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riflessioni di diritto costituzionale sull`obiezione di coscienza all
Davide Paris
Dottorando di ricerca in Diritto costituzionale
nell’Università degli Studi di Milano
Riflessioni di diritto costituzionale
sull’obiezione di coscienza all’interruzione
volontaria della gravidanza a 30 anni dalla
legge n. 194 del 1978
Sommario: 1. Introduzione. – 2. I diversi soggetti tutelati dall’art. 9 della legge n. 194 del
1978. – 3. L’obiezione di coscienza all’intervento abortivo fra costituzionalmente necessario e costituzionalmente illegittimo. – 4. Effetto pratico e significato teorico dell’obiezione di coscienza dei soggetti che intervengono nel processo decisionale della gestante.
– 5. Considerazioni conclusive.
1. Introduzione
Se per molti anni, almeno nel linguaggio corrente, il termine “obiezione di coscienza” è stato comunemente utilizzato per indicare il servizio civile sostitutivo dell’obbligo militare di leva 1, tale associazione
mentale in tempi più recenti sembra aver perso attualità. La sospensione
della leva obbligatoria e la conseguente istituzione del servizio militare
professionale su base volontaria (l. n. 331 del 2000) 2 hanno infatti determinato il netto ridimensionamento 3, in questo campo, di un istituto che
negli anni precedenti aveva invece dato luogo a lunghe e complesse vicende istituzionali con riferimento alla modifica della legislazione in ma-
1
A conferma del carattere scontato del riferimento dell’obiezione di coscienza all’ambito militare si noti che né la prima legge in materia (l. 15 dicembre 1972, n. 772, Norme per il
riconoscimento dell’obiezione di coscienza) né la seconda (l. 8 luglio 1998, n. 230, Nuove norme in materia di obiezione di coscienza) recavano nel titolo alcun riferimento all’obbligo militare cui si riconosceva la possibilità di obiettare, evidentemente ritenendolo superfluo.
2
Sul punto v. F. Pizzolato, Servizio militare professionale e Costituzione, in «Quad.
cost.», 2002, 771 ss.
3
Sulle «persistenti ragioni dell’obiezione di coscienza, pure nel nuovo sistema ad esercito professionale e volontario» v. V. Turchi, Obiezione di coscienza, in Dig. disc. priv., sez.
civ., Aggiornamento, Torino, 2003, 964.
1079
teria 4 e ad una assai nutrita giurisprudenza, di merito, di legittimità e costituzionale 5, oltre che ad un ampio dibattito nella società civile.
Lungi dal cadere nell’oblio in seguito alla sospensione dell’obbligo
militare, l’istituto dell’obiezione di coscienza ha invece conosciuto una
nuova vita in un ambito affatto diverso: deve infatti riconoscersi che, negli ultimi decenni, si è verificata una sorta di “migrazione” dell’obiezione di coscienza dal campo dell’organizzazione delle forze armate a quello dell’organizzazione sanitaria, che ne rappresenta ad oggi il terreno privilegiato soprattutto con riferimento agli interventi e alle scelte che concernono l’inizio e la fine della vita. Al proposito gli esempi non mancano: se l’art. 9 della l. n. 194 del 1978 rappresenta sicuramente il caso più
significativo e problematico fra le ipotesi di obiezione ad oggi espressamente riconosciute nel nostro ordinamento 6, il più recente è invece costituito dall’art. 16 della l. n. 40 del 2004 in materia di procreazione medicalmente assistita. A ciò si aggiunga che, qualora dovesse addivenirsi
ad una positiva disciplina legislativa riguardante le scelte di fine vita non
è da escludere che una nuova ipotesi di obiezione di coscienza venga introdotta nel nostro ordinamento 7, né si deve dimenticare, fra i casi di
obiezione non riconosciuta, o quantomeno non espressamente riconosciuta, il caso della c.d. “pillola del giorno dopo”, il cui rifiuto di prescrizione da parte di alcuni medici che invocavano il loro diritto all’obiezione di coscienza è in tempi recentissimi giunto all’attenzione degli organi
giudiziari 8.
4
Cfr. R. Venditti, L’obiezione di coscienza al servizio militare. Terza edizione aggiornata secondo la legge n. 230/1998, Milano, 1999, 89-90.
5
Per un quadro sintetico della giurisprudenza in materia di obiezione di coscienza al servizio militare v. rispettivamente F.E. Adami, L’obiezione di coscienza nella giurisprudenza di
legittimità e di merito, in R. Botta (a cura di), L’obiezione di coscienza tra tutela della libertà e disgregazione dello Stato democratico, Milano, 1991, 113 ss., e G. Dammacco, L’obiezione di coscienza nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, in R. Botta (a cura di), Diritto ecclesiastico e Corte Costituzionale, Napoli, 2006, 116 ss.
6
Per un quadro sintetico delle forme di obiezione di coscienza attualmente riconosciute
in Italia v. B. Randazzo, Obiezione di coscienza (dir. cost.), in S. Cassese (a cura di), Dizionario di diritto pubblico, Milano, 2006, 3873 ss.
7
Prevedono l’obiezione di coscienza in relazione alle scelte di fine vita, ad esempio, i
progetti di legge C. n. 81 (primo firmatario on. Beltrandi), Norme sulla tutela della dignità della vita e disciplina dell’eutanasia, art. 5; C. n. 1597 (on. Binetti), Disposizioni sulle cure da
prestare alla fine della vita come forma di alleanza terapeutica, art. 8 e S. n. 994 (sen. Baio),
Disposizioni in materia di dichiarazione anticipata di trattamento, art. 8.
8
Si tratta di alcuni casi di denuncia per omissione d’atti d’ufficio; in uno dei più noti episodi di questo genere il pubblico ministero ha di recente richiesto per la seconda volta l’archiviazione, dopo che il giudice per le indagini preliminari aveva ritenuto necessarie ulteriori in-
1080
Ritornare a ragionare di obiezione di coscienza alle pratiche abortive nel trentesimo anniversario dell’entrata in vigore della legge n. 194
non è pertanto attività priva di interesse: l’ampio arco temporale trascorso, infatti, non solo non ha determinato il venir meno dell’attualità della
tematica, ma, al contrario, permettendo l’osservazione del concreto operare di questo istituto, consente di formulare delle valutazioni circa l’opportunità e la stessa legittimità costituzionale della sua introduzione che
non erano invece possibili nel momento dell’adozione della legge.
In generale, infatti, l’introduzione in una legge della possibilità di
obiettare si basa sul presupposto che la legge stessa «tolleri» l’obiezione,
la quale risulta cioè ammissibile soltanto nella misura in cui sia «comunque garantita la soddisfazione degli interessi collettivi alla cui tutela sono finalizzati gli obblighi cui si consente di derogare» 9. Ciò dipende, con
tutta evidenza, dalla portata quantitativa del fenomeno, cioè dal numero
effettivo di coloro che, avendone diritto, concretamente decideranno di
fare ricorso all’obiezione, nonché da altri fattori (quali, nel caso in esame, la loro distribuzione geografica) che ugualmente incidono sulla possibilità di concreta attuazione della legge: quanto maggiore sarà il numero degli obiettori (e quanto meno territorialmente omogenea la loro distribuzione), tanto più arduo risulterà il conseguimento degli obiettivi da
essa perseguiti.
Tali dati quantitativi, però, nel momento in cui la legge viene approvata non sono ovviamente disponibili al legislatore che al proposito non
può che fare affidamento su una valutazione di tipo prognostico. Questa
concerne non solo il profilo generale del raggiungimento o meno degli
dagini (ne dà notizia Corriere della sera, ed. di Roma, 17 novembre 2008). Sull’obiezione di
coscienza alla prescrizione e alla vendita della c.d. «pillola del giorno dopo» v. G. Di Cosimo,
I farmacisti e la «pillola del giorno dopo», in «Quad. cost.», 2001, 142 ss.; G. Boni, Il dibattito sull’immissione in commercio della c.d. pillola del giorno dopo: annotazioni su alcuni
profili giuridici della questione, in particolare sull’obiezione di coscienza, in «Dir. fam. pers.»,
2001, 677 ss.; N. Gimelli, L’obiezione di coscienza dei farmacisti: cosa ne pensa la Corte europea dei diritti dell’uomo? Il caso Pichon e altri c. Francia. Il dibattito dottrinale italiano sulla c.d. «pillola del giorno dopo», in «Dir. eccl.», 2004, 740 ss. e E. La Rosa, Il rifiuto di prescrivere la c.d. «pillola del giorno dopo» tra obiezione di coscienza e responsabilità penale,
disponibile in www.statoechiese.it e in corso di pubbl. negli Atti del Convegno Laicità e multiculturalismo: profili penali ed extrapenali, (Messina 13-14 giugno 2008).
9
V. Onida, L’obiezione di coscienza dei giudici e dei pubblici funzionari, in B. Perrone
(a cura di), Realtà e prospettive dell’obiezione di coscienza. I conflitti degli ordinamenti, Milano, 1992, 368. Il requisito della non compromissione dei fini perseguiti dalla legge è generalmente ritenuto uno dei principali presupposti per l’ammissibilità dell’obiezione di coscienza: per tutti v. F. Onida, Contributo a un inquadramento giuridico del fenomeno delle obiezioni di coscienza (alla luce della giurisprudenza statunitense), in «Dir. eccl.», 1982, I, 237 ss.
