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Porti e approdi antichi in Basilicata
Liliana Giardino PORTI E APPRODI ANTICHI IN BASILICATA Per la conformazione geografica di mare chiuso ‘in mezzo a terre’, ma in cui anche le terre sono circondate dal mare, le acque del Mediterraneo rappresentano senz’altro l’ambito in cui è stata raggiunta la massima osmosi tra terra e mare e tra ‘generi di vita’ tra loro diversissimi. P. Poccetti Per chi svolge la propria attività economica sui mari, gli approdi e i porti rappresentano due forme di contatto con la terraferma funzionalmente diverse. I primi offrono infatti un ancoraggio di breve durata, collocato all’interno di insenature naturali di piccole dimensioni, solo parzialmente riparate dai venti e spesso accessibili unicamente dal mare. Essi costituiscono quindi dei rifugi per lo più occasionali, utilizzati per breve tempo e talvolta senza facili contatti con il retroterra abitato. I porti, invece, sono dei luoghi di sosta fissi e prestabiliti, distribuiti lungo una rotta marittima sistematicamente frequentata per scopi commerciali. Collocati per lo più all’interno di bacini naturali molto ampi e ben protetti, essi appaiono costantemente dotati delle infrastrutture necessarie per garantire la vendita e lo scambio delle merci, l’approvvigionamento alimentare per gli equipaggi, e le eventuali riparazioni per le navi. Contestualmente, per chi opera in forma stabile in un territorio, soltanto i porti rappresentano i luoghi di raccolta e di stoccaggio dell’attività produttiva locale, nonché il punto di riferimento di altri itinerari commerciali, a percorso terrestre. Queste brevi considerazioni, per quanto ovvie, sono necessarie per evidenziare come l’esistenza e la funzionalità di una struttura portuale siano sempre fermamente collegate ad alcuni presupposti ben precisi: la capacità produttiva e ricettiva di un territorio e il suo inserimento in una rete commerciale ad ampio raggio; la presenza di una popolazione locale dotata di una organizzazione politica ed economica capace di creare un luogo di approdo e di garantirne il funzionamento; la possibilità di fruire di una rete viaria che consenta un’ampia e rapida circolazione delle merci verso l’entroterra1 . Attività produttive e rotte commerciali hanno quindi il loro punto di incontro strutturale e topografico nel porto, che inevitabilmente diventa anche luogo d’incontro tra popoli e culture diverse. Lo stretto legame che si stabilisce tra porto e territorio retrostante consente di comprendere perché le attestazioni e i segnali relativi a questa attività economica possano essere molteplici e di diversa provenienza. Più in particolare, esaminando le evidenze relative al mondo antico, si comprende come l’esistenza di un’area portuale sia documentata dalla testimonianza delle fonti letterarie o dal ritrovamento delle strutture materiali (moli, magazzini), ma possa anche essere indiziata da altri elementi, quali una particolare diffusione di prodotti di importazione, o una significativa distribuzione degli insediamenti in stretto rapporto spaziale con la fascia costiera e con la viabilità a lunga percorrenza. Un rapido sguardo alla terminologia marittima antica consente infine di apprezzare, da 175 un lato, la varietà lessicale con la quale i Greci hanno distinto i diversi tipi di approdi ancoraggio (ormos), rada posta al riparo dal vento (limen) - e di infrastrutture - moli (cho mata), arsenale (neorion); dall’altro, l’unicità del termine portus nella lingua latina. Quest’ultimo si carica tuttavia del significato pregnante di ‘porta’, in quanto luogo di accesso ad un territorio, recuperando anche l’importante ruolo della navigazione fluviale2. 