circa cento metri di corsa, l’autocarro si fermava ed i viaggiatori discesi a terra continuavano una nutrita scarica di fucili mitragliatori. A tali spari il grosso delle forze dirette dal Segretario Politico si stendevano a ventaglio approssimandosi all’autocarro, ed appena giunte in vista dello stesso, aprivano il fuoco con fucili mitragliatori. (...) Infine, con un colpo che attraverso la gomma sottostante il parabrezza della parte sinistra, penetrava la lamiera interna della cabina ferendo certamente nel busto o al braccio destro colui che, essendo rimasto seduto nel posto al lato del conducente, continuava a sparare attraverso lo sportello di sinistra con la pistola mitragliatrice tedesca. Evidentemente per tale fatto i ribelli, scoperta la gravità della situazione, vedendosi presi tra due fuochi, si davano alla fuga verso il canneto a monte della strada. Inseguiti sempre da raffiche di mitra, quando poterono raggiungere una posizione favorevole per l’occultamento riaprirono il fuoco contro le forze Repubblicane. Poco dopo però, cessarono il combattimento ritenendo più prudente sottrarsi ad una sicura cattura con la fuga, che gli riusciva, dato il favore dell’oscurità. Ad operazione ultimata, risultavano catturate le seguenti persone.: 1. ) AMADORI DINO di ignoto e di Amadori Ester, nato a Cesena il 10 Marzo 1924, qui residente - Via Fornace Malta, 1 - operaio; 2. ) LUNEDEI NAZARIO di Ennio e Venturi Nerina, nato a Cesena il 1° Novembre 1924 - qui residente - Via A. Saffi, 10 - bottaio; 3. ) RIGHI FRANCESCO di Andrea e fu Naldi Giulia, nato a Cesena il 20 Gennaio 1924 - qui residente - Via E. Amici, 40 - meccanico; 4. ) CASADEI ALDO di Agusto e di Orlandi Santa, nato a Cesena il 18 Luglio 1925 - qui residente - Via Celincordia, 7 - operaio; 5. ) MARCHESINI PEPPINO di Pio e di Fiuzzi Assunta, nato a Cesena il 10 dicembre 1925 - qui residente - Via Albizzi, 5 - meccanico; 6. ) CECCARONI DERNO di Cleto e Piraccini Antonia, nato a Cesena il 6 Maggio 1925 - qui residente in frazione Tipano - Via comunale, 34 - contadino; 7. ) IMOLESI ATTILIO di Dino e di Abati Maria, nato a Cesena il 6 Ottobre 1922 - qui residente Via Fornace Malta - studente; 8. ) MALDINI GIORGIO di Agostino e Bazzocchi Silvia, nato a Cesena il 25 Aprile 1926 - qui residente - Via Maceri, 9 - ortolano; 9. ) BENINI MARIO fu Aristide e Zavalloni Maria, nato a Cesena il 4 Maggio 1886 - qui residente - Via Pescheria, 4 - operaio. (...) Risulta altresì, che altri sei giovani siano riusciti a sfuggire. L’Imolesi Attilio, il Lunedei Nazario, il Righi Francesco, il Casadei Aldo, il Marchesini Peppino e Ceccaroni Derno, sono invece da ritenersi con certezza complici e corresponsabili del complotto tendente alla congiunzione con bande di ribelli operanti nelle vicine montagne Appenniniche, al possesso di armi e materiali di equipaggiamento tutto proveniente molto presumibilmente da saccheggio della vicina caserma Decio Raggi, avvenuto il 12 Settembre scorso, (...) Questi ultimi sette vengono pertanto denunziati ad ogni effetto a codesto Comando, che ne ha fatto richiesta. Si passano tutti i dieci detenuti a disposizione di codesto Comando, esprimendo parere favorevole per l’immediato rilascio del Maldini e previ ulteriori indagini anche del Conti e del Benini, salvo contrari e nuove risultanze. (Dalla lettera del Commissario di pubblica sicurezza Parlagreco al Comando della polizia germanica di Forlì e alla questura di Forlì. Cesena, 12 marzo 1944 - ISRFC 10/B7 885) Avevano preso anche qualcuno che non c’entravano per esempio il cognato di Amadori quello dei polli (…) presero anche Giorgio Maldini che non c’entrava niente (Dino Amadori – 1999) E quindi tutto l’inverno preparavamo una cosa e un’altra con l’intenzione poi di scappare via. Andammo via una prima volta. Io tornai indietro da Monte Codruzzo, io e altri due. Perché non avevamo le scarpe adatte e via via... Tornammo indietro. Imolesi ed altri andarono su e avevano il camion di Imolesi [Ubaldo]. (...) ci preparavamo ad andare in montagna. (...) Io abitavo a venti metri dalla Gridelli Aurada. Quella che è stata uccisa lassù,vicino... al coso... alla prigione [della rocca]. Gridelli Aurada. (...) immagini che una sera eravamo vicino al ponte vecchio [in] quindici-sedici... era del ‘24 come me, giocavamo sempre assieme. C’era il coprifuoco, mancavan pochi minuti. La s’ cavet la pistola la s’ mandet a ca a tot. Per dire... (...) Comunque ci preparavamo per andare su in montagna. Delle armi ne avevamo un’infinità. Le avevamo anche nascoste lì nel monte sopra casa mia. Lì nel monte della Diavolessa, avevamo nascosto le armi lì. E il 7 marzo decisi di andar via. Cosa successe? Che Imolesi e altri quattro, Rossi Romeo, Mellito ed altri andarono... col coprifuoco andarono giù dalla caserma lungo il fiume. Sapevano che tutte le sere c’era la Feldgendarmeria tedesca che andavano a mangiare e avevano il camion. E c’andarono Ubaldo... aveva 14 anni e guidava già il camion perché i suoi vendevano... avevano la birra. Gli Imolesi a Porta Fiume. Salì nel camion, due erano vicini alla porta, i tedeschi non se ne accorsero e gli portarono via il camion. Noi li dovevamo aspettare ai Maceri, in via Maceri... via Roversano... Allora c’erano i maceri. E cosa successe? Io partii per primo e avevo una bicicletta di Imolesi (...) con circa 35-40 chili di roba. Armi e altro e mangiare. Appena arrivai dove c’è il circolino del partito socialista (...) lì dai Maceri dove c’è quel ponticello. Appena arrivai lì mi fermarono. I fascisti sapevano tutto. Noi eravamo... dal punto di vista un po’ ingenui, si parlava ecc. E (...) la Gridelli disse con la mamma di mia moglie disse... faceva un maglione... “Al sò du che va quel che lé. E va in muntagna!”. Infatti aveva ragione e poi giocavamo assieme e lei immaginava che facevamo un qualcosa... E quando arrivarono gli altri ci avevano già preso. Arrivarono col camion. I tedeschi “Alt!” Una sparatoria tremenda. A noi in cinque ci avevano già preso. Eravamo dentro una macchina della polizia e quindi dopo ci portarono... Che ne presero lì una diecina in tutto... gli altri riuscirono a scappare. A scappare. Uno aveva una piccola ferita qui... Ubaldo Imolesi quando u s ‘ cavet e’ majon u j scapet una palota che e’get “A n’e’ sò da du ch’la è entreda!”. No? Per dire! E si fermarono dallo stallatico lì su vicino al Lugaresi. Da Righi. Che era un antifascista, eccetera. Andarono lì in quattro o cinque. E noi poi ci presero. C’era Marchesini Peppino, io... eravamo una diecina che ci presero. E ci portarono prima nella caserma dei carabinieri vicino al teatro comunale. Ci interrogarono, la notte, me i m’ n’ un daset gnenca un s-ciafon. Dico di più, quando mi presero mi diedero un pugno. j m’ tiret da cleta perta dla streda perché... “Dove va?”. Io siccome tutte le sere andavo da Sinton lì ai Maceri a prendere il latte. “A vagh a to e’ lat.” Quando lui... “Ah sé, t’vi? Va là!”, c’avevo una pistola di marina che era lunga così. “L’è quest e’ lat!”. E alora bum! Mi misero lì vicino e fui il primo [che venne catturato] poi portarono gli altri. E po’ s-ciafun, bim bum... me a sera e’ piò znin. A sera dria... dria a Pino [Peppino Marchesini]. Che era grande grande e j paseva sol da lo e lé al sciafi a n’ li ciapet. Poi ci portarono, alla mattina, ci portarono a Forlì in prigione. E in prigione a i sam stè tri mis e mez! 135 giorni. Poi dopo ci mandarono in Germania. (...) Comunque noi ci presero il 7 marzo. L’8 eravamo in prigione a Forlì. (Dino Amadori - 1999) Nel gruppo dei ragazzi catturati c’è anche la spia che li ha traditi. Sarà condotto in prigione con gli altri e poi, rilasciato, riuscirà a raggiungere la brigata in montagna, dove, durante il grande rastrellamento d’aprile farà catturare altri ragazzi, sempre facendola franca. Ci han presi in 12. Ci han presi il 7 marzo del ‘44. Alla sera. Noi... Imolesi Ubaldo e altri... Sì, erano in tre. Portarono via il camion alla feldgendarmeria tedesca al ponte nuovo. Lì nell’angolo. Vanon lo chiamavano allora. Adesso c’è l’albergo ristorante [Savio]. Il camion era lì davanti. Eran molte sere che un gruppo di tedeschi andavano a mangiare lì. Loro col coprifuoco passarono lungo il fiume dal ponte vecchio al ponte nuovo. Poi salirono... Ubaldo era del ‘25 ma lui... che vendevano la birra... aveva 13-14 anni e guidava già il camion. Quindi aveva una gran conoscenza via! Salì e scappò via e due si misero di qua e di là dalla porta perché avevamo un parabellum tedesco portato via a un camion tedesco che subito dopo l’8 settembre dal ponte nuovo... dal ponte vecchio andò a finire contro il muro. Noi andammo per aiutarlo e Imolesi vide il parabello e’ get “Ciapa via. Mesal!”. Allora passai dietro e lo nascosi... che per tre giorni i tedeschi a girare tutte le case per cercarlo e una donna che abitava lì, tedesca, veniva da noi e diceva “Vi ammazzan tutti! Bisogna che glielo diate”. (...) Quel parabellum lì, poi, quella sera che ci presero, l’à sparè tot al cartoci ch’j aveva. (...) Dopo con il camion cosa è successo? Dovevano prenderci su a noi perché... Io (...) non ero intenzionato ad andare in montagna, perché lavoravo in officina all’Arrigoni. Cosa successe? Che io avevo scritto “Morte il Duce” nella porta dietro a casa mia. Di fronte la Gridelli Aurada, quella che hanno ucciso (...) lei e altri fascisti abitavano proprio alle finestre. Io abitavo qui. C’eran qui le mie finestre e vedevan tutti. Io avevo scritto “Morte il Duce”. Poi dove c’era il Morte [M] andai e feci così [gli scrissi sopra W] dopo l’8 settembre, no? Ma fui un cretino, non andai a cancellare. Cosa successe? Che il 5 marzo i fascisti, in tre, tre ragazzi... Appena arrivai a casa la sera dal lavoro disse mia mamma “S’ et fat?” Lei non sapeva ne leggere ne scrivere “S’ et fat? S’ et fat? Son venuti i fascisti e j à det che te scret Morte il Duce a là di dria!” “E ‘lora?” “E ‘lora j à det che t’vaga a là sò”. “Ah!” dico “Adesso sono a posto!”