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appunti di EDUCAZIONE SANITARIA

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appunti di EDUCAZIONE SANITARIA
Azienda Sanitaria Locale della Provincia di Mantova
Centro Servizi e Documentazione in Educazione
Sanitaria
Viale Piave 28 - 46100 Mantova
( (0376) 334031- 334035
appunti di
EDUCAZIONE SANITARIA
per allievi del Corso di Diploma Universitario in Scienze Infermieristiche
a cura di Maria Cristina Baratta e Lorenzo Tartarotti
Mantova, 1999
1
Indice
1. Evoluzione del concetto di salute ............................................................................
3
2. Il concetto di «prevenzione» ....................................................................................
5
3. Cos'è l'educazione sanitaria ....................................................................................
7
4. Salute e comportamento umano ..............................................................................
9
5. Alcune grandi tipologie di approccio nell'educazione sanitaria .............................
11
6. Come programmare un intervento di educazione sanitaria ...................................
6.1. L'identificazione dei bisogni ..................................................................................
6.2. L'identificazione dei destinatari .............................................................................
6.3. La definizione delle finalità educative .....................................................................
6.4. La formulazione degli obiettivi ..............................................................................
6.5. La selezione dei metodi e dei sussidi .....................................................................
6.6. la valutazione dei risultati ......................................................................................
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15
15
16
19
21
27
7. Alcuni principi per un insegnamento efficace .........................................................
7.1. Indicazioni per svolgere una lezione ......................................................................
7.2. Tecniche per un'azione educativa ad un paziente ...................................................
7.3. Strategie per aumentare la consapevolezza, chiarire i valori, cambiare gli
atteggiamenti ........................................................................................................
7.4. Come favorire l'assunzione di decisioni .................................................................
7.5. Come stimolare una modificazione nei comportamenti ...........................................
7.6. Come lavorare con la popolazione: le campagne di educazione alla salute ..............
31
31
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8. Organismi e operatori che intervengono nella promozione della salute ...............
38
Cosa leggere per saperne di più ....................................................................................
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2
33
35
35
37
1. Evoluzione del concetto di «salute»
Le concezioni riguardanti che cosa debba intendersi con il termine “salute” sono andate
modificandosi nel tempo. La prima trasformazione è avvenuta negli anni ’70, quando
l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha suggerito l’opportunità di abbandonare la tradizionale
definizione negativa della salute come «assenza di malattia» per abbracciare una definizione in
positivo che concepisce la salute come «uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale»
(OMS, 1975).
Per alcuni versi, questa definizione appare irreale, utopistica, forse un po' troppo simile al concetto di
«felicità» (quando mai qualcuno si sente in questo stato di «completo benessere»?). Si tratta tuttavia
di un’evoluzione particolarmente importante, poiché introduce un salto di prospettiva dalla semplice
sanità dell’organismo alla salute della persona.
Le definizioni successive hanno ulteriormente allargato la prospettiva dal singolo individuo alla sua
relazione con il contesto ambientale in cui vive, definendo la salute come una «condizione di
armonico equilibrio funzionale, fisico e psichico, dell’individuo dinamicamente integrato nel suo
ambiente naturale e sociale».
Una definizione più ampia, quindi, che supera l’artificiosa staticità del termine «benessere» per
sostituirlo con quello più dinamico di «equilibrio funzionale». Essa rinvia ad una più generale visione
dei bisogni umani di efficienza fisica, di equilibrio psichico, di integrazione sociale, ecc.…, nella cui
definizione questa volta intervengono in maniera massiccia variabili non solo di ordine biologico, ma
anche, e soprattutto, di ordine culturale e sociale.
Il comportamento individuale, infatti, va contestualizzato all’interno degli stili di vita intesi in senso
lato, cioè rapportato alle influenze socio-ambientali, agli specifici valori culturali del gruppo di
appartenenza ed alle scelte politiche e sociali che li condizionano. Se oggi gli stili di vita più diffusi
nelle società industrializzate si rivelano una minaccia per la salute, ciò non va attribuito
semplicisticamente alla disinformazione o all’irresponsabilità individuali di persone che, in numero
sempre crescente, decidono deliberatamente di mettere a repentaglio la propria salute. Si tratta,
infatti, di comportamenti e modi di vita legati soprattutto ad influenze culturali profonde e per molti
aspetti implicitamente imposti alla collettività. Per cui la libertà individuale di arbitrio in questo campo
finisce più spesso per rivelarsi solo apparente: rischiare la propria salute può divenire addirittura
l'unico modo per continuare a “funzionare”, la strada obbligata per far fronte alle richieste del sistema
economico-sociale e per garantirsi un certo livello di integrazione all’interno di esso.
sanità dell’organismo:
salute come “assenza di malattia”
salute della persona:
salute come “uno stato di completo benessere
fisico, mentale e sociale”
salute del rapporto persona-ambiente:
salute come “condizione di armonico equilibrio
funzionale, fisico e psichico, dell’individuo
dinamicamente integrato nel suo ambiente
naturale e sociale”.
3
E' sufficiente cominciare ad interrogarci su cosa significa «star bene» per ciascuno di noi, per
giungere rapidamente ad identificare numerose dimensioni del concetto di salute, che possono essere
così classificate:
- dimensione fisica (come sta il mio corpo)
- dimensione psichica e relazionale (come sto con me stesso e con gli altri)
- dimensione sociale (come mi tocca vivere)
E' evidente che il livello complessivo di salute dell’individuo non discende tanto dalla semplice
somma di queste dimensioni, quanto piuttosto dal loro equilibrio. A questo scopo potremmo
immaginare esemplificativamente la salute come un triangolo, i cui lati rappresentano simbolicamente
le tre dimensioni già citate (fisica, psichica, sociale):
Salute
Fisica
salute psichica
e relazionale
Salute sociale
Star bene, dunque, non è qualcosa di assoluto, ma può significare condizioni differenti per differenti
persone.
Anche gli standard personali relativi a ciò che può essere considerato uno stato di buona salute
possono variare. Un anziano, ad esempio, può dire di stare bene quando, nonostante l’artrite e la
bronchite cronica, riesce ad uscire per fare la spesa. Ognuno valuta la propria salute
soggettivamente, in base alle proprie norme ed esperienze: questi sono alcuni dei motivi per cui
misurare la salute (diversamente dal misurare la malattia) è estremamente complesso.
Esempio – studio di un caso
Roberto è affetto da una bronchite cronica e fuma 20 sigarette al giorno. Sa che il fumo lo fa
tossire e aggrava la bronchite di cui è affetto, ma continua a fumare perché è il solo modo che
ha per far fronte allo stress del lavoro.
Quando cerca di smettere di fumare si sente così teso e irritabile che anche il lavoro ne risente
e diventa molto aggressivo in famiglia.
Il suo equilibrio emotivo e relazionale dipende anche dal fumo; mantenere questo equilibrio,
anche a costo di fumare, è più importante delle ripercussioni future che il fumo potrebbe avere
sulla sua salute fisica.
4
2. Il concetto di «prevenzione»
Prevenire significa arrivare prima per bloccare o modificare il percorso che conduce ad un evento
negativo (es.: una malattia) che si vuole scongiurare.
Parlando di prevenzione, ancor oggi viene utilizzata una suddivisione nata originariamente in
riferimento alla prevenzione delle malattie infettive, ma che può essere estesa anche a gran parte delle
altre forme morbose. A seconda di dove si colloca l’evento preventivo lungo il percorso che
conduce alla malattia si parlerà di prevenzione primaria, secondaria e terziaria.
PREVENZIONE
PRIMARIA
PREVENZIONE
SECONDARIA
PREVENZIONE
TERZIARIA
La prevenzione primaria è rivolta ad agire sulle cause originarie responsabili di
un danno alla salute oppure sulle difese interne dell’individuo, prima che
l’interazione tra questi due ordini di fattori abbia la possibilità di innescare un
processo morboso. Tale azione può essere esercitata sia attraverso un intervento
diretto ad abbattere all’origine le cause stesse, sia attraverso misure profilattiche in
grado di rafforzare le resistenze dell’individuo fino a determinarne l’immunità (si
pensi, ad esempio, alle vaccinazioni) ancora prima che si instauri un danno.
La prevenzione secondaria è rivolta a ricercare nella popolazione (o in settori di
essa particolarmente esposti a situazioni a rischio) quegli individui in cui è già in
atto un processo morboso che da essi non è stato ancora riconosciuto (cioè in fase
pre-sintomatica o pre-clinica). Obiettivo della prevenzione secondaria è dunque
quello di scoprire la malattia ancora priva di sintomi al fine di arrestare
tempestivamente – e quindi con possibilità maggiori di successo – l’evoluzione del
processo morboso. Rientra in questo livello preventivo un’ampia gamma di
interventi di diagnosi pre-sintomatica (screening, diagnosi precoci).
La prevenzione terziaria comprende quell’insieme di interventi messi in atto a
fronte di una patologia manifesta. Obiettivo della prevenzione terziaria è appunto
quello di arrestare la progressiva evoluzione della malattia attraverso appositi
interventi terapeutici e riabilitativi. Ciò non solo al fine di ottenere il massimo
recupero possibile delle condizioni di salute dell’individuo, ma anche per impedire
ulteriori danni e complicanze (sintomi secondari) che potrebbero risultare questa
volta irreversibilmente lesivi della salute dell’individuo o, più estensivamente, della
sua qualità di vita.
La tabella 1, riportata alla pagina seguente, illustra i diversi livelli della prevenzione (primaria,
secondaria, terziaria). Come si può notare dalla tabella, alcune delle azioni preventive esemplificate
(evidenziate in carattere corsivo) hanno a che fare con i comportamenti dell’individuo e fanno
riferimento ad azioni educative intraprese nei suoi confronti. Tutto ciò che è educazione sanitaria,
infatti, è anche prevenzione. Non è vero, invece, il contrario: molte delle azioni che si intraprendono
con lo scopo di fare prevenzione non hanno nulla a che vedere con l’educazione.
E’ l’educazione sanitaria, dunque, ad essere una parte della prevenzione. Alcuni autori suggeriscono
di differenziare l’educazione sanitaria di primo livello (quella condotta nell’ambito della prevenzione
primaria) da quella di secondo e terzo livello (inserite, cioè, nella prevenzione secondaria e terziaria).
Tabella 1 - I livelli di prevenzione
5
livelli di
prevenzione
prevenzione
primaria
Mira ad intervenire
sugli agenti
patogeni esterni
e/o sulle difese
dell’individuo,
evitando che il
processo
morboso che
conduce alla
malattia possa
prendere avvio.
prevenzione
secondaria
Esempio 1
Esempio 2
Esempio 3
Possibili azioni preventive
nei confronti della
TUBERCOLOSI
Possibili azioni preventive
nei confronti della
ASBESTOSI
Possibili azioni preventive
nei confronti della
CARIE
Sostituire l’amianto con altri
materiali non nocivi nella
produzione di manufatti
Sensibilizzare i genitori
sull’opportunità di adottare
una alimentazione non
cariogena e sulla necessità
di eseguire una corretta
igiene orale
Sottoporre a vaccinazione
antitubercolare alcune
categorie di persone più
esposte al rischio (es.
operatori sanitari)
Installare dispositivi di
protezione per impedire
Far rispettare il Regolamento l’inquinamento ambientale
di Igiene per quanto riguarda
Controllare periodicamente
il rapporto aria/illuminazione
l’efficienza dei mezzi di
nelle abitazioni
protezione
Rendere obbligatoria la
Istruire i lavoratori sui rischi e
pastorizzazione del latte
i danni da amianto e sull’uso
destinato all’alimentazione
delle protezioni individuali
Rendere consapevole la
Persuadere a smettere di
popolazione della utilità di
fumare gli eventuali fumatori
arieggiare quotidianamente
presenti tra coloro che sono
gli ambienti domestici e di
esposti ad amianto.
lavoro.
Sottoporre alcune categorie
di persone al Tine Test (es.
alunni delle classi 1° e 4°
elementare e 3° media)
Comunicare al paziente
l’eventuale risultato positivo,
consigliando in questo caso
ai familiari di sottoporsi ad
ulteriori accertamenti
Introduzione di una dieta non
cariogena nelle refezioni
scolastiche
Prescrivere l’assunzione di
fluoro alla popolazione
infantile
Sottoporre a controlli medici Sottoporre tutti gli alunni a
periodici tutti coloro che sono screening ortodontico
esposti ad amianto.
Sensibilizzare i genitori
sull’utilità di sottoporsi
periodicamente a visita dal
proprio dentista
Mira ad individuare
precocemente il
processo
morboso già
iniziato prima che
siano comparsi i
sintomi
prevenzione
terziaria
Ricoverare il soggetto
ammalato per gli interventi di
cura e riabilitazione
Persuadere il paziente a non
sputare per terra e ad
adottare particolari cautele
quando tossisce, starnutisce
o si soffia il naso.
Allontanare dalla fonte di
esposizione l’individuo i cui
polmoni sono già
danneggiati
Curare i sintomi
Persuadere il paziente a
smettere di fumare
Se il paziente è un accanito
Mira a limitare o
riparare gli esiti di fumatore, persuaderlo a
una malattia che si smettere di fumare
è già manifestata
attraverso sintomi
6
Curare le carie
3. Cos’è l’educazione sanitaria
Per capire più precisamente cosa si debba intendere quando parliamo di educazione sanitaria e come
si possa fare per distinguerla da altre azioni preventive non-educative, dobbiamo necessariamente
partire dal concetto stesso di “educazione”.
Facciamo educazione ogniqualvolta produciamo un cambiamento nelle conoscenze, negli
atteggiamenti, nelle abilità, nei comportamenti, nelle abitudini, nei valori ecc.… di un altro individuo
esponendolo a stimoli educativi, cioè comunicando con lui.
Un cambiamento prodotto nel comportamento di una persona in virtù, ad esempio, di effetti
farmacologici è sicuramente un cambiamento comportamentale, ma non ha nulla a che vedere con
l’educazione.
Più specificatamente, si parla di educazione sanitaria quando il cambiamento in gioco riguarda
quelle conoscenze, atteggiamenti, abitudini, valori… che contribuiscono ad esporre a (o a proteggere
da) un danno alla salute.