1081
obiettivi della legge nonostante l’operare dell’obiezione di coscienza, ma
anche quelli che si potrebbero chiamare i «costi» dell’obiezione di coscienza. Quand’anche infatti gli scopi della legge possano essere ugualmente conseguiti pur ammettendo l’obiezione di coscienza, inevitabilmente questa determina un qualche aggravio nell’organizzazione amministrativa che alla legge deve dare attuazione. Nel momento dell’approvazione della legge tale aggravio, che generalmente non viene interamente sopportato dagli obiettori stessi bensì è addossato su altri specifici soggetti o sulla collettività in generale, viene ritenuto giustificato dalla necessità di tutelare le ragioni di coscienza degli aspiranti obiettori: nel
bilanciare la tutela della libertà di coscienza con gli effetti che questa
produce, il legislatore, nell’esercizio del potere discrezionale che costituzionalmente gli è riconosciuto, valuta, sulla base di una stima del numero dei futuri obiettori, che la prima giustifichi i secondi. Quando però,
con il passare del tempo e il concreto operare della legge e dell’obiezione alla stessa, si riesce a disporre di dati quantitativi tali da permettere
una più precisa definizione degli effetti dell’obiezione di coscienza e dei
soggetti su cui essi ricadono, si pongono le condizioni, e la necessità, di
riconsiderare tale scelta del legislatore tanto dal punto di vista dell’opportunità quanto sotto il profilo della stessa legittimità costituzionale. In
altre parole la legittimità costituzionale, e più ancora l’opportunità, delle
leggi che prevedono l’obiezione di coscienza non sembra pienamente valutabile nel momento genetico della legge stessa, che necessita piuttosto
di un periodico controllo al fine di soppesare nuovamente, alla luce dei
dati quantitativi del fenomeno, legittimità e opportunità della scelta compiuta, per così dire «alla cieca», dal legislatore 10.
10
Cfr., con specifico riferimento all’ipotesi oggetto del presente lavoro, A. D’Atena,
Commento all’art. 9, in C.M. Bianca, F.D. Busnelli (a cura di), Commentario alla l. 22 maggio 1978, n. 194, in Le nuove leggi civili commentate, 1978, I, 1660-1661: «Ove la percentuale delle obiezioni superasse i limiti di tolleranza delle strutture il diritto alla salute delle gestanti rischierebbe di essere gravemente sacrificato. Il che – al di là di ogni considerazione di opportunità – potrebbe far seriamente dubitare della compatibilità della legge con l’art. 32 Cost.
Con riferimento a questo punto, può dirsi che l’obiezione, in quanto tale, non confligge con la
norma appena ricordata; la quale non impedisce al legislatore ordinario di contemperare le esigenze connesse alla tutela della salute con le scelte di coscienza del personale sanitario. Una
soluzione siffatta, tuttavia, in tanto potrebbe ritenersi ammissibile (alla stregua della Costituzione), in quanto risultasse concretamente idonea a garantire che il servizio – nonostante l’esonero di alcuni operatori – funzioni (e sia in grado di far fronte alla domanda di interventi abortivi). Ove ciò non accadesse (e la scelta legislativa non superasse il “collaudo” dell’esperienza), non potrebbe pertanto escludersi la possibilità di un annullamento ad opera della Corte
Costituzionale». Nello stesso senso, ma con riferimento più generale a qualsiasi ipotesi di
obiezione di coscienza, S. Mangiameli, La «libertà di coscienza» di fronte all’indeclinabilità
1082
2. I diversi soggetti tutelati dall’art. 9 della legge n. 194 del 1978
La scarsa chiarezza della delimitazione del campo soggettivo e oggettivo dell’obiezione di coscienza prevista dall’art. 9 della legge n. 194
del 1978 è stata sin da subito sottolineata dalla dottrina 11, che ha proposto differenti soluzioni per (cercare di) comporre ad unità le antinomie
che sembrano derivare dal contrasto fra la disposizione di cui al primo
comma, che consente di non prendere parte «alle procedure di cui agli
artt. 5 e 7 ed agli interventi per l’interruzione della gravidanza», e quella
contenuta nel comma 3, che «esonera il personale sanitario ed esercente
le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della
gravidanza e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento» 12.
Anche in considerazione del fatto che l’oscurità della disposizione
in esame ha dato luogo nel corso di trent’anni ad un contenzioso giudiziale piuttosto limitato ancorché non privo di interesse 13, non sembra opportuno in questa sede proporre un’ulteriore diversa lettura dell’art. 9,
quanto piuttosto sottolineare che, quale che sia la sua più corretta interpretazione, esso in ogni caso equipara nel godimento del diritto all’obiezione di coscienza due diverse categorie di soggetti che, a ben vedere, si
delle funzioni pubbliche (a proposito dell’autorizzazione del giudice tutelare all’interruzione
della gravidanza della minore), in «Giur. cost.», 1988, 539.
11
Fra i primi commenti v. in particolare A. D’Atena, Commento all’art. 9, cit., 1650 ss.,
che sottolinea l’eterogeneità dei criteri utilizzati dal legislatore per delimitare l’ambito di operatività dell’obiezione di coscienza, quali l’individuazione delle attività in positivo e in negativo, il criterio teleologico e quello cronologico. Sulla «larghezza» dei criteri che individuano
l’oggetto dell’obiezione v. anche F.C. Palazzo, Obiezione di coscienza, in Enc. dir., XXIX,
Milano, 1979, 544-545.
12
Per una discussione critica delle diverse ricostruzioni interpretative proposte v. M.
Zanchetti, La legge sull’interruzione della gravidanza, Padova, 1992, 238 ss.
13
Le pronunce specificamente concernenti l’estensione e i limiti dell’obiezione di coscienza di cui si ha notizia si riducono essenzialmente a Pret. Ancona, 9 ottobre 1979, in «Giur.
it.», 1980, II, 184, con nota di V. Zagrebelsky; T.A.R. Emilia Romagna, 29 gennaio 1981, n.
30, in «Trib. Amm. Reg.», 1981, I, 961; Cons. Stato, sez. V, 10 ottobre 1983, n. 428, in «Consiglio di Stato», 1983, I, 1027; Pret. Penne, 6 dicembre 1983, in «Giur. it.», 1984, II, 314, con
nota di A. Nappi, I limiti oggettivi dell’obiezione di coscienza. Correttamente è stato notato (P.
Moneta, Obiezione di coscienza. II) Profili pratici, in Enc. giur. Treccani, XXI, Roma, 1990, 5)
che, a differenza di quanto avvenuto con riferimento all’obbligo militare, «per l’obiezione
all’interruzione della gravidanza invece, di fronte ad un dato normativo già di per sé molto
aperto verso gli obiettori, la giurisprudenza ha preferito, per lo più, assumere un indirizzo improntato a notevole prudenza, tendente a contenere e frenare, più che a sviluppare, le indicazioni favorevoli al riconoscimento delle esigenze di coscienza contenute nel sistema legislativo».
1083
pongono in posizione significativamente differente rispetto all’intervento di soppressione del nascituro 14, cioè quell’evento la cui intollerabilità
per la coscienza giustifica la previsione dell’obiezione. Non è da escludere, del resto, che proprio nella comune sottoposizione alla medesima
disciplina di due così differenti categorie di soggetti sia da individuare la
causa di quelle difficoltà interpretative ben evidenziate dalla dottrina.
Un primo gruppo di soggetti cui è consentita l’obiezione di coscienza, in primis i medici chiamati a svolgere gli accertamenti necessari per
il rilascio del documento di cui all’art. 5, u.c., possono rifiutarsi di compiere delle attività che sono finalizzate ad accertare la possibilità della
scelta della gestante alla stregua dei parametri individuati dalla legge. Al
contrario, ad un secondo gruppo di soggetti tutelati dall’art. 9, quali gli
anestesisti e i ginecologi, è consentita la non partecipazione ad attività
che, assumendo la scelta della donna come ormai compiuta ed irrevocabile, si pongono su un piano più strettamente esecutivo della stessa. Queste due categorie, divise in maniera sufficientemente chiara dallo spartiacque della scelta della gestante 15, benché assimilate nel trattamento
giuridico, si differenziano in realtà assai significativamente tanto in considerazione dei presupposti che giustificano il riconoscimento dell’obiezione di coscienza, quanto alla luce delle conseguenze che la loro scelta
obiettoria determina con riferimento all’attuazione della legge; da ciò
l’opportunità di procedere ad un esame separato delle due fattispecie.
3. L’obiezione di coscienza all’intervento abortivo fra costituzionalmente necessario e costituzionalmente illegittimo
La posizione dei soggetti direttamente chiamati a compiere l’inter-
Cfr. V. Onida, L’obiezione di coscienza dei giudici, cit., 371.
Il momento della scelta definitiva della donna è individuato quale elemento discriminante nell’individuazione delle attività «specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza» ai sensi dell’art. 9, comma 3, da Pret. Ancona, 9 ottobre
1979, cit., 189-190, il quale ritiene che «non possa essere rifiutata nessuna attività, il compimento della quale lasci ancora spazio ad una desistenza dalla volontà di effettuare l’intervento
abortivo» e considera pertanto legittimamente rifiutabili soltanto quelle attività «legate in maniera indissolubile, in senso spaziale, cronologico e tecnico, all’intervento abortivo», quali «le
attività immediatamente precedenti l’anestesia, l’anestesia vera e propria e l’intervento abortivo». Nella fattispecie veniva condannato per omissione di atti d’ufficio, con l’attenuante dei
motivi di particolare valore morale, un cardiologo che, dichiarandosi obiettore di coscienza, si
era rifiutato di effettuare un elettrocardiogramma necessario per poter eseguire un intervento
abortivo in anestesia.