. Sapevo che i miei amici andavano su in montagna. Io ero stato rivedibile, non dovevo presentarmi, no? E allora decisi... per forza. Dissi “S’a vagh a là i m’ bagata. Mi mandano subito in Germania. Oltretutto me ne daranno di santa ragione, secondo il loro punto di vista. E allora vado via anch’io”. Io fui il primo [che catturarono quel giorno]. Quando arrivai giù avevo un sacco di 40-45 chili. Dai Maceri davanti al ponticino dove adesso c’è quel bar che si va anche a mangiare. Nella curva. Di là c’è il fiorista. Nella curva lì. E appena arrivai mi fermarono e appena... “Dove vai?” Io siccome andavo sempre lì da uno a prendere il latte (...) “Ah vado a prendere il latte”. E allora presero giù che avevo una bicicletta di Imolesi con un sacco che dentro c’era, c’era una pistola, bombe a mano e del mangiare... Mi diedero un pugno, mi tirarono là vicino al muricciolo del... Poi tutti gli altri uno alla volta... Quando arrivarono quelli del camion cosa successe? Che gli diedero... I fascisti gli diedero l’altolà e Romeo, Rossi Romeo che era sul camion dietro, nel cassone, sparò tutti i caricatori. (...) Loro riuscirono a scappare. (...) [Il camion] lo lasciaron lì. Il camion fu crivellato di colpi. Dai Maceri, la prima casa sulla destra ci sono ancora i buchi nel muro, dei fascisti. Perché erano una ventina lì e avevan bloccato tutta la strada. Tutte le strade per andare su in montagna eran bloccate perché... perché con noi avevamo una spia. Strano. Uno che lo chiamavano Strano. Era una spia e lui aveva fatto la spia. E lo misero in prigione e io gli portavo da mangiare... perché là in prigione... era con noi. Sì, era con noi. Marchesini Peppino, che lungo il fiume... perché c’era una carreggiata lì... perché lungo il fiume, dai Maceri, i birocciai andavano a prendere la sabbia. E alora (...) cosa successe? Erano andati giù in fondo c’erano degli alberi grossi... venivano giù dei fascisti. C’era questo Strano con Marchesini Peppino (...) Alora lui quando vide questo qui... La spia che vide che lui stava per sparare “Sa fet!” gli tirò su [il braccio]. Che è stata la sua fortuna e di tutti noi, perché altrimenti ci uccidevano lì praticamente. Ci presero in dodici, ci misero in fila e pó s-ciafun a tot. Io ero il più piccolo passavano sopra. Bim bum... e me a s’era sota e i nu m’ daseva gnint! Ebbi quella fortuna lì. (...) Il fatto che io avevo le armi nascoste. Le avevo io. (...) Questo qui [Strano, la spia] è stato dieci giorni dentro, poi l’han lasciato e poi è andato su in montagna e ha fregato ancora altri (...) Alle Capanne la spia la fece lui dove c’erano quelli che erano ammalati (...) Lui lo sapeva (...) E pensare che era un tipo che me a geva “S’ an fasì avnì Strano me an v’ dagh agli ermi!”. Che mi... mi piaceva come tipo (...) Io, in prigione, mi ricordo che era nella cella n. 12 lui. Al piano terra... gli portavo da mangiare (...) Maldini Giorgio [un altro di quelli catturati]... lui non ne aveva colpa. Quella sera, lui, dopo un po’ lo lasciarono subito. Venne a casa. Poi, dopo, lui, l’han preso di nuovo. Lui è del ‘26. Non doveva andare nei militari. Non c’entrava poi dopo lui l’han rilasciato. L’han preso dopo di me, fu il secondo (...) Quando ci han preso dopo ci han portato dai carabinieri, lì dal [teatro] comunale e una notte abbiam dormito lì... abbiamo dormito lì dentro. E al mattino ci han portato a Forlì e a lè me aglj ò ‘vudi. Perché io avevo portato via dalla caserma le tende... non erano quelle mimetizzate... i teli da tenda e mi ero fatto i calzoni e.. e una giacca. Ero vestito così. E i calzoni eran chiusi qui no? E allora quando mi videro “Eh! Che è vestito da partigiano! Guarda come è messo...” e bum! Cun la pistola int la testa. (...) [E’ stato] a Capocolle (...) nella macchina (...) era un poliziotto che aveva due denti grossi (...) un poliziotto fascista. (Dino Amadori - 1999) Nonostante il buon esito di questa operazione i fascisti non riuscirono a venire a capo dell’organizzazione partigiana ne a rallentarne l’attività. L’11 marzo viene trovato il cadavere di un soldato tedesco a S. Egidio. E’ il primo soldato tedesco che viene ucciso a Cesena. L’11 corr., sulla strada secondaria S. Egidio del comune di Cesena (Forlì), venne rinvenuto il cadavere del Caporal Maggiore FRITZ BOHMER, appartenente al reparto germanico di stanza a Cesena, che presentava ferita d’arma da fuoco alla regione occipitale. Sono state fermate alcune persone sospette. (Dal Notiziario della GNR del 16 marzo 1944 - ISRFC GNR 1126) 14 [marzo] - Sabato sera verso le ore 19 un giovane ha ucciso un tedesco presso S. Egidio sparandogli a bruciapelo. 18 [marzo] - Continuano gli arresti per causa del tedesco ucciso a S. Egidio. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino) I gap rivendicarono l’azione come propria. Anzi, nel tentativo di ricostruire a memoria l’elenco delle azioni effettuate, la stessa è riportata due volte nel medesimo Bollettino. Marzo 44 - Cesena - (Frazione Martorano) - Un giovane Patriotta, renitente di leva e arrestato dai tedeschi fugge uccidendo un Sergente nazista. Reazione nemica: vari arresti. 11 marzo 44 - Cesena - Un G.A.P. attacca un soldato tedesco uccidendolo e disarmandolo. (Dal Bollettino Ufficiale n. 1 della 29a. brigata Garibaldi GAP “Gastone Sozzi” – ISRFC ANPI Forlì) Le cose però andarono in un modo diverso. La morte del caporale Fritz Bohmer fu dovuta a più ad un caso che ad altro. Aveva un fucile a doppia canna gli vien voglia... gli viene voglia di andare atraverso per tirare qualche colpo con questa doppietta no? (...) Ci sono i tedeschi in giro, sentono questi colpi, arrivano e lo prendono. Lo prendono “Adesso tu ti portiamo al comando” (...) e se lo mandarono dietro col fucile. Gli avevano tirato fuori le cartucce (...) loro davanti e lui gli andava dietro con questo fucile a tracolla così. Lui c’aveva una di quelle giacche che portano i cacciatori, con quelle tasche qua di dietro no? Qua di dietro lui c’aveva altre cartucce che loro non gliele avevano trovate. Quando fu qui dove c’era la fornace. Qui per andare a Sant’Egidio (...) venivano su per quelle stradine secondarie... I tedeschi per fare prima (...) tagliarono di traverso. Loro davanti e questo qui gli andava di dietro. Quando loro (...) fanno i salti... accavallano questo fosso per saltare nella parte... per andare avanti... Lui svelto tira fuori due cartucce di dietro, caricò il fucile e lo ammazzò. Lo ammazzò. Era uno solo [il tedesco]. Ci diede una schioppettata proprio nella testa. Lo ammazzò lì se[cco]. Lì in quel posto lì no? Poi dopo lui scappò a casa e via via. E andò in montagna dopo. Dopo fu nascosto per un po’ di tempo e poi lo portarono in montagna, lo portarono. E s’è salvato. Anche quella volta lì fascisti e tedeschi giù, però non trovarono niente e (...) andò così anche quella volta lì. (Giuseppe Alessandri - 1984) Se i partigiani sfruttarono a loro favore un fatto accaduto per caso, non fu così per le altre, numerose, azioni che vennero eseguite in quel periodo. 12 Marzo 44 - Cesena - Un G.A.P. attacca una pattuglia fascista composta di tre militi uccidendone uno e ferendone un’altro. 10 Marzo 44 - Cesena - Un G.A.P. attacca forze fasciste nei pressi di S. Vittore: tre militi rimangono gravemente feriti. [10] Marzo 44 - Cesena - Un G.A.P. effettua il brillamento di un Pilone sostenitore dei fili di una linea di alta tensione. Marzo 44 - Cesena - Un G.A.P. effettua un lancio di bombe incendiarie contro un deposito di legname tedesco incendiandolo parzialmente. Marzo 44 - Cesena - Un G.A.P. lancia diverse bombe a mano contro una casa del fascio. Marzo 44 - Forlì - Un G.A.P. effettua il collocamento di ordigni esplosivi sotto i trasformatori della centrale elettrica provocando la totale distruzione del più grande trasformatore di elettricità della Romagna; danni irreparabili ad altri due di minore importanza; dispersione ed incendio di circa 250 quintali di olio speciale per raffreddamento; danni vari ad impianti e materiale delle linee centrali. Le reti Elettriche al servizio dell’Organizzazione tedesca sono private, con tale azione di preziosissimo materiale. Marzo 44 - Forlì - Un G.A.P. penetra nell’Areoporto incendiando un aereo il quale rimane completamente distrutto. [10] Marzo 44 - Forlì - Un G.A.P. a mezzo di ordigni esplosivi abbatte 4 Piloni di sostegno alle linee ad alta tensione da 10.000 a 50.000 WOLTS simultaneamente in due punti opposti della Città provocando disorganizzazione ed arresto alla distribuzione della Corrente in varie Città e Regioni d’Italia. (Dal Bollettino Ufficiale n. 1. della 29a. brigata Garibaldi G.A.P. “Gastone Sozzi” - ISRFC ANPI Forlì) Nella notte del 20 marzo us. in San Carlo di Cesena, 5 ribelli tentarono di penetrare nell’abitazione di quel segretario politico, con il pretesto di dover catturare due soldati tedeschi ivi ricoverati. Intervenuto il predetto segretario politico gli sconosciuti aprirono il fuoco con pistole automatiche e moschetti, dandosi alla fuga in seguito alle raffiche di mitra partite dalla abitazione assalita. (Dal Notiziario della GNR del 4 aprile 1944 - ISRFC GNR 1143) ... poi il comando militare della brigata ci diede ordine di intervenire e la prima azione si svolse il 20 marzo 1944. Siccome tutta la produzione dell’Arrigoni era requisita dalle forze naziste per alimentare il fronte e anche la popolazione tedesca, quindi la frutta che l’Arrigoni lavorava andava per scopi bellici, l’ordine fu quello di sabotare oltre che all’interno, anche dall’esterno la produzione delle fabbriche che lavoravano per i nazifascisti. Siccome c’era la centrale elettrica di via Mulino Cento... che era la SER che riforniva gran parte della corrente elettrica dell’Arrigoni... C’era un palo di alta tensione sul monte della Brenzaglia al di sopra della centrale elettrica, demolendo quello si evitava di fare arrivare la corrente elettrica all’Arrigoni. Ci fu dato l’incarico... a noi del gruppo Centro di Cesena. Che poi diventò distaccamento centro, perché dopo aumentarono le adesioni. (...) la bomba fu preparata dal nostro artificiere che era Mellini Aldo, assieme a Fusconi Venanzio, uno che è stato poi ucciso e decorato di medaglia d’argento. Erano i due artificieri della 29a. Gap. Mandammo come staffetta mia sorella [Giuseppina Rasi] in bicicletta a Martorano perché il laboratorio di preparazione era là, in un primo tempo... Poi ogni tanto si spostava andava a Ronta, Bagnile, San Giorgio... Mia sorella con la sporta doveva portare questa bomba che pesava sette chili. Il giorno 20 marzo c’era il coprifuoco, perché a quell’epoca era già in vigore. Iniziava alle 18. Noi dalla casa base di via Ex tiro a segno partimmo. Eravamo io e Casali Mario, con questo involucro pesante che avvolgemmo in un panno vecchio per dimostrare che avevamo dei panni. Avemmo fortuna perché attraversando il ponte Vecchio non c’era ancora la sentinella tedesca che vigilava. Quindi, prima dell’inizio del