1. L’attuale sviluppo costiero della Basilicata appare molto modesto, soprattutto se confrontato con quello delle regioni confinanti (Puglia, Calabria, Campania). Esso si riduce infatti a poco meno di 50 km., quasi equamente suddivisi tra il versante ionico e quello tirrenico. Quest’ultimo presenta una costa alta e rocciosa, ricca di piccole insenature idonee a ripari temporanei più che a sicuri e stabili approdi (fig. 118). L’unico porto oggi presente sul tratto tirrenico è quello di Maratea, potenziato artificialmente e destinato soprattutto a una frequentazione turistica, e quindi stagionale. I collegamenti tra la costa e l’interno risultano scarsi e difficoltosi: essi si limitano allo stretto fondovalle del Torrente Fortino e ad un’unica strada di montagna. Entrambi i percorsi procedono affiancati e conducono alla zona di Lauria e all’alta valle del Noce. Il fronte marittimo occidentale della Lucania antica era invece molto più esteso, e dalla foce del fiume Sele giungeva fino a quella del Lao, comprendendo quindi tutto l’attuale Cilento. Un aspetto geografico del tutto diverso caratterizza la fascia ionica. Bassa e sabbiosa, essa presenta un profilo quasi rettilineo, privo di baie o di insenature naturali. La sua scarsa pendenza verso il mare e i continui apporti alluvionali dei 5 fiumi che l’attraversano Bradano, Basento, Cavone, Agri e Sinni - la rendono inoltre particolarmente predisposta a fenomeni di impaludamento costiero e di insabbiamento delle foci (fig. 119). E in effetti, prima delle opere di bonifica realizzate con la Riforma Agraria degli anni ’50, gli acquitrini e la malaria erano ampiamente diffusi in questo settore della regione3 . Nessuno tipo di approdo è oggi presente nell’arco compreso tra Metaponto e Nova Siri, e alcune probabili cause di questa assenza vanno forse individuate nella vicinanza della grande area portuale di Taranto e nel modesto stimolo industriale e turistico della zona. L’aspetto antico della costa ionica non era certamente molto diverso dall’attuale: in età augustea essa viene infatti definita ‘priva di rade’ (alimenos) dal geografo Strabone (VI, 3,1). Nonostante queste caratteristiche geografiche il comprensorio ionico presenta, diversamente da quello tirrenico, condizioni ambientali particolarmente idonee all’insediamento umano e alla produzione agricola4 , nonché una rete naturale di collegamenti che consentono un agevole, e quindi rapido contatto sia con l’interno della Basilicata che con le altre regioni dell’Italia meridionale. Una serie di terrazze collinari, disposte secondo un allineamento quasi parallelo alla costa, «rappresentano un coronamento ed una frontiera naturale dell’arco ionico»5 , che è attraversato da cinque fiumi nel breve spazio di 35 km. Essi nascono ad una distanza di più di 100 km. dalla linea di costa e le loro ampie vallate rappresentano altrettante vie naturali di collegamento tra il mare Ionio e l’area montuosa interna. Quest’ultima, inoltre, non rappresenta mai il punto terminale degli itinerari provenienti dalla fascia costiera: il passaggio in altre vallate fluviali consente infatti di utilizzare ancora dei percorsi naturali fino a raggiungere l’Adriatico (Ofanto) e il Tirreno (Marmo-Platano e Sele). E in effetti, con la sola eccezione del Cavone, la viabilità moderna utilizza e potenzia questa rete di collegamenti naturali: strade di fondovalle partono dalla costa ionica e risalgono il percorso di ciascun fiume fino al Potentino 176 Giardino fig. 118. Maratea. Costa tirrenica 177 (Bradano e Basento), al Vallo di Diano (Agri), o al Lagonegrese (Sinni), per poi immettersi in una viabilità a lunga percorrenza (autostrade Napoli-Bari e Salerno-Reggio Calabria). Il quadro viario del comprensorio è poi completato dalla SS. 106 ionica, asse di raccordo trasversale tra le vie di fondovalle fluviale, ma anche importante strada di collegamento tra la Puglia e la Calabria. Anche per quest’ultima è documentata una lunga continuità d’uso, che ha sicuramente inizio in età antica6 . Gli attuali limiti regionali della Basilicata sull’arco ionico (il Bradano a nord e il Sinni a sud) coincidono con quelli della Lucania antica. Questo rapido confronto tra i due settori costieri della Basilicata evidenzia come la costa ionica, nonostante risulti priva di porti naturali e poco idonea alla creazione di strutture artificiali, sia però dotata di un potenziale viario naturale, che le consente di stabilire facili e rapidi contatti con gli altri mari, attraversando l’interno della regione. E in effetti, come vedremo tra poco, la documentazione archeologica ci consente di affermare che a partire dell’età preistorica e fino al VI secolo d.C. il comprensorio ionico ha rappresentato un luogo di incontro e di intensi scambi (commerciali e culturali) tra i navigatori provenienti dal Mediterraneo centrale e orientale e le popolazioni che, nei diversi periodi storici, hanno occupato la zona costiera della Lucania e la sua area montuosa interna. 