A seconda di ciò che si intende cambiare attraverso l’educazione sanitaria, si parlerà di finalità ed
obiettivi diversi dell’educazione sanitaria, ed in particolare di:
a) obiettivi cognitivi (area del sapere), quando lo scopo è, ad esempio, quello di migliorare il
patrimonio di conoscenze e di informazioni posseduto dall’individuo (es.: aumentare le sue
conoscenze circa i possibili danni legati all’abuso di alcool);
b) obiettivi affettivi (area del saper essere), quando ciò che si intende mutare sono gli
atteggiamenti o i valori di un individuo, i significati emotivi che egli attribuisce a certe abitudini o
alcune sue capacità relazionali (es.: aumentare la capacità di rifiutare l’offerta di alcool da parte
degli amici, senza che questo determini la paura di sentirsi rifiutato o non apprezzato da loro);
c) obiettivi di comportamento (area del saper fare) quando il mutamento che si intende produrre
nell’individuo riguarda le sue abilità, il suo comportamento, le sue abitudini (es.: ridurre il
consumo giornaliero di bevande alcoliche).
Ciò non significa, ovviamente, che questo genere di conoscenze, atteggiamenti, abitudini e valori
nascano (o mutino) solamente in virtù del fatto che si è stati oggetto di iniziative di educazione
sanitaria o comunque in virtù dell’essere stati esposti ad interventi educativi realizzati espressamente
in nome della salute. Questa è, anzi, l’eventualità meno frequente.
Per capire meglio, quindi, dobbiamo iniziare anzitutto col chiederci da dove nascono i comportamenti
che hanno una qualche attinenza con la salute.
Se proviamo a fare un inventario di tutti quegli ambiti di vita quotidiana dove le nostre scelte e il
nostro comportamento hanno a che fare con la nostra salute (nel senso che possono promuoverla o,
viceversa, esporla a rischi), scopriamo ben presto che risultano interessati pressoché tutti gli ambiti e
momenti della nostra vita. Tanto per fare un esempio, il nostro comportamento ha anche potenziali
ripercussioni sulla nostra salute quando: mangiamo, ci occupiamo della nostra igiene e pulizia
personale, ci muoviamo nel traffico, lavoriamo, ci occupiamo dell’igiene e pulizia della nostra casa,
facciamo la spesa, decidiamo come occupare il nostro tempo libero, facciamo l’amore, stiamo con
gli amici, ecc...
Ogni ambito del nostro comportamento, dunque, in qualsiasi momento del giorno e della notte, ha
delle implicazioni sulla nostra salute che possono essere positive o negative.
Ma da dove nascono questi nostri atteggiamenti, valori e comportamenti? Dove e come abbiamo
imparato a fare quelle scelte che hanno qualche ricaduta sulla salute e che ci troviamo a dover fare in
ogni momento?
7
Per tutti noi si tratta di cose apprese (più o meno consapevolmente) in momenti assai diversi della
nostra vita ed in luoghi e contesti differenti: in famiglia, a scuola, con gli amici, sul lavoro, attraverso i
mezzi di comunicazione di massa, ecc.…
Come abbiamo già osservato, ciò non va inteso nel senso che in tutti questi diversi contesti noi siamo
stati oggetto di vere e proprie iniziative di educazione sanitaria, o che comunque siamo stati esposti
ad interventi educativi realizzati espressamente in nome della salute. In altre parole: ognuno di noi ha
ricevuto (e continua a ricevere) una propria educazione alla salute non solo e non tanto per l’aver
forse partecipato a qualche attività di educazione sanitaria, ma anche, e soprattutto, in virtù
dell’interazione quotidiana con altri. Tutto ciò ci consente di porre in evidenza il fatto che esistono
due livelli o modalità di educazione alla salute:
1. Una educazione alla salute formale (o esplicita), quella cioè che si realizza ogni volta che
qualcuno, in maniera esplicita e soprattutto intenzionale, cerca di insegnare a qualcun altro cosa
sapere o come comportarsi per tutelare la propria salute. L’insegnante o l’operatore sanitario
che illustrano ad una classe scolastica l’importanza del consumo di frutta per una sana
alimentazione stanno intervenendo, appunto, in termini di educazione formale. Così come
educazione formale è anche quella realizzata dal genitore che raccomanda al figlio l’uso del casco
in ciclomotore.
2. L’educazione alla salute informale (o implicita) è invece quella che passa in modo non
intenzionale (e viene assorbita in modo spesso inconsapevole) attraverso le relazioni quotidiane, i
discorsi di tutti i giorni, l’osservazione del comportamento altrui, l’identificazione con personemodello, ecc.… Il contatto quotidiano con un genitore che non usa le cinture di sicurezza, con
una scuola dove è funzionante un bar che vende solo merendine, con un gruppo di amici che si
prende gioco di chi fa uso del casco, ecc… sono tutti esempi di educazione informale.
Tabella 2 - Livello formale e informale di educazione alla salute
Contesti
educativi
Educazione Formale
(esplicita - intenzionale)
Educazione informale
(implicita - inintenzionale)
Famiglia
La mamma mi insegna quando e
come lavarsi i denti (o le mani) e
me ne spiega il motivo fondandolo
su ragioni igieniche
Mia madre a pranzo e a cena mette in tavola molto più
cibo di quanto ne servirebbe, ed insiste perché tutti noi
mangiamo anche più del necessario (le hanno
trasmesso l’idea che i bambini sono belli e sani
quando sono “in carne” , e in fondo ritiene che
mangiare tutto ciò che ci dà deve essere il nostro
segnale di riconoscenza per il suo affetto e la sua
dedizione per noi)
Scuola
L’insegnante di scienze tiene una
lezione sull’apparato digestivo e
sull’importanza di una corretta e
prolungata masticazione dei cibi
La maestra ci carica ogni giorno di grandi quantità di
compiti che richiedono l’intero pomeriggio per essere
eseguiti (è convinta che fin da piccoli bisogna
imparare a impegnarsi con sacrificio ed a anteporre il
dovere al piacere). Senza accorgermene, lentamente
imparo che per essere “bravo” ed apprezzato non devo
prestare ascolto ai miei bisogni e devo lavorare sodo.
Gruppo
L’approvazione e l’ammirazione della mia compagnia
di amici è molto importante per me. Oggi penso di
sbalordirli mostrando loro che sono capace di
attraversare in auto un incrocio a 100 all’ora.
8
4. Salute e comportamento umano
L'aspirazione principale di ogni intervento di educazione alla salute è quello di rendere i destinatari
capaci di compiere scelte e di adottare comportamenti che contribuiscano a migliorare la propria
salute, o perlomeno a tutelarla.
Affinché questo genere di interventi possa avere qualche successo, diviene allora importante
sviluppare qualche considerazione che ci aiuti a capire qualcosa di più riguardo a come funzionano i
comportamenti e le decisioni che riguardano la salute.
Il comportamento umano, ed in special modo quello attinente la salute, è complesso e non sempre
facilmente comprensibile.
E’ opinione comune che basti fornire conoscenze riguardo a ciò che fa bene o fa male alla salute per
far sì che le persone finiscano col convincersi autonomamente e liberamente ad optare per quelle
soluzioni che risultano più salutari. Alla base di questa convinzione vi è un'idea implicita piuttosto
rudimentale del funzionamento del comportamento umano, un'idea abbastanza vicina al cosiddetto
«modello della macchina banale».
Esso assume come presupposto che ciascuno di noi, alla stregua di un piccolo computer, analizzi le
informazioni che gli pervengono traducendole in comportamenti coerenti ogni volta che esse
appaiono logicamente vantaggiose.
IL MODELLO DELLA «MACCHINA BANALE»

INFORMAZIONE

ELABORAZIONE DELLA
CONOSCENZA
COMPORTAMENTO
LOGICAMENTE
COERENTE
Dopo qualche tentativo deludente, in genere finiamo con lo scoprire che le cose non stanno proprio
così. Magari finiamo anche con l'arrabbiarci per l'irriconoscenza e la sconsideratezza dei nostri
interlocutori che, seppur da noi premurosamente informati sulle cose più vantaggiose per la loro
salute, perseverano tuttavia nel continuare a mettere a repentaglio la propria salute.
Dire che un maggiore patrimonio di conoscenze da solo dovrebbe di per sé produrre una
modificazione del comportamento significa pensare implicitamente che la gente adotti comportamenti
vantaggiosi per la salute soprattutto perché sa che fanno bene e, viceversa, si astenga da altri
comportamenti soprattutto perché è stata portata a conoscenza del fatto che essi possono essere
dannosi. In realtà, è evidente che la semplice conoscenza non è condizione necessaria né sufficiente
per una modificazione del comportamento. Fra informazione e comportamenti c'è un rapporto assai
poco lineare. In mezzo c'è qualcosa di complicato e poco definibile, qualcosa di estremamente
soggettivo ed individuale, che sceglie fra le informazioni, ne modifica un po' il significato, le adatta, le
corregge, talora le archivia (pur senza dimenticarle) decidendo di dare priorità ad altre cose che
ritiene più importanti, altre volte invece le amplifica reagendo in modo esagerato rispetto al reale
significato dell'informazione ricevuta, ecc...
9
Basti pensare, ad esempio, al fatto che gli effetti dannosi del fumo sono quasi universalmente
conosciuti, ma ciò nonostante il 30% della popolazione continua a fumare. Viceversa, in quegli Stati
dove ciò è richiesto dalla legge, molta parte dei conducenti d'auto usa regolarmente le cinture di
sicurezza, sebbene i benefici esatti non siano così generalmente noti. Addirittura in qualche caso
l'informazione riguardante un pericolo remoto ed statisticamente improbabile ha prodotto situazioni di
allarme di massa, con cambiamenti repentini e massicci dei comportamenti di consumo dell'intera
popolazione (si pensi, ad esempio, alle ripercussioni sul mercato alimentare suscitate dalle notizie sul
caso della cosiddetta "mucca pazza").
La conoscenza, dunque, non sempre conduce ad un comportamento logico. Perché?
Nel determinare la scelta di un certo comportamento (o la decisione di abbandonarlo) le conoscenze
teoriche a disposizione in realtà sono solamente uno degli elementi in gioco, e in gran parte dei casi
non si tratta neppure di un elemento tra i più importanti. Assai più contano i nostri bisogni ed esigenze
personali, i significati personali che attribuiamo alle cose che facciamo (o che evitiamo di fare), il
nostro sistema di valori e quello delle persone che ci circondano, la nostra rete di relazioni
interpersonali, le aspettative che abbiamo riguardo a noi stessi e quelle che sentiamo che gli altri
hanno nei nostri confronti, ecc...
In altre parole: perché si prenda in considerazione una informazione o un consiglio diverso da quello
che tenderemmo a fare, devono verificarsi determinate condizioni che hanno poco a che vedere con
il contenuto dell'informazione o del consiglio offertici.
Anzi, in molti casi le reali motivazioni che ci spingono ad adottare un comportamento salutare
possono essere del tutto slegate da qualsiasi preoccupazione per la nostra salute. E’ risaputo, ad
esempio, che oltre il 60% di coloro che intraprendono un programma di esercizi fisici lo fa
principalmente per ragioni estetiche: per perdere peso, per apparire più belli, per essere più in forma.
Il possedere un corpo snello, ad esempio, è un valore che nella società contemporanea è apprezzato
da molta gente, e questo può orientare qualcuno ad impegnarsi positivamente nel fare attività fisica in
palestra o nel tenere sotto controllo il proprio peso attraverso un programma dietetico. E quelli che in
seguito continuano a tenersi in esercizio (fra tutti coloro che iniziano, solo un terzo circa continua per
più di tre mesi) lo fanno per ragioni che sono più psicologiche che fisiche, cioè in virtù del fatto che
essi avvertono questo genere di attività contribuisce a farli sentir bene mentalmente.
Se la maggior parte di noi si lava i capelli regolarmente e si lava i denti dopo i pasti principali, lo fa
innanzi tutto perché una persona con i capelli unti o i denti sporchi rischia di non essere bene accetta
nelle relazioni interpersonali e perché sin da piccoli ci siamo stati abituati ad avvertire la
disapprovazione dei nostri genitori (trasformatasi in seguito in ripugnanza per noi stessi) quando non
ci laviamo. Per molti di noi, il fatto che in questo modo ostacoliamo il formarsi della placca batterica
e preveniamo la pediculosi è probabilmente un'idea presente, ma non particolarmente decisiva.
Lo stesso ragionamento vale per le nostre reazioni di fronte ad informazioni che ci mettono in guardia
contro possibili rischi. A prima vista può sembrare ragionevole ipotizzare che, posta di fronte ad un
rischio per la salute, la gente tenderà consapevolmente ad evitare quel rischio. Sfortunatamente, il
processo non è così semplice.
Il rischio è un concetto che pervade la vita ogni giorno. Qualche dose di rischio è inevitabilmente
presente in ogni comportamento. Alcuni rischi sono addirittura considerati rischi accettabili, e la
nostra «percezione individuale del rischio» spesso ha poco a che fare con la probabilità effettiva
(quella statistica, scientificamente misurata) di subire un danno alla salute. Molte persone, ad
esempio, hanno paura di viaggiare in aereo, lo ritengono molto pericoloso. Ma il rischio di rimanere
vittima di un incidente aereo è infinitamente minore del rischio di perdere la vita in un incidente
stradale, un rischio quest’ultimo che la maggior parte della gente è disposta invece ad accettare
tranquillamente come componente normale della vita quotidiana.
10
Non solo alcuni rischi sono inevitabili, ma addirittura per alcuni individui l’assumere comportamenti a
rischio è fonte di soddisfazione intrinseca per il significato di sfida che il rischio assume per loro. Lo
sfidare la propria paura è per molti un'esperienza particolarmente eccitante: a tal punto che molte
delle attrazioni di maggiore successo proposte nei parchi di divertimento altro non sono che
occasioni di sfida alla paura. Per molti, dunque, una vita senza rischi è un po’ come una minestra
senza sale: sicuramente commestibile, ma senza sapore.
Insomma: se non si parte dal principio che coloro che fumano, bevono, mangiano dolciumi o pietanze
ricche di salse e condimenti, fanno l'amore... lo fanno anzitutto perché è bello e piacevole, ogni
messaggio educativo ha poca speranza di essere accettato (e tanto meno compreso).
5. Alcune grandi tipologie di approccio nell’educazione sanitaria
Parlando del concetto di educazione, abbiamo già avuto modo di osservare come si possa parlare di
educazione sanitaria ogniqualvolta interveniamo intenzionalmente con lo scopo di produrre un
cambiamento in quelle conoscenze, atteggiamenti, abilità, comportamenti, abitudini, valori, ecc.…
che riguardano la salute della gente.