coprifuoco andiamo a piedi da via Maceri alla centrale elettrica. Arrivammo su che era quasi buio, verso le sei e mezzo, poi ci arrampicammo su questo costone dove c’era il traliccio e avvolgemmo la nostra bomba col fil di ferro ben stretto e poi appiccammo il fuoco con la sigaretta accesa, senza farci vedere perché c’era l’oscuramento. Con la giacca nascondemmo il luccichio. Demmo fuoco alla miccia. Noi scappammo giù di corsa perché era fortissima, infatti appena arrivati sul ciglio della strada si sentì un boato enorme che sembrava un obice, con un bagliore immenso, perché era una carica di sette chili. La zona era tutta piena di tedeschi, di là dal fiume e di qua e c’era la casa di un noto fascista lì vicino, un certo Gambasvelta, un fascista della prima ora, un facinoroso. Casali Mario si buttò nel fiume che era in piena, ma naturalmente si poteva nuotare benissimo... io invece non mi volevo buttare nel fiume, scesi la strada costeggiando il canale che adesso è coperto, era il canale della società elettrica. Lungo il canale, nel buio, ogni tanto finivo nell’acqua, ogni tanto veniva fuori un cane che abbaiava e mi veniva dietro. Io non potevo gridare quindi cercavo di scansarmi, finché, dopo questa peripezia, arrivai fino al ponte vecchio dove c’era la sentinella tedesca. Mi nascosi dietro il pilone del ponte e attesi che passasse, quando vidi che passava mi levai le scarpe [e] attraversai il ponte di corsa, tutto sporco e bagnato. I miei compagni della casa base erano preoccupati perché l’altro era già arrivato tutto bagnato, si era cambiato... ma erano preoccupati per me, perché pensavano che fossi stato preso. Dopo un tre quarti d’ora arrivai anch’io ed erano soddisfattissimi... [L’azione era stata] Molto pericolosa perché la zona era piena di tedeschi a nord del fiume e di qua c’erano altri tedeschi... e poi c’erano i fascisti. I fascisti che erano di guardia alla centrale, dopo questa esplosione buttarono via i mitra. Me lo raccontò un nostro organizzato, Biguzzi Rino, che lavorava alla SER. E buttarono la divisa scappando via perché ebbero una gran paura. Credendo che ci fosse stato un colpo partigiano di grande portata scapparono per non rimanere prigionieri. L’azione diede un risultato positivo perché quel giorno la corrente elettrica all’Arrigoni non arrivò perché il traliccio era saltato. Poi naturalmente l’hanno riparato, però quel giorno la corrente non arrivò all’Arrigoni. (Luciano Rasi - dattiloscritto 1984) Il 22 marzo è ucciso un altro fascista Felice Satta, custode dello zuccherificio di Cesena. [Forlì] 22 [marzo] = Uccisione in Cesena del custode di quel zuccherificio Felice Satta ex agente di P.S. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì) Il 22 corr. alle ore 11,15, in Cesena (Forlì) nel Piazzale antistante al locale zuccherificio, il portiere Felice Satta venne ucciso con 4 colpi di pistola sparati da uno sconosciuto, che riuscì a dileguarsi. Non si conosce il movente del delitto. (Dal Notiziario della GNR del 27 marzo 1944 - ISRFC GNR 1137) Ah! Quand i mazet Satta! Satta era il babbo di un mio amico. Era stato nella polizia della questura… politica… polizia politica. Ciou! Quel ch’u l’à mazé era forse uno ch’u l’aveva da prema… Un certo Spada [Pietro (Rino)] (…) fu preso dalla polizia fascista… prima eh! Durante il fascismo normale… e alora gli fanno l’interogatorio. Lui era lì, inquadrato fra due tre, l’ariva Satta (…) u i fa… u l’ cnusceva forse “Non dire niente perché non sanno niente!”. Perché il trucco è questo… “Guerda che l’à zà scors…”. Non dire niente perché non sanno niente! (Guido Mattei – 2003) Marzo 44 - Cesena - Un G.A.P. eseguisce la sentenza di morte contro un ex poliziotto al servizio dei nazi-fascisti e odiato da tutta la Popolazione. (Dal Bollettino Ufficiale n. 1. della 29a. brigata Garibaldi G.A.P. “Gastone Sozzi” – ISRFC ANPI Forlì) 24 marzo 1944 - Nei giorni scorsi è stato ucciso da un ciclista sconosciuto il portiere dello Zuccherificio, certo Satta, già guardia di P.S. in pensione. Nessun indizio. Era stato un uomo molto attaccato al suo dovere. (Dal diario di don Leo Bagnoli - Cesena) 24 [marzo] - In questi giorni è stato ucciso da un ciclista il portinaio dello Zuccherificio. A Bagnile rapina in pieno giorno in casa di un colono, lui presente, della carne di maiale. I Ribelli hanno voluto 10.000 lire dal parroco di Falcino; ladri e furti in città e dovunque. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino) Il 29 marzo è ucciso a Diegaro, Pio Benini, fiduciario del fascio e guardia repubblicana. 31 [marzo] - La sera del 29, verso le ore 9, con alcuni colpi d’arma da fuoco, è stata uccisa una guardia repubblicana a Diegaro. Ignoti gli assassini. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino) [Forlì] 29 [marzo] = Uccisione di un fascista a Diegaro. [Forlì] 2 [aprile] = Funeri in Cesena del fascista Pio Benini ucciso in Diegaro. (Dal diario di Antonio Mambelli.) In quello stesso mese [fu ucciso] un certo Benini, che era responsabile del fascio qui in campagna (...) Rio Marano forse...[no a Diegaro, a Case Finali era fiduciaro del fascio un altro Benini, Ubaldo] mentre amoreggiava con una donna. Nel buio della notte un partigiano gli ha sparato e l’ha ucciso. Io che allora facevo medicina avevo libero accesso nell’ospedale. Io e l’amico Berardi, nipote di don Suzzi, andammo a vedere sto Benini. Era morto, sul tavolo di marmo, lì. E venne colpita anche la donna che era con lui, però non credo che... che fosse morta. Poi ci fu [un altro attentato] all’uscita vicino a San Bartolo. C’era una panetteria. Uscì di lì un fascista anche quello in divisa. Due in bicicletta gli han sparato e l’han fatto fuori. Questo come successione di un mese o due. (Anonimo) Marzo 44 - Cesena - Un G.A.P. eseguisce la sentenza di morte contro un fiduciario del fascio. (Dal Bollettino Ufficiale n. 1. della 29a. brigata Garibaldi G.A.P. “Gastone Sozzi” – ISRFC ANPI Forlì) E’ una vera e propria offensiva, che soprattutto per gli attentati alle ferrovie, incomincia ad impensierire anche i tedeschi, impegnati nei lavori di fortificazione della linea Gotica. A tutto questo i fascisti reagiscono come possono. A Cervia, per rappresaglia, i fascisti sparano sui clienti del Caffè Roma, che dà sulla piazza principale, uccidendo tre uomini e ferendone altri due. Il giorno successivo sparano su di un gruppo di giovani che vogliono partecipare al corteo funebre degli uccisi, facendo altre due vittime. [Forlì] 21 [marzo] = Arresti e misure vessatorie in Lugo: arruolamento di guardie civili in Forlì. Voci di gravi fatti in Cesenatico [no, Cervia] ; a seguito dell’uccisione di un fascista sulla piazza i camerati di costui fatta irruzione in un caffè cittadino vi avrebbero ammazzato tre o quattro persone. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì) 24 [marzo] - A Cervia la Guardia repubblicana ha sparato in un caffè uccidendo vari uomini e ferendone ancora di più per vendicare uno dei loro ucciso. (Dal diario di don Pietro Burchi Gattolino) Il sabato precedente si era riunito a Milano Marittima il CLN provinciale. Qualcosa doveva aver insospettito i fascisti locali o qualcuno di loro forse aveva intravisto Giovanni Fusconi, <<Isola>>, per cui organizzarono una retata con reparti fascisti fatti venire da fuori: Infatti il giorno successivo, domenica 19 marzo (...) i fascisti operarono un rastrellamento a Milano marittima e nella pineta fermando diverse persone e in particolare giovani. Irruppero anche nella villa degli Spallicci per arrestarli, ma trovarono solo i familiari; il professor Aldo e il figlio, dottor Mario, tempestivamente avvertiti, avevano trovato rifugio altrove. L’operazione non lascia soddisfatti i fascisti che vogliono fare qualcosa di grosso, vogliono “mettere a posto qualcuno”, come fanno sapere in giro con minacciosa spavalderia. Si crea perciò un certo allarme tra la popolazione anche per l’aggirarsi di noti tristi figuri armati, in divisa e in borghese. La sera del lunedì 20, il grosso della squadraccia fascista venuta dalla Rocca delle Caminate, è rintanata coi camerati cervesi nel tepore della sala dell’Albergo Allegri. Altri fascisti si aggirano in paese, fanno esplodere una bomba a mano, sparano qualche breve raffica di mitra a scopo intimidatorio. E’ buio pesto per l’oscuramento imposto dallo stato di guerra e per il cielo chiuso, piovoso. Sono da poco passate le 21 quando sotto la Porta di Ravenna due partigiani, usciti in pattuglia di perlustrazione, s’imbattono in due fascisti. Lo scontro è inevitabile: sono decisivi il sangue freddo e la rapidità d’azione. Sparano i partigiani due colpi di pistola e un fascista cade a terra ucciso, mentre l’altro, dopo aver lasciato partire una scarica di mitra che va a vuoto, corre al vicino Albergo Allegri a dare l’allarme. Per i fascisti è arrivato il momento di compiere l’atto scellerato che covavano nel bieco animo da due giorni, di dare sfogo alla loro rappresaglia, di infliggere una dura lezione ai cervesi. Ed è proprio un cervese, il famigerato Gino Casalboni, detto <<l’Umàz>>, a compiere il massacro. Seguito da un caposquadra della milizia, esce dall’albergo e si dirige di corsa dalla parte opposta del luogo dove è stato ucciso il suo camerata. E’ al caffè Roma, apre la porta a vetri e spara raffiche di mitra, un intero caricatore da 33 colpi, sui clienti tranquillamente seduti ai tavolini o intenti a giocare a carte e a biliardo, ignari dello scontro a fuoco avvenuto pochi istanti prima. A terra, mortalmente colpiti, rimangono Aldo Evangelisti, di 37 anni, meccanico, Gino Tassinari, di 44 anni, mugnaio, Attilio Valentini, di 38 anni, camionista, Gianni Venturi, di 34 anni, portalettere. Altri sono feriti, due in modo grave, ma per qualche tempo nessuno può accorrere dai morti o soccorrere i feriti, perché i fascisti, compiuto l’eccidio, hanno sbarrato le porte e chiuse le saracinesche. Per due giorni a Cervia c’è un clima di terrore: vengono operati alcuni arresti, nessuno può uscire di casa, nessuno può affacciarsi alla finestra. Ai funerali, fissati dai fascisti per il pomeriggio di giovedì 23, non possono partecipare neppure i parenti. I “repubblichini” passano nelle case delle vittime, buttano via i fiori, ammassano le bare su un camion e vanno frettolosamente a scaricarle al cimitero. Ma poco prima avviene un altro tragico fatto di sangue di cui è protagonista un noto assassino in camicia nera, Primo Tabanelli di Bagnacavallo, detto <<S-cianten>>: diversi fascisti stazionano nei pressi del ponte sul canale all’ingresso della città per vigilare che nessuno si muova al momento del trasporto funebre, quando scorgono un folto gruppo di ciclisti - circa una cinquantina - provenienti dalla via Salara. sono partigiani e patrioti di Castiglione di Cervia e di Castiglione di Ravenna che intendono partecipare ai funerali per dimostrare la loro solidarietà alle vittime e il loro coraggio civile. In testa al gruppo, leggermente distanziati, pedalano compatti una decina di ciclisti tra i quali due cugini di Castiglione di Ravenna, i Fantini. La staffetta partigiana non ha fatto in tempo a raggiungerli per avvertirli del pericolo. I fascisti, lividi di rabbia, corrono loro incontro. <<Bisognerebbe ammazzarli tutti!