14
15
1084
vento interruttivo della gravidanza è caratterizzata dallo stretto nesso di
causalità che corre fra l’azione richiesta e l’evento ritenuto in coscienza
inaccettabile. Il riconoscimento del diritto di sottrarsi legittimamente a
questi obblighi risponde infatti all’esigenza di tutelare chi, ancorché in
esecuzione di un altrui legittima volontà, è chiamato ad essere il materiale esecutore di un’attività che risulta intollerabile alla sua coscienza.
Se si analizza la fattispecie da un punto di vista «soggettivo», avendo cioè riguardo al duplice profilo della percezione che l’obiettore ha
dell’azione richiestagli e del significato che egli attribuisce al suo rifiuto,
risultano certamente sussistere tutti i presupposti che rendono legittimo
il ricorso all’obiezione di coscienza.
Sotto il primo profilo, volto a verificare l’attitudine dell’atto richiesto a provocare un insostenibile turbamento della coscienza, occorre premettere che, se il riconoscimento dell’obiezione trova il suo fondamento
costituzionale nella protezione della libertà di coscienza 16, il ricorso a
questa forma particolarmente elevata di tutela si giustifica soltanto in
presenza di una situazione in cui l’eventuale adeguamento all’imperativo
espresso dalla legge e contrastante con quello che il soggetto ritrova nella propria coscienza viene vissuto come un intollerabile tradimento nei
confronti della propria persona, al punto che il soggetto finisce per non
riconoscere più se stesso e sente di non poter esprimere un giudizio di dignità circa la propria azione e, più in generale, la propria vita. Le porte
dell’obiezione di coscienza, in altri termini, sembrano potersi dischiudere soltanto di fronte ad un contrasto fra imperativo interiore e imperativo
esteriore talmente acuto da essere in grado di compromettere, se non seguito, l’identità e la dignità della persona umana 17.
16
Con la sent. n. 467 del 1991 la Corte Costituzionale ha individuato nell’art. 2 Cost. la
base per il riconoscimento della libertà di coscienza: «La protezione della coscienza individuale si ricava dalla tutela delle libertà fondamentali e dei diritti inviolabili riconosciuti e garantiti all’uomo come singolo, ai sensi dell’art. 2 della Costituzione» (punto 4 del Considerato in
diritto). A commento di questa sentenza, con specifico riferimento al fondamento costituzionale della libertà di coscienza, v. J. Luther, I diritti della coscienza in attesa di una nuova legge, in «Giur. it.», 1992, I, 633 ss. e P. Sassi, Una nuova sentenza della Corte Costituzionale in
tema di obiezione di coscienza al servizio militare. Obiezione c.d. sopravvenuta e motivi religiosi, in «Giur. cost.», 1992, 475 ss. Per una più recente ricostruzione del dibattito dottrinale
circa la rilevanza costituzionale della coscienza v. G. Di Cosimo, Coscienza e Costituzione. I
limiti del diritto di fronte ai convincimenti interiori della persona, Milano, 2000, 67 ss.
17
La configurazione dell’obiezione quale strumento di massima tutela della libertà di coscienza e quindi la necessità di circoscrivere il suo utilizzo a quelle sole ipotesi in cui tale libertà sia intaccata nel nocciolo duro del suo contenuto sembra emergere chiaramente in particolare nella testé citata sent. n. 467 del 1991, al punto 4 del Considerato in diritto, dove si afferma che «la sfera di potenzialità giuridiche della coscienza individuale rappresenta, in rela-
1085
Non vi è dubbio che, se si ha riguardo al significato che il soggetto
attribuisce all’atto che l’ordinamento gli impone, nel caso in esame tale
contrasto è certamente in grado, per la gravità percepita del comportamento richiesto, di ferire l’obiettore nella sua identità e dignità. Per chi
infatti considera il concepimento quale inizio della vita umana e ritiene
che a partire da quel momento il diritto alla vita del concepito non possa
essere bilanciato con il diritto alla salute della gestante ma debba piuttosto godere di una tutela in tutto uguale a quella di cui godono le persone
già nate, l’azione richiesta viene a porsi in insanabile contrasto con il
fondamentale imperativo morale del «non uccidere», configurandosi nella sua coscienza la soppressione del feto in tutto assimilabile all’uccisione di una persona umana.
Per quanto invece riguarda il profilo del significato della scelta obiettoria, vale a dire il diverso ordine assiologico espresso dal comportamento dell’obiettore rispetto alle scelte valoriali codificate nella legge, requisito indispensabile ai fini della legittimità del riconoscimento dell’obiezione di coscienza è quello che il rifiuto dell’obiettore esprima un bilanciamento di valori che, ancorchè differente da quello compiuto dal legislatore, non sia comunque incompatibile con il quadro costituzionale ma,
al contrario, trovi in esso legittimazione 18. Anche sotto questo aspetto il
zione a precisi contenuti espressivi del suo nucleo essenziale, un valore costituzionale così elevato da giustificare la previsione di esenzioni privilegiate dall’assolvimento di doveri pubblici
qualificati dalla Costituzione come inderogabili (c.d. obiezione di coscienza)» (corsivo aggiunto). Sul nesso obiezione di coscienza-identità personale v. L. Guerzoni, L’obiezione di coscienza tra politica, diritto e legislazione, in R. Botta (a cura di), L’obiezione di coscienza,
cit., 194, dove l’obiezione è descritta come «elemento costitutivo di un rifondato patto politico-costituzionale, nel cui quadro l’irrinunciabile fedeltà all’obbligo politico venga a porre
sempre meno l’uomo e il cittadino in conflitto con la parte più preziosa di sé: la sua coscienza, la sua personalità, in una parola la sua stessa identità» (corsivo nel testo). In questa prospettiva sembra potersi leggere l’affermazione di uno dei più famosi obiettori di coscienza, H.D.
Thoreau, «Se io non sono io, chi lo potrà mai essere?», cit. in R. Bertolino, Obiezione di coscienza. 1) Profili teorici, in «Enc. giur. Treccani», XXI, Roma, 1990, 1.
18
Cfr. V. Turchi, Obiezione di coscienza, in Dig. disc. priv., sez. civ., XIII, Torino, 1995,
526, secondo cui l’obiettore è portatore «di un valore che non è avulso dal contesto normativo; è proposto (…) come potenzialmente universale, e necessita anch’esso di un riferimento
nel comune patrimonio valoriale dell’ordinamento, in particolare a livello costituzionale». Similmente R. Bertolino, Obiezione di coscienza, cit., 2: «L’obiezione non è considerata illegale dall’ordinamento se fondi su convinzioni che, non ancora condivise, possono però essere accettate e apprezzate dai consociati, tra i quali l’obiettore vive». Similmente v. T.A.R. Puglia,
10 febbraio 1986, n. 88, in «Trib. amm. reg.», 1986, I, 1480, secondo cui l’obiettore si appella «a valori morali, non parimenti valutati dalla comune coscienza collettiva e sociale, ma pur
sempre meritevoli di considerazione e di rispetto, stante la forte tensione ideale degli stessi e
la loro profonda ispirazione umana».
1086
riconoscimento di questa forma di obiezione di coscienza appare perfettamente legittimo: nel testimoniare la necessità di una tutela assoluta della vita prenatale, il comportamento dell’obiettore si discosta certo dalla
«coscienza collettiva» di cui è espressione la legge che acconsente al bilanciamento del diritto alla vita del concepito con il diritto alla salute della madre, ma il suo bilanciamento si compie comunque fra beni giuridici
dotati di un sicuro fondamento costituzionale. In particolare, la scelta
obiettoria esprime la radicata convinzione dell’esigenza di una maggiore
tutela della vita umana prenatale 19, cioè di un bene giuridico di cui non
solo la Corte Costituzionale ha riconosciuto e ribadito il sicuro fondamento costituzionale 20, ma la cui tutela si pone anche fra le finalità cui
espressamente si ispira la stessa legge che impone gli obblighi ritenuti in
coscienza inaccettabili 21. Differente negli esiti da quello del legislatore,
il bilanciamento di cui la scelta obiettoria è espressione insiste comunque
su beni giuridici costituzionalmente tutelati e perseguiti dallo stesso legislatore.
Dal punto di vista soggettivo, in conclusione, il riconoscimento
dell’obiezione di coscienza per chi è chiamato ad eseguire l’intervento interruttivo della gravidanza non solo appare pienamente legittimo, ma, in
considerazione della gravità del comportamento cui si chiede di potersi
sottrarre, risulta forse essere una scelta costituzionalmente vincolata, per
cui dovrebbe considerarsi illegittima una sua ipotetica futura abrogazione
da parte del legislatore 22. Tale carattere costituzionalmente vincolato, del
19
Cfr. R. Bertolino, Obiezione di coscienza, cit., 2, secondo cui «l’obiettore all’aborto
reclama di testimoniare il principio-cardine di ogni società umana: il rispetto della vita del nascituro».
20
A partire dalla nota sent. n. 27 del 1975, con cui la Corte ha ritenuto che la situazione
giuridica del concepito debba collocarsi, «sia pure con le caratteristiche sue proprie», fra i diritti inviolabili dell’uomo di cui all’art. 2 Cost.
21
Il riferimento è, ovviamente, all’art. 1, comma 1, l. n. 194 del 1978: «Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio».