Nella (breve) storia dell’educazione sanitaria queste modificazioni si è cercato di produrle in modi
anche assai diversi tra loro. Alcuni autori, ad esempio, propongono di classificare e raggruppare i
diversi modi di realizzare l’educazione sanitaria utilizzando come criterio di classificazione il livello di
protagonismo e coinvolgimento dei destinatari, e giungendo perciò a distinguere alcune grandi
categorie di approcci:
L’approccio direttivo (o prescrittivo-esortativo)
E’ questo forse il modello di educazione sanitaria storicamente più noto e diffuso, oltre che il più
rudimentale. Ridotto ai suoi elementi essenziali, questo approccio si fonda sull’idea che l’educazione
sanitaria debba essere intesa come una relazione asimmetrica tra chi (l’operatore sanitario) sa che
cosa la gente dovrebbe fare per tutelare la propria salute e chi invece (il cittadino) ha bisogno di
essere persuaso a fare certe cose ritenute utili e ad evitarne altre ritenute dannose.
Tra i limiti principali dell’approccio direttivo, va segnalato il fatto che esso:
§ Dà per scontato che nessuno meglio degli esperti di problemi sanitari possa sapere ciò che è
davvero vantaggioso (o dannoso) per la salute ed il benessere di ciascuno di noi.
§ Cerca di imporre la gerarchia di valori propria della medicina (l’evitamento delle malattie ad ogni
costo come primo scopo e bisogno), sovrapponendola alla gerarchia di valori dell’utente, alle
sue priorità ed ai suoi bisogni reali (il bisogno di integrazione sociale, di affetto, di apprezzamento
e accettazione da parte degli altri… in realtà possono essere per l’utente molto più importanti).
Ad esempio: un medico può rendersi conto che il paziente dovrebbe dimagrire e ridurre la
pressione arteriosa; ma bere qualche birra al bar in compagnia degli amici può essere, per quel
paziente in sovrappeso, di gran lunga più importante e vitale del ridurre la pressione arteriosa.
§ Spesso fa sì che l’utente finisca anche col sentirsi colpevole se non accetta di seguire le regole ed
i consigli che gli sono stati dati “per il suo bene” e “nel suo interesse”, o addirittura di sentirsi in
qualche modo spinto ribellarsi ad esse per sancire la propria autonomia.
L’approccio “educativo”
A differenza di quanto accade nell’approccio direttivo (dove l’utente in fondo è visto come incapace
11
di decidere vantaggiosamente per sé), l’approccio cosiddetto “educativo” non punta ad esortare
l’utente a comportarsi in un modo anziché in un altro. Questo approccio mira piuttosto a fornire
conoscenze e assicurare la comprensione dei problemi di salute (comunque scelti dall’educatore), in
modo tale da aiutare l’utente ad analizzare autonomamente i propri comportamenti e le proprie
abitudini ed a prendere decisioni consapevoli circa ciò che è importante per la propria salute.
L’approccio centrato sul destinatario
Caratteristica peculiare di questo approccio è quella di operare sul destinatario dell’intervento
educativo partendo anzitutto dai suoi bisogni di informazione e di conoscenza, allo scopo di favorire
scelte consapevoli ed autonome prese dal destinatario sulla base dei propri interessi e valori. Si tratta
dunque di un approccio per molti versi assai simile all'approccio educativo” trattato in precedenza,
con un’unica fondamentale differenza: i bisogni e le tematiche affrontate sono scelti dall’utente e non
dall’educatore.
L’approccio volto al cambiamento sociale
L’approccio volto al cambiamento sociale si propone di modificare l’ambiente in modo da
permettere o rendere più agevoli le scelte per una vita più sana, intervenendo a livello politico e
sociale.
Questo tipo di approccio, dunque, raccoglie al proprio interno interventi ed iniziative che più spesso
non sono rivolte direttamente a singoli destinatari e che frequentemente non consistono in azioni
“educative” (pur trattandosi di azioni volte alla “promozione” della salute).
Più che un vero e proprio modello di educazione sanitaria, l’approccio volto al cambiamento sociale
è da ritenersi un’azione parallela e facilitante rispetto all’azione educativa vera e propria, poiché
contribuisce a far sì che nell’ambiente di vita della persona (nella città, sul lavoro, nelle relazioni con
gli altri, nelle regole di convivenza, ecc…) questa possa trovare condizioni che rendano più semplice
fare quelle scelte utili per la salute alle quali è stato educato.
Possono essere ritenuti risultati di azioni volte al cambiamento sociale, ad esempio, il divieto di
fumare nei luoghi pubblici e sui mezzi di trasporto, l’obbligo di esplicitare in etichetta tutti i
componenti di ogni prodotto di consumo, la creazione di piste ciclabili, l’obbligo di fornire ai
lavoratori tutti i dispositivi di protezione individuale, ecc…
Come si può notare non esiste un’unica modalità corretta per fare educazione sanitaria. Ciascun
operatore, piuttosto, dovrebbe trovare da solo la linea da usare in ciascuna situazione e cioè quella
più aderente ai suoi principi professionali e la più rispondente ai bisogni del destinatario.
Un’altra considerazione importante è che ciascuna modalità non va considerata isolata dalle altre;
può essere appropriato usare più approcci integrati per affrontare una problematica particolare.
12
6. Come programmare un intervento di educazione sanitaria
Così come accade in qualsiasi altro tipo di intervento educativo o didattico intenzionale (ciò che
abbiamo già definito in precedenza come educazione formale), anche per quanto riguarda
l’educazione sanitaria la progettazione dell’intervento prevede un certo numero di fasi e di “nodi
decisionali” (cioè di momenti in cui vengono effettuate delle scelte razionali).
Schematicamente, queste fasi potrebbero venire così riassunte:
1. identificazione dei bisogni
2. identificazione dei destinatari
3. definizione delle finalità educative
4. formulazione degli obiettivi
5. selezione di contenuti, metodi e sussidi
6. definizione delle risorse necessarie (umane e materiali)
7. realizzazione dell’intervento
8. valutazione dei risultati
Questa semplice elencazione potrebbe indurre a ritenere che queste diverse fasi si succedano come
semplici tappe di un percorso lineare. Nella realtà le cose non vanno esattamente in questo modo,
ed ogni scelta compiuta in una qualsiasi delle fasi sopra elencate finisce col determinare (o perlomeno
con l’influenzare) gran parte delle altre fasi e nel medesimo tempo viene influenzata da esse.
Così, ad esempio, la scelta di adottare un certo metodo didattico (es.: discussione in piccolo gruppo
anziché la semplice distribuzione di un opuscolo informativo) consentirà di perseguire obiettivi (di
atteggiamento) che altrimenti non sarebbero stati perseguibili e renderà possibile affrontare alcuni
contenuti (es.: le paure personali). Ma la scelta di questo tipo di metodo educativo comporterà anche
una diversa identificazione dei destinatari (non più persone qualsiasi, bensì persone disponibili e
motivate a dibattere in gruppo un problema di salute) ed una ridefinizione della loro numerosità (un
gruppo di discussione non può prevedere più di 12-15 partecipanti alla volta).
A loro volta, queste scelte si ripercuotono inevitabilmente sulla definizione del tipo di risorse
necessarie: per realizzare un intervento fondato sulla discussione in piccolo gruppo occorre avere a
disposizione personale addestrato alla conduzione di gruppi, così come serve una sede accogliente
idonea ad ospitare 15 persone disposte in cerchio attorno a un tavolo, e così via…
Le diverse fasi del processo di programmazione di un intervento di educazione sanitaria, dunque,
vanno sempre intese come fortemente interdipendenti tra loro, anche se qui – per ragioni evidenti di
semplicità espositiva – nelle pagine seguenti verranno illustrate una alla volta. Questa stretta rete di
rapporti di interdipendenza reciproca è illustrata nella Tabella 3, riportata alla pagina seguente
13
Tabella 3 - Fasi della programmazione di un intervento di educazione sanitaria
identificazione dei BISOGNI
(perché è opportuno intervenire? Su cosa? E'
davvero un problema rilevante? E' davvero prevenibile
attraverso mezzi educativi?)
definizione delle
FINALITA' EDUCATIVE
(Quale scopo generale ci proponiamo con il nostro
intervento?)
definizione dei
CRITERI E
DI VALUTAZIONE
(cosa verrà osservato
per stabilire se gli
obiettivi sono stati
raggiunti? Con quali
strumenti?)
formulazione degli
OBIETTIVI
identificazione dei
DESTINATARI
(alla fine, che cosa deve essere
mutato nei destinatari come
effetto del nostro intervento?)
(a chi intendiamo rivolgerci? Chi
sono? Quali sono le loro
caratteristiche? Perché proprio
loro?)
Selezione di
CONTENUTI METODI
SUSSIDI
definizione delle
RISORSE
umane e materiali
(cosa deve essere fatto o
comunicato? in che modo?
ricorrendo a quali sussidi? dove
e in quanto tempo?)
(cosa occorre per realizzare il
progetto: quante persone? quali
professionalità? quali strumenti?
quanto denaro?)
REALIZZAZIONE DELL' INTERVENTO
VALUTAZIONE DEI RISULTATI
(gli obiettivi sono stati raggiunti? L'intervento ha davvero
raggiunto il suo scopo? Se no, perché?)
14
6.1. L' identificazione dei bisogni
Seppur implicitamente evidente, va tuttavia sottolineato che vi è un presupposto indispensabile al
fatto di realizzare (o semplicemente di programmare) un intervento qualsiasi di educazione sanitaria: e
cioè il presupposto che vi sia un bisogno di educazione sanitaria.
Aver identificato un bisogno di educazione sanitaria significa aver già risposto perlomeno a questo
genere di domande:
§
Vi è un qualche problema riguardante la salute della popolazione in generale (o la salute di uno
specifico gruppo di persone)? Di quale problema si tratta?
§
E’ davvero un problema rilevante, tale da dar luogo ad un bisogno di intervento preventivo?
§
Chi ha deciso che vi è bisogno di intervenire?
§
Sulla base di quali elementi è stato deciso che vi è bisogno di intervenire? (es.: sulla base dati
epidemiologici locali? Di opinioni o impressioni di operatori sanitari? Di indicazioni normative? Di
un clima di allarme colto nella popolazione o nei mass-media?….)
§
Il problema di salute sul quale si intende intervenire, è un problema che in qualche modo riguarda
i comportamenti delle persone (nel senso che vi sono alcuni comportamenti che contribuiscono a
rendere le persone maggiormente esposte a quel problema di salute, oppure comportamenti che,
se adottati, contribuirebbero invece a salvaguardare di più la salute della gente)?
§
Che cosa sappiamo riguardo alla reale diffusione di questi comportamenti nella nostra realtà
locale? Quali categorie di persone ne sono coinvolte in modo particolare?
§
Si tratta di comportamenti alla cui modificazione potrebbe contribuire l’educazione sanitaria? In
altre parole: l’educazione sanitaria può davvero dare risposta al bisogno?
6.2. L'identificazione dei destinatari
Identificare in modo preciso i destinatari di un intervento di educazione sanitaria significa definire a
chi intendiamo rivolgerci e quali sono le loro caratteristiche. Se abbiamo in mente di rivolgerci alla
popolazione giovanile di età compresa tra i 18 ed i 24 anni attraverso un intervento educativo che
troverà realizzazione contattando i giovani nelle caserme o presso le discoteche, allora i nostri
destinatari non saranno genericamente i «giovani tra 18 e 24 anni», bensì i «giovani maschi in servizio
militare di leva» o «frequentatori di discoteche». La distinzione non è puramente accademica, poiché
è ragionevole ipotizzare che tanto i giovani militari quanto i frequentatori di discoteche non possano
essere ritenuti un sotto-insieme casuale, in grado di rappresentare in tutto e per tutto l'intera
popolazione giovanile. Lo scegliere l'una o l'altra delle due categorie di giovani dipenderà anche dal
tipo di bisogno che ha condotto ad ipotizzare l'intervento, dalle finalità educative che vogliamo
perseguire, dalle risorse a nostra disposizione, dall'esame di quali sono le categorie di persone più
esposte al rischio per la salute sul quale intendiamo agire, ecc...
Se poi il nostro intervento consisterà in un breve incontro a partecipazione volontaria, i nostri
destinatari reali saranno rappresentati da quei militari in servizio di leva (o da quei frequentatori di
discoteche) disponibili ed interessati a partecipare al nostro incontro. In altre parole, le modalità di
contatto e di reclutamento dei nostri interlocutori concorrono anch'esse a definire in concreto quali
saranno i nostri reali destinatari.
15
Va detto, inoltre, che i destinatari dell'azione educativa non sempre coincidono necessariamente con
quella categoria di persone di cui intendiamo tutelare o promuovere la salute. Basti pensare, ad
esempio, alle iniziative di educazione sanitaria sul tema degli incidenti in età pediatrica o sulle
vaccinazioni obbligatorie, dove il bisogno è quello di tutelare la salute dei bambini, ma i destinatari
effettivi dell'azione educativa saranno presumibilmente identificati nei genitori.
6.3. La definizione delle finalità educative
Quando ci si appresta per la prima volta a programmare e realizzare un intervento di educazione
sanitaria, la tendenza è in genere quella a lasciarsi sopraffare da dubbi ed interrogativi riguardanti i
contenuti (che cosa devo dire ai miei destinatari?), i metodi (è meglio distribuire un opuscolo
informativo o è preferibile una classica lezione-conferenza, o magari un piccolo gruppo di
discussione?), i mezzi ed i sussidi didattici (forse ci vorrebbe una serie di diapositive, o addirittura
una videocassetta?), gli strumenti valutativi (che domande devo prevedere nel questionario finale che
intendo far compilare?), così via...
Di solito ciò che invece non ci passa per la mente è proprio la domanda più importante, quella che ci
aiuterebbe a dare risposta a tutti gli altri dubbi: «che cosa vogliamo ottenere con il nostro
intervento?».
Se sappiamo che cosa stiamo cercando abbiamo possibilità molto maggiori di trovarlo. In altre
parole: avere ben chiaro lo scopo del nostro intervento educativo agevola di molto tutte le altre
decisioni riguardanti cosa è necessario fare e come è opportuno farlo.
Una volta identificati i bisogni di intervento (es.: prevenire la diffusione del virus HIV per via sessuale)
ed i destinatari a cui intendiamo rivolgerci (es.: studenti di scuola secondaria), dunque, la prima cosa
da fare è anzitutto capire bene quali finalità educative intendiamo perseguire, cioè che cosa vogliamo
ottenere :
• che gli studenti siano genericamente consapevoli del rischio AIDS?
• che migliori il loro patrimonio di conoscenze riguardo ai modi in cui il virus si trasmette?
• che comincino a capire che il rischio di rimanere infetti li riguarda da vicino?
• che riescano a riconoscere le situazioni in cui un rapporto sessuale può costituire una fonte di
rischio?