>> grida un fascista cervese, ma non fa a tempo a terminare la frase che <<S-cianten>> ha già sparato una raffica di mitra colpendo i due cugini Fantini, Armando di 23 e Lino di 24 anni, braccianti, partigiani, che muoiono all’istante. Altri sei castiglionesi vengono arrestati e tradotti alle carceri di Ravenna. (Da: Cervia ore 6 : Lotte popolari e antifasciste : (1890-1945) / coordinamento di Tolmino Baldassarri. - Ravenna : Edizioni del Girasole, c1981) [Forlì] 24 [marzo] = I cugini Armando e Lino Fantini da Castiglione di Ravenna recatisi a Cervia per rendere omaggio ai compagni del gruppo di azione partigiana, ivi massacrati nel caffè Roma, sono a loro volta uccisi da elementi della brigata nera. La situazione in Cervia è molto grave: si teme che avvenga un nuovo spargimento di sangue. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì) Questi ragazzi furono inviati dal Movimento della Resistenza a partecipare ai funerali degli uccisi nel caffè Roma, come dimostrazione antifascista. Partirono da Castiglione in un gruppo di 15-20. Quando arrivarono a Cervia, prima del ponte, vicino al canale (più avanti rispetto al luogo dove ora c’è la lapide, più verso il mare), furono fermati da un gruppo di fascisti. Mio zio [Lino Fantini] e altri - la maggior parte - avevano proseguito in bicicletta; altri si erano invece fermati prima del passaggio a livello ed avevano lasciato lì le biciclette. Fra questi c’era anche mio padre [Armando Mieti]. Successivamente il gruppo a piedi raggiunse i compagni vicino al ponte. Erano lì fermi e c’era questo S-cianten [Primo Tabanelli da Bagnacavallo] con un gruppo notevole di fascisti (una quarantina); ad un certo punto hanno sparato. Mia madre [Anna Fantini] ha sempre detto che Lino, Armando e gli altri erano davanti; furono fermati e fu loro chiesto dove andavano. Loro risposero “Ai funerali” e i fascisti dissero che non si poteva. “Come? Non possiamo neanche andare ai funerali, adesso?” replicarono i ragazzi. Ci fu un battibecco. Ad un certo momento - questa è una versione di fatti che ha riferito mia madre, ma che mio padre non ricorda, perché quando egli sopraggiunse non sentì bene quello che stavano dicendo - S-cianten avrebbe messo una pistola per terra e avrebbe invitato Lino a raccoglierla; lui rifiutava e l’altro insisteva. Ad un certo punto mio zio disse: “La prendo su, ma per dartela”. Nel momento in cui si chinava per raccoglierla, S-cianten gli sparò una raffica di mitra. Lino è stato colpito ed è caduto nel canale; invece Armando è morto lì, sulla strada: Mio padre si buttò in acqua per ripescare lo zio Lino, ma era morto. Poi spararono nuovamente. Mio padre era appoggiato all’argine del canale ed era protetto; gli altri scapparono. Ci fu il fuggi-fuggi, ma alcuni furono presi e portati in carcere a Ravenna, dove rimasero una ventina di giorni. Mio padre riuscì a scappare. (...) Mia madre riferì che mio nonno Aurelio, il giorno dopo, andò a vedere se gli consegnavano i corpi dei due giovani, per seppellirli a Castiglione. S-cianten non voleva darglieli e mio nonno disse: “J’è du zùvan, du burdel... Amzej acsè! ‘S’ài fat? I n n’à mai fat mel a nison...” E S-cianten rispose: “Ad sti galet ch’è cvè, a n’ò mazè vintdù e du vintcvàtar.” (Pietro Mieti in: Chi du burdel : ricerca condotta dalle insegnanti della scuola “Martiri Fantini” - Cervia, 1999) Un gruppo di partigiani avviatosi in bicicletta per raggiungere la montagna, perso di vista la staffetta che doveva far loro strada si trova a passare per errore da Meldola. I fascisti del luogo, messi in allarme, li rincorrono. Ne segue una sparatoria che lascia sul terreno i due partigiani Bruno Focaccia e Paolo Fabbri. [Forlì] 1 [aprile] = La g.n.r. uccide nei pressi di Meldola i partigiani Bruno Focaccia di 35 anni, da Campiano e Paolo Fabbri di anni 22 da S. Pierino, mentre si accingevano a guadagnare la montagna. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì) ... la nostra prima azione fu quando partendo da casa, ci inviammo con le biciclette per raggiungere le montagne. Ricordo che eravamo circa una trentina, perché strada facendo ogni tanto al nostro gruppetto se ne aggiungevano altri e siccome eravamo un buon numero andavamo stupidamente quasi tutti in colonna. Eravamo guidati da una staffetta che nessuno di noi aveva mai visto prima di quel momento e così siccome lei camminava un po’ avanti da noi, un bel momento la perdemmo di vista senza mai più incontrarla. Allora ci trovammo così tutti raggruppati senza sapere la direzione precisa da prendere ed in una strada ben frequentata. Decidemmo di continuare da soli la strada e ci trovammo con sorpresa proprio di fronte a Forlimpopoli che noi volevamo evitare a tutti i costi. Camminammo ancora raggiungendo Meldola, il nostro piano era di arrivare [al]le prime colline in zona di Teodorano, ma come dissi prima, siccome non conoscevamo la strada, ci trovammo costretti ad attraversare Meldola in pieno giorno. A Meldola, vedendoci passare, molti credettero si fosse operai della Tod[t]. Ma qualcuno capì bene chi eravamo, sicché fu subito dato l’allarme ed incominciarono ad inseguirci. Noi intanto avevamo raggiunto le prime alture e stanchi come eravamo alcuni di noi si sbandarono. Incominciava allora a tramontare il sole e noi speravamo si facesse scuro. I camion carichi di fascisti ci erano quasi addosso ed il tempo stringeva, così qualcuno incominciò a tirare fuori le armi che avevamo preso da casa. Chi era disarmato completamente, avevamo alcune pistole, qualche bomba a mano e c’era anche un fucile ed un mitra smontati. Questo poteva bastarci per un po’, ci organizzammo alla meglio decisi di aspettare i fascisti che furono subito lì. Era il nostro battesimo del fuoco, la nostra prima azione di guerra, tenemmo duro per quasi mezza ora. Intanto si era fatto già buio. Noi ci trovammo presto senza più un colpo da sparare, non avevamo grandi riserve (solamente quelle che ci fu possibile prendere da casa) sicché col favore dell’oscurità ci demmo alla fuga attraverso le montagne camminando ancora per tutta la notte. In questo scontro, caddero tre dei nostri compagni e diversi furono catturati, eravamo rimasti circa la metà. Ci mettemmo in cammino per trovare la Brigata. Da Pieve di Rivoschio a Spinello, da Spinello a Strabatenza, attraverso buona parte di tutte le località dell’Appennino Tosco-Romagnolo, senza guide camminammo per circa sei giorni consecutivi, riposando solamente quel tanto necessario, fino a che un bel giorno raggiungemmo il Fumaiolo, alle Balze trovammo finalmente la Brigata. ). (Lettera di Giogio Dragoni (Il pelato), a Franz [Giuseppe Mamini]. Cervia il 29 giugno 1947. – ISRFC ANPI Forlì) Il 10 aprile, un colpo di pistola sparato, poco dopo l’inizio del coprifuoco, da una giovane guardia repubblicana uccise l’operaio Edgardo Bartoletti. [Forlì] 11 [aprile] = Muore all’ospedale di Cesena l’operaio Edgardo Bartoletti di anni 24, colpito da pistola, iersera nella piazza del suo paese dalla g.n.r. Marsilio Montevecchi, poco dopo il coprifuoco. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì) L’episodio, causato molto probabilmente da un errore, è significativo dello stato di tensione in cui vivevano i fascisti in quei giorni, tanto più che dieci giorni prima, sempre a Cesena, nei pressi del ponte di San Martino, un soldato tedesco era stato ferito gravemente, allo stesso modo. 31 [marzo] - Questa notte le guardie repubblicane hanno sparato contro un individuo verso il ponte di S. Martino, che non s’era fermato all’intimazione fatta. Hanno poi visto che era un tedesco; ferito gravemente all’Ospedale. I palazzi e i grandi alberghi della spiaggia saltano per aria colle mine. Nemesi storica? Era là dove se ne combinavano di tutti i colori. Bengala e altri razzi illuminanti si vedono e si sentono rumori di scoppi e passaggi di aerei nella notte. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino) Il 2 aprile diversi gruppi gap si riuniscono per un’azione combinata al caseificio di proprietà dei Moreschini. Vengono sottratti dai 50 ai 100 quintali di formaggio grana con l’intenzione di inviarli ai partigiani in montagna e distribuirli alle famiglie che, in pianura, nascondono partigiani e renitenti. L’operazione ha successo soltanto in parte perché i camionisti, con cui i partigiani si erano accordati, tradirono la loro fiducia e vendettero per proprio conto parte del bottino. Il resto, sepolto in luoghi diversi, non poté essere inviato, perché tutte le comunicazioni con la montagna erano interrotte, essendo già in atto il grande rastrellamento (6-25 aprile) che portò alla quasi totale distruzione della brigata partigiana romagnola. [Forlì] 11 [aprile] = Un gruppo di armati asporta 128 q.li di formaggio da un caseificio di Ronta. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì) A metà del mese di marzo, nei magazzini del Caseificio Moreschini di San Giorgio, i fascisti avevano depositato diversi autocarri di forme-grana provenienti dal Nord Emilia. Il “grana” doveva essere distribuito, per Pasqua, ai reparti militari fascisti, alle famiglie dei fascisti, ai carabinieri, agli agenti di P.S., alle Comunità di assistenza. La rimanenza era destinata alla popolazione munita di tessera annonaria. Il nostro comando decise un’azione con lo scopo di asportare una parte delle forme per inviarle ai reparti dell’8^ Brigata e distribuirla alle famiglie dei partigiani ed alla popolazione. L’obiettivo era di asportare un centinaio di ql. Allo scopo furono mobilitati i gruppi GAP di S. Giorgio, Bagnile, Ronta, Calabrina, Martorano, Gattolino e S. Martino. Fu utilizzato un motocarro e diversi biroccini trainati da cavalli. La notte del 2 aprile l’azione fu eseguita. Tutte le strade che confluivano su S. Giorgio furono presidiate e poste sotto controllo dai GAP. L’operazione durò tutta la notte, il motocarro ed i carri trainati dai cavalli eseguirono diversi viaggi dal caseificio ai ripostigli ove avevamo deciso di depositare e nascondere le forme. L’operazione ebbe termine all’alba. Molta gente, del luogo, fu da quel momento libera di rifornirsi per gli usi propri dei grana. Il giorno dopo i fascisti e la squadra scientifica della questura bloccarono tutta la zona alla ricerca del grana. Perquisirono centinaia di case. Non trovarono nulla. La beffa era riuscita perfettamente. (Leopoldo Lucchi - manoscritto 1987 – ISRFC ANPI Cesena) ... il Comando militare dell’8va brigata Garibaldi fece pervenire la richiesta urgente di generi alimentari. (...) Ritenni che la migliore soluzione fosse l’acquisto utilizzando i fondi messi a disposizione dal CLN. Riunii il comando e diversi distaccamenti allo scopo di definire il piano di rifornimento. dalla discussione emerse che a S. Giorgio, presso il caseificio Moreschini - il proprietario era vice segretario del partito fascista di Cesena - esisteva un grande deposito di formaggio tipo grana. decidemmo di fare una visita al caseificio. Fu predisposto di riunire i reparti partigiani del luogo [furono mobilitati quelli di San Giorgio, Ronta, Bagnile, Martorano, Gattolino, Calabrina] e di procedere nel seguente modo: scavare nei campi circostanti il caseificio - utilizzando una vasta zona - delle fosse attrezzate allo scopo per depositarvi le forme requisite. decidemmo inoltre di trovare carri e cavalli per il successivo trasporto. Durante l’operazione di requisizione l’area doveva essere completamente bloccata e i partigiani, armi alla mano, dovevano bloccare coloro che intendevano entrare nella zona. (...) venne riscontrato che poco distante dal caseificio, in una casa colonica, si macellavano clandestinamente dei bovini e che la casa-macello era di proprietà del cugino del custode del caseificio. tale circostanza poteva costituire un pericolo per gli esecutori del piano e per il piano stesso (...) convinsi i compagni che potevamo portare a termine l’azione introducendo una variante: neutralizzare la macellazione clandestina. Infatti durante l’operazione venne raggiunta la casa in cui si eseguiva la macellazione clandestina, mitra alla mano entrammo nella stalla, prelevammo il cugino del custode del caseificio e lo portammo con noi (...) L’aver portato con noi il congiunto del custode del caseificio si rivelò produttivo. giunti alla porta della casa del custode, dietro nostra richiesta, questi bussò alla porta. (...) una donna aprì la porta senza difficoltà e ci consegnò le chiavi del magazzeno. Potemmo iniziare immediatamente il nostro lavoro. le numerose forme requisite vennero interrate nelle fosse predisposte, avvolte nella paglia, con l’aiuto di molte donne della zona. (...) terminato l’interramento, togliemmo i posti di blocco, mettemmo in libertà i fermati e costatammo di essere entrati in possesso di 128 quintali di formaggio grana. All’atto dell’abbandono del caseificio consentimmo alla popolazione di impossessarsi della restante parte di formaggio grana così che il danno subito dal proprietario fu assai maggiore. Il giorno dopo i fascisti perquisirono la zona senza trovare traccia di formaggio. lasciata sbollire la rabbia fascista procedemmo alla vendita clandestina del formaggio e, tramite una staffetta, si stabilì il giorno, l’ora ed il luogo in cui poteva avvenire la consegna. a questo punto, avuto il tempo necessario a concentrare il grana in un unico posto, predisponemmo gli automezzi necessari, stabilimmo il loro percorso, li munimmo di un segno di riconoscimento e fornimmo ai guidatori la parola d’ordine. Una nostra staffetta, in motocicletta, guidò i camions nel luogo fissato per la consegna e tenuto segreto. andò tutto bene. Non conosco la somma realizzata dal comando ma si trattò sicuramente di alcuni milioni. (Da un diario anonimo – ISRFC ANPI Cesena) Moreschini [Pier Francesco] aveva un caseificio con molta forma. Il Comando [della 29a. Gap], d’accordo con dei camionisti della TODT, che era l’organizzazione del lavoro dei tedeschi, decise di portare via della forma, ma questi camionisti la vendettero prima di portarla via. (Nello Della Strada - dattiloscritto 1983) Aprile 44 - CESENA - 3 squadre di G.A.P. compiono un importante ricupero di generi alimentari da un deposito fascista. Più di 50 quintali di merce poté essere cosi, inviata ai Partigiani in montagna. (Dal Bollettino Ufficiale N. 1 della 29a. brigata Garibaldi G.A.P. “Gastone Sozzi” – ISRFC ANPI Forlì) ... siamo andati... Moreschini [Pier Francesco] c’aveva un caseificio allora siamo andati a portar via la forma. A portar via la forma siamo andati. Sì, eravamo 12 o 13 di Bagnile, Ronta, Martorano, San Giorgio, la Calabrina. Tutti d’intorno qui della zona (...) allora... ancora per il momento della forma... si girava ancora... (Aldo (Lorenzo) Fusconi - 1984) Andammo per proteggere quando dovevano portare via il formaggio a S. Giorgio. Ci trovammo con altri compagni, che hanno adesso cariche pubbliche. Di Martorano c’eravamo quasi tutti. (Otello Sbrighi - dattiloscritto 1983) Io mi ricordo che avami un car… un broz, cun al gomi par lasè mench traci (…) Non ricordo quanti erevamo comunque dovevamo affluire chi da una strada chi da un’altra… da tre punti. U j è la streda ch’la ven da Bagnil ch’la ven d’in só vers la latteria (…) E nun inveci. Marturen... avnema da Ronta, e il gruppo dla Calabrina credo… e quelli di Cesena parché u j era nenca Gigin [Leopoldo Lucchi] (…) avevamo la parola d’ordine e pó intervenesum (…) i carghet stal queli e nun a li scurtesum fin a Marturen du ch’a l’ fu nascosti int una capana a Marturen. (…) Tot ciutè. J avniva quilè cun la paja. Tot ciutè. Car e tot. (Otello Sbrighi – 1998) L’attacco alla latteria venne fatto da molte persone. Il formaggio (un centinaio di forme, tipo grana) venne in parte nascosto e in parte gettato nei fossi o dato ai maiali. Forse un dispetto che si volle fare a Moreschini [Pier Francesco]. Fu lui che chiamò i fascisti iugoslavi per il rastrellamento. Il rastrellamento del 29 aprile fu voluto da Moreschini dopo che gli rubarono le forme. (Confidenza di Colombo Fantini - 1998) Io ho partecipato quando fu portato via tutta la forma lì... di coso... di Moreschini [Pier Francesco]. Là a San Giorgio no? Quella notte lì, che fu una notte che io non ho mai lavorato più in vita mia, come quella volta lì. La fatica che abbiamo fatto quella volta lì... Ah! Mi ricordo al mattino che eravamo ancora in giro con dei carri di queste forme, che le portavamo lungo il fiume. Avevamo fatto una buca per seppellirle lì, perché doveva venire il camion per caricarle e non venne dopo... [Per fare quest’azione] Eravamo un’infinità perché c’erano tutti i compagni dell’organizzazione di San Giorgio, Ronta seconda e Ronta prima. Insomma quasi tutti mobilitati in quell’azione lì. Perché io, penso lì che fosse stato fatto un calcolo sbagliato, pensavano che della forma... di questi formaggi ce ne fosse una quantità che invece u n’ i n’ era... metà in più. Qualcheduno forse ne ha anche portati a casa. E ha fatto bene no? Insomma, al mattino eravamo ancora in giro con un carro che si era rotto. Passavano gli operai che andavano a lavorare all’Arrigoni per le cinque. Eravamo lì in mezzo un viale. Non in mezzo la strada Ravennate. In mezzo un viale che è fra Ronta e Martorano. Dai Canducci (...) In mezzo un viale con un carro rotto con le forme sopra! Via, via, via e via! Andare a prendere un altro carro e poi buttarle su e poi portarle nel fiume. Insomma, incominciava a farsi luce, insomma, a vedere bene, che noi eravamo ancora col carro in mezzo al viale. Andò bene. (Giuseppe Alessandri - 1984) 12 [aprile] - I quintali di forma rubati a Moreschini [Pier Francesco] superano i 100: i danni le 200 mila lire. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino) Quando c’è stato quel furto lì, nella latteria, che portarono via tutte quelle forme, noi c’eravamo. C’era... di giovani eravamo tre. C’era io, (...) Sergio (...) Pagliarani e c’era un altro... Fattori di Calabrina... E poi c’era tutti quei vecchi. C’era anche mio padre che lavorava con Moreschini [Pier Francesco]. Eravamo 7-8 persone [di Calabrina]. E ‘lora che vennero i fascisti là [nel podere dei Moreschini] e dicevano “Voi qui cosa fate?” “Noi lavoriamo”. E alora, dopo, venne il caporale e disse “Voi non avete paura, che non vi portano via, perché ci siamo noi...”. Che Moreschini lo sapeva che eravamo i suoi operai e dopo, a dir la verità, venne uno lì che era un caporale e disse “Voi andate là in fondo a lavorare che così non vi vedono e non vi cercano nessuno”. Ma noi sapevamo che eran stati i partigiani quella notte... a la matina che c’era un po’ di chiacchiere lì a San Giorgio... lo sapevamo (Romeo Motta - 1983) 28 febbraio [1945] – Si incominciano a scoprire gli autori di certi misfatti attribuiti ai partigiani. Ad esempio le forme di Moreschini [Pier Francesco] sono andate a finire nelle tasche private di alcuni buoni comunisti della Calabra: a Ronta, anche dopo l’avvento inglese, gli stessi han fatto mercato nero e clandestino, né si trattò di dieci lire. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino) L’8 aprile i fascisti risposero con un rastrellamento nella zona di Martorano-Ronta-San Giorgio in cui perse la vita il giovane renitente Fausto Sama. A S. Giorgio c’era un caseificio che era di Moreschini [Pier Francesco]. Era lui il capo, quello che dava il via. E per suo conto lavorava un fascista, mi pare fosse di Reggio Emilia. Molto prima, nel ‘41-’42 [no, nell’aprile del 1944], una squadra andò di notte a prendere delle forme. Noi eravamo tranquilli, non ci pensavamo lontanamente, invece arrivò verso mezzogiorno una squadraccia col furgone e la macchina, erano 9-10... Moreschini [Pier Francesco] non c’era. (Pietro Barducci dattiloscritto 1983) Tino: E’ prem rastrelament u j è stè j ot d’avril. Vittorio: Che... u s’ afughet e’ por Fausto [Sama]. Tino: Prem rastrelamet u i fo’ a j ot d’avril però u n’ fo’ un... no’, u n’ f[o’]... quél e’ fo’ un quèl un po’ limitè i batet e’ fiom mo poca cosa... (Tino e Vittorio (Quarto) Fusconi 1998) 9 aprile - Pasqua: In questa settimana sono accaduti tre fatti sensazionali imparati da me: ladri forniti di autocarro hanno rubato parecchi quintali di forma dal Caseificio di Moreschini tra S. Giorgio e Ronta; altri due ladri di sera sono penetrati in una casa qui a Gattolino e hanno [in]volato una cena e una mortadella; le guardie repubblicane hanno inseguito alcuni renitenti alla leva tra Ronta e Martorano, e uno, scappando s’è affogato nel fiume. (Dal diario di don Pietro Burchi Gattolino) L’azione che si fece alla latteria Moreschini quando si portò via la forma... lì, si fece per venderla, prendere un po’ di soldi [e] anche per portarla su in montagna perché avevamo bisogno di questi viveri. Non ho partecipato, però sapevo. Era il mattino, mio cugino Nello [Della Strada] mi dice “Vai dalla zia perché hanno fatto quell’azione e può darsi che vengano i fascisti”. A Ronta [seconda] avevamo una zia. (...) Mi disse di andare lì perché lei aveva un filare che si doveva mettere a posto. Io vado giù, mentre sono in questo filare e tiro giù i bacchetti, vedo che nella strada principale si fermano due macchine proprio davanti alla borgata. I ragazzi [del posto] scappavano via. Infatti erano i fascisti che facevano un rastrellamento. Penso per l’azione che si fece nella latteria Moreschini. Se stavo lì... L’impulso fu quello di correre via e loro venivano anche dietro [di] me. Quando fui vicino a casa mia... li avevo distaccati un bel po’, in quei momenti si andava forte... vado dentro un rifugio che noi avevamo in fondo al podere... e sentivo un bruciore sopra il garretto... mi tolgo il calzettino, era una ferita di una pallottola che era passata da pelle a pelle e non me n’ero accorto. (...) mi avevano sparato. Non dissi niente coi miei perché sono guarito da solo, con l’aceto e una fasciatura. (Ferdinando (Delio) Della Strada - dattiloscritto 1984) Prema de’ rastrelament u s’ purtet via al formi a lè da Moreschini par deli a i partigen ch’j era in muntagna e da dè qualche cosa nenca a cal famei in pianura che a glj aveva dla zenta in ca’. Insoma da dei da magné e tot st’al robi che que... E quest l’é un fat. (...) E’ fa e’ mi cusen “Dì, l’è mei che te t’ vaga da la zia. Du t’ sté te [Rivolto a Fusconi Vittorio (Quarto)]. Int la tu burgheda [Ronta seconda]. Parché...” dis... e infati la aveva un po’ ‘d tera cun un fler. Dis “T’ vé là” dis “pó des ch’e’ venga zó i fasesta”. (...) U j era da fè d’atond a sté fler. (...) A só lè che a lavor... a tireva zó sti batech... A vegh dó machini ch’al guerda... Da Cesena. Al paset longh a la vosta burghèda, no? E al s’aferma. A n’ li vegh a pasè ‘d’là. A degh “Orca madongia!” a degh “al s’ è farmedi. Chi sarà?”. Tot un, a vegh e’ Tuschèn. A vegh Rino... Palazzi... E’ fiol, Marino. Ot o dis, tot quant chi burdel ch’a s’ cnusema, no? Tot (...) I cor via. I cor vers ad me e’ pó dop lor i ciapa la streda dla Sina, no? Me (...) a vegh sti fase[sta]. A ciap via nenca me parché (...) lor i tirava, no? (...) A vulèva (...) E a m’ariv ardus a qua a ca’ mia. Parché u i geva l’es un chilometro e mez, du chilometri par ‘rivé a ca’ mia. Che avami fat un rifugio da longh a ca’ nostra un mez chilometro. Arivet andé int e’ rifugio. Quand a sò int e’ rifugio a sint un brusor (...) a m’ chev la scherpa um s’ era furè la scherpa con una palota, che la m’ è paseda da que e ‘d là, tra al dó pèli (...) alora a i mitet e’ fazulet a m’ strinzet ben. Pó dop a staset un po’ lè e pó’ andet a ca’. (...) [Sté fat che que] e’ fot un poch prema [de’ rastrelament]. (...) Sé, piò o mench sempra int e’ mes d’avril. (Ferdinando (Delio) Della Strada - 1998) 3° incursione 14-15 marzo [No, il 9 aprile 1944] con le stesse case controllate [di Fusconi Aldo, Fusconi Duilio, Maraldi Augusto di Ronta e Armuzzi Giordano di Bagnile] la conseguente fuga di giovani di leva e nel atraversare il fiume savio annego Sama fausto 20 enne operaio del arrigoni, Vennero da cesenatico i Fusconi (cugini) con un barcone, cercarono per due giorni, l’acqua era alta non riuscirono a trovarlo. le aque del fiume savio restitui la salma del giovane che era rimasta bloccata da i rami di un albero dopo 8 giorni nei pressi di Matellica, indossava ancora la tuta blu. per il suo funerale partecipo tutto il paese, i GAP aspettavano la venuta dei fascisti avevano Bloccato le strade che portavano al cimitero, piu la Ravennate. (Fusconi Vittorio (Quarto) manoscritto 2001) Il 15 marzo [no, il 9 aprile 1944] per sfuggire al arresto da parte fascista un gruppo di Ronta composto da Cucchi Marino Maraldi Eligio, Budini Aurelio Fusconi Luciano e Sama Fausto nel atraversamento del fiume savio per sfuggire ai fascisti e andare in una casa sicura, i Sudera di S. Andreia, Sama Fausto per un malore fu travolto dalle aque del fiume e reso dalle stesse aque 8 giorni dopo malgrado le ricerche con un barcone da pesca dei Fusconi di Cesenatico, Fu trovato con la sua tuta blu attaccata ad un albero piegato sulla riva del fiume savio a Mattelica (Tuta blu perche operaio del Arrigoni) Aveva 20 anni ed era il primo caduto della bassa Cesenate. (...) Una giornata piena del sole di aprile e i giovanotti giocavano a pallone sulla Via Ravennate a Ronta II quando arrivo una macchina nera, una frenata brusca sendono di corsa e cominciano a sparare raffiche di mitra, nel terreno di Baldo dla Sina, noi eravamo vicinissime e vedavamo e Gag ad Budlina, (Fusconi Giuseppe) Garafoni [Guido Garaffoni] che sparava raffiche di mitra urlo a battistini [Augusto] di andare a tagliare la strada in via masiera, non riuscirono a bloccare la strada i fascisti, ma i fuggitivi erano in tre, le raffiche rabbiose avevano fatto uscire di casa Fusconi Duilio e il figlio Luciano, i contadini che hanno visto la sena stesi per terra le raffiche tagliavano le canne che si usava allora nei campi, i tre fuggitivi si divisero, Fusconi Giuseppe fuggi verso S. Giorgio i fascisti in due non si addentravano nei campi, sapevano il rischio che correvano. I due Fusconi padre e figlio presero una bicicletta e volarono giù da palunzen [Sbrighi] dal di li più tardi raggiunsero basi più sicure, Pippo ad Budlina [Fusconi Giuseppe] era fuggito dalla casa di Fusconi Aldo, il quale si rifugio in soffitta, e nessuno ando a cercarlo. (...) Qualche notte prima era stato pulito il formificio di Moreschini [Pier Francesco]. (Fusconi Vittorio (Quarto) - manoscritto 2001) Amedea: U j era la Tod[t] a que da Sgala, e’ mi fradel l’era avnù d’ int i suldè, e’ faset ot dé e e’ caschet e’ duce. E’ caschet e’ duce e alora dop l’andet só la republichina. Lo e’ get, Primo ad Tibecia, “Va lè che te int guerda nisun, vin a là cun me che t’veng un flèr. E infati e’ vangheva un fler a lè... a là dria la streda ch’u j era i fler dl’uva. E ven zó i fasesta. I curet dria a e’ tu zé [Aldo Fusconi, zio di Vittorio]. J i daset dria u j era una finistrina acsé ad dria a Baril [Aldo Fusconi]. Cum u s’ faset a scapè, a saltè, me a n’ e’ sò. E’ paset da sta finestra e pó u s’ butet a là sota a la quèla... A lè da la Sina, u j era un fusadin ch’u j era la quèla... u j era quela cla pezga. L’urtiga. U s’ inschet sota l’urtiga ch’e’ scapet... quand i fot andè via ch’i ne truvet, che a n’ e’ sò cum la s’ fos, l’era tot bagatè, tot furè dipartot. U s’ era gunfié tot acsé da l’urtiga. E e’ mi fradel l’avet una gran paura, e’ puren e l’andet a là pr e’ fiom. Da Sgala u j era la Todt. J i geva la Todt. A n’ e’ sò quel ch’u s’ fos. E alora l’arivet a là pr e’ fiom. Che i vleva pasè e’ fiom. Quand e’ fo’ là pó u i n’ era djit che i vleva pasè e’ fiom. U j era un po’ ad fiumena. U j era un po’ ad fiumena e e’ tantet nenca lo (...) ch’l’era int i suldè e l’era ‘vnù ca’... da pasè e’ fiom. Ma la mi mama la j à sempra det che lia la j aveva piumbè i virman. Che un quand j i à piumbé i virman, s’ e’ va zó un ven só. Quel la l’ geva sempra quand la era que. Lou, i pruvet nench chjit, a dei una men cun la quela... cun dal giachi, cun un baston pr avdei s’l’avinva só par ciapes. Ma lo in l’à vest avnì só. Pó lou j aveva una gran paura par lou, parché u j era sta Todt e l’era ‘vnù só i fasesta e i panseva ognun par sé. Ciou! I paset e’ fiom... quii ch’i putet pasè, i paset a lè. L’è stè ot dé int e’ fiom. A l’avam truvè a Matelga dop ot dé. [Come si chiamava?] Amedea: Sama Fausto. L’era de’ vinquatar. Lamberto: J i à intitolè la streda que. Amedea: Dop, la mi mama, la pureta, la geva sempra “Fausto, s’ e’ ven zó i fasesta”, la j insgniva sempra acsé “set quel ch’t’é da fè?” la j aveva insgnì ‘csé “va int e’ camsent metat int un tumbèn, ch’i sa si ven a là int un tumben a zarchet?. A j avemi insgìi acsé e lia la panseva sempra “u s’ sarà inschè in che sid”. E inveci quand u s’ santet a di che u s’ era afughé un... i ngn’ e’ vleva avnì dì cun la mi ma’, la pureta, e i cnes dial. (...) Lo un e’ zarcheva nisun, lo l’era avnù ca’ d’int i suldè e dop l’era andè só i fasesta. J avet paura. E lo u s’ era fat paura da par lo. E alora e’ ndet a là pr e’ fiom zó (...) U j è stè ot dé int l’aqua. J era avnù di barcun da Ziznatich a pischè. In faseva guasi piò gnient a que vaiun. J i à aiuté tot par avdei s’ il truveva. Ma un si atruveva sté burdèl. E dop a ot d. Ou! La mi mama la insugnet che l’era pasè la fiumèna (...) e che Fausto l’era avnù só. L’era al tre dla nota. La faset stè só lo [Lamberto] ch’l’andet pr e’ fiom a zarchel e me s’era a ca’, ch’a s’era una burdèla. Aveva treg en. A s’era una burdèla, a ca’ da par me. E a arivet fin dla Madona ch’i l’eva truvè sté... sté burdel e i l’eva tiret só e i l’eva... Cun una cavalina il purtet là dria a e’ fiom du ch’u j era e’ mesar ad Bundanen. E a la mi mama quand la vins a ca’ a j e’ get me. A i daset i pen da instil. Che a s’ avema preparè i pen, gnaquel. A i dast me. Quand la vins a ca’ a j e’ get. E alora la mi ma’ la vleva cor a andè ‘vdé a là du ch’i l’aveva truvè, ma in vuls. In vuls. Fin a che a n’ l’avem lavè, custodì, instì. Il purtet int e’ camsent. D’int e’ camsent alora la l’avnet avdei. Alora a sami tot burdel. Ch’a sami me e la mi surela ch’a sama du burdèli. Me aveva treg en lia vant en. Lamberto: La j è de’ trentun. Amedea: La j è de’ tentun e me a sò de’ vincet. A andesum int e’ camsent. La mi mama int e’ andé là, la pureta, par e’ su fiol, u j avnet di gran fastidi. Cun dla seda... A gema ch’la s’ muriva là int e’ camsent nenca lia, la pureta. E i l’arivet a arciapè e lia la l’ vuls avdei ma nun in ce faset avdei. Mo int e’ stè ot dé int e’ fiom, int l’acua... quant la avdet ch’l’era guantè nir... gonfi ch’l’era acsé... L’era nench guantè tot nir. Lia int e’ vdel acsé… Ciou! U i vens mel, via. L’ à avù da fé.E pó dop al purtesm a ca’. I vlet fè e’ funerel. I s’era armè tot dria a chi bosch. Ch’u j era tot i bosch là du ch’u j è la ca’ dla quèla (...) Gabariel. Ad qua l’era tot bosch. No’ Gabariel. Ad qua chi i staseva? Cagnaza? Olta só da lè ugn’ era al ca’ cmé ‘des u j era tot i bosch. I s’era tot armé ad qua e ‘d là. I geva “S’i ven zó i fasesta ch’in faga fè e’ funerel a s’ardusem int’ un [incomprensibile]”. Invece i n’ vins nisun i s’ faset fè e’ nost funerel. U n’ fo’ suzest gnent via! (Lamberto Sama, Amedea Sama 1998) Il mio cugino Sama [Lamberto] (...) aveva perso il fratello, il 7 aprile del quarantaquattro, per sfuggire a... a un rastrellamento fascista, perché lì venivano quasi tutte le settimane... Nell’attraversare il fiume aveva... la corrente l’aveva trascinato via... c’era molt’acqua e perse la vita. Venne ritrovato otto giorni più tardi intervennero le barche che furono chiamate da mio padre [Duilio] da Cesenatico, che aveva dei cugini pescatori. Avevano due barche. Vennero qua. Mi sembravano enormi a me che ero un bambino, no? Ste barche. Lo cercarono per tanti giorni e poi non lo trovarono. Era arrivato a Matellica. Era rimasto impigliato con la tuta da operaio dell’Arrigoni in un ramo e lo trovarono che era lì. (Vittorio (Quarto) Fusconi - 1998) [Forlì] 20 [aprile] - Galleggia nel Savio il cadavere di un giovane assassinato dalla g.n.r. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì) Il 22 aprile, su indicazione di spie locali i fascisti perquisirono la casa di Claudio (Alvaro) Pirini, a Pisignano, uccidendone la figlia. Il fatto sembra essere correlato alla morte di Giulio Laghi, partigiano, morto lo stesso giorno, nell’esplosione di una mina tedesca che cercava di asportare dalle saline di Cervia. Con lui, al momento dell’esplosione, era presente un altro partigiano, che riuscì a scappare e si dice fosse Alberto Pirini, fratello della ragazza uccisa, già ricercato come renitente. 22 aprile - Un giovane di Pisignano andando a levar le mine messe dai tedeschi nei ponti di Cervia è restato ucciso. Le guardie repubblicane ne cercano i correi a Pisignano e assediarono la casa di un tale, uno dei cui figli si mise a tirar bombe dalla finestra e fuggì ferendo alcune guardie. Queste dopo spararono dentro, uccidendo e ferendo. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino) Quel giorno erano partiti dalla via Manfredi in due per andare nelle saline a cercare le mine. L’amico [Alberto Pirini?] aspettò sulla strada mentre Giulio [Laghi] con una barca entrò in salina. Purtroppo una mina che lui voleva disinnescare gli esplose nelle mani e lo dilaniò. Dal campo dietro casa, i suoi familiari udirono un gran boato e videro un gran fumo in lontananza, sopra le saline. Il suo fratello gemello, Armando disse che se lo sentiva nel sangue che era successo qualcosa di grave a Giulio. Dopo quel giorno i tedeschi vennero più volte a vedere a casa nostra se in famiglia c’erano altri partigiani. Più di una volta Armando dovette scappare e nascondersi per non farsi prendere da loro. (Laghi Lina in: Non sono favole : storie di casa nostra: i nonni raccontano la guerra / Scuola elementare “Enrico Fermi”. Pisignano di Cervia, 1999) Era la notte del 21 aprile 1944. Verso mezzanotte bussarono alla porta della modesta casa di Claudio Pirini, conosciuto in paese col nome di Alvaro, un bracciante, padre di ben sei figli, in via Veneziana. In paese correva voce che il figlio maggiore militasse fra i partigiani. Era una banda di “camicie nere” che entrava in casa con prepotenza. Iniziarono ad urlare, cercare, rompere, picchiare, senza rispetto per nessuno. Il ragazzo ricercato [Alberto Pirini] riuscì a scappare da una finestra, sul retro della casa: immediatamente si udirono degli spari, delle urla... Poi silenzio. In una pozza di sangue, distesa nel letto, giaceva la piccola Giovanna, di soli otto anni. Era infatti nata il 17 giugno del 1936. Nel cimitero di Pisignano una piccola lapide la ricorda con un piccolo disegno: nessuno, durante la sua breve vita, le aveva mai fatto una fotografia. (Da: Non sono favole : storie di casa nostra: i nonni raccontano la guerra / Scuola elementare “Enrico Fermi”. Pisignano di Cervia, 1999.) Contro la mia famiglia i tedeschi e fascisti si sono comportati da assassini perché un giorno hanno sparato contro la nostra casa e hanno ucciso mia sorella Giovanna di otto anni e ferito Elettra di diciotto anni. Cercavano mio fratello Attilio, della classe 1923, perché non si era presentato alla chiamata alle armi fatta dalla Repubblica Sociale. Poi hanno arrestato i miei fratelli Elio e Claudio e portati in galera a Forlì. Mentre il fascista Pezzi voleva ammazzarmi. (...). [Lei come si è salvato da quella tragedia?]. Mi hanno rilasciato perché attraverso gli interrogatori ho sempre detto che non facevamo del male a nessuno. Elettra per quel feroce comportamento e uccisione si prese un esaurimento dal quale non riuscì più a guarire. Dopo sposata la poveretta mise fine alla sua vita buttandosi nel porto di Cervia, qui poco distante dove vengo a vendere gli ortaggi che produco nella mia terra. [E suo fratello Augusto?] Nascosto, dormiva nei cimiteri, si spostava come tanti altri che hanno detto di no alle pretese della Repubblica Sociale. (Rino Pirini in: Lungo le strade della deportazione : Storie di bestie, uomini e di un esercito in ritirata / Bruno Ghigi. - Rimini : Ghigi, 1999) Quando facevo il pastore, Trombetti Nando, di Pisignano e Pezzi Augusto erano i ladri che avevano il permesso di girare di giorno e di notte. Avevano il papiere dai tedeschi e potevano girare: rubavano e facevano tutti i vandalismi. Nello stesso tempo, quando hanno rubato le pecore a Mavrìn, di Pisignano, io gli dissi, a Pisignano: “Guarda che sei te il ladro, perché hai le pecore nel tuo branco”. Su quella cosa lì, loro due sono andati al comando tedesco, che a me mi volevano fare ammazzare, mi volevano uccidere. Nello stesso tempo cercavano mio fratello, Pirini Attilio, che era del ‘23, per mandarlo in Germania. Era venuto a casa da La Spezia, che era in Marina, in modo e maniera che dopo, il comando tedesco... Quando han fatto... Hanno sparato a casa che hanno ucciso la bambina di otto anni, e una di diciott’anni l’avevano rovinata, che si è salvata per miracolo, nello stesso tempo ci hanno mandati in prigione a Forlì e ci hanno fatto vedere quelli, i tedeschi. Io gli dissi “Cosa vi abbiamo fatto, noi, per farci una cosa del genere? Hanno detto: “La colpa è dei vostri paesani” e ci hanno fatto vedere Pezzi Augusto e Trombetti Nando, lì, al comando tedesco. Nello stesso tempo quella notte lì, avevano preso il mio zio Gasperoni Filippo, che il giorno prima... (Rino Pirini - Intervista di Maurizio Zoffoli, 2001) Proprio mentre avvengono questi fatti, un treno carico di tedeschi è costretto a fermarsi a Cervia per un attentato. A questo dovevano servire le mine che Giulio Laghi andava a recuperare. Aprile 1944 - CESENA - Un GAP provoca il deragliamento, mediante spostamento delle rotaie, di un treno nei pressi di Cervia arrestando il traffico per 4 giorni. (Dal Bollettino n. 1 della 29a. brigata Garibaldi G.A.P. “Gastone Sozzi” – ISRFC ANPI Forlì) ... scegliemmo per la nostra azione il tratto ad un solo binario Cervia-Cesenatico. Una notte partimmo dalla base posta nei pressi di Cesena, avendo studiato un piano e reperito gli strumenti necessari con lo scopo di divellere un tratto di binario svitando i bulloni che fissavano le rotaie alle traversine. Al passaggio del treno i binari si sarebbero divaricati causandone il deragliamento e l’interruzione della linea. (Diario di Anomimo – ISRFC ANPI Cesena) Siamo andati a Cervia a far saltare la ferrovia. Che è saltato il treno là. Che non ricordo... la data. (...) Dopo, venendo su da Cervia ci siamo fermati lì poi, vicino al Mulinino [di Pisignano] (…) Lì che c’è un ponte. Lì a sedere per aspettare a sentire il colpo quando passava il treno, che saltava la mina. Allora in un tratto sentiamo un mucchio di schiopettate bum, bum, bum, bum, bum, bum, lì a Pisignano e si sentiva a parlare il tedesco. “Porca Madona! C’è i tedeschi che han fatto qualche cosa là!” E veramente erano andati a Pisignano a prendere uno [Alberto Pirini] poi a Bagnile a prenderne un altro [Filippo Gasperoni] e noi eravamo lì. Lì vicino. E abbiamo cambia... abiam fatto un’altra strada, che se facevamo la strada buona a si mitami in entra, a si mitami! E alora siamo andati per un’altra strada e l’abbiamo scavidata. [Chi ha deciso l’azione di Cervia?] Nessuno di Cervia. Noi da Ronta. Noi da Ronta. (Aldo (Lorenzo) Fusconi - 1983) Il 21 corrente, alle ore 6,30 un treno viaggiatori della linea Viserba-Ferrara deviò con tre vetture e due bagagliai al Km. 26.200 fra le stazioni di Cesenatico e Cervia. Il deviamento è dovuto a un attentato, com’è risultato dai frammenti trovati sul posto. Si presume trattarsi di una bomba con un percussore ad alto potenziale, collocata tra le congiunture delle rotaie. La linea fu riattivata il giorno successivo. (Dal Notiziario del 30 aprile 1944 – ISRF GNR 1174) A sò ch’j andet nench a Ziria a fè saltè i palun dl’elta tension. (Vittorio (Quarto) Fusconi nell’intervista a Ferdinando (Delio) Della Strada - 1998) Quella notte, anche questa volta, grazie all’informazione di una spia, i fascisti riuscirono a catturare Filippo Gasperoni, che assieme ad Aldo Fusconi e ad Adriano Benini, era stato uno degli artefici dell’attentato al treno. A Cervia fermammo un treno carico di tedeschi: eravamo in tre; uno di noi, dopo l’azione, quando siamo ritornati a Bagnile commise l’errore di andare a casa perché aveva la madre ammalata, io personalmente gli dissi che assolutamente non doveva andare, lui andò così i tedeschi lo presero e lo fucilarono. (Adriano Benini - dattiloscritto - 1983) Filippo Gasperoni, già noto ai fascisti per essere stato condannato dal tribunale speciale e ricercato come sospetto collaboratore dei partigiani, nonostante le insistenze dei compagni era voluto restare a casa a dormire, dopo aver partecipato ai funerali per la morte del padre [Natale Gasperoni]. Chi era di guardia, fuori della casa, si accorse solo all’ultimo momento dell’arrivo dei fascisti e costretto a darsi alla fuga non riuscì ad avvertirlo in tempo. Imprigionato a Forlì, Filippo Gasperoni sarà fucilato l’8 giugno 1944. Nel frattempo morì mio nonno Natale Gasperoni, padre dei miei zii Anselmo e Filippo, fucilato a Forlì, la sera del Corpus Domini assieme a un russo. (Rino Pirini in: Lungo le strade della deportazione : Storie di bestie, uomini e di un esercito in ritirata / Bruno Ghigi. - Rimini : Ghigi, 1999) Il giorno stesso [Il 21 aprile 1944] era stato seppellito il mio nonno [Natale Gasperoni], e allora, invece di nascondersi [Filippo], è andato a dormire nel letto... E l’hanno preso. E’ stato fucilato assieme a un russo, alle sette di sera, il giorno del Corpus Domini. A noi ci hanno rilasciati, mi sembra, dopo dodici, tredici giorni di prigionia (...) Ah! I respunsebil l’era Pezzi Augusto e Trobetti Nando, i respunsebil! Parchè j era andè a fei la speja che e’ mi fradel... Me i m’aveva da mazè, cla nota che lè, parché a j eva det, chevsa dal pigueri, ch’j era lou i ledar, capì?”