22
La percezione del carattere costituzionalmente necessario dell’obiezione di coscienza
non era del resto estranea al legislatore nel momento dell’approvazione della legge, come
emerge dalla relazione di maggioranza delle Commissioni riunite Giustizia e Igiene e Sanità
della Camera, riportata in G. Galli, V. Italia, F. Realmonte, M. Spina, C.E. Traverso, L’interruzione volontaria della gravidanza, Milano, 1978, 393 ss., dove i relatori, on. Del Pennino e
G. Berlinguer, affermano che, a fronte dei timori della vanificazione degli obiettivi della legge
a causa della possibile obiezione di coscienza di gran parte del personale medico, «non era
(…) apparso ammissibile vietare il ricorso all’obiezione di coscienza in una materia che coinvolge così delicate questioni di principio e in cui l’imposizione per legge di un determinato
comportamento configurerebbe, essa sì, una violazione costituzionale» (398). Esclude invece
1087
resto, non sembra potersi escludere in ragione del fatto che il dovere di
compiere interventi abortivi non si configura come un obbligo gravante
sulla totalità dei consociati, come era nel caso del servizio militare di leva, ma più semplicemente come un onere per chi scelga una ben determinata professione. Si deve infatti considerare che, giusta l’assoluta gravità
dell’attività richiesta 23, la mancata previsione della possibilità di sottrarsi
al suo compimento determinerebbe una sostanziale preclusione dell’accesso a determinate professioni per chi non ritenga in coscienza di poter
partecipare a tali interventi. Con il che si avrebbe una palese violazione
del diritto di scelta della professione quale aspetto imprescindibile dello
sviluppo della persona umana, né varrebbe, alla luce del carattere determinante che riveste l’accesso alle strutture pubbliche per la concreta possibilità di svolgere la professione medica, sostenere che essa è comunque
che l’introduzione dell’obiezione di coscienza costituisse per il legislatore una scelta obbligata A. D’Atena, Commento all’art. 9, cit., 1651, n. 3. Il caso più interessante in materia è certamente rappresentato da Corte cost., sent. n. 196 del 1987, dove la questione di legittimità costituzionale concerneva l’illegittimità dell’art. 12 della l. n. 194 del 1978 nella parte in cui non
prevede il diritto di sollevare obiezione di coscienza per il giudice tutelare chiamato, in determinati casi, ad autorizzare la donna minorenne a decidere l’interruzione della gravidanza. Come opportunamente messo in luce dalla dottrina (cfr. E. Rossi, L’obiezione di coscienza del
giudice, in «Foro it.», 1988, I, 766), l’accoglimento della questione avrebbe determinato il venir meno del monopolio del legislatore nell’introdurre forme di obiezione di coscienza, in
quanto la Corte avrebbe riconosciuto «il potere non solo del legislatore ma anche suo proprio
di trasformare un’obiezione di coscienza contra legem in un’obiezione secundum legem», ipotesi che peraltro tale pronuncia non sembra aver astrattamente escluso (così V. Turchi, Obiezione di coscienza, cit. 1995, 532 e, problematicamente, E. Rossi, op. loc. cit.). Criticamente
su questo specifico profilo della sentenza v. S. Mangiameli, La «libertà di coscienza», cit.,
539, il quale, stante la ritenuta inesistenza di una copertura costituzionale dell’obiezione di coscienza, giunge alla conclusione che «il mancato accoglimento di forme di obiezione di coscienza non porrebbe mai una questione di costituzionalità, bensì di semplice opportunità», risolvendosi l’introduzione dell’obiezione stessa in «una scelta discrezionale rimessa al legislatore, il quale potrebbe, attraverso l’adozione di particolari forme organizzative, risolvere il
conflitto senza richiedere la rinuncia, per il singolo, alla coerenza con il proprio “foro interno”,
o alle funzioni assunte» (corsivo nel testo). Più in generale sul rapporto fra fondamento costituzionale della libertà di coscienza e discrezionalità del legislatore nel riconoscere o meno
l’obiezione v., diffusamente, A. Pugiotto, Obiezione di coscienza nel diritto costituzionale, in
«Dig. disc. pubbl.», X, Torino, 1995, 243 ss.; da ultimo, circa la possibilità che «rispetto a
comportamenti legittimamente configurati dalla legge come doverosi, la Costituzione imponga, espressamente o non, di riconoscere al singolo il diritto di obiettare ed in quali limiti» v.
anche B. Randazzo, Obiezione di coscienza, cit., 3871-3872.
23
Si noti, inoltre, che l’interruzione volontaria della gravidanza non coincide e non si
identifica con la professione nel suo complesso, ma rappresenta soltanto uno degli interventi
che possono essere richiesti a un ginecologo o a un anestesista; dal che la possibilità di distinguere fra la scelta della professione ed il rifiuto di uno specifico compito ad essa connesso.
1088
possibile in regime esclusivamente privato. Detto in altri termini, e conclusivamente, non sembra costituzionalmente legittimo disporre una seria
limitazione delle concrete possibilità di realizzazione delle proprie aspirazioni professionali a chi intende svolgere una determinata professione
medica senza essere disposto ad abdicare alle proprie radicate convinzioni di coscienza che, ancorché non coincidenti con quelle della coscienza
collettiva, risultano ugualmente meritevoli di tutela.
A porre in dubbio il carattere costituzionalmente vincolato del riconoscimento dell’obiezione di coscienza per i soggetti direttamente coinvolti nell’intervento abortivo interviene piuttosto il profilo «oggettivo» di
questa forma obiettoria, vale a dire l’analisi dei concreti effetti che essa
determina sull’attuazione della legge che la prevede. Come infatti testimoniano i dati esposti nelle relazioni ministeriali che annualmente devono essere presentate al Parlamento ai sensi dell’art. 16 della legge n. 194,
l’obiezione di coscienza di cui all’art. 9 ha avuto, fra queste categorie di
soggetti, una notevole e crescente diffusione al punto da porsi attualmente, per ginecologi e anestesisti, quale scelta maggioritaria 24. Del resto, se
in termini generali «l’obiezione, per definizione è fenomeno sociale minoritario» 25, non è affatto scontato che, quando essa sia prevista per una
specifica categoria professionale anziché per la generalità dei consociati,
le scelte di coscienza di tale categoria rispecchino quelle della coscienza
collettiva che ha espresso la legge. In generale ciò ha certamente un significato latamente politico su cui si tornerà più avanti; ugualmente però, una
simile diffusione dell’obiezione di coscienza, rappresentando una delle
principali cause delle difficoltà e dei ritardi nella garanzia del servizio
predisposto dalla legge n. 194, pone la questione della «effettività» della
legge stessa e quindi, per le ragioni più sopra esposte, della legittimità costituzionale della disposizione che prevede l’obiezione.
L’obiezione di coscienza all’intervento interruttivo della gravidanza
sembra così porsi al paradossale crocevia fra ciò che è costituzionalmente necessario e ciò che è costituzionalmente illegittimo. Dal punto di vista della gravità del comportamento richiesto e del pregiudizio che la sua
mancata previsione determinerebbe in capo all’obiettore essa risulta sot24
Cfr. la Relazione del Ministro della salute sulla attuazione della legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza (legge
194/1978) dell’anno 2008, in www.ministerosalute.it, 34: «Si evince un notevole aumento generale dell’obiezione di coscienza negli ultimi anni per tutte le professionalità, con percentuali pari al 69.2% per i ginecologi (rispetto al 59.6% della precedente relazione), 50.4% per gli
anestesisti (rispetto a 46.3%) e 42.6% per il personale non medico (39% nella precedente relazione). Questi valori raggiungono percentuali particolarmente elevate nel sud Italia».
25
R. Bertolino, Obiezione di coscienza, cit., 1.
1089
tratta all’area della discrezionalità del legislatore e assistita dalla garanzia dell’opzione costituzionalmente obbligata. Avendo invece riguardo
agli effetti che il suo utilizzo di fatto generalizzato produce, la stessa norma si espone al rischio di essere giudicata costituzionalmente illegittima,
contrastando «con la natura stessa di ogni ordinamento giuridico, la cui
prima esigenza è quella della vigenza e dell’effettività delle leggi» 26. Tale tensione sembra potersi ricomporre nell’affermazione del principio secondo cui, in questo caso specifico, ove sia comunque possibile raggiungere le finalità della legge, il legislatore sia tenuto a riconoscere l’obiezione di coscienza ma, ai fini di garantirne la legittimità costituzionale,
debba contestualmente introdurre misure necessarie ed adeguate al raggiungimento di tali finalità. Un rilievo centrale assumono allora, alla luce di questa impostazione, gli strumenti disponibili per assicurare che il
ricorso all’obiezione di coscienza non si risolva in una sostanziale impossibilità di dare attuazione alla legge che la prevede 27.
Tale preoccupazione non era certo estranea al legislatore del 1978 28
che, all’art. 9, comma 4, prevede, in capo agli enti ospedalieri e alle case
di cura autorizzate, l’obbligo di assicurare in ogni caso l’effettuazione
degli interventi di interruzione della gravidanza e affida alla Regione il
compito di controllare e garantire l’attuazione della legge stessa. A fronte di questi obblighi, però, assai poco la legge dice circa il come tali soggetti possano adempiervi. Nulla infatti viene previsto in merito agli strumenti giuridici utilizzabili dagli enti ospedalieri, che sono generalmente
ricorsi alle convenzioni con le case di cura autorizzate, soluzione che,
Pret. Ancona, 9 ottobre 1979, cit., 189.