• che si convincano di smetterla di andare a letto con chiunque capiti a tiro?
• che imparino come va usato e conservato un profilattico?
Come si può vedere, da un medesimo bisogno di educazione sanitaria possono scaturire numerose
finalità educative, anche assai diverse tra loro. Per orientarci meglio nel decidere quale tipo di finalità
educative preferire ed a quale livello si situa ciascuna di esse, può essere utile fare riferimento ad una
suddivisione gerarchica dove le diverse categorie di finalità sono disposte in ordine crescente in base
alla grandezza (e perciò anche alla difficoltà/complessità) del cambiamento che si aspira a realizzare
nei destinatari del nostro intervento educativo.
Una prima semplice classificazione è, ad esempio, quella riportata nella tabella 4 alla pagina
seguente, dove i diversi tipi di finalità sono ordinati in sei categorie: dagli scopi che riguardano
mutamenti semplici e di modesta entità (sensibilizzazione) fino a quelli dove ciò che si aspira di
indurre nei destinatari è una vera e propria modificazione del comportamento.
16
Tabella 4 - Classificazione gerarchica delle finalità educative in base all'entità e alla
difficoltà del mutamento che si intende stimolare nei destinatari
Esempi di
FINALITA'
EDUCATIVE
Livelli di risultato
livello 1:
(l'intenzione
dell'educatore è di...:)
Percezione della propria salute
(sensibilizzazione)
Far emergere la percezione, anche se
generica, di un problema di salute.
livello 2:
Conoscenza
Aumentare le informazioni e le
conoscenze specifiche su problemi di
cui la persona era già cosciente,
anche se la loro conoscenza reale e
la loro comprensione erano limitate.
livello 3:
Consapevolezza
Stimolare l’esame dei propri
atteggiamenti rispetto ad un
particolare problema (o rispetto alla
salute in generale), ed eventualmente
identificare che cosa sia realmente
importante.
livello 4:
Disponibilità al cambiamento
Integrare le nuove conoscenze e le
opinioni sviluppate sul problema in un
nuovo quadro più coerente di
convinzioni e atteggiamenti
livello 5:
Assunzione di decisioni
Far sì che le opinioni e gli
atteggiamenti maturati si traducano
nella intenzione di modificare le
proprie abitudini
livello 6:
Cambiamento nei
comportamenti
Cambiare effettivamente qualche cosa
nelle abitudini e nei comportamenti
quotidiani che hanno a che fare con la
salute
17
coincide con la
condizione di un
individuo giunto ad
affermare...:
Sensibilizzare al
problema della
sedentarietà
«So che l’esercizio
fisico fa bene alla
salute delle persone»
Fornire conoscenze
sui vantaggi
dell'esercizio fisico
per la salute
«So che l’esercizio
fisico aumenta la
resistenza, la forza,
migliora la circolazione e contribuisce
ad abbassare la
probabilità di infarto»
Rendere consapevoli delle ripercussioni che l'attuale
livello di esercizio
fisico ha sulle proprie
personali condizioni
di salute e
benessere
«Non mi sento in
forma perché mi
manca facilmente il
respiro ogni volta che
faccio uno sforzo:
vorrei sentirmi meglio»
Rendere disponibili a
prendere in
considerazione
l'opportunità di
introdurre un po' di
esercizio fisico nelle
proprie abitudini
«Pensavo che
l’esercizio fisico fosse
solo per i patiti del
moto. Ora penso che
starei molto meglio se
ne facessi un po’ di
più anch’io»
Stimolare la
assunzione di scelte
che implichino
maggiori livelli di
attività fisica
«Ho deciso di iniziare
a fare del moto.
Comincerò col cercare
una palestra a cui
iscrivermi»
Produrre un
cambiamento delle
abitudini in direzione
di una minore
sedentarietà
«Frequento una
palestra e, quando è
possibile, cerco di
camminare invece di
prendere l’autobus e di
salire le scale anziché
prendere l’ascensore»
Il modello di classificazione gerarchica delle finalità educative illustrato nella precedente tabella
consente di rendersi conto rapidamente di due ulteriori aspetti che intervengono nella scelta di ciò
che vogliamo ottenere, ed in particolare:
1. Per definire realisticamente le nostre finalità educative, per stabilire cioè il punto di arrivo a cui
condurre i nostri destinatari per mezzo dell'educazione sanitaria, è necessario disporre di qualche
informazione riguardo al punto di partenza. Condurre i destinatari fino al livello dell'assunzione di
decisioni richiederà interventi assai diversi (in termini di tempo, di risorse, di metodi, di
articolazione, ecc...) se il punto di partenza è una consapevolezza già diffusa o se, viceversa,
abbiamo a che fare con destinatari che non hanno neppure raggiunto il livello della generica
percezione del problema.
2. Quanto più si sale nella gerarchia dei livelli di finalità, tanto più l'intervento educativo necessario
per raggiungere questo scopi diviene complesso, difficile, di lunga durata. In altre parole: porsi
finalità educative di alto livello, che implicano il produrre nei destinatari mutamenti di ingente
entità, significa contemporaneamente sapere che ciò richiederà interventi più complessi, più lunghi,
più difficili, come è raffigurato in questa immagine:
CAMBIAMENTO NEI
COMPORTAMENTI
alta
difficoltà
ASSUNZION
E DI
DECISIONI
DISPONIBILITA' AL
CAMBIAMENTO
CONSAPEVOLEZZA
CONOSCENZA
bassa
difficoltà
PERCEZION
E
DELLA
PROPRIA
tempo
breve
tempo
lungo
18
6.4. La formulazione degli obiettivi
Formulare gli obiettivi di un intervento di educazione sanitaria consiste nel definire e specificare con
maggiore precisione la finalità educativa verso cui vogliamo tendere.
Una finalità educativa, infatti, definisce in termini generali ciò che vogliamo ottenere con il nostro
intervento (ad es.: «rendere i genitori consapevoli del rischio di incidenti domestici per i figli»). Essa
cioè ci indica la direzione in cui intendiamo muoverci, ma non precisa qual è esattamente il punto in
corrispondenza del quale potremo veramente dire di essere giunti con successo alla meta.
Cosa vuol dire, infatti, « rendere i genitori consapevoli del rischio di incidenti domestici per i figli»? In
che cosa consiste? Quand'è che un genitore può essere definito «consapevole del rischio di incidenti
domestici per i figli»? Come posso riconoscerlo e distinguerlo da un genitore che invece non ha
raggiunto tale consapevolezza? Cosa devo guardare? Quali indizi o segnali osserverò per stabilire se
un genitore ha realmente raggiunto questa consapevolezza?
Per qualcuno di noi il genitore «consapevole del rischio di incidenti domestici per i figli» potrebbe
coincidere con quel genitore che è capace di «riconoscere almeno tre aspetti della propria abitazione
che costituiscono fonte potenziale di rischio di incidenti per i figli», oppure con quello che è
disponibile a «dichiarare di sentirsi preoccupato che al proprio figlio possa capitare di farsi del male
in casa», o ancora con quello che «dice di essersi reso conto di conservare farmaci ed detersivi in
luoghi pericolosi perché facilmente accessibili da parte dei bambini». Qualche nostro collega, invece,
potrebbe ritenere che un genitore possa essere giudicato «consapevole del rischio di incidenti
domestici per i figli» quando inizia a «dubitare che il semplice fatto di trovarsi a giocare in casa faccia
sì che il figlio debba ritenersi al sicuro».
Tutti questi differenti indizi o manifestazioni in realtà altro non sono che obiettivi diversi.
Tabella 5 - Esempio di relazione tra finalità educative ed obiettivi
FINALITA' EDUCATIVE
OBIETTIVI
(ciò che l'educatore si
propone di ottenere)
(ciò che alla fine i destinatari dovranno fare)
obiettivo 1
riconoscere almeno tre aspetti della propria abitazione che
costituiscono fonte potenziale di rischio di incidenti per i figli
finalità educativa
rendere i genitori consapevoli
del rischio di incidenti
domestici per i figli
obiettivo 2
dichiarare di sentirsi preoccupato che al proprio figlio possa
capitare di farsi del male in casa
obiettivo 3
rendersi conto di conservare farmaci e detersivi in luoghi
pericolosi perché facilmente accessibili da parte dei bambini
obiettivo 4
dubitare che il semplice fatto il figlio si trovi a giocare in casa
significhi che il figlio debba ritenersi al sicuro
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Un obiettivo, dunque, è una frase che descrive in modo preciso un singolo risultato educativo.
In altre parole:
• mentre una finalità educativa descrive in termini generali ciò che l'educatore si propone di
ottenere,
• un obiettivo descrive un comportamento osservabile dei destinatari che noi decidiamo di
utilizzare come testimonianza del fatto che si è davvero realizzata quella modificazione (nelle
conoscenze, negli atteggiamenti, o nei comportamenti) che intendevamo produrre nei destinatari
attraverso l'educazione sanitaria.
Il nostro esempio sulla consapevolezza dei genitori rispetto agli incidenti domestici (cfr. anche
l'esempio riportato nella Tabella 5, alla pagina precedente) ci consente peraltro di accorgerci già da
ora che:
− educatori diversi possono trovarsi tutti d'accordo nel definire una medesima finalità educativa a
cui tendere, ma può accadere che ciascuno di essi in realtà stia pensando a cose diverse
(ciascuno di essi, cioè, ha in mente obiettivi diversi);
− a partire da un'unica finalità educativa spesso vengono formulati numerosi obiettivi;
− un obiettivo consente già di capire cosa dovrà essere osservato o misurato al momento della
valutazione.
Come sapere se stiamo formulando correttamente i nostri obiettivi? Nello schema che segue sono
riportati quattro criteri generali a cui attenersi per formulare obiettivi maniera utile e corretta.
UN OBIETTIVO BEN FORMULATO E'....
Congruente con la finalità educativa. Dato che gli obiettivi costituiscono una
specificazione più precisa dello scopo indicato dalla finalità educativa, essi devono
mantenere un legame logico e diretto con quella finalità da cui discendono.
Realistico. Nel formulare un obiettivo, cioè, va tenuto conto della situazione di partenza
dei destinatari e delle risorse disponibili per realizzare l'intervento. Altrimenti si rischia di
proporsi il conseguimento di obiettivi che i destinatari hanno già raggiunto ancor prima
di iniziare l'intervento (i cosiddetti «obiettivi inutili») o, viceversa, di formulare obiettivi
irraggiungibili.
Centrato su un singolo risultato finale dell'intervento. Ogni obiettivo, cioè,
descrive una singola conoscenza, abilità, atteggiamento o comportamento... che i
destinatari dovranno aver acquisito al termine dell'intervento (es.: saper utilizzare
correttamente lo spazzolino da denti), e non ciò che intendiamo fare o insegnare per
ottenere tale risultato (es.: partecipare all'esercitazione sull'uso dello spazzolino).
Verificabile. Un obiettivo ben formulato precisa in modo inequivocabile un evento o un
comportamento specifico che può essere direttamente osservato o misurato.
20
6.5 La selezione dei metodi e dei sussidi
Ciò che i nostri allievi-destinatari apprenderanno è strettamente connesso non solo a cosa
insegneremo (il contenuto), ma anche a come lo insegneremo (il metodo) ed agli strumenti che
adotteremo per farlo (i sussidi).
Ma come si fa per decidere quale è il metodo più adatto in un determinato progetto di educazione
sanitaria? Come si fa per decidere razionalmente se preferire un strumento anziché un altro?
Non è facile dare una risposta semplice e definitiva a questi interrogativi. E' tuttavia possibile
delineare alcuni criteri che ci aiutino ad orientarci meglio di fronte a questo genere di decisioni
educative.
Criterio 1: il valore dei metodi e dei sussidi è sempre relativo.
Così come non esistono strumenti di per sé più efficaci o meno efficaci, analogamente non esistono
metodi migliori o peggiori in senso assoluto. Da questo punto di vista è sempre necessario
distinguere tra caratteristiche e vantaggi di un metodo o di un sussidio: una caratteristica si
trasforma in vantaggio solo se contribuisce alla realizzazione di uno scopo specifico. In un noto testo
sulla progettazione dell'insegnamento, due autori americani esemplificano con efficacia questo
principio attraverso una semplice metafora: «una delle caratteristiche di una macchina piccola è che
può essere parcheggiata con più facilità rispetto ad un grosso vagone ferroviario. E' un vantaggio?
Se il vostro scopo è di guidare per lo più in città certamente lo è, ma se volete trasportare fino al
mercato il maggior numero possibile di cassette di mele in un unico viaggio, allora il fatto che la
macchina sia piccola non costituisce un vantaggio» (Mager e Beach, 1978). In altre parole: la
maggiore o minore validità educativa di un particolare metodo o di un certo sussidio - e quindi anche
la maggiore o minore opportunità di adottarli - dipende anzitutto da ciò che vogliamo ottenere, cioè
dagli obiettivi educativi che intendiamo perseguire attraverso l'impiego di quel metodo e di quel
sussidio. Il problema che si pone a chi progetta un intervento di educazione sanitaria, infatti, non è
quello di scoprire nuove procedure didattiche più originali o strumenti più innovativi, bensì di
scegliere quei sussidi e quelle attività che, secondo le sue previsioni, meglio di altre possono
contribuire a raggiungere gli obiettivi che egli ha fissato. Così, ad esempio, se gli obiettivi che
abbiamo formulato riguardano la semplice conoscenza di informazioni specifiche intorno ad un
determinato argomento, allora il ricorso ad un tradizionale metodo informativo monodirezionale (es.:
una conferenza, un opuscolo, ecc...) potrà essere ritenuta una buona scelta. Ben diverse dovranno
essere invece le attività didattiche da preferire nel caso in cui la nostra finalità sia quella di sviluppare
nei destinatari un atteggiamento di disponibilità al cambiamento delle proprie abitudini.
Criterio 2: la scelta più opportuna è spesso frutto di una mediazione tra esigenze e scopi
diversi.
Come abbiamo appena osservato, ciascun metodo e ciascun sussidio saranno di volta in volta più o
meno adeguati a seconda dell'obiettivo che intendiamo raggiungere attraverso di essi. Si tratta di un
principio abbastanza semplice. Non di rado capita, tuttavia, che un intervento di educazione sanitaria
si proponga la realizzazione di più obiettivi e - soprattutto - di obiettivi differenti che riguardano
aspetti e dimensioni assai diverse tra loro: conoscenze, atteggiamenti, comportamenti, valori, abilità,
ecc...
