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QUI - Communitas
Communitas, n. 2 (2012)
ISSN ON LINE 2280-3645
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Marco Dotti
Vanità capitali. Dialogo con Geminello Alvi
l capitalismo, scrive Geminello Alvi, «fa sembrare ovvio l’assurdo, ovvero che lo Stato possa stampare
le sue cambiali, chiamarle denaro, quindi farle circolare senza bisogno che alcun banchiere le sconti. E
per di più, dagli anni settanta, senza alcuna copertura aurea» (Il capitalismo. Verso l’ideale
cinese, Marsilio, Venezia 2011, p. 290). Quando maneggiamo denaro, ci ritroviamo tra le mani
soltanto filigrane «a saldo delle quali sta solo il debito statale» . Attraverso questo non senso, prosegue
Alvi, «si è pervertito il capitale, falsata l’occupazione e l’intera struttura dei tassi di interesse. Mentre il
denaro è spirito e richiederebbe libertà dallo stato».
Communitas: Professor Alvi, ci troviamo oggi davvero nel vortice di una nuova Grande Depressione?
O è la coda lunga, per usare un termine alla moda, di qualcosa che origina molto in là e non avevamo
pienamento compreso?
Geminello Alvi: La Grande Depressione giunse perché il capitalismo
non riuscì a ottenere un reddito medio pro-capite abbastanza alto per
reggere consumi che sono diventati opulenti, ossia il lusso di massa.
Era il sogno che si declinava nella figura del Grande Gatsby, un
sogno tra l’altro sviluppato attraverso l’industria del tempo – cinema,
Walt Disney e via discorrendo. Un’industria che vendeva sempre più
un’immagine del mondo, non un prodotto. O, per meglio dire,
vendeva un prodotto legato a un’idea di uomo. La Grande
Depressione giunse quindi perché il vecchio capitale, la vecchia
organizzazione, il vecchio mondo – la prima fase del capitalismo, se
così la vogliamo chiamare – non riusci a reggere questa
strutturazione del superfluo. Poi arriverà una grande guerra e questa
strutturazione del superfluo diventerà possibile. Ora impatta di nuovo.
Quando analizzai tutto questo nel mio lavoro Il secolo
americano (Adelphi, 1993) lascia tuttavi aperti non pochi problemi.
Come definire il capitalismo? Come definire il capitale? E questa
produzione del superfluo cos’è? E l’io umano, cos’è? Il mio ultimo libro, Il capitalismo. Verso l’ideale
cinese nasce come tentativo di mettere a fuoco queste domande, dopo anni di lavoro e studio, e anche
di esercizio di scrittura sui quotidiani. Con due questioni ulteriori. Prima questione: non devo avere
paura. Devo avere il coraggio di andare oltre, rispetto a quello che ho scritto, detto, pensato. Devo
abbandonare tutto e magari buttarmi anche nei vicoli ciechi. Seconda questione: non avendo, per vari
motivi, i mezzi di prima, forse le energie, il libro ha preso una forma sua. Una forma che, se dovessi
riscriverla oggi, si chiuderebbe con una parte sull’euro, mostrando come sia un affaire insolubile.
Communitas: Ci spieghi perché la qualifica come insolubile, mentre molti vedono – magari è solo
retorica –l’attuale crisi come un mero intoppo in un percorso irreversibile, quello della moneta unica
europea…
Communitas, n. 2 (2012)
ISSN ON LINE 2280-3645
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Geminello Alvi: Insolubile perché i burocrati europei lasciano aperti i movimenti di capitali, non hanno di
fatto una moneta e pretendono attraverso una banca centrale di far fronte a una crisi di tale portata…
Questo significa che sono andati oltre la moneta cartacea. Se gli USA hanno armi e bombe, e hanno
uno Stato, la burocrazia europea ha una idea di sé, per cui pretende che dinanzi alle proprie scemenze
i mercati reagiscano o il buon senso reagisca adeguandosi. Un po’ come l’Unione Sovietica che diceva
“non hai mangiato, però è come se avessi mangiato”. L’esperienza europea, non avendo esercito, non
avendo vera potenza è ancora più emblematica di questa perdita nel sogno del capitalismo.
Communitas: E la Cina che posizione ha rispetto a questo processo?