2. Durante le diverse fasi dell’età del Bronzo (II millennio a.C.), la Basilicata appare inte178 fig. 119. Metaponto. Ripresa aerea obliqua dal mare Giardino ressata da una rete diffusa di piccoli insediamenti, che sembrano poi avere un punto di riferimento topografico, economico e politico in alcuni siti ‘maggiori’: Toppo Daguzzo, nel Melfese, Timmari nel Materano, e Santa Maria d’Anglona nel comparto meridionale, quasi a ridosso della costa ionica, sono quelli individuati finora dalla ricerca archeologica7. Ubicati sempre in punti strategici rispetto alla viabilità naturale, questi abitati si distinguono per la lunga continuità di vita e per una ben documentata apertura a scambi e contatti culturali con altri gruppi esterni. Tombe ‘monumentali’ e beni di prestigio (ambra, quarzo, pasta vitrea, metalli, ceramiche di provenienza egea) denotano la presenza di una società articolata, con alcuni nuclei familiari che occupano una posizione sociale elevata e che verosimilmente controllano e gestiscono la circolazione dei diversi prodotti nelle aree interne 8. All’interno di questo quadro generale, un ruolo del tutto particolare sembra poi svolto dal comprensorio ionico 9. In primo luogo, di contro all’unico insediamento del Bronzo medio finora segnalato sul Tirreno (Maratea, Capo La Timpa10), esso risulta caratterizzato dalla presenza di numerosi siti, posizionati sulle terrazze che accompagnano la parte terminale delle vallate fluviali e che si dispongono a una certa distanza dalla linea di costa, quasi seguendo uno stesso allineamento: Tursi tra il Sinni e l’Agri, Termitito sul Cavone, S. Vito di Pisticci sul Basento11 e Difesa S. Biagio di Montescaglioso sul Bradano12. In secondo luogo, all’interno dell’area la circolazione di ceramiche e di oggetti di tipo egeo appare particolarmente diffusa, raggiungendo poi a Termitito e a S. Vito un’attestazione quantitativa del tutto eccezionale. Questi abitati indigeni, verosimilmente sorti nella parte finale del Bronzo medio, hanno infatti restituito ceramiche dipinte di tipo miceneo in numero nettamente superiore rispetto a quello degli altri siti coevi dell’Italia meridionale13. L’esistenza di contatti costanti e frequenti tra l’area egea e la fascia costiera ionica tra il XV e il XII secolo a.C. appare pertanto indiziata con forza dalla documentazione archeologica. Pur non sottovalutando la probabile presenza di itinerari terrestri, colleganti tra loro i diversi centri costieri dell’Italia meridionale, appare verosimile ipotizzare un arrivo diretto di merci e di navigatori nell’arco ionico. Del resto il sito di Termitito, sebbene disti attualmente una decina di chilometri dalla linea di costa14 e risulti da qui poco visibile, mostra un evidente legame visivo con il mare, e ne controlla in modo diretto ogni attività: dalla bassa collina occupata dall’abitato indigeno si domina infatti, oltre alla parte terminale del fiume Cavone e della sua vallata, un ampio tratto della pianura costiera fino a Taranto. In giornate particolarmente limpide è inoltre possibile spingersi con lo sguardo lungo tutta la costa salentina, fino a Nardò e a Gallipoli (fig. 120). La presenza attiva di più approdi lungo la costa ionica della Basilicata già nel corso delle fasi finali dell’età del Bronzo appare pertanto concretamente proponibile. Nonostante l’attuale silenzio della documentazione archeologica su strutture portuali così antiche, è tuttavia possibile avanzare alcune, caute ipotesi sulla loro probabile ubicazione. La formazione sabbiosa del litorale, la totale assenza di insenature naturali e la posizione arretrata degli abitati rendono del tutto improbabile che i luoghi di incontro e di scambio tra gli Enotri e i navigatori egei avessero una collocazione