Si noti che la garanzia del raggiungimento degli obiettivi perseguiti dalla legge è anche l’elemento determinante che permette di superare le più radicali (e altrimenti fondate) critiche all’obiezione di coscienza, di cui si contesta in radice la compatibilità con il principio democratico (così, in via generale, G. Gemma, Brevi note critiche contro l’obiezione di coscienza, in R. Botta (a cura di), L’obiezione di coscienza, cit., 319 ss., che parla di un istituto «giuridicamente irrazionale» che «consente che minoranze anche ristrette (…) vanifichino o compromettano le manifestazioni di volontà popolare, in totale contrasto con la logica democratica» (322); secondo la medesima prospettiva, con specifico riferimento all’oggetto di questo
studio, C.E. Traverso, Commento all’art. 9, in G. Galli, V. Italia, F. Realmonte, M. Spina,
C.E. Traverso, L’interruzione volontaria della gravidanza, cit., 222 ss.).
28
Né ha perso di attualità se si considera che i primi mesi del 2008 hanno visto il Ministero della Salute impegnato nell’avviare il confronto con i rappresentanti delle Regioni per la
messa a punto di un’intesa per una migliore applicazione della legge n. 194 che prevedeva, fra
l’altro, la presenza, almeno in ogni distretto, di un medico non obiettore, nell’ottica della riduzione dei tempi di attesa fra certificazione e intervento abortivo. Il testo dello schema di intesa che, negli auspici del Ministero, doveva essere conclusa entro il 6 marzo 2008, è disponibile in www.ministerosalute.it
26
27
1090
qualora ampiamente praticata, finisce per smentire di fatto la chiara impronta pubblicistica della legge n. 194 29. Per quanto riguarda le Regioni,
invece, l’unico riferimento è alla «mobilità del personale», soluzione di
per sé non risolutiva quando l’obiezione di coscienza non riguardi specifiche situazioni locali ma rappresenti una situazione ampiamente e omogeneamente diffusa all’interno della Regione.
Il problema giuridicamente più delicato che si pone in questo senso
riguarda la legittimità di forme di garanzia dell’attuazione della legge n.
194 che abbiano effetti penalizzanti nei confronti dei medici non obiettori, ossia se, concretamente, le aziende sanitarie locali e le aziende ospedaliere possano bandire concorsi per anestesisti e ginecologi con la clausola di non sollevare obiezione di coscienza ai sensi dell’art. 9, l. n. 194 30.
Tali formule concorsuali indubbiamente hanno un carattere pregiudizie29
Cfr. Piano regionale di salute 2008-2010 della Regione Puglia, approvato con l.r. 19
settembre 2008, n. 23, dove si legge che «l’elevato numero di IVG effettuate in strutture private in Puglia (quasi il 50% del totale) (…) è in gran parte riconducibile alla situazione creatasi
nella nostra regione all’indomani della approvazione della legge 194 quando, a fronte di una
massiccia dichiarazione di obiezione di coscienza dei ginecologi dei servizi pubblici, fu garantita la possibilità di effettuare la IVG all’interno di cliniche private convenzionate che, nel corso degli anni, hanno assorbito quasi interamente la domanda. Questo modello, con il passare
del tempo, ha di fatto creato le condizioni per una progressiva marginalizzazione delle misure
di prevenzione del ricorso all’aborto. Si pone pertanto la necessità di “riportare” gradualmente la gestione delle IVG all’interno del pubblico, riequilibrando l’offerta di servizi dedicati e
riconoscendo al consultorio familiare un ruolo fondamentale sia nelle attività di prevenzione
della interruzione volontaria di gravidanza, che nella presa in carico delle donne che richiedono l’intervento di interruzione volontaria di gravidanza». Sulla limitazione dell’intervento di
interruzione volontaria della gravidanza alle strutture pubbliche v. M. Zanchetti, L’interruzione volontaria della gravidanza, cit., 205 ss.
30
Cfr. T.A.R. Emilia-Romagna, sez. Parma, 13 dicembre 1982, n. 289, in «Foro amm.»,
1983, I, 735, che ritiene legittima la decadenza pronunciata nei confronti del medico che, assunto per assicurare il servizio di interruzione volontaria della gravidanza sulla base di avviso
pubblico contenente espressamente la clausola secondo cui i candidati dovevano dichiarare
nella domanda di non sollevare obiezione di coscienza, non appena assunto l’incarico aveva
comunicato la propria obiezione di coscienza, affermando di aver reso la necessaria dichiarazione al solo fine di non rimanere privo di impiego e di ritenere che l’obiezione non fosse sottoponibile a preclusioni di sorta. Si noti che, sebbene il rigetto del ricorso è determinato principalmente dalla sua inammissibilità dovuta alla mancata impugnazione della delibera del comitato di gestione che prevedeva la citata clausola, il giudice amministrativo sembra comunque ritenere legittima l’esclusione degli obiettori, affermando che «l’esercizio del diritto
all’obiezione di coscienza subisce un naturale limite nel caso in cui tale esercizio impedisca
l’effettuazione del servizio per il quale il dipendente venne assunto, essendo peraltro consapevole delle prestazioni che gli sono state richieste» (736). Nel senso dell’illegittimità dei concorsi che escludono il personale obiettore M. Zanchetti, La legge sull’interruzione della gravidanza, cit., 250.
1091
vole per la libertà di coscienza dei partecipanti, sia nel senso di precludere la partecipazione a chi si dichiari obiettore di coscienza, sia nei confronti di chi, assunto con la suddetta clausola, abbia successivamente a
maturare un convincimento interiore contrario alle pratiche abortive e si
trovi nell’impossibilità di sollevare obiezione di coscienza senza incorrere nella risoluzione del proprio rapporto di lavoro 31. In un caso come
nell’altro la libera determinazione del soggetto viene indirizzata verso
una precisa scelta attraverso la previsione di conseguenze certamente
pregiudizievoli qualora il soggetto sollevi l’obiezione, il che, indubbiamente, concreta una forma di limitazione della libertà di coscienza. Il
punto diventa perciò stabilire se, ed entro quali limiti, la compressione di
questa libertà fondamentale possa considerarsi giustificata in ragione del
perseguimento dei fini per cui essa è prevista o se invece essa configuri
un’illegittima discriminazione sulla base delle personali convinzioni di
coscienza.
In presenza di un diffuso ricorso all’obiezione di coscienza un utilizzo in termini assai contenuti di queste clausole contrattuali non sembra
da escludere a priori. L’esigenza di ricorrere a tali clausole, infatti, è determinata dalla stessa obiezione di coscienza e in qualche modo è finalizzata a renderla possibile 32, o, più correttamente, ad assicurare «un accettabile grado di compatibilità tra l’obiezione di coscienza e la funzionalità del servizio sanitario in relazione agli interventi diretti a provocare
l’interruzione della gravidanza» 33. Il riconoscimento dell’obiezione di
coscienza, del resto, se da una parte non può comportare conseguenze
così pregiudizievoli per l’obiettore da rendere di fatto impossibile il suo
esercizio, dall’altra non richiede che l’obiettore debba essere tenuto assolutamente indenne dalle conseguenze che la sua stessa scelta comporta. Diversamente argomentando il peso delle esigenze di coscienza di alcuni finirebbe per gravare esclusivamente su altri soggetti (nel caso concreto le gestanti, per le quali si determina un allungamento dei tempi
31
Per un caso di questo genere cfr. T.A.R. Campania, sez. IV, 3 maggio 1989, n. 78, in
«Trib. amm. reg.», 2570.
32
Fra le alternative possibili, infatti, rientra anche la più drastica soluzione proposta da
S. Rodotà, Problemi dell’obiezione di coscienza, in «Quad. dir. pol. eccl.», 1993, 1, 64, il quale ritiene ragionevole che «dovendo predisporre un funzionamento dei servizi sanitari tale da
rendere possibile la risposta alle richieste delle donne, le autorità pubbliche possano stabilire
modalità di reclutamento del personale che esplicitamente escludano, per il futuro, l’obiezione di coscienza. In sostanza, chi aspira a un determinato lavoro viene informato delle sue particolari modalità di svolgimento. Può così valutarne la compatibilità con le proprie convinzioni e, qualora lo ritenga incompatibile, rinunciarvi preventivamente».
33
A. D’Atena, Commento all’art. 9, cit., 1651.
1092
d’attesa, e i medici non obiettori, chiamati a svolgere un numero maggiore di interruzioni volontarie della gravidanza 34), venendosi così ad affermare una sorta di principio di irresponsabilità dell’obiettore rispetto alle
proprie scelte di coscienza. Al contrario, se i costi dell’obiezione di coscienza vengono sopportati anche dagli obiettori stessi, si perviene ad un
maggior riequilibrio fra medici obiettori e non-obiettori, che, senza vanificare il nucleo essenziale della tutela della libertà di coscienza e, in questo caso, della libera scelta della professione, avrebbe anche l’effetto di
saggiare la serietà della scelta obiettoria ed evitare un uso opportunistico
della stessa 35.