. Piò i zarchèva e’ mi fradel e e’ mi zi Filep. (Rino Pirini - testimonianza raccolta da Maurizio Zoffoli, 2001) Nei primi giorni del mese di aprile 1944 un gruppo di fascisti incontrò in Viale Carducci il noto antifascista Guglielmo Viroli e gli intimò di arrendersi. Il Viroli si diede alla fuga in direzione della Val d’Oca, evitando miracolosamente i molti colpi di mitra che gli furono sparati contro. Riuscì a rifugiarsi in casa del compagno Campana Giacomo. La notte del giorno dopo, il Viroli, fu accompagnato da una guida a Calabrina a casa di Campana Alvaro. Di qui, la notte successiva, fu accompagnato a Bagnile nella casa di Gasperoni Filippo, ove io mi trovavo da alcuni giorni. Il Comando esaminata la situazione concordò con il Viroli il suo trasferimento a Gambettola, da dove sarebbe stato accompagnato nella zona di S. Tomaso. La mattina del giorno dopo alcuni autocarri di fascisti giunsero a Bagnile, circondarono la borgata. Un gruppo armato di una mitraglia si dispose in una casa di fronte a quella di Filippo. Il cantoniere informò la sorella di Filippo, che era uscita per fare la spesa, che i fascisti gli avevano chiesto se egli avesse notato circolare per Bagnile un individuo che portava stivali ed una mantellina militare. Dissero che era un “russo” fuggito dal campo di concentramento che aveva trovato rifugio nella casa dei Gasperoni. La descrizione del “russo” corrispondeva al modo come io ero vestito in quei giorni. Era chiaro che i fascisti non avevano circondato la frazione per uno dei soliti rastrellamenti che di tanto in tanto eseguivano, ma che il loro obiettivo era la casa di Filippo. Dissi a Viroli che bisognava abbandonare subito la casa, saltando dalla finestra sulla buca del letame e fuggendo verso i campi retrostanti in modo da essere coperti, per un lungo tratto, dai proiettili della mitraglia dei fascisti. Eseguimmo l’operazione. I fascisti aprirono il fuoco con la mitraglia e iniziarono ad inseguirci quando noi eravamo più coperti dalla casa. Ma ormai eravamo lontani, ci inseguirono per un lungo tratto fino a quando decisi di fermarmi e rispondere con alcune raffiche di parabellum. Noi eravamo salvi. Ma la famiglia di Filippo era esposta alla rappresaglia. Infatti i fascisti sfogarono la loro rabbia malmenando tutti e portarono via il capo famiglia Natale. Per alcuni giorni fu trattenuto dai fascisti. Rilasciato tornò a casa sconvolto. Alcuni giorni dopo moriva di crepacuore. Filippo, malgrado i nostri tentativi per impedirglielo, volle tornare a casa per partecipare ai funerali del padre. Il 15.4.44 [no, dopo il 20 aprile] dopo il funerale del Padre, veniva catturato dai fascisti e trasferito al carcere di Forlì. Per 45 giorni fu sottoposto ad immani torture. Condannato a morte, fu fucilato l’8.6.1944. Filippo Gasperoni era un comunista che non aveva mai cessato di lottare contro il fascismo. Era stato condannato dal tribunale speciale [a] 4 anni di carcere per “offese al papa ed a Mussolini”. Alla memoria fu decorato di medaglia d’argento al valor Militare. (Leopoldo Lucchi - dattiloscritto 1987 – ISRFC ANPI Cesena) [Filippo] Gasperoni (...) Fucilato in Piazza D’Armi forlì Sepolto con una cassa da cane, era stato processato dal tribunale Fascista condannato al carcere fu liberato il 25 luglio, caduta del fascismo e stato per mesi nella clandestinita Si era distinto nelle lotte e scioperi al Arrigoni di cesena. Alla morte del padre i primi di agosto i fascisti riuscirono ad arrestare nel momento che rese omaggio al padre a onor del vero c’era un partigiano di sentinella il quale si addormentò, e l’azione preparata dai GAP nel ferro di cavallo Ronta S. martino bagnile S. Giorgio pronti a farla finita con la banda garafoni sfumo, come [altre] volte tesa l’imboscata riuscirono sempre a sfuggire. (Vittorio (Quarto) Fusconi - manoscritto 2001) [Forlì] 16 [maggio] = Il Tribunale straordinario di Forlì pronuncia sentenza di morte a carico del partigiano Filippo Gasperoni da Bagnile di Cesena. [Forlì] 8 [giugno] = Militi della SS.t. fucilano al campo di Tiro a ridosso di un palo, il partigiano comunista Filippo Gasperoni da Bagnile di Cesena, di 36 anni, con la sola presenza di un ufficiale italiano e di un cappuccino cappellano delle CC.NN d’assalto. Sia in carcere nella notte, come nel luogo del supplizio, il morituro ha respinto i conforti religiosi. Era ritenuto un emissario di un tentativo, riuscito, di far esplodere in Cervia un campo di mine, ove però gli esecutori lasciavano la vita. Tradito da un pastore teneva di fronte a tutti un contegno eroico, comunista, per la stessa dichiarazione del frate dicendosi ed inviando un saluto commosso ai compagni: “Se volete restare qui come amico, non come sacerdote”. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì) Nella notte tra il 22 e il 23 aprile i fascisti arrestarono Werther Ricchi, uno dei principali protagonisti degli scioperi dell’Arrigoni e segretamente, organizzatore dei primi nuclei gap. Il 20 marzo [aprile] 1944 fui informato da Sirotti Stefano, che un gruppo di fascisti del battaglione di Cesena, si sarebbe portato verso la notte ad arrestare nella propria abitazione in Via Emilia Vecchia, il dirigente comunista Ricchi Werther, prima di cena, presi contatto con il Ricchi, informandolo di non rimanere in casa, in quanto avrebbe corso un serio pericolo, il Ricchi non volle dare eccessiva importanza su quanto gli dissi. Purtroppo nella nottata fecero irruzione nella sua abitazione un gruppo di fascisti arrestandolo e rinchiuso nelle carceri di Cesena dalle quali ne uscì morto per mano fascista il 4/5/44. (Luciano Rasi - dattiloscritto 1984) Un pomeriggio dovevo andare a una riunione all’altro capo della città in una casa di compagni. Mi avviai in bicicletta e, quando arrivai nella zona in cui avevamo appuntamento, trovai tutte le case chiuse, le strade deserte e mi insospettii. Ogni tanto mi fermavo facendo finta di controllare la bicicletta e intanto mi guardavo attorno per vedere se ci fosse qualche movimento pericoloso. Vidi una ragazza intenta ad attingere acqua da un pozzo, mi ci avvicinai chiedendole il nome. Questa mi disse che mi aspettavano e che dovevo entrare subito in casa. Trovai sei uomini e nessuna donna, l’inverso di quel che prevedevo. Mi fu detto che era stato arrestato il compagno Ricchi Werther (non lo vedemmo più perché morì in galera) e che per questo dovevamo essere più che mai vigilanti e disciplinati. La padrona di casa impastava la pizza per avere una scusa da presentare nell’eventualità di una perquisizione da parte dei fascisti. Impartiti gli ordini, uno alla volta partimmo cercando di evitare le vie principali. (Maria Turci in: Donne di Cesena contro il fascismo. - Cesena, 1975) Ricchi Werther, il 23 aprile, è ricoverato in ospedale, non è chiaro se per le torture subite o per un tentativo di suicidio. Morirà il mese successivo. Ore 4 oggi detenuto RICCHI WERTER di Urbano et LUNEDEI EVA, nata a Cesena il 13/6/1912, operaio, ivi domiciliato, Via Emilia Vecchia, 97, detenuto locali carceri mandamentali sin dal 23 Aprile us. a disposizione segreteria politica Fascio repubblicano di Cesena, tentava suicidarsi gettandosi da un finestrino della cella ove era rinchiuso riportando ferita verace della testa e contusioni dorso di una certa gravità. Predetto, ricoverato locale ospedale civile est piantonato. (Fonogramma del 4 maggio 1944 inviato alla Prefettura di Forlì, al Comando provinciale GNR e alla Questura, dal S. tenente comandante int. il gruppo presidi - ISRFC 10 /B9 893) [Forlì] 4 [maggio] = I fascisti arrestano e nelle carceri di Cesena uccidono il partigiano Werter Ricchi di colà, aveva 32 anni ed apparteneva alla 29a. brig. “G.A.P.” (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì) Nella mia stessa camera morì Ricchi Werther un compagno antifascista dell’Arrigoni. Valoroso compagno, la parola calza perfettamente. Siccome lo massacrarono di botte alla rocca Malatestiana, lo portarono giù sapendo che c’era un altro ferito guardato a vista da un fascista, [quindi] lo misero nella mia camera. Lui stava già morendo, tant’è che piansi molto e lì c’era una compagna partigiana, la Nina [Foiera], un’infermiera che mi diceva che non mi dovevo far veder piangere. Il cognome non me lo ricordo, la conosceva bene il sindaco [Leopoldo Lucchi] questa Nina. C’erano anche dei fascisti come Valducci [Colombo], che era un esponente del fascio e un dirigente dell’ospedale Bufalini, c’era Mazzolini che era un altro fascista, quantomeno un delatore. Questa Nina temeva soprattutto Mazzolini e diceva che non mi dovevo far vedere parlare, non mi dovevo far sentire da queste persone perché erano spie fasciste. (Libero Evangelista - dattiloscritto 1983) Il 26 aprile, i fascisti in cerca delle forme rubate pochi giorni prima a Moreschini, forse in seguito ad una spiata, ne trovano alcune sepolte vicino alla casa di Fusconi Duilio (Alfredo), a Ronta seconda e per ritorsione, gli bruciarono il capannone della falegnameria. Hanno bruciato il capannone di Fusconi, prima del 29 aprile. (…) [I fascisti] Andarono da Fusconi Aldo [il fratello di Duilio, i due abitavano vicino] e trovarono della forma che l’aveva nascosta sotto la sabbia davanti a casa, un po’ lui era stato segnalato ancora… e gli bruciarono il capannone. (Nello Della Strada – dattiloscritto 1983) [il 29 aprile] Fui ferito dai fascisti... Noi tre parlavamo del vandalismo, della delinquenza fascista in quel momento e ci si riferiva al compagno Fusconi [Duilio] di San Martino [no, di Ronta seconda] che due giorni prima ebbe la casa bruciata dai fascisti... (Libero Evangelista - dattiloscritto 1983)