costiera. Inoltre, il ricorrente rapporto topografico tra gli abitati e le vallate fluviali spinge a supporre che i bacini di accoglienza per le navi fossero posizionati all’interno dei fiumi, a una certa distanza dal mare, e quindi al riparo dai pericoli, naturali e non, provenienti dalla costa. Un’ulteriore sollecitazione a favore di questa ipotesi viene del resto dalle numerose attestazioni (fonti 179 letterarie e documenti d’archivio) che, sia pure a partire da un periodo più recente, fanno fig. 120.Termitito riferimento alla navigabilità di tutti i fiumi dell’arco ionico e alla loro utilizzazione per il (Scanzano Jonico). Golfo ionico e costa trasferimento di merci e di persone dalla costa verso l’interno15. salentina 3. La colonizzazione greca in Occidente interessa l’arco ionico dell’Italia meridionale sin dalla fase più antica. Le colonie di Taranto e di Sibari, fondate nei decenni finali dell’VIII secolo a.C., sembrano tuttavia definire i limiti di un territorio che, fino alla metà del secolo successivo, conserverà quelle forme di popolamento e di contatti con il mondo greco che si erano venuti definendo nel corso delle età del Bronzo e del Ferro: un susseguirsi di piccoli abitati indigeni paracostieri, nei quali spesso trovano posto presenze stanziali greche più o meno consistenti16 . A partire dal IX secolo a.C., con il dissolversi del sistema territoriale preistorico, ancorato all’emergenza di grandi centri egemoni, il ruolo preminente svolto da Termitito, da S. Maria d’Anglona e da S. Vito viene assolto, almeno a giudicare dalla documentazione archeologica attualmente disponibile, dall’Incoronata17 e dai numerosi nuclei distribuiti nella piana di Valle Sorigliano e di Conca d’Oro, ai piedi di S. Maria d’Anglona18. La loro collocazione topografica ripropone il modello dell’insediamento posizionato a pochi chilometri dalla foce e dominante il tratto finale delle ampie vallate fluviali. Nel giro di pochi decenni, tra il 650 e il 630 a.C., nella stessa area si registra un profondo e rapido mutamento del sistema insediativo. Le nuove colonie greche di Siris e di Metaponto sorgono infatti alla foce dei rispettivi fiumi e i loro territori occupano, per la 180 Giardino prima volta, la fascia costiera compresa tra il mare e i rialzi collinari interni19. I fiumi continuano a rappresentare un elemento di forte riferimento topografico ed economico, in quanto segnano i confini delle due città - il Sinni e l’Agri per Siris, il Cavone e il Bradano per Metaponto - e alcuni di essi appaiono strettamente collegati con le strutture portuali di cui entrambe le città sono dotate. Sul versante tirrenico della Basilicata non sembrano percepirsi le stesse dinamiche insediative segnalate per il litorale ionico. Tutta la zona montuosa che si sviluppa alle sue spalle restituisce infatti i segni di una presenza indigena (enotria), capace di porsi come interlocutore diretto con i vicini coloni greci, mentre non sono stati trovati stanziamenti costieri capaci di assicurare una regolarità di traffici e di rapporti marittimi. E’ proprio da quest’area che provengono importanti documenti epigrafici in lingua paleosca e caratteri greci, e un’ipotesi recente colloca qui il popolo (ethnos) dei Serdaioi, menzionati nel testo di un trattato sancito nel VI secolo a.C. con i Sibariti e conservato nel santuario greco di Olimpia20. In effetti, dopo un lungo periodo di abbandono, la frequentazione dell’insediamento preistorico di Maratea - La Timpa riprende solo nella parte finale del VI secolo a.C.; la documentazione archeologica, costituita da ceramiche indigene e greche, suggerisce come la sua rioccupazione possa rispondere all’esigenza di creare un punto avanzato di contatto tra il mondo enotrio e la colonia greca di Velia, fondata poco dopo la metà del VI secolo a.C. Il ricorrere frequente di anfore da trasporto di produzione greca in questo centro va pertanto attribuita più a una circolazione terrestre con i vicini territori coloniali che non a contatti marittimi diretti attraverso degli approdi costieri, finora del tutto assenti archeologicamente. Solo per la fase tarda relativa all’età romana imperiale è attestato, sempre per la costa di Maratea, l’uso di un approdo sull’isolotto di Santo Janni collegato ad un impianto produttivo di garum21. 