21
Ne consegue, anzitutto, che in molti casi non si tratta di optare per una attività o uno strumento
particolari, quanto piuttosto di organizzare una varietà di metodi e di sussidi, proprio perché diversi
sono i tipi di obiettivi da raggiungere.
Me selezionare i metodi e gli strumenti più adatti a perseguire obiettivi diversi non significa sempre
(anzi, quasi mai) affiancare semplicemente attività e sussidi diversi, ciascuno valutato e selezionato
isolatamente in riferimento ad un singolo obiettivo. Ad esempio: l'adozione di un particolare metodo
o sussidio didattico, se valutata isolatamente, può apparire la scelta migliore in vista del
raggiungimento di un certo obiettivo di conoscenza, ma può costituire nel medesimo tempo un fattore
ostacolante nei confronti di un altro obiettivo riguardante gli atteggiamenti dei destinatari. In modo
analogo, le modalità di organizzazione delle attività della classe richieste dall'impiego di un certo
sussidio potrebbero costituire un intralcio al raggiungimento di altri obiettivi.
Così, ad esempio: una tradizionale conferenza o lezione informativa a prima vista può sembrare il
metodo più efficace ed economico per far acquisire ai nostri destinatari semplici conoscenze. Ma se,
oltre all'incremento del patrimonio informativo, abbiamo contemporaneamente previsto tra le nostre
finalità anche quella di stimolare nei destinatari una maggiore capacità di valutazione e decisione
autonome in tema di salute, allora può darsi che alla fine sia necessario optare per un'attività diversa
e più complessa.
Parafrasando la metafora che abbiamo citato poco fa, potremmo affermare che in casi come questi il
nostro problema è quello di trasportare il maggior quantitativo possibile di merci fino ad un mercato
situato al centro di un rione cittadino solcato da vicoli angusti. La scelta più opportuna, quindi, non
può che derivare in questi casi da una attenta analisi delle diverse e simultanee funzioni assolte dalle
attività e dagli strumenti che abbiamo in mente di utilizzare, cercando di creare un equilibrio che sia
rispettoso di tutte le diverse esigenze educative che intendiamo soddisfare.
Criterio 3: la scelta più opportuna deve tenere conto del tipo di destinatari.
Per quanto banale ed ovvio possa apparire, conviene comunque ricordare che nel valutare
l'adeguatezza di metodi e sussidi non si può non tenere conto anche del tipo di destinatari a cui
intendiamo rivolgerci, delle loro caratteristiche e della loro numerosità. Un sussidio particolarmente
idoneo a favorire l'acquisizione di alcune conoscenze fra alunni di scuola media, ad esempio, non per
questo deve ritenersi altrettanto adatto a favorire il conseguimento del medesimo obiettivo in
destinatari adulti, e viceversa. In modo analogo, un metodo che risulta coinvolgente e stimolante per
una determinata tipologia di destinatari (es.: un gruppo di giovani) può annoiare o addirittura
indispettire destinatari di età o di caratteristiche diverse (un gruppo di professionisti o di casalinghe).
Ed ancora, vi sono attività e sussidi particolarmente efficaci, ma che sono utilizzabili solamente con un
gruppo poco numeroso e che perciò si rivelano improponibili quando intendiamo rivolgerci ad una
popolazione più ampia di destinatari.
22
Tabella 6 - Classificazione di alcuni principali metodi di educazione sanitaria in base al grado di mono- o
bi-direzionalità della comunicazione
Comunicazione
monodirezionale
Adatti alla semplice
sensibilizzazione sui
Basso coinvolgimento
problemi di salute
Ruolo passivo dei
destinatari
Campagne informative
(es.: articoli di stampa,
spot televisivi, spot
radiofonici, manifesti,
depliant)
Mostre
Opuscoli
Adatti ad acquisire
conoscenze
Conferenze
Lezioni
Lavoro di gruppo
Giochi di ruolo
Gruppi di discussione o
di addestramento
Contatto individuale
Counseling
Comunicazione
bidirezionale
Alto coinvolgimento
Ruolo attivo dei
destinatari
23
Adatti ad intervenire
sugli atteggiamenti, sulla
disponibilità al
cambiamento
e sui comportamenti
VANTAGGI E LIMITI DI ALCUNI TRA I PRINCIPALI SUSSIDI
SUSSIDI
Volantini,
Opuscoli e altro
materiale scritto
VANTAGGI
LIMITI
Consentono di trasmettere l’informazione
a numerosi destinatari senza dover
entrare direttamente in contatto con loro
I volantini e i pieghevoli si deteriorano e si
perdono facilmente.
Gli utenti possono rivedere il contenuto
quando lo desiderano.
Non vi sono garanzie che tutti i destinatari
raggiunti dal sussidio ne leggeranno
realmente i contenuti.
Consentono all’utente di apprendere da
solo e di modulare il proprio tempo di
apprendimento
Sono relativamente convenienti, rispetto
alla dimensione dell’utenza che possono
raggiungere.
Possono essere realizzati anche avendo a
disposizione un personal computer da
ufficio.
Poster e
Manifesti
CAMPAGNA DI PREVENZIONE DEL
TUMORE DEL COLLO DELL’UTERO
Con un numero abbastanza limitato di
affissioni in luoghi molto frequentati, il
messaggio può raggiungere u n numero
anche considerevole di destinatari.
Per produrre materiale di qualità occorre
l’apporto di un grafico e il ricorso a una
tipografia; tutto questo può essere
costoso.
REGALARSI
REGALARSI
UNA VITA
VITA
IN SALUTE
SALUTE
Lavagne
Sono molto utili per strutturare un
argomento.
Non sono fragili.
Non occorre oscurare la stanza.
Diapositive
Consente solo di trasmettere messaggi
molto brevi e concisi, più adatti alla
sensibilizzazione che alla vera e propria
informazione.
Offrono una visione sufficientemente
chiara anche di fronte ad un uditorio di
dimensioni medio-grandi.
Il mercato dei materiali didattici è ricco di
programmi preconfezionati di diapositive
intorno ai più svariati argomenti.
La selezione e la successione delle
immagini sono sotto il diretto controllo del
docente.
Le fotografie da proiettare possono essere
scattate dall’insegnante stesso mediante
una comune macchina fotografica.
Le dimensioni e la maneggevolezza del
24
L’insegnante volta le spalle agli allievi.
Il numero degli allievi deve essere limitato.
Per quanto riguarda le lavagne con fondo
di ardesia o di plastica, le informazioni
scritte vengono cancellate e non possono
essere conservate per un uso ulteriore.
Richiedono il totale oscuramento
dell’ambiente.
Le immagini da proiettare devono sempre
essere fotografate e quindi fatte montare
su un apposito telaio e rivolgendosi ad un
laboratorio fotografico.
proiettore ne agevolano il trasporto e
l’impiego.
SUSSIDI
Lucidi per lavagna
luminosa
media1
media 2
media1
media 2
media1
media 2
VANTAGGI
LIMITI
Consentono una p roiezione chiara senza
un completo oscuramento dell’ambiente.
Con i lucidi non è possibile trasmettere il
movimento.
Consentono al commentatore di non
voltare le spalle all’uditorio durante
l’incontro.
La successione e il tempo di
presentazione dei lucidi sono sotto diretto
controllo del docente, il quale può anche
scrivere su di essi durante la stessa
proiezione.
Possono trasmettere anche informazioni
complesse.
Se la lavagna luminosa e dotata di una
lampada sufficientemente potente,
possono essere usati anche con uditori di
grandi dimensioni.
Sono economici.
Si possono produrre lucidi di buona
qualità (anche a colori) disponendo di un
semplice personal computer o di una
macchina per fotocopie.
Videocassette
Consente la p resentazione di immagini e
processi in movimento corredata da
commento sonoro.
La produzione in proprio di una buona
videocassetta è molto costosa.
L’immagine televisiva capta l’attenzione
degli spettatori in misura maggiore
rispetto a quanto accade con le immagini
fisse.
Le dimensioni relativamente ridotte dello
schermo televisivo non consentono una
buona visione se si ha a che fare con un
uditorio molto numeroso o in una sala di
grandi dimensioni.
Possono essere fermate e rimesse in
moto facilmente per consentire la
discussione.
Presuppone la presenza di un televisore e
di un videoregistratore nei locali dove
avverrà la presentazione.
Non è necessario oscurare la stanza.
Il mercato dei materiali didattici è ricco di
videocassette intorno ai più svariati
argomenti.
La grande diffusione dei videoregistratori
in ambito domestico consente di
registrare con relativa facilità programmi
trasmessi in rete.
Programmi
informatici
multimediali o
interattivi
Consente la presentazione di immagini,
filmati e testi corredati anche da
commento sonoro.
L'immagine multimediale capta
l'attenzione del soggetto in misura
maggiore rispetto a quanto accade con le
immagini fisse o testi scritti
La persona può interagire con il
25
La fruizione di questo genere di sussidi
può avvenire solo individualmente, per cui
non può essere utilizzato in gruppo o
durante un corso.
Presuppone che i destinatari possiedano
un computer adatto e che siano capaci di
utilizzarlo.
La disponibilità sul mercato di buoni
programma, assumendo un ruolo attivo
programmi multimediali o interattivi è
ancora modesta.
La produzione in proprio di un programma
multimediale è molto complessa e
spesso costosa
COME ESAMINARE UN SUSSIDIO DIDATTICO
PER L'EDUCAZIONE SANITARIA
Al giorno d'oggi il mercato dei materiali didattici su temi di educazione sanitaria è particolarmente
ricco e tocca i più svariati argomenti. Alcune case editrici nazionali, così come numerose
strutture sanitarie ed enti locali ogni anno producono un'ampia varietà di sussidi: opuscoli, guide,
depliant, manifesti, diapositive, filmati, ecc... impiegati in progetti e campagne di educazione
sanitaria. Ultimamente iniziano ad apparire sul mercato anche sussidi di educazione sanitaria su
supporto informatico, come ad esempio videogiochi didattici, corsi interattivi su CD-ROM e, non
ultimo, il più recente sviluppo di canali di informazione sanitaria sulla rete Internet.
Quanto più la mole e la varietà dei sussidi disponibili si allarga, tanto più aumentano per ciascun
operatore le opportunità e la gamma delle scelte possibili. Ma contemporaneamente aumenta
anche la difficoltà di scegliere bene.
Come si fa a scegliere un sussidio di educazione sanitaria? Cosa è meglio guardare per decidere
se uno strumento che stiamo esaminando è veramente adatto all'intervento che abbiamo in mente
di realizzare?
Qui di seguito sono riportati, sotto forma di domande, alcuni semplici criteri orientativi a cui
consigliamo di attenersi nell'esaminare la validità e l'adeguatezza di un sussidio.
ν Qual è il contenuto di questo strumento? Di cosa parla?
ν A chi si rivolge questo strumento? Che tipo di destinatari aveva in mente colui che l'ha costruito:
bambini, ragazzi, adulti, professionisti, operatori sanitari, genitori, insegnanti, o altro...?
ν Quale genere di finalità e di obiettivi educativi è possibile perseguire con questo sussidio? E'
adatto a sensibilizzare i destinatari? Ad accrescere le loro conoscenze? A renderli più
consapevoli? A modificare i loro atteggiamenti? A stimolarli ad assumere decisioni? Ad addestrarli
ad una particolare abilità? ecc...
ν Le informazioni che esso veicola sono scientificamente corrette e aggiornate? Sono troppe,
oppure insufficienti o troppo superficiali per il tipo di intervento che abbiamo in mente di realizzare?
ν Le informazioni che vengono trasmesse (così come i termini ed i concetti utilizzati per veicolarle)
presuppongono che i destinatari possiedano già delle conoscenze sull'argomento? Se sì, quali
sono queste conoscenze che il sussidio dà già per scontate?
ν Il linguaggio utilizzato (sia verbale che visivo) è adatto al tipo di destinatari a cui ci rivolgeremo?
E' abbastanza chiaro e comprensibile per loro? E' un linguaggio capace di stimolare e mantenere
il loro interesse e la loro attenzione?
ν Quale genere di messaggio implicito viene trasmesso? Un messaggio negativo (volto cioè a
dissuadere da scelte o comportamenti enfatizzandone svantaggi e rischi) oppure positivo
(orientato a stimolare l'assunzione di decisioni sottolineandone i vantaggi)?
ν Quali condizioni sono richieste per utilizzare questo strumento? In quale tipo di contesto e di
ambito può essere impiegato? (ad esempio: presuppone destinatari riuniti in un piccolo gruppo di
discussione o può essere impiegato anche in una grande assemblea? Richiede il possesso di un
videoregistratore o di un computer? )
26
27
6.6 La valutazione dei risultati
In genere le incertezze e le difficoltà che nascono al momento di valutare un intervento di educazione
sanitaria tendono spesso ad essere espresse in termini di problemi che riguardano l’individuazione
delle tecniche e degli strumenti più idonei (cosa valutare? in che modo? con quali strumenti?) In
realtà, chi ha pratica di progettazione educativa sa bene che se delle difficoltà e delle incertezze vi
sono nella valutazione dei risultati di un intervento, queste discendono in larga misura da problemi
collocati più a monte, soprattutto sul piano della definizione degli stessi obiettivi che l’intervento
aspirava a conseguire. E ciò vale per anche l’educazione alla salute in modo del tutto analogo a
quanto succede in qualsiasi altro ambito formativo.
Valutare, infatti, significa raccogliere ed esaminare dati che ci consentano di stabilire se il nostro è
stato davvero un buon intervento, cioè per sapere se e in che misura attraverso di esso siamo
davvero riusciti a raggiungere ciò che volevamo ottenere. E per sapere se l'intervento di educazione
sanitaria è stato realmente efficace, l'unico mezzo a disposizione è quello di andare a vedere se nei
destinatari si sono realmente prodotte quelle modificazioni (nelle conoscenze, negli atteggiamenti,
nelle abilità...) che avevamo originariamente descritto attraverso la formulazione degli obiettivi.
Quanto più erano chiari e ben specificati all’origine gli obiettivi della nostra iniziativa, tanto più
agevole sarà in seguito la scelta degli indicatori da osservare, degli strumenti più idonei per farlo e dei
criteri attraverso i quali leggere i dati ottenuti. Lo si può comprendere da questo esempio:
finalità educativa:
rendere i genitori consapevoli del rischio
di incidenti domestici per i figli
í
î
obiettivo 1
obiettivo 2
riconoscere almeno tre aspetti della
propria abitazione che possono costituire
fonte potenziale di rischio di incidenti per i
figli
dichiarare di sentirsi preoccupato che ai
propri figli possa capitare di farsi del male
in casa
ê
ê
valutazione
valutazione
A Suo giudizio, vi è qualche aspetto della sua
abitazione tale da rendere possibile che i
suoi figli possano farsi male in casa?