L’utilizzo di tali clausole, in ogni caso, dovrebbe essere ragionevolmente contenuto nei termini strettamente necessari alla garanzia del buon
funzionamento di quanto previsto dalla l. n. 194, per cui il pregiudizio
che l’obiettore viene a subire rimane nell’ambito delle conseguenze della propria scelta responsabilmente accettabili e non degenera invece in
una forma nemmeno troppo velata di coartazione della coscienza. L’obiettore che, di fronte alla scelta degli organi amministrativi di riservare alcuni posti a personale non obiettore, si ritenga vittima di una discriminazione in violazione della sua libertà di coscienza e del suo diritto a liberamente scegliere la sua professione, avrebbe naturalmente a disposizione il ricorso al giudice amministrativo, chiamato a valutare la legittimità,
nei termini della ragionevolezza e della stretta necessarietà, della restri34
Si noti che, anche per i medici che non ritengono di sollevare obiezione di coscienza,
l’interruzione volontaria della gravidanza risulta ugualmente uno degli interventi più impegnativi, se non dal punto di vista tecnico, certamente da quello psicologico ed emotivo, da cui la legittima aspettativa ad un’equa distribuzione di questo particolare carico di lavoro. Del resto, nel
momento in cui si sceglie se avvalersi o meno dell’obiezione di coscienza, in presenza di una
certa incertezza nella decisione, può giocare un ruolo determinante la consapevolezza che, qualora non si intenda obiettare gli interventi di interruzione volontaria della gravidanza rappresenteranno un’alta percentuale del proprio lavoro, non essendo molti i medici non obiettori.
35
La mancata previsione di una prestazione alternativa per il medico obiettore, in analogia a quanto avveniva per l’obiezione di coscienza al servizio militare, è stata frequentemente
criticata. V., in particolare, F. Onida, Contributo a un inquadramento giuridico, cit., 245 ss.,
che ritiene che in questo caso il «peso» della prestazione sostitutiva, in termini di «durata,
sgradevolezza, pericolosità», potrebbe essere ragionevolmente «un poco più gravoso rispetto a
quello della prestazione rifiutata» (257); contra, nel senso della non irragionevolezza del regime differenziato delle due ipotesi obiettorie, G. Dalla Torre, Obiezione di coscienza e valori
costituzionali, in R. Botta (a cura di), L’obiezione di coscienza, cit., 55. Da un diverso punto
di vista si è sottolineato come sia invece quella al servizio militare «l’unica ipotesi di obiezione riconosciuta per la quale il legislatore ha previsto una prestazione alternativa» (B. Randazzo, Obiezione di coscienza, cit., 3874).
1093
zione prevista alla luce delle esigenze concretamente documentabili di
garanzia dell’attuazione della legge e dell’impraticabilità o inopportunità di soluzioni differenti.
4. Effetto pratico e significato teorico dell’obiezione di coscienza dei
soggetti che intervengono nel processo decisionale della gestante
La posizione dei soggetti coinvolti nella fase prodromica alla decisione della gestante 36 si differenzia in maniera significativa, con riferimento all’obiezione di coscienza, da quella appena analizzata sotto due
principali profili.
In primo luogo si deve considerare la diversa idoneità dell’atto richiesto a ledere nel profondo la coscienza dell’obiettore 37: l’insostenibile dissidio interiore che si determina nel medico nel momento di procedere con le proprie mani alla soppressione del feto, risulta necessariamente affievolito nella diversa ipotesi in cui sia richiesto di certificare, alla luce di parametri che il medico non condivide, ma comunque dotati di
un carattere oggettivo (almeno nelle intenzioni del legislatore), l’esistenza dei presupposti per autorizzare l’intervento abortivo. Se è vero, infatti, che in entrambi i casi il medico concorre alla realizzazione di un evento che egli giudica inaccettabile, la partecipazione del soggetto a tale
evento è però sicuramente inferiore e qualitativamente diversa (meno
36
Fra i soggetti cui è riconosciuto il diritto di sollevare obiezione di coscienza appartenenti a questa categoria non rientra, come noto, il giudice tutelare, rispetto al quale la mancata previsione dell’obiezione di coscienza non è stata dalla Corte ritenuta costituzionalmente illegittima nella sent. n. 186 del 1987 (cfr. supra, n. 22, cui adde J. Luther, L’aborto: tema con
variazioni per legislatori, giudici e custodi della Costituzione, in «Giur. cost.», 1987, 2989
ss.). Sulla questione dell’obiezione di coscienza del giudice tutelare v. anche le successive ordinanze di manifesta infondatezza nn. 445 del 1987 e 514 del 2002.
37
Cfr., limpidamente, V. Onida, L’obiezione di coscienza dei giudici, cit., 371: «Coloro
che sono chiamati ad accertare l’esistenza dei presupposti che rendono tale scelta [la scelta di
abortire] consentita dall’ordinamento, non esprimono una volontà diretta a conseguire l’effetto dell’interruzione della gravidanza, ma compiono un accertamento, da cui può conseguire la
liceità per l’ordinamento statale, della scelta della gestante, resa così insuscettibile di sanzioni. Il problema, dunque, più e prima della coscienza di coloro che sono chiamati a compiere
tali accertamenti, implica la coscienza della donna. Diverso è il caso del medico che è chiamato a operare l’aborto, cioè a svolgere un’attività che è direttamente causativa dell’interruzione
della gravidanza. Penso che nessun medico possa accettare che gli venga imposto come attività terapeutica qualcosa che egli non ritiene personalmente sia un’attività terapeutica». Coerentemente con questa impostazione lo stesso autore dubita dell’opportunità dell’estensione
dell’obiezione di coscienza alla partecipazione alle procedure preliminari.
1094
stringente di conseguenza risultando il giudizio di responsabilità che
l’obiettore formula nei confronti di se stesso), quando si tratti di intervenire in un procedimento che ha come esito quello di autorizzare la decisione della gestante che ancora potrebbe desistere dal proposito abortivo
nel periodo di ripensamento legislativamente previsto, ovvero quando si
tratti di compiere materialmente l’atto ritenuto in coscienza inaccettabile, senza alcuna speranza di poterlo scongiurare anche grazie al proprio
intervento, soltanto limitandosi a dare corso ad un’altrui volontà ormai
irrevocabile. Se nel primo caso, pur nei limiti imposti dalla legge, il medico può ritenere la propria opera utile a scongiurare l’evento abortivo, e,
quando tale evento dovesse comunque verificarsi egli può ritenere di
fronte alla propria coscienza di aver fatto tutto il possibile per evitarlo nei
limiti del rispetto della legge e della autonoma deteminazione della gestante, altrettanto non vale per chi quell’intervento deve realizzarlo, vedendosi preclusa qualsiasi possibilità di agire nella direzione impostagli
dalla sua coscienza.
Queste considerazioni sembrano far propendere nel senso dell’impossibilità di riferire anche al caso in esame il carattere costituzionalmente necessario che, pur con molte cautele, si è ritenuto assistere la diversa fattispecie obiettoria poco sopra esaminata. L’estensione della possibilità di sollevare obiezione anche a soggetti diversi dall’equipe medica deputata a svolgere l’intervento abortivo rappresenta al contrario una
scelta di ampia tutela della libertà di coscienza, resa possibile dal secondo profilo che distingue queste due categorie di soggetti. A differenza
dell’ipotesi analizzata nel paragrafo precedente, infatti, in questo caso
non si pongono significativi problemi di garanzia dell’effettività della
legge, dal momento che il numero di medici abilitati al rilascio del documento autorizzante l’interruzione volontaria della gravidanza è di gran
lunga superiore a quello dei medici abilitati a svolgere l’intervento 38. Tale profilo sembra centrale nel riconoscimento di questa forma di obiezione di coscienza: nell’estendere l’obiezione anche a questa categoria di
soggetti, il legislatore sembra essersi basato essenzialmente da una parte
sullo scarso aggravio che essa comporta ai fini dell’effettività della legge, dall’altra sulla difficoltà di ottenere comunque la collaborazione di
una parte dei medici all’attuazione della legge 194 39; in minor conto
38
Del resto l’allargamento della sfera dei medici abilitati al rilascio del documento autorizzatorio è stato determinato proprio dal timore che una diffusa obiezione di coscienza vanificasse le previsioni della legge, come nota M. Zanchetti, La legge sull’interruzione della gravidanza, cit., 159.
39
Sull’impossibilità «di costringere ad agire chi assolutamente non voglia» quale «mo-
1095
sembrano invece essere stati tenuti i profili dell’effetto pratico e del significato del comportamento obiettorio, sui quali invece è possibile svolgere alcune considerazioni critiche.
Si deve infatti notare che la scelta di obiettare risulta chiaramente
controproducente dal punto di vista dell’obiettore stesso, il quale, autoescludendosi da tutte le fasi del percorso che può sfociare nell’interruzione volontaria della gravidanza, di fatto evita di portare il suo contributo
anche in quella fase procedurale che, ai sensi della legge, dovrebbe avere lo scopo di evitare, per quanto possibile, l’evento abortivo, fase nella
quale l’obiettore può ragionevolmente ritenere il suo intervento più efficace nello scongiurare l’interruzione della gravidanza rispetto a quello di
un collega non così radicalmente contrario all’aborto. Il problema è noto
ed è stato affrontato soprattutto da quella parte della dottrina più favorevole all’esercizio dell’obiezione di coscienza 40, che ha individuato nella
scissione temporale del momento del colloquio da quello del rilascio del
documento la soluzione de iure condendo più idonea a contemperare
obiezione di coscienza e intervento dissuasivo del medico 41. De iure
condito invece la questione rimane aperta, dovendosi ritenere poco risolutiva l’interpretazione per cui al medico obiettore sarebbe preclusa la
consegna del documento ma non il colloquio ad essa precedente 42. Essendo il colloquio presupposto indispensabile per il rilascio del documento autorizzatorio, le situazioni che possono verificarsi sono essenzialmente due. Se la donna non è a conoscenza della scelta obiettoria,
non sembra corretto, in primis da un punto di vista deontologico, che il
medico effettui il colloquio lasciando alla gestante, al termine dello stes-
tivo realisticamente politico (…) per concludere a favore dell’ammissione e della regolamentazione dell’obiezione di coscienza» v. F. Onida, Contributo a un inquadramento giuridico,
cit., 236.