4. Il rapporto topografico esistente tra la colonia colofonia di Siris e l’attuale Sinni è chiaramente documentato in un breve passo di Strabone (VI, 1,14), che ripropone quello di Antioco, uno storico siracusano del V secolo a.C.: la colonia greca sorgeva sulle rive del fiume e, dopo la fondazione della colonia tarantina di Herakleia (odierna Policoro) nel 433 a.C., essa divenne il porto (epineion) di quest’ultima. Siris era quindi dotata, già in età arcaica, di un’area portuale ubicata, come la città stessa, sul fiume omonimo; inoltre il porto non era distinto dall’abitato ma ne rappresentava un settore. Nonostante queste indicazioni così precise, la ricerca archeologica finora non è stata in grado di individuare i resti né della colonia greca22, né del suo porto, anche se la loro ubicazione è stata sempre concordemente ipotizzata sul Sinni, in prossimità della foce. Pur in assenza di una documentazione materiale riferibile espressamente alle strutture portuali, tracce e segnali evidenti di un’attività commerciale intensa si colgono in tutto il comprensorio che si sviluppa a ridosso del tratto terminale del Sinni. Numerosi insediamenti, attivi dall’età ellenistica fino alla piena età imperiale, si susseguono alla distanza di pochi chilometri tra il torrente Toccaculo e la destra del Sinni, disponendosi immediatamente a monte dell’attuale Strada Statale 10623. Alcuni di essi rivestono particolare interesse per la presenza di strutture specificamente connesse con l’intenso movimento di merci e di persone che caratterizza un’area portuale. L’impianto termale di Cugno dei Vagni, tradizionalmente identificato come appartenente a una estesa e ricca villa di età imperiale24, è stato di recente riconosciuto come impianto autonomo25, alimentato da una sorgente e dotato di uno sviluppo planimetrico e di una volumetria notevoli. La monumentalità del 181 complesso sembra trovare una sua motivazione non tanto nella vicinanza di una modesta stazione di sosta (statio) nella sottostante via litoranea26, quanto piuttosto in un programmato collegamento funzionale con il porto sul Sinni, da cui dista poco meno di 3 km. E non appare certamente casuale che la data finale d’uso delle terme di Cugno dei Vagni (III secolo d.C.) venga a coincidere con quella di un rapido spopolamento dell’intero comprensorio. Un altro sito, ubicato proprio sul lato sinistro del Sinni, ha restituito come unica forma di frequentazione umana una serie di grandi siloi, interamente ricavati nel banco di puddinga27. Il loro numero e le notevoli capacità di stoccaggio hanno giustamente indotto L. Quilici ad identificarli con dei magazzini e a riferirli “alla zona portuale del Siri, come a un luogo di ammasso o a un centro di raccolta relativo all’entroterra di destra del fiume”. Indubbiamente la presenza di queste strutture, di epoca più recente rispetto alla colonia colofonia, ribadisce la funzione dinamica ed epicentrica del porto come area di raccolta e di smistamento della produzione di un determinato territorio, come si è sottolineato nelle pagine iniziali. La particolare collocazione dei magazzini di località Trisaia, strettamente relazionati dal punto di vista topografico al lato sinistro del Sinni, conferma ed evidenzia l’importante ruolo che questo fiume ha avuto anche come punto di raccolta e di trasporto delle derrate alimentari. A partire dall’età arcaica e fino alle soglie del tardoantico il porto sul Sinni ha quindi rappresentato un centro di intense attività commerciali e un polo di forte attrazione economica per tutta l’area che si estende ai due lati del fiume, e che a nord raggiunge l’Agri. Quest’ultimo non sembra aver mai svolto una funzione altrettanto vitale di asse di collegamento tra la costa e l’interno, verosimilmente a causa della mancanza di facili approdi naturali alla sua foce. Oltre al silenzio delle fonti antiche, risulta infatti significativa la graduale contrazione subita dalla città di Herakleia nel corso dell’età imperiale28, vale a dire