ο si
In che misura si sente preoccupato che i
suoi figli possano farsi male in casa?
ο no
ο molto
ο abbastanza
ο poco
ο per nulla
se sì, quali aspetti?
..............................................................
................................................................
...............................................................
...............................................................
28
Un progetto di educazione sanitaria può prevedere, comunque, livelli diversi di valutazione, ed in
particolare:
• anzitutto la valutazione di efficacia, a cui abbiamo già accennato, che consiste nell'accertare se
e in che misura si sono davvero realizzate quelle modificazioni descritte nei nostri obiettivi (relative
ad esempio alle conoscenze, agli atteggiamenti, alle opinioni, ai comportamenti, alle abitudini...)
• la valutazione di impatto, che consiste nella quantificazione dei destinatari effettivamente
raggiunti dalla nostra iniziativa (es.: quanti e quali destinatari siamo riusciti davvero a raggiungere
con il nostro intervento? Quanti hanno preso parte solamente al primo incontro e poi non si sono
più fatti vedere? Quante persone si sono accorte dei manifesti che abbiamo affisso? Quante ne
ricordano il contenuto? A quante persone abbiamo consegnato il nostro opuscolo? Quanti lo
hanno letto o almeno sfogliato? ecc...)
• la valutazione di successo percepito, che consiste nel verificare ciò che i destinatari riferiscono
in ordine al loro gradimento dell'iniziativa (l'hanno apprezzata? sono rimasti soddisfatti? la
giudicano utile? l'hanno trovata interessante? ritengono di aver imparato qualcosa? ecc...)
• la valutazione di stabilità dei mutamenti prodotti, che consiste nel ripetere una o più
valutazioni ad una certa distanza di tempo dalla fine dell'intervento, così da sapere se e in che
misura le modificazioni registrate al termine dell'iniziativa permangono stabili o, viceversa, tendono
ad attenuarsi.
• la valutazione di ricaduta sulla salute, che consiste nel verificare in che misura le modificazioni
prodotte sul piano di conoscenze/atteggiamenti/comportamenti contribuisco-no realmente a
migliorare le condizioni di salute dei destinatari o perlomeno a prevenire una certa malattia (ad
esempio: il controllo della diffusione della carie ad un anno di distanza da un intervento di
educazione sanitaria sul tema dell'igiene orale).
• valutazione di efficienza, che consiste nello stabilire la vantaggiosità dell'intervento in termini di
rapporto costi-benefici (Ne è valsa la pena? I risultati ottenuti compensano le risorse che sono
state investite nell'iniziativa? L'intervento ha assorbito meno risorse di qualsiasi altra azione
alternativa capace di produrre i medesimi risultati?).
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ESEMPIO DI QUESTIONARIO PER LA VALUTAZIONE DI CONOSCENZE
Gli scienziati affermano che il virus responsabile dell'AIDS è molto debole. Ciò vuole dire che...:
(una sola risposta)
ο E' un virus che viene neutralizzato facilmente dagli anticorpi dell'uomo
ο E' un virus che ha un arco di vita relativamente breve
ο E' un virus che non riesce a sopravvivere al di fuori dell'organismo umano
Una persona sana può ricevere il virus dell'AIDS da una persona infetta attraverso...:
(anche più risposte)
ο cibi e bevande
ο starnuti o colpi di tosse
ο uso comune di oggetti
ο uso comune di servizi igienici
ο uso comune di siringhe per iniezione
ο baci
ο uso comune di docce e lavandini
ο trasfusioni di sangue
ο strette di mano
ο uso degli stessi mezzi di trasporto
ο rapporti sessuali
ο uso comune del telefono
ο punture di insetti (es.: zanzare)
ο saliva
ο lacrime o sudore
ο vivendo nella medesima abitazione
ESEMPIO DI QUESTIONARIO PER LA VALUTAZIONE DI ATTEGGIAMENTI
Qui di seguito sono riportate alcune affermazioni riguardanti il problema dell'AIDS e quello della
presenza dei bambini sieropositivi nella scuola. Legga una alla volta le diverse affermazioni e per
ciascuna di esse esprima liberamente il Suo grado di accordo (o disaccordo), scegliendo
una solamente delle cinque possibilità di risposta riportate sotto ogni affermazione.
Se nella scuola in cui lavoro fosse inserito un bambino sieropositivo avrei molta paura che egli
possa in qualche modo contagiare anche me.
completamente
d'accordo
ο
abbastanza
d'accordo
ο
incerto
ο
abbastanza
contrario
ο
completamente
contrario
ο
Credo sia utile che i bambini sieropositivi frequentino normalmente la scuola insieme a tutti i loro
coetanei.
completamente
abbastanza
abbastanza
completamente
d'accordo
d'accordo
incerto
contrario
contrario
ο
ο
ο
ο
ο
Se un mio amico o parente mi confidasse di essere sieropositivo io cercherei di
interrompere qualsiasi contatto con lui.
completamente
d'accordo
ο
abbastanza
d'accordo
ο
incerto
ο
abbastanza
contrario
ο
completamente
contrario
ο
Ritengo che, come misura precauzionale, bisognerebbe impedire che un bambino sieropositivo
possa restare quotidianamente a stretto contatto coi bambini sani.
completamente
d'accordo
abbastanza
d'accordo
incerto
30
abbastanza
contrario
completamente
contrario
ο
ο
ο
ο
ο
ESEMPIO DI QUESTIONARIO PER LA VALUTAZIONE DEL COMPORTAMENTO RIFERITO
Ti è mai capitato di provare a fumare?
ο SI
ο NO
Se sì, hai fumato almeno una volta nell'ultimo mese?
ο SI
ο NO
Ti è mai capitato di rifiutare una sigaretta offerta da amici a da altre persone?
(una sola risposta)
ο Sì, l'ho rifiutata almeno una volta
ο No, l'ho sempre accettata
ο Nessuno mi ha mai offerto sigarette
ESEMPIO DI QUESTIONARIO PER LA VALUTAZIONE DI IMPATTO
Lei è a conoscenza del fatto che la nostra USSL quest'anno ha realizzato un progetto di educazione
sanitaria denominato «Stop ai patogeni!», rivolto a barbieri, parrucchieri ed estetisti?
ο lo conosco molto bene
ο lo conosco solo superficialmente
ο l'ho solo sentito nominare
ο non ne ho mai sentito parlare prima d'ora
Ha avuto modo di leggere la guida dal titolo «Occhio al virus», che Le abbiamo inviato nei mesi
scorsi?
ο sì, l'ho letta
ο ho potuto solo sfogliarla
ο non ho ancora trovato il tempo di guardarla
ο non ricordo di averla ricevuta
ESEMPIO DI QUESTIONARIO PER LA VALUTAZIONE DI SUCCESSO PERCEPITO
Complessivamente, cosa ne pensa di questo progetto? Lo giudica una cosa davvero utile?
ο molto utile
ο abbastanza utile
ο poco utile
ο del tutto inutile
Se per ipotesi Lei potesse tornare indietro, sceglierebbe ancora di partecipare a questa iniziativa di
educazione sanitaria?
ο sicuramente sì
ο probabilmente sì
ο probabilmente no
ο sicuramente no
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7. Alcuni principi per un insegnamento efficace
Ecco alcune semplici regole da ricordare quando si insegna sia ad un singolo che ad un gruppo:
• Tenere conto delle conoscenze già possedute dai destinatari: occorre partire dalla conoscenza
che gli altri già possiedono. Se questo aspetto viene sottovalutato si rischia di insegnare cose già
conosciute o, viceversa, di parlare a un livello troppo complesso; per questo è necessario
conoscere il più possibile ciò che gli utenti conoscono.
• Coinvolgere il più possibile le persone: apprendiamo di più e meglio quando siamo attivamente
coinvolti rispetto a quando ci viene semplicemente richiesto di ascoltare o di assistere in modo
passivo.
• Rendere interessante e significativo (dal punto di vista dei destinatari) ciò che intendiamo
comunicare: ciò che si insegna deve essere rilevante per i bisogni e gli interessi e le situazioni in
cui si trova l’utente. Ad esempio: è difficile mettere in relazione la propria situazione personale con
generalizzazioni astratte o con citazioni di dati statistici; è preferibile dire «una persona su dieci»
invece di «dieci milioni di persone in Italia».
• Cercare feedback attraverso la valutazione: E’ fondamentale ottenere il feedback
(informazione di ritorno) sugli effetti prodotti dal proprio insegnamento, cioè capire il più
precisamente possibile cosa i destinatari hanno appreso e come lo hanno appreso, in modo da
apportare tempestivamente tutte le eventuali correzioni necessarie, aumentando così l’efficacia
dell’intervento educativo.
7.1. Indicazioni per svolgere una lezione
E’ ancora abbastanza frequente per gli operatori sanitari fare una lezione tradizionale: se questa viene
condotta in modo unidirezionale presenta dei grossi limiti, in quanto non permette di valutare quanto
le persone apprendono o comprendono e vi è il rischio che ricordino solo una piccola parte dei
contenuti.
Le lezioni e le conferenze possono essere utili per esempio per favorire una sensibilizzazione o una
semplice conoscenza su di un determinato argomento. Molti non leggono libri o articoli né guardano
abitualmente programmi televisivi. Per questo una lezione può rappresentare per i nostri destinatari
un’importante occasione per informarsi o semplicemente per rendersi conto dell'esistenza di un
problema di salute che essi magari non avevano mai considerato.
E’ inoltre un metodo abbastanza economico in termini di tempo, perché l’operatore sanitario può
rivolgersi contemporaneamente a numerose persone. Riportiamo qui di seguito alcuni semplici
suggerimenti per chi intenda tenere una lezione.
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• Controllate i sussidi e gli strumenti che occorrono. Accertatevi che la sede dove dovete
parlare sia idonea. Il giorno della lezione arrivate in tempo utile in modo da poter verificare che
tutto sia pronto e che funzioni correttamente. Se si tratta di una sala di grandi dimensioni servirà
un adeguato impianto di amplificazione. Se avete preparato dei lucidi o delle diapositive da
proiettare, occorrerà accertarsi che presso la sede ove avrà luogo la lezione sia disponibile una
lavagna luminosa o un proiettore per diapositive ed uno schermo di dimensioni adeguate (o, in
alternativa, una parete bianca) ove proiettare le immagini.
• Preparare l’introduzione. Cominciate la vostra lezione con una breve introduzione che - con
poche e semplici parole - aiuti i destinatari a capire qual è lo scopo dell'incontro e l'argomento
che sarà approfondito durante la lezione.
• Preparate una traccia scritta. E’ preferibile parlare seguendo alcune note scritte, o perlomeno
avendo sottomano uno schema che riassuma i principali concetti che intendete comunicare e
l'ordine in cui dovranno essere affrontati. Ciò non significa che si debba esporre leggendo.
Tutt'altro. A meno che non siate oratori eccezionali, in genere una lezione condotta leggendo è
quanto di più piatto e noioso si possa incontrare, non solo perché l'intonazione della voce di chi
legge è in genere assai più monotona di quella che normalmente viene adottata durante la
conversazione, ma anche perché la lettura finisce per impedire quel contatto visivo con gli
interlocutori che contribuisce a tenere alta la loro attenzione. Alcuni passaggi principali del vostro
discorso possono essere utilmente tradotti in semplici schemi da presentarsi su lucido mediante
una lavagna luminosa. Ciò non aiuterà solamente chi vi ascolta ad inquadrare correttamente il
vostro percorso concettuale, ma sarà di aiuto anche a chi parla per non dimenticare nulla di ciò
che ritenete importante.
• Preparare i punti chiave. Scegliete i punti chiave principali da illustrare (non più di tre o
quattro) e costruite la lezione attorno a questi, arricchendo l'esposizione con esempi tratti dalla
vostra esperienza, da ricerche, da notizie di cronaca, e così via.
• Prevedete come concludere. E’ meglio prevedere come concludere la lezione, per evitare di
chiudere affrettatamente o dimenticare qualcosa.
• Chiedere se ci sono domande. Al termine della vostra esposizione è utile prevedere uno spazio
per domande e risposte: ciò vi darà modo di conoscere subito eventuali passaggi o concetti che
sono stati fraintesi, offrendo nel medesimo tempo al pubblico la possibilità di partecipare.
7.2. Tecniche per un’azione educativa a un paziente
Molti studi hanno dimostrato che il paziente vuole informazioni, ma ha difficoltà a comprenderle e
ricordarle. Altre ricerche hanno dimostrato che solo la metà dei pazienti con trattamenti a lungo
termine assume la terapia prescritta.
Le ragioni alla base di questi apparenti fallimenti sono numerose e spesso assai diverse tra loro, ma
sembra ragionevole supporre che parte della responsabilità stia nel modo stesso in cui si danno
33
informazioni, istruzioni e consigli ai pazienti.
Spesso le circostanze sono tutt’altro che ideali, perché i pazienti sono ansiosi o sofferenti, o ancora
perché dietro le loro richieste di informazioni vi è la speranza di sentire confermate le loro convinzioni
o il desiderio di sentirsi dire cose diverse da quelle che ci apprestiamo a comunicare loro. Inoltre, il
tempo a nostra disposizione per dare le informazioni - per esempio un reparto molto affollato o in un
ambulatorio - è sempre molto scarso, per questo è fondamentale informare nel modo più chiaro e
comprensibile possibile.
Si possono usare particolari tecniche nell’educazione al paziente. Eccone qualcuna:
• Dite le cose importanti per prime. I pazienti ricordano più facilmente quello che si dice all’inizio;
pertanto, se è possibile, date i consigli e le istruzioni importanti per prime.
• Date consigli precisi e mirati. Ecco a questo proposito qualche utile suggerimento di cui tenere
conto :
- evitare di dire troppo in una volta sola;
- se le informazioni o le indicazioni da dare sono molte, è meglio prevedere la possibilità di
affiancare alla comunicazione verbale anche volantini, opuscoli o istruzioni scritte che il
paziente può rileggere e consultare in qualsiasi momento;
- evitare di usare una terminologia tecnica e frasi lunghe (il termine «cavo orale», ad esempio,
può essere efficacemente sostituito con la parola «bocca», aumentando la possibilità di essere
compresi senza essere fraintesi);
- assicurarsi che le informazioni siano davvero importanti e realistiche rispetto alla situazione del
paziente;
- ottenere un feedback dal paziente per assicurarsi che abbia veramente capito.