40
V., ad esempio, C. Casini, F. Cieri, La nuova disciplina dell’aborto, Padova, 1978,
168, e G. Dalla Torre, Diritti dell’uomo e ordinamenti sanitari contemporanei: obiezione di
coscienza o opzione di coscienza?, in B. Perrone (a cura di), Realtà e prospettive dell’obiezione di coscienza, cit., 293 ss., che vedono nell’obiezione di coscienza l’unica scelta conforme all’ordinamento costituzionale, quale disobbedienza ad una legge che si pone al di fuori
del quadro costituzionale. Sul rapporto regola-eccezione in questo specifico caso di obiezione di coscienza v. S. Prisco, Stato democratico, pluralismo dei valori, obiezione di coscienza. Sviluppi recenti di un antico dibattito, in Id., Laicità. Un percorso di riflessione, Torino,
2007, 119.
41
Cfr. L. Eusebi, Tutela giuridica dell’embrione ed esigenze irrisolte di prevenzione
dell’aborto, in E. Sgreccia, V. Mele (a cura di), Ingegneria genetica e biotecnologie nel futuro dell’uomo, Milano, 1992, 333 ss.
42
Così C. Casini, F. Cieri, La nuova disciplina dell’aborto, Padova, 1978, 168.
1096
so, la sorpresa della sua inutilità ai fini del rilascio del documento 43. Se
invece la donna è al corrente del fatto che il medico in ogni caso non rilascerà il documento, l’eventuale colloquio che abbia comunque a svolgere con il medico, per quanto utile e determinante esso possa essere per
le sue scelte, non può rientrare nella previsione dell’art. 5 della l. 194, ma
si pone quale libera scelta della gestante che, nel momento di prendere
una così difficile decisione, può naturalmente scegliere di consultarsi con
chiunque ritenga più opportuno. Tale colloquio, in altri termini, si fonda
sulla fiducia che la donna ripone nel proprio medico e non sulla sua necessarietà ai sensi dell’art. 5, tanto è vero che, qualora intenda procedere
all’interruzione della gravidanza, dovrà rivolgersi ad un diverso medico,
con il quale nuovamente effettuare il colloquio previsto, non potendosi
ritenere detta fase già precedentemente espletata: la lettera della legge
non consente infatti interpetazioni che neghino l’identità soggettiva fra
l’autore del colloquio e colui che rilascia il documento.
Così disciplinata, peraltro, l’obiezione di coscienza non torna soltanto a danno dell’obiettore posto di fronte ad una scelta in ogni caso
scarsamente soddisfacente, ma nemmeno appare vantaggiosa dal punto
di vista della legge stessa. Se in termini astratti, infatti, è richiesto al medico di valutare la richiesta di interruzione della gravidanza alla luce dei
parametri da essa stabiliti e indipendentemente dalle proprie convinzioni
personali, di fatto sembra inevitabile che il grado dissuasivo del colloquio sia necessariamente legato alla gravità che nella propria coscienza il
medico associa all’intervento abortivo. Sia sotto il profilo formale del
comportamento astrattamente richiesto al medico, sia sotto quello più realistico di ciò che concretamente avviene, appare in ogni caso contraria
all’interesse della legge la selezione del personale medico che l’obiezione di coscienza così disciplinata determina, facendo sì che l’attuazione
della legge, soprattutto nella parte in cui più rileva l’apporto personale e
umano del medico e non solo la sua stretta competenza «chirurgica», sia
rimessa ad una categoria di medici che inevitabilmente finisce per essere
individuata sulla base delle proprie convinzioni di coscienza e non riflette quindi a pieno quel pluralismo di convinzioni personale che invece caratterizza la classe medica globalmente considerata e, prima ancora, la
società nel suo complesso.
Alcune considerazioni problematicamente critiche si possono inolEd infatti ritengono «deontologicamente corretto che l’obiettore, fin dal momento del
primo approcio con la donna, debba farle presente la sua qualità di obiettore e di non essere
quindi disposto al rilascio del certificato e del documento, né, comunque, ad aiutarla ad abortire» C. Casini, f. Cieri, La nuova disciplina dell’aborto, cit., 169.
43
1097
tre svolgere circa il significato del comportamento obiettorio, soprattutto
per quel che riguarda il delicato e incerto rapporto fra obiezione di coscienza e suo potenziale utilizzo a fini politici 44. Come sopra accennato,
e come meglio si riprenderà in sede di conclusioni, l’esercizio dell’obiezione di coscienza ha inevitabilmente un significato latamente politico,
nel messaggio che essa lancia alla collettività e al legislatore: nel caso di
specie, l’obiezione dei medici ricorda alla società italiana, e ai suoi rappresentanti in Parlamento, che la questione della tutela della vita prenatale è assai lungi dall’aver raggiunto un punto di equilibrio stabile e da
tutti condiviso e, concretamente, mantiene viva l’attenzione sul tema, ciò
che rappresenta la necessaria premessa per un’eventuale futura revisione
legislativa. Se però tale significato politico in senso ampio degenera in
una precisa volontà di non dare attuazione ad una legge non condivisa, e
da corollario dell’obiezione di coscienza ne diventa invece il fine principale, allora vengono meno i presupposti che giustificano l’ammissibilità
dell’obiezione di coscienza, soprattutto se essa è riconosciuta non alla
generalità dei consociati ma ad una specifica categoria professionale. In
altre parole, se nel comportamento obiettorio è intrinsecamente insito un
significato politico cui un legislatore accorto non dovrebbe essere insensibile, la ratio per cui l’obiezione viene riconosciuta è da individuarsi
nella protezione della coscienza di chi è chiamato ad attuare una legge
che determina esiti inaccettabili per la sua coscienza, non certamente nella volontà di permettere ad una ristretta cechia di consociati di contestare una scelta democraticamente legittimata rifiutandone l’applicazione.
Utilizzata per questo scopo, da forma di tutela della coscienza, l’obiezione si trasformerebbe piuttosto in un improprio strumento di lotta politica,
che permetterebbe di protrarre nel proprio ambito professionale una battaglia politica che invece si deve consideare conclusa, ancorchè sempre
passibile di revisione, nelle aule parlamentari (e nelle urne del referendum). La battaglia politico-culturale per una maggiore tutela della vita
prenatale, infatti, condivisa o meno che sia, è pienamente legittima se
esercitata nelle forme democratiche previste dalla Costituzione, fra le
quali però non rientra, e non può rientrare, la possibilità di contestare la
legge attraverso la sua disapplicazione da parte di chi è chiamato ad attuarla e non la condivida. Un simile utilizzo snatura la ragion d’essere
dell’obiezione di coscienza (che non può individuarsi nella tutela del
semplice dissenso politico consentendo la non applicazione di una legge
44
Diffusamente su questo argomento, seppur in una prospettiva in parte differente da
quella accolta in questo studio, L. Guerzoni, L’obiezione di coscienza, cit., spec. 172 ss.
1098
qualora non sia condivisa) e ne fa invece un destabilizzante strumento di
alterazione del gioco democratico.
Naturalmente l’ordinamento non dispone di strumenti affidabili per
valutare le reali motivazioni che spingono alla scelta obiettoria, e, in particolare, per vagliare se queste derivino da un radicato convincimento interiore o siano parte di un’impropria strategia politica. È certo però che
la più limitata capacità lesiva della coscienza del comportamento in questo caso richiesto rende plausibile l’ipotesi che dietro la scelta obiettoria
non si celi sempre un insanabile contrasto con le proprie convinzioni di
coscienza, quanto piuttosto che essa sia talvolta supportata dalla volontà
di scongiurare il maggior numero possibile di aborti rendendo quanto più
difficoltosa possibile l’appicazione della legge che li permette 45.
5. Considerazioni conclusive
Nelle pagine che precedono si è cercato di analizzare i presupposti
del riconoscimento dell’obiezione di coscienza all’interruzione volontaria della gravidanza e le problematiche connesse al suo esercizio, sottolineando come l’art. 9 della legge n. 194 del 1978, con scelta di dubbia ragionevolezza, abbia accomunato nella medesima disciplina giuridica due
categorie di soggetti che in realtà presentano caratteristiche assai differenti, il che rende assai arduo fornire un’interpretazione convincente e
coerente della disposizione stessa 46. Resta ora conclusivamente da ac45
Alla luce di quanto finora affermato presenta un certo interesse, e varrebbe forse la pena valutarne l’opportunità e la praticabilità nel caso in esame, la soluzione individuata con riferimento all’ipotesi di obiezione alla prescrizione della c.d. «pillola del giorno dopo» dalla
Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, secondo cui «nel caso in cui al medico obiettore di coscienza sia richiesta la prescrizione di cui trattasi, lo stesso
non può limitarsi ad esprimere la propria obiezione ma debba provvedere nell’ambito delle
proprie responsabilità affinché la richiedente possa accedere con tempi e modalità appropriate
alla prescrizione» (FNOMCeO, Comunicazione dell’11 dicembre 2006, n. 81); in questo modo il medico renderebbe manifesto che la sua obiezione deriva da un’effettiva impossibilità per
ragioni di coscienza di procedere all’atto richiesto e non nasconde invece un tentativo di boicottaggio di una legge non condivisa.