nello stesso periodo in cui l’antico porto sirita continua ad essere pienamente attivo. Tornando sul Sinni, la testimonianza più tarda sulla continuità d’uso della navigazione fluviale è data dal sito di S. Laura29 . Collocato sulla riva destra, a una distanza di 7-8 km. dalla linea di costa, è stato identificato con il monastero basiliano di S. Maria di Lauro, che nel XIII secolo rappresenta il punto di raccolta della produzione agricola del territorio posto alla destra del Sinni; e nel XVII secolo, in questa stessa località, sono ancora presenti dei magazzini di imbarco delle merci da trasportare sul fiume per mezzo di grandi chiatte. 5. Anche per la colonia achea di Metaponto la presenza di una struttura portuale è documentata dalle fonti letterarie. Lo storico greco Tucidide, nel narrare la spedizione inviata nei decenni finali del V secolo a.C. dagli Ateniesi contro Siracusa, fa riferimento al passaggio della flotta ateniese nel golfo ionico e menziona espressamente il porto di Metaponto (VII, 33). Diversamente da Siris, la ricerca archeologica e la lettura delle fotografie aeree hanno dato un contributo concreto per una conoscenza più puntuale di questo importante settore della colonia greca. La prima ha infatti fornito indizi sulla probabile ubicazione del porto arcaico, e ha localizzato e indagato un quartiere di magazzini portuali attivi in età tardoantica (seconda metà del IV – primi decenni del VI d.C.)30; la seconda ha consentito di ricostruire il graduale avanzamento della linea di costa, di individuare gli alvei antichi del Bradano e del Basento e di riconoscere tracce di bacini retrodunali31. Infine Metaponto può contare anche sulla preziosa testimonianza di due viaggiatori, l’Abate de Saint-Non e F. Lenormant, che alla fine del ‘700 e dell ’800 hanno 182 Giardino fig. 121. Metaponto. Il quartiere portuale tardoantico (ricostruzione di L. Giardino e elaborazione grafica di F. Gabellone) 183 visitato e descritto i resti dell’antica colonia greca. Entrambi ricordano il lago di S. Pelagina, un bacino artificiale di forma circolare, comunicante con il mare attraverso un breve canale, ormai ostruito dalle sabbie32. Il concentrarsi della documentazione archeologica più antica (VII secolo a.C.) nel settore meridionale di Metaponto, e quindi in prossimità del Basento33, spinge a ritenere che sin dal momento iniziale vi sia stato uno stretto rapporto topografico tra questo fiume e il porto metapontino e che quest’ultimo possa essere ubicato in una delle anse che si snodavano tra la foce e la città. La collocazione dell’Incoronata sul lato destro di questo fiume conferma ulteriormente l’importanza del Basento come luogo di sosta e di scambi commerciali. Il III secolo a.C. corrisponde a un momento di cesura nella storia di Metaponto. L’imposizione di una guarnigione romana dopo la sconfitta e la partenza di Pirro e la creazione di un’area fortificata destinata a riceverla (cosiddetto castrum) provocano un restringimento della grande agorà metapontina e un’alterazione del precedente tessuto urbano34 . Analoghe esigenze di difesa richiedono verosimilmente anche la creazione di un bacino portuale retrodunale, ad uso prevalentemente militare e quindi posto in stretto collegamento topografico e strategico con il presidio. Il nuovo porto, posizionato tra il lato orientale del castrum e il mare, viene collegato direttamente con quest’ultimo attraverso uno stretto canale, ottenuto tagliando le dune sabbiose costiere. Nel corso dell’età imperiale l’abitato di Metaponto si restringe nell’area del castrum, le necropoli invadono l’antica agorà greca e il porto metapontino non offre nessun segno di attività. La situazione muta rapidamente a partire dalla metà del IV secolo d.C., forse 184 fig. 122. Metaponto. Particolare di un magazzino del quartiere portuale tardoantico (ricostruzione di L. Giardino e elabora zione grafica di F. Gabellone) Giardino a seguito della riforma amministrativa operata da Diocleziano alla fine del III d.C. e che comporta l’inserimento del metapontino nella provincia Apulia et Calabria. Una serie di interventi pubblici definiscono un nuovo assetto territoriale