• Se il vostro scopo è quello di migliorare qualche abilità pratica dell’utente o, più semplicemente,
di addestrarlo all'impiego corretto di un ausilio o di una procedura, è più efficace un approccio a
tre stadi:
- dimostrare (far vedere al paziente come si fa),
- far ripetere (chiedere al paziente di elencare a voce le cose da fare),
- far esercitare (chiedere al paziente di provare ad eseguire sotto i nostri occhi le cose da fare).
Ciascuno ha i suoi tempi di apprendimento e ha bisogno di acquisire sicurezza ad ogni fase, per
questo motivo l’insegnamento di tecniche richiede tempo e pazienza.
7.3. Strategie per aumentare la consapevolezza, chiarire i valori,
cambiare gli atteggiamenti
Molte iniziative di educazione sanitaria aspirano a rendere le persone capaci di analizzare
criticamente principi e credenze per costruire un proprio sistema di valori. Questo processo inizia
con lo sviluppo di una maggiore consapevolezza riguardo alla propria salute e continua attraverso
una chiarificazione dei propri valori e interessi, finché questi diventano un aspetto importante del
comportamento di ogni persona.
Per realizzare tutto questo occorre però prevedere un cambiamento degli atteggiamenti. A tal fine
esistono alcune strategie utili, parte delle quali vengono utilizzate in particolare nel lavoro con gruppi,
34
ma anche con i singoli utenti.
La chiarificazione dei valori
Chiarificare i valori dei destinatari significa stimolarli ad analizzare in profondità le proprie convinzioni
ed opinioni su un certo argomento o problema di salute, spingendoli a definire le priorità, cioè a
distinguere l’importanza relativa che ciascuno attribuisce ai differenti aspetti del medesimo problema.
Per esempio, invitando un gruppo di persone a scambiarsi idee e convinzioni riguardo a «cosa
significa star bene per voi», si sollecita i destinatari a divenire più consapevoli delle priorità che essi
attribuiscono alle diverse possibili dimensioni del concetto di «salute», aiutando in questo modo i
destinatari a chiarire il quadro personale di valori che sostiene il concetto di salute a cui ciascuno fa
implicitamente riferimento.
Il metodo delle tesi opposte
Un'altra modalità utilizzabile per aiutare i destinatari a chiarire i propri valori e le proprie priorità su di
un particolare argomento consiste nel ricorso al cosiddetto metodo delle tesi opposte (o del
contraddittorio). Esso consiste nello stimolare un piccolo gruppo di discussione a far emergere e
porre a confronto più punti di vista, anche estremamente differenti tra loro. Per la domanda «Fare un
po' di footing secondo voi è una cosa buona?», alcune tra le tesi opposte potrebbero essere ad
esempio «Correre potrebbe essere pericoloso, solo un atleta ben allenato dovrebbe farlo» e
«Correre fa bene alla salute e tutte le persone dovrebbero farlo per essere in forma».
Il conduttore del gruppo dovrebbe gestire le diverse tesi, avvalendosi di articoli o scritti che lo
sostengono. Egli può anche invitare i destinatari a lavorare a coppie, in cui ciascun componente della
coppia deve comportarsi per tutta la durata dell'esercizio come se avesse assunto completamente
uno dei due punti di vista a confronto, indipendentemente dalle proprie opinioni personali.
Inizialmente ciascuna persona scrive tutti gli argomenti a favore della tesi che si è assunto l'incarico di
rappresentare, senza discuterne con il suo compagno, e dopo qualche minuto è invitato a sostenere
la propria opinione per 15 minuti. Il leader fa un elenco delle diverse posizioni che ciascuna coppia
ha espresso, quindi chiede al gruppo di commentarle e discuterle. In questo modo i componenti del
gruppo hanno modo di prendere in considerazione la gamma completa dei diversi punti di vista. E
questo permette la comprensione delle opinioni altrui, la tolleranza delle differenze, la chiarificazione
dei propri valori, oltre all'opportunità di considerare l'argomento trattato sotto una nuova luce.
Una variante della tecnica sopradescritta (conosciuta anche come gioco del «da che parte si sta»),
prevede che il conduttore presenti due opinioni estreme e contrastanti, e chieda al gruppo di
immaginare che possano essere rappresentate da due punti, A e B, posti alle estremità di una linea
ideale tracciata sul pavimento. Ciascun partecipante viene quindi invitato a collocarsi lungo questa
linea, nel punto che meglio rappresenta la distanza della propria opinione rispetto ai due estremi. Il
leader chiede a ciascuno, mentre prende posizione, di esprimere il proprio punto di vista e agli altri di
non interrompere o commentare finché ciascuno non abbia motivato la propria posizione o di tacere
se scelgono di non partecipare.
I giochi di ruolo (role-playing)
Si tratta si una tecnica di animazione di gruppo particolarmente coinvolgente ed efficace, utilizzata in
una infinità di varianti ed in contesti molto differenti. Nelle sue linee essenziali, questa tecnica consiste
nell'invitare i diversi membri del gruppo a simulare una situazione (es.: un incontro tra amici, una
discussione in famiglia, un incontro tra paziente ed operatore sanitario, ecc...). I diversi membri del
35
gruppo interpretano ciascuno una diversa parte tra quelle in gioco, assumendone il ruolo e
comportandosi come farebbe il proprio personaggio nella medesima situazione, sforzandosi di
identificarsi in esso e di comprendere come ci si sente nei panni del personaggio interpretato.
Analizzare la sfera dei valori e dei comportamenti suscita forte emotività; pertanto la decisione di
ricorrere a tecniche quali il role-playing va valutata con estrema attenzione e, per utilizzarla
proficuamente come metodo di apprendimento, occorre essere stati formati a farlo ed avere
esperienza. Alcuni punti da ricordare sono:
- spiegare chiaramente ciò che si vuole fare, assicurandosi che tutti abbiano capito a cosa serve
l’esercitazione e quali sono i compiti assegnati;
- sottolineare che si è liberi di non partecipare;
- assicurarsi che vi sia un’atmosfera di fiducia, in modo che i partecipanti si sentano liberi e sicuri
per esprimere il loro punto di vista;
- il conduttore, se intende esprimere anche il proprio parere, lo potrà fare solamente alla fine,
dopo che i partecipanti del gruppo hanno avuto la possibilità di pensare da soli;
- prima di lasciare il gruppo, il leader del gruppo dovrebbe assicurarsi che tutti abbiano tempo di
dire ciò che provano e che sia data la possibilità di discuterne.
7.4. Come favorire l'assunzione di decisioni
Gli operatori sanitari si trovano spesso ad interagire con persone che devono compiere scelte
importanti per la propria salute: ad esempio, scegliere a quale tipo di trattamento sottoporsi, oppure
decidere se intervenire o lasciare che le cose seguano il proprio decorso naturale.
La decisione finale spetta naturalmente all’utente, ma l’operatore può aiutarlo, accompagnandolo
attraverso le diverse fasi della decisione, ponendo domande e dando informazioni importanti.
Prendere decisioni, cioè scegliere tra opzioni alternative, è un processo molto complesso e prevede
che gli utenti riescano a:
- definire la propria situazione o problema (non solo in termini razionali, ma anche sul piano delle
emozioni e dei sentimenti personali collegati alla propria situazione problematica);
- stabilire gli obiettivi, cioè ciò che si auspica di ottenere;
- proporre alternative per raggiungere gli obiettivi;
- valutare i pro e i contro, i costi ed i benefici, delle diverse alternative;
- decidere qual è la migliore o la più vantaggiosa.
7.5. Come stimolare una modificazione nei comportamenti
Non è sempre facile tradurre in comportamenti ed abitudini una scelta compiuta sulla base dei propri
valori.
Esistono numerose tecniche e metodi finalizzati a stimolare e sostenere la modificazione di alcuni
aspetti del comportamento. Fra questi:
L’autocontrollo del comportamento
Si può realizzare ad esempio attraverso la registrazione dettagliata e precisa, spesso sotto forma di
36
diario, del comportamento che si intende cambiare. L’obiettivo è quello di aiutare le persone ad
analizzare il proprio schema di comportamento per essere consapevoli di quanto stanno facendo: è il
punto di partenza per acquisire l’autocontrollo. Il diario costituisce una traccia sulla quale registrare i
progressi.
Controllare il proprio comportamento significa rispondere a domande quali:
- Con quale frequenza si manifesta il problema?
- In concomitanza col verificarsi del problema, cosa sta accadendo esternamente (ambiente) o
nell’intimo (pensieri o sensazioni)?
- Quale evento scatena il manifestarsi del problema?
- Cosa succede dopo: quali conseguenze?
L'analisi di costi, vantaggi e gratificazioni
Cambiare il proprio comportamento può avere dei costi anche considerevoli (concreti o soggettivi,
effettivi o semplicemente percepiti): modificare alcune abitudini riguardanti ad esempio il fumo,
l'alcool, l'alimentazione, ecc... comporta costi anche considerevoli (in primo luogo come rinuncia ad
una fonte piacere). Dato che i benefici che possono discendere da tale rinuncia spesso non sono
altrettanto evidenti, immediati e percepibili, la persona interessata può essere aiutata stimolandola a
prestare continuamente la dovuta attenzione alle ripercussioni positive che altrimenti potrebbero
sfuggire, cioè creando in tal modo un sistema di autogratificazione. Alcuni vantaggi, infatti, possono
essere immediati: un percepibile miglioramento delle condizioni di salute, un allargamento dei propri
spazi di autonomia, un miglioramento delle relazioni con gli altri...
Stabilire obiettivi realistici e far percepire i progressi
Per valutare il progresso, e soprattutto per far sì che il nostro interlocutore lo percepisca traendone
gratificazione, occorre registrare i comportamenti e valutare le tappe raggiunte con precisione.
Generalmente, quando il “nuovo” comportamento è stato già adottato da almeno da due o tre
settimane, sono utili anche valutazioni su periodi più brevi.
Se non si raggiunge l’obiettivo, si devono cercare le cause ed eventualmente correggersi:
- L’obiettivo è troppo complesso? Dovrebbe essere rivisto?
- Le gratificazioni sono troppo lontane? Esiste qualche altra fonte di gratificazione immediata e
percepibile, in grado di motivare maggiormente?
- Vi è stato un evento imprevisto o una malattia? Se è così, occorre incoraggiare e continuare a
considerare l’ostacolo come un’esperienza di apprendimento.
- Le altre persone non aiutano? Occorre forse mettere in atto più meccanismi di difesa contro
l’influenza negativa da parte degli altri?
Condividere successi e difficoltà
Cambiare comportamento significa affrontare numerose difficoltà, almeno finché non lo si è acquisito.
Confrontare le proprie idee, i propri sentimenti, i propri problemi (ma anche i propri successi) con un
gruppo, imparando così anche che cosa aiuta gli altri, può risultare una strategia utile.
La modificazione di comportamento dell’utente dipende anche dal modo di porsi di chi lo aiuta. In
altre parole: le persone sono più disponibili a cambiare se l’operatore sanitario - anziché assumere il
ruolo del predicatore o del controllore - si mostra in grado di comprendere, impara a vedere le cose
dal loro punto di vista e accetta i loro valori.
Creare condizioni ambientali favorevoli alle scelte orientate alla salute
37
Le persone non compiono scelte di salute a caso, ma nel contesto del proprio ambiente, con le
inevitabili pressioni e influenze che questo esercita nel favorire od ostacolare il compiersi di ogni
scelta di cambiamento. Alcuni esempi: la presenza di piste ciclabili rende più facile usare la bicicletta,
così come la presenza di contenitori per rifiuti invoglia a tenere la città più pulita o il divieto di fumare
negli ambienti pubblici aiuta la gente ad astenersi dall'accendere una sigaretta. Pertanto si devono
sostenere scelte politiche corrette che creano le condizioni per comportamenti più sani.
Prevedere i tempi di cambiamento
I cambiamenti di comportamento prevedono spesso tempi medio-lunghi ed è poco probabile che un
singolo incontro di educazione alla salute o una singola lezione possano aspirare a raggiungere subito
tale risultato. E’ di fondamentale importanza la cosiddetta attività di follow-up: ad esempio, seguire
nel tempo gruppi di persone che hanno smesso di fumare, con incontri sistematici, può risultare di
estrema efficacia.
7.6. Lavorare con la popolazione: le campagne di educazione alla salute
Le campagne si incentrano su particolari problemi, possono essere organizzate in risposta ad un
bisogno espresso o per aumentare la consapevolezza della popolazione su alcuni problemi. Talvolta
le campagne vengono organizzate su piccola scala, ma ne esistono molti esempi a livello nazionale
oppure organizzate e realizzate dagli operatori con grossi finanziamenti anche pubblici.
Ecco alcune raccomandazioni per condurre una campagna sanitaria efficace su una vasta
popolazione:
-
Avviare una ricerca estesa e sistematica sulle comunità, prima di programmare la campagna,
assicura che questa risponda veramente ai bisogni di salute della popolazione, tenga conto delle
sue opinioni, valori, atteggiamenti e abitudini. Per esempio, è fondamentale stabilire quali sono le
abitudini di consumo di alcool: una campagna di educazione contro l’abuso di superalcolici è
irrilevante se si tratta di una comunità che beve prevalentemente birra.
-
Istituire i servizi di sostegno prima di iniziare la campagna. Centri di consulenza sul consumo di
alcool, per esempio, dovrebbero avere a disposizione personale preparato prima che la
pubblicità, tramite i mass-media, faccia aumentare le richieste di informazioni e di counselling.
-
Prevedere modalità per il monitoraggio e la valutazione sin dal momento della pianificazione
iniziale. E’ un momento che non deve essere lasciato alla fine, quando i dati di base per un
confronto non sono più disponibili.
-
Formare e aggiornare gli operatori sanitari coinvolti nell’attività, in quanto possono essere gli
operatori chiave per un primo contatto con il pubblico.
-
Garantire canali di comunicazione efficaci tra le persone interessate; il coordinatore della
campagna deve avere un ruolo chiave per stabilire e mantenere questi contatti.
-
Definire con chiarezza e precisione i ruoli e le funzioni per tutti coloro che partecipano e fanno
parte dell'organizzazione.
38
8. Organismi e operatori che intervengono nella promozione della
salute
Organizzazioni Internazionali
Il principale organismo internazionale in tema di salute pubblica è senza dubbio l’O.M.S.
(Organizzazione Mondiale della Sanità). L'OMS promuove e sostiene ricerche, dibattiti, confronti,
ed assolve ad una funzione di stimolo nei confronti delle politiche sanitarie nazionali e sulla messa a
punto di strategie, perché la salute non dipende soltanto dalla disponibilità di mezzi tecnici, ma anche
dalle scelte politiche. L'OMS non deve essere considerata come una autorità sanitaria
sovranazionale, bensì come un organismo intergovernativo che fornisce assistenza tecnica ai governi
degli stati membri solo dietro loro richiesta e secondo modalità stabilite dall'assemblea mondiale
dell'O.M.S.