46
Come tutte le forme di categorizzazione, anche la distinzione proposta in questo scritto soffre di una necessaria rigidità e non è da escludere che la posizione di altri soggetti coinvolti nell’interruzione della gravidanza possa non rientrare a pieno nella bipartizione esposta;
si è considerato comunque opportuno proporre tale distinzione perché si ritiene che, almeno
con riferimento alle due figure emblematiche del ginecologo e del medico chiamato a firmare
il documento autorizzatorio, essa possa utilmente spiegare le difficoltà interpretative legate
all’art. 9 della legge n. 194.
1099
cennare a quel significato latamente politico dell’obiezione cui si è più
volte fatto riferimento nel corso di questo lavoro. Sembra infatti riscontrarsi anche in relazione al caso studiato una certa tensione caratteristica
dell’istituto in esame, che, se da una parte rappresenta un elemento di coesione sociale, ponendosi quale elemento di integrazione in un quadro di
legalità delle esigenze di coscienza di una parte minoritaria dei consociati e contribuendo pertanto a rendere tollerabile e quindi più condivisa e
verosimilmente più duratura e stabile una normativa altrimenti inaccettabile 47, dall’altra partecipa di un’insopprimibile vocazione dinamica, rappresentando un elemento di costante contestazione della legge in vista di
una sua modifica nella direzione indicata dall’obiezione stessa 48.
Sotto il profilo della coesione sociale, basti ricordare che l’obiezione di coscienza all’aborto si è affermata, «nel corso del tormentato iter da
cui è scaturita la legge (…) come uno dei poli dell’accordo faticosamente raggiunto dalle forze di maggioranza» 49; sotto il profilo dinamico, invece, l’esempio più noto e immediato è rappresentato dall’obiezione di
coscienza al servizio militare, il cui crescente esercizio, man mano che
Corte Costituzionale e legislatore ne contenevano il carattere penalizzante, è stato sicuramente un elemento determinante per la profonda revisione della disciplina dell’obbligo militare. È pensabile che qualcosa di simile avvenga anche in relazione alla legge n. 194?
Le probabilità non sono molto elevate, sia perché appare difficile
che si riesca oggi, in una materia così delicata come quella dell’aborto,
ad individuare soluzioni di riforma capaci di ottenere un ampio consenso
quale si è riscontrato per la sospensione dell’obbligo di leva, sia per la
strutturale differenza fra le due ipotesi obiettorie. L’obiezione prevista
dall’art. 9 della legge n. 194 è infatti, a differenza di quella all’obbligo
militare, circoscritta a ben precise categorie professionali, il che rende
meno attendibile quella funzione di «verifica del principio maggiorita-
47
Sull’obiezione di coscienza come «forma di compromesso sociale che riduce, o elimina
del tutto, la possibilità stessa del conflitto», cui si ricorre in presenza di diversità che ciascuna
parte ritiene non negoziabili v. S. Rodotà, Problemi dell’obiezione di coscienza, cit., 58-59.
48
Cfr. E. Rossi, Obbedienza alla legge e obiezione di coscienza, in Aa.Vv., Obiezione di
coscienza al servizio militare. Profili giuridici e prospettive legislative, Padova, 1989, 79, il
quale individua nel comportamento obiettorio non soltanto «la volontà di manifestare il contrasto tra i propri personali convincimenti e i valori (o fini) perseguiti dalla legge», ma anche
«la volontà di modificare l’imperativo contenuto nella legge, che l’obiettore intende combattere non perché in contrasto solamente con la propria coscienza, ma con valori etici da esso ritenuti inaccettabili e pericolosi per la società tutta».
49
A. D’Atena, Commento all’art. 9, cit., 1650.
1100
rio» 50 generalmente ricollegata all’obiezione di coscienza, stante il carattere scarsamente rappresentativo di tali cerchie di soggetti rispetto
all’intera collettività. Inoltre, l’indubbio significato di contestazione alla
legge è in questo caso accompagnato dal sospetto dell’obiezione «di comodo», fenomeno difficilmente quantificabile ma verosimilmente in
qualche misura presente, data l’assenza di serie controindicazioni
all’obiezione, il che determina, se non un incentivo ad obiettare, quantomeno la possibilità di scelte non adeguatamente ponderate 51.
Al netto di queste precisazioni rimane però il dato di fatto inequivocabile espresso da un così elevato ricorso all’obiezione di coscienza: chi
più direttamente è coinvolto negli interventi di interruzione volontaria
della gravidanza nella maggior parte dei casi rifiuta la propria collaborazione, quasi che la materiale vicinanza all’evento abortivo determini una
maggiore percezione della gravità dell’atto che si sta compiendo. Tutto
ciò, come sopra più volte ricordato, pone certamente nel breve periodo il
problema di garantire la legge e le posizioni da essa tutelate dall’operare
dell’obiezione di coscienza, ma sarebbe certamente una prospettiva miope quella di un legislatore che si limitasse a questo senza cogliere il messaggio più profondo del comportamento obiettorio. Il dato esperienziale
delle categorie professionali coinvolte in prima persona negli interventi
abortivi, in altri termini, dovrebbe essere valutato non solo quale problema da superare per garantire la prevalente (e persistente) volontà democratica, ma anche quale stimolo qualificato alla riflessione critica sulla
bontà di tale scelta legislativa, soprattutto nell’ottica di un contenimento
sempre maggiore della necessità di ricorrere all’interruzione volontaria
della gravidanza. Ciò però richiede necessariamente la disponibilità a superare il «dogma» dell’intangibilità della legge n. 194, dogma tanto dif50
A. Cerri, Resistenza (diritto di), in Enc. giur. Treccani, XXVI, Roma, 1991, 6, secondo cui «l’obiezione di coscienza, la disobbedienza civile vengono a costituire una sorta di referendum silenzioso, una proclamazione di sciopero, la cui reale efficacia dovrà essere stabilita dai fatti».
51
Si noti inoltre che, anche quando la scelta obiettoria non sia determinata da finalità
strettamente opportunistiche, questa può anche non assumere il significato di un’assoluta e radicale contrarietà all’aborto, bensì limitarsi soltanto alla propria indisponibilità a praticarlo in
qualità di medico. Sotto questo profilo presenta un certo interesse Pret. Bari, 5 maggio 1990
(in «Giur. it.», 1993, I, sez. II, 548, con nota di G. Donativi, Aborto del medico obiettore di coscienza: la sfera sociale e la sfera intima separate dall’ipocrisia?) che, respingendo il ricorso
ex art. 700 c.p.c. del padre del concepito volto ad ottenere un provvedimento d’urgenza per
inibire la volontà abortiva della gestante, ha ritenuto irrilevante la qualità di ginecologa e obiettrice di coscienza di quest’ultima, sulla base della considerazione che «l’obiezione di coscienza attinge la persona (uomo o donna che sia) nel suo ruolo di operatore sanitario e non la riguarda certo nella veste di soggetto passivo dell’eventuale aborto» (552).
1101
fuso quanto poco fondato, sia da un punto di vista giuridico, sia avendo
riguardo all’effettiva efficacia dissuasiva della legge stessa. Sotto il primo profilo non appare corretto attribuire all’espressione referendaria un
illimitato carattere vincolante rispetto alle scelte del Parlamento 52, né la
non modificabilità della legge n. 194 sembra essere il significato più corretto da attribuire alla sent. n. 35 del 1997, con cui la Corte Costituzionale ha escluso la possibilità di sottoporre a referendum abrogativo buona
parte delle sue disposizioni 53; quanto alla valutazione dei risultati ottenuti, i dati ancora preoccupantemente elevati del tasso di abortività e del
rapporto di abortività nel nostro Paese sembrano lasciare spazio ad amplissimi margini di miglioramento nel contenimento del numero complessivo delle interruzioni volontarie della gravidanza 54.
52
Assai criticamente sul presunto carattere giuridicamente vincolante dell’esito referendario sull’esercizio della funzione legislativa v. M. Luciani, Art. 75. Il referendum abrogativo,
in Commentario della Costituzione, fondato da G. Branca e continuato da A. Pizzorusso, Bologna-Roma, 2005, 661 ss.
53
In questo senso i commenti alla sentenza di M. Olivetti, La Corte e l’aborto, fra conferme e spunti innovativi, e M. D’Amico, Una lettura della disciplina sull’interruzione volontaria della gravidanza in una problematica decisione di inammissibilità del referendum, in
«Giur. cost.», 1997, rispettivamente 312 ss. e 1139 ss., entrambi critici sulla qualificazione della legge n. 194 fra le leggi ordinarie a contenuto costituzionalmente vincolato.
54
Secondo la Relazione del Ministro della salute cit. «il tasso di abortività (numero delle IVG per 1.000 donne in età feconda tra 15-49 anni) (…) nel 2007 è risultato pari a 9.1 per
1.000, con un decremento del 3.1% rispetto al 2006 (9.4 per 1.000) e un decremento del 47.1%
rispetto al 1982 (17.2 per 1.000)», mentre «il rapporto di abortività (numero delle IVG per
1.000 nati vivi) è risultato pari a 224.8 per 1.000 con un decremento del 4.5% rispetto al 2006
(235.5 per 1.000) e un decremento del 40.9% rispetto al 1982 (380.2 per 1.000)».
1102
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