articolato in tre nuclei diversi: il territorio, l’abitato interno e il quartiere portuale. Due miliari attribuiscono all’imperatore Giuliano il merito, reale o presunto, di una risistemazione della viabilità pubblica e della creazione di un nuovo asse viario destinato al collegamento diretto del porto con il territorio, dove si registra una sensibile ripresa della produzione agricola, in particolar modo di quella cerealicola35 . L’abitato, posto nell’area del castrum, viene dotato di alcuni monumenti pubblici - una basilica con battistero e un impianto termale pubblico - posizionati in punti significativi di raccordo tra la viabilità urbana e quella extraurbana. Essi suggeriscono la probabile trasformazione di questo nucleo abitativo interno in una importante statio, indicata con il nome di Turiostu su una carta stradale del IV secolo d.C.: la Tabula Peutingeriana. Il quartiere portuale, posizionato a ridosso della linea di costa antica, ha restituito una serie di edifici isolati, verosimilmente identificabili come magazzini, che si dispongono intorno ad ampi spazi liberi (fig. 121), destinati al movimento delle merci, e ai margini di un grande bacino di forma grossolanamente circolare, oggi interrato. E’ abbastanza verosimile supporre che questo sia il lago di S. Pelagina visto e descritto dai due viaggiatori francesi e da loro identificato con il porto greco di Metaponto. La documentazione archeologica evidenzia l’uso dell’area come luogo di stoccaggio della produzione cerealicola metapontina e di arrivo di una notevole quantità e varietà di vini orientali (fig. 122). Tra la seconda metà del IV e gli inizi del VI d.C., il porto metapontino appare quindi inserito in flussi commerciali ad ampio raggio, e uno degli edifici scavati si connota come un ‘ufficio’, nel quale alcune persone sono preposte alla registrazione e al controllo delle merci. Il fortunato ritrovamento di un sigillo in piombo consente di conoscere il nome di uno di questi ‘funzionari’: Tirone, servo di Dio36. Alla fine del V secolo d.C. un evento traumatico, accompagnato da un incendio che interessa contestualmente il porto e l’abitato interno37, causa una battuta d’arresto, a cui fanno seguito una ricostruzione, sia pure con toni più modesti, degli edifici distrutti e una ripresa delle attività commerciali. Queste ultime cessano definitivamente poco prima della metà del VI, quando l’abitato e il porto appaiono completamente abbandonati e scompare qualsiasi traccia di produzione nel territorio. Questo esito negativo non equivale tuttavia a una desertificazione di tutto il comprensorio. La presenza di tombe di VII secolo nell’area del castrum e le attestazioni relative alla civitas Sanctae Trinitatis e al castello di Torre a Mare, posizionato dalle fonti archivistiche sul Basento, inducono piuttosto a ipotizzare un mutamento del sistema insediativo, verosimilmente motivato da un ulteriore spostamento verso sud dell’alveo del Basento, che continua quindi a rappresentare un fondamentale punto di riferimento economico38. 185 note 1 Per un approccio di tipo antropologico alle tematiche generali sui ‘port of trade’ si rinvia a K. POLANYI, Economie primitive, arcaiche e moderne, Torino 1980, pp. 229-248. 2 P. POCCETTI, Aspetti linguistici e toponomastici della storia marittima dell’Italia antica, in F. PRONTERA (a cura di), La Magna Grecia e il mare. Studi di storia marittima, Taranto 1996, pp. 35-73 (spec. 43). 3 F. LENORMANT, La Grande-Grèce. Paysages et histoire, Paris 1881 [Cosenza 1961], pp. 133 ss. 4 F. BOENZI - R. GIURA LONGO, La Basilicata. I tempi, gli uomini, l’ambiente, Bari 1994, pp. 37 ss. 5 GIARDINO - DE SIENA 1999, p. 24. 6 QUILICI 1967, pp. 219 ss. 7 Una sintesi recente sui diversi aspetti dell’età del Bronzo in Basilicata è proposta in CIPOLLONI SAMPO’ 1999. Per un inserimento della regione in un comprensorio geografico e culturale più ampio si rinvia a R. PERONI, Protostoria dell’Italia continentale. La penisola italiana nelle età del Bronzo e del Ferro, Popoli e Civiltà dell’Italia antica, IX, Roma 1989; ID., Enotri, Ausoni, Itali e altre popolazioni dell’estremo sud d’Italia, in G. PUGLIESE CARRATELLI (a cura di), Italia omnium terrarum parens, Milano 1989, pp. 113-189. 