Nel 1977 l'O.M.S. ha stabilito un grande traguardo generale tradotto nello slogan «la salute per tutti
nell’anno 2000». Per il raggiungimento di questa finalità, trentadue stati europei membri dell’OMS
nel 1980 hanno definito 38 diversi obiettivi per l'area europea, impegnandosi a realizzare una politica
comune ispirata al principio della salute per tutti, da attuarsi entro scadenze prefissate.
LA SALUTE PER TUTTI NELL'ANNO 2000:
I 38 OBIETTIVI DELL'O.M.S. PER L'AREA EUROPEA
1. Ridurre le disuguaglianze nei confronti dei problemi della salute.
2. Promuovere tutte le possibilità di vita sana.
3. Vita migliore per gli handicappati.
4. Per l’anno 2000 si dovrebbe aumentare almeno del 10% il numero di anni che le persone
trascorrono senza malattie o incapacità di notevole grado.
5. Per l’anno 2000 non dovrebbero più verificarsi nella Regione Europea casi autoctoni di morbillo,
poliomielite, tetano, tetano neonatale, rosolia congenita, difterite, sifilide congenita e malaria.
6. Prima dell’anno 2000 si dovrebbe ottenere nella Regione Europea che la speranza di vita alla
nascita sia almeno di 75 anni.
7. Prima dell’anno 2000 si deve ridurre nella Regione Europea la mortalità infantile al di sotto di 20 per
1000 nati vivi (in Italia nel 1984 è stata di 11,6 per 1000 nati vivi).
8. Prima dell’anno 2000 la mortalità materna nella Regione Europea deve essere portata al di sotto di
15 per 100.000 nati vivi (in Italia il tasso è stato per il 1983 di 9,8).
9. Prima dell’anno 2000 nella Regione Europea la mortalità per malattia dell’apparato circolatorio negli
individui di età inferiore ai 65 anni deve essere ridotta almeno del 15%
10. Prima dell’anno 2000 nella Regione Europea si deve ridurre negli individui di età inferiore ai 65 anni
la mortalità per tumori almeno del 15%.
11. Prima dell’anno 2000 nella Regione Europea le morti dovute ad incidenti dovrebbero essere ridotte
di almeno il 25% intensificando gli sforzi per diminuire gli incidenti del traffico, domestici e del
lavoro.
12. Inversione della tendenza all’aumento dei suicidi e tentati suicidi.
13. Scelta ad una politica pubblica conforme agli imperativi della sanità.
14. Per 1990 gli Stati membri dovrebbero avere programmi specifici per valorizzare maggiormente i ruoli
della famiglia e degli altri gruppi sociali nello sviluppo e sostegno di stili di vita sani.
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15. Per il 1990, tutti gli Stati membri devono aver diffuso tra le loro popolazioni, mediante azioni
educative appropriate, le conoscenze, i comportamenti e le motivazioni necessarie per
l’acquisizione e la conservazione della salute.
16. Promozione di comportamenti positivi per la salute, particolarmente per alimentazione, astensione
dal fumo, attività fisica e buona gestione degli stress.
17. Ridurre i comportamenti pregiudizievoli per la salute, specialmente: abuso di alcool, farmaci,
droghe, sostanze chimiche, nonché guida pericolosa e comportamenti violenti.
18. Adozione di politiche multisettoriali per proteggere l’ambiente.
19. Sorvegliare, valutare e limitare i rischi ambientali.
20. Approvvigionamento di acqua sufficiente e potabile e diminuzione dell’inquinamento delle acque.
21. Protezione delle popolazioni dall’inquinamento dell’aria.
22. Miglioramento dell’igiene degli alimenti.
23. Per il 1995 tutti gli Stati membri devono sopprimere i principali rischi per la salute riconosciuti come
connessi alla eliminazione di rifiuti pericolosi.
24. Disponibilità di abitazioni e agglomerati urbani più sani e sicuri.
25. Protezione efficace dai rischi connessi con il lavoro.
26. Per il 1990, tutti gli Stati membri debbono aver istituito, grazie ad una rappresentanza effettiva della
comunità, sistemi sanitari fondati sull’assistenza sanitaria di base (o primaria), sostenuta
dall’assistenza sanitaria secondaria e terziaria, secondo lo schema definito nella conferenza OMS di
Alma-Ata.
27. Adozione di una distribuzione razionale e preferenziale delle risorse destinate alla sanità per fornire
servizi strutturalmente, economicamente e culturalmente accetti alla popolazione.
28. Per il 1990, il sistema di assistenza sanitaria di base di tutti gli Stati membri deve assicurare una
larga gamma di servizi di promozione della salute, di cura, di riabilitazione e di sostegno per
rispondere alle necessità sanitarie essenziali, delle popolazi oni riferendosi particolarmente agli
individui e gruppi ad alto rischio, vulnerabili e meno assistiti.
29. Cooperazione, per le prestazioni dell’assistenza sanitaria di base, tra operatori sanitari, individui,
famiglie e gruppi comunitari.
30. Coordinamento delle risorse comunitarie per l’assistenza sanitaria di base.
31. Istituzione di meccanismi efficaci per assicurare la qualità dei servizi sanitari.
32. Per il 1990, tutti gli Stati membri devono aver formulato una strategia della ricerca per stimolare studi
aventi lo scopo di applicare ed aumentare le conoscenze necessarie a sostenere le attività in favore
della “salute per tutti”.
33. Per il 1990, tutti gli Stati membri devono assicurarsi che le loro politiche e strategie sanitarie siano
in accordo con i principi della “salute per tutti” e che i testi legislativi e regolamentari nazionali ne
rendano effettiva applicazione in tutti i settori della società.
34. Adozione di un sistema di programmazione e gestione che implichi la partecipazione delle comunità
ed una destinazione preferenziale delle risorse allo sviluppo sanitario.
35. Istituzione di un sistema di informazione sanitaria adeguato.
36. Pianificazione, formazione ed utilizzazione del personale sanitario conformemente alla politica della
“salute per tutti”.
37. Disponibilità per il personale sanitario e dei settori connessi, di formazione ed informazione
sanitaria adeguate.
38. Istituzione di meccanismi ufficiali adeguati per una valutazione della tecnologia sanitaria.
Il livello governativo nazionale
Allo Stato sono affidate funzioni di indirizzo e coordinamento. Con la legge 833 (Legge di Riforma
Sanitaria) del 23 dicembre 1978 è stato istituito il Servizio Sanitario Nazionale (SSN). E’ compito
40
dello Stato attuare il Servizio Sanitario Nazionale con le Regioni e con gli enti territoriali locali.
La legge 833 considera l’educazione sanitaria il primo degli obiettivi del SSN: essa infatti assume
come primo obiettivo «la formazione di una moderna coscienza sanitaria sulla base di una adeguata
educazione sanitaria del cittadino e della comunità» (art. 2). Ma anche nell’enunciazione dei
successivi obiettivi si evidenzia una grande attenzione alla prevenzione e alla promozione della salute.
Nei decreti legislativi successivi sulla riorganizzazione del SSN non viene esplicitamente ripresa e
riaffermata la centralità della promozione della salute, ma questo non significa che gli obiettivi
affermati dalla 833 non rimangano in vigore. Solo nell’articolo 14 del Decreto 502 (del 1992) e 517
(del 1994) che parla dei diritti dei cittadini-utenti si parla di formazione che sembra, tuttavia, più
orientata a far conoscere quanto e come agiscono i servizi, che a conferire al cittadino competenze
per promuovere e proteggere la propria salute.
Le competenze sono così suddivise:
Lo Stato determina gli obiettivi della programmazione sanitaria, nell’ambito della programmazione
economica nazionale. L’autorità di riferimento è il Ministero della Sanità.
Per quanto riguarda l’educazione alla salute anche altri ministeri, come quello della Pubblica
Istruzione o dell’Ambiente, hanno interesse, competenze e responsabilità per svolgere interventi di
educazione alla salute. Ricordiamo, ad esempio, alcune iniziative promosse direttamente dal
Ministero della Sanità, come le campagne nazionali contro il fumo di tabacco, contro la droga e più
recentemente contro l’AIDS .
I Provveditorati agli Studi, organi periferici provinciali del Ministero della Pubblica Istruzione,
dispongono di un proprio Ufficio per l'Educazione alla Salute, a cui spetta la funzione di coordinare e
promuovere le iniziative realizzate a livello di tutti gli istituti e scuole di ogni ordine e grado. Come
articolazione periferica del Ministero dell'Interno, anche le Prefetture hanno compiti di promozione di
iniziative nei confronti della popolazione, soprattutto per quanto attiene alla protezione civile.
Altri organismi a livello nazionale, espressione di Ministeri o di altre agenzie autonome, esercitano
funzione di approfondimento e di orientamento della popolazione in materie diverse, tutte concorrenti
a favorire l’educazione alla salute: il Consiglio Sanitario Nazionale, l'Istituto Superiore di Sanità, il
Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), ecc....
Il livello regionale
Le Regioni hanno compiti di legislazione, di indirizzo e di programmazione degli interventi sul loro
territorio. Alle Regioni compete la formulazione dei Piani Sanitari Regionali, di durata triennale, in
base alle indicazioni espresse a livello nazionale.
Nell’ambito dell’educazione sanitaria svolgono funzioni di programmazione generale, di riferimento
tecnico-metodologico ed effettuano specifici interventi su particolari problemi. Ciò è particolarmente
importante in considerazione del fatto che in sede regionale affluiscono e vengono elaborati i dati
epidemiologici provenienti dalla rilevazione da parte delle USL.
Le Aziende Sanitarie Locali
Le Aziende Sanitarie Locali (ASL) costituiscono la struttura fondamentale di erogazione delle
prestazioni sanitarie e svolgono specifici interventi di educazione e orientamento alla salute.
L’educazione sanitaria è una funzione che viene esercitata dalle équipe dei distretti, in cui si articola
l’ASL. Il modello di organizzazione dell’educazione sanitaria prevede la conduzione di attività
educative integrate (tra i servizi) ed intersettoriali (con istituzioni e organizzazioni esterne alla ASL).
Le azioni di educazione sanitaria rappresentano quindi un compito di tutti i servizi della ASL.
41
Gli Enti Locali
Le Amministrazioni Comunali e Provinciali formano il tessuto istituzionale più a diretto contatto con i
cittadini, con competenze di gestione diretta del proprio territorio sulla base delle normative e
secondo le risorse che lo Stato e le Regioni loro attribuiscono. Con le loro iniziative di tutela del
territorio e della popolazione e anche con l’assunzione di specifici interventi di educazione e
orientamento alla salute, sono elemento indispensabile per qualsiasi azione rivolta alla tutela del
cittadino e del territorio nel suo complesso.
L’Associazionismo di qualsiasi natura e con qualsiasi obiettivo ha una funzione primaria, come
espressione di libera e democratica attività dei cittadini, sia per obiettivi del tutto privati che per
svolgere azioni di tutela, di assistenza e di affermazione di determinati valori.
L'infermiere professionale e l'educazione sanitaria
Un ruolo preminente è sicuramente giocato dall’infermiere professionale, sia in ospedale che a
domicilio.
• In ambito ospedaliero l’educazione sanitaria presenta peculiarità indiscutibili rispetto ai soggetti,
ai contenuti e ai metodi. Essa comprende, ad esempio, tutte le iniziative realizzate per favorire e
sostenere la compliance (collaborazione) del paziente, sia in termini di terapia che di riabilitazione
e una parte di informazione connessa al diritto dei pazienti di conoscere ciò che viene loro
praticato.
L’ospedale è la struttura che oggi impegna la maggior parte del personale infermieristico.
L’attività educativa dell’infermiere può portare un contributo assai notevole all’efficacia dei
trattamenti nel periodo della degenza e all’evoluzione delle condizioni sanitarie del paziente dopo
la dimissione.
Infatti, quanto più il malato viene aiutato a rendersi conto delle caratteristiche della malattia che lo
ha colpito e degli scopi che si propone il trattamento, tanto più potrà collaborare al buon esito di
questo, contribuendo con il proprio comportamento ad accelerare il superamento della malattia
stessa. Egli, inoltre, potrà rendersi anche conto delle eventuali cause comportamentali ed
ambientali che hanno contribuito a farlo ammalare, e quindi delle possibilità che gli si offrono per
l’avvenire per non ricadere o, quanto meno, per non aggravare le sue condizioni di salute.
Inoltre sono molto importanti i contatti che l’infermiere avrà realizzato nel periodo di degenza con
i familiari del malato, informandoli adeguatamente, in modo che questi possano assumere
successivamente la loro parte di responsabilità per il buon esito del decorso.
L’ospedale è una istituzione sanitaria che può, per competenza, prendersi il carico della diffusione
di informazioni sanitarie, sia a livello di degenza che di poliambulatori. Ad esempio gli ambulatori
per diabetici o cardiopatici dovrebbero essere in gran parte unità di educazione sanitaria.
• Nel Distretto socio-sanitario di Base la funzione infermieristica e con essa l’azione educativa
raggiunge il massimo della sua importanza, autonomia e possibilità di iniziativa personale. E’ sul
territorio, dove la popolazione vive e lavora, che è possibile stabilire un rapporto permanente fra
cittadino e servizi sanitari (e sociali) e ottenere anche la partecipazione e la responsabilizzazione
della popolazione alla difesa della salute.
All’infermiere può essere affidato il raccordo capillare ed il contatto continuo con le famiglie e con
i singoli cittadini e, soprattutto, con quelli che tra essi che più abbisognano di assistenza, come i
bambini, le gestanti, gli anziani, gli inabili.
Nel territorio, l’intervento educativo non si realizza solo nei contatti individuali con i singoli pazienti
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negli ambulatori, ma può riguardare - di concerto con l'équipe distrettuale - veri propri progetti di
educazione sanitaria rivolti a particolari gruppi di popolazione nei confronti di problemi emergenti
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44
& Cosa leggere per saperne di più
Per coloro che intendessero approfondire ulteriormente i temi della promozione della salute e
dell'educazione sanitaria nei suoi vari aspetti, vengono offerti qui di seguito alcuni riferimenti
bibliografici.
Tutte le opere elencate sono disponibili per eventuali consultazioni e prestiti presso il Centro Servizi e
Documentazione in Educazione Sanitaria delle Azienda Sanitaria Locale di Mantova (Viale Piave,
28 - Mantova ( 0376-334031).
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