Geminello Alvi: Lì c’è un mercantilismo duro e puro, dove c’è uno Stato che controlla completamente i
movimenti di capitale e c’è una fase – tipicamente mercantilista – di conquista delle posizioni. Posso
fare il liberismo quando sono arrivato all’egemonia, ma per arrivarci devo fare esattamente quello che
stanno facendo i cinesi, con l’assenso degli Stati Uniti, finché i due non confliggeranno. Ma ancora per
molto non confliggeranno. La Cina è un misto di prepotenza mercantilista e di assurdità, basti pensare
alle banche cinesi. Banche che se fossero nella stessa condizione di quelle europee avrebbero
problemi tripli, poiché è tutto falso. Abbiamo biasimato a lungo l’Iri e il sistema delle partecipazioni
statali, in Italia. Ma la Cina è esattamente questo, applicato su scala mondiale. Osservando la Cina il
nesso tra capitalismo e Stato diventa chiaro e si chiude.
Communitas: C’è un’alternativa a questa deriva omologante del capitalismo che, nella Cina,
parafrasando John Stuart Mill, trova il proprio ideale realizzato?
Geminello Alvi: Piccole comunità, piccole federazioni che rispetto al numero, facciano valere l’ “io”.
Dovremmo creare delle isole di comprensione, di comunità, di bontà. E di efficienza. Gli elementi di
dono andrebbero accordati con elementi di efficienza economica, come avviene in certe nazioni del
nord europa che sono state più abili di noi nel farlo. E se lo hanno fatto – penso alla Norvegia –
attraverso un meccanismo statale, l’hanno fatto con nessi comunitari ancora molto forti. Nessi che però
lo Stato giuridico contraddice. Nel caso italiano, dovremmo tener conto che noi abbiamo delle tradizioni
municipali – come diceva Gianfranco Miglio – non minori di quelle della confederazione svizzera.
Dovrebbero crearsi delle forme di confederazioni comunitarie, olivettiane che diventino l’unica risposta
che il numero non può dare, ai numeri del capitalismo di Stato cinese.
Communitas: Un regno della qualità, contrapposto a un regno della quantità…
Geminello Alvi: Con tutte le cautele del caso, perché è chiaro che questo porterebbe a un ulteriore
indebolirsi degli Stati. Ma va subito detto che questo indebolirsi degli Stati è già in atto. Quando ci sono
interi Stati messi sotto tutela da una banca centrale, non servono certo movimenti antistato per far
vacillare tutto…
Communitas: Gli Stati tutt’al più servono per un apparato di controllo sociale che, bene o male, ancora
mantengono…
Geminello Alvi: È quello che sta succedendo in Italia. Una manovra così sconnessa, così folle che
nessun governo né di destra, né di sinistra poteva permettersi, il tutto in un disegno dove è chiaro che
l’euro è spacciato… Perché? Per quale ragione se non per assecondare il delirio di burocrati e di
banche?
Communitas, n. 2 (2012)
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Communitas: Il berlusconismo, in questo, sembra essere stata davvero una parentesi. Un brutto sogno
tra due incubi…
Geminello Alvi: Il berlusconismo è stato l’appalto di un grande sogno, ma contrapposto a lui c’era la
vecchia versione dello Stato centralizzato e serio al di là del sogno. I burocrati, invece, vendono non un
sogno, ma un’idea che è completamente perdente e, in più, sono dei dilettanti. Scoprono in ritardo il
mercato, mettono in piedi una moneta completamente finta e si immaginano un’esperienza sovietica
con l’euro. Un’esperienza che si lega alla catastrofe dell’unica cosa che darebbe dignità alla sinistra,
ovvero la protezione dei redditi. I redditi non vengono più protetti, ma vengono protetti degli interessi di
giustizia generale legati a uno Stato sovietico che gestisce una moneta assurda al quale si delega il
proprio futuro, sulla base di un ragionamento completamente senile. Senile perché è il ragionamento di
chi ha fatto la guerra, ma che non ha senso per chi ha trent’anni.