8 CIPOLLONI SAMPO’ 1999, pp. 113 sgg., e 123 sgg. 9 S. BIANCO, Aspetti dell’età del Bronzo e del Ferro sulla costa ionica della Basilicata, in Siris-Polieion, pp. 17-26; GIARDINO - DE SIENA 1999, pp. 24-26. 10 S. BIANCO, Presenze pre-protostoriche nell’area di Maratea, in P. BOTTINI - A. FRESCHI (a cura di), Sulla rotta della “Venus”. Storie di navi, commerci e ancore perdute, catalogo della mostra - Maratea 1991, Taranto 1993, pp. 81-83; CIPOLLONI SAMPO’ 1999, p. 120. 11 DE SIENA 1996. 12 M.G. CANOSA, Montescaglioso, in G. NENCI - G. VALLET (a cura di), Bibliografia Topografica della Colonizzazione greca in Italia e nelle isole tirreniche, X, Roma-Pisa 1992, pp. 26 sgg. 13 DE SIENA 1996; CIPOLLONI SAMPO’ 1999. 14 A causa dell’avanzamento moderno dell’arenile, la distanza in antico era sicuramente inferiore. 15 Vedi quanto detto infra. 16 GIARDINO - DE SIENA 1999; S. BIANCO, La prima Età del Ferro, in Storia Basilicata, pp. 137-182. 17 AUTORI VARI, Ricerche archeologiche all’Incoronata di Metaponto 5. L’oikos greco del saggio H. Lo scavo e i reperti, 186 Milano 1997; DE SIENA 1996. 18 BIANCO, La prima Età del Ferro, art. cit. 19 P. ORLANDINI, La colonizzazione ionica della Siritide, in Storia Basilicata, pp. 197-210; A. DE SIENA, La colonizzazione achea del Metapontino, ibidem, pp. 211-245. 20 E. GRECO, Serdaioi, in AnnAStorAnt XII, 1990, pp. 1-9. 21 Sulla rotta della “Venus”, op. cit., passim. 22 L’ubicazione di Siris rappresenta un dibattito ancora aperto tra gli studiosi. A quanti ritengono indiscutibile la testimonianza straboniana, e quindi la collocazione della città colofonia sul Sinni, si contrappongono coloro che tendono a identificare con Siris, o con il suo nucleo più importante, l’abitato arcaico presente sotto i livelli di età classica di Herakleia. Per le due diverse letture si rinvia, rispettivamente, a M. LOMBARDO, Greci, Enotri e Lucani nella Basilicata meridionale tra l’VIII e il III secolo a.C.: aspetti e momenti dei processi storici, in Greci, Enotri e Lucani, pp. 15-26; L. GIARDINO, Herakleia (Policoro). Contesti e materiali arcaici dal settore occidentale della ‘Collina del Castello’, in Siritide e Metapontino, pp. 105122; GIARDINO - DE SIENA 1999, pp. 32 sgg.; e a ORLANDINI, La colonizzazione, art. cit. 23 QUILICI 1967, pp. 117-159, nn. 44-90. 24 QUILICI 1967, pp. 123-132 n. 57. 25 L. GIARDINO, Cugno dei Vagni, in G. NENCI - G. VALLET (a cura di), Bibliografia Topografica della Colonizzazione greca in Italia e nelle isole tirreniche, X, Roma-Pisa 1992, pp. 4-6. 26 La sua presenza e la sua continuità d’uso oltre l’età antica sono documentate dal significativo toponimo di ‘Taverna’ (QUILICI 1967, fig. 288). 27 Piano del Forno a Trisaia (QUILICI 1967, n. 66, pp. 136-137). 28 L. GIARDINO, Herakleia e la sua chora, in Leukania 1992, pp. 136-141. 29 QUILICI 1967, p. 142 n. 78. 30 DE SIENA, La colonizzazione, art. cit., pp. 225-226; L. GIARDINO, Grumentum e Metaponto. Due esempi di passaggio dal tardoantico all’alto Medioevo in Basilicata, in MEFRM 103, 1991, 2, pp. 827-858. 31 G. SCHMIEDT, Antichi porti d’Italia, Firenze 1975, pp. 135-138; A. DE SIENA, Il castro romano di Metaponto, in Basilicata 1990, pp. 301-314. 32 C.R. SAINT-NON, Voyage pittoresque ou description des royaumes de Naples et de Sicile, Paris 1783 [1972], III, pp. 77, 80; LENORMANT, La Grande-Grèce, op. cit., p.158. 33 Oggi questo fiume passa ad alcuni chilometri di distanza dalla Giardino città, mentre il Bradano scorre quasi a ridosso del lato nord delle mura. Questa situazione, del tutto opposta a quella antica, è la conseguenza di un graduale slittamento dell’alveo dei due fiumi verso sud (SCHMIEDT, Antichi porti, op. cit., p. 138). 34 DE SIENA, Il castro romano, art. cit. 35 L. GIARDINO, Metaponto tardo-imperiale e Turiostu: pro- posta di identificazione in margine ad un miliarium di Giuliano l’Apostata, in StAnt 3, 1982, pp. 155-173. 36 GIARDINO, Grumentum e Metaponto, art. cit. 37 L. GIARDINO, Il porto di Metaponto in età imperiale. Topografia e materiali ceramici, in StAnt 4, 1983, pp. 5-36. 187