Communitas: Nel suo ultimo libro, lei parla di un asse tedesco-russo come possibile via di uscita da
questa impasse…
Geminello Alvi: Un asse fuori dalla democrazia, lo capisco. La democrazia, con le masse, è
effettivamente un problema. Il voto ha senso in una comunità, ma come punizione. Il voto è sempre una
sconfitta, è un punto in cui la comunità non è riuscita ad amalgamare consenso. Se ci sono delle
decisioni che provocano un dissenso consistente di una minoranza, quelle decisioni non devono essere
prese, purtroppo o per fortuna. Invece qui, la maggioranza è il numero, ma un numero applicato fuori
posto perché applicato a questioni dove la verità è messa a maggioranza. Ma se non c’è una verità, nel
gruppo o nella comunità, tutto crolla. L’euro nasce dalla volontà di creare una finta verità. E nasce dalla
paura dei tedeschi. La Teatcher aveva invece capito che questo sistema rimetteva la Germania al
centro…
Communitas: Anche la Svizzera, in fondo, potrebbe essere un’alterativa, non crede?
Geminello Alvi: Sì, anche se ha perso molto. Ma il fatto che gli altri ce l’abbiamo molto con la
Confederazione, ce la rende simpatica. La Svizzera che cos’è se non un insieme di municipi, come
quelli che avevamo qui in Italia prima che una sciagurata riforma cercasse, maldestramente, di
migliorare il tutto, scombinandolo? Dovremmo valorizzare le piccole comunità, legandole con nessi di
dono e di libertò, invece che con nessi di ideologie puà essere un punto di partenza. Tanto il mondo si
sta guastando da sé, non lo guastano certo le nostre idee.
Communitas: Eppure molti nessi comunitari sono stati distrutti.
Geminello Alvi: Questo non è in sé un male. Lo spirito ha
bisogno di forme sempre nuove, purché si lasci libertà di
nascere a queste forme. Si lascino libere le persone di pensare
a nuove forme. La comunità va continuamente ripensata a
partire da relazioni personali, locali, minime dove è impossibile
che certe relazioni di mutuo soccorso, di dono o scambio
virtuoso non accadano. La burocrazia europea ha spinto in
tutt’altra direzione. In questo, il grande tema della sussidiarietà
è stato un modo per dire il contrario, applicando un sistema piramidale. Noi dovremmo uscire dalla
logica perversa di dipendenza, anche in absentia, dallo Stato valorizzando gli elementi di dono, di
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libertà individuale. I nessi vecchi sono finiti, serve il coraggio di sperimentare nessi nuovi. Oppure…
Oppure finisce come in Cina, con uno Stato che amministra l’emergenza ecologica, l’emergenza
economica e ti dice quello che devi fare.
Communitas: Come si colloca, qui, il grande tema da lei studiato del free banking?
Geminello Alvi: Nel free banking non c’è più monopolio della banca centrale, ma si regolano per non
emetterne troppa per lo stesso motivo per cui, se vai in una banca, la banca non ti sconta volentieri gli
assegni delle altre banche. Un meccanismo semplice che potrebbe funzionare e garantirebbe delle
monete coperte da un’etica mercantile, da attività. Invece adesso da cosa è coperto il denaro? Dal
debito pubblico. E da cosa è coperto il debito pubblico? Da altro denaro stampato dalle banche. Le
banche all’attivo cos’hanno? Hanno titoli pubblici. E la BCE all’attivo cos’ha? Gli attivi della BCE sono
attivi di banche che a loro volta hanno titoli pubblici all’attivo. È un meccanismo di menzogna pura. E il
passivo dov’è? Almeno una volta si controllavano i movimenti di capitale e si rendeva funzionale questa
menzogna agli equilibri di crescita, oggi nel non controllarli più si sono creati degli assurdi logici e
ideologici che hanno prodotto la catastrofe che è sotto gli occhi di tutti. Le banche centrali – pensiamo
alla Federal Reserve, alla fondazione della quale conseguono i due più grandi disastri del Novecento –
bloccando il free banking di fatto trasferiscono potere allo Stato centrale che, a sua volta, lo trasferisce
alle oligarchie venali. La riforma del capitalismo è un compito conoscitivo che richiede il ripensamento
totale delle istituzioni bancarie, delle istituzioni politiche, di tutto ciò che crediamo scontato e ovvio. E
non è un compito affrontabile in termini di schemi di equità o preconcetti. Schemi che poi vanno trovati,
ma prima bisogna ripensare tutto, con un equilibrio che corrisponda a un equilibrio interiore dell’uomo,
alla sua capacità di pensare, di agire, di sentire. Al suo gesto.
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